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APPUNTI CUSELLA:

CAP 3 TESSUTI CONNETTIVO:


I tessuti connettivi si trovano in tutto il corpo e, a differenza degli epiteli, non sono mai in contatto con
l’ambiente esterno. Tutti i tessuti connettivi comprendono tre componenti di base: (1) cellule specializzate,
(2) fibre proteiche extracellulari, (3) un fluido extracellulare noto come sostanza fondamentale.

I tessuti connettivi svolgono una varietà di funzioni, che vanno molto al di là della semplice connessione
delle varie parti del corpo. Tali funzioni sono le seguenti:
 costituire una impalcatura di sostegno per il corpo;
 trasportare i fluidi e le sostanze in soluzione da una regione all’altra del corpo;
 fornire protezione agli organi delicati;
 sostenere, avvolgere e connettere tessuti differenti;
 immagazzinare riserve energetiche, in special modo sotto forma di lipidi;
 difendere il corpo dai microrganismi.
 
La maggior parte dei tessuti connettivi svolge molteplici funzioni, ma nessuno è in grado di svolgerle tutte.
 
CLASSIFICAZIONE TESSUTI CONNETTIVI:
-Il tessuto connettivo propriamente detto è formato da molti tipi di cellule e di fibre extracellulari, immerse
in una sostanza fondamentale viscosa. Questi tessuti connettivi si diversificano per il numero di citotipi,
oltre che per le caratteristiche qualitative e quantitative delle fibre e della sostanza fondamentale. Il tessuto
adiposo (grasso), i legamenti e i tendini sono molto diversi tra loro, ma tutti e tre sono esempi di tessuto
connettivo propriamente detto.
 
-I tessuti connettivi liquidi sono caratterizzati da una inconfondibile popolazione cellulare, sospesa in una
matrice acquosa che contiene proteine disciolte. I tessuti connettivi liquidi sono di due tipi: sangue e linfa.
 
-I tessuti connettivi di sostegno presentano una popolazione cellulare meno numerosa rispetto ai tessuti
connettivi propriamente detti, e una matrice che contiene fibre strettamente impaccate. Esistono due tipi
di tessuti connettivi di sostegno: la cartilagine e l’osso. La matrice della cartilagine è un gel con
caratteristiche che variano in rapporto al tipo predominante di fibre. La matrice dell’osso è
detta calcificata perché contiene depositi minerali, principalmente sali di calcio, che conferiscono all’osso
resistenza e rigidità.
 

 
TESSUTO CONNETTIVO DENSO:
La maggior parte del volume dei tessuti connettivi densi è occupata da fibre. Essi sono spesso
chiamati tessuti collagenici, per sottolineare il fatto che le fibre collagene sono predominanti. Nel corpo
umano sono presenti due tipi di tessuto connettivo denso: regolare e irregolare.
Tessuto connettivo denso regolare Nel tessuto connettivo denso regolare le fibre collagene sono
strettamente addensate e allineate parallelamente alle forze applicate. Gli esempi principali sono: i tendini,
le aponeurosi, il tessuto elastico e i legamenti.
- tendini sono cordoni di tessuto connettivo denso regolare che permettono l’inserzione dei muscoli
scheletrici sulle ossa e sulle cartilagini (Figura 3.14a). Le fibre collagene si estendono lungo l’asse
longitudinale del tendine e trasferiscono la trazione del muscolo che si contrae all’osso o alla cartilagine.
Tra le fibre collagene è presente un gran numero di fibrociti.
-Il tessuto elastico contiene un gran numero di fibre elastiche che lo rendono elastico e resiliente (Figura
3.14b). La capacità di allungarsi e di ritornare alla dimensione di partenza gli permette di tollerare cicli di
espansione e di contrazione. Spesso si trova sotto l’epitelio di transizione (Figura 3.7b, p. 57); si trova anche
nella parete dei vasi sanguigni e nelle vie aeree.

 
 
TESSUTO CONNETTIVI DI SOSTEGNO:
La cartilagine e l’osso sono tessuti connettivi di sostegno, i quali costituiscono una struttura molto
resistente che sostiene il resto del corpo. La matrice di questi tessuti è ricca di fibre e, in qualche caso, di
depositi di sali di calcio insolubili.
 
CARTILAGINE:
La matrice della cartilagine è un gel compatto contenente polisaccaridi complessi, fra i quali i condroitin
solfati sono i più abbondanti; associati a proteine, formano i proteoglicani. Le cellule cartilaginee,
o condrociti, sono le uniche cellule che si trovano nella matrice, ospitate in piccoli recessi chiamati lacune.
La cartilagine è priva di vasi, in quanto i condrociti producono una sostanza chimica che contrasta la
formazione di vasi. Lo scambio dei nutrienti e delle sostanze di rifiuto avviene per diffusione attraverso la
matrice.
 
La cartilagine si accresce mediante due meccanismi: la crescita per apposizione e la crescita interstiziale
(Figura 3.16b,c).
 Nella crescita per apposizione, le cellule staminali dello strato profondo del pericondrio vanno
incontro a numerosi cicli di divisione e si differenziano in condroblasti, che iniziano a produrre la
matrice cartilaginea. Dopo essersi completamente circondati di matrice, essi si differenziano in
condrociti. Questo meccanismo di crescita accresce gradualmente le dimensioni della cartilagine
mediante aggiunte alla sua superficie.
 Nella crescita interstiziale, i condrociti della matrice cartilaginea vanno incontro a divisione e le
cellule figlie producono altra matrice; il processo accresce la cartilagine dall’interno, come un
pallone che si gonfia.

 
 
Tipi di cartilagine Nel corpo ci sono tre tipi di cartilagine: ialina, elastica e fibrosa.
 La cartilagine ialina è il tipo più comune. La sua matrice contiene fibre collagene strettamente
impacchettate. Sebbene sia resistente e alquanto flessibile, essa è il tipo più debole di cartilagine.
Siccome le fibre collagene non si colorano bene, raramente sono visibili al microscopio ottico
(Figura 3.17a). Nell’adulto, esempi possono essere: (1) le connessioni tra le coste e lo sterno; (2) le
cartilagini di sostegno delle vie aeree dell’apparato respiratorio; (3) le cartilagini articolari che
ricoprono le superfici ossee adiacenti nelle articolazioni sinoviali, come la spalla.
 La cartilagine elastica è costituita da numerose fibre elastiche che la rendono estremamente
flessibile. Forma il padiglione auricolare esterno (Figura 3.17b), l’epiglottide, il condotto
dell’orecchio medio e le piccole cartilagini (cuneiformi) della laringe. Sebbene la cartilagine
presente a livello della punta del naso sia molto flessibile, vi è disaccordo se essa debba essere
classificata come cartilagine elastica, in quanto le fibre elastiche non sono abbondanti come nel
padiglione auricolare o nell’epiglottide.
 La cartilagine fibrosa, o fibrocartilagine, contiene poca sostanza fondamentale, una matrice
costituita prevalentemente da fibre collagene, e può essere priva di pericondrio (Figura 3.17c).
Dischi fibrocartilaginei si trovano nelle zone sottoposte a forte stress, ad esempio nei dischi
intervertebrali, tra le ossa pubiche e intorno o all’interno di qualche articolazione e tendine. In
queste sedi, essi forniscono resistenza alla compressione, ammortizzano gli urti e prevengono
lesioni da contatto tra due ossa. Le fibre collagene presenti all’interno della cartilagine fibrosa
seguono le linee di tensione, pertanto sono disposte in maniera più regolare di quelle della
cartilagine ialina o elastica. La riparazione delle cartilagini è lenta e scarsa, e la fibrocartilagine
danneggiata a livello delle articolazioni può interferire con i normali movimenti.

 
Strati di tessuto connettivo collegano gli organi presenti nelle cavità dorsali e ventrali con il resto del corpo.
Questi strati conferiscono forza e stabilità, mantengono gli organi interni nelle loro posizioni e forniscono
percorsi di distribuzione ai vasi sanguigni e linfatici e ai nervi.
Si usa il termine generico fascia per indicare uno strato connettivale visibile in una dissezione macroscopica.
Tali involucri di tessuto connettivo possono schematicamente essere suddivisi in tre tipi: fascia superficiale,
fascia profonda e fascia sottosierosa (Figura 3.21).
 La fascia superficiale, o strato sottocutaneo, è anche detta ipoderma. Questo strato di tessuto
connettivo lasso separa la cute dai tessuti e dagli organi sottostanti. Fornisce isolamento e
ammortizza. Permette inoltre alla cute e alle strutture sottostanti di muoversi in modo
indipendente.
 La fascia profonda è costituita da tessuto connettivo denso regolare. L’organizzazione delle fibre
ricorda il compensato: tutte le fibre dello stesso strato sono orientate nella stessa direzione, anche
se l’orientamento delle fibre cambia da uno strato all’altro. Questa struttura degli strati consente al
tessuto di resistere alle forze applicate in varie direzioni. Le capsule di rivestimento intorno a molti
organi (compresi gli organi delle cavità toracica e peritoneale), il pericondrio che circonda le
cartilagini, il periostio intorno alle ossa e le guaine di tessuto connettivo del muscolo sono tutti
connessi alla fascia profonda. La fascia profonda del collo e degli arti passa tra gruppi di muscoli
sotto forma di fascia intermuscolare, che divide i muscoli in compartimenti o gruppi che
differiscono per funzione e sviluppo. I componenti del tessuto connettivo denso sono intrecciati; ad
esempio, la fascia profonda intorno a un muscolo si confonde con quella del tendine, le cui fibre si
mescolano con quelle del periostio. Questa disposizione crea la forte rete fibrosa che tiene uniti
tutti i componenti del corpo.
 La fascia sottosierosa è uno strato di tessuto connettivo lasso posto tra la fascia profonda e le
membrane sierose che rivestono le cavità. Poiché questo strato separa le membrane sierose dalla
fascia profonda, i movimenti dei muscoli o degli organi muscolari non possono distorcere il delicato
rivestimento.
La fascia è tanto resistente da tollerare le suture chirurgiche, a differenza dei tessuti muscolare, areolare e
adiposo in essa racchiusi.
 
 

OSSO:
L’osso è il secondo tipo di tessuto connettivo di sostegno. Ci sono significative differenze tra la cartilagine e
l’osso, o tessuto osseo (Tabella 3.2). (Una discussione dettagliata dell’istologia dell’osso sarà presentata nel
Capitolo 5). Circa un terzo della matrice del tessuto osseo è costituito da fibre collagene. Il resto è una
miscela di sali di calcio, principalmente fosfato di calcio con una piccola quota di carbonato di calcio.
Questa composizione conferisce all’osso proprietà davvero eccezionali. I sali di calcio sono di per sé duri,
ma piuttosto friabili. Le fibre collagene sono invece più deboli, ma relativamente flessibili. Nell’osso, i
minerali si trovano intorno alle fibre collagene e ciò dà origine a strutture forti e in qualche modo flessibili,
molto resistenti alla frantumazione. Nel complesso, l’osso può competere con il miglior cemento armato.
Le cellule ossee, gli osteociti, si trovano in lacune all’interno della matrice. Queste si trovano spesso
disposte intorno a vasi sanguigni che si ramificano nella matrice ossea.
Esistono due tipi di osso: l’osso compatto, che contiene vasi sanguigni intrappolati all’interno della matrice,
e l’osso spugnoso, che è privo di vasi.
Se si eccettuano le superfici articolari, le superfici ossee sono ricoperte da un periostio, composto da uno
strato fibroso (esterno) e uno strato cellulare (interno). Il periostio è incompleto soltanto a livello delle
superfici articolari.
 
TESSUTO MUSCOLARE:
 
Il tessuto muscolare è un tessuto capace di potenti contrazioni (Figura 3.22). Le cellule muscolari
possiedono organuli e proprietà diverse dalle altre cellule. Poiché sono così diverse da una “tipica” cellula,
si usano nomi speciali: il loro citoplasma è chiamato sarcoplasma e la loro membrana cellulare è
chiamata sarcolemma.
Nel corpo umano si trovano tre tipi di tessuto muscolare*: scheletrico, cardiaco e liscio. Il meccanismo di
contrazione è simile nei tre tessuti, ma la loro organizzazione interna è diversa. 
 
TESSUTO MUSCOLARE SCHELETRICO:
Il tessuto muscolare scheletrico contiene fibre muscolari molto grandi. Dato che le cellule muscolari
scheletriche sono lunghe e sottili (alcune possono essere lunghe fino a 0,30 cm o più), vengono
chiamate fibre muscolari. Ogni fibra muscolare scheletrica è multinucleata; può contenere anche centinaia
di nuclei sotto la superficie del sarcolemma (Figura 3.22a). Le fibre muscolari scheletriche non possono
dividersi, ma nuove fibre muscolari possono essere generate dalle divisioni delle cellule miosatelliti (anche
dette cellule satelliti), cellule staminali che persistono nei tessuti muscolari scheletrici adulti. Il tessuto
muscolare scheletrico può dunque autoripararsi, almeno in parte, quando viene danneggiato.
Di norma, le fibre muscolari scheletriche non si contraggono senza un impulso nervoso e il sistema nervoso
presiede al controllo volontario della loro attività. Per questo motivo il muscolo scheletrico viene anche
chiamato muscolo striato volontario.
Quando un muscolo si contrae, esercita una trazione su un osso, determinandone il movimento.
 
TESSUTO MUSCOLARE CARDIACO:
 
Il tessuto muscolare cardiaco si trova solo nel cuore. Una tipica cellula muscolare cardiaca (o
cardiomiocita) è più piccola di una fibra muscolare scheletrica e possiede un nucleo centrale. Le striature
pronunciate sono simili a quelle della fibra scheletrica (Figura 3.22b).
Le cellule del muscolo cardiaco sono connesse l’una all’altra in regioni specializzate, chiamate dischi
intercalari. Ne risulta che il muscolo cardiaco è costituito da una rete ramificata di cellule muscolari
interconnesse.
 Come le fibre muscolari scheletriche, anche le cellule muscolari cardiache sono incapaci di dividersi e,
mancando di cellule miosatelliti, non possono rigenerarsi quando il tessuto cardiaco viene danneggiato.
nel cuore sono presenti cellule muscolari altamente specializzate, dette cellule pacemaker, che
mantengono la contrazione a un ritmo regolare. Il sistema nervoso può influenzare l’attività del pacemaker,
ma non controlla in maniera volontaria le singole cellule muscolari cardiache. Per questo motivo, il muscolo
cardiaco è anche definito muscolo striato involontario.
 
TESSUTO MUSCOLARE LISCIO:
Il tessuto muscolare liscio si trova nella parete dei vasi sanguigni e degli organi cavi, come la vescica, e nella
tonaca muscolare dei tratti respiratorio, circolatorio, digerente e genitale. Una cellula muscolare liscia è una
piccola cellula fusiforme con un singolo nucleo ovale posizionato al centro di essa (Figura 3.22c). Le cellule
muscolari lisce possono dividersi e rigenerare il muscolo dopo una lesione.
I filamenti di actina e di miosina nelle cellule muscolari lisce sono organizzati in maniera differente rispetto
alle fibre muscolari scheletriche e alle cellule cardiache, e non danno origine a striature visibili; si tratta
dell’unico tessuto muscolare non striato. Alcune cellule muscolari lisce si contraggono autonomamente,
mediante l’azione di cellule pacemaker, mentre altre si contraggono sotto lo stimolo nervoso. Ciò
nonostante, il sistema nervoso generalmente non fornisce un controllo volontario delle contrazioni, perciò
si parla di muscolo involontario non striato.
 
 
CAP 5:

L'APPARATO SCHELETRICO comprende le diverse ossa dello scheletro, le cartilagini, i legamenti e gli altri tipi
di tessuto connettivo che li stabilizzano e li interconnettono. Le ossa sono gli organi dell'apparato
scheletrico e non sono soltanto supporti cui si agganciano i muscoli; esse sostengono il peso del corpo e
cooperano con i muscoli per produrre movimenti precisi e controllati. Senza una impalcatura ossea di
sostegno, i muscoli in fase di contrazione diventerebbero solo più corti e più spessi, mentre invece devono
esercitare una trazione contro lo scheletro per farci stare in piedi o seduti, camminare o correre.
Le principali funzioni dell'apparato scheletrico sono:
-Supporto: l'apparato scheletrico fornisce il supporto strutturale a tutto il corpo. I segmenti scheletrici,
singolarmente o a gruppi, costituiscono l'impalcatura che sostiene tessuti molli e visceri.
-Deposito di minerali: i sali di calcio dell'osso rappresentano una notevole riserva minerale che mantiene
costante le concentrazioni di ioni calcio e fosfato nei fluidi corporei. Il calcio è il minerale più abbondante
nel corpo umano. Tipicamente esso contiene 1-2 kg di calcio, il 98% del quale è depositato nello scheletro.
-Produzione delle cellule del sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine vengono prodotti nel midollo
osseo rosso che riempie le cavità interne di molte ossa.
-Protezione: tessuti e organi delicati sono spesso circondati da elementi scheletrici. Le coste proteggono il
cuore e i polmoni, la scatola cranica racchiude l'encefalo, le vertebre avvolgono il midollo spinale e la pelvi
protegge i delicati organi degli apparati digerente e genitale.
-Sistema di leve: molte ossa dello scheletro funzionano come leve. Esse possono modificare l'ampiezza e la
direzione delle forze generate dai muscoli scheletrici. I movimenti prodotti variano dal delicato e preciso
movimento delle dita ai potenti cambiamenti di posizione del corpo intero.
 
Il tessuto osseo è uno dei tessuti connettivi con funzione di sostegno, dove esso contiene cellule
specializzate e una matrice extracellulare costituita da fibre di natura proteica e sostanza fondamentale. La
matrice del tessuto osseo è solida e resistente a causa della disposizione dei Sali di calcio attorno alle fibre
proteiche.
Il fosfato di calcio costituisce almeno i 2/3 in massa dell'osso. Questi componenti inorganici forniscono
all'osso resistenza alla compressione. Il restante terzo della massa dell'osso è dovuto a fibre collagene ed
altre proteine che conferiscono all'osso resistenza alla trazione.
 
Esistono due tipi di organizzazione del tessuto osseo: osso compatto e osso spugnoso. L'osso compatto è
relativamente denso e solido, mentre l'osso spugnoso (anche detto osso trabecolare o spongioso) forma
una rete di lamelle e trabecole. L'osso compatto e l'osso spugnoso sono entrambi presenti nelle ossa
lunghe dello scheletro, come l'omero nel braccio e il femore nella coscia. Il tessuto osseo compatto forma le
pareti, mentre uno strato interno di osso spugnoso circonda la cavità midollare. La cavità midollare
contiene il midollo osseo, un tessuto connettivo lasso in cui possono prevalere gli adipociti (midollo giallo) o
una miscela di cellule del sangue rosse e bianche, mature e immature, oltre alle cellule staminali che le
producono (midollo rosso).
 
DIFFERENZE STRUTTURALI:
Osso compatto L'unità funzionale di base del osso compatto maturo è l'asteome cilindrico, o sistema di
Havers. Nell'osteone, gli osteociti si dispongono in strati concentrici attorno a un canale centrale, o canale
di Havers, il quale contiene uno o più vasi sanguigni che vascolarizzano l'osteone.
Solitamente, i canali centrali sono paralleli alla superficie dell'osso. Altri canali, conosciuti come canali
perforanti, o canali di Volkmann, si estendono con andamento approssimativamente perpendicolare alla
superficie. I vasi sanguigni nei canali perforanti distribuiscono il sangue agli osteoni più profondi e
vascolarizzano la cavità midollare interna. Le lamelle di ciascun osteone, definite lamelle concentriche, sono
cilindriche e allineate parallelamente all'asse longitudinale dell'osso. Complessivamente, le lamelle
concentriche formano una serie di anelli concentrici (come nel bulbo di una cipolla o in un bersaglio)
attorno al canale centrale. Le fibre collagene si spiralizzano lungo l'asse di ogni lamella e le variazioni di
direzione delle spirali nelle lamelle adiacenti rinforzano l'osteone. I canalicoli interconnettono le lacune di
un osteone e formano una rete ramificata che raggiungE il canale centrale. Nell'osso compatto, le lamelle
interstiziali riempiono gli spazi tra gli osteoni. A seconda della localizzazione, queste lamelle possono essere
state prodotte durante la crescita dell'osso, o possono rappresentare residui di criconi i cui componenti
della matrice sono stati riciclati dagli osteoclasti nel corso del processo di riparazione o rimodellamento
osseo. Un terzo tipo di lamelle, le lamelle circonferenziali, è presente sulla superficie interna ed esterna
dell'osso. In un osso come l'omero o il femore, le lamelle circonferenziali formano le superfici esterna e
interna della diafisi
 
 
Osso spugnoso La principale differenza tra osso compatto e osso spugnoso consiste nella disposizione
dell'osso spugnoso in lamelle parallele, intrecciate in modo da lasciare degli spazi tra loro comunicanti,
chiamate trabecole (o spicole). L'osso spugnoso presenta lamelle e, se le trabecole sono sufficientemente
spesse, sono presenti anche gli osteoni.
Per ciò che concerne le cellule, la struttura e la composizione delle lamelle, l'osso spugnoso non è differente
dall'osso compatto. L'osso spugnoso è costituito da una rete aperta, perciò è molto più leggero dell'osso
compatto. Tuttavia, la ramificazione delle trabecole conferisce all'osso spugnoso una considerevole
resistenza, se rapportata al suo peso. La presenza di osso spugnoso, pertanto,riduce il peso dello scheletro
e permette ai muscoli di muovere le ossa più agevolmente. L'osso spugnoso quindi si trova laddove l'osso
non viene sottoposto a forti sollecitazioni, o dove le sollecitazioni provengono da molte direzioni.
 
CLASSIFAZIONI OSSA:
 
 
 

 
 
SVILUPPO E ACCRESCIMENTO DELL'OSSO:
Lo sviluppo e la crescita delle ossa sono accuratamente regolati; un’alterazione nella sua regolazione si
ripercuoterebbe su tutti gli altri apparati e sistemi. In questo paragrafo verranno presi in considerazione i
processi di osteogenesi (formazione delle ossa) e di accrescimento osseo.
Dalla fecondazione dell’ovocita fino a circa 8 settimane, le componenti scheletriche dell’embrione sono
mesenchimali o di cartilagine ialina. Dall’ottava settimana comincia a formarsi lo scheletro osseo. Durante
le fasi successive di sviluppo, le ossa vanno incontro a un enorme aumento di dimensioni.
 
L’accrescimento osseo continua durante l’adolescenza e, in genere, alcune parti dello scheletro continuano
a crescere fino all’età di 25 anni. La crescita dello scheletro determina la dimensione e le proporzioni
corporee.
 
Durante lo sviluppo embrionale, mesenchima e cartilagine vengono sostituiti dal tessuto osseo, un processo
che prende il nome di ossificazione. Il processo di calcificazione riguarda invece la deposizione di sali di
calcio in un tessuto. Qualsiasi tessuto può essere calcificato, ma è solo con l’ossificazione che si verifica la
formazione dell’osso.
 
Esistono due forme principali di ossificazione:
 
-nella ossificazione membranosa, l’osso si sviluppa dal mesenchima o dal tessuto connettivo fibroso.
Questo tipo di ossificazione si verifica nella formazione di ossa quali la clavicola, la mandibola e le ossa
piatte della faccia e del cranio;
 
-nella ossificazione encondrale, l’osso sostituisce un modello cartilagineo preesistente. Le ossa degli arti e
altre ossa che sopportano il peso corporeo, come quelle della colonna vertebrale, si sviluppano tramite
ossificazione encondrale
 

 
ZONA ROSSA= deposito Sali di calcio ( nineralizzato)
OSSIFICAZIONE MEMBRANOSA:
L’ossificazione membranosa avviene nel tessuto mesenchimale dell’embrione prima che si sviluppi la
cartilagine
L'ossificazione membranosa, detta anche ossificazione dermica, ha inizio approssimativamente
durante l'ottava settimana di sviluppo embrionale. Questo tipo di ossificazione interessa normalmente gli
strati più profondi del derma; le ossa che si formano vengono spesso definite ossa dermiche, o ossa
membranose. Esempi di ossa dermiche sono rappresentati dalle ossa piatte del cranio (osso frontale, osso
parietale e osso occipitale) e dalla mandibola.

Differenziamento degli osteoblasti nel mesenchima: Il tessuto mesenchimale diventa altamente


vascolarizzato, mentre le cellule mesenchimali si aggregano, si ingrandiscono e poi si differenziano in
osteoblasti. Quindi, gli osteoblasti si raggruppano e cominciano a secernere i componenti organici della
matrice. Il prodotto, l'osteoide, viene poi mineralizzato attraverso la cristallizzazione di sali di calcio. La sede
in cui ha inizio l'ossificazione viene definita il centro di ossificazione di un osso.
 
Formazione delle spicole ossee: Man mano che l'ossificazione procede, gli osteoblasti circondati
dall'osteoide si differenziano in osteociti. Queste cellule sono intrappolate all'interno di minuscoli spazi
detti lacune. L'osso in via di sviluppo cresce verso l'esterno rispetto al centro di ossificazione, in piccole
lamelle dette spicole. Sebbene gli osteoblasti restino via via intrappolati nell'osso che si accresce, la
divisione delle cellule mesenchimali continua a produrre altri osteoblasti.
 
Intrappolamento dei vasi sanguigni: L'accrescimento osseo è un processo attivo; gli osteoblasti richiedono
ossigeno e un adeguato rifornimento di nutrienti, cui fanno fronte i vasi sanguigni che si ramificano tra le
spicole, permettendo un aumento della velocità di crescita dell'osso. Quando le spicole si connettono tra
loro, intrappolano nell'osso vasi sanguigni.
 
Formazione dell'osso spugnoso: La continua deposizione di osso da parte degli osteoblasti determina la
formazione di una piastra ossea che è attraversata dai vasi sanguigni. Nel momento in cui le piastre
adiacenti si fondono insieme, la struttura ossea diventa sempre più complessa.
 
OSSIFICAZIONE ENCONDRALE:
 
 
 
L'ossificazione encondrale inizia con la formazione di un modello di cartilagine ialina. Lo sviluppo delle ossa
della parte libera degli arti rappresenta un buon esempio di questo processo. In un embrione di 6
settimane, le ossa prossimali della parte libera degli arti, il femore e l'omero, sono presenti, ma costituite
unicamente da cartilagine. Questo modello continua a crescere per espansione della matrice cartilaginea
(crescita interstiziale) e produzione di nuova cartilagine sulla superficie cresca per asposizione).
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Ci sono dei fattori che regolano l'accrescimento dell'osso:
-Minerali. Il normale accrescimento non può avvenire senza un apporto costante, attraverso la dieta, di sali di
calcio e di fosfato, così come di altri ioni quali magnesio, citrato, carbonato e sodio.
 
-Vitamine. Le vitamine A e C sono essenziali per la normale crescita e il rimodellamento dell’osso. La
vitamina A stimola l’attività degli osteoblasti, la vitamina C è richiesta per le reazioni enzimatiche coinvolte
nella sintesi del collagene e nella differenziazione degli osteoblasti.
 
-Calcitriolo e vitamina D3. L’ormone calcitriolo è essenziale per l’assorbimento e il trasporto degli ioni calcio
e fosfato nel sangue. È sintetizzato nei reni a partire da uno steroide correlato, il colecalciferolo (vitamina
D3), che può essere prodotto nella cute in presenza di raggi UV oppure essere introdotto con la dieta.
 
-Paratormone. Le ghiandole paratiroidi rilasciano un ormone, il paratormone, che stimola l’attività di
osteoclasti e osteoblasti, incrementa la velocità di assorbimento del calcio a livello dell’intestino tenue e
riduce la velocità di eliminazione del calcio attraverso le urine.
 
-Calcitonina. Nei bambini e nelle donne in gravidanza, la tiroide produce l’ormone calcitonina, che inibisce
gli osteoclasti e aumenta la quantità di calcio eliminato attraverso le urine. Non è chiaro l’effetto della
calcitonina nell’adulto in buona salute e non gravido.
 
-Ormone della crescita e tiroxina. L’ormone della crescita, prodotto dall’ipofisi, e la tiroxina, prodotta dalla
tiroide, stimolano la crescita ossea. In condizioni normali, questi ormoni mantengono una normale attività a
livello del disco epifisario fino alla pubertà.
 
-Ormoni sessuali. Alla pubertà, la crescita ossea accelera drasticamente. Gli ormoni sessuali (estrogeni e
testosterone) stimolano gli osteoblasti a produrre osso più velocemente rispetto all’espansione della
cartilagine epifisaria. In breve tempo, il disco epifisario si assottiglia e quindi si ossifica, o “si chiude”. La
continua produzione di ormoni sessuali è essenziale per il mantenimento della massa ossea nell’adulto.
 
 
LESIONE E RIPARAZIONE:
Nonostante la resistenza dovuta ai minerali, un osso può incrinarsi o rompersi se sottoposto a carichi
eccessivi, urti improvvisi o sollecitazioni provenienti da direzioni insolite. Il danno prodotto costituisce
una frattura. La guarigione di una frattura avviene in genere anche dopo un danno severo, purché la
vascolarizzazione e le cellule staminali del periostio e dell’endostio siano integre.
Il segmento di osso riparato sarà leggermente più spesso e più forte rispetto all’osso originario; per questo,
nel caso si verificasse un’analoga sollecitazione, la nuova frattura in genere riguarderà una zona diversa.
 
 
 
Si mette il gesso perché il CALLO ESTERNO non deve subire peso, un esempio può essere la frattura del
braccio, dove esso viene messo ad angolo retto cosi non si hanno trazioni di alcun genere.

CAP 6

LE CARATTERISTICHE BASILARI dello scheletro umano sono il frutto dell’evoluzione; inoltre, l’estrema
variabilità individuale di età, dieta, attività motoria e livelli ormonali rende uniche le ossa di ciascun essere
umano. Come anticipato nel Capitolo 5, le ossa subiscono un continuo rimodellamento durante la vita,
come ad esempio durante la pubertà o nell’avanzamento graduale dell’osteoporosi durante
l’invecchiamento. Questo capitolo fornisce altri esempi della natura dinamica dello scheletro umano, come
i cambiamenti di forma della colonna vertebrale nel corso della transizione dalla posizione a quattro zampe
degli infanti alla stazione eretta.
L’apparato scheletrico è costituito da 206 ossa e da un certo numero di cartilagini associate. È diviso in due
parti: (1) lo scheletro assile e (2) lo scheletro appendicolare. Lo scheletro assile è formato dalle ossa del
cranio, del torace e della colonna vertebrale. Questi elementi formano l’asse longitudinale del corpo. Lo
scheletro assile è costituito da 80 ossa, che costituiscono il 40%delle ossa del corpo umano, di cui 29 sono
nella scatola cranica, 25 nella gabbia toracica, 26 nella colonna vertebrale. Le restanti 126 ossa formano
lo scheletro appendicolare (che sarà discusso nel Capitolo 7); esso include le ossa della parte libera degli
arti e i cingoli scapolare e pelvico, che connettono gli arti al tronco.
 
Lo scheletro assile comprende
 il cranio (22 ossa);
 le ossa associate al cranio (6 ossicini dell’udito + osso ioide);
 la colonna vertebrale (24 vertebre, osso sacro e coccige);
 la gabbia toracica (24 coste + sterno).
Lo scheletro assile svolge diverse funzioni, incluse le seguenti:
 creare una struttura che sostiene e protegge gli organi nelle cavità del corpo;
 proteggere organi speciali di senso per il gusto, l’olfatto, l’udito, l’equilibrio e la vista;
 fornire un’ampia superficie per l’inserzione di muscoli che regolano la posizione della testa, del
collo e del tronco, eseguono i movimenti respiratori e stabilizzano o tengono in posizione le
strutture dello scheletro appendicolare;
 generare le cellule del sangue mediante il midollo rosso localizzato in porzioni delle vertebre, dello
sterno e delle coste.
 
 
OSSO OCCIPITALE:
L’osso occipitale partecipa alla costituzione delle superfici posteriore, laterale e inferiore del neurocranio.
La superficie inferiore dell’osso occipitale presenta un’ampia apertura circolare, il forame magno, che
mette in comunicazione la cavità cranica con il canale vertebrale (spinale) racchiuso nella colonna
vertebrale. Attraverso i condili occipitali, adiacenti al forame magno, il cranio si articola con la 1 a vertebra
cervicale. La superficie esterna posteriore dell’osso occipitale presenta una serie di creste prominenti.
La cresta occipitale esterna si estende posteriormente dal forame magno, terminando in un piccolo
rilievo centrale definito protuberanza occipitale esterna. Due creste orizzontali, le linee nucali
inferiore e superiore, dipartono da tale cresta e danno inserzione ai muscoli e ai legamenti che
stabilizzano l’articolazione atlo-occipitale, tra la 1 a vertebra e l’occipite, bilanciando il peso della testa sulle
vertebre del collo. L’osso occipitale forma in parte il foro giugulare, che fornisce una via di passaggio ad
arterie, vene e nervi. La vena giugulare interna origina esternamente a questo foro e drena il sangue
venoso refluo dall’encefalo. I canali dell’ipoglosso si trovano lateralmente alla base di ciascun condilo
occipitale, appena sopra i condili ( Figura 6.6a-c, e) e danno passaggio ai nervi ipoglossi, nervi cranici che
controllano i muscoli della lingua.
 
ANATOMIA VERTEBRE:
Corpo vertebrale
Il corpo vertebrale è la parte della vertebra che trasferisce il peso lungo l’asse della colonna vertebrale
(Figura 6.20e). Ogni vertebra si articola con le vertebre vicine; i corpi sono uniti da legamenti e separati per
mezzo di cuscinetti di fibrocartilagine, i dischi intervertebrali.
 
Articolazioni vertebrali
I processi articolari inferiori di una vertebra si articolano con i processi articolari superiori della vertebra
sottostante. Ciascun processo articolare presenta una superficie liscia detta faccetta articolare. I processi
articolari superiori hanno faccette articolari sulle loro superfici dorsali, i processi articolari inferiori lungo le
superfici ventrali.
Gli archi vertebrali della colonna vertebrale formano nell’insieme il canale vertebrale, che contiene il
midollo spinale. Tuttavia, il midollo spinale non è completamente circondato da osso. I corpi vertebrali sono
separati dai dischi intervertebrali e sono presenti spazi tra i peduncoli di vertebre contigue. Questi fori
intervertebrali (Figura 6.20) permettono il passaggio di nervi provenienti da o diretti al midollo spinale.
 
Processi articolari
Anche i processi articolari originano a livello delle giunzioni tra i peduncoli e le lamine. Sono presenti un
processo articolare superiore e uno inferiore su ciascun lato della vertebra (Figura 6.20). I processi
articolari superiori si proiettano cranialmente; i processi articolari inferiori caudalmente.
 
Arco vertebrale
L’arco vertebrale, detto anche arco neurale, delimita i margini laterali e posteriore del foro vertebrale che,
nel vivente, circonda il midollo spinale (Figura 6.20a,c). L’arco vertebrale ha un pavimento (la superficie
posteriore del corpo), due pareti (i peduncoli) e un tetto (le lamine). I peduncoli originano dai margini
posterolaterali del corpo. Le lamine si estendono dorsomedialmente a completare il tetto. Dalla fusione delle
lamine origina sulla linea mediana un processo spinoso che si proietta dorsalmente e posteriormente. Questi
processi possono essere visti e palpati attraverso la cute del dorso. I processi trasversi si proiettano
lateralmente o dorsolateralmente su ambedue i lati, dal punto in cui le lamine si uniscono ai peduncoli.
Questi processi sono siti di attacco di muscoli e possono anche articolarsi con le coste.
 

 
VERTEBRE CERVICALI:
Le sette vertebre cervicali sono le vertebre di minori dimensioni; si estendono dall’osso occipitale del
cranio al torace. Come si vedrà in seguito, la 1a, la 2ae la 7a vertebra cervicale posseggono caratteristiche
uniche e sono considerate vertebre cervicali atipiche, mentre le vertebre dalla 3 a alla 6a mostrano
caratteristiche simili e sono considerate vertebre cervicali tipiche. Il corpo di una vertebra cervicale è
relativamente piccolo, se paragonato alle dimensioni del foro vertebrale triangolare. A questo livello il
midollo spinale ha dimensioni maggiori, in quanto contiene la maggior parte dei fasci che connettono
l’encefalo al resto del corpo.
In una tipica vertebra cervicale (C3-C6), il processo spinoso è relativamente appuntito, in genere più breve
rispetto al diametro del foro vertebrale. L’estremità di ciascun processo, ad eccezione di quello della
vertebra C7, presenta un’incisura prominente; un processo spinoso così conformato viene definito bifido.
Lateralmente, i processi trasversi sono fusi con i processi costali, che originano in prossimità della porzione
ventrolaterale del corpo vertebrale. Questi processi rappresentano i residui delle coste cervicali. I processi
costali e i processi trasversi delimitano fori trasversi rotondeggianti e prominenti. Nel vivente, essi danno
passaggio ai vasi vertebrali, importanti vasi sanguigni che riforniscono l’encefalo.

 
ATLANTE (C1):
Esso prende il nome da Atlante, figura della mitologia greca che sosteneva il mondo. L’articolazione tra i
condili dell’osso occipitale e l’atlante permette la flessione in avanti e l’estensione indietro (come quando si
indica “sì”), ma impedisce la torsione. L’atlante può essere distinto dalle altre vertebre per le seguenti
caratteristiche: (1) la mancanza di un corpo; (2) la presenza di due archi vertebrali semicircolari,
uno anteriore e uno posteriore, contenenti ciascuno un tubercolo anteriore e un tubercolo
posteriore; (3) la presenza di faccette articolari superiori ovoidali e di faccette articolari
inferiori rotondeggianti; (4) un foro vertebrale più ampio rispetto a tutte le altre vertebre. Tali
caratteristiche determinano uno spazio più ampio per il midollo spinale, e ciò previene danni a suo carico
durante l’ampia gamma di movimenti possibili in questa regione della colonna vertebrale. L’atlante si
articola con la 2a vertebra cervicale, l’epistrofeo.
 
EPISTROFEO (C2):
Durante lo sviluppo, il corpo dell’atlante si fonde al corpo della 2 a vertebra cervicale, detta epistrofeo (C2).
Questa fusione dà origine al dente, o processo odontoideo, dell’epistrofeo. Per tale motivo non vi è disco
intervertebrale tra atlante ed epistrofeo. Il legamento trasverso fissa il dente sulla superficie interna
dell’atlante, formando un perno per la rotazione dell’atlante e del cranio rispetto al resto della colonna
vertebrale. Ciò permette la rotazione della testa da un lato all’altro.
Nel bambino, la fusione tra il dente e l’epistrofeo non è completa, quindi impatti o urti molto forti possono
provocare la dislocazione del dente e un danno severo al midollo spinale. Nell’adulto, un colpo alla base del
cranio può risultare ugualmente pericoloso, perché una dislocazione dell’articolazione tra atlante ed
epistrofeo può spingere il dente nel tronco encefalico, con risultati fatali.
 
VERTEBRA PROMINENTE (C7)
 
VERTEBRE TORACICHE:
Le vertebre toraciche sono dodici. Una tipica vertebra toracica ha un corpo dalla caratteristica forma a
cuore, più massiccio rispetto al corpo delle vertebre cervicali. Il foro vertebrale è rotondo e relativamente più
piccolo rispetto alle cervicali; il lungo e sottile processo spinoso si proietta posteroinferiormente. I processi
spinosi di T10, T11 e T12 sono più grossi, e somigliano ai processi spinosi della serie lombare. In ragione del
peso sostenuto dalle ultime vertebre toraciche e dalle vertebre lombari, è difficile stabilizzare la transizione
tra le curve toracica e lombare. Come risultato, fratture da compressione o fratture da compressione-
dislocazione dopo una brutta caduta coinvolgono molto spesso l’ultima vertebra toracica e le prime due
lombari.
Ciascuna vertebra toracica si articola con le coste a livello della superficie dorsolaterale del corpo. La
localizzazione e la struttura delle articolazioni variano abbastanza da vertebra a vertebra. Le vertebre
toraciche da T1 a T8 presentano faccette costali superiori e inferiori per l’articolazione con due coppie di
coste. Le vertebre da T9 a T12 hanno una singola faccetta costale su ciascun lato, perché si articolano solo con
una coppia di coste.
I processi trasversi delle vertebre da T 1 a T10 sono relativamente robusti e le loro superfici anterolaterali
presentano faccette costali trasverse per l’articolazione con i tubercoli costali. Così, le coste da 1 a 10
prendono contatto con le rispettive vertebre in due punti: a livello della faccetta costale e a livello della
faccetta costale trasversaria. 
 
VERTEBRE LOMBARI:
Le vertebre lombari sono le vertebre più grandi. Il corpo di una vertebra lombare è più voluminoso di
quello di una vertebra toracica, e le superfici superiore e inferiore sono ovoidali, invece che a forma di cuore
(Figura 6.24). Non sono presenti faccette articolari sui lati del corpo o sui processi traversi e il foro
vertebrale è triangolare. I processi trasversi, più sottili, si proiettano dorsolateralmente; il processo spinoso,
tozzo, si proietta posteriormente.
Le vertebre lombari sostengono il peso maggiore. Danni da compressione a livello vertebrale o del disco
intervertebrale sono frequenti in questa regione. Il danno più comune è la rottura del tessuto connettivo del
disco intervertebrale, condizione nota come ernia del disco. I massicci processi spinosi delle vertebre lombari
forniscono una superficie per l’inserzione dei muscoli della parte inferiore del dorso, che rinforzano o
regolano la lordosi lombare.
 
OSSO SACRO:
L’osso sacro è costituito dalla fusione di cinque vertebre sacrali ( Figura 6.25). Queste vertebre iniziano a
fondersi dopo la pubertà e sono completamente fuse tra i 25 e i 30 anni. Una volta che la fusione è
completa, linee trasversali in rilievo segnano i confini originari delle singole vertebre. Questa struttura
fornisce protezione per organi degli apparati riproduttivo, digerente e urinario e, attraverso una coppia di
articolazioni, collega lo scheletro assile alla cintura pelvica dello scheletro appendicolare. L’ampia superficie
del sacro fornisce un’estesa area per l’inserzione di muscoli, specialmente i muscoli della coscia.
Il sacro presenta una convessità dorsale. La porzione inferiore è ristretta e forma l’ apice sacrale, mentre
l’ampia superficie superiore forma la base. Il promontorio sacrale, sporgenza dell’estremità anteriore
della base, è un importante punto di repere durante l’esame della pelvi femminile e durante il travaglio e il
parto. I processi articolari superiori formano articolazioni sinoviali con l’ultima vertebra lombare.
Il canale sacrale inizia tra questi processi e si estende per tutta la lunghezza del sacro. I nervi e le
membrane che rivestono il canale vertebrale e il midollo spinale si prolungano nel canale sacrale.
I processi spinosi delle cinque vertebre sacrali fuse tra loro formano una serie di rilievi che nell’insieme
costituiscono la cresta sacrale mediana. Le lamine della 5avertebra sacrale non si uniscono sulla linea
mediana e formano le corna sacrali. Questi rilievi costituiscono i margini dello iato sacrale, l’orifizio di
uscita del canale sacrale. Nel vivente, questa apertura è chiusa da tessuto connettivo. Ai lati della cresta
sacrale mediana, i fori sacrali posteriori rappresentano i fori intervertebrali, ora compresi nelle ossa
sacrali fuse tra loro. Un’ampia ala sacrale si estende lateralmente a ciascuna cresta sacrale laterale. Le
creste sacrali mediana e laterale forniscono una superficie per l’inserzione di muscoli della regione inferiore
del dorso e dell’anca.
Osservata lateralmente la cifosi sacrale è più evidente. L’ampiezza della curvatura è maggiore nel sesso
maschile. Lateralmente, la superficie auricolare costituisce la superficie articolare per le ossa del cingolo
pelvico, l’articolazione sacroiliaca. Dorsalmente alla superficie auricolare è presente un’area rugosa,
la tuberosità sacrale, punto di inserzione di un legamento che stabilizza l’articolazione. La superficie
anteriore, o superficie pelvica, del sacro è concava. All’apice, un’area appiattita costituisce la superficie
articolare per il coccige. A sviluppo ultimato, la forma del sacro, simile a un cuneo, offre una forte base per
il trasferimento del peso del corpo dallo scheletro assile al cingolo pelvico.
 
COCCIGE:
Il coccige è un piccolo osso formato da tre-cinque (in genere, quattro) vertebre coccigee che cominciano a
fondersi all’età di 26 anni. Il coccige fornisce una superficie di inserzione per numerosi legamenti e per il
muscolo sfintere dell’ano. Le prime due vertebre coccigee hanno processi trasversi e archi vertebrali non
fusi. Le ben sviluppate lamine della 1 a vertebra coccigea sono conosciute come corna del coccige e si
uniscono alle corna del sacro. Le vertebre coccigee non completano la loro fusione fino ad età avanzata. Nei
maschi il coccige è rivolto anteriormente, nelle femmine inferiormente. Nelle persone molto anziane, il
coccige può essere fuso con il sacro.
 
GABBIA TORACICA:
La gabbia toracica svolge due funzioni:
 protegge il cuore, i polmoni, il timo e le altre strutture accolte nella cavità toracica;
 fornisce un punto di inserzione ai muscoli coinvolti (1) nella respirazione, (2) nel mantenimento della
posizione della colonna vertebrale e (3) nei movimenti del cingolo scapolare e degli arti superiori.
 
COSTE:
Esistono 12 paia di coste . Le prime sette paia sono dette coste vere, o vertebrosternali, perché anteriormente sono
connesse allo sterno da segmenti cartilaginei indipendenti, le cartilagini costali. A partire dalla 1a costa, la lunghezza e
il raggio di curvatura delle coste vertebrosternali aumentano gradualmente.
Le coste dall’ottavo al dodicesimo paio sono dette coste false, o vertebrocondrali, perché non si connettono
allo sterno in maniera diretta. Le cartilagini costali delle coste 8-10 si fondono tra loro prima di raggiungere
lo sterno (Figura 6.26a); le ultime due paia di coste sono dette coste fluttuanti, perché non si collegano con
lo sterno.
 

CAP 8
CLASSIFICAZIONE ARTICOLAZIONI:
Non esiste un unico e semplice metodo per classificare le articolazioni. Il metodo morfologico,
solitamente utilizzato in anatomia, prevede due differenti categorie: una si riferisce alle articolazioni
per continuità (due ossa collegate fra loro tramite l’interposizione di tessuto), l’altra alle articolazioni
per contiguità dei capi ossei (due ossa vicine, ma separate). Le articolazioni per continuità sono
chiamate sinartrosi e vengono classificate in base al tipo di tessuto connettivo interposto tra le
superfici articolari. Le articolazioni per contiguità sono chiamate diartrosi e sono classificate in base
alla forma della superficie articolare delle ossa coinvolte nell’articolazione. In alternativa, si possono
classificare le articolazioni secondo un metodo funzionale, basato sull’ampiezza del movimento
consentito dall’articolazione (Tabella 8.1). Le categorie funzionali delle articolazioni sono tre:
1. un’articolazione immobile è detta sinartrosi;
2. le articolazioni scarsamente mobili sono dette anfiartrosi;
3. le articolazioni mobili sono dette diartrosi.
 
 
SINARTROSI: (IMMOBILI)
A livello di una sinartrosi, le superfici ossee sono strettamente ravvicinate e possono addirittura
saldarsi tra loro. Una sutura è un tipo di sinartrosi presente tra le ossa del cranio, nella quale i capi
articolari sono uniti da tessuto connettivo, che rappresenta il residuo della membrana mesenchimale
embrionale in cui si sono sviluppate le ossa.
Una gonfosi è una forma specializzata di sinartrosi, che fissa ciascun dente all’alveolo corrispondente
e nella quale il tessuto connettivo interposto tra le superfici articolari è di tipo lasso; tale connessione
fibrosa costituisce il legamento periodontale. Talvolta due ossa distinte e separate si fondono
nella sinostosi, un’articolazione assolutamente rigida e immobile.
 
ANFIARTROSI: (SEMI-MOBILI)
Un’anfiartrosi permette movimenti molto limitati e le ossa sono generalmente più distanziate tra loro
rispetto a quanto avviene in una sinartrosi. I capi articolari possono essere connessi da tessuto
connettivo fibroso o da cartilagine fibrosa.
In una sindesmosi, un legamento tiene insieme e limita il movimento delle ossa che partecipano
all’articolazione. Ne sono esempi l’articolazione distale tra tibia e fibula e la membrana interossea tra
radio e ulna. A livello di una sinfisi, le ossa sono separate da un cuscinetto di fibrocartilagine, mentre
le superfici articolari sono rivestite di cartilagine ialina. Le articolazioni tra corpi vertebrali adiacenti
(con l’interposizione di un disco intervertebrale) e la connessione anteriore tra le ossa pubiche (sinfisi
pubica) sono due esempi di questo tipo di articolazione.
 
DIARTROSI: (MOBILI)
Le diartrosi, o articolazioni sinoviali, permettono un ampio grado di movimento. Normalmente, le
superfici ossee non sono a contatto, ma sono rivestite dalle cartilagini articolari, la cui funzione è
di assorbire gli urti.
Tutte le articolazioni sinoviali presentano le stesse caratteristiche di base: (1) una capsula articolare,
(2) cartilagini articolari, (3) una cavità articolare contenente liquido sinoviale, (4) una membrana
sinoviale che riveste la capsula articolare, (5) strutture accessorie, (6) nervi sensitivi e (7) vasi
sanguigni che irrorano sia l’interno che l’esterno dell’articolazione.
 
LIQUIDO SINOVIALE:
Ciascuna articolazione sinoviale è circondata da una capsula articolare, costituita da uno strato
esterno, spesso, di tessuto connettivo fibroso denso e da una membrana sinoviale, o sinovia, che
riveste la cavità articolare e termina a livello delle cartilagini articolari. La membrana sinoviale
produce il liquido sinoviale, che riempie la cavità articolare. Le funzioni del liquido sinoviale sono
tre.
-Azione lubrificante: il sottile strato di liquido che ricopre la superficie interna della capsula articolare
e le superfici esposte delle cartilagini articolari riduce l’attrito tra le superfici articolari e le lubrifica.
 
-Distribuzione dei nutrienti: normalmente, in una articolazione sinoviale si trovano meno di 3 ml di
liquido sinoviale. A ogni movimento, il liquido sinoviale circola nella cavità articolare e sulle cartilagini
trasportando nutrienti e gas disciolti mentre, al contempo, rimuove i prodotti di scarto. Il movimento
articolare determina cicli di compressione ed espansione nelle cartilagini articolari opposte: durante
la compressione, il liquido sinoviale viene spinto fuori dalle cartilagini articolari, mentre durante
l’espansione è risucchiato all’interno delle cartilagini.
 
-Ammortizzamento: il liquido sinoviale attenua i traumi nelle articolazioni sottoposte a compressione.
Ad esempio, l’anca, il ginocchio e la caviglia vengono compressi durante la deambulazione o, ancor
più, durante la corsa.
 

 
CLASSIFICAZIONE DELLE ARTICOLAZIONI SINOVIALI:
STRUTTURE ACCESSORIE:
 
Le articolazioni sinoviali possono presentare una serie di strutture accessorie, tra cui cuscinetti
cartilaginei o adiposi, menischi, legamenti, tendini e borse (Figura 8.1).
Cartilagini e cuscinetti adiposi In un’articolazione complessa, come ad esempio quella del ginocchio,
tra le superfici articolari opposte possono esservi strutture accessorie, in grado di modificarne la
forma:
 i menischi e i dischi articolari, sono cuscinetti fibrocartilaginei che possono suddividere una cavità
sinoviale, indirizzare il flusso del liquido sinoviale, rendere più congrua la forma delle superfici
articolari delle ossa e ridurre il movimento dell’articolazione;
 i cuscinetti adiposi, spesso situati alla periferia dell’articolazione, appena ricoperti da uno strato di
membrana sinoviale, forniscono protezione alle cartilagini articolari e agiscono come materiale “da
imballaggio” per l’intera articolazione. Inoltre, riempiono gli spazi che si creano quando il
movimento dei segmenti scheletrici modifica la forma della cavità articolare.
 
Legamenti La capsula articolare che circonda l’intera articolazione si continua con il periostio dei capi
articolari. Tre tipi di legamenti accessori sostengono e rafforzano le articolazioni sinoviali. I legamenti
capsulari, sono costituiti da ispessimenti localizzati nella capsula articolare. I legamenti
extracapsulari sono invece esterni alla capsula articolare
 
Borse Le borse sono piccole tasche di tessuto connettivo che riducono l’attrito e assorbono gli urti;
sono rivestite da membrana sinoviale e contengono liquido sinoviale (Figura 8.1b). Possono essere
connesse alla cavità articolare o completamente separate da essa. Si formano nelle sedi in cui un
tendine o un legamento sfregano contro un altro tessuto e in effetti la loro funzione è proprio quella
di ridurre l’attrito e di attutire gli urti. Le borse si trovano soprattutto in prossimità delle articolazioni
sinoviali, come ad esempio l’articolazione della spalla. Le guaine tendinee sinoviali sono borse di
forma tubulare che circondano i tendini nei punti di passaggio su una superficie ossea. Le borse
possono anche apparire al di sotto della cute che ricopre un osso o nel contesto di altro tessuto
connettivo sottoposto ad attrito o a pressione.
 

 
 
TIPI DI MOVIMENTI:
Tutti i movimenti, salvo indicazioni contrarie, vengono descritti facendo riferimento alla posizione
anatomica.Nel descrivere un movimento a livello di un’articolazione sinoviale, gli anatomisti usano
termini particolari con significati specifici.
 
MOVIMENTO ANGOLARE:
Esempi di movimento angolare comprendono l’abduzione, l’adduzione, la flessione e l’estensione.
-ABDUZIONE: è il movimento di allontanamento dall’asse longitudinale mediano del corpo lungo il
piano frontale. Ad esempio, il sollevamento laterale dell’arto superiore rappresenta l’abduzione
dell’arto. Il movimento opposto è l’adduzione (ad, verso). Divaricare le dita della mano o del piede è
un’abduzione (in quanto si allontanano dal dito “medio”, centrale), avvicinarle, al contrario, è
un’adduzione. Abduzione e adduzione sono termini sempre riferiti a movimenti dello scheletro
appendicolare
 
-FLESSIONE:La flessione è un movimento che si svolge sul piano sagittale (anteroposteriore) che
riduce l’angolo tra gli elementi ossei che si articolano, avvicinando le loro superfici ventrali.
L’estensione avviene sullo stesso piano della flessione, ma incrementa l’angolo tra gli elementi ossei.
Una flessione del gomito sposta l’arto superiore anteriormente, un’estensione lo sposta
posteriormente. Una flessione del polso sposta il palmo in avanti, mentre una estensione lo sposta
indietro. L’estensione è un movimento che si svolge sullo stesso piano della flessione, ma in direzione
opposta. L’estensione può riportare l’arto in posizione anatomica, o andare oltre. L’ iperestensione si
riferisce a qualsiasi movimento che determini l’estensione di un arto oltre i suoi limiti normali,
provocando un danno articolare.
 
-CIRCUMDUZIONE:  Un esempio familiare di circumduzione può essere quello che compie il braccio
nel disegnare un cerchio alla lavagna con un solo movimento continuo.
 
ROTAZIONE:
La rotazione della testa può avvenire verso destra o verso sinistra, come quando si dice “no” con
la testa. Analizzando i movimenti degli arti, se la superficie anteriore dell’arto ruota verso l’interno,
ovvero verso la superficie ventrale del corpo, si parla di rotazione interna, o mediale. Se
ruota verso l’esterno, si parla di rotazione esterna o laterale.
L’articolazione tra il radio e l’ulna permette la rotazione della porzione distale del radio intorno
all’ulna, a partire dalla posizione anatomica. In questo modo si muovono il polso e la mano e il palmo
finisce per non essere più rivolto in avanti ma indietro. Questo movimento è detto pronazione,
mentre il movimento opposto è detto supinazione.
 
MOVIMENTI SPECIALI:
 
 L’eversione è il movimento di rotazione della pianta del piede verso l’esterno. Il movimento
opposto si definisce inversione.
 La flessione dorsale (dorsiflessione) e la flessione plantare si riferiscono anch’esse a movimenti del
piede (Figura 8.5b). La flessione dorsale innalza la porzione distale del piede e delle dita, come
quando ci si solleva sui talloni. Invece, la flessione plantare eleva la pianta e la porzione prossimale
del piede, come quando ci si solleva sulle punte.
 L’inclinazione laterale avviene quando la colonna vertebrale si flette su un lato. L’inclinazione
laterale verso sinistra è controbilanciata dall’inclinazione laterale verso destra.
 La protrusione consiste nel movimento di un segmento del corpo in avanti lungo il piano
orizzontale. La retrazione è il movimento opposto. La protrusione della mandibola avviene quando
si afferra coi denti inferiori il labbro superiore, la retrazione avviene quando torna nella posizione
anatomica.
 L’opposizione è un movimento del pollice che lo pone in contatto con il palmo della mano o con un
qualunque altro dito; la flessione del quinto osso metacarpale aiuta questo movimento .
La reposizione riporta il pollice e le altre dita nella loro normale posizione.
 L’elevazione (innalzamento) e la depressione (abbassamento) avvengono quando un segmento si
muove in direzione superiore o inferiore. Sideprime la mandibola quando si apre la bocca e la si
innalza quando la bocca viene chiusa . Un’altra elevazione comunemente nota avviene quando si
alzano le spalle.
 
 
DISCHI INVERTEBRALI:
Dall’epistrofeo (C2) al sacro, le vertebre sono separate e ammortizzate per mezzo di cuscinetti
fibrocartilaginei detti dischi intervertebrali, non presenti nel sacro e nel coccige, dove le vertebre si
fondono per sinostosi, e tra la prima e la seconda vertebra cervicale.
I dischi intervertebrali svolgono due funzioni: (1) separano le singole vertebre e (2) trasmettono il
carico da una vertebra all’altra. Ciascun disco intervertebrale è composto da un resistente strato esterno
di cartilagine fibrosa, l’anello fibroso, che circonda il nucleo polposo, un corpo centrale soffice,
elastico e gelatinoso costituito principalmente da acqua (circa il 75%), con fibre reticolari ed elastiche
sparse. Il nucleo polposo conferisce elasticità al disco, nonché la capacità di ammortizzare gli urti. Le
superfici superiore e inferiore del disco sono quasi completamente ricoperte da sottili piastre
terminali vertebrali, composte da cartilagine ialina e fibrosa.
I movimenti della colonna vertebrale comprimono il nucleo polposo e lo spostano in direzione
opposta. Questo spostamento consente alle vertebre di scivolare mantenendo sempre l’allineamento
della colonna. I dischi contribuiscono in maniera significativa a determinare l’altezza dell’individuo e
rappresentano infatti circa un quarto della lunghezza della colonna vertebrale al di sopra del sacro.
Con l’aumentare dell’età, il contenuto in acqua del nucleo polposo diminuisce e quindi il disco perde
progressivamente la sua funzione di ammortizzatore e il rischio di un danno vertebrale aumenta. La
disidratazione dei dischi provoca inoltre l’accorciamento della colonna vertebrale che è alla base della
caratteristica diminuzione di statura nelle persone anziane.
 
ALTERAZIONE DEI DISCHI INVERTEBRALI:
Con l’uso e l’età, i dischi intervertebrali perdono il loro contenuto d’acqua e quindi la loro elasticità;
di conseguenza, si irrigidiscono e diventano fragili. Inoltre, con l’età, i dischi si rimpiccioliscono,
contribuendo alla diminuzione di statura negli anziani.
 
ERNIA DEL DISCO:
L’età e gli sforzi ripetuti possono provocare la lacerazione dell’anello fibroso dei dischi intervertebrali,
con fuoriuscita del nucleo polposo nel canale vertebrale o nel foro intervertebrale. Questa condizione
è chiamata ernia del disco. Nel canale vertebrale, il nucleo polposo protruso può comprimere i
nervi spinali che passano attraverso lo stretto foro intervertebrale provocando un forte dolore che si
irradia lungo il percorso del nervo. In genere, la protrusione discale riguarda i segmenti della colonna
più soggetti agli sforzi e ai movimenti ampi: tra le vertebre C 5 e C6 o C6 e C7 nella zona cervicale, tra le
vertebre L4 e L5 o L5 e S1 nella zona lombare. La nevralgia sciatica, o sciatalgia, un dolore che
irradia inferiormente dalla zona lombare del dorso, verso la parte posteriore della coscia e della
gamba, è dovuta appunto alla compressione di una protrusione discale sulle radici del nervo sciatico.
 
PROTURSIONE DISCALE:
Se il legamento longitudinale posteriore si indebolisce, come spesso avviene con l’età, il nucleo
polposo compresso può premere sull’anello fibroso, che viene distorto e in parte fuoriesce dal canale
vertebrale. Questa condizione, illustrata nella figura qui sopra in una veduta laterale, è
definita protrusione discale; le fibre che costituiscono l’anello discale si sfiancano, senza lacerarsi.
La discopatia degenerativa è una condizione dolorosa dovuta al deterioramento progressivo dei
dischi intervertebrali, che causa protrusioni o ernie che comprimono i nervi spinali.
 
LEGAMENTI INVERTEBRALI:
 
 Il legamento longitudinale anteriore aderisce ai dischi intervertebrali e alla superficie anteriore di ciascun
corpo vertebrale.
 Il legamento longitudinale posteriore è parallelo al precedente, ma passa sulle superfici posteriori dei corpi
vertebrali.
 I legamenti gialli connettono le lamine di vertebre adiacenti.
 I legamenti interspinosi connettono i processi spinosi di vertebre adiacenti.
 Il legamento sopraspinoso interconnette gli apici dei processi spinosi da C7 a L3 o L4. Il legamento nucale è
la porzione particolarmente spessa e consistente del legamento sopraspinoso che si estende dalla base del
cranio a C7.
Il legamento longitudinale posteriore, i legamenti gialli e il legamento nucale tra le vertebre adiacenti
limitano la flessione della colonna vertebrale. Il legamento longitudinale anteriore limita l’estensione,
mentre i legamenti interspinosi limitano la rotazione e l’inclinazione laterale 
 
ARTICOLAZIONE STERNOCLAVICOLARE:
L’articolazione sternoclavicolare è un’articolazione sinoviale che si realizza tra il capo mediale
della clavicola e il manubrio dello sterno. Tale articolazione è l’unica interposta tra l’arto superiore e il
tronco e contribuisce ad ancorare la scapola allo scheletro assile. I movimenti di questa articolazione
spostano la scapola sulla parete toracica, aiutando l’articolazione della spalla a raggiungere il
massimo grado di movimento.
La capsula articolare è densa e tesa, fornendo stabilità, ma limitando i movimenti, ed è rinforzata da
due legamenti accessori, il legamento sternoclavicolare anteriore e il legamento
sternoclavicolare posteriore. Sono presenti inoltre due legamenti extracapsulari:
-l legamento interclavicolare congiunge le clavicole e rinforza la parte superiore delle capsule
articolari adiacenti.
-l’ampio legamento costoclavicolare si estende dalla tuberosità costale della clavicola, vicino al
margine inferiore della capsula articolare, ai margini superiore e mediale della prima costa e della
prima cartilagine costale.

ARTICOLAZIONE DELLA SPALLA:


L’articolazione della spalla, o gleno-omerale, è un’articolazione lassa e con capi articolari poco
profondi, tanto che, tra tutte le articolazioni del corpo umano, è quella che permette la più ampia
escursione di movimenti. La forma di queste strutture articolari e l’ampia gamma di movimenti
consentono di posizionare la mano in modo da poter compiere una grande varietà di funzioni. 
Questa articolazione è classificata come enartrosi, nella quale la testa dell’omero si articola con la
cavità glenoidea della scapola.
Nel vivente, sul margine della cavità glenoidea si inserisce un labbro glenoideo fibrocartilagineo,
che ne aumenta la profondità. Il labbro glenoideo è un anello di tessuto connettivo irregolare denso
inserito sul margine della cavità glenoidea tramite cartilagine fibrosa. Oltre ad ampliare la cavità
articolare, il labbro glenoideo funge da sito di attacco per i legamenti gleno-omerali e per il capo
lungo del muscolo bicipite brachiale, potente flessore della spalla e del gomito.
BORSE SINOVIALI:
In maniera analoga a quanto avviene nelle altre sedi articolari, le borse nell’articolazione della spalla
hanno la funzione di ridurre l’attrito nei punti in cui i tendini e i muscoli più voluminosi prendono
contatto con la capsula articolare. La borsa subacromiale e la borsa subcoracoidea prevengono
il contatto dei processi acromiali e coracoidei con la capsula. La borsa sottodeltoidea e la borsa
sottoscapolare si trovano tra i grandi muscoli omonimi e la parete capsulare. L’infiammazione di
una o più di queste borse provoca limitazione dei movimenti e causa una sindrome dolorosa
definita borsite.
 
ARTICOLAZIONI DEL GOMITO:
L’articolazione del gomito è complessa ed è composta dalle articolazioni tra: (1) omero e ulna e (2)
omero e radio, che permettono la flessione e l’estensione del gomito. Tali movimenti, quando
combinati con quelli delle articolazioni radioulnari discusse in seguito, consentono il posizionamento
della mano e, quindi, una grande varietà di azioni, come mangiare, lavarsi o difendersi,
semplicemente modificando la posizione della mano rispetto al tronco.
L’articolazione più voluminosa e resistente nel gomito è quella omeroulnare, nella quale la troclea
dell’omero si proietta nell’incisura trocleare dell’ulna. A livello dell’articolazione omeroradiale,
posta lateralmente alla precedente, il condilo omerale si articola con la testa del radio.
L’articolazione del gomito è molto stabile, perché (1) le superfici ossee dell’omero e dell’ulna si
incastrano l’una nell’altra, prevenendo i movimenti laterali e la rotazione, (2) la capsula articolare è
molto spessa e (3) la capsula è rinforzata da legamenti robusti.
 
ARTICOLAZIONI RADIO-ULNARI:
A livello dell’articolazione radioulnare prossimale, la testa del radio si articola con l’incisura radiale
dell’ulna. La testa del radio è mantenuta in sede dal legamento anulare e dal legamento quadrato.
L’articolazione radioulnare distale è una diartrosi trocoide (ginglimo laterale) in cui le superfici
articolari includono l’incisura ulnare del radio, l’incisura radiale dell’ulna e un disco articolare. Tali
superfici articolari sono collegate da una serie di legamenti radioulnari e dalla membrana interossea
dell’avambraccio.
La pronazione e la supinazione a livello delle articolazioni radioulnari sono controllate da muscoli che
si inseriscono sul radio, il più voluminoso dei quali è il muscolo bicipite brachiale, che ricopre la
superficie anteriore del braccio. Il suo tendine si inserisce in corrispondenza della tuberosità radiale e
la sua contrazione determina sia la flessione del gomito che la supinazione dell’avambraccio. (I
muscoli responsabili dei movimenti del gomito e delle articolazioni radioulnari saranno descritti nel
Capitolo 11).
 
ARTICOLAZIONI DEL POLSO:
L’articolazione del polso è costituita dall’articolazione radiocarpica e dalle articolazioni
intercarpiche . L’articolazione radiocarpica coinvolge la superficie articolare distale del radio e le tre
ossa prossimali del carpo: scafoide, semilunare e piramidale. L’articolazione radiocarpica è una
condiloartrosi che permette flessione/estensione, abduzione/adduzione e circumduzione. Le
articolazioni intercarpiche sono articolazioni piane che permettono movimenti di scivolamento e di
lieve rotazione.
 
Tra i principali legamenti sono compresi:
 il legamento radiocarpico palmare, che connette l’estremità distale del radio alla superficie
anteriore di scafoide, semilunare e piramidale;
 il legamento radiocarpico dorsale, che connette l’estremità distale del radio alla superficie
posteriore delle stesse ossa (non visibile sulla superficie palmare);
 il legamento collaterale ulnare, che si estende dal processo stiloideo dell’ulna alla superficie
mediale dell’osso piramidale;
 il legamento collaterale radiale, che si estende dal processo stiloideo del radio alla superficie
laterale dello scafoide.
 
 
ARTICOLAZIONE DELL'ANCA:
L’articolazione dell’anca è un’enartrosi nella quale un cuscinetto fibrocartilagineo, il labbro
acetabolare, ricopre la superficie articolare dell’acetabolo e si estende a ferro di cavallo ai lati
dell’incisura acetabolare
La capsula articolare dell’articolazione dell’anca è molto spessa e resistente e, a differenza della
capsula articolare della spalla, contribuisce notevolmente alla stabilità articolare. Si estende dalle
superfici laterale e inferiore del cingolo pelvico alla linea intertrocanterica e alla cresta
intertrocanterica del femore, racchiudendo sia la testa che il collo del femore. 
Quattro ampi legamenti rinforzano la capsula articolare . Tre di essi rappresentano un ispessimento
regionale della capsula: i legamenti ileofemorale, pubofemorale e ischiofemorale;
il legamento acetabolare trasverso unisce i margini dell’incisura acetabolare, trasformandola in
una superficie circolare
 
ARTICOLAZIONE DEL GINOCCHIO:
L’articolazione del ginocchio, insieme alle articolazioni dell’anca e della caviglia, sostiene il peso del
corpo quando è nella stazione eretta e si cammina, si corre ecc. Tuttavia, l’articolazione del ginocchio
deve provvedere a questo sostegno nonostante: (1) presenti la maggiore ampiezza di movimento
(fino a 160°) rispetto a tutte le altre articolazioni dell’arto inferiore; (2) sia priva della grande massa
muscolare che sostiene e rafforza l’articolazione dell’anca; (3) sia priva dei robusti legamenti che
sostengono l’articolazione della caviglia.
La capsula articolare del ginocchio non è una struttura continua e anche la cavità sinoviale non è
unica. Due formazioni fibrocartilaginee di forma semilunare, i menischi laterale e mediale, si
trovano tra le superfici articolari della tibia e del femore e (1) agiscono da ammortizzatori, (2) si
adattano alla forma delle superfici articolari durante i cambiamenti di posizione del femore, (3)
incrementano l’area di superficie dell’articolazione femorotibiale e (4) forniscono stabilità laterale
all’articolazione. Intorno ai margini dell’articolazione sono presenti cuscinetti di tessuto
adiposo che cooperano con le borse per ridurre l’attrito tra la patella e gli altri tessuti 
I principali legamenti che stabilizzano l’articolazione del ginocchio sono sette.
 Il tendine del muscolo quadricipite femorale passa sulla superficie anteriore dell’articolazione
(Figura 8.15a,d), comprendendo la patella nel suo spessore, e continuandosi come legamento
patellare fino alla tuberosità tibiale. Il legamento patellare fornisce stabilità alla superficie anteriore
dell’articolazione del ginocchio (Figura 8.15b), la cui capsula è discontinua.
Gli altri legamenti di supporto sono definiti extracapsulari o intracapsulari, a seconda della
localizzazione del legamento rispetto alla capsula articolare. I legamenti extracapsulari
comprendono:
 il legamento collaterale tibiale (legamento collaterale mediale) che rinforza la superficie mediale
del ginocchio, e il legamento collaterale fibulare(legamento collaterale laterale) di rinforzo alla
superficie laterale. Entrambi agiscono come stabilizzatori solo quando il ginocchio è in estensione
completa;
 due legamenti superficiali, i legamenti poplitei, che si estendono tra il femore e le teste della tibia e
della fibula , sul versante dorsale, rinforzandolo.
I legamenti intracapsulari comprendono:
 il legamento crociato anteriore e il legamento crociato posteriore, che connettono le aree
intercondiloidee della tibia ai condili femorali. I termini anteriore e posteriore si riferiscono alla
posizione della loro origine rispetto alla tibia. Questi legamenti si incrociano procedendo verso il
punto di inserzione sul femore (Figura 8.16b,c), limitano i movimenti anteriori e posteriori del
femore e mantengono l’allineamento dei condili femorali e tibiali.
ARTICOLAZIONE DELLA CAVIGLIA:
L’articolazione della caviglia, o articolazione talocrurale, è un ginglimo angolare formato dalle
articolazioni tra tibia, fibula e talo (astragalo). L’articolazione della caviglia permette limitati
movimenti di flessione dorsale e flessione plantare.
L’articolazione tibiotarsica è quella che a livello della caviglia sostiene il peso corporeo e si realizza
tra la superficie articolare distale della tibia e la troclea del talo. Tale stabilità è garantita da tre
articolazioni: (1) tibiofibulare prossimale, (2) tibiofibulare distale e (3) fibulotalare.
L’articolazione tibiofibulare prossimale è un’artrodia che si realizza tra la superficie posterolaterale
della tibia e la testa della fibula. L’articolazione tibiofibulare distale consiste in una sindesmosi
fibrosa tra le faccette distali della tibia e della fibula. L’articolazione tra il malleolo laterale della fibula
e la superficie articolare laterale del talo è definita articolazione fibulotalare. Una serie di legamenti
che corrono lungo la tibia e la fibula mantiene in sede queste due ossa, limitando i movimenti a livello
delle due articolazioni tibiofibulari e dell’articolazione fibulotalare. Il mantenimento di un’appropriata
estensione di movimento in corrispondenza di queste articolazioni garantisce la stabilità mediale e
laterale della caviglia.
 
ARTICOLAZIONE DEL PIEDE:
 
Nel piede sono presenti quattro gruppi di articolazioni sinoviali:
1. articolazioni intertarsali (tra le ossa del tarso), artrodie che permettono limitati movimenti di
scivolamento e di torsione. Sono paragonabili alle articolazioni tra le ossa del carpo nel polso;
2. articolazioni tarsometatarsali (tra le ossa tarsali e le ossa metatarsali), anche queste sono artrodie
che permettono limitati movimenti di scivolamento e di torsione. Le prime tre ossa metatarsali si
articolano con le ossa cuneiformi mediale, intermedio e laterale. Il quarto e il quinto osso
metatarsale si articolano con l’osso cuboide;
3. articolazioni metatarsofalangee (tra le ossa metatarsali e le falangi), condiloartrosi che permettono
la flessione/estensione e l’abduzione/adduzione. Sono paragonabili alle metacarpofalangee, con
l’eccezione della prima, qui una condiloartrosi e non un’articolazione a sella, cosa che rende l’alluce
meno mobile rispetto al pollice. Di frequente, a livello dei tendini che si trovano sulla superficie
inferiore di questa articolazione è possibile riscontrare un paio di ossa sesamoidi, la cui presenza
limita ulteriormente i movimenti;
4. articolazioni interfalangee (tra le falangi), ginglimi che consentono unicamente la flessoestensione.
 

CAP 9
Le proprietà del tessuto muscolare sono quattro:
1. eccitabilità, ovvero la capacità di rispondere agli stimoli. I muscoli scheletrici rispondono in
condizioni normali a stimolazione da parte del sistema nervoso; alcune fibre muscolari lisce
rispondono agli ormoni in circolo;
2. contrattilità, ovvero la capacità di accorciarsi attivamente e di esercitare una tensione che viene
trasmessa tramite il tessuto connettivo;
3. estensibilità, ovvero la capacità di distendersi oltre la lunghezza di riposo. Ad esempio, una cellula
muscolare liscia può essere distesa fino a superare di diverse volte la propria lunghezza iniziale e ciò
nonostante mantiene la capacità di contrarsi in risposta a uno stimolo;
4. elasticità, ovvero la capacità di ritornare alla lunghezza iniziale al termine di ogni contrazione.
 
FUNZIONI MUSCOLI SCHELETRICI:
I muscoli scheletrici sono organi contrattili connessi alle ossa in maniera diretta o indiretta. Svolgono le
seguenti funzioni:
 determinano i movimenti dello scheletro. La contrazione muscolare agisce sui tendini che, a loro
volta, spostano i capi ossei. Gli effetti variano da movimenti semplici, come l’estensione di un
braccio, a movimenti complessi e coordinati, come nuotare, sciare o scrivere;
 mantengono la postura e la posizione del corpo. In assenza di una costante contrazione muscolare,
che stabilizza e mantiene la postura del corpo, non sarebbe possibile stare seduti o in posizione
eretta senza cadere rovinosamente;
 offrono supporto ai tessuti molli. La parete addominale e il pavimento pelvico sono formati da strati
sovrapposti di muscolatura scheletrica che sostiene il peso dei visceri e li protegge da traumi
esterni;
 controllano le vie d’ingresso e di uscita dei materiali. Le aperture, o orifizi, del canale alimentare e
delle vie urinarie sono circondate da fasci di muscolatura che consentono il controllo volontario su
deglutizione, defecazione e minzione (MUSCOLI ORBICOLARI) ;
 mantengono la temperatura corporea. Le contrazioni muscolari richiedono energia che, in parte,
viene convertita in calore. La perdita di calore dovuta alla contrazione muscolare contribuisce a
mantenere la temperatura corporea entro valori normali.( TERMOREGOLAZIONE)
 
TESSUTO CONNETTIVO DEL MUSCOLO:
In ogni muscolo scheletrico sono presenti tre strati concentrici di tessuto connettivo: l’epimisio (esterno), il
perimisio (intermedio) e l’endomisio (interno) (Figura 9.1).
 L’epimisio (epi, sopra) è uno strato di tessuto connettivo denso e irregolare che delimita l’intero
muscolo, isolandolo dai tessuti circostanti. È connesso alla fascia profonda. 
 Le fibre del tessuto connettivo del perimisio (peri, intorno) suddividono il muscolo in una serie di
compartimenti interni, ciascuno contenente un fascio di fibre muscolari definito fascicolo. In
aggiunta al collagene e alle fibre elastiche, il perimisio contiene vasi sanguigni e nervi che si
ramificano per raggiungere i singoli fascicoli.
 L’endomisio (endo, dentro) circonda ciascuna fibra muscolare, connettendola alle fibre circostanti,
ed è attraversato dai capillari sanguigni. È formato da un delicato intreccio di fibre reticolari.
Le cellule miosatelliti, sparse tra l’endomisio e le fibre muscolari, sono cellule staminali che
intervengono nella riparazione del tessuto muscolare danneggiato.
Tendini e aponeurosi A ciascuna estremità del muscolo, le fibre collagene di epimisio, perimisio ed
endomisio convergono in un tendine fibroso che permette l’attacco del muscolo alle ossa, alla cute o ad
altri muscoli. Quando i tendini formano spesse lamine appiattite, sono definiti aponeurosi. 

 
 
ANATOMIA MICROSCOPICA DELLE FIBRE MUSCOLARE SCHELETRICHE:
 
La membrana cellulare di una fibra muscolare scheletrica è definita sarcolemma (lemma, involucro) e il suo
citoplasma sarcoplasma. Le fibre muscolari scheletriche differiscono in vari altri aspetti dalla cellula “tipo”
descritta nel Capitolo 2.
 Le fibre muscolari scheletriche sono più grandi delle cellule degli altri tessuti. Una fibra di un
muscolo dell’arto inferiore, ad esempio, può avere un diametro di 100 μm e una lunghezza pari a
quella dell’intero muscolo (30-40 cm).
 Le fibre muscolari scheletriche sono multinucleate, cioè contengono vari nuclei. Nel corso dello
sviluppo embrionale, gruppi di cellule chiamate mioblasti si fondono a formare le singole fibre
muscolari scheletriche (Figura 9.3a). Ogni fibra muscolare scheletrica contiene centinaia di nuclei
all’interno del sarcolemma (Figura 9.3b,c) e questa caratteristica distingue le fibre muscolari
scheletriche dalle cellule muscolari lisce e cardiache. Alcuni mioblasti non si fondono con le fibre
muscolari in via di sviluppo, ma rimangono nel tessuto muscolare adulto sotto forma di cellule
miosatelliti (Figure 9.1 e 9.3a) che, dopo una lesione muscolare, possono differenziarsi,
contribuendo alla riparazione e alla rigenerazione del muscolo.
 Profonde invaginazioni della superficie del sarcolemma formano una rete di tubuli ristretti,
chiamati tubuli trasversi o tubuli T, che si estendono all’interno del sarcoplasma. Gli impulsi
elettrici (potenziali d’azione) condotti dal sarcolemma e dai tubuli trasversi stimolano le contrazioni
della fibra muscolare.
 
MIOFIBRILLE E MIOFILAMENTI:
Il sarcoplasma di una fibra muscolare scheletrica contiene da centinaia a migliaia di miofibrille, formazioni
cilindriche di 1-2 μm di diametro, lunghe quanto l’intera fibra (Figura 9.3c,d), che, avendo la capacità di
accorciarsi attivamente, sono responsabili della contrazione muscolare.
Le miofibrille sono costituite da fasci di miofilamenti proteici che, a loro volta, sono di due tipi: sottili e
spessi. Ogni miofilamento è costituito da diversi tipi di proteine, ciascuna con una specifica funzione durante
la contrazione e il rilasciamento muscolare. Ad esempio, miosina e actina sono le proteine contrattili: le
molecole di actina formano i filamenti sottili, quelle di miosina formano i filamenti spessi. Tropomiosina e
troponina sono proteine con funzione regolatrice, mentre titina e nebulina sono proteine accessorie.

 
 
ORGANIZZAZIONE DEL SARCOMERO:
Le miofibrille sono organizzate in sarcomeri, le più piccole unità funzionali delle fibre muscolari. La
disposizione e la diversa dimensione e densità dei due tipi di filamenti contrattili conferiscono al sarcomero
un aspetto striato, a bande.
Le bande scure sono chiamate bande A (da anisotropo), quelle chiare bande I (da isotropo), a causa del
loro diverso aspetto al microscopio polarizzatore. I filamenti spessi si trovano nella zona centrale del
sarcomero, nella banda A, che contiene la linea M, la banda H e la zona di sovrapposizione.
La linea M sta al centro della banda A ed è costituita da proteine che interconnettono la parte centrale di
ogni filamento spesso al filamento adiacente; la sua funzione è quella di stabilizzare la posizione dei
filamenti spessi, preservandone l’allineamento e l’orientamento.
La banda H costituisce la zona più chiara su ciascun lato della linea M; contiene solo filamenti spessi.
Nella zona di sovrapposizione, scura, i filamenti sottili decorrono tra i filamenti spessi. Qui, tre filamenti
spessi circondano ogni filamento sottile e sei filamenti sottili circondano ogni filamento spesso. Due tubuli
circondano ogni sarcomero; le triadi che li contengono si trovano nella zona di sovrapposizione. Di
conseguenza, gli ioni calcio sono rilasciati dal reticolo sarcoplasmatico nell’area dove i filamenti spessi e
sottili interagiscono.
Le linee Z (o dischi Z) dividono a metà la banda I e segnano il confine tra due sarcomeri vicini; esse sono
formate da actinina, una proteina che connette i filamenti sottili dei sarcomeri adiacenti. Catene della
proteina titina si estendono dalle estremità dei filamenti spessi ai siti di attacco sulla linea Z.
 
Filamenti sottili Ogni filamento sottile ha un diametro di 5-6 nm e una lunghezza di 1 μm (Figura 9.6a,b)
ed è costituito da quattro proteine: F-actina, nebulina, tropomiosina e troponina. La F-actina (actina
filamentosa) è avvolta a spirale ed è formata da due file di 300-400 molecole di G-actina (actina globulare).
La G-actina è dunque la subunità globulare della molecola di actina. Un sottile filamento di nebulina tiene
insieme le due file che formano la F-actina. Ogni molecola di G-actina contiene un sito attivo che può
legarsi alla miosina di un filamento spesso.
Un filamento sottile contiene anche tropomiosina e troponina, due proteine di regolazione. Le molecole di
tropomiosina formano una lunga catena che copre i siti attivi della G-actina, impedendo le interazioni actina-
miosina.
 
Filamenti spessi Ogni filamento spesso ha un diametro di 10-12 nm e una lunghezza di 1,6 μm; è
costituito da un fascio di molecole di miosina, ognuna delle quali consiste di una “coda” allungata, formata
da due catene proteiche avvolte a spirale, e da due “teste” globose ( Figura 9.6c). La lunga coda si lega alle
altre molecole di miosina del filamento spesso; l’estremità libera globosa a due teste si proietta all’esterno,
verso il filamento sottile più vicino. Durante la sequenza di eventi che porta alla contrazione muscolare, le
teste di miosina interagiscono con i filamenti sottili formando ponti trasversali, o ponti crociati.

 
 
CONTRAZIONE MUSCOLARE:
La contrazione è il risultato delle interazioni tra i filamenti spessi e sottili di ciascun sarcomero e viene
spiegata attualmente con la teoria dello scivolamento dei filamenti. È importante premettere che la
presenza di ioni calcio (Ca2+) è necessaria per innescare la contrazione, la quale di per sé richiede ATP.
 
TEORIA DELLO SCIVOLAMENTO DEI FILAMENTI:
L’osservazione diretta di fibre muscolari in fase di contrazione ha permesso di stabilire che, durante la
contrazione: (1) le bande H e I si restringono, (2) la zona di sovrapposizione si allarga, (3) le linee Z si
avvicinano tra loro. Invece, l’ampiezza della banda A rimane costante durante tutto il processo. La teoria
dello scivolamento dei filamenti è in grado di spiegare le modificazioni fisiche che avvengono tra i
filamenti spessi e sottili durante la contrazione.
 
 
 
UNITA' MOTORIE E CONTROLLO MUSCOLARE:
L’insieme delle fibre muscolari controllate da un singolo motoneurone costituisce una unità motoria. In
alcuni casi i motoneuroni controllano un’unica fibra muscolare, ma la maggior parte di essi ne stimola
centinaia. Più piccola è l’unità motoria e più fine sarà la regolazione del movimento.
Un muscolo scheletrico si contrae quando vengono stimolate le sue unità motorie. Il grado di tensione
prodotto dipende da due fattori: (1) la frequenza di stimolazione e (2) il numero di unità motorie reclutate.
Una singola contrazione improvvisa è detta spasmo muscolare ed è la risposta a un singolo stimolo.
Aumentando la frequenza di stimolazione, la tensione prodotta aumenta fino a raggiungere un livello
massimo. La maggior parte delle contrazioni muscolari si realizza in una sequenza di stimolazione,
contrazione e rilasciamento.
Secondo il principio del tutto o nulla, una fibra muscolare può contrarsi completamente o non contrarsi
affatto. Tutte le fibre di una unità motoria si contraggono nello stesso tempo e l’intensità della forza
esercitata dall’intero muscolo dipende dunque dal numero di unità motorie attivate. In questo modo, variando
cioè il numero di unità motorie attivate in un dato momento, il sistema nervoso esercita un preciso controllo
sulla trazione esercitata da un muscolo.
Nel momento in cui si decide di compiere un certo movimento, vengono stimolati specifici gruppi di
motoneuroni, che tuttavia non rispondono simultaneamente alla stimolazione; di conseguenza, il numero di
unità motorie attivate aumenta in maniera progressiva nel tempo.
Grazie a questa disposizione, la direzione della trazione esercitata sui tendini non varia se vengono attivate
più unità motorie, ma l’intensità totale della forza aumenta via via che vengono coinvolte nuove unità
motorie. Il lieve ma costante incremento di tensione muscolare, prodotto dall’aumento del numero di unità
motorie attive, viene definito reclutamento, o sommazione di unità motorie multiple.
La massima tensione si produce quando tutte le unità motorie sono contratte alla massima frequenza di
stimolazione; tuttavia, questa condizione di massima attività non può durare a lungo, poiché le singole fibre
esauriscono rapidamente l’energia a loro disposizione. Per ridurre l’affaticamento, le unità motorie vengono
reclutate a rotazione, in modo che alcune di esse abbiano il tempo di “riposare” e recuperare l’energia mentre
altre si contraggono attivamente.
 
TONO MUSCOLARE:
Alcune unità motorie rimangono attive anche quando il muscolo è a riposo. Le loro contrazioni non
producono una forza sufficiente a provocare uno spostamento, ma servono a mantenere il muscolo in
tensione. Questo stato di tensione in un muscolo scheletrico a riposo viene definito tono muscolare. 
Il tono muscolare a riposo stabilizza la posizione dei capi ossei e delle articolazioni. Ad esempio, nei muscoli
preposti al mantenimento dell’equilibrio e della postura viene stimolato un numero di unità motorie
sufficiente a generare la tensione necessaria per mantenere la posizione corporea. Nei muscoli sono
presenti recettori chiamati fusi neuromuscolari, costituiti da fibre muscolari specializzate, che sono
sensibili allo stiramento passivo; questi recettori sono innervati da fibre nervose sensitive che hanno il
compito di controllare il tono muscolare.
 

 
IPERTROFIA MUSCOLARE:
L’esercizio incrementa l’attività dei fusi neuromuscolari e potenzia il tono muscolare. In seguito a
stimolazione ripetuta, si osserva nelle fibre muscolari un notevole incremento del numero di miofibrille e
mitocondri, della concentrazione di enzimi glicolitici e delle riserve di glicogeno. Il risultato che ne consegue
è l’ingrossamento della fibra muscolare stimolata, fenomeno noto come ipertrofia muscolare. Si verifica
ipertrofia nei muscoli stimolati ripetutamente a produrre una tensione vicina ai valori massimi; le variazioni
intracellulari che ne derivano incrementano la tensione prodotta durante la contrazione muscolare. I
sollevatori di pesi e i culturisti sono esempi eccellenti di soggetti che hanno sviluppato ipertrofia muscolare.
 
ATROFIA MUSCOLARE:
La mancata stimolazione nervosa di un muscolo scheletrico provoca la riduzione della massa totale e del
tono muscolare. Il muscolo diventa flaccido e le singole fibre muscolari diventano più piccole e deboli.
Questa riduzione delle dimensioni e del tono muscolare viene indicata come atrofia muscolare.
 
TIPI DI FIBRE MUSCOLARI:
Le fibre rapide, o fibre bianche: (1) hanno un diametro elevato, (2) contengono miofibrille fittamente
stipate, (3) hanno grandi riserve di glicogeno e (4) relativamente pochi mitocondri. La maggior parte delle
fibre muscolari scheletriche del corpo umano appartiene a questo gruppo e, dopo stimolazione, si contrae
molto rapidamente. La tensione prodotta è direttamente proporzionale al numero di miofibrille e, dunque,
queste fibre in genere sviluppano forze molto elevate. Queste contrazioni potenti richiedono, tuttavia,
grandi quantità di ATP e i mitocondri presenti sono insufficienti per far fronte a questa esigenza. Di
conseguenza, le contrazioni delle fibre rapide sono sostenute principalmente dalla glicolisi, un processo
anaerobio che non richiede ossigeno e converte il glicogeno accumulato in acido lattico
 
Le fibre lente, o fibre rosse, hanno un diametro che è circa la metà di quello delle fibre rapide e richiedono
un tempo tre volte maggiore delle fibre rapide per la contrazione dopo una stimolazione. Queste fibre sono in
grado di contrarsi per tempi prolungati senza mostrare affaticamento, perché i loro mitocondri riescono a
produrre ATP per tutta la durata della contrazione. I loro mitocondri consumano ossigeno e generano ATP
attraverso un processo aerobio in cui l’ossigeno proviene da due fonti:
1. i muscoli scheletrici contenenti fibre muscolari lente sono dotati di una rete di capillari molto più estesa di
quella presente nei muscoli costituiti prevalentemente da fibre muscolari rapide. Ciò significa che vi è un
maggiore afflusso di sangue e, di conseguenza, i globuli rossi portano più ossigeno alle fibre muscolari attive;
2. le fibre lente sono rosse in quanto contengono mioglobina, un pigmento rosso. Questa proteina globulare è
strutturalmente correlata all’emoglobina (il pigmento che lega l’ossigeno nei globuli rossi) ed è anch’essa in
grado di legare ossigeno. In tal modo, le fibre lente possiedono riserve di ossigeno, anche a riposo, che
possono essere mobilizzate al momento della contrazione.
 
DISTRIBUZIONE DELLE FIBRE MUSCOLARI:
Le percentuali relative di fibre rapide e lente in ciascun muscolo sono geneticamente determinate e ciò
comporta significative differenze individuali, anche per ciò che riguarda la resistenza muscolare. Soggetti
che presentano una percentuale maggiore di fibre lente in un dato muscolo saranno predisposti a
contrazioni ripetute in condizioni aerobie. Ad esempio, i maratoneti con una più alta percentuale di fibre
lente nei muscoli degli arti inferiori risultano vincenti rispetto a quelli che hanno una maggiore percentuale
di fibre rapide. Soggetti con una percentuale maggiore di fibre rapide sono avvantaggiati nelle attività
intense ma brevi (ad esempio sollevatori di pesi e velocisti).
Le caratteristiche delle fibre muscolari variano al variare delle condizioni fisiche: ripetuti sforzi intensi
favoriscono lo sviluppo delle fibre rapide e l’ipertrofia muscolare; l’allenamento per gli sport di resistenza,
come la maratona, favorisce l’aumento della proporzione di fibre intermedie nei muscoli attivi. Questo
processo si verifica attraverso la conversione graduale delle fibre rapide in fibre intermedie.

 
Q
QUESTA PARTE NO
I muscoli possono essere classificati in base alla forma generale o alla disposizione delle loro fibre rispetto
alla direzione della trazione. Le fibre muscolari all’interno di un muscolo scheletrico si organizzano a
formare fascicoli. Le fibre di un singolo fascicolo sono disposte parallelamente, ma l’organizzazione dei
fascicoli e il loro rapporto con il tendine associato può variare da un muscolo all’altro. In rapporto alla
diversa organizzazione dei fascicoli muscolari si distinguono quattro tipi di muscoli scheletrici: (1) a fibre
parallele, (2) a fibre convergenti, (3) pennati e (4) circolari.
 
MUSCOLI A FIBRE PARALLELE:
Nei muscoli a fibre parallele, i fascicoli sono disposti parallelamente all’asse longitudinale del muscolo.
Le singole fibre percorrono il muscolo per tutta la sua lunghezza, come nel muscolo bicipite brachiale,
oppure vengono interrotte dalla presenza di iscrizioni tendinee trasversali, come nel muscolo retto
dell’addome.n altri muscoli a fibre parallele, le fibre possono intrecciarsi e avere un andamento a spirale,
come nel muscolo supinatore dell’avambraccio, che si avvolge attorno alla porzione prossimale del radio e
permette la supinazione dell’avambraccio e della mano.
 
MUSCOLI A FIBRE CONVERGENTI:
Nei muscoli a fibre convergenti, le fibre si distribuiscono su un’ampia area per convergere poi sullo
stesso punto di inserzione (Figura 9.12d), che può essere un tendine, una lamina tendinea o una sottile
banda di fibre collagene detta rafe. Ad esempio, i muscoli pettorali del torace hanno questa forma. Questa
disposizione delle fibre conferisce al muscolo una grande versatilità, dal momento che la direzione della
trazione può variare a seconda del gruppo di fibre che si contrae in un dato momento. Tuttavia, quando le
fibre si contraggono tutte insieme, non riescono a esercitare una trazione sul tendine pari a quella di un
muscolo a fibre parallele di uguale dimensione, poiché le fibre muscolari situate sui lati opposti esercitano
trazione in direzioni differenti.
 
MUSCOLI PENNATI:
 
Nei muscoli pennati, i fascicoli formano un angolo obliquo con il tendine ed esercitano una trazione
obliqua. Per tale motivo, i muscoli pennati, contraendosi, muovono i tendini in misura minore rispetto ai
muscoli a fibre parallele. Tuttavia, dato che sono formati da un maggiore numero di fibre rispetto a muscoli a
fibre parallele delle stesse dimensioni, essi sviluppano una forza maggiore.
L’organizzazione dei fascicoli nei muscoli pennati può essere di vario tipo. Se tutte le fibre muscolari sono
disposte sullo stesso lato del tendine, si parla di muscolo unipennato, come il muscolo estensore delle dita
(Figura 9.12e). Se le fibre sono poste su entrambi i lati del tendine, si parla allora di muscolo bipennato,
come il muscolo retto del femore, che contribuisce all’estensione del ginocchio (Figura 9.12f). Infine, se il
tendine proviene dall’interno del muscolo, il muscolo è multipennato, come il muscolo deltoide, di forma
triangolare, che ricopre superiormente l’articolazione della spalla (Figura 9.12g).
 
ORIGINI E INSERZIONI: ORIGINE= parte più vicina al corpo. INSERZIONE= parte distale
Ogni muscolo ha un’origine, termina con una inserzione e si contrae per produrre una specifica azione.
Solitamente il punto di origine (o inserzione prossimale) rimane fisso, mentre il punto
di inserzione (o inserzione distale) si muove; il primo è prossimale al secondo. Ad esempio, il muscolo
tricipite brachiale si inserisce sull’olecrano dell’ulna e origina in corrispondenza della scapola e dell’omero.
Queste definizioni sono basate sul normale movimento di un individuo in posizione anatomica.
Quando origine e inserzione non possono essere determinate con facilità sulla base del movimento o della
posizione, si utilizzano altri criteri:
 se un muscolo si estende fra un’ampia aponeurosi e uno stretto tendine, allora l’aponeurosi è l’origine e
l’estremità del tendine è l’inserzione;
 se ci sono più tendini da un capo e uno solo dall’altro, si considerano più origini e una sola inserzione.
 
AZIONI:
Quasi tutti i muscoli scheletrici hanno origine o inserzione sullo scheletro. Quando un muscolo muove una
parte dello scheletro, coinvolge un’articolazione.
I muscoli possono essere classificati in quattro gruppi sulla base della loro azione:
1. un agonista è un muscolo che svolge la stessa azione di un altro;
2. un antagonista è un muscolo la cui azione è opposta a quella di un altro. Ad esempio, se un muscolo
determina la flessione, l’antagonista determina l’estensione. Quando un muscolo si contrae per produrre un
determinato movimento, il suo antagonista viene stirato, ma non rilasciato completamente; infatti, con la sua
tensione contribuisce a controllare la velocità e la fluidità del movimento. Il muscolo bicipite brachiale
contraendosi provoca la flessione del gomito; il muscolo tricipite brachiale, situato sul lato opposto dell’omero,
agisce come antagonista che, se da un lato stabilizza il movimento di flessione, dall’altro determina un’azione
opposta, ovvero l’estensione del gomito;
3. un muscolo sinergico partecipa con la sua contrazione all’azione di un altro di cui può rafforzare l’inserzione
o stabilizzare l’origine. Il contributo allo svolgimento di un particolare movimento può variare man mano che
il movimento viene effettuato; in molti casi, i muscoli sinergici sono indispensabili per l’avvio del movimento,
quando il muscolo agonista è stirato e la forza che sviluppa è debole. Ad esempio, i muscoli grande dorsale e
grande rotondo estendono il braccio. Quando l’arto superiore è sollevato in direzione del soffitto, le fibre del
grande dorsale raggiungono il loro massimo stiramento e sono disposte parallelamente all’omero, posizione in
cui il muscolo non può sviluppare molta tensione. In ogni caso, il grande rotondo, che ha origine sulla scapola,
può contrarsi con maggiore efficienza e assistere il grande dorsale nell’avviare il movimento di estensione del
braccio. L’importanza di questo contributo diminuisce man mano che il movimento procede. In questo
esempio, il grande dorsale è il muscolo agonista e il grande rotondo è il suo sinergico;
 
 
LEVE E PULEGGE:
La forza, la velocità e la direzione del movimento prodotto dalla contrazione di un muscolo possono essere
modificate dalla modalità di inserzione di un muscolo sull’osso; nell’esecuzione del movimento, le ossa si
comportano come leve. Una leva è una struttura rigida (come una tavola, un piede di porco o un osso) che
si muove facendo perno su un punto fisso chiamato fulcro. Nel corpo, ogni osso è una leva e ogni
articolazione è un fulcro.
Le pulegge meccaniche sono spesso utilizzate per modificare la direzione di una forza allo scopo di svolgere
un compito con maggiore facilità ed efficienza. Nel corpo, i tendini agiscono come corde che trasmettono le
forze prodotte dalla contrazione dei muscoli. Il percorso di un tendine può essere modificato dalla presenza
di ossa o protuberanze ossee; tali strutture ossee, che modificano la direzione delle forze applicate, sono
definite pulegge anatomiche. 
 

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