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GIULIA BARONE

ONCOLOGIA
Il cancro è una malattia genetica somatica → è dato dall’alterazione di uno o più geni che fisiologicamente
sono presenti nel genoma delle cellule. Tutte le neoplasie sono clonali, ovvero il tumore rappresenta la
progenie di una singola cellula originariamente trasformata in senso neoplastico e definita progenie clonale.
Raramente (5-10%) il cancro è ereditario e l’ereditarietà è intesa come trasmissione dai genitori ai figli di
almeno 1 mutazione conclamata.
Proto-oncogeni: sono geni/sequenze genomiche che fisiologicamente regolano la proliferazione cellulare; la
loro attivazione impropria li fa passare da proto-oncogeni a oncogeni (geni capaci di convertire le cellule sane
in cellule tumorali). Questi agiscono codificando fattori di crescita, recettori di fattori di crescita, trasduttori
o amplificatori di segnali mitogenici. Questo si trasforma in oncogene a seguito di alterazioni del gene
(iperespressione genica, traslocazioni/inversioni cromosomice, amplificazione genica o mutazione) che
comportano una delle due conseguenze:
• Modificazione dell’espressione del gene che ne determina una iperespressione o un’espressione
incontrollata in momenti inappropriati del ciclo cellulare
• Un cambiamento delle proprietà funzionali del prodotto genico
4 classi di oncogeni:
1. Fattori di crescita (ligandi): VEGF → ligandi per recettori a tirosin-chinasi
2. Recettori di membrana: HER2 → recettori a tirosin-chinasi
3. Proteine citoplasmatiche: ABL → tirosin-chinasi e/o serin-treonin-chinasi
4. Fattori di trascrizione: MYC
− Nel carcinoma ovarico abbiamo una iperespressione di VEGF (aumenta la velocità di trascrizione del
gene, solitamente per iperespressione del promotore) con saturazione dei recettori ed iper-
attivazione del segnale che viene. Tale mutazione viene rinvenuta tramite esame
immunoistochimico; trattamento possibile con anticorpi monoclonali anti-VEGF
− Il Chr. Ph è il classico esempio di traslocazione cromosomica t(9;22) con formazione di un prodotto
di fusione BCR-ABL con attività tirosin-chinasica costitutiva
− Altro meccanismo è l’inversione cromosomica, che può essere sia paracentrica (in un unico braccio)
che pericentrica (interessante la regione centromerica)
− Amplificazione genica: aumento del numero di copie di determinate sequenze di DNA che codificano
per specifici oncogeni. Esempi più noti sono l’amplificazione del gene N-myc nel neuroblastoma e del
gene ERBB2 (HER2-neu) nel carcinoma della mammella.
− Mutazione genica: alterazione della sequenza genica. A questo meccanismo solitamente fanno capo
l’attivazione dei geni della famiglia Ras → la mutazione di Ras avviene nel 45% dei pz con
adenocarcinoma del colon-retto metastatico.

Geni oncosoppressori: normalmente inibiscono la proliferazione cellulare e sono, quindi, in grado di bloccare
la trasformazione neoplastica delle cellule. L’impropria disattivazione di entrambe le copie di
oncosoppressore contribuisce a favorire la trasformazione neoplastica delle cellule sane. L’effetto biologico
degli oncosoppressori è dominante rispetto a quello degli oncogeni è quindi è necessario perdere entrambe
le copie di un oncosoppressore per sviluppare il cancro.
Un classico esempio del two-hit model e dell’inattivazione degli oncosoppressori è il retinoblastoma. I geni
oncosoppressori possono essere inattivati da monosomie o delezioni parziali che possono provocare un
alterato dosaggio genico e/o la perdita di eterozigosi per frammenti cromosomici più o meno estesi. Il
retinoblastoma è un tumore maligno della retina, più frequentemente familiare e più raramente sporadico.
Nei casi di retinoblastoma familiare i soggetti affetti presentano un allele del gene RB congenitamente
inattivato da una delezione o da un’alterazione citogeneticamente non evidenziabile; l’inattivazione del
secondo allele è invece acquisita e si verifica in una (o poche) cellule durante lo sviluppo della retina,
portando all’insorgenza del tumore nell’infanzia. In questo caso il tumore può essere bilaterale e multifocale;
mentre nelle forme sporadiche sarà unifocale e unilaterale.
Nei casi di retinoblastoma sporadico l’inattivazione dei due alleli richiede più tempo, perché occorre che
ambedue gli alleli vadano incontro a mutazione somatiche.

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Esempi di geni oncosoppressori:


1. Regolatori del ciclo cellulare: RB
2. Regolatori del riparo del DNA: BRCA1-2 (associati alla sindrome eredo-familiare del k. mammella e
ovario)
3. Regolatori integrità del DNA: p53
L’inattivazione avviene per processi di delezione genica, traslocazioni/inversioni cromosomiche, mutazione
genica o metilazione di promotore.

L’attivazione impropria dei proto-oncogeni in oncogeni costituisce per le cellule tumorali un guadagno di
funzione; l’inattivazione inappropriata degli oncosoppressori costituisce per le cellule tumorali una perdita
di funzione. Uno squilibrio nell’omeostasi tra geni che favoriscono la proliferazione cellulare (oncogeni) e geni
che bloccano la proliferazione cellulare (oncosoppressori) è alla base della cancerogenesi.

I farmaci chemioterapici uccidono le cellule altamente proliferanti → ma questi non sono in grado di curare
tutti i pazienti → ipotesi del dente di leone.
Le cellule staminali sono cell prevalentemente quiescenti e sono l’unica popolazione cellulare in grado di dare
una divisione asimmetrica: ovvero da una cellula madre ne derivano una cellula figlia staminale e una
differenziata in cellula progenitrice. Le cell staminali crescono in sferoidi, cioè non crescono adese alla plastica
ma solo in macroaggregati di decine-centinaia-migliaia di cell isolate, dette sfeoridi. Sono molto resistenti
all’apoptosi e a sua volta molto resistenti ai chemioterapici. Hanno un genoma estremamente plastico.
L’ipotesi del dente di leone ipotizza, infatti, il fatto che le alterazioni genetiche a carico dei proto-oncogeni e
degli onco-soppressori non si verificano in cellule differenziate ma in cellule staminali → la chemioterapia
uccide le cellule attivamente proliferanti ma non le cellule staminali tumorali.
Cellule staminali tumorali sono stati isolati in:
− Comparto emopoietico: LMA, LMC, LLA
− Neurosfere: glioblastoma multiforme
− Tireosfere: carcinoma della tiroide
− Pneumosfere: NSCLC
− Mammosfere: carcinoma mammario
− Colonsfere: carcinoma del colon
→ il cancro è una malattia fortemente
eterogenea. L’evoluzione clonale del cancro ha
inizio a partire da una cellula staminale sana nella
quale possono iniziare a manifestarsi una o più
alterazioni genetiche, potendo diventare una
cellula tumorale → questa cellula prende il nome
di “cellula fondatrice”. È fondamentale ridurre al
minimo il periodo di tempo che intercorre tra
l’insorgenza dei sintomi e la conferma
diagnostica, questo periodo è infatti fortemente
correlato con la progressione dei cloni più
aggressivi (che nel frattempo continueranno a
moltiplicarsi o nella peggiore delle ipotesi
potrebbero portare a dei cloni in grado di dare luogo a metastasi). Quando ci troviamo di fronte ad una
malattia metastatica vi sono centinaia o addirittura migliaia di cloni (un numero talmente elevato da non
consentire alla terapia l’eliminazione completa); per questo motivo possiamo curare ma non guarire la
malattia oncologica metastatica: si andranno a selezionare dei cloni più o meno resistenti che col tempo
causeranno la perdita della sensibilità al trattamento e la progressione della malattia. → in qualunque
ecosistema non prevale la specie più forte, ma quella più adatta all’ecosistema in cui si viene a trovare.

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La cancerogenesi è un processo multifasico → la cellula neoplastica rappresenta il risultato finale di una serie
di danni genetici che si realizzano in tempi successivi: per passare dal fenotipo normale a quello neoplastico
è necessario che almeno 5-10 diverse mutazioni si accumulino nel tempo nella stessa cellula → ogni
mutazione conferisce alla cellula mutata un vantaggio di crescita rispetto alle cellule che la circondano.
La cancerogenesi presenta due modelli: stocastico e gerarchico (non in contrapposizione tra loro)
CST: cell staminale
tumorale
CTD: cell terminalmente
differenziata

Nel modello gerarchico


solo una parte delle cell è
in attiva proliferazione
(sono cell differenziate o
progenitrici), ma
all’origine vi è comunque
una CST quiescente e
resistente alla
chemioterepia.

La vasculogenesi è la genesi di una intera rete vascolare ed è un processo che si verifica fisiologicamente solo
durante la vita embrionaria. Per angiogenesi si intende la genesi di singoli vasi ematici o linfatici. Le cell
neoplastiche sono in grado di dare luogo all’angiogenesi → se ciò non fosse possibile nessuna neoplasia
potrebbe crescere oltre il centimetro. Infatti, nessuna cellula riesce a sopravvivere senza un adeguato
apporto di ossigeno e di sostanze nutritizie e se incapace di eliminare le molecole tossiche prodotte dal suo
metabolismo. L’ossigeno diffonde dai capillari fino ad una distanza di 150-200 μm, per cui le cellule che si
trovano oltre questa distanza critica muoiono = un tumore per diventare clinicamente rilevante richiede
neoangiogenesi. L’angiogenesi è un processo complesso orchestrato da una serie di attivatori (fattori
proangiogenici), quali VEGF, FGF, EGF, PDGF, e di inibitori (fattori antiangiogenici) come trombospondina1,
angiostatina ed endostatina → i relativi livelli di attivatori e inibitori controllano lo status delle cellule
endoteliali che, a seconda della prevalenza degli uni o degli altri, saranno in uno stato di quiescenza o di
angiogenesi attiva. L’espressione dei geni proangiogenici è aumentata da stimoli quali l’ipossia, conseguente
ad aumentata massa cellulare, ma anche dall’attivazione di determinati oncogeni o mutazioni di
oncosoppressori. Questo switch angiogenico demarca nettamente due fasi nella crescita tumorale → nella
prima fase (fase avascolare) le lesioni neoplastiche sono piccole (1-2 mm di diametro), occulte e sono in un
certo senso quiescenti (dormant tumors) perché al loro interno si instaura un equilibrio tra proliferazione ed
apoptosi; l’entrata nella fase vascolare rappresenta un prerequisito per la progressione tumorale. La
neoangiogensi tumorale è profondamente diversa dall’angiogenesi fisiologica → i vasi neoplastici sono
irregolari, tortuosi, dilatati e non sono organizzati in maniera precisa in venule, arteriole e capillari, ma
condividono in misura varia e sostanzialmente caotica aspetti di tutti e tre i tipi di vasi. Il flusso ematico al
loro interno è irregolare e la permeabilità dei vasi è aumentata.

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Le metastasi (meta – al di là; stasis – risiedere) sono una disseminazione spontanea di cellule neoplastiche
che, distaccatesi dalla sede del tumore primitivo, raggiungono con varie modalità uno o più siti distanti da
quello di origine e lo colonizzano. Virtualmente tutte le neoplasie maligne sono in grado di metastatizzare
in organi e tessuti periferici; il 30% dei pz affetti da neoplasie maligne ha una o più metastasi al momento
della diagnosi e queste sono responsabili di più del 90% dei decessi in pz affetti da neoplasie maligne (la
morte del restante 10% è data da complicanze locali). La cellula trasformata si moltiplica fino a costituire una
popolazione cellulare con una determinata massa critica (tumore primitivo), il cui raggiungimento dipende
dalle caratteristiche cinetiche di crescita delle cellule neoplastiche sia delle condizioni microambientali.
La diffusione metastatica avviene per contiguità, per via linfatica, canalicolare (es tumore del rene che
diffonde tramite l’uretere alla vescica), ematica o celomatica (tipico esempio di questa diffusione è il tumore
dell’ovaio). Le metastasi hanno spesso una localizzazione d’organo preferenziale, per es. k. mammella e
prostata metastatizzano principalmente alle ossa, mentre il fegato è la localizzazione principale del k. colon.
In generale, oltre ai linfonodi loco-regionali, gli organi maggiormente colpiti dalle metastasi sono fegato,
ossa e polmone.

➢ Metastasi linfonodali: l’invasione dei vasi linfatici peritumorali e talvolta una neolinfoangiogenesi
tumorale, portano a metastasi ai linfonodi loco-regionali. Il primo linfonodo o gruppo di linfonodi
raggiunto dalle cellule metastatiche che provengono da un tumore primitivo è definito linfonodo
sentinella (introduzione della tecnica della biopsia del linfonodo sentinella, applicato soprattutto nel
k. mammario e nel melanoma)
➢ Metastasi epatiche: il fegato ha una particolare vulnerabilità all’invasione metastatica per diverse
ragioni, quali dimensioni, alto livello di flusso ematico, doppia perfusione tramite a. epatica e circolo
portale, ruolo di filtrazione delle cell del Kupffer. I tumori che più frequentemente metastatizzano al
fegato sono tratto gastrointestinale, polmone, mammella e melanoma. Sono MTS asintomatiche e
vengono solitamente scoperte nel corso della stadiazione del tumore primitivo.
➢ Metastasi ossee: sono presenti nel 70% dei pz con tumore mammario e tumore prostatico avanzati
e in una percentuale compresa di 15-30% dei pz con tumore polmonare, colon-retto, tiroide e rene.
Le ossa più frequentemente coinvolte sono le vertebre, femore prossimale, pelvi, coste, sterno,
omero prossimale e il cranio. Sono generalmente sintomatiche, manifestandosi con dolore da
frattura patologica o schiacciamento vertebrale o ancora sintomi neurologici da compressione
delle radici nervose o del midollo spinale o talvolta con sintomi da ipercalcemia, e rappresentano
uno degli aspetti più difficili della gestione clinica del pz neoplastico. Le metastasi ossee possono
presentarsi come lesioni osteolitiche, osteoaddensanti (osteoblastiche) o miste.
− Nelle lesioni osteolitiche la distruzione dell’osso è la conseguenza della produzione da parte
del tumore (o da parte del microambiente tumorale stimolato dalla presenza delle cell
tumorali) di sostanze che inducono il riassorbimento osseo (prostaglandine, parathyroid
hormone-related peptide) o di citochine che inducono la formazione e l’attivazione di
osteoclasti (IL-1, TNF, RANK-L)
− Le lesioni osteoaddensanti si verificano quando il tumore produce citochine che attivano gli
osteoblasti, quali endotelina-1 nel k. mammario, PSA e u-PSA nel k. prostatico

Il tumore primitivo è eterogeneo, infatti a causa dell’instabilità genetica è costituito da multipli subcloni che
hanno proprietà biologiche diverse, incluso un differente potenziale invasivo e metastatico. Il processo
metastatico si articola in tappe successive:
1. La cell tumorale si lega alla membrana basale epiteliale e inizia il processo di invasività locale, con
approfondimento delle cell neoplastiche nello stroma sottostante.
2. A livello del contatto cell/matrice si ha la dissoluzione proteolitica della matrice stessa dovuta al
rilascio locale di enzimi da parte della cell neoplastica (metalloproteasi u-PA receptor); la cell si stacca
dal tumore primitivo e progredisce spazialmente nel tessuto sottostante attraverso il poro createsi
(extravasazione)
3. La cellula si lega alla membrana basa subendoteliale e dopo proteolisi del punto di contatto penetra
all’interno del lume del vaso (intravasazione)

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4. La cell neoplastica può arrestarsi a breve distanza, immediatamente a valle della pentrazione, oppure
proseguire a distanza, sopravvivendo in circolo e creare le premesse per la formazione di una colonia
neoplastica secondaria (metastasi) che implica arresto in un nuovo organo, extravasazione nei
tessuti circostanti, proliferazione e neoangiogenesi. La formazione delle metastasi dipende anche
dal numero di cell che arrivano a un certo organo, la compatibilità tra cell neoplastica e organo e
quindi la capacità dell’organo colonizzato di produrre fattori che favoriscono o sopprimono la crescita
di quel particolare tipo di neoplasia. È importante sottolineare come le cell neoplastiche derivate
dallo stesso tumore primitivo, ma metastatizzate in organi differenti e dunque esposte a
microambienti differenti, abbiano anche una risposta differente alla chemioterapia, legata alla
produzione locale di citochine e molecole solubili che possono modificare la risposta.
Le metastasi possono verificarsi anche dopo anni che il tumore è stato trattato con apparente successo →
fenomeno della tumour dormancy, cioè a una specie di letargo in cui la cell neoplastica disseminata in organi
a distanza può entrare. Questa è caratterizzata dalla presenza di micrometastasi che non riescono per lungo
tempo a sviluppare una neoangiogenosi o dalla presenza di cell isolate che non sono in ciclo cellulare e
persistono nella fase di resting del ciclo per lungo tempo → proprio perché non in ciclo queste cell sono
particolarmente resistenti alla terapia citostatica che colpisce selettivamente le cell attivamente impegnate
nel ciclo cellulare. La capacità di crescita in un organo a distanza è regolata da numerosissimi meccanismi che
implicano complesse interrelazioni tumore/ospite → di conseguenza le gittate potenzialmente metastatiche
che derivano dal tumore primitivo sono probabilmente molto più numerose delle metastasi che giungono
a compimento.

EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI


Mortalità: rapporto tra il n. di individui deceduti per una causa specifica in un determinato lasso di tempo /
il numero di individuo che compongono una popolazione.
Secondo le casistiche 2020 dell’AIOM, nel 2020 si stimava una diagnosi di circa 377.000 nuovi casi di neoplasie
maligne, 195.000 negli uomini e 182.000 nelle donne. In Italia si sono diagnosticati nel 2019 più di 1000 nuove
diagnosi al giorno di neoplasie maligne.
In Italia, nel 2017, i tumori hanno causato la morte di 180.085 persone equivalenti al 27,7% di tutte le 650.614
morti registrate in quell’anno. Nel 2019 il cancro rappresenta la prima causa di morte negli uomini.
TOP 5 DONNA TOP 5 UOMO
Incidenza Incidenza
1. Mammella: 30% 1. Prostata: 19%
2. Colon-retto: 12% 2. Polmone: 15%
3. Polmone: 7% 3. Colon-retto: 14%
4. Tiroide: 5% 4. Vescica (comprende neoplasie infiltranti e non
5. Endometrio: 5% infiltranti): 12%
5. Stomaco: 4%
Mortalità Mortalità
1. Mammella: 16% 1. Polmone: 24%
2. Polmone: 12% 2. Colon-retto: 11%
3. Colon-retto: 11% 3. Prostata: 8%
4. Pancreas: 8% 4. Fegato (comprende neoplasie vie biliari): 6%
5. Stomaco: 5% 5. Stomaco: 5%

Andando ad annullare le differenze di genere, in Italia riscontriamo:


INCIDENZA MORTALITA’
1. Mammella: 14% 1. Polmone: 19%
2. Colon-retto: 13% 2. Colon-retto: 11%
3. Polmone: 11% 3. Mammella: 7%
4. Prostata: 10% 4. Pancreas: 7%
5. Vescica: 8% 5. Fegato: 5%

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FATTORI DI RISCHIO PRINCIPALI:


➢ Età
➢ Sesso
➢ Abitudini alimentari
➢ Localizzazione geografica
Le sostanze cancerogene vengono divise in 4 gruppi, in base alle evidenze scientifiche presenti sul loro conto,
dall’IARC.
Fattori di rischio specifici per alcuni tumori:
➢ Fumo: testa/collo, polmone, esofago, stomaco, pancreas, vescica, rene, vie urinarie, LMA
➢ Alcol: fegato
➢ HBV/HCV: esofago e fegato
➢ HP: adenocarcinoma gastrico
➢ HIV: linfoma, sarcoma di Kaposi
➢ HPV: testa/collo, cervice uterina → quando l’HPV ad alto rischio infetta una cell sana c’è una
integrazione di una parte del suo genoma cell e il suo genoma codifica per le proteine E6 ed E7,
legano rispettivamente la p53 e RB e ne impediscono la traslocazione citoplasma-nucleo, dove sono
necessari per regolare l’integrità del genoma e per corregge eventuali errori del DNA.
Noti questi fattori di rischio, per ridurre l’incidenza della malattia neoplastiche, fondamentali sono la
promozione e il mantenimento della salute attraverso interventi individuali e collettivi sulla popolazione
sana, che sono appunto volti all’eliminazione di questi fattori di rischio. A tale proposito possono essere
promosse delle campagne informative anti-fumo, campagne volte alla limitazione dell’uso di alcol, normativa
prevenzione infortuni e vaccinazione anti-HPV e HBV. Questo prende il nome di prevenzione primaria.
La prevenzione secondaria si basa sulla promozione di iniziative clinico-diagnostiche tese ad identificare
precocemente malattie neoplastiche → individuazione precoce di lesioni pre-tumorali o tumorali in soggetti
considerati a rischio, migliorandone il trattamento e la prognosi. Questo viene effettuato con mammografia
o ecografia mammaria, visita ginecologica con ecografia e pap-test,
gastroscopia per la ricerca dell’esofago di Barrett in pz a rischio. In medicina oncologica si considera
rilevante un rischio intorno al 10%
EFFETTO ANGELINA JOLIE: mastectomia bilaterale per prevenire
l’insorgenza di un k. mammario, presentando la mutazione BRCA1. Nel caso di mutazioni per BRCA1-2 il
rischio di neoplasia diventa 10% già intorno ai 30-35 anni; queste donne presentano anche un rischio
aumentato di sviluppare k. ovarico, che arriva a l 10% intono ai 50 anni. Lo sviluppo di uno non esclude la
possibilità che anche l’altro si manifesti. Tra l’altro in questi soggetti i tumori sono spesso aggressivi e invasivi,
nel k. mammario solitamente è un triplo negativo.
• Dal 2018 una donna non può sottoporsi, nonostante sia portatrice di mutazione BRCA1 o 2, ad un
intervento di annessiectomia profilattica bilaterale o di mastectomia bilaterale se non ha ricevuto
un parere favorevole da: oncologo, senologo/ginecologo, genetista e dallo psicologico.
La mastectomia (meglio adenomammectomia) bilaterale comunque non azzera totalmente il rischio, ma lo
riduce drasticamente (di circa il 95%).
Anche i maschi con mutazione BRCA1-2 hanno un rischio aumentato di sviluppare:
• K. mammella: tutti gli uomini con k mammella devono essere testati per mutazione BRCA1-2
• K. prostata
• K. pancreas
• Melanoma
L’effetto Angelina Jolie è così chiamato proprio
perché a seguito della sua storia e di alcune
campagne pubblicitarie americane indirizzate
proprio a promuovere la mastectomia bilaterale, si
è osservato un’incidenza di questa scelta nelle
donne, soprattutto di età inferiore ai 40 anni.

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Si definisce prevenzione terziaria, invece, tutte quelle iniziative tese a prevenire lo sviluppo di complicanze
in soggetti con malattie neoplastiche in atto, con attuazione di misure mediche, sociali e psicologiche per
ridurre danni causati dalle malattie neoplastiche e migliorare la qualità di vita. Questa si può esplicare con
visite di follow-up oncologico, esami di laboratorio e diagnostica per immagini, terapie di riabilitazione,
servizio di assistenza psico-oncologica.

La classificazione di una neoplasia ne valuta le


caratteristiche patologiche e biologiche in diversi
momenti temporali. La stadiazione di una neoplasia
ne valuta l’estensione in uno specifico momento.
La classificazione delle neoplasie serve a:
• Determinare natura benigna o maligna della
neoplasia
• Valutarne l’estensione anatomica
• Identificare la variante istologica
• Caratterizzare il grado di malignità
• Definire i biomarcatori
La classificazione è fondamentale anche per
indirizzare il tipo di stadiazione più appropriata → es: un k. mammario HER-2 amplificato è in assoluto la
neoplasia con la più alta incidenza di metastasi encefalica quindi per la stadiazione fondamentale è una TC
encefalo; se luminale A soprattutto se non ha un ampio coinvolgimento linfonodale non mi serve la TC
Encefalo, faccio piuttosto una scintigrafia dato che più spesso dà metastasi ossee. Per la classificazione e la
diagnosi è fondamentale la biopsia tissutale e su tutti i campioni bioptici (o citologici) devono essere eseguite
le analisi immunofenotipiche, molecolare e citogenetica che consentono di offrire informazioni
progressivamente rilevanti.
La stadiazione invece è fondamentale per:
• Fornire informazioni prognostiche sulla neoplasia Tra estensione anatomica e
• Facilitare pianificazione terapeutica aggressività biologica comanda
• Valutare risposta terapeutica sempre la seconda.
• Consentire lo scambio di informazioni tra centri diversi che seguono lo
stesso tipo di pz
La stadiazione può essere clinica (cTNM, basata sull’evidenza clinica e radiologica acquisita prima di
instaurare una terapia, o patologica, utilizza informazioni ottenute dal pezzo chirurgico asportato. Il
principale sistema di stadiazione utilizzato è il TNM (impiegato per tutti i tumori solidi, con poche eccezioni),
basato su tre parametri:
1. T: tumor = dimensioni massa primitiva → descrive il progressivo aumento delle dimensioni del
tumore, la sua infiltrazione locale ed estensione; utilizza 5 suffissi numerici (0-4) con eventuali
sottogruppi.
2. N: nodes = presenza di metastasi linfonodali → descrive condizioni dei linfonodi regionali e talvolta
anche iuxta-regionali; 4 suffissi numerici (0-3) con eventuali sottogruppi.
3. M: metastates = metastasi a distanza → descrive la presenza di MTS
a distanza con suffissi che descrivono estensione ad organi e/o tessuti
Se i parametri TNM non sono valutabili = Tx, Nx, Mx.
Non sempre i parametri TNM sono valutati al momento della diagnosi:
• yTNM: classificazione eseguita durante o dopo una terapia multimodale
• rTNM: classificazione eseguita dopo un intervallo libero da malattia
• aTNM: classificazione eseguita in sede autoptica
• mTNM: classificazione in pc con tumori multipli nella stessa sede
La presenza di residui neoplastici dopo il trattamento viene descritta con il suffisso R:
• Rx: residuo tumorale non valutabile
• R0: residuo tumorale assente
• R1: residuo tumorale microscopico
• R2: residuo tumorale macroscopico

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La stadiazione complessiva si ottiene intersecando i valori T-N-M (es. cervicocarcinoma):


sopravvivenza complessiva a 5 anni:
stadio I: 92%
stadio II: 78%
stadio III: 44%
stadio IV: 22%

gli stadi sono direttamente correlati con la


prognosi.

In alcune neoplasie sono necessari anche alcuni parametri aggiuntivi, come nel k. mammario, dove
fondamentale per la stadiazione conoscere anche lo stato dei recettori E-R (indici di differenziamento della
neoplasia predittivi della risposta alla terapia ormonale) e recettore HER2 (espresso nel 20-25% e predittivo
per la risposta a trastuzumab); ma anche stato di Ki-67, invasione angio-linfatica e l’età della paziente.

I criteri RECIST (Responsive Evaluation Criteria In Solid Tumors) sono dei criteri di risposta alla terapia.
Nascono nel 2000 e inizialmente si basavano esclusivamente sulle dimensioni anatomiche della massa
neoplastica → vengono misurate le lesioni target. Per essere lesioni target:
− Deve essere una lesione misurabile: le lesioni sono misurabili quando hanno una dimensione > 10
mm in una immagine TC o RM o quando > 20 mm in RX; sono non misurabili le lesioni ossee, cistiche,
leptomeningee e le masse addominali di natura incerta.
− Facilmente misurabile e controllabile nel tempo: non devono avere dimensioni eccessive o
particolarmente irregolari perché queste più frequentemente presenteranno aree di necrosi che ne
potrebbero alterare la forma
Nei criteri RECIST 1.1 le lesioni target sono massimo 5, con massimo 2 per ogni organo.
Esami inappropriati a misurare le lesioni target sono: ecografia (non riproducibile e operatore dipendente),
scintigrafia ossea total body (non faccio misurazioni anatomiche), misurazione di marcatori tumorali. RX, TC
E RM sono esami appropriati perché permettono una valutazione unidimensionale, chiara e riproducibile.
La misurazione della lesione target viene effettuata tenendo conto dell’asse maggiore del nodulo, se il
nodulo è singolo; se è presente come noduli multipli la massa tumorale complessiva assume il valore della
somma degli assi maggiori di ogni singolo nodo.
Per valutare la risposta al trattamento vengono considerati anche i noduli linfonodali, che vengono misurati
in base al loro asse minore: viene considerato lesione target quando l’asse minore è maggiore o uguale a 15
mm; se tra 10-15 mm non è lesione target; se inferiore a 10 non è patologica.
La PET può essere utilizzata come dato integrato alle indagini TC o RM per valutare la comparsa di nuove
lesioni. I pz vengono quindi divisi in 4 categorie di risposta:
SD: riduzione lesioni < 30%
o aumento < 20%

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In realtà i criteri RECIST così descritti non si usano più, ma sono ancora in uso i CRITERI mRECIST, ottenuti da
una revisione dei criteri RECIST, dove non si misura il diametro maggiore di tutta la neoplasia, ma il diametro
maggiore della porzione vitale della neoplasia.
Queste le 4 categorie di risposta in
base ai criteri mRECIST.

In alcuni tipi di tumori la valutazione delle dimensioni della neoplasia non è strettamente correlabile alla
regressione o progressione del tumore; questo vale soprattutto per i GIST, tumori che dopo il trattamento
vanno facilmente incontro ad emorragia, necrosi o degenerazione mixoide, ossia tutti processi che fanno
aumentare il volume della neoplasia. Per ovviare a questo tipo di problematica sono stati creati i criteri Choi.
Secondo questi criteri la risposta al trattamento viene effettuata valutando sia la dimensione del tumore che
la sua densità media in HU (valutata durante la fase portale della TC con mdc). Si integra con una valutazione
PET.

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TERAPIE ONCOLOGICHE
La chirurgia oncologica viene effettuata a scopo preventivo per rimuovere lesioni pre-cancerose ad alto
rischio di degenerazione maligna (CIN – conizzazione o FAP – colectomia) o può essere utilizzata a scopo
terapeutico per rimuovere una lesione neoplastica primitiva (NSCLC – lobectomia) o lesione/i
metastatica/che (k. colon – lobectomia epatica dx). La chirurgia oncologica è appropriata se:
• Oncologicamente radicale: rimozione totalità malattia macroscopica
• Necessaria per la palliazione: complicanze mettono in pericolo sopravvivenza
Molto importanza lo ha la casistica → quantità = qualità (almeno 50 interventi per operatore, più di 150
interventi per struttura).

La chemioterapia può essere adiuvante = impiegata in seguito ad altre terapie (chirurgica e/o radioterapica)
allo scopo di distruggere le cell tumorali residue, quasi sempre non rilevabili, che rimangono nell’organismo
dopo l’intervento chirurgico o radioterapico, particolarmente quando ci sono rischi di recidive indicate da
positività linfonodali o da altre procedure analitiche. I 6 cardini della chemio adiuvante sono:
1. Deve essere disponibile una terapia efficace
2. Tumore primitivo deve essere rimosso
3. Iniziare entro 8 settimane dall’intervento → la CT serve ad eradicare una possibile malattia micro-
metastatica circolante nei vasi ematici o linfatici generatesi prima dell’intervento; se non viene
iniziata entro 8 sett. è probabile che perda la sua efficacia.
4. Somministrare massime dosi tollerate
5. Terapia di durata limitata (cicli)
6. Terapia intermittente (limitare immunosoppresione)
Oppure può essere neoadiuvante = quando la terapia viene somministrata prima della terapia chirurgica o
radioterapica allo scopo di ridurre la massa tumorale o il numero di masse tumorali o per prevenire la
disseminazione metastatica; presenta come obiettivo principale ridurre il rischio di recidiva e facilitare
rimozione tumore primitivo. Si parlerà di chemioterapia citoriduttiva quando il suo scopo primario + quello
di ridurre la massa tumorale (in caso di tumori non operabili) per consentirne l’asportazione chirurgica.
→La chemioterapia neoadiuvante viene svolta (e proposta) per scelta condivisa di medico e paziente in forme
di neoplasia che sono tecnicamente operabili, ma nelle quali si ritiene opportuno, per motivi di sopravvivenza
o per rendere meno demolitiva la chirurgia – che è da subito fattibile – iniziare il percorso terapeutico con la
chemioterapia. La chemioterapia primaria citoriduttiva non è una scelta condivisa ma un obbligo: ci troviamo
davanti a un paziente che non è tecnicamente passibile di un intervento chirurgico radicale.

1. AGENTI ALCHILANTI
Sono composti reattivi che possono interagire non solo con molecole del DNA, ma anche con l’RNA e con le
proteine provocando alterazioni funzionali delle stesse macromolecole. Questi eventi possono arrestare la
divisione cellulare e/o provocare aberrazioni cromosomiali → alchilazione diretta/indiretta delle basi del
DNA (rottura doppia elica del DNA).
• Ciclofosfamide (mostarde azotate), Dacarbazina, Temozolamide (triazeni)
Vengono somministrati per via ev o per os.
Presentano tossicità ematologica (leucopenia, neutropenia e trombocitopenia), gastro-enterica (nausea e
vomito) e urinaria (la ciclofosfamide porta a frequenti cistiti emorragiche a seguito dell’escrezione di
metaboliti attivi, come acroleina, per questo è importante un’adeguata idratazione del pz con 4-5 L/die e/o
la somministrazione contemporanea di tioli, come N-acetilcisteina o MESNA, che inattivano i metaboliti attivi,
riducendo entità e frequenza di questa complicanza)
Vengono utilizzati per k. mammario, sarcomi e neoplasie del SNC.

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GIULIA BARONE

2. COMPLESSI DI COORDINAZIONE DEL PLATINO


Il cisplatino ed i suoi congeneri possono legare covalentemente tutte le basi azotate anche se
preferenzialmente si legano ad adenina e guanina → platinazione diretta basi DNA (addotti del DNA provoca
stallo RNA-polimerasi) ed RNA. I composti di coordinazione del platino infatti formano dei legami covalenti
anche con l’RNA o con proteine ricche di gruppi sulfidrilici.
• Cisplatino, Carboplatino, Oxaliplatino
Somministrazione ev
Tossicità ematologica (mielosoppressione), gastro-enterica (nausea e vomito: il cisplatino libera serotonina
con grande effetto emetizzante), neuropatica (il cisplatino presenta spiccata neurotossicità, che si manifesta
con neuropatie periferiche, otossicità con ipoacusie anche irreversibili, e disturbi della vista). L’oxaliplatino è
meno tossico, con tossicità ematica minima e praticamente assente nefro- e ototossicità; ma molto frequenti
sono i disordini neurologici.
Sono utilizzati per k. polmone, k. ovaio e k. colon-retto.

3. ANTIMETABOLITI
Classe di farmaci analoghi strutturali di composti biologici fondamentali per la sintesi e per la duplicazione
del materiale genetico e quindi indispensabili per la replicazione cellulare. Questo porta un blocco del ciclo
cellulare e dei complessi enzimatici.
• 5-fluorouracile, Capecitabina, Gemcitabina (analoghi pirimidinici), Pemetrexed
Somminstrazione ev o per os
Tossicità ematologica (effetto mielosoppressivo), cardiaca, cutanea (con il 5-fluorouracile può comparire una
sindrome neurocutanea caratterizzata da dolore a mani e piedi e per questo chiamata eritrodisestesia palmo-
plantare o sindrome mani-piedi)
Usati per k. colon-retto, k. polmone (pemetrexed per mesotelioma e NSCLC), k. pancreas

4. ALCALOIDI DI ORIGINE VEGETALE


Gli alcaloidi della vinca si legano a specifici siti della tubulina β, impendendo alla proteina di polimerizzare
nei microtubuli, con conseguente inibizione della funzionalità dei microtubuli e del fuso mitotico a causa
della quale la divisione cellulare viene arrestata alla transizione tra metafase e anafase. L’assenza di un
adeguato fuso mitotico provoca la dispersione dei cromosomi nel citoplasma o il loro scorretto
raggruppamento; non potendo segregare correttamente i cromosomi, la cell va incontro ad apoptosi.
I tassani causano perturbazioni sulla cinetica e termodinamica dell’assemblamento della tubulina con
spostamento dell’equilibrio tubulina-microtubuli verso i microtubuli e rafforzamento del legame tubulina-
tubulina. L’inibizione della depolimerizzazione dei microtubuli impedisce la corretta mitosi delle cellule e
provoca la formazione di strutture aberranti.
• Vinorelbina, Placlitaxel, Docetaxel
Somministrazione ev e per os
Tossicità ematologica (mielosoppressione) e neuropatica (neuropatia sensoriale nel placlitaxel)
Usati per k. polmone, k. mammario, k. prostata.

5. ANTIBIOTICI ANTI-TUMORALI
Le antracicline agiscono con diversi meccanismi:
1. l’intercalazione nel DNA tramite un legame ad alta affinità che determina una perturbazione
tridimensionale dei due filamenti
2. inibizione dell’attività enzimatica della topoisomerasi II
• Adriamicina, Mitoxantrone, Mitomicina C (questo è un agente alchilante che forma legami crociati
con il DNA, inibendone la sintesi)
Somministrazione ev
Tossicità ematologica, cardiaca (le antracicline hanno spiccata tossicità cardiaca: scompenso cardiaco da
miocardiopatia dialatativa o aritmie o sindrome acuta pericardite-miocardite) e cutanea.
Si usano per k. mammario, k. prostatico o k. anale

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GIULIA BARONE

Nel primo scenario i sogg non ricevono alcun


trattamento e le cell tumorali si espandono
fino a causare morte del paziente.

Nel secondo scenario la diagnosi viene fatta


ad uno stadio operabile, con possibilità di
chirurgia locale + trattamento chemioterapico
adiuvante per eradicare la popolazione
residua.

Nel terzo scenario invece viene effettuata una


chemioterapia primaria che sarà in grado di
eliminare da sola la neoplasia o di eliminarla
solo parzialmente venendo poi seguita
dall’operazione chirurgica. In alcuni casi, in
malattia sistemica e avanzata, può non avere
successo portando all’exitus.

La polichemioterapia è superiore alla monochemioterapia ma deve sottostare ad alcuni criteri:


• I farmaci devono essere attivi singolarmente
• Non devono avere tossicità sovrapponibile → es in caso di k. mammella T2N+ HER2+ andrebbe fatta
una chemio neoadiuvante a scopo citoriduttivo con trastuzumab, antracicline e tassani; i primi due
non possono essere fatti insieme perché hanno tossicità sovrapponibile a livello cardiaco (si
somministrano insieme solo in caso di mastite carcinomatosa; mentre in tutti gli altri casi prima
antracicline e solo dopo tassani e trastuzumab)
• Devono avere effetto additivo o sinergico
• Devono avere dosi e tempistiche di somministrazione ottimali

La chemioterapia nei pz metastatici ha l’obiettivo di rallentare la progressione di malattia e migliorare la


qualità di vita; il rischio maggiore è che questa risulti inefficace, perché il pz è resistente alla chemio, o che
sia dannosa, con una maggiore tossicità rispetto al beneficio che se ne ricava.

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GIULIA BARONE

Gli accessi venosi possono essere di due tipi:


1. CVC: catetere venoso centrale → è utile quando si ha bisogno di un accesso venoso
rapido e per breve tempo, dato che questo implica la presenza di una soluzione di
continuo tra l’interno e l’esterno. Il grosso vantaggio è sia la rapidità di
posizionamento ma anche il fatto che questo presenta più accessi esterni (3)
permettendo la somministrazione contemporanea anche di farmaci non mescolabili
tra di loro. Questo va rimosso dopo massimo 4 settimane, per cui
non è utilizzabile in chi necessita terapia per un periodo maggiore.
2. Port-a-Catch → catetere portatile sempre ad una via, costituito da
due componenti: un serbatoio e un tubicino, che costituisce il vero e
proprio catetere che viene inserito nell’atrio destro. Il serbatoio è
dotato di una membrana perforabile, solitamente in silicone, che
chiude appunto il serbatoio del Port. Il serbatoio viene quindi
impiantato nel sottocute, in modo che perforando la cute
(solitamente con un ago di Huber a doppio accesso) si giunga alla
membrana in silicone e quindi al serbatoio del catetere. Il fatto che
sia impiantato sotto cute riduce notevolmente il rischio di infezione.
3. PICC: catetere centrale inserito perifericamente → per terapie di media durata (da 3 ai 12 mesi). È
un catetere mono-via che viene inserito a livello della vena basilica o della vena cefalica attraverso
lo spazio anticubitale e fatto avanzare fino alla posizione designata (vena cava superiore). Possibilità
di occlusione e infezione.

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GIULIA BARONE

DOSAGGIO CHEMIOTERAPICI
Non esiste un dosaggio unico, ma questo dipende dalla superficie corporea del pz → individuo 175 cm x75
kg ha una superficie corporea di 1,9 mq.
Es: epirubicina 100 mg/mq = 190 mg totali
Se la superficie corporea del pz supera i 2 (come può accadere nel caso di pz molto alti o obesi) solitamente
si arrotonda sempre a 2, non superando tale valore → questo perché dosi troppo elevate potrebbero portare
ad eccessivi effetti collaterali e non ci sono evidenze scientifiche che ne supportano l’impiego. Tuttavia, alcuni
studi sembrano evidenziare che in questi pz la chemioterapia abbia un’efficacia minore, alcuni sostengono
sia per una dose non appropriata alla superficie corporea, altri pensano sia dovuto ai cambiamenti metabolici
che si osservano nei pz obesi.
Il carboplatino è l’unico farmaco la cui dose non viene
calcolata come mg/sc o mg/kg, ma viene calcolato con
l’AUC, ovvero area sotto la curva → questo perché il
carboplatino viene escreto esclusivamente per via
renale e il calcolo dell’AUC ci permette al pz di dare la
dose ottimale, che deve essere superiore alla
concentrazione minima efficace (MCE) e inferiore alla
concentrazione massima tollerata (MCT)

Per paragonare tra loro chemioterapie somministrati a


intervalli di tempo differenti si è introdotto un’unità di
misura di intensità di dose → dose somministrata per
unità di tempo (UT), dove l’unità di tempo considerata
per convenzione è una settimana.
Per aumentare la dose dei chemioterapici si possono incrementare i dosaggi o ridurre gli intervalli tra i cicli.
→ Aumentare la quantità di farmaco chemioterapico aumenta la tossicità e non migliora la sopravvivenza, al
contrario lasciare invariate le quantità di farmaco, ma ridurre l’intervallo tra un ciclo e l’altro, aumentando la
densità, da un beneficio di sopravvivenza.
Quando aumento l’intensità di dose riduco anche il tempo che il midollo ha per riprendersi dalla tossicità del
chemioterapico, per cui in questo caso risulta utile la somministrazione di fattori di crescita:
− Neutropenia: fattore di crescita G-CSF (granulosite colony stimulating factor)
− Anemia: Eritropoietina
− Piastrinopenia: non somministro nulla e attendo fino a che la conta delle piastrine non torni
spontaneamente ad almeno 100.000/mm3. Per prescrivere una terapia oncologica il paziente deve
avere una conta piastrinica non inferiore a 100.000 → per definizione un paziente oncologico non
può essere trattato con trombopoietina perché presenta un rischio maggiore di sviluppare una
trombosi venosa profonda rispetto al soggetto sano, a causa della massa della malattia. Ci sono
patologie che presentano maggiore rischio di TPV rispetto al sano quali per esempio: carcinoma
ovaio, carcinoma polmone, stadi avanzati carcinoma mammella.
Per cui in caso di piastrinopenia devo sospendere la terapia fino a che il pz non ritorno a valori accettabili,
cosa ovviamente che può comportare un rallentamento dell’effetto terapeutico, compromettendo l’intensità
di dose e l’efficacia del trattamento stesso. In questi casi selezionati, a seconda del tempo che il paziente
impiega per ripristinare un emocromo, si decide se vale la pena continuare lo schema, cambiarlo o ridurre la
dose di farmaci del 10-15%.

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GIULIA BARONE

TERAPIE ORMONALI
Furono le prime terapie a bersaglio molecolare; molto importanti se la neoplasia è ormone-dipendente:
• K mammario: SERMS o inibitori aromatasi
• K. prostata: antiandrogeni

I SERMS: Selective Estrogen Recptor Modulators comprendono tamoxifene,


toremifene, raloxifene e si comportano come antagonisti degli estrogeni in
alcuni tessuti (ghiandola mammaria) e come agonisti in altri tessuti (osso, fegato,
sistema cardiovascolare) e da agonisti/antagonisti nell’utero:
➢ Tamoxifene: compete con gli estrogeni per il legame con il recettore per
il quale presenta elevata affinità; legandosi a ER stimola la formazione di
un complesso ER-tamoxifene incapace di attivare la trascrizione e
conseguente blocco della stessa. Ha un’azione agonista a livello uterino,
aumentando il rischio di tumori dell’endometrio.
➢ Toremifene: analogo al tamoxifene in termini di efficacia e tossicità
➢ Raloxifene: sembra privo di effetti sull’utero
Questi farmaci vengono usati nel caso di k. mammario in donne giovani, non in
menopausa, dove la principale fonte di estrogeni sono le ovaie → l’utilizzo di
inibitori delle aromatasi ridurrebbe solo parzialmente la quota di estrogeni e
scatenerebbe un feedback ipofisario che stimolerebbe ulteriormente la produzione di estrogeni ovarici.

Gli inibitori della aromatasi bloccano la sintesi degli estrogeni inibendo l’enzima aromatasi, presente oltre
che nelle cell della granulosa anche in molti altri tessuti, come grasso sottocutaneo, fegato, muscolo, cervello,
ghiandola mammaria normale e tumorale.
La maggior parte degli estrogeni presenti in circolo nelle donne in post-menopausa sono sintetizzati
principalmente dall’aromatasi del grasso sottocutaneo, correlando con l’indice di massa corporea.
➢ Inibitori non-steroidei aromatasi: anastrozolo, letrozolo
➢ Inibitori steroidei aromatasi: exemestano
Vengono utilizzati in k. mammario postmenopausa o talvolta in premenopausa → se ad esempio la donna ha
una predisposizione genetica o acquisita alla trombosi ho controindicazione al tamoxifene, e utilizzerò gli
inibitori dell’aromatasi + agonista LH-RH per bloccare l’asse.
I due effetti collaterali sono ipercolesterolemia e riduzione della densità minerale ossea con rischio di
osteoporosi (per contrastare questi effetti possono associarsi ai bisfosfonati)

Gli antiandrogeni hanno indicazione nella terapia ormonale del k. prostatico → solitamente si usano agonisti
LH-RH associato per il primo mese a un antiandrogeno che è la Bicalutamide, per evitare il fenomeno del
flare-up. Altri antiandrogeni utilizzati sono enzalutamide e l’abiratorone acetato, che non è un
antiandrogeno vero e proprio ma un inibitore della steroidogenesi (inibitore CYP17A).
Effetti collaterali sono: astenia, vampate di calore, cefalea, riduzione della libido, diarrea, ipertensione ed
edemi declivi.

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GIULIA BARONE

FARMACI A BERSAGLIO MOLECOLARE


Sono 2 le categorie di farmaci biologici utilizzati
in oncologia: anticorpi monoclonali e inibitori
delle chinasi.
Gli Ab monoclonali non possono essere
somministrati per os perché verrebbero
degradati dai succhi gastrici, essendo delle
proteine; questi inoltre hanno un’emivita
maggiore e vengono somministrati
settiminalmente, trisettimanalmente o anche
ogni 28 giorni a differenza degli inibitori delle
chinasi che devono essere somministrati
giornalmente o anche più di una volta al giorno.
La diffusione a livello del SNC dipende dalle
dimensioni delle molecole: gli Ab monoclonali
sono delle molecole solitamente grandi,
avendo così una diffusione solo parziale al SNC al contrario di quanto accade con gli inibitori delle chinasi
che vengono, proprio per le loro dimensioni, chiamati anche “piccole molecole” e che presentano quindi una
migliore diffusione encefalica. Gli Ab monoclonali, inoltre, proprio perché di grosse dimensioni non riescono
ad entrare all’interno della cellula e riconoscono solo bersagli extracellulari; mentre gli inibitori della chinasi
riconoscono bersagli sia intra- che extracellulari.

I recettori HER (human epidermal growth-factor receptor) si dividono in quattro classi, ognuna delle quali
riconosce ligandi diversi:
• HER1 (EGFR): ligandi EGF, TGF
• HER2
• HER3
• HER4
Come tutti i recettori chinasici, anche questi presentano un dominio extra-cellulare,
dominio trans-membrana e un dominio intra-cellulare catalitico (tirosin-chinasico). I
recettori attivati dal legame con il ligando si organizzano a formare degli omodimeri o
eterodimeri (HER1/HER2) responsabili della trasduzione intracellulare di segnali pro-
proliferativi, pro-angiogenetici o favorenti la migrazione cellulare.
Un esempio di anticorpo monoclonale è il trastuzumab → si lega alla regione IV del dominio
extracelulare di HER2, riducendo la formazione e l’emivita degli omodimeri HER2/HER2, che
sono quelli che si formano in presenza di un’amplificazione genica del corrispettivo gene
nel k. mammario. Inibisce in questo modo la trasduzione del segnale HER2-dipendente.
Funge anche da mediatore ADCC (antibody – dependent cell citotoxicity), ovvero favorisce
il riconoscimento delle cell bipositive da parte dei globuli bianchi, favorendone in questo
modo la distruzione.
Altro anticorpo monoclonale è il pertuzumab, che lega la regione II di HER2 inibendo la formazione di omo
ed eterodimeri, inibendo così la trasduzione del segnale HER-2 dipendente. Anche questo funge da
mediatore della citotossicità anticorpo-dipendente.
Il Gefitinib, invece, è un inibitore reversibile delle tirosin-chinasi e inibisce l’attività catalitica di EGFR,
inibendo la trasduzione del segnale EGFR-dipendente.

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Altre categorie di farmaci biologici sono:


• “Anticorpi armati”: trastuzumab-emtansina (TDM1) farmaco prescrivibile in seconda linea per il
carcinoma della mammella HER2-metastatico. Si chiama anticorpo armato perché è costituito da 3
componenti: trastuzumba + linker + maitansina (citotossina) → il complesso Ab-citotossina lega
HER2 e il complesso Ab-recettore viene così internalizzato, HER2 viene riciclato sulla superficie
cellulare mentre Ab-citotossina vengono scissi all’interno dei lisosomi per rottura del linker che le
tiene unite, la maitansina viene liberata nel citoplasma e induce la morte delle cell.
• CICLIBs: il ciclo cellulare è regolato fisiologicamente da due gruppi di proteine, le cicline (regolano e
modulano il ciclo cellulare) e CDK (chinasi ciclino-dipendenti, che vengono attivati dall’interazione
con una ciclina e fosforilano uno o più substrati). La presenza degli estrogeni attiva il corrispettivo
recettore, il quale è responsabile
dell’attivazione della ciclina D e delle CDK4
e CDK6, complesso il quale attiverà,
tramite fosforilazione, Rb → questo, in
condizioni normali, interagisce con un
fattore di trascrizione, E2F, impedendone
la migrazione nel nucleo e l’attivazione
della trascrizione → la doppia
fosforilazione di Rb, la prima mediata da
CDK4-6 e la seconda dalla CDK2 (attivata
dalla ciclina E), fa in modo che Rb si stacchi
da E2F e questo possa liberamente
migrare nel nucleo, attivando la
trascrizione dei corrispettivi geni, che
promuovono la progressione del ciclo
cellulare da G1 a S. Fisiologicamente
questo meccanismo è regolato da alcune
proteine: p53 e p21 che bloccano l’attivazione di Ciclina E-CDK2 e il complesso di proteine INK (p15,
p16, p18, p19) che bloccano l’attivazione di CDK4-6 → i geni codificanti per queste proteine sono
nel k. mammario ormono-responsivo tra i più frequentemente mutati. Proprio per questo sono nati
dei farmaci inibitori delle chinasi ciclini-dipendente e sono: palbociclib, ribociclib, abemaciclib →
questi si legano a CDK4 e a CDK6 e ne bloccano l’azione, bloccando così la migrazione nucleare di E2F
e la progressione del ciclo cellulare. I principali effetti collaterali sono neutropenia e diarrea. Questi
farmaci vengono ad oggi utilizzati come farmaci di prima linea nel k. mammario metastatico
ormono-responsivo.
• Inibitori dei meccanismi di riparo del DNA: i meccanismi di riparo del DNA sono di due tipi → riparo
del danno a singolo filamento (Base Excision Repair, con riparo del danno a singola base, Nucleotide
Excision Repair, che ripara danno che coinvolge filamenti lunghi da 2 a 30 nucleotidi, o Mismatch
Repair) o riparo del danno a doppio filamento (ricombinazione omologa o saldatura delle estremità
non omologhe, che riunisce le due estremità della rottura in assenza di una sequenza che possa
fungere da stampo). Nel primo caso, il danno al singolo filamento viene riconosciuto da un enzima
che si chiama PARP (poli-adenil-ribosil-polimerasi), responsabile dell’attivazione del meccanismo di
BER (riparazione per escissione di base). Nel secondo caso, il danno a doppio filamento viene riparato
per ricombinazione omologa (meccanismo ad alta fedeltà) tramite l’azione di BRCA1 e BRCA2, che
riconoscono il danno e promuovano l’assemblamento del complesso proteico necessario alla
riparazione. L’utilizzo di inibitori di PARP, insieme alla chemioterapia, blocca il processo di
riparazione del danno a singolo filamento → questo provocherà un accumulo di danno al DNA, fino
a che il danno non interesserà entrambi i filamenti → se la cell presenta anche mutazione di
BRCA1/BRCA2 l’innesco della ricombinazione omologa sarà fortemente compromesso, portando
inevitabilmente la cellula all’apoptosi. Questi farmaci vengono quindi prescritti nel k. ovarico
BRCA1/BRCA2 mutato, ma anche nel caso di k. pancreas e k. mammario con la stessa mutazione. Il
danno è minore nelle cell sane perché queste presentano ancora una copia di BRCA1/2 funzionante.

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GIULIA BARONE

IMMUNOTERAPIA
Il sistema immunitario può essere rafforzato o stimolato
per attaccare un tumore.
Le cell tumorali solitamente sviluppano delle proprietà in
grado di permetterne l’evasione dal sistema immunitario.

Le cell T vengono solitamente attivate dal


riconoscimento di un antigene espresso dal
MCH delle APC e dalla contemporanea
costimolazione data dalle molecole B7.1 e B7.2
che interagiscono col CD28 sulla superficie del
linfocita.

La risposta immunitaria viene soppressa dall’interazione


di PDL1/2 con il recettore PD-1 (Programmed cell death
protein 1) espresso sulla superficie delle cellule T →
porta allo spegnimento del linfocita T e stop della
produzione di citochine. Si è visto che uno dei principali
meccanismi di evasione immunitaria è l’espressione di
PDL da parte delle cellule tumorali. In ragione di questa
scoperta sono stati ideati degli Ab monoclonati anti-PD1
e anti-PDL1. Tra questi quelli ad oggi approvati per
l’utilizzo sono:
➢ Nivolumab
➢ Pembrolizumab
➢ Atezolizumab
➢ Bevacizumab
➢ Durvalumab
➢ Cemiplimab
Questi vengono utilizzati principalmente nella terapia del melanoma e del carcinoma polmonare e ne hanno
cambiato notevolmente la prognosi.

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GIULIA BARONE

EMERGENZE IN ONCOLOGIA
1. Aumento della pressione endocranica e sindrome convulsiva
La pressione endocranica è data da 3 componenti: parenchima, liquor e sangue.
Un adulto normale ha una pressione
endocranica pari a 10-15 mmHg, si parla di
ipertensione quando > 20 mmHg e di
ipertensione severa quando > 40 mmHg.
Un aumento della pressione può essere dato
da tumori primitivi SNC, metastasi cerebrali,
ascessi o ematomi subdurali o dalla presenza
di una sindrome della vena cava. Le masse
sotto-tentoriali sono quelle più gravi e con
maggiore rischio di mortalità per la
comparsa di ernie cerebellari o cerebello-
mesencefaliche. Segni e sintomi di ipertensione endocranica sono:
• Cefalea
• Papilledema
• Vomito a getto (tipico neurologico) non preceduto da nausea
• Sindrome convulsiva
Questi pazienti hanno bisogno di cure immediate che consistono in:
− Intubazione ed iperventilazione per abbassare la CO2
− Agenti osmotici (mannitolo) + steroidi

2. Compressione midollare
Restringimento del canale vertebrale con compressione delle radici nervose e/o del midollo spinale.
➢ Rachide cervicale: 15%
➢ Rachide dorsale: 60%
➢ Rachide lombo-sacrale: 25%
Può verificarsi a seguito di k. polmone, k.
mammella, k. prostata o neoplasie urogenitali
che possono dare metastasi ossee.
La compressione midollare può essere extra-
midollare, e quindi extradurali o intradurali,
oppure può essere intramidollare ed
intradurale.
Si manifesta tipicamente con:
• Algie dorsali (talvolta evocate)
irresponsive ad analgesici
• Deficit sensoriali e motori
• Disturbi sfinteriali con ritenzione
urinaria
Il trattamento immediato richiede analgesici e
steroidi, seguita ovviamente da una
valutazione specialistica per rimuovere la
massa (neurochirurga o radio-terapica)

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GIULIA BARONE

3. Ipercalcemia
Incremento dei valori di calcio sierico > 14 mg/dl (meglio definita sopra i 10.4 mg/dl)
Si verifica a seguito di k. polmone, k. mammella, neoplasia SNC e k. rene (anche mieloma multiplo)
Il 99% del calcio corporeo è contenuto nell’osso. Il 40% del calcio ematico totale è legato alle proteine
plasmatiche, soprattutto all’albumina; il restante 60% comprende la quota ionizzante e quella chelata con
il fosfato e il citrato. Il legame con l’albumina è influenzato dal pH plasmatico: la quota di calcio legata
all’albumina diminuisce in presenza di riduzioni del pH plasmatico.
Fondamentale è la correzione dei valori di calcemia per i valori di albuminemia
Calcemia corretta = Ca++ (mg/dl) + 0.8 x (albumina normale – albumina sierica)
Si manifesta con:
• Sonnolenza, confusione mentale, letargia fino al coma
• Vomito, nausea, anoressia, stipsi e ileo paralitico, pancreatite
• Disidratazione per aumentata calciuria
Il trattamento si basa sull’idratazione, bisfosfonati (aicdo zoledronico) e steroidi (solo se la terapia con
idratazione e bisfosfonati non sortisce effetto).
4. Ostruzione vie urinarie
Ostruzione prossimale o distale delle vie urinarie, che può essere data da neoplasie retroperitoneali
(liposarcoma, leiomiosarcoma) o delle vie urinarie.
Si manifesta con algie al fianco destro o sinistro, con anuria alternata a poliuria e incremento delle sostanze
azotate e creatininemia.
Nel caso di ostruzione prossimale si effettua una nefrostomia percutanea o apposizione di stent ureterali;
se l’ostruzione è distale si effettua un cateterismo vescicale.
5. Sindrome della vena cava
Ostruzione parziale o totale del flusso di ritorno da capo, collo e/o arti superiori con conseguente
congestione venosa. L’ostruzione può essere:
• Al di sopra della giunzione con la vena
azygos → in questo caso si manifesta con
congestione del circolo venoso di collo e arti
superiori, con conseguente edema di collo,
faccia e braccia (edema a mantellina);
congestione delle mucose (soprattutto visibile
al cavo orale) e comparsa di circoli venosi
superficiali a livello toracico
• Al di sotto (distalmente) alla giunzione con
la vena azygos → sintomi più severi; circoli
collaterali superficiali molto evidenti sia sulla
faccia anteriore che posteriore del torace e
dell’addome, con flusso retrogrado verso la vena
cava inferiore.
Questa sintomatologia può essere data da un k.
polmonare (spesso SCLC), linfoma NH.
La terapia consiste nella riduzione della massa, con radioterapia o chemioterapia o entrambe, a seconda
di quale sia la massa responsabile. In presenza di un rischio di trombosi è indispensabile il posizionamento
di uno stent venoso.
6. Tamponamento cardiaco
Accumulo (acuto o cronico) di liquido (> 200 ml) contenente cellule neoplastiche nel pericardio.
Si verifica in caso di k. mammario, k. polmone, linfomi o melanomi.
Si manifesta con:
• Ansia, dolore retrosternale e dispnea
• Tosse occasionale e nausea
Il trattamento prevede una pericardiocentesi con instillazione locale di chemioterapici; associato a terapia
della neoplasia primitiva.

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GIULIA BARONE

NEOPLASIE POLMONARI
Tra le neoplasie che colpiscono l’uomo, il tumore del polmone occupa il primo posto per mortalità.
L’incidenza aumenta con l’età, insorgendo generalmente tra le sesta e l’ottava decade.
Il fumo di sigaretta è il principale fattore di rischio per lo sviluppo del tumore polmonare, essendo
responsabile del 90% dei casi nell’uomo e dell’80% dei casi nella donna → il fumo passivo aumenta il rischio
di circa il 20-50%, a seconda delle casistiche, i fumatori hanno un rischio 14 volte maggiore di superiore un
k polmonare rispetto ai non fumatori di pari età, mentre i forti fumatori (> 30 pacchetti-anno) hanno un
rischio circa 20 volte maggiore rispetto ai non fumatori di parti: il rischio fumo-correlato è direttamente
proporzionale al numero di sigarette fumate e alla durata in anni dell’esposizione e può essere quantificato
con una misura definita pack-years data dal numero di sigarette fumate al giorno (diviso 20) per il numero
di anni di fumo. Fino ad un paio di anni fa si riteneva che dopo 10-15 anni di astensione dal fumo di
sigaretta il rischio di sviluppare un tumore polmonare diventasse sovrapponibile a quello della popolazione
normale; recenti dati invece sembrerebbero smentire ciò, per cui il rischio potrebbe rimanere comunque
incrementato nei fumatori e soprattutto nei forti fumatori, anche a distanza di 20 anni dalla cessazione del
fumo. Altri fattori di rischio sono l’esposizione a radiazioni ionizzanti, a inquinanti ambientali ed
esposizione professionali a polveri, come arsenico e asbesto.
Uno studio su più di 53.000 soggetti ad alto rischio (> 30 pacchetti-anno) ha portato all’approvazione, negli
USA, di una metodica di screening per il carcinoma polmonare → nello studio si sono messi a confronto la
capacità di diagnosticare tumori polmonari in stadio precoce degli esami TC e RX, con la messa in evidenza
di una netta migliore capacità della TC rispetto all’RX (Stadio I: 158 vs 70) → ne segue l’approvazione di
uno screening TC solo in pz ad alto rischio (> 30 pacchetti-anno)
Dal punto di vista istologico più del 95% dei carcinomi polmonari è riconducibile a quattro istotipi principali,
raggruppabili in 2 macro-gruppi → NSCL (80%): tumore polmonare non a piccole cellule, che comprende
adenocarcinoma, carcinoma squamoso e carcinoma a grandi cellule, i quali prendono origine da cellule
epiteliali dell’albero bronchiale; SLCL 20%: tumore polmonare a piccole cellule o microcitoma, che origina
da cellule neuroendocrine disposte lungo l’albero bronchiale e comprende la variante classica e i carcinoidi.
• Adenocarcinoma: forma più frequente (60%), localizzazione periferica, presenta come principale
marcatore sierico il CEA che è presente nel 75% dei tumori ed è utilizzato per la valutazione della
risposta alla terapia e per il monitoraggio di eventuali recidive. Prognosi spesso infausta per
diagnosi tardiva. Forma lepidica prognosi migliore, con sopravvivenza dell’85% a 5 anni dopo
intervento chirurgico radicale.
• Carcinoma squamoso: secondo istotipo in ordine di frequenza (30%), nei 2/3 dei casi a
localizzazione centrale → sintomi principali sono tosse stizzosa, associata talvolta ad emoftoe.
Rispetto ad altri istotipi ha una crescita più lenta e tende a metastatizzare più tardivamente
• Carcinoma a grandi cellule: raro (10%), è un tumore scarsamente differenziato o anaplastico,
caratterizzato da aggressività biologica con spiccata tendenza a metastatizzare precocemente sia
per via linfatica che per via ematica. Sopravvivenza inferiore ad adenocarcinoma e k. squamoso.
• Carcinoma a piccole cellule o microcitoma: tumore epiteliale maligno costituito da cell che
esprimono nella maggior parte marcatori neuroendocrini; è più frequente nei M e nei forti
fumatori con un rischio di 100 volte maggiore in quelli con pack-years > 30. Nell’80-95% è a
localizzazione centrale. La clinica è caratterizzata dalla rapida insorgenza di segni e sintomi
correlati alla crescita intratoracica, alla diffusione metastatica e alle sindromi paraneoplastiche
che si associano frequentemente (iponatriemia, s. di Cushing, s. miastenica di Lambert-Eaton) →
si caratterizza per
aggressività
biologica e diffusione
metastatica precoce.
Marker: enolasi
neurono-specifica.

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GIULIA BARONE

Il tumore polmonare origina dall’epitelio bronchiale nel 90% dei casi → carcinoma broncogeno.
In base alla localizzazione si divide in:
➢ Centrale: si localizza nel “terzo centrale” del polmone ed è in stretto rapporto con i bronchi
principali, lobari o segmentari. Sottotipo più frequente squamoso e microcitoma. La
sintomatologia delle forme centrali è solitamente precoce, caratterizzata da tosse, emoftoe,
emottisi e dispnea per atelettasia delle aree polmonari a valle della neoplasia → l’atelettasia può
evolvere in processi broncopneumotici recidivanti.
➢ Periferico: si colloca nei due terzi esterni del polmone. Sottotipo più frequente adenocarcinoma.
La sintomatologia è spesso tardiva, caratterizzata da dolore toracico localizzato per
interessamento infiltrativo della pleura parietale, o riferibile a un processo broncopneumotico
per ascessualizzazione del tumore.

Classificazione patologica:
Comprende la valutazione di parametri aggiuntivi che integrano le informazioni morfologiche del patologo
→ molteplici alterazioni molecolari sono importanti per eventuali implicazioni diagnostico-terapeutiche.
• K-RAS: 20-30% carcinoma non squamoso
• EGFR: 10-15% carcinoma non squamoso
• ALK: 5% carcinoma non squamoso
• ROS1: <2% carcinoma non squamoso

L’alterazione più frequente terapeuticamente


perseguibile è la mutazione di EGFR → provoca
un’attivazione costituzionale del recettore,
ligando-indipendente.

L’inversione/fusione ALK (ALK = anaplastic


lymphoma kinase, perché il gene che codifica per
questa proteina è stata inizialmente identificato
nel linfoma anaplastico) è la seconda alterazione
in ordine di frequenza terapeuticamente
perseguibile. Si verifica per un’inversione sullo
stesso cromosoma (Chr. 2) tra il gene ALK e il gene EML4, con formazione di un gene di fusione EML4/ALK
che attiva costitutivamente l’attività tirosin-chinasica di ALK.

QUADRO CLINICO:
L’80% dei pz con tumore polmonare presenta sintomi al momento della diagnosi; solo gli stadi precoci,
associati anche ad una prognosi migliore, sono più frequentemente asintomatici.
Il quadro clinico di presentazione è estremamente variabile, i segni e sintomi possono dipendere da:
▪ Invasione strutture contigue (disfagia e disfonia da infiltrazione n. ricorrente)
▪ Diffusione linfatica locoregionale
▪ Diffusione metastatica a distanza
▪ Sindromi paraneoplastiche (SIADH e Cushing)
Tosse e dispnea sono i sintomi più frequenti, seguiti da dolore toracico, calo ponderale, anoressia e
astenia.
➢ Se localizzazione centrale prevalgono tosse, emoftoe, dispnea e febbre, soprattutto in presenza di
complicanze broncopneumotiche
➢ In caso di localizzazione periferica il pz ha tipicamente sintomi come tosse irritativa, dispnea,
dolore toracico persistente, profondo o costrittivo da infiltrazione pleurica; talora si può avere la
comparsa di un versamento pleurico o talora febbre da ascessualizzazione del tumore
Negli stadi più avanzati possono comparire dita a bacchetta di tamburo e unghie a vetrino d’orologio.

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GIULIA BARONE

Sindromi e condizioni cliniche specifiche che possono associarsi sono:


➢ Sindrome di Bernard-Horner: miosi, enoftalmo, ptosi palpebrale e anidrosi dell’emivolto; dovuta
ad infiltrazione del ganglio stellato (tronco del sistema nervoso simpatico cervicale)
➢ Sindrome di Pancoast: associata a tumore del solco superiore ( = all’estremo prossimale di uno dei
lobi superiori → tumore di Pancoast), si caratterizza per infiltrazione del plesso brachiale, coste e
vertebre adiacenti → si presenta con dolore nevritico spesso intollerabile, parestesie, deficit
funzionali e atrofia dei m. dell’arto superiore omolaterale. Può associarsi, inoltre, a sindrome di
Bernard-Horner e ad un rigonfiamento dell’arto superiore per ostacolo allo scarico venoso. Può
venire ad essere compresso anche il n. laringeo ricorrente, con voce rauca e tosse.
➢ Sindrome della vena cava superiore: contraddistinta da edema della testa, del collo, della porzione
superiore del tronco e degli arti superiori (edema a mantellina), da sensazione di pesantezza e, più
tardivamente, da circoli venosi collaterali a livello cervico-toracico → peggiorano in clinostatismo.
È presente un aumentato rischio trombotico della v. cava superiore per compressione e/o
infiltrazione della stessa da parte della neoplasia polmonare o delle MTS linfonodali.
DIAGNOSI:
Il rilievo radiologico di un tumore polmonare può far seguito a tre situazioni principali:
- può trattarsi di un’assoluta sorpresa in un esame radiografico del torace effettuato per altro motivo
in soggetto asintomatico: il reperto più frequente è in questi casi un’opacità nodulare solitaria
periferica, impropriamente detta «lesione a moneta»;
- può trattarsi di un rilievo di prima istanza in soggetto sintomatico
- può trattarsi, infine, di un’evoluzione radiologicamente inattesa di una polmonite già sotto
controllo: comparsa di adenopatia satellite; atelettasia di un segmento o di un lobo; comparsa di un
versamento pleurico senza deviazione controlaterale del mediastino; mancata risoluzione nei tempi
attesi; ripetute recidive nella stessa sede
→ elementi che fanno sospettare una lesione maligna sono: carattere evolutivo con incremento
dimensionale; diametro > 6 mm; margini irregolari; presenza di strie di raccordo con la pleura parietale;
enhancement contrastografico; presenza di linfoadenopatie ilo-mediastiniche con diametro assiale > 1 cm;
presenza di versamento pleurico omolaterale.
La diagnosi cito-istologica è essenziale per definire la natura della lesione → il tipo di tecnica da utilizzare
dipende dalla localizzazione centrale o periferica e dalle comorbidità del pz.
- Esame citologico su espettorato: sensibilità diagnostica variabile in base al n. di campioni esaminati,
localizzazione tumore e grado di esfoliazione. < 1% falsi positivi
- Fibrobroncoscopia flessibile: esplorazione fino ai bronchi di 4° ordine; consente prelievo citologico
e istologico tramite tecniche di lavaggio bronchiale, spazzolato bronchiale (brushing), biopsia
endobronchiale, agoaspirato transbronchiale e biopsia endoscopica trasnbronchiale eco-guidata.
Procedura di scelta in caso di localizzazione centrale del tumore.
- Agoaspirato e agobiopsia transcutanea: di scelta in caso di localizzazioni periferiche. Si complica con
emorragie e pneumotorace nel 15-20% dei casi.
Fondamentale per definire trattamento-prognosi del paziente, è stadiare la neoplasia, con individuazione di:
▪ Estensione del tumore (T) → indagini di riferimento sono TC e in casi selezionati la RM → in caso di
tumori che invadono parete toracica e mediastino, particolarmente utile nel tumore di Pancoast.
▪ Presenza di MTS linfonodali (N) → TC e RM consentono una dettagliata valutazione anatomica delle
stazioni linfonodali del mediastino (v. fig. 16.2), ma, basandosi prevalentemente sul criterio
dimensionale, non consentono un’identificazione certa delle metastasi, dimostrando nella maggior
parte delle casistiche sensibilità e specificità variabili dal 60% al 70%. Accuratezza diagnostica
superiore al 90% è ottenibile ricorrendo alla PET con [18F]FDG.
▪ Presenza di MTS a distanza (M) → TC encefalo, torace e addome permette di La ricerca di MTS a distanza
dovrebbe comunque essere
valutare l’eventuale presenza di MTS. La RM ha una valenza maggiore nelle MTS
riservata a:
encefaliche. L’ecografia può essere utilizzata in alternativa alla TC addominale
- Pazienti con sintomi
per la ricerca di MTS epatiche. La PET presenta anche in questo caso la massima riferibili a malattia
sensibilità e specificità in tutte le sedi (a eccezione dell’encefalo ove la RM si d’organo (es cefalea) o
dimostra più accurata). malattia sistemica
(anoressia e calo
ponderale)
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- Pazienti con malattia
metastatica ai linfonodi
GIULIA BARONE

Algoritmo diagnostico:
1. TC TORACE: vediamo il nodulo polmonare
2. BIOPSIA: conferma che è un k. polmonare
3. PET: ricerca MTS a distanza e linfonodali
4. TC ENCEFALO: le MTS encefaliche non vengono visualizzate alla
PET

L’ecografia endobronchiale viene effettuata solo quando vi è necessità di


stadiare tramite campionamento uno o più linfonodi per la presenza di una
captazione di difficile interpretazione alla PET → se il linfonodo è in sede
peribronchiale sotto guida ecografica si può fare il campionamento.

STADIO I: T1-2aN0M0 (si divide in stadio


IA1, IA2, IA3, IB in maniera progressiva da
T1ami-T1a fino a T2a) → sopravvivenza a 5
anni 90-73%

STADIO IIA: T2BN0M0


STADIO IIB: T1-2N1M0 o T3N0M0
Sopravvivenza a 5 anni 65-56%

STADIO IIIA: T1-2N2M0 o T3N1M0 o


T4N0-1M0
STADIO IIIB: T1-2N3M0 o T3-4N2M0
STADIO IIIC: T3-4N3M0
Sopravvivenza a 5 anni 41-12%

STADIO IV: qTqNM1


Sopravvivenza a 5 anni 0%

La chirurgia con intento radicale è il


trattamento di scelta in grado di ottenere
una guarigione completa o di migliorare
significativamente la prognosi dei pz con
malattia in stadio precoce. Una resezione
non radicale si associa a sopravvivenza
sovrapponibile a quella dei pz non operati.
L’intervento chirurgico è da proporre nei casi
di NSCLC in stadio I (T1N0M0), II (T2-N0/1 o
T3N0M0) e in alcuni pz selezionati in stadio
IIIA/IIIB (T1-T3, N2 singola stazione, non-
bulky). I criteri di operabilità comprendono:
- Operabilità biologica: prospettiva di
radicalità in relazione allo stadio
- Operabilità anatomica: minor volume di resezione possibile, atto ad ottenere la radicalità
- Operabilità funzionale: capacità respiratoria predetta dopo intervento radicale, che garantisca
sufficiente funzionalità respiratoria
L’approccio chirurgico standard consiste in una lobectomia associata a linfoadenectomia ilo-mediastinica.
Nei casi in cui la lobectomia non sia possibile o in casi di un significativo sconfinamento trans-scissurale è
indicata la pneumonectomia, se fattibile funzionalmente (l’intervento deve essere preceduto da una
scintigrafia ventilo-perfusiva per calcolare la massa di polmone sana residua). Un trattamento ancora più
conservativo è la resezione cuneiforme, applicabile solo in tumori molto piccoli.
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GIULIA BARONE

Nel caso di T1-T2N0 inoperabile per


controindicazioni mediche il trattamento
stereotassico dovrebbe essere proposto
come terapia di prima istanza.

Chemioterapia adiuvante a base di


cisplatino:
- Non prendere in considerazione in
caso di NSCLC radicalmente operato
in stadio I
- Prendere in considerazione come
opzione di prima scelta in caso di
NSCL radicalmente operato in stadio
II-IIIA (T1/2-N2)

Il trattamento della malattia localmente


avanzata (IIIA = T3-T4N1; T1-T2N2 o IIIB= T3-
T4N2; T1-T2N3) è complesso e dipende
dall’estensione del tumore primario, dal
livello di interessamento linfonodale e dal
grado di risposta ad eventuali terapie di
induzione.
➢ Trattamento dei pz N1 può essere
assimilato a quello degli stadi
precoci
➢ I pazienti con N2 sono definiti
resecabili in presenza di T1-T3 con
interessamento metastatico di una
singola stazione mediastinica, non bulky (bulky = massa mediastinica il cui diametro è > di un terzo
del diametro trasverso del torace calcolato all’altezza della quinta o sesta vertebra dorsale ad una
radiografia del torace standard oppure massa linfonodale di dimensioni > 10 cm). In questo caso
può essere effettuato chirurgia + chemio adiuvante; chemio neoadiuvante + chirurgia; chemio-
radio neoadiuvante + chirurgia. In caso di N2 non resecabile è indicata chemio-radio a dosi radicali
e in alcuni casi il downstaging può permettere un’indicazione chirurgica.
La radioterapia post-operatoria adiuvante è indicata nei casi in cui il coinvolgimento dei linfonodi
mediastinici emerge in fase post-operatoria.
➢ Trattamento dei pz N3 assimilabile a quelli IIIC (T3-T4N3) → in questi casi il trattamento può
comprendere un trattamento chemio-radioterapico. In questi casi va anche valutata l’espressione
di fattori molecolari che possono indirizzare verso un trattamento più specifico (PDL-1; ALK; ROS1;
EGFR)
I pazienti in stadio IIIB-IIIC non dovrebbero mai essere sottoposti a chirurgia in prima battuta, perché non
sono passibili di intervento chirurgico oncologicamente radicabile, per cui va fatto un trattamento
primario con chemioterapia, chemioterapia e immunoterapia o con farmaci a bersaglio molecolare.
Stesso discorso può essere effettuato per lo stadio IV.
Se il pz con stadio IIIB-IIIC subisce una regressione del tumore a seguito del trattamento primario
(regredisce a stadio IIIA o II) allora può essere effettuato un trattamento chirurgico.

La chemioterapia viene effettuata come adiuvante nello stadio II e come citoriduttiva nello stadio IIB-IIIC,
si compone di un composto di coordinazione del platino (cisplatino o carboplatino) associato a
pemetrexed, tassani, gemcitabina o vinorelbina. La chemio è critica per la gestione dei pz con stadio IV.

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GIULIA BARONE

Nel caso di carcinoma non squamoso (adenocarcinoma o carcinoma a grandi cellule) in stadio IIIB-C/IV si
misura la presenza di alterazioni molecolari sulle cellule neoplastiche, cosa che determina la possibilità di
utilizzare dei farmaci a bersagli molecolari specifici:
➢ Mutazioni EGFR → osimertinib (inibitore reversibile EGFR 3° generazione), erlotinib, gefitinib
(inibitori reversibili EGFR 1° generazione) si legano al recettore mutato e ne bloccano l’azione
➢ Inversione ALK → alectinib, crizotinib
➢ Traslocazioni e amplificazioni che interessano ROS-MET → crizotinib
Se non presenta una di queste mutazioni, si ricerca l’espressione di PDL1:
− Se questo è espresso in più del 50% della massa neoplastica → pembrolizumab senza chemio
− Se non ci sono né le alterazioni sopra citate né l’espressione di PDL1 > 50% → combinazione
chemioterapia + pembrolizumab

Nel caso di carcinoma squamoso stadio IIIB-C/IV si misura in prima battuta il PDL1:
− Se è espresso > 50% → pembrolizumab
− Se non c’è alta espressione → chemioterapia

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GIULIA BARONE

SCLC: STADIAZIONE
• Malattia Limitata (30-40%): neoplasia limitata ad un solo polmone con possibile interessamento
linfonodale omolaterale → sopravvivenza a 2 anni < 30%
• Malattia estesa (60-70%): neoplasia estesa ad entrambi i polmoni o con metastasi a distanza →
sopravvivenza a 2 anni < 10%
In caso di malattia limitata, un approccio multimodale includente la chirurgia può essere presa in
considerazione solo in casi selezionali in stadio limitato (T1-T2N0); in tutti gli altri casi è indicato un
trattamento chemio-radioterapico a dosi radicali → trattamento di prima scelta; se il pz risponde può essere
indicata a seguito una irradiazione profilattica dell’encefalo (PCI).
Nei casi di malattia estesa è indicato un trattamento chemioterapico di prima linea con cisplatino, etoposide
e atezolizumab. Se in risposta con chemio, considerare PCI. (nei pz con malattia estesa la radioterapia può
essere presa in considerazione in pz con un buon performance status)
Il tumore spesso risponde bene a chemio e radio, ma recidiva frequentemente (dopo 3-4 mesi)

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GIULIA BARONE

NEOPLASIE COLON-RETTO
I carcinomi del colon sono neoplasie originate prevalentemente da cellule epiteliali che rivestono il colon; i
carcinomi del retto sono neoplasie originate prevalentemente da cellule epiteliali che rivestono il retto.
La distinzione tra queste due forme è critica nel caso di un pz che deve fare un trattamento adiuvante, mentre
diventa irrilevante se il pz è metastatico o se c’è una recidiva a distanza di tempo.

EPIDEMIOLOGIA:
Secondo tumore maligno per incidenza e mortalità in Italia. Nel 2019 si è registrato una prevalenza di 49.000
e una mortalità di 19.971. Raro prima dei 40 anni, più frequente dopo i 60 anni, con un picco intorno ai 70-
80 anni; colpisce in egual misura entrambi i sessi → ad oggi però sembra sempre più frequente il riscontro
anche in soggetti giovani, sotto i 40 anni d’età.
Negli ultimi anni si è osservato un aumento dell’incidenza, ma associato ad una riduzione della mortalità
grazie alla diagnosi precoce e ai miglioramenti terapeutici → ad oggi l’età non è più un fattore d’esclusione
per l’intervento chirurgico.
Nel 75% dei casi si localizza a carico del colon sn ed è così distribuito:
− 5% a livello della flessura sn del colon
− 5% a livello del colon discendente
− 65% a carico del sigma-retto
Nel 20% si localizza a carico del colon ascendente e nel restante 5% a carico del colon trasverso.

Fattori di rischio:
70-80% dei casi sono sporadici → nella sua patogenesi hanno un ruolo decisamente maggiore l’influenza dei
fattori ambientali: dieta ricca di grassi, obesità, fumo e alcol, mancata attività fisica e malattie predisponenti
(colelitiasi e diabete)
▪ Dieta povera di fibre e ricca di grassi → le fibre, promuovendo un più rapido svuotamento intestinale
e legando le sostanze potenzialmente cancerogene, ridurrebbero la durata del contatto tra queste e
la mucosa; sperimentalmente si è osservato che un più elevato consumo di grassi indurrebbe,
attraverso l’aumento della secrezione degli acidi biliari, una più intensa proliferazione cellulare della
mucosa colica
10-30% è familiare (= si presenta con frequenza di 2-3 volte maggiore rispetto a quella della popolazione
generale) → fattori ambientali predisponenti, mutazioni di singoli geni (APC, MSH2, MLH1, PMS1-2) ed
eredità poligenica hanno un’uguale importanza patogenetica
1-5% è associato a HNPCC e FAP → le mutazioni di singoli geni hanno un ruolo maggiore nella carcinogenesi
▪ Poliposi familiare: malattia autosomica dominante in cui ≥ 100 polipi adenomatosi tappezzano il
colon e il retto; causata dalla mutazione del gene APC (oncosoppressore), la cui proteina agisce nella
via di segnalazione di WNT (fattore di crescita) e sulla regolazione della β-catenina.
▪ I polipi non sono presenti alla nascita ma compaiono nell’adolescenza e spesso superano il numero
di mille → svilupperanno il cancro prima dei 40 anni → il trattamento consiste in una
proctocolectomia profilattica laparoscopica [altri casi in cui si opta per chirurgia profilattica è il BRCA1
nella mammella, ed il K midollare della tiroide familiare]. I pazienti possono sviluppare anche diverse
manifestazioni extracoliche: sindrome di Garden se associata a lipomi, osteomi, fibromi, tumori
desmoidi del mesentere e della parete addominale; sindrome di Turcot se associata a tumori
cerebrali (medulloblastomi e glioblastomi).
▪ Sindrome di Peutz-Jeghers: rara sindrome AD associata alla mutazione di STK11 caratterizzata dalla
presenza di multipli polipi amartomatosi che possono interessare tutto il tratto grastrointestinale,
ma prevalentemente colon e retto, e iperpigmentazione della cute e mucosa del cavo orale
▪ HNPCC o sindrome di Lynch: mutazione dei geni di mismatch repair che porta ad un aumentato
rischio di CCR, oltre che di altre neoplasie come mammella, ovaio, stomaco, pelle, tratto urinario,
SNC, piccolo intestino e fegato (Lynch II)
→ con sindromi genetiche lo screening (sangue occulto nelle feci) viene anticipato ai 20 anni con cadenza
annuale, da integrare in caso con uno studio genetico della famiglia.

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GIULIA BARONE

▪ MICI: la degenerazione neoplastica della RCU avviene nel 7-9% dei casi, soprattutto se la malattia è
precoce, grave, estesa e di lunga durata. Il lasso di tempo prima che insorga un tumore
dall’insorgenza della MICI è di circa 10 anni → va anticipato l’intervallo di screening.
Anche il morbo di Chron può predisporre alla neoplasia quando a localizzazione colica.
▪ Irradiazione pelvi
▪ Pregresse patologie neoplastiche: pregresso carcinoma o adenoma del colon-retto o neoplasie
primitive di ovaio, mammella ed endometrio
Altro fattore di rischio è ovviamente la presenza di polipi tubulari o tubulo-villosi di diametro > 2 cm → i
polipi adenomatosi sono lesioni precancerose. Possono essere:
• Tubulari
• Villosi: solitamente più grossi
• Tubulo-villosi
Il fenomeno degenerativo in senso maligno è di più comune
riscontro negli adenomi villosi e in quelli tubulo-villosi e
nelle lesioni multiple e di maggiori dimensioni → il rischio
di malignità di un polipo adenomatoso dipende da
dimensioni, tipo istologico e grado della displasia: adenoma
tubulare di diametro di 1.5 cm ha un rischio di malignità del
2% vs un rischio del 35% degli adenomi villosi di 3 cm.

Lo screening per il carcinoma colon-retto è consigliato a tutti i soggetti di età maggiore di 50 anni:
➢ Sangue occulto delle feci ogni 2 anni → se il test è positivo deve essere indagato
➢ Retto-sigmoidoscopia ogni 5 anni
➢ Pan-colonscopia ogni 10 anni
Soggetti con familiarità, polipectomia e FAP devono essere monitorati più frequentemente.

La sintomatologia varia a seconda dell’estensione e della sede occupata dalla neoplasia, condizione da
attribuire, da un lato, alle differenti peculiarità morfologiche della neoplasia nelle diverse localizzazioni e,
dall’altro, alle caratteristiche anatomiche e funzionali del settore interessato.
→ COLON DESTRO: calibro maggiore e feci liquide = diagnosi tardiva con stillicidio ematico. Le lesioni
sono tipicamente vegetanti, spesso di grosse dimensioni e talora ulcerate e facilmente sanguinanti.
➢ Anemia secondaria alla cronica e costante perdita ematica dalla superficie neoplastica, con rara
evidenza macroscopica del sangue nelle feci (< 20%) in quanto esso, mescolandosi con il
contenuto intestinale non risulta obiettivabile (sangue occulto)
➢ Dolore di tipo gravativo subcontinuo, localizzato nei quadranti addominali di destra
➢ Astenia riconducibile all’anemizzazione
➢ Massa palpabile che è indice di malattia avanzate
➢ Anoressia e dimagrimento, espressioni generiche di un tumore per troppo tempo rimasto
sconosciuto
I sintomi sono spesso vaghi e aspecifici, tali da essere facilmente trascurati sia dal pz che dal medico

→ COLON SINISTRO: calibro ristretto e feci più formate = diagnosi precoce con quadro subocclusivo. I
tumori sono spesso di tipo anulare infiltrante.
➢ Modificazione dell’alvo caratterizzate da stipsi o diarrea, spesso dall’alternanza dei due (alvo
alterno). Il materiale evacuato è più o meno abbondante ed è misto a muco e sangue
➢ Presenza di sangue nelle feci talora anche in quantità abbondanti (rettorragia)
➢ Dolore addominale spesso intermittente di intensità variabile e localizzato ai quadranti sn,
correlabile alle contrazioni vivaci del colon a monte di una stenosi volte a far procedere il
materiale gassoso e fecale

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GIULIA BARONE

→ RETTO: dimensioni cospicue, specie nella porzione ampollare che costituisce la maggior parte del
viscere e funge da serbatoio per le feci solide. Neoplasie prevalentemente vegetanti ed ulcerate,
facilmente sanguinanti.
➢ Sovrampollare: sintomatologia sovrapponibile a colon sn
➢ Ampollari:
- Tenesmo: spiacevole sensazione, persistente, di incompleto svuotamento rettale, con
senso di peso e di corpo estraneo, talora con dolore gravativo
- Rettorragia: emissione di sangue rosso vivo anche in grande quantità, durante e dopo la
defecazione o indipendentemente da essa, concomita solitamente anche mucorrea
➢ Sottoampollari: rapida evoluzione verso la stenosi
- Dolore perianale e perineale, che si accentua durante defecazione
- Evacuazione di feci nastriformi, mista a sangue e muco
- Tenesmo imponente
NB: diagnosi differenziale con le emorroidi sanguinanti che possono tuttavia coesistere con il carcinoma →
il riscontro di sangue nelle feci o la vera e propria rettorragia non va mai sottovalutata.

A volte il CCR può esordire con sintomi di una complicanza:


➢ Ileo meccanico: frequente nelle localizzazioni di sn e principalmente nella flessura splenica
➢ Perforazione: a livello della neoplasia per fenomeni necrotici o nell’ansa a monte per
sovradistensione e successiva fissurazione (colon dx e cieco) con peritonite locale o diffusa

DIAGNOSI:
• Esplorazione digito-anorettale: tumefazione di consistenza dura, superficie irregolare, limiti
indistinti. (30-40% è localizzato al retto)
• Pancolonscopia: esame gold standard, si associa a biopsia dell’eventuale lesione riscontrata
• Clisma opaco: più spesso come esame complementare alla colonscopia, talvolta come alternativa.
Il segno di maggiore rilievo è un difetto di riempimento:
− Difetto marginale = lesione vegetante
− Difetto circonferenziale = forme stenosanti → aspetto “a torsolo di mela”
• Ecografia e TC addome: per documentare eventuali MTS, spesso epatiche
• RX e TC toracica: in sospetto di MTS polmonari (v. emorroidarie inferiori drenano in cava inf.)
• Ecografia endorettale: elevata specificità e sensibilità nel determinare l’estensione della malattia.
Nel caso di carcinoma del colon si può fare solo una RX torace, nel caso del k. del retto è necessario fare
una TC torace, per la maggiore probabilità di MTS polmonari.
• nel contesto della parete rettale, del mesoretto, degli organi e strutture limitrofe (prostata,
vescica, vescichette seminali, vagina, utero, canale anale) e dei linfonodi mesorettali
• RM: fondamentale per valutare infiltrazione del mesoretto e invasione linfonodale
• CEA e CA 19.9: marker tumorali utili nel follow-up postoperatorio → il CEA ha un ruolo importante
per valutare la gravità della malattia, nel monitoraggio della risposta alla chemioterapia o per
verificare la ripresa della malattia. Valori di riferimento normali sono 0-2,5/3 ng/ml (fumatori
valori più elevati)

Anche in questo caso è fondamentale indagare sulla biologia molecolare del carcinoma:
• K-RAS: mutato nel 45%
• N-RAS: mutato in < 10%
• B-RAF: mutato nel 10%
Queste mutazioni sono mutualmente esclusive e si verificano nel 55-60% dei pz.

30
GIULIA BARONE

La distinzione tra i tumori del colon destro e del colon sinistro non è solo anatomica, ma ha delle
ripercussioni biologiche e prognostiche.

La maggior parte dei pz con k. colon dx è anziana e una cospicua parte di queste neoplasie sono mucinose,
con prognosi peggiore per la scarsa risposta alla chemioterapia; inoltre sono molto più frequenti le
mutazioni di BRAF e l’instabilità microsatellitare (i microsatelliti sono delle sequenze di ripetizione del DNA,
importanti perché la loro elevata mutazione può portare alla formazione di neoantigeni). Le neoplasie del
colon sx sono invece più frequenti nei pz giovani e hanno prognosi migliore, proprio in ragione delle
differenti caratteristiche biologiche: le mutazioni di KRAS e NRAS sono più frequenti.

STADIAZIONE
STADIO I: T1-2N0M0
sopravvivenza a 5 anni del 74%

STADIO IIa: T3N0M0


STADIO IIb: T4a (tumore che
invade il peritoneo) N0M0
STADIO IIIc: T4b (tumore che
invade altri organi o strutture)
N0M0
Sopravvivenza a 5 anni 54%

STADIO IIIa: T1-2N1M0 o


T1N2aM0
STADIO IIIb: T3-4aN1M0 o
T2-3N2aM0 o T1-2N2bM0
STADIO IIIc: T4aN2aM0 o
T3-4N2bM0 o T4bN1-2M0
Sopravvivenza a 5 anni del 49%

STADIO IV: qTqNM1


Sopravvivenza a 5 anni del 6%

31
GIULIA BARONE

TRATTAMENTO:
1. CARCINOMA DEL COLON
La chirurgia rappresenta la principale opzione terapeutica con intento curativo delle neoplasie del colon e
dovrebbe essere eseguita nel minor tempo possibile dalla diagnosi. L’intervento deve rispettare i criteri di
radicalità oncologica:
− Il tumore deve essere rimosso integro con una sezione di almeno 2 cm dai margini macroscopici
prossimale e distale del tumore; il peduncolo vascolare deve essere legato alla sua origine
− Deve essere eseguita la dissezione linfonodale regionale fino all’origine del peduncolo vascolare
primario (deve comprendere almeno 12 linfonodi)
− La radicalità deve essere confermata sia dall’assenza di residui evidenti macroscopicamente, sia
dal successivo esame istologico che evidenzia margini liberi da neoplasia

L’intervento chirurgico è indicato in stadio I, II, III → emicolectomia dx o emicolectomia sx o resezione del
colon trasverso o resezione colica segmentaria.
La chemioterapia adiuvante invece:
- Non deve essere presa in considerazione nello stadio I
- Ai pazienti in stadio II con fattori prognostici sfavorevoli (occlusione, perforazione, T4, G3-4,
inadeguato numero di linfonodi esaminati, invasione vascolare e/o linfatica e/o perineurale) è
corretto proporre una terapia adiuvante con fluoripirimidine +/- oxaliplatino
- Tutti i pazienti con stadio III sono candidati a terapia adiuvante
La chemioterapia viene effettuata con lo schema FOLFOX (5-fluorouracile + acido folinico + oxaliplatino) o
XELOX (capecitabina + oxaliplatino) o solo 5-fluorouracile + acido folinico o solo capecitabina per 6 mesi.

Per i pazienti con malattia locoregionale avanzata (T3 o più, N1 o più) è indicata la terapia neo-adiuvante,
che nel carcinoma del colon prevede esclusivamente la chemioterapia (non si usa la RT) con schema
FOLFOX o XELOX per 3 mesi.

I pazienti in IV stadio non hanno indicazione all’intervento chirurgico, ma solo alla chemioterapia con
l’ausilio di farmaci biologici.

32
GIULIA BARONE

Per il trattamento della malattia metastatica abbiamo alcuni farmaci biologici:


• Cetuximab: Ab monoclonale che inibisce la formazione di omo ed etero-dimeri di EGFR, inibendo
il segnale proliferativo dipendente da questo recettore; ha anche un’azione ADCC. In uno studio
del 2007 si è visto che solo la metà dei pz rispondeva alla terapia con cetuximab e questo è dovuto
alla presenza di una mutazione di KRAS → la presenza di mutazione di KRAS, NRAS o BRAF rende
invano l’utilizzo del cetuximab perché la via di trasduzione a valle rimane comunque attiva.
• Bevacizumab: Ab monoclonale anti-VEGF che blocca la neoangiogenesi e può essere utilizzato nei
pz con mutazioni di KRAS, NRAS o BRAF.

Nonostante l’assenza delle suddette mutazioni, il k. del colon dx è poco responsivo alla terapia anti-EGFR,
questo perché le vie di trasduzione dei segnali proliferativi che utilizzano le cellule neoplastiche del colon
dx sono molto meno dipendenti dall’EGFR rispetto a quanto accade nel colon sx → nel colon dx
metastatico, anche se KRAS, NRAS e BRAF sono negativi si utilizza il bevacizumab.

2. CARCINOMA DEL RETTO


La chirurgia in questo caso viene considerata solo se la malattia è in stadio I → escissione totale del
mesoretto, preservazione della funzionalità sfinterica e linfoadenectomia con > 12 linfonodi.
➢ Quando giunge in urgenza al pronto soccorso un paziente con un quadro di occlusione o
subocclusione, con malattia metastatica o localmente avanzata, si fa una colostomia di protezione.
L’obiettivo della chirurgia non è la chirurgia oncologica ma la colostomia per risolvere
nell’immediato l’occlusione o la subocclusione per poi inviare prontamente il paziente
all’attenzione degli oncologi.

Nel caso di stadio II-III (T3-T4 o N+) si ha indicazione ad una chemioradioterapia neoadiuvante con
5-fluorouracile a basse dosi o capecitabina (suo precursore orale), e solo in un secondo momento la
terapia chirurgica → nel k. del retto la RT neoadiuvante (a fasci esterni) è fondamentale perché permette
di ridurre il rischio di recidiva e aumenta la sopravvivenza.

33
GIULIA BARONE

CARCINOMA DELLA MAMMELLA


Neoplasie originate prevalentemente nelle
cellule epiteliali della ghiandola mammaria.
La ghiandola mammaria è costituita da 15-20 lobi
di parenchima ghiandolare tubulo-acinoso e da
stroma fibroso e adiposo.
Dal punto di vista microscopico l’unità duttulo-
lobulare è l’unità anatomico-funzionale della
mammella, nonché l’origine di più del 95% della
patologia mammaria → l’unità duttulo-lobulare è
formata dagli acini, dalle strutture duttali che da
questi si originano (e che confluiscono tra loro
fino ad arrivare ai dotti galattofori che sboccano
sull’epitelio del capezzolo), e dallo stroma
connettivale intralobulare deposto dai fibroblasti.
Sotto l’epitelio luminale, l’intero sistema duttale è circondato da una speciale membrana mioepiteliale (cell
mioepiteliali) che ha proprietà contrattili e serve per convogliare la secrezione del latte verso il capezzolo.
Esternamente agli strati epiteliali e mioepiteliali, i dotti sono circondati da una membrana basale continua
→ estremamente importante perché una sua infiltrazione differenzia il carcinoma in situ da quello invasivo.

Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequentemente diagnosticata nelle donne, in cui si stima che un
tumore maligno ogni tre (30%) è un tumore mammario. In Italia l’incidenza è di 30.000 nuovi casi/anno →
circa una donna su 10 nel corso della propria vita sviluppa un tumore della mammella. Colpisce con più
frequenza le donne nel periodo perimenopausale con due grandi picchi di incidenza tra i 45-50 anni e tra i
60-65 anni, anche se possono essere colpite tutte le fasce d’età.
Nonostante l’incidenza elevata, la mortalità, ad oggi, è bassa con un tasso di sopravvivenza a 5 anni dell’85%
in Italia.

FATTORI DI RISCHIO:
• Sesso → primo fattore di rischio
• Il rischio aumenta con l’aumentare dell’età → questa correlazione potrebbe essere legata al
continuo e progressivo stimolo proliferativo endocrino che subisce l’epitelio mammario nel corso
degli anni, unito al progressivo danneggiamento del DNA e all’accumularsi di alterazioni epigenetiche
con alterazione dell’equilibrio di espressione tra oncogeni e geni soppressori.
• Familiarità → soprattutto k. Mammario in parenti di 1° grado
• Fattori genetici → mutazione di BRCA1 e BRCA2 (1/4 delle forme ereditarie), sindrome di Cowden
(mutazione PTEN), sindrome di Li-Fraumeni (mutazione p53).
Le forme ereditarie sono caratterizzate da insorgenza in età giovanile e frequente bilateralità e multifocalità
• Pregressa neoplasia maligna di mammella, ovaio o endometrio
• Fattori riproduttivi → lunga durata del periodo fertile, con menarca precoce e menopausa tardiva,
che comporta una più lunga esposizione dell’epitelio ghiandolare agli stimoli proliferativi degli
estrogeni ovarici; nulliparità, mancato allattamento al seno o prima gravidanza dopo i 30 aa
• Fattori ormonali → incremento del rischio in donne che assumono una terapia ormonale sostitutiva
in menopausa (disturbi in menopausa sono vampate di calore, secchezza vaginale, irritabilità, perdita
di libido, rischio cardiovascolare, distribuzione differente dell’adipe, osteoporosi, capelli fragili e
depressione) o che assumono contraccettivi orali
• Fattori dietetici e metabolici → l’elevato consumo di alcol e di grassi animali, il basso consumo di
fibre vegetali sembrerebbero essere associati ad un aumentato rischio; così come l’obesità,
probabilmente legato all’eccesso di tessuto adiposo che in postmenopausa rappresenta la principale
fonte di sintesi di estrogeni circolanti.
• Pregressa radioterapia a livello toracico, specialmente se prima dei 30 anni

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GIULIA BARONE

Oltre alla neoplasia maligna abbiamo a livello mammario anche delle neoplasie benigne:
1. FIBROADENOMA
Tumore benigno della mammella più frequente (il 35% delle donne in Italia ha almeno un fibroadenoma)
→ picco a 20-30 anni.
È un tumore misto, presentando infatti una duplice componente: una epiteliale e una stromale; insorge
più frequentemente nel quadrante supero-esterno e nel 15% può essere bilaterale e multiplo.
Può essere considerato un processo iperplastico che coinvolge l’unità dutto-lobulare e il tessuto connettivo
circostante → la sua crescita sembra essere legata alla risposta eccessiva della componente stromale agli
stimoli ormonali, in particolare estrogeni (motivo per cui è raro riscontrare un fibroadenoma di nuova
insorgenza in una donna in menopausa). Questo sembra essere più frequente nelle donne con ciclo
irregolare, per i più alti e irregolari picchi ormonali.
Si presenta clinicamente come un nodulo di consistenza fibrosa, a superficie liscia, mobile sui piani
superficiali e profondi e a margini ben definiti → segno clinico tipico è il “segno del topolino” in cui si
apprezza la mobilità della lesione rispetto al parenchima ghiandolare circostante (= tumore capsulato e
mobile che tende a scappare/scivolare dalle dita quando lo si palpa).
→ la crescita è possibile, anche se lenta, e può essere più rapida durante la gravidanza o l’allattamento:
quando > 4 cm si parla di fibroadenoma gigante.
Dal punto di vista diagnostico, il fibroadenoma viene visualizzato all’ecografia come un’area ipoecogena e
di aspetto ovalare → il riscontro di una lesione a margini ben circoscritti in una paziente giovane deve far
pensare ad un fibroadenoma nel 95% dei casi. La diagnosi viene confermata dall’effettuazione di un’ago-
biopsia (più precisa) o di un’ago-aspirato.
La terapia chirurgica è indicata nel caso in cui il fibroadenoma abbia una dimensione > 2 cm oppure
quando sia stata documentata ecograficamente una rapida crescita del nodulo nel tempo → l’intervento
può essere eseguito anche in anestesia locale e consiste nell’enucleoresezione del nodulo.
Il fibroadenoma non evolve in k. mammario ma può essere un elemento confondente che nasconde o
rende poco o per niente visibile un’altra lesione maligna
e infiltrante alla mammografia.
Il rischio di recidiva dopo asportazione è del 50%.

2. IPERPLASIA DUTTALE ATIPICA


Aumento delle cellule epiteliali che proliferano sopra la
membrana basale con la presenza di atipie cellulari di
vario grado → le cellule non sono maligne ma, rispetto al
fibroadenoma, ha un maggio rischio di trasformazione
maligna. È opportuno la rimozione chirurgica.

Per quanto riguarda le neoplasie maligne distinguiamo dal punto di vista istologico:
➢ Carcinomi in situ: non superano la membrana basale
➢ Carcinomi infiltranti: infiltrano la membrana basale
A loro volta distinti in:
➢ Carcinoma lobulare: caratterizzate da una mutazione della E-caderina → le cellule perdono
coesione e tendono a distaccarsi tra loro; quando infiltrano, lo fanno singolarmente e si
dispongono spesso a filiera.
➢ Carcinoma duttale: le cellule tendono a stare organizzate tra di loro, formando delle strutture
simil-ghiandolari (a nidi, a trabecole). È il più frequente.

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GIULIA BARONE

1. CARCINOMA IN SITU
Si sviluppa all’interno dei dotti mammari e non supera la membrana basale dei dotti → non dà metastasi;
se si riscontra positività di un linfonodo sentinella in presenza di una diagnosi di carcinoma in situ è quasi
sicuramente presente un’infiltrazione che non è stata riconosciuta e individuata alla biopsia.
Anche questo, così come il carcinoma invasivo, può essere distinto in:
- Carcinoma duttale: tende ad essere localizzato.
- Carcinoma lobulare: secondo l’ultima edizione del WHO 2019, con questo termine si fa riferimento
all’intero spettro delle lesioni epiteliali atipiche originate dall’unità lobulare del dotto terminale e
caratterizzate da una proliferazione monomorfa di cellule non coese. Ha una maggiore tendenza
alla multifocalità e alla bilateralità. Secondo la versione AJCC 2018 questo non viene più stadiato
come pTis perché viene considerato, più che un precursore di una neoplasia infiltrante, un
marcatore di rischio, trovandosi associati fino all’87% dei casi ad un carcinoma invasivo.

I carcinomi in situ vanno gradati in base alle atipie nucleari, alla presenza di necrosi tumorale:
• G1: di basso grado → generalmente correla con l’espressione di recettori estrogenici
• G2: di grado intermedio;
• G3: di alto grado → possono presentare necrosi comedonica e sono più frequentemente HER2 +

Queste neoplasie spesso non hanno un corrispettivo macroscopico → possono però essere individuati, in
una buona percentuale dei casi, con l’effettuazione di una mammografia che mette in evidenza la presenza
di microcalcificazioni. Questo è valido soprattutto per i carcinomi duttali in situ, che presentano nell’80-
85% dei casi microcalcificazioni; differente la situazione del carcinoma lobulare in situ che presenta
microcalcificazioni solo nel 15-20% e viene più frequentemente diagnosticato come reperto accidentale.

Se le calcificazioni sono sospette si effettua l’agobiopsia → solitamente effettuata eco-guidata, nel caso di
lesioni non identificabili agli ultrasuoni (focolai di microcalcificazioni, piccole distorsioni architetturali,
asimmetrie del parenchima) il prelievo bioptico viene eseguito sotto guida mammografica.

Il trattamento in caso di carcinoma duttale in situ consiste


nell’escissione ampia con margini indenni →
La mastectomia si rende necessaria se:
- Malattia troppo estesa per essere resecata
conservativamente con buon risultato estetico
- Impossibilità a raggiungere margini di resezione negativi
- Controindicazioni alla radioterapia
Nel caso di DCIS di grado alto/intermedio il ruolo della
radioterapia dopo chirurgia conservativa è ampiamente
assodato allo scopo di ridurre la recidiva mammaria
omolaterale, sia in situ che infiltrante.
Nel caso di DCIS di basso grado la radioterapia può essere
omessa. Nelle pazienti con DCIS e recettori estrogenici positivi, dopo chirurgia conservativa e RT può essere
preso in considerazione il trattamento con tamoxifene. La biopsia del linfonodo sentinella in caso di
diagnosi di DCIS pre-operatoria non è indicata, a meno che non vi sia il forte sospetto di micro-invasione
(es: lesioni > 1-2 cm di alto grado) o si effettui una mastectomia per lesioni estese, ovvero in presenza di
multipli focolai di microcalcificazioni, o nel caso in cui al DCIS si associ una lesione nodulare.

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GIULIA BARONE

Dopo diagnosi di carcinoma lobulare in situ le opzioni possibili sono:


• Sorveglianza: la diagnosi di LCIS, anche multifocale, non richiede di norma una chirurgia
profilattica mono o bilaterale (tranne che in particolari condizioni di rischio o su richiesta motivata),
ma è necessario che la donna riceva un counseling per una strategia preventiva globale in
considerazione dell’aumentato rischio di sviluppare una neoplasia maligna. La sorveglianza
consiste in un esame clinico ogni 6-12 mesi e mammografia annuale; può essere utile l’impiego
di una RM mammaria nelle pazienti giovani o con parenchima mammario denso o con storia
familiare significativa per carcinoma mammario.
• Chemioprevenzione: il trattamento con tamoxifene in premenopausa o inibitori dell’aromatasi in
postmenopausa dovrebbe essere offerto a donne con elevato rischio, definito come un rischio di
ammalarsi di tumore della mammella > 30% nell’arco della vita o >8% a 10 anni nella decade 40-
50 e con rischio moderatamente elevato (17-30% nell’arco della vita). [nelle donne ad alto rischio
vengono incluse le donne con mutazione germinale nota a carico di BRCA1/2, TP53 o sindromi quali
Peutz-Jeghers, Cowden o carcinoma gastrico diffuso]
• Mastectomia profilattica bilaterale: va presa in considerazione nelle donne che esprimono tale
desiderio o forte cancerofobia. Dovrebbe essere considerata solo nelle donne ad alto rischio di
sviluppare k. invasivo, dopo valutazione multidisciplinare in centri di senologia accreditati. In questi
casi andrebbe proposta la mastectomia nipple sparing con ricostruzione immediata.

2. CARCINOMA INFILTRANTE
La forma di neoplasia maligna della mammella più frequente è rappresentata dal carcinoma duttale
infiltrante non altrimenti specificato, che costituisce circa il 75% dei carcinomi. Si presenta in genere come
lesione unica di dimensioni variabili, di consistenza aumentata rispetto al parenchima mammario circostante,
a margini sfumati, a superficie irregolare, con tendenza alla retrazione dei tessuti circostanti → l’invasione
del tessuto stromale da parte delle cellule neoplastiche stimola la produzione di tessuto fibroso e sclerotico,
processo che prende il nome di “reazione desmoplastica”.
Il carcinoma lobulare spesso è multifocale e/o multicentrico e si presenta frequentemente in forma
bilaterale, con lesioni che possono essere sincrone o metacrone → alto rischio di recidive in mammella non
operata; frequente quadro di “mammella controlaterale difficile” caratterizzata da displasia di difficile
interpretazione, che possono predisporre alla neoplasia.
Istologicamente è rappresentato da cell atipiche che si dispongono in “fila indiana” all’interno del parenchima
ghiandolare sano → la reazione desmoplastica è meno rappresentata.
→ Ne consegue che mentre il carcinoma duttale è facilmente riconoscibile alla mammografia come una
massa iperdensa con aspetto “finger-like”, il carcinoma lobulare può essere di più difficile individuazione e
può presentarsi con una semplice distorsione dell’architettura ghiandolare, senza formare massa → motivo
per cui ad oggi l’indagine mammografica viene sempre più spesso accoppiata all’esame ecografico, con cui
si può studiare meglio l’alterazione del parenchima mammario.
CLINICA
Negli stadi iniziali il carcinoma della mammella è asintomatico e la
presenza di un nodulo o di un'area di consolidamento
parenchimale è la prima manifestazione nell'80% dei casi. Segni
tardivi sono rappresentati dalla retrazione della cute con ulcerazione
ed edema cutaneo (aspetto a buccia d'arancia → dovuto in parte
alle retrazioni causate dell’infiltrazione neoplastica e in parte
all’edema linfatico dovuto dalla presenza di trombi che occludono i
vasi linfatici) o dalla retrazione del capezzolo → questi aspetti
indicano l’adesione da parte del tumore a strutture anatomiche
sovrastanti (cute, derma e sottocute) o profonde (muscoli e parete
toracica). Casi avanzati si possono presentare, ancora, con il classico
quadro del carcinoma infiammatorio: la mammella appare
complessivamente edematosa, aumentata di volume e consistenza
e ricoperta di cute iperemica e ipertermica; si associa a mastodinia
e spesso alla presenza di linfoadenopatie ascellari palpabili.

La malattia metastatica si associa a dolori ossei 37


e fratture patologiche o a tosse e dispnea.
GIULIA BARONE

Malattia di Paget: carcinoma duttale che interessa i dotti maggiori, in genere un dotto galattoforo, e che si
diffonde da questa sede alla cute del capezzolo. Dal punto di vista clinico il primo segno è tipicamente una
lesione cutanea del capezzolo, che è per lo più un’erosione o eventualmente un’ulcerazione. L’esame
citologico del secreto che proviene da tale lesone o l’esame istologico di un’area eczematosa consente la
diagnosi.

Le 12 possibili manifestazioni di un
carcinoma alla mammella:
1. Indurimento
2. Indentazione
3. Erosione cutanea
4. Arrossamento
5. Secrezione dal capezzolo
6. Fossette mammarie
7. Lesione che protrude
8. Vene evidenti in prossimità
9. Retrazione del capezzolo
10. Comparsa di asimmetria
11. Cute a buccia d’arancia
12. Nodulo invisibile

DIAGNOSI:
− Esame clinico senologico con ispezione e palpazione della ghiandola e del cavo ascellare.
− Mammografia: esame principe di primo livello → maggiore attendibilità in soggetti con mammella a
prevalente contenuto adiposo (donne anziane), che permetterà di vedere la neoplasia come una
lesione iperintensa; perde di affidabilità in caso di mammelle dense a prevalente contenuto
ghiandolare
− Ecografia: esame di integrazione → tecnica molto più sensibile per lo studio della mammella di
giovani donne → il tumore viene visualizzato come una zona ipoecogena a margini irregolari, spesso
raggiati e in un contesto di disorganizzazione strutturale del parenchima
− RM: da utilizzare in caso di mammelle difficili da studiare con mammografia o ecografia → indicata
per la stadiazione locoregionale della patologia neoplastica, per il follow-up delle lesioni in corso di
chemioterapia adiuvante, in donne ad alto rischio genetico e CUP syndrome (definita come un
tumore confermato istologicamente e clinicamente per cui alla diagnosi è possibile identificare solo
le metastasi, ma non il tumore primario).
− Biopsia stereotassica (mammotome): effettuato sempre con ago tranciante (l’ago sottile è solo
citologico e non ci dà informazioni adeguate) si prelevano 3-4 cilindri in maniera eco-guidata.
− Marker tumorali: CEA, CA 15.3

Data l’elevata frequenza del tumore sono ad oggi attivi dei programmi di screening che permettono una
diagnosi precoce con conseguente maggiore sopravvivenza delle pazienti. In Italia i programmi di screening
prevedono l’esecuzione di una mammografia ogni 2 anni nelle donne tra i 50 e i 69 anni (in alcune regioni
fino ai 74 anni; e in alcune la pratica di screening è stata estesa anche tra 45-49 anni).
Nelle donne ad alto rischio per importante storia familiare di carcinoma mammario o perché portatrici di
mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2 i controlli strumentali vengono iniziati intorno ai 25 anni o 10 anni
prima dell’età di insorgenza del tumore nel familiare più giovane. La RM con mdc con cadenza annuale di
screening trova indicazione nelle donne ad alto rischio definite come segue:
• Mutazione BRCA1 o BRCA2 (ecografia e mammografia non apportano un contributo maggiore in
termini di detection, anche sei il prof. è convinto si facciano alternate a cadenza semestrale)
• Lifetime risk 20-25% secondo i comuni modelli di predizione del rischio
• Sindrome di Li-Fraumeni, Cowden o Bannayan-Riley-Ruvalcaba
• Pregressa radioterapia toracica tra i 10 e i 30 anni

38
GIULIA BARONE

STADIAZIONE:
Viene effettuata una stadiazione secondo il sistema TNM e una stadiazione molecolare.

Linfonodi ascellari sono suddivisi in livelli:


N
Triade di localizzazioni linfatiche:
- I livello: lat. al margine piccolo pettorale
- Linfonodi ascellari - II livello: sotto m. piccolo pettorale
- Linfonodi della catena mammaria interna - III livello: medial. al margine mediale
- Linfonodi claveari (sopra, sotto e infraclaveari) piccolo pettorale
N1 Ascellari mobili omolaterali
N2 Ascellari omolaterali fissi tra di loro o a strutture adiacenti (N2a) o mammari interni omolaterali
clinicamente rilevabili in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari (N2b)
N3 sottoclaveari omolaterali (N3a) o linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili in
presenza di metastasi ascellari clinicamente evidenti (N3b); o metastasi in uno o più linfonodi
sovraclavaveari omolaterali con o senza coinvolgimento degli ascellari o mammari interni (N3c)

STADIO IA: T1N0M0


STADIO IB: T1N1mi
Sopravvivenza a 5 anni del 100%

STADIO IIA: T1N1M0 o T2N0M0 sopravvivenza a 5 anni del 92%


STADIO IIB: T2N1M0 o T3N0M0 sopravvivenza a 5 anni dell’81%

STADIO IIIA: T1-2N2M0 o T3N1-2M0 sopravvivenza a 5 anni del 67%


STADIO IIIB: T4N0-1-2M0 sopravvivenza a 5 anni del 54%
STADIO IIIC: ogniTN3M0

STADIO IV: ogniT ogniN M1 sopravvivenza a 5 anni del 20%

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GIULIA BARONE

Dal punto di vista prognostico e terapeutico assume particolare importanza la classificazione molecolare:

La variabile espressione di questi tre fattori individua, quindi, quattro categorie fondamentali:
▪ Luminale A: recettori ormonali positivi (estro-progestinici), HER2 negativo e bassa attività
proliferativa. Hanno la prognosi migliore.
▪ Luminale B/HER2 negativi: recettori ormonali positivi, HER2 negativo ed alta attività proliferativa
▪ Luminale B/HER2 positivi: recettori ormonali positivi, HER2 sovraespresso (score 3+), qualsiasi valore
di attività proliferativa (vengono anche definiti tripli positivi)
▪ HER2 positivi: HER2 sovraespresso e recettori ormonali entrambi negativi
▪ Triplo negativi: assenza di espressione dei recettori ormonali e negatività di HER2. Hanno prognosi
peggiore.

Per individuare questi profili molecolare si utilizzano dei “marcatori surrogati” ovvero la ricerca dei
recettori EP e HER2 ci permette di ottenere una stima approssimativa dell’aggressività del tumore e del
profilo molecolare di appartenenza (probabilità di sbagliare ¼)
➢ I recettori EP sono indici di differenziamento della neoplasia, predittivi di risposta ormonale
➢ L’amplificazione di HER2 è predittivo di risposta al trastuzumab
➢ Ki-67 è indice di proliferazione

In base a questi parametri vengono scelti ulteriori esami di stadiazione:


➢ Il carcinoma della mammella HER2 amplificato ed il carcinoma della mammella basal-like fanno
sempre TC encefalo, TC torace e TC addome in quanto anche in stadio precoce la malattia
potrebbe già essere metastatica
➢ Nei carcinomi della mammella luminali (70-75% del totale) con sospetto clinico di linfonodo del
cavo ascellare omolaterale “pulito”, può essere sufficiente eseguire una RX del torace o una TC
del torace senza mdc, un’ecografia addominale completa e una scintigrafia ossea; viceversa, nel
sospetto clinico di coinvolgimento delle stazioni linfonodali del cavo ascellare si preferisce la TC di
torace ed addome.
FATTORI PROGNOSTICI:
Fondamentale per la prognosi e il trattamento della paziente è la • Dimensioni del tumore →
positività linfonodale, ricercata con la tecnica del linfonodo sentinella estensione della malattia valutata
→ è definito come il primo linfonodo che riceva la linfa proveniente con il sistema TNM
dalla sede tumorale ed è ritenuto quindi predittivo dello stato di tutto • Stato dei linfonodi ascellari
il cavo ascellare: in base al principio per cui vi è una presunta • Grado istologico → grado elevato
progressione sequenziale delle cellule tumorali nei vasi linfatici, se il (G3) è un fattore prognostico
linfonodo sentinella è indenne da metastasi, verosimilmente anche sfavorevole
tutto il compartimento linfonodale in quella sede non è stato ancora • Attività proliferativa (Ki67)
coinvolto dal tumore. La tecnica più utilizzata per identificare il • Tipo istologico
linfonodo sentinella è la marcatura mediante micromolecole di • Invasione vascolare
albumina marcate con Tc99m, effettuata il giorno prima o la mattina • Stato HER2 → predittivo di
stessa dell’intervento chirurgico con linfoscintigrafia segmentaria. La risposta a farmaci anti-HER2 e
procedura prevede l’iniezione di una minima quantità di tecnezio resistenza a terapia endocrina
marcato e processato con micromolecole di albumina diluito in 1 cc di • Stato recettori ormonali →
soluzione fisiologica sterile in sede intradermica peritumorale o possibilità di beneficio dalla
terapia endocrina
• Età → < 35 anni prognosi peggiore)
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• Profili di espressione genica
(Luminal A, B, HER+, Basal-like)
GIULIA BARONE

periareolare → viene successivamente effettuata una scintigrafia con gamma camera per identificare il
linfonodo sentinella e marcare sulla cute della regione ascellare la proiezione del linfonodo sentinella,
aiutando il chirurgo nella scelta della sede dell’incisione cutanea → incisa la cute la ricerca del linfonodo
sentinella marcato con radiofarmaco si esegue con l’ausilio di una gamma camera dedicata (sonda
Neoprobe). La biopsia del linfonodo sentinella rappresenta lo standard per le pazienti con carcinoma
mammario stadio clinico I-II e linfonodi clinicamente negativi o con linfonodi clinicamente sospetti ma con
successivo agoaspirato negativo. Non ha indicazione in caso di carcinoma infiammatorio o linfonodi ascellari
positivi ad ecografia ed esame citoistologico.

TRATTAMENTO:
Nei pazienti con carcinoma invasivo stadio I-II la chirurgia conservativa, rappresentata dalla
quadrantectomia (asportazione di un ampio settore della ghiandola mammaria con cute sovrastante lesione
e fascia m. grande pettorale) o tumorectomia (intervento meno invasivo con completa rimozione della
lesione e di parte del parenchima sano circostanti per avere margini istologicamente indenni di almeno 1-2
cm) associata alla radioterapia della mammella (whole breast irradiation) rappresenta il trattamento di
prima scelta. La mastectomia trova applicazione quando l’approccio conservativo non è indicato o non è
tecnicamente possibile (tumori multicentrici, malattia localmente avanzata e pz che non possono essere
sottoposte a RT: collagenopatie in fase attiva, primi mesi di gravidanza, pregresso trattamento
radioterapico). → la scelta del tipo di intervento a livello mammario dipende dalla localizzazione e dal
rapporto tumore/dimensioni mammella, dalle caratteristiche mammografiche, dalla preferenza della
paziente e dalla presenza o meno di controindicazioni alla RT.
La mastectomia classica secondo Halsted ad oggi è sempre meno utilizzata → consisteva nell’asportazione
della ghiandola con ampia parte di cute sovrastante comprendente il complesso areola-capezzolo, m. grande
e piccolo pettorale e linfonodi ascellari I, II, III livello. Trova indicazione solo in caso di infiltrazione muscolare
da parte della neoplasia. Più utilizzata quella secondo Madden con conservazione di entrambi i m. pettorali,
anche se ad oggi si tende sempre di più verso delle “mastectomie conservative” e trattamenti oncoplastici
→ asportare la lesione neoplastica e ricostruire la mammella operata, bilanciando il divario delle due
mammelle con una mastoplastica riduttiva e/o mastopessi controlaterale atta a minimizzare le eventuali
differenze. La ricostruzione può essere immediata o differita, o durante la stessa seduta operatoria
demolitiva, oppure effettuata in un secondo momento. Dopo intervento di mastectomia la ricostruzione
mammaria immediata è auspicabile in quanto migliora la qualità della vita delle donne, non è associata a un
aumento delle recidive loco-regionali e non interferisce con la diagnosi eventuale di queste ultime → la
mastectomia skin sparing o skin-nipple sparing, consistente nella asportazione mammaria associata a
preservazione della cute o del complesso areola capezzolo (definite anche adenectomie), sono considerate
appropriate quando la ricostruzione immediata è presa in considerazione e presenta evidenti vantaggi
estetici e psicologici. Indicazione al mantenimento del capezzolo è una distanza ≥ 2 cm dal focolaio di
origine della neoplasia.

La dissezione ascellare (con asportazione di almeno 10 linfonodi per la valutazione patologica accurata
dell’ascella) è indicata:
- In presenza di linfonodi ascellari clinicamente patologici e confermati da studio cito-microistologico
pre-operatorio
- Linfonodo sentinella positivo con macrometastasi
- Mancato reperimento del linfonodo sentinella
- Tumori T4 e carcinoma infiammatorio
L’irradiazione dei linfonodi regionali trova applicazione nelle pazienti con tumori T3-T4 e per ogni stadio di
T con 4 o più linfonodi ascellari positivi, applicazione che si sta estendendo anche alle pazienti con stadio T1-
T2 con 1-3 linfonodi positivi in presenza di parametri biologici sfavorevoli (G3, elevati livelli di Ki63, bassi
livelli di ER e/o PgR)
Dopo chirurgia conservativa, l’irradiazione dei linfonodi regionali (in aggiunta alla mammella) viene
generalmente sempre impiegata nei casi con 4 o più linfonodi ascellari positivi e può essere considerata in
casi con 1-3 linfonodi ascellari positivi in rapporto ai fattori di rischio.

→ la linfoadenectomia comporta nel 5-10% spiacevoli complicanze: linfedema, dolore, parestesie, linfoceli e
impotenza funzionale dell’arto superiore. Il linfedema è un disturbo cronico dovuto alla stasi linfatica dell’arto
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superiore che si presenta con edema più o meno evidente. Può comparire anche a seguito di RT.
GIULIA BARONE

Le neoplasie localmente avanzate rappresentano un gruppo eterogeno di tumori che comprende lo stadio
T3-T4, indipendentemente dai linfonodi, sia lo stadio N2-N3, indipendentemente dallo stadio T, condizioni
tutte ad alto rischio di ripresa di malattia → trattamento radiante, dopo mastectomia, sulla parete toracica
e sulle stazioni linfonodali regionali perché impatta positivamente sul controllo loco-regionale a distanza
migliorando la sopravvivenza globale e libera da malattia.
Dopo mastecotmia la RT della parete toracica trova indicazione in presenza di tumori primitivi con
dimensioni > 5 cm (T3), per tumori che infiltrano la cute e/o muscolo pettorale e/o parete toracica, e nel caso
di interessamento metastatico di 4 o più linfonodi ascellari.
(RT entro le 8-20 settimane dall’intervento, dopo guarigione ferita chirurgica.)

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GIULIA BARONE

Il ruolo del trattamento sistemico adiuvante dopo il trattamento chirurgico è ampiamente consolidato, in
funzione significativa del rischio di recidiva e di morte ottenuta con la polichemioterapia, con la terapia
endocrina o biologica (trastuzumab). Per quanto riguarda la chemioterapia possiamo avere diversi regimi,
quelli a maggiore efficacia prevedono l’utilizzo di antracicline (epirubicina, adriamicina) e tassani (paclitaxel
o docetaxel) in associazione o in sequenza; possono essere utilizzati regimi con solo antracicline e regimi di
1° generazione con classico schema CMF (ciclofosfamide, metotrexate e 5-fluorouracile) che è sicuramente
meno tossico ma anche meno efficace.
• Luminal A: tumori basso grado, buona prognosi ed elevata sensibilità a terapia endocrina → terapia
cardine è la terapia endocrina adiuvante con tamoxifene in premenopausa per 5 anni o inibitori
dell’aromatasi (anastrozolo/letrozolo) in postmenopausa (se non tolleranti usare tamoxifene)
• Luminal B HER2 - : fenotipo più aggressivo → polichemioterapia + terapia endocrina
L’aggiunta della soppressione ovarica (LHRH-agonisti) al tamoxifene dovrebbe essere valutata in base al
rischio di ripresa di malattia della singola paziente, rischio valutato in base alle caratteristiche della pz (età)
e del tumore (T, N, grado istologico, livelli di positività dei recettori ormonali, Ki-67) → l’aggiunta della
soppressione ovarica deve essere presa in considerazione nel caso di un alto rischio di ripresa.

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GIULIA BARONE

• Luminal B HER2 +: polichemioterapia + trastuzumab in aggiunta ad ormonoterapia adiuvante


indicato in T > 1cm o N+

• HER2-positivi: polichemioterapia + trastuzumab indicato in tumori > 1 cm o N+

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GIULIA BARONE

• Triplo negativo: chemioterapia

La chemioterapia ha quindi un’azione adiuvante, neo-adiuvante (citoriduttiva) o nella malattia metastatica.

Terapia sistemica neoadiuvante con chemioterapia eventualmente associata a farmaci biologici:


• Tumori operabili: ridurre il tumore consentendo un intervento chirurgico meno esteso, migliori
risultati estetici e minori complicanze postoperatorie. In casi di stadio IIIB/IIIC perché non
candidabili a terapia conservativa o stadio I e II quando la chirurgia conservativa non è proponibile,
per esempio, a causa di un elevato rapporto tumore-mammella o quando l’esito cosmetico atteso
sia subottimale a causa di una particolare localizzazione tumorale.
• Tumori localmente avanzati non operabili e carcinoma infiammatorio: neoplasia giudicata non
suscettibile di intervento chirurgico quale primo approccio terapeutico in quando non
radicalmente resecabile, per le dimensioni e/o per la presenza di N2/N3 clinico, e il trattamento
neoadiuvante ha la finalità di ottenere un’adeguata citoriduzione a favore di una possibile
successiva chirurgia.
Il trattamento neoadiuvante è nei casi di HER2+ caratterizzato da trastuzumab + chemioterapia; nei casi di
EP+/HER2- consiste nella chemio e in casi selezionati ormonoterapia; nei casi triplo negativo si basa sulla
chemio. Nei pz HER2- i regimi chemioterapici utilizzati prevedono combinazione AC (antracicline +
ciclofosfamide) seguiti o preceduti da un taxano (paclitaxel o docetaxel) oppure regimi senza antracicline
se questi sono controindicate (TC: taxano + ciclofosfamide). Nei tripli negativi può essere preso in
considerazione l’aggiunta di composti del platino a chemio di base con antracicline e taxani.
Nei pz HER2+ va aggiunto alla chemioterapia il trastuzumab.
Dopo chirurgia, di norma non vi è necessità di ulteriore terapia adiuvante se è stata completata una
precedente chemioterapia per 6-8 cicli e ottenuta una risposta patologica completa; nel caso di malattia
residua dopo trattamento chemioterapico neo-adiuvante, la strategia post-chirurgica, va individuata in
base al sottogruppo di appartenenza.

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GIULIA BARONE

Malattia metastatica
Nei tumori con recettori ormonali positivi HER2 negativi la terapia endocrina in associazione ad un CDK4/6
inibitore è la prima opzione di trattamento → inibitori aromatasi/fulvestran + inibitori CDK4/6
(palbociclib, abemaciclib, ribociclib)
Nei tumori HER2 positivi il trattamento con combinazioni di chemioterapia (monochemioterapia) ed
agenti HER2-antagonisti (doppio blocco) è assodato come trattamento di prima scelta → trastuzumab +
pertuzumab (lega dominio II di HER2 invece che IV) + taxano (docetaxel).
Il Lapatinib è un inibitore reversibile delle tirosinkinasi associato all’attività catalitica di HER2, per cui
inibisce il segnale di quest’ultimo → è approvato in associazione alla capecitabina nelle pazienti con k.
mammario avanzato o metastatico HER2-positivo in progressione dopo un trattamento che include
antracicline e taxani ed una terapia con trastuzumab per malattia metastatica.

Il bevacizumab (anti-VEGF) è approvato in associazione con paclitaxel nel trattamento di prima linea del
carcinoma mammario metastatico HER2-negativo e non ha indicazioni in associazione a qualsiasi altro
chemioterapico oppure in monoterapia.
Nel caso di carcinoma triplo negativo con mutazione BRCA1/2 localmente avanzato o metastatico hanno
indicazioni i PARP inibitori (olaparib o talazoparib).
Nel caso di espressione di PDL1 è indicato l’utilizzo di atezolizumab → in tumori triplo-negativi localmente
avanzati non resecabile o metastatici in associazione a paclitaxel.

TDM1: trastuzumab emtasine

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GIULIA BARONE

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GIULIA BARONE

CARCINOMA PROSTATICO
La prostata è un organo di piccole dimensioni a castagna, distinta in tre zone: periuretrale, centrale e
periferica. Quest’ultima è la sede su cui più spesso insorge l’adenocarcinoma (70% dei casi)
Il carcinoma prostatico è una neoplasia caratterizzata da uno sviluppo lento e un’incidenza altissima,
rappresentando infatti il tumore più frequente nel sesso maschile. Ad oggi viene quasi sempre
diagnosticata in fase precoce → 8 pz su 10 hanno malattia organo-confinata, a rischio basso o intermedio.
Il recente aumento degli adenocarcinomi preclinici diagnosticati ha causato un enorme aumento della
spesa senza una significativa riduzione della mortalità → si cerca di evitare gli screening di massa.
Nella maggior parte dei casi è asintomatico, una sintomatologia aspecifica può comparire in presenza di
una malattia localmente o sistematicamente avanzata:
➢ sintomatologia urinaria ostruttiva → attesa preminzionale; mitto ipovalido e prolungato; mitto
intermittente; sgocciolamento terminale; sensazione di incompleto svuotamento
➢ sintomi di natura irritativa → pollachiuria; nicturia; stranguria; urgenza minzionale
➢ ematuria → infiltrazione del trigono vescicale
➢ emospermia → invasione dei dotti eiaculatori e vescichette seminali
➢ dolore locoregionale → infiltrazione strutture circostanti
➢ dolore osseo → le ossa sono la prima sede di MTS
➢ linfedema arti inferiori → infiltrazioni linfonodi inguinali
Fattori di rischio Fattori protettivi
− Età − Riduzione assunzione grassi
− Razza (nera maggior rischio) − Maggiore consumo soia e
− Presenza di androgeni biologicamente attivi nel sangue derivati
circolante e nel tessuto prostatico − Vitamina E
− Fattori genetici (25% dei pazienti presentano storia − Tea verde
familiare di tumore della prostata)
− Stile di vita – dieta

La diagnosi si basa essenzialmente su:


1. Esplorazione rettale: deve costituire il primo approccio diagnostico al paziente che presenta una
sintomatologia riferibile a possibile patologia prostatica. Dato che il K prostatico insorge in oltre il
70% dei casi a livello della porzione periferica della ghiandola, il nodulo neoplastico può essere
spesso rilevato già con la semplice palpazione = area nodulare di aumentata consistenza.
2. Dosaggio del PSA: glicoproteina prodotta dal tessuto ghiandolare prostatico e in condizioni
fisiologiche solo minime quantità raggiungono il circolo → tali livelli aumentano in presenza di una
alterazione della normale istoarchitettura prostatica (sia benigna che maligna)
▪ PSAtot: si utilizza sia per la diagnosi (<4 ng/ml normale, 4-10 ng/ml borderline, >10 ng/ml è
indicazione alla biopsia), sia per la prognosi → iPSA: valore di PSA iniziale (<10 ng/ml rischio
lieve, 10-20 ng/ml intermedio, >20 ng/ml elevato).
▪ PSAratio: è il rapporto PSA libero/totale: non deve essere superiore al 20%. Si usa nell’iter
diagnostico dei pazienti con PSA tot borderline.
▪ PSAvelocity: 3 misurazioni in 18-24 mesi dimostrano un rapido incremento del PSA (> 0,75
ng/ml/anno)
▪ PSAdensity: rapporto tra il PSAtot e il volume della ghiandola. Tipicamente aumentato
nell’adenocarcinoma (è patologico per valori pari o > 0.1)
3. Ecografia transrettale: solitamente si vede come un nodulo ipoecogeno. La metodica presenta
però importanti limiti perché non si può trascurare la possibile iperecogenicità di alcune forme di
k. prostatico e che una percentuale di carcinomi sono di aspetto isoecogeno (40%)
4. Agobiopsia prostatica: eseguita su PSA alto o per un nodulo evidenziato ad esame strumentale.
Concentrazioni sieriche di PSA > 10 ng/ml richiedono approfondimenti; per valori compresi tra 2.5
e 10 ng/ml si prendono in considerazione altri parametri: età del pz, frazione PSA libero/PSA tot,
PSA density e PSA velocity. [indicazioni: PSA > 4ng/ml + EADR pos. + area ipoecogena all’eco]
→ diagnosi definitiva su biopsia. [screening giustificato da familiarità con PSA + EADR]

TC e RM sono molto utili per la stadiazione del tumore → la TC permette di valutare l’eventuale interessamento
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linfonodale loco-regionale; mentre la RM è la metodica di scelta per definire l’estensione locale del tumore.
GIULIA BARONE

Fattori prognostici
1. PSA
2. Età → quando insorge in età più precoce (es. 50 anni), pur avendo un PSA iniziale basso e un
Gleason, raramente, uguale o maggiore di 6, è una neoplasia ad alto rischio.
3. Stadio → Gleason score: score
anatomopatologico su biopsia, ottenuto
mediante la somma del punteggio dei due pattern
anatomo patologici maggiormente rappresentati.
Il patologo assegnerà prima il Gleason del tessuto
tumorale più esteso e poi quello della zona
tumorale ad estensione inferiore. Se per esempio
il tessuto tumorale con estensione predominante
ha un Gleason di 3 e l’area tumorale secondaria ha
un Gleason di 4 il punteggio finale del tumore (o
“Gleason score”) sarà 3 + 4 = 7. Permette di
ipotizzare la stadiazione (T2 o T3) prima
dell’intervento chirurgico. Le microinvasioni oltre
la capsula indicano la presenza di un T3 ma non
sono visibili all’imaging; per questo è necessario
valutare i margini dopo resezione per confermare un T2. La somma del punteggio attribuito alle
componenti più rappresentate è un numero da 2 a 10. Un punteggio inferiore a 6 è raro nei tumori
periferici, 6 indica verosimilmente un T2, 7 o più un T3.

In base a questi fattori prognostici è possibile delineare delle categorie di rischio → ovvero il rischio che
neoplasia dia positività linfonodale, coinvolgimento delle vescichette seminali o metastasi a distanza.

Rischio basso: Rischio intermedio: Rischio elevato:


PSA<10, GS<6 PSA 10-20, GS 7 PSA>20, GS>7
- Rischio positività delle vescichette 11% - SV+25% - SV+40%
- Rischio positività dei linfonodi (N) del 4% - N+35% - N+42%

Oggi si individuano 5 categorie di rischio → in relazione al rischio si modificano prognosi e atteggiamento


terapeutico

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Linfonodi:
Catene iliache, sia interneBARONE
GIULIA che esterne
Otturatori (ossia linfonodi iliaci esterni basali)
Cranialmente fino ai linfonodi iliaci comuni.
TNM
T1 Tumore clinicamente non apprezzabile, non MALATTIA LOCOREGIONALE (N0)
palpabile né visibile con le immagini. Resezione chirurgica (o radioterapia) poi
(diagnosticato microscopicamente a seguito di follow up con PSA
TURP/adenomectomia o su biopsia per PSA alto)
T2 Tumore limitato alla prostata. (interessa la
metà o meno di un lobo; più della metà di un lobo;
entrambi i lobi)
T3 Tumore che si estende al di fuori della MALATTIA LOCALMENTE AVANZATA (N0)
prostata: estensione extracapsulare mono o Chirurgia + radioterapia adiuvante
bilaterale (3a) o vescichette seminali (3b).
T4 Invade oltre alle vescichette seminali: collo MALATTIA AVANZATA (T4 o N1 o M1)
della vescica, sfintere esterno, retto, muscoli
elevatori e/o parete pelvica.

TRATTAMENTO:

➢ Sorveglianza attiva → sono candidabili i pazienti con età < 80 anni e a rischio basso o molto basso
(GS<6, PSAtot <10 ng/ml, T1-2a); questo tipo di strategia si propone non di evitare il trattamento
attivo, ma di effettuarlo se e quando si renda necessario. Sono, quindi, fondamentali i controlli
periodici, effettuati con PSA sistematici e re-biopsie sistematiche, per rilevare immediatamente un
eventuale progressione di malattia. Fine ultimo di personalizzare la strategia in accordo con il
comportamento biologico del cancro.
→ Diversi studi hanno messo in evidenza come tale strategia, eseguita secondo criteri definiti da protocolli
condivisi, nei pz affetti da tumore prostatico localizzato a rischio molto basso-basso, sia in grado di
garantire risultati sovrapponibili a quelli ottenibili con un trattamento immediato con prostatectomia
radicale o radioterapia in termini di mortalità e mortalità cancro-specifica con un miglior profilo di
tollerabilità.
Da ciò si evince come questo tipo di approccio sia totalmente diverso da quello adottato nella vigile attesa
(watchful waiting) → è indicata in pz >70 anni, con aspettativa di vita <10 anni, con qualsiasi tipo di T,
ogni PSA e Gl. <7, con lo scopo di evitare il trattamento radicale e i suoi effetti collaterali. Non si associa
ad un monitoraggio periodico e il trattamento, qualora la malattia peggiorasse tanto da richiederlo,
sarebbe palliativo.
➢ Prostatectomia radicale → rimozione chirurgica della prostata, delle ampolle deferenziali e delle
vescicole seminali, comprensiva del tessuto circostante, sufficiente per ottenere margini chirurgici
negativi. L’obiettivo è l’eradicazione della patologia e la preservazione della continenza e della
funzionalità erettile, elementi che comunque sono subordinati al fine oncologico. È indicata nei
casi di malattia locoregionale, ovvero nei casi di rischio molto basso, basso e intermedio (T1-T2);
può essere effettuata anche in pazienti con malattia a rischio alto e molto alto in pazienti
selezionati, con una speranza di vita adeguata, fortemente motivati ad affrontare anche un
percorso complementare, come RT ed ormonoterapia. In tutti questi pazienti non deve esserci
coinvolgimento linfonodale clinicamente rilevabile, perché questo indicherebbe una malattia già
metastatica e non esistono prove di vantaggio della prostatectomia radicale in questi casi.
La linfoadenectomia pelvica estesa non è necessaria nei pz a rischio basso o molto basso perché l’incidenza
di linfonodi positivi non supera il 5%; nel caso di rischio intermedio la linfoadenectomia dovrebbe essere
effettuata qualora il rischio di N+ sia maggiore del 5%; è sempre indicata nel caso di pz a rischio alto o
molto alto.

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GIULIA BARONE

➢ Radioterapia → tecnica a fini di radicalità. Quella più utilizzata è a fasci esterni, seppur alcuni
pazienti selezionati possano usufruire anche della RT sterotassica o della brachiterapia. La RT
presenta un trattamento radicale alternativo alla chirurgia in caso di tumori T1-T2. Vantaggi della
RT sono: evita i rischi anestesiologici, riduce il rischio di incontinenza e può preservare per un certo
periodo la funzione erettile.
Negli stadi T3-T4 N0/1 M0 la RT in associazione alla terapia ormonale rappresenta il trattamento locale
di scelta.
L’irradiazione della loggia prostatica a scopo adiuvante può essere presa in considerazione nei pz con
stadio patologico pT3 o con margini positivi in quanto, oltre a prolungare il tempo a progressione
biochimica e clinica, può prolungare, se pur moderatamente, la sopravvivenza globale.
➢ Ormonoterapia
→ Castrazione farmacologica:
▪ LHRH agonisti (goserelina, buserelina, triptorelina) + antagonisti recettoriali
(enzalutamide, bicalutamide, flutamide) per evitare flare-phenomenon
▪ LHRH antagonisti (degarelix)
Monoterapia con antiandrogeni: migliore qualità di vita (anche se può causare ginecomastia, mastalgia).
Indicata in malattia poco aggressiva, pazienti che preferiscono evitare la castrazione.
NB. Modalità di trattamento di privazione dell’androgeno può essere intermittente: questo ritarda
l’insorgenza dell ’androgeno-indipendenza, ma è attuabile solo in caso di malattia non avanzata.
→ Terapia ormonale di seconda linea: tumore ormone-refrattario, ma non ormone-indipendente
Abiraterone acetato (inibitore CYP-17), o altri inibitori della steroidogenesi
→ Inibitori della 5alfa-reduttasi (finasteride): bloccano conversione testosterone in DHT

L’ormonoterapia sembra non avere un


impatto statisticamente significativo
sulla sopravvivenza quando effettuata
come trattamento neoadiuvante pre-
chirurgico.
Il trattamento adiuvante con LH-RH
analoghi può essere preso in
considerazione nei pz con linfonodi
positivi dopo prostatectomia radicale.
Nei pz con metastasi linfonodali o
disseminate, la terapia ormonale
costituisce lo standard di riferimento.

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GIULIA BARONE

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