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REGOLAZIONE DEL CICLO CELLULARE: FUNZIONI E DISFUNZIONI DI ONGÈNI E ONCOSOPPRESSORI

Il ciclo cellulare è un 'ordinata serie di eventi che determinano la crescita della cellula e la sua

divisione in due cellule figlie. Le fasi sono G1, S,G2 e M. La fase G1 sta per"GAP 1". La fase S sta

per"Sintesi". Questa è la fase in cui avviene la replicazione del DNA. La fase G2 sta per"GAP 2".

La fase M sta per"Mitosi", ed avviene quando avviene la divisione nucleare (i cromosomi di

dividono)e citoplasmatica (citochinesi) .

Nella biologia cellulare, quando si parla di ciclo cellulare, bisogna fare distinzione tra cellule

proliferative, cellule differenziate, e cellule che, pur differenziate, hanno la possibilità di essere

reintegrate nel ciclo cellulare; bisogna comunque considerare che, alla luce dei recenti studi, tutti i

tessuti dispongono di un pool di cellule staminali che possono essere attivate, proliferare e

differenziare.

Esistono poi delle cellule in uno stato detto “di quiescenza” che, per condizioni particolari

ambientali, entrano nella particolare fase G0 e possono riprendere grazie ad un input, uno stimolo,

ad esempio un fattore di crescita, il ciclo cellulare, reintegrandosi nella fase G1.

Cosi come esistono dei tessuti differenziali le cui cellule, pur assumendo i caratteri di cellule

differenziate, conservano la capacità di proliferare(cellule della cute e dei tessuti epiteliali).

Ogni tipo di tessuto cellulare proliferante ha i suoi tempi di proliferazione; durante i passaggi da una

fase e l’altra del ciclo cellulare, nell’ambito dell’interfase, ci sono dei meccanismi di controllo che

la cellula dispone per verificare la sua normalità, lo stato di esattezza delle sue componenti e del suo

patrimonio genetico.

Nei punti di controllo(checkpoints) agiscono quelle proteine dette oncosoppressori o “proteine di

controllo negativo del ciclo cellulare”.

La prima fase che segue alla mitosi, è la fase G1 ed è anche il momento in cui le cellule possono

essere selezionate o per continuare la proliferazione, o per entrare nella fase G0. I controllori

valutano le dimensioni della cellula, la presenza di fattori esterni che potrebbero favorire o meno il

proseguimento del ciclo cellulare; questi controllori valutano anche la presenza di errori o danni al

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patrimonio genetico(punto R , di restrizione) al punto da poter indurre un blocco della fase G1,

attivare la riparazione del danno, e lasciar poi entrare la cellula nella fase S.

Nella fase S, oltre ad avvenire la sintesi di D.N.A. avviene anche la sintesi di strutture cellulare

necessarie poi alla replicazione, quindi esistono dei punti di controllo che valutano l’idoneità degli

organuli sintetizzati e controllano che la sintesi del D.N.A. sia avvenuta nel modo corretto( G2

checkpoint).

I fattori esterni determinano una positività nella promozione del ciclo cellulare, tramite l’interazione

con i recettori di membrana(solitamente recettori tirosin chinasici) o tramite i recettori nucleari;

questo fenomeno detto trasduzione di segnale determina,tramite produzione di un secondo

messaggero,una serie di reazioni a cascata,attivando sintesi di cicline della famiglia delle cicline D

che hanno il compito di attivare i complessi chinasici, che sono sempre presenti nella cellula, ma in

modo silenzioso(Cdk).

I complessi chinasici ,una volta attivati dalle cicline(che devono essere specifiche delle diverse

fasi)andranno a fosforilare di tutte le componenti della famiglia dei geni rb (oncosoppressori).

Infatti lo stato di fosforilazione o defosforilazione determina lo stato di avanzamento o meno della

cellula nel ciclo; lo stato di defosforilazione determina il blocco della trascrizione di geni che

portano la cellula ad avanzare nelle fasi. Solo con l’iperfosforilazione, queste proteine assumono un

cambiamento nella loro formazione proteica; questo cambiamento è tale da determinare l’apertura

di una “tasca” nelle pRb(definite appunto come poket proteins),permettendo il rilascio e

l’attivazione dei fattori di trascrizione.

Le cicline che intervengono sono le cicline D (per la fase G1), ciclina A(fase S e fase iniziale G2),

ciclina B( che porta la cellula alla mitosi).

Questi complessi chinasici vengono modulati da proteine che, legandosi a questi complessi, ne

inibiscono la capacità fosforilativa delle proteine. Solitamente la trascrizione di questi geni dipende

dall’attivazione di fattori di transazione sensibili allo stato di normalità della cellula.

Ad esempio la concentrazione della proteina p21 aumenta nella cellula quando ci sia un danno al

D.N.A., che viene verificato dalla presenza della proteina p53.

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La proteina p53(definita “guardiano del genoma”) infatti è una proteina nucleare, la cui

concentrazione viene stabilizzata e mantenuta alta nel momento in cui si lega ad un singolo

filamento di D.N.A.(singolo perché danneggiato); l’alta concentrazione di p53 agisce da

transattivante per il gene di p21, che, una volta sintetizzato, blocca il complesso chinasico.

Altri controllori sono p15, p27, p16, tutti con il compito di modulare i complessi chinasici; la

variazione dell’assetto genico di questi controllori viene rilevata in molti tumori(perdita di funzione

degli oncosoppressori).

Recenti ricerche suggeriscono che una determinata concentrazione di queste proteine possano dare

la prognosi di un tumore. Ad esempio la prognosi del carcinoma mammario è determinata dai livelli

di p27. Bassi livelli di p27 predicono una scarsa probabilità di risoluzione per il carcinoma

mammario.

Ognuna delle molecole coinvolte nella trasduzione del segnale, che regolano in modo positivo il

ciclo cellulare, può essere soggetta a mutazione ed essere attivata cronicamente, cioè avere

un’attività di stimolazione del ciclo cellulare continua indipendentemente dalle molecole che ci

sono a monte(ad es. una mutazione che coinvolga il gene per la proteina Ras, coinvolta

nell’attivazione della casata proliferativa).

Queste molecole sono codificate dai cosiddetti protoncogèni, e la mutazione a cui possono essere

soggetti è una mutazione dominante: basta cioè la mutazione di una singola copia per ottenere

l’espressione della mutazione e che conferiscono un vantaggio proliferativo.

Le mutazioni invece dei geni oncosoppressori devono essere presenti in entrambi gli alleli; sono

pertanto mutazioni di tipo recessivo.

Quindi il processo di trasformazione cellulare è dato da una disregolazione del ciclo cellulare, che

interessa queste proteine e non è sufficiente una singola mutazione ma sono delle alterazioni che si

susseguono nel tempo che determinano la trasformazione neoplastica.

Mano a mano che queste mutazioni si accumulano, si verificano dei meccanismi di disregolazione il

cui aumento è proporzionali all’aumento di velocità del ciclo cellulare, determinando una perdita

della capacità della cellula di entrare e fermarsi nei “check point”.

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I meccanismi di “attivazione” dei protoncogèni sono tre: l’amplificazione genica, che comporta una

disregolazione della sintesi proteica, mutazioni puntiformi, che comportano un cambiamento di tipo

strutturale nel prodotto proteico, traslocazione cromosomica, che possono situare il gene ad essere

agganciato sotto nuovo regioni regolatorie, o portare alla sintesi di proteine chimeriche.

Un esempio di amplificazione genica è quello coinvolto nei neuroblastomi umani, dati

dall’amplificazione del gene N-myc; può essere verificata tramite bandeggio e colorazione del

cromosoma 2p che lo contiene: lo si può osservare sia come particelle duplicate extracromosomiche

sia come zone uniformemente colorate integrate nei cromosomi.

Nel linfoma di Burkitt invece abbiamo una traslocazione 8/14 che comporta lo spostamento del

gene C-myc in regioni regolate in maniera positiva, e che sono quelle che codificano per le

immunoglobuline.

Un altro tipo di traslocazione è quello 9/22 in cui si ha la fusione di parti di due geni che codificano

per proteine ad attività tirosin-chinasica, con formazione di un nuovo cromosoma(cromosoma

Philadelphia), e che si riscontra nella leucemia mieloide cronica.

P53 : IL GUARDIANO DEL GENOMA.


I danni che il dna può subire sono le rotture di catena(su singola o su entrambe le catene con

attivazione di p53), alterazioni durante la replicazione(delezione di nucleotidi, scambio di

nucleotidi, inserzione di nucleotidi), alterazioni determinati dalla presenza di prodotti chimici ad

alta affinità per gli acidi nucleici(agenti alchilanti, agenti acilanti, idrocarburi aromatici policiclici e

eterociclici, nitrosamine, vinilcloruro, DDT, cromo, nichel, difenilpoliclorurati).

La proteina p53 si va a legare alle estremità dei segmenti monocatenari formatesi dopo rotture

causate da agenti genotossici; in questi stessi siti si localizza una chinasiproteica D.N.A. dipendente

che va a fosforilare la proteina p53, in modo da stabilizzarla, e da determinarne un aumento di

concentrazione; ciò determina una trascrizione di geni bersaglio che hanno il compito di tentare una

riparazione del danno al genoma. In particolare:

-gene di p21 che arrestano la cellula nella fase G1, inibendo le CDK;

-gene di GADDD45, deputata alla vera e propria riparazione del genoma;

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-gene BAX, deputato a condurre la cellula nella fase di apoptosi, nel momento in cui non sia stato

possibile riparare il danno.

P53 nella sua struttura presenta: due siti di legame per la fosforilazione, un sito di legame per la

proteina inibente TRF2, una regione promuovente la trascrizione dei geni bersaglio, e una regione

che permette la tetramerizzazione: di fatto p53 non funziona come monomero ma come tetramero, e

quindi una forma soltanto della proteina mutata può determinare la disfunzione dell’intero

tetramero.

IL NETWORK DI RB
PRb gioca un ruolo importantissimo nella regolazione della transizione dalla fase G1alla fase S; la

forma ipofosforilata di pRb complessata al fattore di trascrizione E2F, si lega al DNA, inibendo la

trascrizione dei geni “protagonisti” della fase S; quando invece pRb viene fosforilata dai complessi

chinasici, rilascia il fattore 2 di elongazione, togliendo il blocco trascrizionale. Nello stesso tempo

pRb non lega solo questi fattori, ma ha anche il controllo di geni legati al mantenimento del

differenziamento cellulare(soprattutto muscolari e nervose). Nei casi in cui ci sia uno squilibrio

della concentrazione della forma ipofosforilata, la cellula mette in atto un controllo su pRb,

attivando la cascata apoptotica.

LE MUTAZIONI DA INFEZIONE: I VIRUS ONCOGENI.


I virus sono degli agenti filtrabili, parassiti intracellulari obbligati, formati da un acido nucleico, un

capside ed alcuni possiedono anche un rivestimento di matura lipidica detto envelope.;non si

riproducono per scissione binaria ma per assemblaggio delle varie componenti, sfruttando il

macchinario della sintesi proteica della cellula ospite. Pertanto sono definiti anche come forme di

vita potenziali. Quindi se i virus infettano cellule che sono ciclanti possono sfruttare il meccanismo

di sintesi proteica;se infettano cellule che non sono ciclanti, devono stimolarle a rientrare nelle fasi

del ciclo, andando ad intrufolarsi nel macchinario di controllo, a disregolare i controllori negativi.

Grazie a queste capacità ci sono dei virus che possono essere trasformanti cioè virus che grazie a

particolari condizioni lasciano nella cellula infettata parte del loro genoma in forma episomale; la

cellula quindi si troverà a poter produrre proteina che possono interferire con il controllo negativo

del ciclo cellulare.


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Il patrimonio genetico del virus codifica per proteine che serviranno per la sintesi del capside e per

proteine che avranno lo scopo di indurre la proliferazione cellulare; sono in genere proteine che

vanno a interferire con pRb e p53; tra le proteine prodotte dal virus durante l’infezione andiamo a

distinguere le proteine “precoci” e le proteine “tardive” a seconda della tempistica di replicazione

che il virus possiede.

Quelle che vanno a interferire con gli oncosoppressori sono le proteine precoci, insite nel genoma

virale; il D.N.A. virale, non viene integrato ma rimane in forma episomale come detto prima, ma

può succedere che alcuni frammenti si integrino e se suddetti frammenti sono quelli codificanti per

le proteine precoci, possono portare alla disregolazione del ciclo cellulare.(ad es. le parti E7 ed E6

di HPV)

ESEMPI DI VIRUS A D.N.A. E LORO MECCANISMO D’AZIONE.


Adenovirus: questi virus, che danno un’affezione con sintomatologia aspecifica nell’uomo simil-

influenzale, nel roditore sono cancerogenetici. Le proteine che interferiscono con gli

oncosoppressori sono E1A(che interferisce con pRb) e E1B(interferenza con p53).

Papovavirus: categoria che comprende i virus papilloma, polioma e SV40;il primo genere

comprende diversi sierotipi di cui solo alcuni(39,56,16,18,30,45,31,33,51,52,35,66) possono portare

a trasformazione delle cellule infettate e solo in alcuni tipi di tessuto(tropismo per i tessuti epiteliali

delle mucose). Il genoma dei papilloma virus contiene delle sequenza continue di nucleotidi non

interrotte da codoni di stop(ORF) di cui le regioni associate a proteine trasformanti sono E5 E6 E7.

Il ciclo di replicazione virale è legato al processo differenziativo dei cheratinociti e delle cellule

epiteliali. La proteina E7 di HPV in particolare lega pRb mentre la E6 lega la p53, portandola alla

sua degradazione. È bene tuttavia sottolineare che l’espressione dei geni virali è una condizione

necessaria ma non sufficiente, in quanto dalle ricerche è emerso che hai questi geni immortalizzano

la cellula, ma la trasformazione a tumore si ha quando fattori esogeni come EGF e TGFbeta

diminuiscono la loro azione oppure quando sia ha una disfunzione di Ras;le altre due specie di virus

non sono mai stati associati a tumori nella specie umana, ma solo in quella murina. I prodotto

oncogenetici sono l’antigene T largo e medio che si associano a p53 e pRb.

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Hepadnavirus: virus epatotropico che viene associato all’incidenza del tumore epatico, nei casi in

cui si stabilisca un’infezione cronica o uno stato di portatore sano o ci sia una confezione con il

virus δ , ma i meccanismi di integrazione non son ben definiti.

Herpersviridiae-EBV ed HHV: virus linfotropici associati rispettivamente al linfoma di Burkitt,

carcinoma nasofaringeo,linfoma di Hodgkin(EBV) e al sarcoma di Kaposi;EBV ha un genoma

virale che contiene più di 80 geni, di cui 10 sono espressi nella fase di latenza (LPM e EBNA).

La coordinata espressione degli EBNA e degli LMP nella cellula B comporta appunto

l’immortalizzazione. Un elemento che accomuna il 100% dei casi di linfoma di Burkitt è

rappresentato da trasclocazioni crmosomiche tra il cromosoma 8 e i cromosomi 14, 2, 22

(espressione dell’oncogène c-myc).

Per quanto riguarda invece in sarcoma di Kaposi, il genoma di HHV-8 è presente nelle cellule del

tessuto tumorale e possiede numerosi geni omologhi a geni cellulari che controllano alcuni processi

quali l’apoptosi, la risposta immune e il ciclo cellulare. Le cellule tumorali sono rappresentate dalle

cellule fusate la cui origine è ancora sconosciuta.

ESEMPI DI VIRUS ONCONGENI A R.N.A. E LORO MECCANISMO D’AZIONE.


Retrovirus: questi virus hanno un aspetto del loro ciclo re plicativo in quanto il loro RNA deve

essere trascritto a ritroso in DNA ad opera di una DNA polimerasi RNA dipendente(trascrittasi

inversa). Il dna viene quindi integrato nella cellula ospite e da quella posizione dirige la sintesi di

enzimi e proteine; i retrovirus provocano principalmente tumori dei sistemi reticolo endoteliale e

emopoietico e del tessuto connettivo. Il genere dei retrovirus comprende due famiglie: gli HTLV

(virus della leucemia T umana) e la famiglia degli HIV(virus dell’immunodeficienza umana). I

retrovirus portano con loro dei geni che agiscono da transattivanti su i protooncogèni cellulari(gene

tax), ongèni virali(v-onc), la cui trascrizione porta a immortalizzazione cellulare.

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PROGRESSIONE NEOPLASTICA: DAL TUMORE PRIMARIO ALLE METASTASI

Dopo l’accumularsi di varie mutazioni o danni al D.N.A. che interessino i geni oncosoppressori o i

proto oncogeni, di ha l’iniziazione della trasformazione alla neoplasia.

L’origine del tumore è un’origine di tipo monoclonale, cioè la mutazione di una cellula viene

ereditata dalle cellule figlie dove si possono accoppiare altre mutazioni. La popolazione tumorale

che ne deriverà quindi sarà quindi una popolazioni eterogenea, composta da cloni in cui le

mutazioni non sono sempre le stesse, ma saranno il risultato di apposizioni di mutazioni, e in cui

prevarranno cloni che hanno raggiunto una determinata stabilità genomica e in grado di invadere e

dare metastasi a distanza.

Per quanto riguarda i tumori solidi (ad es. tumori di origine epiteliale) si parla di carcnoma in situ,

nel momento in cui la formazione neoplastica rimanga adesa alla membrana basale che sottende al

tessuto. In questa popolazione ci saranno cellule con la capacità di invadere i tessuti al di sotto della

membrana basale: queste cellule esprimono una serie di molecole in grado di interagire con le

molecole della membrana basale e la matrice extracellulare, producono enzimi proteolitici e vanno

ad acquisire capacità di movimento. In questa maniera invadono i tessuti circostanti fino a giungere

nei vasi: qui interagendo con l’endotelio potranno stimolare una risposta infiammatoria e

formazioni di microtrombi che mascherino gli antigeni tumorali eludendo le cellule del sistema

immunitario. Dal sistema circolatorio fuoriusciranno nei distretti dove saranno in grado di

proliferare; qui ritorneranno ad esprimere le molecole di interazione con le membrane delle altre

cellule e enzimi proteolitici e daranno il via alla formazione del tumore secondario.

Tutto ciò prevede che ci sia una grossa interazione tra le cellule tumorali e le giunzioni del tessuto

epiteliale: questa interazione infatti sovverte il loro comportamento, le degrada e le cellule vanno a

inglobare quelle proteine di membrana che avevano un ruolo importante nelle giunzioni stesse. In

particolare le E-caderine ritornano nel nucleo dove promuoveranno la trascrizione di geni che

stimolano la proliferazione cellulare.

Le cellule tumorali hanno la capacità di indurre la proliferazione di piccoli vasi sanguigni per

potersi assicurare la presenza di ossigeno(neoangiogenesi) tramite secrezioni di fattori

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angiogenetici quali il fattore di crescita endotelio vascolare, fattore bifasico di crescita dei

fibroblasti.

L’angiogenesi è fondamentale nello sviluppo di un tumore primario in quanto cellule tumorale

hanno bisogno di ossigeno e nutrienti per crescere e svilupparsi; favorisce anche la diffusione di

metastasi, in quanto questo piccolo letto vascolare che si viene a creare, va a comunicare con il

circolo sanguigno, aumentando la probabilità che quel tumore possa metastatizzare in altre sedi.

Le metastasi a volte si sviluppano dopo che il tumore primario è stato eradicato: ciò dipende dal

fatto che le cellule tumorali, quando hanno raggiunto il grado di microcircolo a loro necessario, il

tumore inizia a produrre fattori antiangiogenetici per ripristinare la sua particolare “omeostasi”.

Un paziente che ha sviluppato un tumore molto grande, per cui si riconosce la capacità invasiva, e il

numero delle metastasi è minimo, dopo eradicazione della neoplasia primaria, avviene una

diffusione delle metastasi perché la concentrazione degli inibitori dell’angiogenesi prodotti dal

tumore primario, è tale da inibire l’angiogenesi necessaria per lo sviluppo delle metastasi.

L’organo in cui si sviluppa una metastasi può ere raggiunto dalle cellule tumorale attraverso 5 vie:

1) via linfatica: la via più comune in quanto le cellule riescono a invadere più facilmente

l’endotelio dei capillari linfatici;

2) via ematogena: generalmente tramite le venule, e a volte le cellule possono passare nelle

grandi vene( carcinoma renale);

3) via trancelomatica: le cellule penetrano dalla parete dell’organo ricoperto da tuniche sierose

alla parete del sacco sieroso dove prendono il posto delle cellule della tunica;

4) per via canalicolare: le cellule tumorali percorrono il dotto escretore della ghiandola in cu si

è sviluppato un tumore;

5) per contiguità: si sviluppa sulla superficie di un organo anatomicamente continuo a quello

che è sede del tumore primitivo.

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UN ESEMPIO DI PROGRESSIONE TUMORALE: IL CARCINOMA COLO-RETTALE

Il carcinoma colo-rettale è paradigmatico del modello di carcinogenesi definito “MULTISTEP” con

parallelismo tra l’insorgenza ed il succedersi delle lesioni genetiche e la comparsa ed il succedersi

di alterazioni morfologiche della mucosa (alterazione epitelio delle cripte, adenoma, carcinoma in

situ, cancro invasivo).

Questo tipo di carcinoma colpisce una classe di pazienti che hanno in comune una sindrome di tipo

ereditario:poliposi adenomatosa familiare.

In questi pazienti la malattia è annunciata dalla presenza sull’epitelio del colon di piccole

escrescenze tumorali, chiamate polipi; questo fenotipo è causato dalla mutazione omozigote del

gene Adenomatous Polyposis Coli (APC), oncosoppressore, la cui mutazione eterozigote invece

non compromette la funzione del gene, ma predispone all’acquisizione di una seconda alterazione.

Il prodotto del gene APC è una proteina di 310 kD, presente sia a livello citoplasmatico che

nucleare. APC, attraverso l’interazione con la β-catenina e con i membri della famiglia delle

caderine, svolge un’azione di mantenimento dell’adesione cellulare.

La β-catenina forma un legame tra APC ed actina fornendo un ponte alla α-catenina, insieme alla γ-

catenina, al dominio C-terminale della E-caderina. Successivamente al legame della α-catenina, si

forma un complesso con il citoscheletro di actina, che mantiene stabile l’adesione cellula-cellula.

Eventi molecolari multipli sono responsabili della trasformazione dell’epitelio intestinale normale

in epitelio neoplastico. La maggior parte delle mutazioni del gene APC determina la sintesi di una

proteina “TRONCATA”, con conseguente perdita di funzione. La presenza di mutazioni del gene

K-ras è osservata nel 40-50%degli adenomi intermedi e nel CRC. La delezione del gene dcc si

ritrova con maggior frequenza nelle forme più avanzate di adenoma. Queste osservazioni indicano

un ruolo nella progressione piuttosto che nella tumorigenesi.

La delezione e la mutazione del gene p53 è associata alla trasformazione dell’adenoma in

adenocarcinoma.

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