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Lunardon Greta 10/12/2020

Calì Giuseppe Lezione 45


Zappi Miriam Prof.Volinia

TUMOR SOPPRESSOR GENES


La scoperta dei protooncogeni e degli oncogeni ha fornito una semplice e potente spiegazione di come sono
guidate le cellule nella loro proliferazione. Le proteine codificate dei protooncogeni partecipano in vari modi
nei segnali di crescita sia a livello recezione [n.d.r. abbiamo interpretato così ma dall’audio non si capisce
benissimo] che di processamento.
Quando questi geni hanno delle mutazioni, il flusso dei segnali che promuovono la crescita lasciato da queste
proteine viene deregolato: invece di emettere quel segnale in modo controllato le oncoproteine rilasciano un
flusso continuo di segnale di crescita che risultano in una proliferazione senza fine, associata con le cellule
del cancro.
La logica che sottostà al sistema di controllo designato in modo funzionale, però, implica che i componenti
che provocano la crescita devono essere in qualche modo controbilanciati da altri che si oppongono a
questo processo. I sistemi biologici sembrano seguire questa logica; questo ci porta a concludere che i geni
che promuovo la crescita, di cui abbiamo discusso fin ora, sono probabilmente solo una parte della storia
completa che riguarda il controllo della crescita cellulare.
Negli anni ’70 e nei precoci anni ’80 alcuni pezzi di evidenze sperimentali sulla genetica del cancro che
iniziarono ad accumularsi erano in qualche modo difficili da conciliare con le proprietà note degli oncogeni.
Queste evidenze facevano pensare all’esistenza di un secondo tipo, molto diverso, di geni che controllano la
crescita cellulare: uno che opera per contenere o sopprimere la proliferazione cellulare. Questi geni,
anticrescita furono chiamati geni tumore soppressore (TSG). Il coinvolgimento di questi geni nel cancro
aveva a che fare con la loro inattivazione o perdita. Una volta che la cellula aveva perso questi geni diventava
libera da effetti che sopprimono la crescita. Ora, dopo più di 30 anni, noi sappiamo che l’inattivazione dei geni
tumore soppressore, gioca un ruolo molto importante nella patogenesi del cancro altrettanto quanto quello
dell’attivazione degli oncogeni.

La tecnica della fusione cellulare era ben indicata


per cercare di confrontare sperimentalmente geni
che specificassero una crescita normale e quelli che
comportavano una proliferazione maligna.
In questa procedura, cellule di due diversi fenotipi,
e spesso di diversi genotipi, venivano coltivati
insieme in una capsula petri.
Un agente è poi usato per indurre la fusione delle
membrane plasmatiche delle cellule che sono vicine
o a contatto l’una con l’altra. L’agente di fusione può
essere chimico come il politenglicol, oppure una
glicoproteina virale come quelle che sono alla
superficie di alcuni paramixovirus (come il virus di
Sendai). Se due cellule sono vicine e le loro
membrane plasmatiche in contatto il risultato del
trattamento con un agente di fusione sarà una
cellula più grande con un singolo citoplasma e
due nuclei: un sincizio.
Se addirittura, molte cellule sono vicine e si fondono insieme possono diventare un singolo sincizio, in
questo caso una cellula gigante multinucleata o polikarion.

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Come cresceva un ibrido tra cellule normali e cellule tumorali?

Una scommessa, al tempo, era che il cancro, un fenotipo molto


potente, dominante, sarebbe dominante quando messo in
opposizione al fenotipo di una cellula normale ma ciò risulta
essere errato. Infatti, in parecchi esperimenti quando le cellule
tumorali erano fuse con cellule normali, la cellula tetraploide
formata inizialmente perdeva l’abilità di formare tumori quando
queste cellule ibride erano iniettate in modelli animali. Questo
significava, in modo abbastanza inatteso, che il fenotipo maligno
era recessivo rispetto al fenotipo di una cellula normale.
L’eccezione particolare di queste osservazioni avveniva quando le
cellule parentali trasformate in questi ibridi bi-cellulari erano
trasformate da un virus contenente un oncogene. In queste
occasioni, il fenotipo delle cellule tumorali, quelle con l’oncogene,
dominava sull’ibrido con le cellule normali.
Quindi la nozione fondamentale è che il fenotipo normale era effettivamente dominante; solo nel caso
che la cellula avesse il coinvolgimento di un virus tumorale, allora il fenotipo maligno era dominante.

Il Retinoblastoma

Il retinoblastoma, un tipo di tumore pediatrico molto


raro, dà una soluzione al puzzle genetico dei geni tumori
soppressori. Questo tumore della retina origina in
precursori delle cellule che sono fotorecettori, ed è
osservato normalmente in circa 1 bambino su 20mila
casi. Viene diagnosticato fra la nascita e l’età di 6-8 anni.
Dopo di chè questa patologia è incontrata in modo molto
raro.

Questa sindrome compare in due forme:


• In alcuni bambini che nascono in famiglie senza storia di retinoblastoma, si presentano alla clinica
con un singolo tumore in un occhio. Quando questo tumore è eliminato, da radiazione o da
rimozione dell’occhio affetto allora il bambino non ha più rischio di retinoblastoma e nel corso della
vita non ha un rischio elevato di tumori in altri distretti dell’organismo. Dato che questo tumore
colpisce i bambini senza una storia familiare è considerato una manifestazione di forma sporadica di
questa patologia. Siccome questa forma colpisce un singolo occhio viene chiamato retinoblastoma
unilaterale.
• La forma familiare di retinoblastoma compare in bambini che hanno un genitore che ha sofferto di
questa patologia ed è stato curato presto nella sua esistenza. In questo esempio ci sono normalmente
foci multipli di tumori in ambito agli occhi: retinoblastoma bilaterale. Per di più, curando il tumore
negli occhi, che può essere raggiunto sia utilizzando radiazioni che la chirurgia, non vi è protezione
di questi bambini dal rischio, molto aumentato (più di 500 volte rispetto al normale), di sviluppare
osteosarcomi durante la loro adolescenza; in ogni caso hanno un’elevata suscettibilità di sviluppare
altri tumori nel corso della loro esistenza. Quelli che sopravvivono ai tumori e diventano adulti,
normalmente possono riprodursi e metà dei loro figli presenta la malattia. Questo tipo di patologia
passa da una generazione alla successiva in un modo che è conforme con il comportamento di una
malattia mendeliana dominante.

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Il grafico mostra il decorso
clinico di circa 1600 pazienti
con retinoblastoma fra il
1914 e 1984. Come è chiaro
quelli curati per tumori
bilaterali (rosso) hanno un
rischio molto più alto di
sviluppare nella loro
esistenza tumori in una
varietà di organi superiore
rispetto ai bambini che
hanno avuto tumori
unilaterali (blu).

Una dimostrazione di questo rischio più elevato si può attribuire ai tumori che originano vicino all’occhio a
causa della radioterapia che è stata utilizzata per eliminare il retinoblastoma in questi individui quando erano
giovani.

Dopo aver studiato le cinetiche con cui i tumori della retina


appaiono in bambini che avevano o la versione familiare o quella
sporadica della patologia, Alfred Knudson concluse nel ’71 che il
tasso con cui questi tumori apparivano in questi bambini era
consistente con un singolo evento random per quanto riguarda i
tumori familiari, mentre per quanto riguarda i tumori sporadici si
comportava come un doppio evento random necessario per la
formazione dei tumori.

Vediamo nel grafico come ha attenuto questo tipo di deduzione.


Nelle ordinate troviamo le percentuali dei casi divisi per
unilaterali (rosso) e bilaterali (blu) e parte da 100% alla nascita.
Nelle ascisse troviamo l’età alla quale la malattia si è sviluppata
(mesi).

Le cinetiche di cui abbiamo parlato ci possono far arrivare ad


una deduzione, o meglio ad una speculazione: diciamo che ci
sia un gene che chiamiamo Rb (retinoblastoma) la cui
mutazione e coinvolta nel causare questa patologia nei bambini.
Possiamo immaginare che le mutazioni che coinvolgono il gene
Rb nello sviluppo dei tumori creino sempre geni inattivi e
quindi siano alleli recessivi del gene Rb. Se l’allele che
predispone il tumore di Rb è recessivo veramente allora due
coppie di questo gene devono essere inattivate perché una
cellula della retina possa lanciare un programma di
proliferazione incontrollato che eventualmente risulti da un
tumore. Quindi, nei bambini che hanno ereditato un gene wild
type dai loro genitori, la formazione di un retinoblastoma
richiede due successive alterazioni genetiche in una stessa
linea di cellule della retina che inattivi le due coppie funzionali
del gene Rb cioè due mutazioni somatiche.
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Queste dinamiche saranno molto diverse in metà dei bambini che nascono in una famiglia in cui è presente il
gene del retinoblastoma mutato. In questi bambini, possiamo immaginare che uno dei due geni mutati è già
arrivato nell’uovo fertilizzato da un genitore attraverso la linea germinale. Questo mutante di Rb è già
impiantato in tutte le cellule dell’embrione, incluse tutte le cellule della retina. Quindi, qualsiasi cellula della
retina ha bisogno di sostenere solamente una singola mutazione somatica per rimuovere completamente il
gene wild type e per aggiungere uno stato dove non c’è più presenza di un gene Rb funzionale e quindi può
partire un retinoblastoma.

I geni mutanti di Rb sono sia dominanti che recessivi. Mentre non si è ancora presentata l’evidenza
molecolare che sottostà alla genetica di Rb, la discussione fin ora fatta comporta già un’apparente
contraddizione interna. A livello dell’intero organismo, un individuo che ha un mutante, un allele di Rb
difettivo, è sicuro di sviluppare il retinoblastoma ad un certo punto nella sua infanzia; quindi l’allele Rb
causa la patologia a livello dell’organismo in modo dominante. Se fossimo capaci di studiare il
comportamento di questo allele mutante all’interno della cellula concluderemmo che l’allele mutante
agisce in modo recessivo dato che una cellula che ha un mutante e a suo tempo anche una coppia wild type
del gene si comporta in modo normale. Quindi l’allele mutante Rb agisce in modo dominante a livello
dell’organismo e in modo recessivo a livello della singola cellula.
Il comportamento dominante dell’allele mutante Rb a livello dell’organismo dipende dalla dimensione della
popolazione cellulare target della patologia, cioè quella della retina in via di sviluppo. Ad esempio, se ci
fossero 5 milioni di cellule che sono suscettibili di trasformazione in una retina normale, Knudson ne assunse
1 milione nel suo lavoro, e se il tasso di ripresa dell’allele wild type nelle cellule di un individuo eterozigote
fosse di 1 per milione, allora in media questo individuo svilupperebbe 5 cellule in ogni occhio che perdono
l’allele Rb wilde type, e quindi avrebbero praticamente perso la funzione di Rb.
Dato che le cellule Rb-- di questo tipo produrrebbero un retinoblastoma, in ogni occhio di questo individuo ci
sarebbero 5 tumori che ereditano ambedue le perdite di Rb.
Quindi la presenza di eterozigoti nella retina di un individuo pre-ordina lo sviluppo della patologia.
La perdita di un allele wild type in un eterozigote con Rb mutato si chiama perdita di eterozigosità (LOH).
Ci sono vari modi per cui i cromosomi possono raggiungere LOH, abbiamo visto prima la ricombinazione
mitotica, qui vediamo il processo chiamato “conversione genica”.

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In questo meccanismo un’elica di DNA che si sta allungando temporaneamente durante la replicazione del
DNA scambia filamento lasciando il suo filamento originale e formando un ibrido complementare che
appartiene al cromosoma omologo. Dopo aver progredito una certa distanza lungo questa nuova elica ritorna
ad usare come filamento il DNA dell’elica originale, un meccanismo che viene chiamato “scelta di coppia”.
Quindi, la nuova elica di DNA sintetizzata avrà acquistato un pezzo di DNA dal cromosoma omologo e se
questo avviene lungo un tratto che contiene un allele Rb già inattivato, in questo caso, di nuovo, otteniamo
un LOH.
La conversione genica avviene in modo più frequente che la ricombinazione mitotica vista nella diapositiva
precedente.

In molti tumori l’LOH può essere


ottenuta attraverso la perdita di un
intero cromosoma, questo dovuto
ad una segregazione cromosomica
inappropriata durante la mitosi,
nel processo di non disgiunzione.
In una cellula discendente uno dei
tre cromosomi risulta quindi dalla
iniziale non disgiunzione che può
essere poi eventualmente rimossa
lasciando due coppie identiche di
uno dei due cromosomi omologhi.
Alternativamente un attento esame
di complementi cromosomici nel carcinoma del colon ha dimostrato che, almeno in questi tipi di tumori, LOH
può essere ottenuto spesso attraverso un’alterazione genetica che cambia la struttura cromosomica e quindi il
fenotipo delle cellule. Molti di questi eventi sembrano essere traslocazioni che coinvolgono ricombinazione
tra le braccia dei cromosomi.

Nella restante parte di questa lezione vedremo come il gene Rb spesso sottostà alla perdita di eterozigosità
nei tumori umani.

Nel 1978 la localizzazione cromosomica del gene Rb fu ottenuta da studi dei cromosomi presenti in questa
patologia: in un piccolo numero di tumori alla retina un’attenta analisi cariotipica delle metafasi
cromosomiche rivelò delle delezioni interstiziali all’interno del braccio lungo del cromosoma 13.
Anche se ognuna di queste delezioni cominciava e finiva in punti diversi del braccio cromosomico avevano in
comune la perdita di materiale cromosomico nella quarta banda della prima regione di questo braccio
cromosomico, cioè in 13q14. Le delezioni interstiziali comprendevano parecchie centinaia, spesso migliaia
kilobasi di DNA indicando che un numero di geni di questa regione era stato rimosso simultaneamente durante
lo sviluppo di tumori alla retina. Il fatto che questi cambi coinvolgessero la perdita di materiale genetico
evidenziò che il gene Rb, che s’immaginava essere in questa regione cromosomica, era stato scartato
precisamente come predetto dalla teoria dei geni tumore soppressore.

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Nella maggioranza dei casi la mutazione che rimuove il gene Rb in realtà colpisce un segmento molto più
piccolo di DNA cromosomico, quindi è subcromosomico, cioè invisibile ad analisi microscopica delle
metafasi cromosomiche.

Attraverso una buona fortuna, un secondo gene che era localizzato nella regione cromosomica 13q14 era
stato già caratterizzato bene. Questo gene, che codifica per l’enzima esterasi D, è rappresentato nel pool
genetico umano da due alleli distinti nel quale i prodotti proteici migrano a tassi differenti in elettroforesi su
gel.
Quindi è possibile distinguere il gene tramite il prodotto proteico.
Il locus dell’esterasi D presentò ai genetisti un’opportunità per testare la teoria dell’LOH (perdita di
eterozigosità); quando avviene LOH un’intera regione cromosomica normalmente è colpita. Perciò, dato
che l’esterasi D era stato mappato vicino al gene Rb sul braccio lungo del cromosoma 13, se il locus di Rb
aveva sofferto LOH durante lo sviluppo del tumore allora anche il locus dell’esterasi D avrebbe dovuto
frequentemente soffrire lo stesso tipo di fatto, non sempre perché il gene non è attaccato ma vicino.
In effetti, il locus dell’esterasi D poteva agire come un “marcatore surrogato” per il gene ancora misterioso
e non clonato di Rb (anni ’70 – ’80).

Quando i ricercatori andarono a studiare le cellule del tumore di molti bambini che erano nati eterozigoti al
locus dell’esterasi D (avevano ereditato 2 alleli diversi per quel gene dai genitori) trovarono che le cellule
tumorali avevano perso un allele dell’esterasi D e perciò dovevano avere compiuto un LOH. Ciò suggerì che
il gene Rb che era molto vicino avrebbe anche lui avuto un LOH. Questo tipo di cambiamento si conformava
alla teoria che riguardava i geni tumori-sopressori dei quali ambedue gli allei wilde type dovevano essere
rimossi prima che la cellula possa crescere in modo non controllato.

Infine, nel 1986 il gene Rb fu clonato con l’aiuto di una sonda di DNA che riconosceva una sequenza genomica
anonima localizzata da qualche parte nel cromosoma 13q14. In modo fortuito questa sequenza era localizzata
dentro il gene Rb stesso.

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Altre sonde di DNA derivanti da porzioni diverse del gene clonato rivelarono, come era stato speculato in
precedenza, che il gene Rb in un retinoblastoma soffriva mutazioni che risultavano la sua inattivazione. In
alcuni retinoblastomi queste mutazioni erano grandi delezioni nel gene e anche in sequenze fiancheggianti.
Analisi con tecnologie degli anni ’80 (southern blotting) rivelarono che l’allele mutante risultante era
normalmente presente in omozigosi; ciò significava che dopo la creazione di un allele inattivo, cosiddetto
nullo geneticamente, su un cromosoma, la regione corrispondente sull’altro cromosoma omologo era
rimossa portando quindi ad un LOH in questo locus. Questi dati validavano direttamente molte delle
predizioni dei modelli teorici proposti per spiegare come i geni tumore-soppressori possano influenzare lo
sviluppo del cancro.
Come menzionato, bambini che avevano un gene difettivo di Rb erano anche predisposti agli osteosarcomi
da adolescenti. Con la sonda genica per Rb, fu possibile dimostrare che questi osteosarcomi avevano anche
loro strutturalmente il gene alterato di Rb oltre a quello ereditato dai genitori. Allo stesso tempo, queste
scoperte mettevano in luce un intrigo che rimane ancora non risolto ai giorni nostri: perché un gene come Rb,
che opera in una grande varietà di tessuti nel nostro, come vedremo nelle lezioni successive, causa
principalmente tumori alla retina o all’osso quando ereditato in forma difettiva da un genitore?
Perché non tutti i tessuti hanno rischio uguale?
La tendenza dei geni tumori-soppressori a sottostare a LOH durante lo sviluppo dei tumori ha dato ai ricercatori
una buona strategia genetica per trovare questi geni stessi. Dato che i cromosomi che fiancheggiano un gene
tumore-soppressore sottostanno a LOH insieme al gene stesso, si dovrebbe essere capaci di scoprire
l’esistenza di un gene TSG ancora non scoperto semplicemente dal fatto che un marcatore genetico vicino,
anche diverso, o senza una funzione, rispetto a TSG possa sottostare LOH durante lo sviluppo di un certo
tipo di tumore. I genetisti del cancro hanno usato dei marcatori RFLP (polimorfici e anonimi) per determinare
se alcune regioni cromosomiche sottostanno LOH più frequentemente di altre durante lo sviluppo di alcuni
tipi di tumore.
La figura mostra i risultati di uno studio con RFLP per
cercare le regioni di LOH nei tumori colon rettali
(carcinoma). In questo caso le braccia lunghe e corte
della maggior parte dei cromosomi erano presentate
da almeno un marcatore RFLP: questo consentiva
di seguire il fato dell’intero braccio cromosomico.
In questa serie di tumori umani il braccio corto (p) del
cromosoma 17 e il braccio lungo (q) del cromosoma
18 hanno tassi molti alti di LOH. Questi cromosomi
infatti sono molto al di sopra dei livelli di background
(15-20%) che troviamo nelle altre braccia
cromosomiche in queste cellule tumorali.

Questo livello di background di LOH dipende dal fatto che tutte le regioni cromosomiche hanno una certa
tendenza a sottostare a LOH anche per caso. Se LOH avviene in una regione perché c’è un TSG la
proliferazione di queste cellule è favorita e questo viene ribadito da un più alto numero di tumori che hanno
quel particolare LOH. Il fatto che nel braccio specifico del cromosoma 17 e 18 sottostanno frequentemente
LOH dei tumori dà una forte evidenza che queste braccia contengono dei geni tumori-soppressori
ancora non noti.
Così l’organizzazione genetica provvede ai clonatori dei geni indicazioni chiare di dove nel genoma dovevano
cercare i colpevoli per TSG che potessero giocare un ruolo importante nello sviluppo di questi tumori.
Come con i marcatori RFLP, le strategie più nuove dipendono dalla capacità di individuare polimorfismi a
singolo nucleotide SNP (“snips”) nei genomi della cellula normale dal cancro e questi SNP sono individuati
utilizzando PCR. Questa innovazione permette l’identificazione di molti più SNP nel pool genetico umano
rispetto agli RFLP. Più importante è che gli SNP identificati da RFLP o da PCR o altre tecnologie diventano
utilizzabili nelle analisi di LOH solo se una proporzione significante di pazienti sono eterozigoti per questi
marcatori.
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Ormai gli SNP sono svariati milioni e circa il 90% di essi sono rappresentati da un allele che ha una frequenza
di almeno 10%. In termini pratici, ciò vuol dire che nel genoma di una persona normale 2/3 degli SNP sono
presenti in uno stato eterozigote e quindi utilizzabili per LOH. Questo significa che questi milioni di SNP
eterozigoti sono distribuiti sul genoma di 3 miliardi di basi ad una media di 1 per kilobase o anche più densi.
Ciò aumenta enormemente rispetto ai primi RLFP, 1 o pochi marcatori per braccio di cromosoma. Permettono
di localizzare in modo molto preciso delle regioni di LOH e quindi di individuare un numero molto piccolo di
geni localizzati in quelle regioni e perciò di facilitare l’identificazione di geni responsabili di attività di
TSG. Ciò nonostante, anche prima dell’introduzione di queste tecnologie molto potenti, abbastanza recenti, le
analisi del LOH avevano identificato almeno 30 TSG.

Numerosi geni tumore soppressore, che operano come il genere B erano ipotizzati essere presenti nel genoma
umano e giocare un ruolo nella patogenesi di molti tipi di tumori. Nei tardi anni 80 i ricercatori interessati a
trovare questi geni, avevano di fronte a loro una serie di esperimenti possibili ma problematici.
Come si poteva trovare nei geni consistenza apparente quando loro non ci sono nella cellula? Gli oncogeni
attivati e dominanti in contrasto potevano essere identificati molto facilmente attraverso la presenza di una coppia
integrata in un retrovirus, ad esempio, oppure attraverso un saggio di trasfezione focus o ancora attraverso la
presenza di segmenti cromosomici che erano amplificati in modo ripetuto in vari tipi di tumore indipendenti.
“Una premessa generale è la richiesta” [n.d.s il senso della frase non era comprensibile] che non dipendesse
dall’osservazione di, ad esempio, delezioni cromosomiche interstiziali, molto rare, o dalla presenza di un gene
noto polimorfico come quello esterasi D [n.d.r. è quello che siamo riusciti a capire al minuto 1.34] che
effettivamente aiutò molto ad identificare le B, ma erano probabilmente eccezioni rispetto la norma. In generale
comunque le ricerche dei geni tumore soppressori non sembravano favorite da grandi colpi di fortuna, un po'
come è successo per Rb. La tendenza quindi ad utilizzare LOH per identificare TSG era una delle poche strategie
che potevano essere applicate in modo ripetuto; effettivamente, quello che è successo è stato questo e come è
stato detto nell'ultima lezione ci ha aiutati a identificare almeno 30 geni entro la fine degli anni 2000.

In questa parte la lezione si vedrà come la metilazione del DNA nel promotore di un gene rappresenta un
meccanismo importante per inattivare un gene tumore soppressore.

Le molecole di DNA possono essere alterate in modo covalente dall'attacco di un gruppo metile alla base di
citosina. Nelle cellule del mammifero questa metilazione si trova solo quando le basi sono localizzate in posizione
5’ a una guanosina: c'è una sequenza CG o meglio CpG, indicando la direzione; questa modificazione è spesso
chiamata CpG metilato anche se in realtà solo la citosina è metilata. Quando la metilazione in CpG avviene nelle
vicinanze di un promotore genico, può causare la repressione della trascrizione di gene e, al contrario, quando i
gruppi metilici sono rimossi la trascrizione di quel gene spesso è de-repressa e cioè attivata. Le ricerche hanno
mostrato che le metilazioni in CpG del DNA genomico sono importanti come una mutazione nello spegnere o
possibilmente sottoregolare i geni tumore soppressore.
Ci sono spesso delle regioni localizzate di DNA con alta densità di CpG chiamate isole CpG che diventano
metilate in modo inappropriato nel genoma delle cellule cancerose. Queste isole CpG sono spesso affiliate con i
promotori dei geni e la metilazione da parte di enzimi chiamati DNA metiltransferasi silenzia la trascrizione: il
risultato è nello spegnimento dei geni che dovrebbero altrimenti rimanere trascrizionalmente attivi. Uno studio
recente ha indicato da circa 70% di geni del genoma umano hanno isole Cpg associate con i promotori, cioè un
totale di 14000 geni che sono in principio vulnerabili a shut down per spegnimento inappropriato da parte della
metilazione. La metilazione è capace di spegnere l'espressione di un gene solo se avviene all'interno della
sequenza del promotore; al contrario, la metilazione di sequenze di DNA nel corpo del gene, cioè esone ad
esempio, hanno poco effetto a livello della trascrizione. Dato che la metilazione del promotore silenzia un gene in
modo molto effettivo possiamo predire che questa modifica gioca un ruolo nel silenziamento del gene tumore
soppressore che avviene durante la progressione dei tumori.

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Questa figura mostra lo stato di metilazione delle isole CpG nel promotore di un gene tumore soppressore
chiamato RASSF1A. Ogni circolo indica il sito di un CpG distinto in questa isola e la loro localizzazione è
indicata da una linea breve verticale e identificata da un numero sulla mappa al di sopra della mappa di
metilazione. I circoli blu pieni indicano che il CpG è metilato mentre i circoli aperti indicano che non è metilato.
L’analisi di 5 campioni di DNA da un tumore, in questo caso chiamato 232, indica la metilazione in quasi tutti i
CpG che sono nell'isola CpG di RASSF1A. Nell’adiacente, il tessuto sembra normale e non è metilato nella
maggior parte ma non in tutti i CpG di quest'isola. L’analisi di un DNA di controllo da un individuo normale
indica l'assenza di ogni metilazione nelle CpG di questa isola. Questi dati suggeriscono la presenza di alcune
cellule anormali con DNA metilato nel tessuto adiacente apparentemente normale rispetto al tumore 232 usato
come controllo.
Infatti, negli anni recenti è diventato ovvio o evidente che la metilazione del promotore può essere un evento
anche molto importante nello spegnere i geni tumore soppressore, anche rispetto a vari meccanismi di mutazioni
somatiche. Più della metà dei geni tumori soppressore che sono coinvolti nelle sindromi di cancro familiare
dovute a mutazioni, ad esempio, in linee germinali sono state trovate essere silenziate in tumori sporadici
attraverso la metilazione del promotore; per esempio, quando il gene tumore soppressore RB è mutato nella linea
germinale dà il retinoblastoma familiare. Nel retinoblastoma sporadico però questo TSG è inattivato o tramite
mutazioni somatiche oppure tramite metilazione dei promotori. In aggiunta ai promotori di una varietà di altri
geni che sono noti o candidati ad essere TSG, sono stati trovati essere metilati nel loro promotore (in questa
tabella sono una lista abbastanza lunga).

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Nelle cellule del cancro anche fino al 5% dei geni, cioè circa 1000, che hanno isole CpG, possono essere
ipermetilate e cioè metilati molto più del normale. I meccanismi molecolari che fanno arrivare la cellula a
produrre questo tipo di metilazione sono ancora poco compresi; una spiegazione, abbastanza attraente, deriva dal
fatto che la DNA metiltransferasi 3B, DNMT3B, è sovrespressa in molti tumori che hanno questo fenotipo.
Questo enzima si associa con alcune proteine nucleosomali che sembrano influenzare la sua abilità di metilare il
DNA vicino; inoltre, l’over-espressione di DNMT3B nei topi, che sono geneticamente modificati per sviluppare il
carcinoma al colon, accelera molto il tasso a cui si formano i tumori.

In questa figura vi sono delle microfotografie di preparati immunoistochimici che riguardano questo enzima ed è
stato utilizzato un anticorpo specifico che dà una colorazione marroncina. In questo gruppo di tessuti normali e
neoplastici del colon il livello di DNMT3B aumenta all'aumentare della progressione del tumore. L'eliminazione
del TSG attraverso la metilazione del promotore potrebbe avvenire attraverso due strade:
1. ambedue le coppie di un TSG possono essere metilate indipendentemente una dall'altra
2. una copia può essere metilata e la seconda potrebbe essere persa attraverso LOH ad esempio,
accompagnato quindi da una duplicazione della coppia che era già metilata sull'altro cromosoma.
In effetti, questo secondo meccanismo sembra essere quello che opera più frequentemente. Ad esempio in uno
studio su polmoni di fumatori, o di fumatori che hanno smesso anni prima o di persone che non hanno mai
fumato, il TSG chiamato P16INK4A, di cui si parlerà più avanti, è stato trovato essere metilato nel 44% delle
cellule epiteliali bronchiali normali coltivate da fumatori attuali e vecchi fumatori che poi hanno smesso; inoltre,
l’oncogene [n.d.s. il prof dice ossogene ma non abbiamo trovato niente a riguardo] è stato trovato non essere
metilato per niente nelle cellule derivate da persone che non hanno mai fumato. L’LOH in questa regione
cromosomica di questo gene era stato trovato in circa il 70% nelle popolazioni di fumatori attuali o di vecchi
fumatori e solo del 1.5-2% in persone che non avevano mai fumato.

Questa figura illustra lo stato di metilazione nei promotori di 12 geni in un certo numero di tumori umani diversi e
mostra chiaramente che la frequenza di metilazione di un gene specifico varia in modo drammatico anche a volte
da un tipo di tumore all'altro. I dati in questa figura rinforzano il fatto che il TSG, così come anche i geni con altre
funzioni, sottostanno a ipermetilazione; forse la lezione più importante imparata da questa figura è la pervasività
della metilazione del promotore durante lo sviluppo di una grande varietà di tumori umani; dato un singolo
tumore, però, al suo interno molti geni possono essere spinti attraverso la metilazione. Ad esempio, nell'analisi
dello stato di metilazione di 8 geni critici del cancro nel genoma di 107 carcinomi al polmone non a piccole
cellule, NSCLC, il 37% (più di 1/3) avevano almeno due di questi 8 geni critici con il promotore metilato; il 21%
(1/5) avevano due di questi geni critici con promotore metilato e addirittura 5 geni su otto ipermetilati in 2 tumori
su 100.

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Ora ci si focalizza su alcuni di questi geni tumore soppressori, descritti nella tabella vista in precedenza,
identificati quindi attraverso LOH e poi clonati. Di seguito si illustrano i meccanismi molto interessanti di azione
per alcune di queste proteine e questi esempi sono scelti appunto tra quelli di questa grande lista mostrata nella
tabella in precedenza perché mostrano come sono diversi i meccanismi che le cellule mettono in funzione al fine
di prevenire una proliferazione senza controllo. Questi esempi illustrano anche le difficoltà incontrate nel
determinare le azioni specifiche, sia biochimiche che biologiche, di vari geni tumore soppressore; in questi
esempi si va dalla superficie della cellula verso il nucleo.

La neurofibromatosi è stata per la prima volta descritta nel 1862 da Friedrich von Recklinghausen. Ora si sa che
questa malattia è relativamente comune come sindrome familiare del cancro, con una media di una persona affetta
su 3500 al mondo. La prima caratteristica di questa patologia è lo sviluppo di tumori benigni nei fogli cellulari
che circondano i nervi nel sistema nervoso periferico. I pazienti con neurofibromatosi spesso hanno anche altri
tipi di anomalie che coinvolgono altri tipi cellulari quali, ad esempio, le macchie “caffè au lait”, che sono aree di
iperpigmentazione della pelle; ancora, alterazioni particolari nella morfologia delle cellule della pelle e delle
ossa lunghe, difetti cognitivi e lesioni benigne dell’iride chiamate noduli di Lisch. Dato che fratelli e sorelle che
ereditano lo stesso mutante da genitori di un gene chiamato NF1 spesso hanno fenotipi di questa malattia molto
diversi, queste manifestazioni sono molto influenzate dal background genetico del paziente, cioè da tutte le altre
mutazioni presenti in questo individuo nel suo genoma. Il gene NF1 fu scoperto nel 1990 mentre un secondo tipo
di neurofibromatosi è connesso con l’inattivazione di un TSG totalmente diverso cioè NF2.
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Il comportamento genetico di NF1 è molto simile a quello di RB quindi i mutanti attivati di NF1 sono trasmessi
attraverso linea germinale e agiscono in modo dominante per creare la patologia. A livello cellulare la
configurazione originale eterozigote del gene NF1+/NF1- è convertita ad uno stato omozigote NF1-/NF1- nelle
cellule del tumore attraverso una loss of heterozygosity (LOH). Infine quasi il 50% dei pazienti con
neurofibromatosi non ha una storia familiare di patologia indicando che l’allele mutante che loro portano è la
conseguenza di una mutazione de novo nella linea germinale; come nel caso del genere B, queste mutazioni de
novo normalmente avvengono durante la spermatogenesi nel padre dei pazienti.

La neurofibromina ed il ciclo di segnalazione di RAS

Come è illustrato qui in alto a destra, la proteina RAS attraversa un ciclo nel quale diventa attivata da una GEF,
Guanine nucleotide Exchange Factor (ad esempio SOS) e viene inattivata in questo ciclo da una GTP-ase
activating protein, una proteina che attiva la GTPasi di Ras (Ras-GAP). Una delle principali Ras-GAP nel nostro
genoma è effettivamente il gene NF1, cioè la neurofibromina che può stimolare l'attività GTPasica di Ras anche
mille volte. La struttura del dominio di NF1 che interagisce con Ras è illustrata in questa figura. Un sottodominio
di NF1, chiamato il dito di arginina (in alto) ha un’arginina critica, R1276, che è inserita nel sito del GTPasi di
Ras e contribuisce in modo attivo all’idrolisi del GTP da parte di Ras che quindi produce un GDP. Le mutazioni
che causano una sostituzione dell'arginina in questo dito di arginina di NF1 con altri tipi di amminoacidi risultano
in una proteina NF1 che ha una diminuzione di 1000 volte della sua attività di stimolazione verso la GTPasi di
Ras. Le forme mutanti di NF1 che hanno sostituzioni aminoacidiche osservate nei pazienti con neurofibromatosi
sono indicati da sfere grigie che sono a loro volta etichettate da box grigi.

Mentre la grande maggioranza, più del 95% dei carcinomi al colon, sono sporadici, un piccolo gruppo origina
come conseguenza di un allele ereditato che crea sostanzialmente un rischio durante tutta la vita per questa
patologia; la più compresa di queste sindromi ereditabili di carcinoma al colon è il cosiddetto adenomatoso
polyposis coli, chiamato nuovamente poliposi adenomatosa familiare, o FAP in inglese. Essa è una
suscettibilità ereditaria di sviluppare polipi adenomatosi nel colon e questi polipi, mentre non sono loro stessi
maligni, sono però proni a diventare dei carcinomi franchi ad una frequenza bassa ma comunque importante;
questa sindrome è responsabile per un po' meno del 1% di tutti i carcinoma al colon che abbiamo nel mondo
occidentale.

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Nelle popolazioni del mondo occidentale, nelle quali il carcinoma al colon è abbastanza frequente a causa di
alcuni fattori dietetici ancora poco compresi, i polipi sono spesso presenti in basso numero attraverso il colon. Per
l’età di 70 anni circa metà della popolazione ha sviluppato almeno una di queste crescite e in un numero molto
piccolo di individui che soffrono di FAP i polipi sono centinaia e rivestono la superficie luminale del colon. Il
clonaggio del gene APC, responsabile di questa patologia, ha portato dopo molti anni di ricerca, ad una vista
abbastanza chiara di come questo gene e la sua proteina sono capaci di controllare la proliferazione cellulare nel
colon. Come si discuterà in dettaglio nelle prossime lezioni, gli epiteli del colon e del duodeno sono organizzati in
un modo che è tipico di un numero di epiteli nel nostro organismo. In tutti i casi, i gruppi di cellule staminali
abbastanza indifferenziate possono originare due distinti tipi di cellule figlie quando si dividono: una cellula figlia
rimane staminale, quindi assicurando che il pool di cellule staminali del tessuto rimanga costante, mentre l'altra
cellula figlia e i suoi discendenti diventano differenziati.

All'interno degli enterociti individuali verso il basso delle cripte intestinali le molecole di beta-catenina migrano
verso il nucleo ed associano qui con fattore di trascrizione, quali TCF e LEF. Ciò guida un aumento della
proliferazione in queste cellule e, allo stesso tempo, previene il loro differenziamento. Nell’intestino normale (lato
sinistro della cripta in questa figura) molte delle progenie di queste cellule staminali migrano verso l'alto, verso il
lume, e mentre fanno questo diminuisce la stimolazione da parte di Wnt stromale e i livelli intracellulari di APC
aumentano.
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Questi due cambi, insieme, comportano un aumento della traslazione della beta-catenina nei singoli enterociti che,
a sua volta, risulta in una cessazione della proliferazione e nell'aumento del differenziamento man mano che
queste cellule approcciano il lume e alla fine entrano in apoptosi dopo tre o quattro giorni (piccole frecce verdi
indicate in figura). In contrasto, quando la proteina APC è difettiva (parte destra della cripta) i livelli di beta
catenina rimangono alti, anche in assenza di segnalazione da parte di Wnt e le cellule indifferenziate e proliferanti
non riescono a migrare verso l'alto, si accumulano nelle cripte e possono alla fine generare un polipo
adenomatoso. Anche mutanti di beta-catenina resistenti alla degradazione possono quindi produrre lo stesso tipo
di risultato di un mutante in APC.

I meccanismi molecolari d'azione di APC aiutano a spiegare i livelli che declinano nelle beta-catenine
intracellulari di cellule in differenziamento. APC è una grande proteina di 2843 aminoacidi, che può associare con
la beta catenina. Insieme con altre due proteine, che si chiamano assina e conduttina, APC forma un complesso
multiproteico che mette insieme anche la GSK3. Quest’ultima, quindi, associata ad APC e perciò al complesso
multiproteico, porta la fosforilazione in 4 amminoacidi amino-terminali nella beta catenina.
=> la fosforilazione della beta catenina da parte di GSK3b quindi porta alla degradazione della stessa beta
catenina attraverso il pathway di ubiquitina e proteasoma. In sostanza APC è essenziale per attivare la
degradazione della beta catenina e in sua assenza, cioè in individui con mutazioni ereditarie di APC, essa si
accumula ad alti livelli dentro la cellula. Tale accumulo è chiaramente la conseguenza più importante
dell’inattivazione di APC che può essere osservata in circa il 90% dei carcinomi al colon sporadici.

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Si è arrivati a questa conclusione studiando una certa minoranza: in questo caso meno del 10% dei carcinomi
sporadici al colon hanno gli alleli wild type di APC. In alcuni di questi il gene APC è ipermetilato nel suo
promotore e reso inattivo; in altri il gene codificante la beta catenina ha delle mutazioni puntiformi e i mutanti
risultati in beta catenina perdono i residui amminoacidici che sono normalmente fosforilati da GSK3beta. Dato
che questi mutanti non possono essere fosforilati in modo appropriato, le molecole di beta catenina mutanti non
vengono degradate e si accumulano, precisamente quello che avviene quando manca la proteina APC. Quando la
beta catenina si accumula nei precursori degli enterociti a causa dell’inattivazione di APC o di altri meccanismi in
questo pathway, si ha una ritenzione del fenotipo di cellula staminale, che quindi impedisce a queste cellule di
migrare verso l'alto delle cripte intestinali. Ciò comporta a sua volta l'accumulo di un grande numero di cellule
abbastanza indifferenziate nelle cripte del colon che eventualmente formano i polipi adenomatosi; molto
importante è ovviamente che l'accumulo di queste cellule può portare poi altre mutazioni in altri geni che le
rendono polipi più avanzati e in seguito ad alcune mutazioni precise posso diventare carcinomi.

La sindrome di Von Hippel-Lindau è una predisposizione ereditaria allo sviluppo di una serie di tumori che
includono il carcinoma renale a cellule chiare, il feocromocitoma (il tumore delle cellule delle ghiandole
surrenali) e gli emangioblastomi. Mutazioni nelle cellule germinali del tumore soppressore, VHL, sono stati
documentati in quasi tutti i pazienti che soffrono di questa sindrome, che è presente in circa una persona su
35000. Come i mutanti di Rb, i mutanti VHL agiscono a livello dell’organismo in un modo autosomico
dominante ed estendendo ulteriormente l'analogia con Rb, il locus VHL sottostà una perdita di eterozigosità LOH
che risulta in un genotipo omozigote VHL-/VHL- nelle cellule tumorali dei pazienti che hanno ereditato un
mutante VHL in linea germinale. Il gene VHL è anche inattivato nella maggioranza, circa il 70% dei carcinomi al
rene sporadici.

In questi tumori sporadici, nei quali l’allele mutante VHL non è presente, spesso questo gene viene silenziato da
metilazione del promotore; il compito principale, ma forse non l'unico, di VHL, o meglio di pVHL, cioè la
proteina prodotta dal gene VHL, è quello di provocare la distruzione di un fattore di trascrizione critico chiamato
Hypoxia-Inducible Factor 2, o HIF2. Nelle cellule che hanno tensione di ossigeno normale (normoxia) pVHL
provoca la degradazione di una proteina molto simile, HIF 1alfa (una subunità di HIF-1); conseguentemente, HIF
1alfa è sintetizzata e degradata con emivita di soli 10 minuti. Il risultato è che HIF1alfa si accumula solo a livelli
molto bassi della cellula e perciò il fattore di trascrizione HIF 1 che viene assemblato dalle sue subunità HIF 1alfa
e HIF beta rimane inattivo. Questo tipo di sintesi seguito da una rapida degradazione sono chiamate spesso un
ciclo futile, cioè inutile.

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Questo particolare ciclo però poi si è interrotto quando la cellula fa esperienza di ipossia, cioè quando la pressione
di ossigeno è presente a livelli sotto la norma; in queste condizioni non avviene più l’”idrossilazione” [n.d.s.
almeno da quanto ho capito riascoltando più volte la registrazione e verificando su internet] di HIF 1alfa e i
livelli di HIF 1alfa aumentano in pochi minuti, cioè la sua emivita e quindi la sua conservazione aumentano più di
10 volte. La formazione di un fattore di trascrizione funzionale HIF 1 che ne deriva causa l’espressione di una
serie di geni i cui prodotti sono coinvolti nella angiogenesi, cioè la generazione di nuovi vasi sanguigni, nella
eritropoiesi, la formazione di cellule del sangue cioè gli eritrociti, nella glicolisi, il trasporto del glucosio nelle
cellule. I motivi di tutto questo sono
1. indurre una sintesi di proteine capaci di permettere la sopravvivenza in condizioni ipossiche nel breve
termine
2. far acquisire al tessuto un'adeguata sorgente di ossigeno nel lungo termine.
E’ importante notare che tra queste proteine ce ne sono alcune che collaborano ad attrarre la crescita di vasi nuovi
nella regione ipossica; come si vedrà nelle prossime lezioni la formazione di nuovi vasi, angiogenesi, è molto
importante per la crescita dei tumori dato che per loro è importante acquisire l'accesso a ossigeno e nutrienti e
poter evacuare la CO2 dovuta a rifiuti metabolici.

Questa ultima diapositiva fa vedere le conseguenze biologiche della perdita di VHL.


Dato che pVHL guida la degradazione sia di HIF1 alfa che della sua proteina omologa HIF2 alfa, la cui
inattivazione potrebbe essere anche più importante per lo sviluppo di alcuni tumori, i livelli di queste proteine
riflettono la funzione di pVHL.
Si possono vedere a sinistra 2 microfotografie: in quella in alto abbiamo un carcinoma renale con alti livelli di
HIF 2alfa, presenti in molti nuclei cellulari colorati in violetto scuro, mentre la stessa proteina è praticamente
assente nei tessuti di rene normali, in basso. Nella figura di destra vediamo un’ibridazione in situ con sonde per
mRNA di VEGF. Quest’ultimo è un gene tra i principali target di quelli attivati da HIF 1 e HIF 2. A sinistra, un
carcinoma mammario in situ che rimane localizzato, e perciò non ha ancora invaso lo stroma circostante e
vediamo anche una grande area al centro di cellule necrotiche, indicate dalle frecce. A destra, vediamo, con l'uso
di un protocollo di ibridazione in situ, l’RNA messaggero di VEGF che è indotto da HIF 1 e HIF 2 (la marcatura
dell’mRNA rivelata in bianco); è possibile vedere come il VEGF si è espresso in un gradiente che aumenta dai
bassi livelli nella zona esterna del tumore, dove l'ossigeno è normale, fino ad un’espressione molto intensa verso
il centro ipossico del tumore, dove vi è un segnale molto bianco; aree di ipossia ancora maggiore sono
incompatibili con la sopravvivenza cellulare, spiegando quindi il grande centro necrotico del tumore dove l’RNA
del VEGF non è più praticamente espresso.
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