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elaborato da Monica Avino e Federica Liguori
Farmaci antineoplastici
Una neoplasia è una malattia in cui una serie di geni che hanno un ruolo chiave nella
proliferazione cellulare, nell’invasione, nel differenziamento cellulare, quando sono alterati
rendono una cellula incapace di rispondere agli stimoli che normalmente ne regolano l’attività,
quindi una crescita disregolata.
La terapia medica del cancro si basa su gruppi di farmaci che sono riconducibili a 4 classi
funzionalmente diverse:
1. Farmaci chemioterapici o citotossici cioè farmaci che agiscono determinando la morte cellulare,
quindi causando nella gran parte dei casi apoptosi ed esplicando l’effetto terapeutico
distruggendo le cellule neoplastiche. Poichè questi farmaci non sono affatto specifici per la cellula
tumorale, i farmaci citotossici sono caratterizzati da un BASSO INDICE TERAPEUTICO. Costituiscono
ancora oggi i farmaci più spesso utilizzati nelle neoplasie umane, sia ematologiche che solide
dell’adulto;
Sono distinti in: Agenti che causano danno diretto al DNA(farmaci alchilanti), antimetabolici
(antagonisti dell'acido folico e analoghi delle pirimidine) ed antimitotici (inibitori delle
topoisomerasi e antimicrotubulari).
2. Farmaci per terapia ormonale o ormonoterapia o terapia endocrina dei tumori che è basata
sull’uso di sostanze ormonali o anti‐ormonali che interferiscono con la proliferazione di neoplasie
che da un punto di vista etiopatogenetico e del comportamento sono ormono‐sensibili e ormono‐
dipendente. Esempio di terapia ormonale efficace: cancro della prostata e cancro della mammella;
3. Farmaci per immunoterapia o terapia immunologica delle neoplasie: sappiamo certamente
che il nostro S.I. costituisce un ottimo baluardo di difesa su tutto quello che è estraneo ad ogni
"fisiologica reazione" e quindi attua dei meccanismi di difesa nei confronti di patogeni per esempio
ma viene attivato anche per proteggere da alterazioni funzionali non normali, quindi patologiche
del nostro organismo.
Molto spesso la sorveglianza del S.I. permette di evitare lo sviluppo di neoplasie del nostro
organismo perché meccanismi immunitari possono distinguere cellule che stanno per diventare
neoplastiche o cloni inizialmente neoplastici. Se facciamo una terapia che attiva o potenzia o
permette un migliore funzionamento del S.I. potremmo avere un efficace trattamento anti‐
neoplastico. Fino a qualche anno fa questa via non era molto efficace sia perché si usavano
sostanze ad ampio spettro di attività del S.I. ma poco specifiche e selettive (interferoni, IL‐2 per
attivare il S.I. di fronte ai tumori) si usavano per lo più per tumori del rene e melanoma ma in ogni
caso insoddisfacenti.
Si è pensato poi ad utilizzare i cosiddetti vaccini antitumorali partendo dal principio che alcuni
tumori possono esprimere preferenzialmente delle molecole alterate, ad esempio un oncogene
alterato come proteina o degli antigeni più specifici oppure più selettivi o più espressi nel tumore.
Prelevando quindi una porzione di antigene e ottenere una risposta immunitaria utilizzando
questo frammento come fonte di vaccinazione. Anche come prevenzione primaria si possono
usare vaccini che normalmente utilizziamo per preparare una R.I. prima che l’agente patogeno
venga a contatto con noi. È risultato efficace in almeno due esempi: nella vaccinazione contro il
virus dell’epatite B e più recentemente contro alcuni ceppi di papillomavirus che sono
maggiormente responsabili allo sviluppo del cancro alla cervice uterina. Questo però è un
meccanismo di tipo attivo‐preventivo rispetto alla vaccinoterapia anti‐tumorale propriamente
detta che si inizia alla comparsa del tumore.
4. Farmaci a bersaglio molecolare chiamati anche farmaci intelligenti, rappresentano una via più
moderna, entrati nella corrente pratica clinica. Selettivamente interferiscono, bloccandone la
funzione, con molecole che sono attivate in quel determinato tumore, con quella particolare via
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metabolica. Gli esempi più utili sono i farmaci contro alcuni fattori di crescita come l’angiogenesi
indotta da tumore.
Dunque la terapia medica può avvalersi di 4 vie di intervento, con obiettivi diversi, differenziandosi
da una terapia loco‐regionale (la chirurgia è quella per eccellenza seguita dalla radioterapia).
La terapia medica è preponderante quando la malattia diventa sistemica e metastatica. Essa può
essere usata secondo tre modalità:
• modalità terapeutica precauzionale, terapia adiuvante: a seguito di intervento chirurgico e/o
radioterapia abbiamo eradicato la malattia loco‐regionale (es: tumore mammario primitivo);
• modalità terapeutica di supporto, adiuvante: in presenza di indicazioni prognostiche che ci
fanno pensare ad una probabilità di micro‐metastasizzazione a distanza, dopo l’intervento
regionale si effettua una terapia medica sistemica per un certo tempo che serve a consolidare la
guarigione della paziente (in questo caso);
• modalità terapeutica preparatoria, neoadiuvante: per ridurre le dimensioni della massa
tumorale prima di intervenire chirurgicamente con un intervento meno invasivo o per lo meno per
migliorare la preservazione dell’organo.
FARMACI CITOTOSSICI
Il termine chemioterapia non si usa più, è meglio definirli citotossici proprio per l’uccisione per
apoptosi della cellula tumorale.
Questi farmaci agiscono in attiva proliferazione cellulare, in fase G1, S. Il fatto che questi agiscano
in proliferazione cellulare costituisce da una parte un elemento di forza e di efficacia dei farmaci
citotossici ma anche di maneggevolezza e potenziale tossicità perché sono farmaci estremamente
specifici per le cellule in attiva proliferazione ma non sono selettivi per le cellule neoplastiche in
progressione.
Essi, infatti, sono ugualmente attivi in qualsiasi altra cellula in proliferazione del
nostro corpo come le cellule della mucosa gastroenterica, quelle del bulbo
capillifero, della cute ma soprattutto i precursori del midollo osseo.
Essi sono dunque dotati di notevole potenza ma potenziale e rilevante
tossicità.
Scoperti per caso, durante sperimentazioni avvenute durante la seconda guerra mondiale da parte
dell’esercito degli Stati Uniti che stava sviluppando armi chimiche, il gas tossico niprite che non era
altro che il precursore di tutti i farmaci citotossici, una classe chiamata agenti alchilanti, la
mostarda azotata. A seguito di un’esplosione su una nave militare molti marinai risultarono
contaminati e cominciarono ad avere alterazioni fino ad una aplasia midollare significativa, effetti
gastroenterici importanti, dunque si capì che queste sostanze potessero uccidere cellule in
proliferazione. Alla fine degli anni ’40 alcuni farmacologi come Goodman e Gilman assieme ad
oncologi a New York al Memorial Hospital dimostrarono per la prima volta che ad alcuni dei
pazienti affetti da linfoma non‐Hodgkin che la somministrazione per un certo tempo di una
mostarda azotata determinava una regressione tumorale (in questo caso una regressione della
massa linfonodale). Da questo iniziarono gli studi che portarono alla ricerca di farmaci che
avessero anche un’efficacia terapeutica.
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Se le cellule tumorali proliferassero continuamente e
incondizionatamente, da una cellula con fenotipo tumorale
si avrebbe un aumento lineare nel tempo (MODELLO LOG
KILL), quindi direttamente proporzionale al tempo, simile
alla crescita dei batteri. Se questo fosse possibile la
stragrande maggioranza delle cellule tumorali sarebbe
sensibile ai farmaci citotossici.
La realtà non è così perché questo avviene in
tempi molto brevi, in una fase iniziale, poi da progressione
lineare si arriva ad un plateau.
Questo grafico descrive
molto meglio la curva di
crescita di un tumore
nell’organismo umano.
Abbiamo un momento in cui
la gran parte delle cellule
tumorali sono in attiva
proliferazione, quasi il 100%
delle cellule, perlopiù
all’inizio quando abbiamo
poche cellule quindi quando
i nutrienti e i vasi sono
sufficienti a dare sostegno
alla proliferazione continua.
Successivamente la cellula va incontro a fenomeni di ipossia, quindi deve essere attivato un
sistema per produrre vasi che portano nutrienti e ossigeno.
Una massa tumorale diventando grande all’interno può essere poco vascolarizzata, può andare
incontro a fenomeni di necrosi, un certo numero di cellule va incontro a differenziazione terminale
per cui soltanto una componente può continuare a proliferare.
Quindi succede che può esserci un equilibrio tra cellule tumorali in quiescenza, cellule che
muoiono e cellule che proliferano. Questo modello è detto Modello Gomperziano.
Per cui se idealmente nel caso A avessimo avuto il 100% delle cellule che sono in attivo, gran
parte di loro sono in fase S G2 o M, quindi gran parte di loro sono suscettibili e possono essere
uccise da un farmaco nel tempo.
Nel caso B invece la quantità di cellule in attiva proliferazione è estremamente variabile.
E' impossibile che con una singola somministrazione del farmaco citotossico abbiamo un effetto
terapeutico importante e duraturo, perciò la terapia deve essere per forza prolungata nel tempo.
Però non possiamo fare una terapia con un farmaco citotossico per un lungo tempo poichè ci
sarebbero effetti collaterali importanti. Per questo possiamo fare una terapia intermittente o
ciclica .
Per esempio cominciamo la terapia quando le cellule tumorali sono a t0 ipotizzando un 20% di
cellule sensibili al farmaco A. Però non possiamo ripetere il giorno dopo il trattamento quindi una
quota di cellule tenderà a crescere.
Poi si somministra una nuova dose e se ne uccide un altro 20%. A mano a mano si arriva ad un
punto in cui non si hanno più cellule tumorali avendo quindi la guarigione totale o il numero di
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cellule responsive a quel farmaco si azzera ma nel frattempo abbiamo altre cellule che proliferano,
quindi si riotterrà una curva crescente, lineare o esponenziale.
Problemi derivanti dall’uso dei farmaci citotossici:
1. sono molto specifici ma poco selettivi per le cellule tumorali e pertanto difficili da trattare,
quindi si continuano ad usare dosaggi tollerati dall’organismo per minimizzare gli effetto
collaterali e utilizzare il farmaco in maniera ciclica per dare il tempo all’organismo di
riprendersi;
2. problema della resistenza al farmaco da parte delle stesse cellule tumorali in quanto è
intrinseca la capacità di accumulare mutazioni dato che non ha più i freni inibitori di
controllo che riparano il DNA alterato e tende col tempo a fare più mutazioni che possono
comparire anche in assenza di trattamento. Queste mutazioni possono essere letali e
quindi la cellula tumorale muore oppure mutazioni che danno un vantaggio selettivo
(esempio: la cellula confinata nell’epitelio ghiandolare adesso è capace di digerire la
matrice extracellulare e mediante un vaso linfatico/ematico va a metastatizzare a
distanza).
La resistenza al farmaco può essere dovuta a:
Meccanismi intrinseci che si verificano dalla prima somministrazione del farmaco
Iperproduzione del bersaglio molecolare per cui il farmaco non è più efficace;
Presenza di pompe di membrana che cacciano il farmaco;
eliminazione del bersaglio del farmaco;
Alto metabolismo del farmaco.
Neoplasia presente in regioni difficilmente aggredibili dai farmaci (Per esempio
trastuzumab non raggiunge il cervello)
L’esposizione a farmaci di un solo tipo uccide sì le cellule di quel tipo ma espone gli altri cloni a
vantaggio selettivo di tipo darwiniano che favorisce la crescita, un po’ come succede con
l’antibioticoterapia verso i batteri che è concettualmente la stessa cosa seppur con meccanismi
molto diversi chiaramente.
Se facciamo una terapia ciclica del tipo A ‐> A ‐> A ‐> A ‐> A questa potrebbe essere efficace per un
certo tempo ma poi diventa inefficace. Come possiamo riuscire a renderlo più efficace?
Alternanza di diversi farmaci non cross‐resistenti cioè con meccanismo di azione diverso;
Altre modalità terapeutiche di modalità non citotossiche da usare in alternanza con la
chemioterapia;
La via più semplice e più utilizzata è quella che prevede una polichemioterapia sequenziale che
empiricamente è quella che può offrirci maggiore probabilità di successo. Presupposti pratici:
usare farmaci non cross‐resistenti ma che hanno una minima possibilità di incrementare la
tossicità l’un dell’altro ma per arrivare a questo purtroppo si deve arrivare sempre ad un
compromesso terapeutico cioè le dosi dei diversi farmaci non sarà mai il 100% per tutti in quanto
si amplificherebbe il danno ai tessuti normali, diventando inaccettabili (esempio: tossicità
midollare, ciò che gran parte dei farmaci hanno) per questo spesso si “ricicla” il trattamento
almeno 2‐3 settimane dopo.
Dal punto di vista statistico i trattamenti iniziali sono sempre quelli più efficaci! Cioè quella che noi
chiamiamo prima linea di trattamento.
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Per quanto riguarda la serie rossa i globuli rossi sono quelli che hanno l’emivita più lunga per cui
la tossicità si manifesta solo dopo un lungo periodo, le piastrine sono in attiva proliferazione
sebbene variabile; per la serie bianca invece i granulociti neutrofli, la cui emivita è di 7‐10 giorni
allo stadio maturo, sono gli elementi che hanno turn‐over più rapido, quindi significa che ogni 7‐10
giorni il 50% dei nostri neutrofili viene ripopolato e quindi la componente staminale committed
che sta per dare attiva proliferazione sarà quella che riceverà maggior danno citotossico dei
farmaci, quindi è per questo motivo che noi rifaremo un secondo ciclo dopo 3 settimane
permettendo la ripopolazione dei neutrofili. Rappresentando questi la prima difesa aspecifica
contro gli antigeni esterni, quindi la più importante è molto probabile che in questo intervallo il
paziente subisca infezioni importanti anche da germi opportunisti. Fare dunque un trattamento
ciclico permette alle difese alla loro funzione accettabile.
I farmaci ad azione citotossica
sono quasi sempre per
somministrazione endovenosa,
con la siringa o più spesso diluiti e
somministrati in maniera
cronomodulata per un certo
tempo, alcuni farmaci sono
somministrabili anche come
soluzione orale. Quando parliamo
quindi di ciclo chemioterapico
parliamo sempre di infusione
endovena.
Come stabiliamo la dose? Ciò deriva da un’estesa sperimentazione di fase 3 che hanno permesso
di stabilire quale sia la massima dose tossica, quella attiva e quella efficace. Si è pensato quindi di
non dare un dosaggio uguale a tutti gli individui né basarsi semplicemente sul peso corporeo ma
di utilizzare un parametro che è la superficie corporea. In base ad un algoritmo molto semplice
che è possibile fare a mano si può calcolare la superficie corporea partendo da alcuni parametri
molto banali come il sesso, l’altezza e il peso, pensate bastano 50 mg in più o in meno ad un
paziente che ha una superficie corporea diversa a determinare più o meno gli effetti terapeutici o
la comparsa o meno di effetti tossici.
CATEGORIE E GRUPPI DI FARMACI CITOTOSSICI
1. FARMACI CHE CAUSANO DANNO AL DNA: FARMACI
ALCHILANTI
1. MOSTARDE AZOTATE
Le mostarde azotate sono agenti alchilanti, cioè sostanze che in maniera covalente determinano
sostituzione di un gruppo alchilico in genere ‐CH3 su una base azotata del DNA, più
frequentemente sull’azoto 7 della guanina. Quando succede un’alchilazione del DNA succede che
se ne altera la struttura quindi se siamo in fase S abbiamo un errore di lettura e di accoppiamento,
per cui la cellula cerca, ma non riesce, di ripararlo, frammenta il DNA, va in apoptosi e muore.
Uccidono in fase S determinando quindi errori irrecuperabili al DNA.
Ovviamente se la cellula riesce a riparare, prolifera. Questi farmaci sono i primi ad aver avuto
un’efficacia terapeutica soprattutto per le malattie ematologiche e poi via via per i tumori solidi.
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Farmaci chiave:
ciclofosfamide
può essere somministrata anche ad alte dosi e anche per os perché assorbita in maniera
abbastanza adeguata dal tratto gastroenterico, con questa caratteristica è uno dei pochi
farmaci citotossici che può essere somministrato anche oralmente. Nella pratica clinica
però viene usata endovena. Utilizzata in numerose neoplasie ematologiche (linfomi
Hodgkin e non‐Hodgkin) e in numerosi tumori solidi (mammella, ovaio). Effetti collaterali in
genere comuni ad altri farmaci citotossici tranne che per eccezioni tra cui:
Alopecia. Caduta dei capelli essendo il bulbo capillifero una
zona ricca di cellule in attiva proliferazione. Effetto collaterale
più legato nell’immaginario comune anche cinematografico.
Completamente reversibile! Ciò è importante quando facciamo
la terapia adiuvante nel cancro della mammella perché per la
donna è estremamente rassicurante. Ci sono stati molti
tentativi per prevenire l’alopecia ma c’è forte variabilità
individuale;
Tossicità midollare. Effetto collaterale correlato alla tossicità
ed è dose limitante, maggiore implicazione sulle complicanze possibili e sulla gestione
dell’ulteriore terapia. È cumulativa, non possiamo certamente dire che sia
completamente reversibile, se la terapia si protrae a lungo la ripresa midollare è
certamente minore;
Nausea e vomito. Nella quasi totalità dei casi con trattamento di farmaci citotossici,
entro alcuni minuti o ore dalla somministrazione del farmaco. Si usa fare una
prevenzione utilizzando farmaci antiemetici e quelli più attivi sono gli inibitori
serotoninergici perché bloccano i recettori H3 in maniera molto efficace;
Diarrea per cause chimiche.
Questi effetti collaterali sono condivisi anche da
altri farmaci citotossici. Ogni farmaco può avere
tossicità d’organo dipendente dal proprio
meccanismo d’azione o di quello dei suoi metaboliti:
ciclofosfamide e il suo derivato ifosfamide, molto
utilizzato nella terapia dei sarcomi, sono
metabolizzati nel fegato (CYP3A4) ed escreti dalle
vie renali e questi metaboliti (tra cui l'acroleina)
sono particolarmente irritanti per la mucosa
vescicale per cui quando si somministrano questi
farmaci, generalmente ad alte dosi, dobbiamo avere
adeguata idratazione del paziente per permettergli
una diuresi rapida e forzata in modo che i metaboliti
potenzialmente tossici stiano in vescica meno tempo possibile, altrimenti si potrà
determinare una cistite su base chimica o, nei casi più gravi, anche diventare una
cistite emorragica.
Dunque per la ciclofosfamide si usa indurre la diuresi, per l’ifosfamide si usa un
antidoto inerte che costituisce quasi un film protettivo chiamato mesna.
clorambucile
Melfalan
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2. DERIVATI DEL PLATINO
Si chiamano cosi perchè contengono un atomo di platino nella loro struttura e hanno un
meccanismo d’azione misto: sono alchilanti e intercalanti, si legano in varie zone del DNA
intercalandosi tra le basi azotate e a volte inducendo anche un’alchilazione.
Cisplatino ‐‐> Linfoma hodgking
Ione inorganico, molto attivo nel trattamento di parecchie neoplasie dell’adulto ma
qualche volta anche nel caso di linfomi o neoplasie ematologiche. Più frequentemente:
ovaio, polmone (microcitoma e tumori non a piccole cellule), tumori dell’esofago, dello
stomaco, della vescica e tumori a cellule germinali del testicolo.
Pur avendo molti effetti collaterali, entra in schemi di polichemioterapia perchè molto
efficace nel contrastare le suddette neoplasie.
Effetti collaterali: tossicità midollare: neutropenia, anemia, piastrinopenia; ha anche una
forte neurotossicità di tipo sensoriale‐‐> ha una riduzione di sensibilità alle mani,
accentuata dal caldo o dal freddo, tuttavia si tratta di un fenomeno reversibile. Nell’ambito
della neurotossicità, in pazienti anziani soprattutto, può risultare anche ototossico. In
qualche caso, può portare anche fino alla sordità se agisce su un substrato già patologico.
In ultimo, ma non per importanza, l’induzione di nausea e vomito (poichè rilascia
serotonina) sia precoce che ritardata; va fatta prima una buona medicazione con anti‐
emetici serotoninergici e cortisonicioltre a questa, ha anche potenziale nefrotossicità,
perchè essendo escreto nel rene, se il flusso ematico renale non è elevato, ha alta
probabilità di precipitare nel tubulo renale e causare danno chimico diretto o necrosi
tubulare acuta per poi portare ad insufficienza renale acuta o cronica.
La somministrazione è molto delicata: quando si fa il bolo endovena di cisplatino, si deve
eseguire una buona idratazione del paziente, anche un litro di
soluzione fisiologica o salina, dopo, l’infusione di cisplatino e
successivamente ancora idratazione con un altro litro di soluzione
fisiologica o salina per poi concludendo con un diuretico dell’ansa
come la furosemide. In questo modo tutto il cisplatino in eccesso
viene rapidamente eliminato senza causare alcun danno renale.
Ovviamente pazienti con problemi renali, si deve fare la terapia
attentamente altrimenti nel caso di una filtrazione glomerulare eccessivamente bassa, tale
paziente non risulta essere un buon candidato per il trattamento con cisplatino..
Carboplatino ‐‐> linfoma non hodgkin
Per cercare di ovviare a tutti questi effetti collaterali si è cercato di sviluppare un farmaco
meno tossico ma efficace allo stesso modo (o quasi) introducendo un analogo: il carboplatino.
Si tratta di un farmaco di seconda generazione. A dosi efficaci può essere utilizzato al posto del
cisplatino in tutte le neoplasie in cui quest’ultimo è attivo. Si tratta di un farmaco
estremamente efficace. Certamente non c’è bisogno di idratare il paziente, è emetizzante ma
non come il cistplatino. Ha minore neurotossicità e soprattutto non ha tossicità renale diretta,
ma non si deve sottovalutare tale cosa in quanto il carboplatino è escreto esclusivamente per
via renale per cui se in pazienti con riduzione della funzionalità glomerulare viene
somministrato tale farmaco, a causa della meggiore permanenza in circolo, si manifesterà
sicuramente una maggiore tossicità midollare. Quindi è molto più tossico sul midollo
specialmente per quanto riguarda le piastrine e globuli rossi. Come si può ovviare a tale
problema? Per tutti i citotossici, il dosaggio viene calcolato in base alla superficie corporea, ma
in questo caso oltre a tale parametro, è tenuta in considerazione anche la clearance della
creatinina, in modo tale da avere una determinata AUC per rendere efficace l’azione
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farmacologica. Il Carboplatrino può quindi sostituire il cisplatino ma occorre fare comunque
molta attenzione.
Oxaliplatino ‐‐> tutti i tumori che ti vengono in mente
Quello che si è cercato di fare è stato trovare un farmaco con una buona maneggevolezza ma
anche una buona attività ed efficacia in altre neoplasie in cui i precedenti due non hanno
ampio utilizzo, da qui l’oxaliplatino. Molto simile agli altri due, ma con
alcune peculiarità. Prima di tutto anch’esso viene somministrato endovena,
in base alla superficie corporea. Non risulta essere nefrotossico. Per quanto
riguarda lo spettro d’azione, non sostituisce i primi 2 analoghi ma viene
utilizzato in: tumore del colon retto, sia in terapia adiuvante che
neoadiuvante, tumore del pancreas, tumore delle vie biliari.
Effetti collaterali: grosso modo gli stessi dei precedenti, ma soprattutto
neurotossicità sensoriale periferica, che può diventare davvero fastidiosa
interferendo con la qualità della vita dei pazienti, soprattutto se si protrae per lunghi periodi.
ANTIMITOTICI
1. INIBITORI DELLE TOPOISOMERASI
Le topoisomersi sono enzimi fondamentali che tagliano e ricuciono segmenti di DNA in modo da
srotolare e riavvolgere le 2 eliche.
Le topoisomerasi 1 tagliano un filamento per volta;
le topoisomerasi 2 tagliano insieme entrambe le eliche del DNA.
Si è scoperto che farmaci attivi su questi enzimi possono essere utilizzati in terapia anti ‐ tumorale,
perché gli inibitori delle topoisomerasi 1 e 2 si legano covalentemente all’enzima e come se lo
congelassero nella sua fase di clivaggio, facendolo funzionare in fase di taglio ma non nella fase
di ricucitura. L'incapacitàdella cellula a ripararetali danniporta all'innesco del processo
apoptotico
L'osservazione che i tessuti tumorali esprimono più alti livelli di topoisomerasi I rispetto ai tessuti
normali rende questi enzimi dei bersagli dei bersagli particolarmente utili per la terapia
antitumorale
Inibitori della toposiomerasi 1
Sono farmaci derivati dalla camptotecina, che agiscono legando con bassa
affinità la topoisomerasi I o il DNA da soli, ma se la topoisomerasi I e il DNA si
trovano legati, questi farmaci impediscono all'enzima di ricucire il DNA.
Il capostipite è dato dall’irinotecano (profarmaco convertito nel fegato nel suo
metabolita attivo SN38 che è responsabile della tossicità gastrointestinale del
farmaco) che viene utilizzato soprattutto nel trattamento dei tumori dello
stomaco, del colon retto, del pancreas e delle vie biliari. Si tratta di un
induttore della diarrea, per danno diretto della mucosa intestinale (effetto un
po’ comune di tutti i farmaci anti – neoplastici) ed in maniera indiretta attraverso la stimolazione
riflessa vagale, anche dopo pochi minuti dopo somministrazione, che può essere e.v o orale.
La stimolazione riflessa vagale è dovuta alla capacità del farmaco di inibire l'acetilcolinesterasi=>
per prevenire le ADR da aumento di Ach, somministrare ATROPINA.
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Topotecano
E' un profarmaco, utilizzato nel trattamento del tumore dell’ovaio chemioresistente e del
microcitoma polmonare. Si tratta di un farmaco in disuso perchè estremamente mielotossico
Inibitori della topoisomerasi 2
Gran parte di questi farmaci derivano da sostanze naturali e fanno parte delle ANTRACICLINE
(doxorubicina, epidoxorubicina e etoposide) Questi farmaci sono molecole policicliche planari
contenenti un aminozucchero
Sono farmaci liposolubili, quindi penetrano nella cellula, passando la Membrana Plasmatica e
hanno, di conseguenza, un alto volume di distribuzione pur non superando la BEE che esprime la
P‐glicoproteina.
Il loro meccanismo d'azione, in realtà non è solo sulla topoisomerasi 2, ma va
ad intercalarsi anche tra le coppie di basi (impedendo la replicazione e la
trascrizione), forma, poi, ROS.
Si è osservato che le antracicline bloccano il ciclo cellulare in fase G2‐M.
Effetti collaterali: cardiotossicità, provocando morte dei cardiomiociti, per cui
prima di trattare un qualsiasi paziente deve essere eseguito un buon studio
della funzione cardiaca. In particolare la FE del ventricolo sinistro deve essere
superiore al 50%. La tossicità potrebbe essere anche cumulativa, quindi
aumentando la dose aumenta il rischio di tossicità cardiaca, ma si può incrementarla fino alla dose
cumulativa di 500‐550 mg/m2 di superficie corporea. Somministrare farmaci cardioprotettori
come il chelante del ferro dexrazoxano.
Somministrazione ev
doxorubicina (o adriamicina) (unico farmaco anti neoplastico scoperto in italia negli anni
’60) utilizzata in leucemie acute, linfomi, tumori della mammella, tumori dell’ovaio e
sarcomi.
Epidoxorubicina analogo sviluppato per avere una minore tossicità cardiaca essendo
comunque efficaci farmacologicamente. In gran parte di tumori è sostituibile alla
doxorubicina.
Una nuova strategia è stata studiata dalla farmacologia, data dall’utilizzazione di liposomi, che
sono dei sacchetti attraverso i quali si puo formire un farmaco in maniera efficiace. Nel caso della
doxorubicina, se somministrata con liposomi, risulta essere meno cardiotossica, probabilmente
perché il farmaco si concentra molto meglio localmente piuttosto che andare a creare danni a
livello cardiaco. Tuttavia queste preparazioni sono molto più costose rispetto alla normale
formulazione della doxorubicina.
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Etoposide
Classico inibitore della topoisomoreasi 2, utilizzato nel trattameno del microcitoma e nel tumore
del testicolo. Ha purtroppo tutte le tossicità anche se ovviamente in misura minore, tuttavia spicca
la mielotossicità.
2. ANTIMICROTUBULARI
I microtubuli sono componenti del citoscheletro essenziali per
lo svolgimento della normale divisione nucleare, in quanto
formano il fuso mitotico. I microtubuli sono costituiti dalla
giustapposizione di dimeti della tubulina alfa e beta,
costantemente sottoposti ad un processo di montaggio e
smontaggio, in maniera che la loro lunghezza si mantenga
costante.
La regolazione della funzione microtubulare è realizzata
attraverso l'intervento di diverse proteine come le MAPs (a
funzione stabilizzante ) o la katanina (a funzione
destabilizzante), o ancora attraverso chinesine e dineine
coinvolte nel trasporto.
I farmaci che interferiscono con i microtubuli possono indurre una catastrofe mitotica.
I composti antimicrotubulari sono di origine naturale e tutti, ad eccezione della colchicina,
vengono usati nella terapia dei tumori.
Vengono suddivisi in 2 categorie: gli alcaloidi della vinca e i taxani (derivati dal tasso).
Alcaloidi della vinca
Essi distruggono i microtubuli, per cui la cellula in fase M non potendosi più dividere muore. Il
farmaco più importante di questa classe è rappresentato dalla vincristina utilizzato soprattutto in
tumori ematologici e la sua particolarità sta nel fatto che non ha mielotossicità ma causa stipsi.
Quello che in ogni caso si usa più frequentemente è la vinorelbina (che ha anche una emivita più
lunga, di circa 45ore). Viene adoperata nel tumore della mammella e del polmone non a piccole
cellule. Quest’ultima non causa stipsi ma presenta una mielotossicità non sottovalutabile.
Taxani
Farmaci che distruggono il fuso mitotico legando la beta‐tubulina e la congelano in una forma che
non è più depolimerizzabile o polimerizzabile. I farmaci facenti parte di questa classe sono il
paclitaxel ed il docetaxel che sono adoperati nel trattamento del tumore del polmone, della
mammella, dell’ovaio e dello stomaco.
Nonostante le somiglianze molecolari, questi due taxani hanno indicazioni cliniche parzialmente
diverse e un differente profilo tossicologico
PACLITAXEL‐‐> trattamento carcinoma dell'ovaio, mammella, polmone non a piccole
cellule, vescica, testicolo. E' provvisto di mielotossicità e di spiccata tossicità neuronale che
si esplica nel coinvolgimento del motoneurone, che si manifesta con una classica algia
diffusa molto simile quella influenzale. In ogni caso a questa tipologia di neurotossicità può
essere accoppiata la neurotossicità sensoriale dovuta combinazione terapeutica che
prevede molto spesso l’associazione dei derivati del platino
DOCETAXEL‐‐> usato nei tumori bronchiali non a piccole cellule, prostata, stomaco. E' dotato di
mielotossicità e di tossicità gastointestinale
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ANTIMETABOLITI
Si tratta di farmaci che o inibiscono enzimi chiave per la sintesi dei precursori degli acidi nucleici
che faranno parte del DNA (antifolici) o sono farmaci che si sostituiscono specificamente ai
precursori del DNA in modo tale da indurne mal funzionamento (analoghi pirimidinici). Vengono
adoperati in tumori ematologici e in quelli solidi.
1. ANTIFOLICI
Metotrexate
Si tratta di un farmaco molto vecchio ormai che inibisce la tetraidrofolato reduttasi, necessario per
la sintesi degli acidi nucleici.
I derivati dell'acido folico, infatti, sono attivi come donatori o accettori di unità monocarboniose,
ma SOLO nella loro forma RIDOTTA FH4. L'inibizione della DHFR da parte del metotrexato
previene la riduzione di FH2 in FH4, determinando un accumulo di folati nella forma ossidata
inattiva e una deplezione dei folati tetraridotti attivi.
Ormai è utilizzato solo per il trattamento dei sarcomi e di alcune forme del cancro del polmone.
Il metotresato conserva la struttura simil folica.
Penetra all'interno delle cellule in tre modi:
1. attraverso un trasportatore presente normalmente sulle membrane, chiamato RFC;
2. per diffusione passiva
3. attraverso recettori di membrana per i folati MFR (isoforme alfa, beta e gamma)
Il farmaco viene assorbito per os o ev. In quest'ultimo caso presenta una emivita con andamento
trifasico: la prima fase di 45 minuti, la seconda di 2‐3 ore, la terza fase di 8‐10 ore. E' proprio
quest'ultima fase che maggiormente influenza la tossicità midollare e gastrointestinale.
Il metabolismo del metotrexato a dosi convenzionali è minimo, ma a dosi più elevate vi è
accumulo di 7‐idrossimetrotexato che è nefrotossico (necrosi tubulare renale).
Questo farmaco viene usato nella leucemia linfoblastica, linfoma di Burkitt, linfomi non Hodgkin.
Oltre che nel trattamento dei tumori, viene usato anche nel trattamento della psoriasi come
agente immunosoppressivo, nel trattamento della dermatomiosite, dell'artrite reumatoride, della
granulomatosi.
Per la sua capacità di interagire con le cellule in proliferazione, è controindicato in gravidanza.
2. ANALOGHI PIRIMIDINICI
Questa classe di farmaci hanno la capacità di inibire la biosintesi dei nucleotidi pirimidinici o di
interferire come metaboliti fraudolenti con la sintesi o la funzione degli acidi nucleici.
5‐fluorouracile
Appartiene alla classe dei metaboliti fraudolenti delle pirimidine, è un analogo strutturale
dell'uracile che entra nella cellula mediante diffusione non facilitata.
Il 5FU non è di per sè citotossico, ma deve essere metabolizzato all'interno della cellula
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‐‐>RNA
La formazione di FdUTP costituisce il principale meccanismo d'azione, poichè l'FdUMP è un
inibitore specifico della TS, l'enzima che catalizza la conversione di dUMP a dTMP per la sintesi del
DNA. Il FdUTP si sostituisce al dUMP, bloccandone la conversione.
un farmaco estremamente utile nel trattamento del cancro della
mammella ma soprattutto nella terapia di neoplasie del tratto
gastrointestinale nelle quali viene somministrato quasi sempre in
associazione con altri farmaci.
Viene somministrato con bolo endovena o in infusione prolungata e
continua. Più è esposta la cellula tumorale a tale farmaco, maggiore
probabilità c’è di andare a colpire la cellula neoplastica.
Ha attivitò mielodepressiva e sono state descritte lesioni
neurologiche.
Capecitabina
formulazione analoga, in realtà profarmaco del 5‐fluorouracile somministrabile per os.
Teoricamente presenta innumerevoli vantaggi poiché evitando l’infusione o il bolo endovena, si
riducono i suoi effetti tossici. In genere viene somministrata continuamente per os per 2
settimane. Tutte le volte che dovremmo usare 5‐fluorouracile, possiamo usare la capecitabina.
Trattandosi di un profarmaco, dopo il primo passaggio epatico, viene creato un metabolita
intermedio che entra prima in circolo e poi nelle cellule, dove verrà trasformato in 5‐fluororuracile
ad opera della timidina‐fosforilasi. Nella cellula tumorale ciò avviene più frequentemente perchè
nelle cellule neoplastiche c’è una maggiore espressione di tale
enzima. Anche questa può dare diarrea, ma la sua tossicità
principale è data dalla sindrome mano‐piede che da’ dolori
alle estremità, arrossamento, ridotta sensibilità che porta alla
ridotta mobilità ed autosufficienza deambulatoria del paziente.
Citarabina
Analogo della 2 deossicitidina. Penetra all'interno della cellula
mediante un trasporto attivo e deve essere attivata per
conversione a nucleotide 5' monofosfato (araCMP). l'araCMP
reagisce, poi, con le nucleotido chinasi, dando vita a araCDP e araCTP. Ara CTP è un inibitore della
DNA POLIMERASI.
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E' indicata nella leucemia mieloide acuta e nel trattamento polichemioterapico dei linfomi non
Hodgkin.
C'e mielotossicità.
Gemcitabina
Metabolita fraudolento purinico con meccanismo d'azione simile al precedente, tossicità
midollare, buona maneggevolezza ed è spesso associato a derivati del platino per il trattamento
del microcitoma, del cancro della vescica e del pancreas.
2. ANALOGHI PURINICI
Sono impiegati non solo nella terapia antineoplastica (mercaptopurina, tioguanina), ma anche
nella terapia immunosoppressiva (aziatropina) e antivirale (aciclovir, ganciclovir, vidarabina).
Mercaptopurina
Analogo della ipoxantina. E' attivata all'interno delle cellule dall'enzima ipoxantina‐guanina
fosforibosil trasferasi a TIMP che inibisce la neosintesi delle purine quando viene metabolizzata a
TGMP e TGTP (è proprio l'incorporazione di quest'ultimo nel DNA che causa maggiormente gli
effetti tossici.
Le indicazioni sono leucemia granulocitica cronica, linfocitica e mieloide acuta.
Causa mielotossicità e tossicità gastrointestinale. Interagisce con l'allopurinoolo poichè, essendo
un inibitore della xantina ossidasi, diminuisce la metabolizzazione della mercaptopurina.
Tioguanina
Analogo della guanina. E' attivata in modo simile alla mercaptopurina
ORMONOTERAPIA
La terapia ormonale è uno strumento importante in oncologia. Ci sono alcune neoplasie definite
“ORMONO‐DIPENDENTI”,sotto stimolo proliferativo ormonale, cioè hanno necessità di
alcuni ormoni per crescere e svilupparsi, o detti
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“ORMONO‐SENSIBILI”la crescita e proliferazione può essere inibita manipolando l’apporto
ormonale.( Nel momento in cui interrompiamo lo stimolo ormonale, la crescita si blocca.)
I tumori ormono‐dipendenti più importanti (e rilevanti dal punto di vista epidemiologico come
importanti cause di mortalità ) sono il TUMORE DELLA MAMMELLA e quello della PROSTATA.
(I tumori dell’ovaio e quelli del testicolo non sono ormoni dipendenti)
TUMORE DELLA MAMMELLA TUMORE DELLA PROSTATA
Dipende dallo steroide sessuale 17B‐estradiolo Dipende dagli steroidi derivati del testosterone
La ghiandola mammaria è sotto il controllo La prostata è sotto il controllo proliferativo degli
proliferativo degli estrogeni androgeni
NON TUTTI i tumori della mammella sono ormono‐ TUTTI i tumori della postata all’inizio sono ormono‐
dipendente. E’ quindi INDISPENSABILE la dipendenti, non c’è bisogno di alcuna ricerca dei
misurazione dei recettori per gli estrogeni e recettori per androgeni immediatamente comincio
progesterone sulle cellule mammarie con tecniche con la terapia ormono‐dipendente
di immunoistochimica.
Quando almeno il 10% delle cellule tumorali in un
campione istologico è positivo per la presenza del
recettore nucleare possiamo definire il tumore
potenzialmente ormono‐sensibile, e solo in questo
caso possiamo iniziare una terapia ormonale.
La terapia ormonale può essere fatta con due modalità:
1) ABLATIVA
2) COMPETITIVA
TERAPIA ORMONALE ABLATIVA
TUMORE MAMMARIOLa terapia ablativa può essere una OVARIECTOMIA CHIRURGICA,
tramite rimozione delle ovaie in una donna in età fertile (primo esempio di ormonoterapia alla fine
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dell’800) che sono fonte diretta di produzione degli estrogeni , o una RADIOTERAPIA SULL’OVAIO
.
Oggi in realtà nella donna in età fertile si pratica una CASTRAZIONE FARMACOLOGICA, utilizzando
AGONISTI DELL’ORMONE LHRHBUSERELINA E DERIVATI. Per poter capire il meccanismo
d’azione di questa terapia , bisogna anzitutto comprendere il funzionamento dell’asse ipotalamo‐
ipofisi‐ovaio.
L’ormone LHRH è prodotto a livello ipotalamico, e stimola
Il rilascio delle gonadotropine da parte delle cellule ipofisarie,
ovvero di FHS e LH. Questi stimolano l’ovaio a produrre estrogeni.
(Nell’uomo il meccanismo è lo stesso, ma le gonadotropine stimolano
Il testicolo a produrre androgeni.)
Quindi se somministriamo in una donna fertile agonisti dell’ormone LHRH
Questo lega il recettore dell’LHRH presente sulle cellule ipofisarie ,
, inizialmente stimola la produzione di FSH ed LH, poi determina una
internalizzazione del complesso recettore‐ormone per cui l’ipofisi si
desensibilizza e non produce più le gonadotropine. Quindi l’ovaio NON è
più stimolato a produrre estrogeni. Hanno maggiore affinità per il recettore
ipofisario rispetto all’LHRH, e sono più resistenti alle proteasi.
Generalmente somministrati s.c a lento rilascio (1 al mese!!!) bassa buiodisponibità per o.s.
essendo peptidi, non si preferisce. La buserelina è anche somministrata ogni giorno con spray
nasale.
Le reazioni avverse sono: diminuzione della libido, vampate di calore, sudorazione, disturbi
digestivi.
Nella donna in menopausa non possiamo utilizzare tale farmaco, in quanto gli estrogeni sono
prodotti a partire da precursori steroidei prodotti dal surrene e dal tessuto adiposo, e poi
trasformati da una AROMATASI in estrogeni. (L’aromatasi è un idrossilasi che aggiunge un gruppo
idrossilico.)
Per questo, per effettuare la castrazione farmacologica nella donna in menopausa utilizziamo
INIBITORI DELL’AROMATASI:
DI TIPO 1: struttura steroide, inibitore suicida : INIBIZIONE IRREVERSIBILE dell’enzima.
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EXEMESTANO:o.s, ben tollerato, bassa tossicità,3° generazione, in uso!
FORMESTANO:seconda generazione, oggi non più usato.
DI TIPO 2: struttura non steroidea, LEGAME REVERSIBILE, azione meno selettiva.
ANASTROZOLO :o.s., reazioni avverse gastrointestinali non frequenti, ben tollerato e
bassa tossicità. Non somministrare in gravidanza o pz con i.renale o epatica.3°
generazione, in uso!
LETROZOLO:o.s., reazioni avverse gastrointestinali non frequenti, ben tollerato e bassa
tossicità. E’ IL FARMACO DI PRIMA LINEA!!!si può somministrare ai pz con insufficienza
renale, non a quelli con i. epatica.
AMINOGLUTETIMIDE: prima generazione, inibitore debole e non specifico, oggi obsoleto.
Per mantenere il blocco dell’attività enzimatica e impedire la formazione del prodotto occorre la
costante presenza del farmaco, e quindi terapia cronica (almeno 5 anni.) Questo vale anche per
l’exemestrano che determina una distruzione dell’enzima, perché questo viene poi riprodotto.
Il diverso meccanismo d’azione comporta la possibilità di iniziare con farmaci con legame
irreversibile e nel caso di fallimento procedere con gli altri.
Darà come effetti collaterali:
1. Se somministrato ad una donna in premenopausa induce la comparsa della menopausa
infatti l’aromatasi è in tali donne principalmente espressa a livello ovarico. La sua
inibizione determina quindi una riduzione della sintesi estrogenica con aumento della
secrezione gonadotropina, che potrebbe indurre un aumento compensatorio della sintesi
di aromatasi nelle cellule tecali.
2. nella donna in menopausa aumenta la fragilità ossea e il rischio cardiovascolare
Quindi nella donna, a seconda dello stato funzionale della gonade possiamo avere un’interferenza
farmacologica che determina SULL’OSPITE E NON SULLA CELLULA TUMORALE LA TERAPIA, perché
noi eliminiamo nell’ospite la fonte di estrogeni.
TUMORE PROSTATICOCASTRAZIONE FARMACOLOGICA, utilizzando agonisti dell’ormone
LHRH, in modo da avere un blocco della produzione testicolare di androgeni.
TERAPIA ORMONALE COMPETITIVA
E’ definita “competitiva” perché blocca direttamente il recettore degli estrogeni o degli
androgeni sulla cellula tumorale.
TUMORE MAMMARIO
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Si usano ANTIESTROGENI, quello classico e storicamente utilizzato nel trattamento del carcinoma
della mammella è il TAMIXOFEN (o tamixofene)per o.s. Sulle cellule tumorali ha l’effetto del
blocco del recettore degli estrogeni,alterandone la struttura e impedendone il legame alle
sequenze responsive del DNA, e altera la produzione di fattori di crescita tumorali .( aumenta
quella di fattori trasformanti di tipo inibitorio come TGFβ e riduce quella di fattori stimolanti come
TGFα )ma nei tessuti sani, e in particolar modo sull’endometrio ha un effetto simil estrogenico ,
infatti l’effetto collaterale più temibile è una stimolazione alla PROLIFERAZIONE ENDOMETRIALE,
con un bassissimo rischio di induzione di tumori dell’endometrio. Nel trattamento con tamoxifene
dobbiamo sempre valutare spessore della parete endometriale, indice di proliferazione, tramite
ecografia transvaginale 1 volta l'anno. Nel caso di ispessimento elevato o iperplasia/displasia si
sospende il trattamento.
Altre reazioni avverse sono nausea, vomito e vampate di calore nel 25% delle donne trattate ma
raramente richiedono la sospensione del trattamento.
Sugli altri tessuti ha invece un ruolo protettivo , come a livello del metabolismo epatico, del
colesterolo, ( abbassando colesterolemia )e del metabolismo osseo(inibisce il riassorbimento).
Il tamixofene può interagire con altri farmacipuò aumentare l’effetto dei anticoagulanti
dicumarolici , e aumentare l’incidenza degli eventi trombo embolici quando cosso ministrati a
molti farmaci chemio tossici. Non somministrare in caso di diatesi trombo genica, in gravidanza e
in caso di disturbi oculari, in quanto sembra causare retinopatia e cataratta.
Oggi in commercio anche ANALOGHI DEL TAMIXOFENE, con minore tossicità e reazioni
avverse,come anche i soppressori selettivi del recettore: FULVESTRANT(i.m) antiestrogeno puro,
privo di attività agonista nei confronti del recettore estrogenico, si lega con affinità molto
maggiore e ne aumenta la degradazione.
Si possono utilizzare anche i PROGESTINICI , come il MEDROSSIPROGESTERONE ACETATO ed il
MEGESTROLO ACETATO ,(o.s. o i.m.) Il loro meccanismo d’azione è complesso, anzitutto basato
sul legame e al recettore per il progesterone , e inibizione della trascrizione di alcuni geni
fondamentali per la replicazione cellulare. Inoltre interferiscono direttamente col metabolismo
degli estrogeni e degli androgeni inibendo alcuni enzimi tappe limitanti per la biotrasformazione e
formazione dei composti attivi. Le reazioni avverse sono aumento del peso ponderale, ritenzione
idrica, aspetto cushingoide.
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TUMORE PROSTATICO
si usano farmaci ANTIANDROGENI, classificati in:
1)NON STEROIDEI tra i quali il FLUTAMIDE, NILUTAMIDE, e BICALUTAMIDE,(tutti o.s.) che
bloccano il recettore per gli androgeni nelle cellule cancerose inibendo la traslocazione nucleare
senza alcun effetto agonista. Tale blocco è attivo anche nelle cellule nervose, e quindi il feed‐back
negativo viene inibito, con un conseguente aumento dei livelli di gonadotropine e di testosterone.
Pur essendo nel complesso ben tollerate ,presentano diverse reazioni avverse
FLUTAMIDE diarrea, emesi, alterazione funzionalità epatica, ginecomastia e vampate di calore.
Bisogna somministrarlo 3 volte /die.
NILUTAMIDEdisturbi della vista. Una sola somministrazione /die.
BICALUTAMIDEginecomastia e mastodinia. Una somministrazione /die.
2) ANTIANDROGENI STEROIDEI come il CIPROTENONE ACETATOche ha anche debole attività
agonista e quindi agisce anche bloccando la produzione ipofisaria di gonadotropine, con una
conseguente riduzione dei livelli di testosterone . Viene usato solo in caso di impossibilità di altri
trattamenti per le numerose reazioni avverse periferiche date dalla riduzione dei livelli di
testosterone.
NB. Tutti i farmaci evidenziati in giallo sono quelli fondamentali, presenti sulle
sbobbe di ciardiello. Quelli in azzurro sono aggiunti dal Rossi.
FARMACI A BERSAGLIO MOLECOLARE
Classe di farmaci della terapia medica più innovativa e recente nell'oncologia e nell'ematologia.
L'uso di questi farmaci è basato sulla conoscenza dei meccanismi biomolecolari alle base della
trasformazione neoplastica.
Prodotti alterati derivati da geni modificati possono essere la chiave di attivazione di un cancro o
di alcune fasi della crescita tumorale (proliferazione, migrazione, differenziazione,
metastatizzazione).
Nei tumori ematologici vi sono minori alterazioni geniche, probabilmente una singola mutazione,
nei tumori solidi vi sono più mutazioni che concorrono alla trasformazione neoplastica quindi
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bloccando solo una delle proteine modificate non sempre si ottiene un effetto antitumorale
importante.
Con i farmaci a bersaglio molecolare cerchiamo di individuare quelle mutazioni che sono
specifiche di quel tumore in modo da effettuare una terapia mirata (
Ci sono, però, una seria di problemi legati alla terapia a bersaglio molecolare:
i tumori sono malattie molto eterogenee anche dal punto di vista delle alterazioni chiave
del tumore stesso (non avremo il 100% di cellule con recettore per estrogeni o la specifica
mutazione x)
variabilità nel tempo del bersaglio
capacità della cellula tumorale che si adatta sempre per sopravvivere (ad esempio capacità
di resistere al trattamento farmacologico)
I migliori esempi di farmaci a bersaglio molecolare sono attivi su fattori di crescita e recettori per
fattori di crescita, che intervengono su meccanismi di regolazione autocrina e paracrina alla base
della crescita tumorale o della neoangiogenesi.
Per esempio abbiamo gli inibitori di molecole chiave della trasduzione del segnale.
Il fattori di crescita tirosina kinasi trasduce il messaggio al nucleo attraverso una cascata di
messaggeri come:
ras, raf, mek, erk ‐‐‐‐> segnale di proliferazione,
chinasi fosfatidil inositolo dipendente, akt e complesso mTOR‐‐‐> sopravvivenza cellulare.
Queste due vie di trasduzione del segnale sono frequentemente attivate nei tumori umani per
mutazioni attivanti o inattivanti (come nel caso di pten).
I farmaci per i quali si è avuto un cerco successo terapeutico sono:
inibitori di braf mutato (mutazione molto frequente nel melanoma)
inibitori del complesso mTOR ( tumore del rene e in alcuni casi di tumore della mammella)
farmaci che bloccano attivazione, a livello della membrana cellulare della cellula tumorale,
di fattori di crescita e recettori per fattori di crescita
farmaci che bloccano l'angiogenesi mediata da VEGF e VEGFR
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farmaci che bloccano enzimi chiave nella via di trasduzione del segnale per la
proliferazione (raf) o per la sopravvivenza (mTOR)
RECETTORI PER FATTORI DI CRESCITA
1. INIBITORI DELLE TIROSIN CHINASI DI EGFR
La famiglia dei recettori di EGF è costituita da quattro membri:
EGFR (HER1 o erbB1)
HER2 (erbB2)
her3 (ERBb3
her4 (ERBb4)
Sono tutti molto simili tra loro (porzione extracellulare, porzione transmembrana e porzione
intracellulare con attività tirosino‐kinasica sulla quale avviene l'autofosforilazione formando
dimeri e quindi l'attivazione della cascata del segnale che porta all'attivazione della proliferazione
cellulare).
Bersagli importanti nella terapia farmacologica sono EGFR e HER2 (o ErbB2).
EGFR ‐‐‐> importante nel cancro del colon retto e in un sottogruppo di pz con cancro del
polmone non a piccole cellule.
HER2 ‐‐‐‐> molecolare importante per la terapia in un sottogruppo di pz con cancro della
mammella e in un sottogruppo di pz con cancro dello stomaco. ErbB2 nel cancro della
mammella è bersaglio molecolare della terapia quando in gene ErbB2 è amplificato e come
conseguenza si ha un'iperespressione della proteina corrispondente. Questa condizione è
presente nel 20‐25% dei cancri della mammella. L'individuazione avviene attraverso FISH
(ibridazione in situ con immunofluorescenza). L'iperespressione di ErbB2 è un fattore
predittivo di risposta nei confronti di una terapia a bersaglio molecolare. Quindi quando
caratterizziamo un tumore della mammella dobbiamo verificare la presenza del recettore
per gli estrogeni (per ormonoterapia) e se amplificato e iperespresso ErbB2 (per terapia a
bersaglio molecolare).
Come può agire questo farmaco?
blocca l'attività del recettore entra nella cellula, si lega alla
dalla porzione extracellulare porzione recettoriale con
andando ad esempio a bloccare attività tirosinokinasica
l'interazione con il ligando bloccandone la funzione
↓ ↓
ANTICORPO MONOCLONALE BLOCCARE DIRETTAMENTE LA
FUNZIONE ENZIMATICA DEL 142
REC.
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L'anticorpo monoclonale viene prodotto in una cellula murina (un ibridoma) in grado di
produrre un'immunoglobulina umana. Anticorpi originali sono molecole di topo, quindi
l'organismo crea anticorpi per neutralizzare questa proteina, quindi i primi anticorpi monoclonali
murini dopo la prima somministrazione diventavano inefficaci. Per ovviare a questo problema,
mediante tecniche di ricombinazione genica, si sono umanizzati gli anticorpi monoclonali, si è
sostituita la porzione fc che non riconosce l'antigene con l'equivalente porzione umana,
costruendo un gene ibrido che contiene l'80‐90% di immunoglobulina umana lasciando la porzione
ipervariabile solo nella regione che riconosce l'antigene.
Anticorpi chimerici contengono 20‐25% di DNA murino
Anticorpi umanizzati contengono 5‐10% di DNA murino
Anticorpi monoclonali completamente umani sono stati ottenuti recentemente grazie alla
possibilità di utilizzare topi transgenici.
Maggiore sarà la componente umana, minori saranno le reazioni avverse al trattamento con
anticorpi monoclonali, ricordando che sono farmaci che richiedono un lungo trattamento (mesi).
TRASTUZUMAB: anticorpo monoclonale umanizzato anti ErbB2, che riconosce la porzione
extracellulare del recettore, inattivandolo. Utilizzato nel trattamento del cancro della mammella in
cui si abbia un'amplificazione di ErbB2 (20‐25% casi) e anche nel cancro dello stomaco (10‐15%
casi).
Trastuzuma
b è stato il
primo
anticorpo
monoclonal
e ad essere utilizzato in un tumore solido, attualmente utilizzato sia nella terapia adiuvante che
nella terapia metastatica del cancro della mammella.
Attualmente anticorpi monoclonali si somministrano endovena. Sono in sviluppo delle
preparazioni sottocute ma al momento ancora non vengono utilizzate nella terapia. Gli anticorpi
monoclonali sono somministrati ciclicamente e la periodicità di somministrazione è correlata con
la biodisponibilità e con la permanenza in circolo dell'anticorpo (un anticorpo chimerico verrà
somministrato quindi più frequentemente di un anticorpo umanizzato o completamente umano).
La somministrazione del trastuzumab varia da una volta a settimana a una volta ogni 2 o 3
settimane(attualmente negli schemi di terapia viene utilizzato ev ogni 3 settimane).
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In generale la somministrazione è in associazione con altri farmaci, per esempio in donne con
cancro della mammella metastatico responsivo ad ErbB2 vi è una buona risposta terapeutica in
associazione con farmaci citotossici (politerapia con farmaci con meccanismo d'azione diverso che
possono agire sulla stessa cellula, avendo un effetto sinergico, bloccando in maniera maggiore le
vie di fuga della cellula tumorale che andrà incontro a morte).
Effetti collaterali: non sono gli stessi effetti collaterali dei farmaci
citotossici (per esempio mielotossicità, vomito). L'effetto tossico più
importante del trastuzumab è la cardiotossicità, in quanto recettore
ErbB2 è importante per il miocardiocita (diversa dal punto di vista
molecolare dalla cardiotossicità da antracicline ma richiede lo stesso tipo
di monitoraggio (valutazione della frazione di eiezione ed ecocardio).
Possiamo anche associare antracicline con trastuzumab potenziandone l'attività sul cancro della
mammella, ma come conseguenza avremo anche un aumento della tossicità cardiaca. In genere
quindi nell'associazione di questi due farmaci viene intrapresa una terapia sequenziale per ridurre
la tossicità. Cercare di associare farmaci con profili di tossicità non sovrapponibile come ad
esempio trastuzumab + taxani o aminolevulina. Purtroppo non può essere associato con le
antracicline se non aumentando la tossicità cardiaca, condizione che nella pratica clinica viene
difficilmente accettata. Nelle forme più avanzate di tossicità potremmo arrivare ad un'insufficienza
cardiaca congestizia e ad uno scompenso cardiaco.
Più recentemente è stato sviluppato un altro anticorpo monoclonale anti ErbB2 detto
PERTUZUMAB, molto simile al trastuzumab ma si lega ad una porzione diversa del recettore
sempre al di fuori della membrana cellulare. Sono quindi 2 anticorpi monoclonali contro lo stesso
recettore ma contro porzioni diverse che possono essere utilizzati insieme per aumentare la
funzionalità inibendo maggiormente la formazione della strutture recettoriale dimerica utile alla
trasduzione del segnale. Pertuzumab è un farmaco più recente e ancora in sperimentazione nella
terapia adiuvante.
Altro modo di utilizzare gli anticorpi monoclonali è un coniugato con un alchilante,
sfruttiamo l'effetto citotossico del farmaco alchilante e la capacità dell'anticorpo monoclonale di
trasportare l'alchilante direttamente sulla cellula bersaglio (il coniugato si chiama T‐
DM1).trastuzumab blocca recettore ErbB2, segue una endocitosi del complesso recettore‐ligando
quindi verrà rilasciato nella cellula l'alchilante legato. Questa associazione viene utilizzata nel
trattamento della malattia metastatica.
Non è detto che pazienti positivi alla mutazione per estrogeni o di ErbB2 rispondano nel 100% dei
casi alla terapia, poiché la cellula potrebbe avere meccanismi di resistenza intrinseca nonostante
abbia il bersaglio molecolare. La cellula può tanto essere resistente all'inizio del trattamento, tanto
può acquisire la resistenza. Non tutte le associazioni tra anticorpo monoclonale e citotossico sono
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tra l'altro possibili, in quanto potrebbero non essere somministrabili poiché, semplicemente, non
si riesce ad ottenere una preparazione farmacologica idonea.
CETUXIMAB e PANITUMUMAB
CETUXIMAB (anticorpo chimerico anti EGFR) e PANITUMUMAB (anticorpo completamente
umano). A differenza dei precedenti due agiscono su EGFR!!!!
Ricorda, i suffissi indicano
‐ximab anticorpi chimerici
‐zumab umanizzato
‐mumab completamente umano.
Cetuximab e panitumumab sono usati nel cancro del colon retto (cetuximab anche nei tumori del
distretto cervico‐facciale). Monoterapia, associati alla chemioterapia o alla polichemioterapia.
Nel tumore del colon retto metastatico per poter selezionare i pazienti nei quali è più probabile
che i farmaci antiEGFR funzionino dobbiamo conoscere lo stato mutazionale dei geni ras perché,
quando i geni ras sono mutati, la proteina prodotta dal gene attivo non è bloccabile se non
blocchiamo il recettore. Questi farmaci funzionano solo se Kras (che sta a valle) non è mutato!!!!
Effetti collaterali: tossicità più importante è cutanea, anche da un punto di vista psicologico.
L'EGFR è localizzato negli strati basali della cute.
Dopo 3‐4 settimane la cute diviene secca, può divenire pruriginosa e insorge
un processo infiammatorio nelle aree con follicoli piliferi, fino ad assomigliare
ad un rash cutaneo di tipo acneiforme (l'acne ha un altro tipo di meccanismo
fisiopatologico dovuto ad una sovrainfezione batterica) dovuto ad un'alterata
funzione dell'attivazione cellulare. Aree maggiormente colpite sono la
porzione superiore del tronco e il volto. Per evitare questo effetto collaterale
possiamo utilizzare creme emollienti o l'effetto antiinfiammatorio di una
tetraciclina, la doxiciclina a basse dosi per os. Possiamo usare antibiotici locali nel caso di una
sovrainfezione batterica, quando c'è prurito utilizziamo antiistaminici e nella reazione
infiammatoria importante possiamo utilizzare il cortisone.
Altro effetto collaterale molto importante è la diarrea.
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Altra modalità di funzionamento è bloccare direttamente la funzione enzimatica
del recettore.
In presenza di ATP, il recettore aggiunge un gruppo fosfato su specifici gruppi di tirosina,
autofosforilandosi. Possiamo utilizzare:
ATP‐mimetici ‐‐> LAPATINIB
Si inseriscono nella tasca tridimensionale enzimatica al posto dell'ATP. In genere sono inibitori
reversibili, sono però in sviluppo inibitori irreversibili che si legano covalentemente e distruggono
il recettore. Sono molecole piccole che entrano per diffusione all'interno della membrana,
riconoscono il sito del recettore e ne bloccano la funzione.
Sono chiamate PICCOLE MOLECOLE INIBITORI DELLA TIROSIN KINASI. Uno dei
vantaggi di queste molecole è l'assorbimento a livello del tratto gastroenterico
(somministrati per os).
Anche il lapatinib è gravato da cardiotossicità.
gefitinib ed erlotinib
Farmaci anti EGFR, si usano in alcune forme di tumore del polmone e, soprattutto nel tumore del
polmone non a piccole cellule, in cui ci EGFR mostra una mutazione attivante.
La carcinogenesi non da fumo di sigaretta è caratterizzata da una mutazione nell’EGFR, invece nei
pazienti in cui il tumore ha una patogenesi legata al fumo di tabacco ci sono mutazioni in altri geni
per esempio in Kras. Le mutazioni di ras costituiscono un meccanismo di resistenza ai farmaci anti‐
EGFR (vedi anticorpi del colonretto), quindi o ci sono mutazioni in ras oppure in EGFR per cui si
dice che le due mutazioni sono mutuamente esclusive.
In questi tumori del polmone che presentano una mutazione attivante del gene dell’EGFR,
utilizzando un farmaco anti‐EGFR come gefitinib ed erlotinib, è più utile della chemioterapia con
farmaci citotossici che è molto tossica. un altro vantaggio di questi farmaci è che sono farmaci
orali quindi somministrabili a casa
Effetti collaterali dei farmaci anti‐EGFR sono principalmente rash cutanei.
2. INIBITORI DELLE TIROSIN CHINASI DI PDGFR
imatinib
Fu il primo farmaco ad attività anti‐tirosin chinasica.
In realtà questo farmaco non agisce solo a livello di PDGFR, ma è anche un inibitore di Bcr‐Abl
(cromosoma Philadelphia) e di c‐Kit (ecco perchè viene usato nel GIST).Per quanto riguarda Bcr‐
Abl, l'imitinib agisce inibendo il legame dell ATP a tutte le forme di Abl. Per questo motivo è usato
nel trattamento della leucemia mieloide cronica.
Dal punto di vista farmacocinetico, viene assunto per os, ha una biodisponibilità del 98% e si lega
ad albumina e alfa1 glicoproteina. L'eliminazione avviene attraverso le feci dopo metabolizzazione
da parte di YP3A4.
Ha un profilo di tossicità favorevole. Altri inibitori di Bcr‐Abl sono DASATINIB e NILOTINIB.
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3. INIBITORI DELLE TIROSIN CHINASI DI VEGFR
Come può agire questo farmaco?
blocca l'attività del recettore entra nella cellula, si lega alla molecole costituite da
dalla porzione extracellulare porzione recettoriale con recettori esca
andando ad esempio a bloccare attività tirosinokinasica
l'interazione con il ligando ↓
bloccandone la funzione
↓ VEGF‐ trap
↓
ANTICORPO MONOCLONALE BLOCCARE DIRETTAMENTE LA
FUNZIONE ENZIMATICA DEL
REC.
L’angiogenesi è un processo complesso che deriva dall'interazione tra cellule tumorali e cellule
normali del paziente, è un processo dinamico multifattoriale. L’angiogenesi indotta dal tumore o
neoangiogenesi è un processo necessario e indispensabile per la crescita locale, invasione e
localizzazione a distanza
delle cellule tumorali,
attivato nelle fasi precoci
della trasformazione
neoplastica che avviene
quando le cellule
tumorali maligne
raggiungono una massa
critica che non permette
una sopravvivenza
adeguata poichè non
permette l'arrivo di
nutrienti e ossigeno a
meno che non si formino
nuovi vasi.
Le cellule tumorali
maligne producono, infatti, fattori di crescita che attivano una serie di cellule normali endoteliali e
quindi ne favoriscono la migrazione, la proliferazione, la differenziazione funzionale.
I vasi neoformati, però, sono diversi da quelli normali perché sono più permeabili, più tortuosi, più
aggrovigliati. A questo processo partecipano non solo le cellule endoteliali ma anche le cellule
stromali tra cui i periciti, i miociti
Il VEGF è una famiglia di fattori di crescita e quello che comunemente indichiamo con VEGF è, in
realtà, il VEGFa che attiva diversi recettori: sulla cellula endoteliale attiva il recettore più
importante per la migrazione, proliferazione e differenziazione delle cellule tumorali stesse, il
VEGFR2. Il recettore di tipo 1 è importante nella migrazione, quello di tipo 3 nella linfoangiogenesi.
Abbiamo quattro fattori VEGF di tipo a,b,c,d e poi è stato scoperto anche un quinto fattore
Placental growth factor (PGF)
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Questi recettori formando dimeri e trasmetteno i segnali con gli stessi pathway molecolari (Ras,
Raf, Mek, MAPK, oppure la via della sopravvivenza cellulare attraverso AKT).
Se la cellula tumorale non attiva questo processo, il tumore non va avanti e si è pensato che
l'angiogenesi fosse un processo fondamentale per la crescita, lo sviluppo, la metastatizzazione per
cui bloccare l’angiogenesi era il miglior modo per bloccare in maniera decisiva la neoplasia.
E' stato creato un anticorpo monoclonale umanizzato contro il VEGFa, il bevacizumab,
che è il prototipo di farmaci sviluppati contro l’angiogenesi indotta da tumore. Questo è attivo
contro i fattori di crescita e non contro il recettore quindi quando facciamo terapia con
bevacizumab andiamo a neutralizzare il VEGFa, prodotto principalmente dalle cellule tumorali e
impediamo che il VEGFa attivi il recettore sulle cellule endoteliali. Questa è una terapia a lungo
termine cronica, noi togliamo in questo modo uno stimolo cronicamente necessario al
mantenimento di vasi all'interno del tumore perché il VEGFa non solo induce le fasi iniziali ossia la
migrazione, la proliferazione, ma è indispensabile per il mantenimento dello stato attivo
funzionale per cui, se noi togliamo il VEGFa, i vasi all'interno del tumore regrediscono e ritornano
allo stato di quiescenza simile ai vasi normali nel resto dell'organismo. Quindi, una terapia cronica
con anticorpi anti‐VEGFa, permette un ritorno ad un’ angiogenesi normale con distruzione dei
neovasi indotti dalle cellule tumorali.
Questa non è una terapia rivolta direttamente contro il tumore ma comunque, distruggendo la
neovascolarizzazione indotta dal tumore, riduciamo anche l'apporto di ossigeno e nutrienti al
tumore stesso e quindi in ultima analisi ha un effetto anti tumorale. Quando tratto con
bevacizumab non abbiamo una morte delle cellule tumorali come principale effetto, ma il blocco
della vascolarizzazione che, a lungo termine, porta alla necrosi tumorale perché non abbiamo vasi
che portano ossigeno e nutrienti al tumore. Il bevacizumab viene usato in associazione ai farmaci
citotossici perché potenzia il loro effetto in quanto, probabilmente, bloccando la neoangiogenesi
permette una migliore distribuzione dei farmaci citotossici nel tumore stesso.
Il bevacizumab entra in associazione con la chemioterapia nel caso di tumore del colon retto
metastatico, in alcuni tipi di tumori del polmone di tipo adenocarcinoma, tumori dell'ovaio, nel
carcinoma della mammella metastatico, in alcuni tipi di tumori del surrene.
Gli effetti collaterali del bevacizumab sono legati al suo meccanismo d'azione.
Un aspetto importante, per fortuna controllabile, è l’induzione dell'ipertensione arteriosa, quindi
ipertensione arteriosa lieve, moderata e grave può essere individuata nella maggioranza dei
pazienti trattati a lungo termine con bevacizumab, raro invece è il rischio di distruzione dei vasi
intratumorali con emorragia o trombosi arteriosa o venosa.
Un altro effetto collaterale importante è la tossicità renale che si manifesta con un danno
tubulare renale, si valuta poi la proteinuria delle urine per valutare il danno renale.
Controindicazioni.
pazienti che hanno avuto recentemente (per es. sei mesi precedenti alla terapia) un
accidente cardiovascolare acuto o una patologia cardiovascolare cronica importante (una
trombosi arteriosa o venosa profonda o che hanno avuto un recente infarto) non vanno
trattati con bevacizumab per il rischio di avere importanti effetti collaterali.
Pazienti poi che hanno masse tumorali già sanguinanti alla diagnosi non devono essere
trattati con bevacizumab, perché si può peggiorare. Si è visto che in alcuni tumori del
polmone che istologicamente sono squamosi e che in genere hanno una localizzazione
centrale cioè ai grossi bronchi, spesso con cavitazione e con infiltrazione dei grossi vasi, il
trattamento con bevacizumab può portare a emorragie importanti per distruzione dei
grossi vasi, per cui il bevacizumab non si usa nei tumori squamosi o nei tumori localizzati
centralmente.
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L'ipertensione arteriosa non è tanto una controindicazione perché in genere viene
controllata abbastanza facilmente da un punto di vista farmacologico e l'ipertensione da
antiangiogenetici viene trattata normalmente come viene trattata l'ipertensione arteriosa.
Il VEGFa controlla le cellule muscolari lisce dei vasi quindi abolendolo si ha un incremento
della pressione arteriosa.
Per bloccare direttamente il recettore VEGFR2, abbiamo:
sunitinib utilizzato in un tumore maligno come il tumore a cellule chiare del rene perché nei
tumori renali la neoangiogenesi è particolarmente sviluppata ed è resistente ai farmaci citotossici.
o di elezione per la terapia del cancro del rene metastatico.
In realtà questo farmaco ha anche attività su c‐Kit (può essere usato nel GIST), PDGFR.
sorafenib: agisce anche Raf1, BRaf (quindi è anche un antiproiferativo , oltre che un
antiangiogenico!), su c‐Kit, sul PDGFR. E' indicato nel trattamento dell'epatocarcinoma e del
tumore renale avanzato dopo il fallimento di una precedente terapia a base di IL2
pazopanib
N.B. Quando si usano inibitori di più recettori ci sono due problemi:
1. non si sa la potenza relativa all’inibizione dei vari bersagli
2. più il farmaco ha più bersagli e maggiore è l’incidenza degli effetti
3. INIBITORI SELETTIVI PER MOLECOLE DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE
C'è poi un'altra classe di farmaci che non blocca la funzione di un recettore di membrana o di un fattore di
crescita, ma blocca direttamente una proteina di trasduzione del segnale. Molti tumori umani presentano
mutazioni di geni che codificano per proteine chiave per il meccanismo di trasduzione del segnale
(attraverso la via di AKT o Ras). Inibitori selettivi di Ras mutato non ci sono ancora, ma sono stati studiati
farmaci inibitori dell'enzima farnesil trasferasi perché Ras è una proteina che viene farnesilata per essere
ancorata alla membrana sulla porzione interna. Solo quando Ras è ancorata si può accoppiare a delle
proteine adattatrici come i recettori per fattori di crescita e può funzionare. Si pensò che se avessimo
inibito l'enzima farnesil trasferasi, Ras non arrivava in membrana, sia essa mutata sia normale e si aveva un
effetto anti tumorale. Tuttavia la cellula tumorale è molto più intelligente e trovava altri meccanismi per
ancorare Ras in membrana
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FARMACI INIBITORI SELETTIVI PER BRAF MUTATO Negli ultimi 5‐6 anni siamo riusciti ad avere
farmaci anti‐Raf mutato (BRAF è mutato in circa il 50‐60% di pazienti affetti da melanoma
metastatico, in genere in alcuni punti caldi del gene una mutazione puntiforme cioè la
sostituzione di un nucleotide che porta un codone a codificare un altro aminoacido). BRAF
mutato, a valle di Ras, diventa costitutivamente attivo; noi abbiamo inibitori selettivi per BRAF
mutato.
FARMACI INIBITORI SELETTIVI DI MTOR; mTOR è una proteina a valle di AKT, importante per
segnali anti apoptotici. La proteina mTOR (scoperta mentre si studiava il meccanismo d'azione
della ripamicina (o sirolimus) è un macrolide impiegato come immunosoppressore nei trapianti
d'organo.
L'inizizione della chinasi mTOR da parte della rapamicina e dei suoi derivati blocca la
traduzione di proteine regolatorie del ciclo cellulare e causa un arresto delle progressione
dalla fase G1 alla fase S.
L'inibizione di mTOR avviene per formazione di un complesso mTORC1 (costituito da mTOR ed
altre proteine regolatorie), tuttavia un secondo complesso di mTOR, denominato mTORC2,
potrebbe attivarsi ed essere responsabile della resistenza.
everolimus: si usa nella terapia del cancro del rene metastatico dopo fallimento con una
terapia con farmaci antiangiogenetici ed everolimus si può usare anche in donne con tumore
alla mammella in associazione con l’ormonoterapia dopo fallimento dell’ormonoterapia stessa.
Si somministra per os.
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SPERIMENTAZIONE CLINICA IN ONCOLOGIA
Ci sono una serie di problemi relativi non solo ad individuare i farmaci antitumorali, qualunque sia
la categoria di appartenenza:
che funzionino
su quali tumori agiscono
a quale dose funzionano
Le fasi della sperimentazione clinica sono 4 nell'uomo e tutto quello che viene prima è
sperimentazione preclinica cioè sperimentazione in vitro, in sistemi cellulari in laboratorio, negli
animali da laboratorio (topo, ratto, cane, scimmia).
La fase I è una fase di tollerabilità generale, di farmacocinetica che viene fatta, in oncologia, non
in pazienti ma in volontari sani ma in pazienti neoplastici. Questo perché i farmaci neoplastici sono
farmaci dotati di effetti collaterali importanti. L'unico farmaco in cui fu fatta la fase iniziale nel
volontario sano fu gefitinib
Questa fase è molto complessa nell'uomo perché non sappiamo in quali pazienti farla e a che
dose farla quindi in fase I selezioniamo pazienti con tumori per i quali non esistono alternative
terapeutiche valide, pazienti per i quali noi speriamo di dargli un potenziale beneficio, pazienti con
una malattia avanzata (in genere metastatica), pazienti per i quali già sono state eseguite tutte le
vie di trattamento (chirurgica, chemioterapica), per cui soltanto la via sperimentale con un
farmaco nuovo può essere una speranza di vita.
Diverso è il discorso se stiamo sviluppando un nuovo inibitore del recettore per estrogeni: faccio lo
studio di Fase I solo in pazienti con tumore della mammella positivo per il recettore degli
estrogeni.
Lo sviluppo di Fase I è orientato ad una determinata malattia se c'è un meccanismo funzionale che
lo lega a una determinata malattia o ad un determinato bersaglio molecolare, per es. se ho un
farmaco anti‐Ras mutato lo faccio nei pazienti con mutazioni di Ras, oppure se il meccanismo è più
esteso lo faccio in pazienti indipendentemente dalla neoplasia.
E’ difficile la scelta della dose iniziale per uno studio di Fase I, si fa in genere un compromesso tra il
dosaggio ottenibile nell'uomo, corrispondente al dosaggio che in vitro determina negli animali in
sperimentazione l'efficacia temporale, quindi se noi sappiamo che una concentrazione di 1 μM in
laboratorio funziona, noi cercheremo di fare una somministrazione nel paziente tale per cui
almeno 1 μM sia la concentrazione plasmatica ottenuta. Inizio a trattare il paziente con una dose
non a rischio ma neanche bassissima altrimenti è inutile. Più abbiamo notizie di Farmacologia
preclinica, maggiore è la possibilità di predire la dose. Poi in maniera empirica usiamo l'incremento
progressivo della dose.
L'obiettivo della fase 1 in oncologia è valutare la fattibilità della somministrazione del farmaco a
una dose potenzialmente efficace e relativamente poco tossica, in modo tale che, una volta
saputi quali sono gli effetti collaterali principali e come possono essere controllati e saputa la dose
potenzialmente utile di questo farmaco, si passa alla fase 2.
Nella fase II abbiamo acquisito più conoscenze su tollerabilità, tossicità ed effetti collaterali ed
usiamo quella dose che nella fase 1 è risultata una dose utile per andare a vedere se questo
farmaco ha un attività antitumorale.
Quindi la fase 1 serve per la valutazione della tossicità, tollerabilità e l'individuazione della dose
potenzialmente attiva, la fase 2 serve per individuare l'effettiva attività antitumorale.
Dopo la fase II, dei 100 farmaci partiti in fase I, dei 20 passati in fase II, dei 5 che hanno superato la
fase II, si valuta l'efficacia in una determinata malattia in studi di fase III che sono in genere studi
di confronto o randomizzato
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Dopo l'immissione in commercio si fa una valutazione post marketing di Fase IV, si vedono gli
effetti collaterali anche rari, i problemi che possono insorgere e che non si conoscevano, gli effetti
terapeutici diversi, invece di trattare poche decine di pazienti, ora sono trattati centinaia di
migliaia, milioni di pazienti in vari mesi, per cui anche un effetto collaterale che accade un caso su
un milione noi potremmo non averlo mai visto. Esistono centri specifici di farmacovigilanza che
monitorano l'immissione in commercio e per i farmaci oncologici sono particolarmente stringenti,
perché i farmaci oncologici sono particolarmente tossici.
RESISTENZA AI FARMACI ONCOLOGICI
Parlando della resistenza agli agenti antineoplastici è necessario distinguere tra resistenza
osservata in vitro e resistenza in vivo al trattamento.
In vivo, infatti, la resistenza si instaura anche in base a fattori anatomo‐fisiologici, ad esempio nel
caso in cui un determinato farmaco non sia in grado di raggiungere concentrazioni citotossiche per
un periodo adeguato di tempo. Questa situazione si verifica quando le cellule neoplastiche sono
confinate in organi difficilmente accessibili dai farmaci, i cosiddetti santuari (ad esempio il sistema
nervoso centrale, per la presenza della barriera emato‐encefalica, e il testicolo, a causa
della barriera emato‐testicolare). A questo meccanismo possono aggiungersi errori nello schema
terapeutico, che prevedono una dose troppo bassa o che si mantiene su livelli adeguati solo per un
periodo limitato di tempo.
La farmacoresistenza può essere indotta anche da cause relative alla fisiologia peculiare della
massa tumorale: ad esempio un eccessivo volume della neoplasia determina nell'ambito della
stessa la formazione di estese aree ischemiche, che rendono difficile sia il trasporto del farmaco,
sia quello dell'ossigeno nelle vicinanze delle cellule cancerose. Alcuni antineoplastici provocano la
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morte cellulare tramite la formazione di reattivi dell'ossigeno: si comprende quindi come la
mancanza dell'ossigeno comporti necessariamente una riduzione dell'attività. Inoltre la presenza
di una estesa area ischemica comporta la selezione di cellule con mutazioni di P53 che, essendo
incapaci di iniziare l'apoptosi, sono anche resistenti a molti farmaci.
Vi sono poi ulteriori fattori, propri della cellula neoplastica, che si oppongono all'azione dei
farmaci antineoplastici. Tali fattori sono responsabili della resistenza intrinseca, la resistenza cioè
che si sviluppa durante la prima somministrazione del farmaco (un esempio tipico di questo è
la MultiDrug Resistance), oppure della resistenza acquisita osecondaria, che si verifica in tumori
precedentemente sensibili ad una data molecola in corso di progressione o recidiva di malattia.
Meccanismi di resistenza intrinseca
Diminuzione del trasporto intracellulare: la concentrazione intracellulare di un determinato
farmaco antineoplastico può essere ridotta a causa di un alterato legame con una proteina di
trasporto. Questo meccanismo è stato chiamato in causa nel caso del metotrexato: la
resistenza è determinata da una mutazione a carico della proteina legante i folati.
Aumentato trasporto extracellulare del farmaco: tale meccanismo è stato descritto per molti
farmaci di origine naturale, detti anche xenobiotici, come alcaloidi della vinca,
epipodofillotossine ed antracicline. L'aumentato efflusso è dovuto all'espressione di proteine
specifiche, come la P‐glicoproteina (P‐gP) e la MultiDrug Resistance‐associated Protein 1 (MRP‐
1), che hanno la funzione di estrudere gli xenobiotici dall'interno della cellula. Questo
meccanismo è alla base del fenomeno della MultiDrug Resistance(MDR), cioè della
contemporanea resistenza verso farmaci antineoplastici con diversa struttura e diversa
modalità d'azione.
Diminuzione dell'attivazione del farmaco: questo meccanismo interessa farmaci quali l'ARA‐C
(citosina arabinoside) che per il loro funzionamento richiedono un'attivazione enzimatica. Le
cellule sono resistenti ad ARA‐C perché povere in chinasi e fosforibosil‐transferasi (enzimi
necessari per l'attivazione intracellulare del farmaco).
Aumento dell'inattivazione del farmaco:
CHEMIOPREVENZIONE
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Nuovo approccio che si basa sull'impiego di farmaci non citotossici per bloccare la progressione
dei tumori invasivi.
FANS agiscono sul pathway delle PG
Colecoxib previene i polipi del colon
Tamoxifene previene il carcinoma mammario
Il selenio inibisce la glutatione perossidasi, studiato per prevenire il Ca alla prostata ed al polmone.
Vit E
Retinoidi usati per la prevenzione delle neoplasie epatiche e cervicale.
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