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ONCOLOGIA

PROF. TASSONE
Lezione 12 a – 14/04/2021
Sbobinatori: Antonella Ravazzani, Chiara Romano

Argomenti: EPATOCARCINOMA- PRIMA PARTE

L’epatocarcinoma o HCC, è la neoplasia epatica più comune, una delle principali cause di morte in
tutto il mondo.

EPIDEMIOLOGIA.
L’incidenza mondiale di HCC è maggiore in Asia e nei paesi sub-sahariani, relativamente meno
frequente in Europa e nel nord America, essendo legata alla diffusione del virus dell’epatite HBV e
HCV. In Europa i paesi dove si registra una più alta incidenza di casi sono l’Italia e i paesi del bacino
del mediterraneo.

Per HBV, sono attivi dal 1978


programmi di prevenzione, con
la somministrazione a tutti i
nuovi nati di un vaccino che ne
ha attenuato il ruolo nella
diffusione dell’epatocarcinoma.

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PREVALENZA.
Anche i dati di prevalenza sono significativi, infatti nel 2018 sono stati registrati circa 33.000 casi di
pazienti sopravviventi con storia pregressa di HCC.

In particolare l’epatite B è la
principale causa di tumore
epatico a livello mondiale. La
maggior parte di queste
infezioni avviene in età natale e
perinatale, soprattutto nei
paesi in via di sviluppo, e tende
spesso a cronicizzare, ciò
determina un incremento del
potere oncogeno del virus.
L’epatite cronica HBV è
correlata all’epatocarcinoma
nell’80% dei casi, mentre la
maggior parte dei casi di
epatocarcinomi non correlati al virus B è correlata al virus HCV, che rappresenta il principale
responsabile dell’emergenza di epatocarcinoma in Europa, Giappone e Nord America. La presenza
di infezione cronica di virus C aumenta di circa 24 volte il rischio di sviluppare epatocarcinoma. La
cirrosi correlata al virus C, che insorge dopo 20 o 30 anni dall’infezione primaria è un fattore di
rischio estremamente importante per lo sviluppo di epatocarcinoma , inoltre se l’infezione da HBV
e HCV si presentano associate esiste una rapida evoluzione a cirrosi ed aumento di rischio di
sviluppare epatocarcinoma. La cirrosi è correlata nel 60-80% a tutti gli epatocarcinomi, questa
associazione è più frequente soprattutto con la forma macronodulare nel sud-est asiatico e con la
forma micronodualre in Europa. Non è ancora chiaro se la cirrosi da sola sia un fattore
predisponente per lo sviluppo del tumore primitivo del fegato.

Un altro fattore molto importante è l’abuso di alcol, soprattutto se cronico che porta ad epatite
alcolica e incremento di cirrosi con conseguente rischio di sviluppare il tumore primitivo del
fegato, questo è aggravato se accompagnato da infezione del virus B o C.
Anche le malattie metaboliche hanno un loro impatto.

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Infine consideriamo le aflatossine, che sono composti prodotti da ceppi funginei distribuiti
dappertutto che possono contaminare il cibo. L’aflatossina è nota come una sostanza che ha
potere mutageno e sembrerebbe implicata nella soppressione dell’immunità, che potrebbe
favorire l’infezione del virus dell’epatite. Anche in questo caso la combinazione di aflatossina con
infezione da virus epatite B o C può indurre effetti additivi o sinergici.

Appare chiaro che


l’epatocarcinoma è una malattia
di cui si conoscono bene le
cause, quindi è una malattia
prevedibile e prevenibile per cui
sono attivati programmi di
screening e sorveglianza.

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Vediamo ora come questa malattia si caratterizza dal punto di vista molecolare.
Nell’immagine sottostante vediamo la correlazione tra gli stadi che caratterizzano la progressione
e l’evoluzione del tumore con l’assunzione di specifiche caratteristiche molecolari che riflettono
l’andamento clinico della malattia. Alla progressione dal punto di vista istologico da uno stato di
cirrosi alla formazione di noduli displastici fino alla malattia early e a una forma progredita,
corrisponde l’accumulo di alterazioni, mutazioni somatiche in maniera progressiva. Alcune di
queste sono molto frequenti , ad esempio la mutazione di TERT promoter nel 60% dei casi, quindi
frequenti mentre TP53 o CTNNB1 meno importanti ma comunque non trascurabili. Queste info
permettono una classificazione molecolare dello stato di malattia che riconosce due classi
principali, una di tipo proliferativo e una di tipo non proliferativo. Dal punto di vista delle
caratteristiche genomiche nelle forme non proliferative c’è una maggiore frequenza di mutazione
a carico di CNNB1 e una gene expression simile a quella di cellule di tessuti normali mentre nelle
forme proliferative c’è una signature di gene expression diversa rispetto alle cellule normali dalle
quali si differenzia in maniera significativa, associata ad un quadro di prognosi infausta. In questi
casi ritroviamo ad es mutazioni di TP53 e instabilità genetica.

Questo tipo di portrait di tipo molecolare si riflette inevitabilmente sul comportamento clinico
della malattia e quindi sulle caratteristiche, sulle efficiers cliniche di queste due classi. Nelle forme
non proliferative, per esempio, si osserva una maggiore frequenza di infezioni da virus C e una
correlazione con l’abuso di alcol ma anche un quadro low tumor grade, una minore frequenza di
invasione vascolare e un migliore out come. Contrariamente nelle forme proliferative si trova
un’infezione da virus B, un tumor grade elevato quasi sempre e quindi con uno scarso livello di
differenziazione; in questi casi ricorre più frequentemente un elevato livello di alfa feto proteina e
in questi casi abbiamo un out come pessimo.
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DIAGNOSI
La cirrosi è caratterizzata istologicamente da bande di tessuto fibrotico che delimitano noduli di
rigenerazione epatocitaria. La presenza di piccoli noduli in un fegato cirrotico rappresenta la
norma ma generalmente questi noduli sono di piccolissime dimensioni comprese tra 1 e 4 mm.
Viene pertanto definita “lesione focale”, una lesione che emerga dallo sfondo ecografico con
dimensioni di almeno 5 mm.
•In linea generale, i noduli con dimensioni inferiori a 10 mm dovrebbero essere sottoposti ad uno
stretto monitoraggio di tipo trimestrale fino all’eventuale superamento delle dimensioni di 10
mm. È anche possibile che questi noduli rimangano in una situazione di stazionarietà e in questo
caso dopo due anni di stabilità i controlli possono diventare semestrali anziché trimestrali. Quando
siamo di fronte a noduli di tipo epatico bisogna sempre avere un interrogativo ovvero se si può
trattare di un altro tipo di malattia; ad esempio, il colangiocarcinoma ed il linfoma epatico
primitivo pur ricorrendo nel 2-3% dei casi sono delle opzioni diagnostiche differenziali che bisogna
tenere in considerazione. Più rare sono invece le metastasi epatiche di altri tumori nel contesto di
un fegato cirrotico.
•Nel caso invece di noduli di dimensioni superiori a 10 mm riscontrati per esempio in corso di
esame ecografico durante la sorveglianza o al momento della diagnosi di cirrosi, questi vanno
considerati altamente sospetti per epatocarcinoma e quindi devono essere sottoposti a ulteriore
caratterizzazione mediante RM e/o esami TC con mezzo di contrasto o anche ecografia con mezzo
di contrasto e quindi un approccio non invasivo. Se però non si raggiunge una diagnosi di certezza
con le metodiche di imaging, il nodulo deve essere sottoposto a biopsia ecoguidata. In alcuni casi
tale biopsia non è però eseguibile o può non risultare diagnostica. In questi casi il nodulo deve
essere monitorato trimestralmente mediante ecografia e rivalutato periodicamente con RM, TC o
ecografia con mezzo di contrasto, sottoponendo di nuovo il paziente a biopsia epatica nel caso in
cui questo stesso nodulo aumenti di dimensioni o per la comparsa di un nuovo nodulo.
•Il 10-15% dei noduli hanno dimensioni superiori a 3 cm e ben il 60-70% dei noduli tra 1 e 2 cm
hanno un comportamento radiologico dubbio o non conclusivo. La maggior parte di questi noduli
incidenti (documentati per la prima volta) nel fegato cirrotico devono essere sottoposti a biopsia
epatica.
•Le biopsie di piccoli noduli epatocellulari (con dimensioni minori di 2 cm), di aspetto morfologico
dubbio e quindi richiedono un accertamento bioptico, sono spesso di difficile e complessa
esecuzione e interpretazione.
•I marcatori immunoistochimici (CD34, CK7, GPC3, HSP70) possono aumentare l’accuratezza
diagnostica.

Prima di qualsiasi trattamento va eseguita una corretta stadiazione dell’HCC, ricercando eventuali
ulteriori noduli. Proprio per questa ragione, l’ecografia convenzionale che è uno strumento
agevole tra i più utilizzati per la valutazione di un fegato cirrotico, non è adatta alla stadiazione in
quanto la sensibilità è del 40-70% per lesioni di 0,5-2 cm.
La valutazione dell’estensione intraepatica dell’HCC va effettuata con le tecniche
contrastografiche “panoramiche”, TC e RM, che tuttavia non sono equivalenti:
- la RM risulta superiore alla TC nell’identificazione di lesioni <2cm di diametro;
- la TC (estesa al torace) può rappresentare la tecnica stadiativa di prima scelta nel tumore in
stadio avanzato quando non è richiesta una particolare sensibilità della tecnica.

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L’alfa-fetoproteina non viene più raccomandata come test diagnostico; tuttavia, valori elevati di
alfa-fetoproteina hanno un preciso significato prognostico piuttosto negativo.

Algoritmo diagnostico che riassume i contenuti discussi. Si richiama l’attenzione su quelli che sono
gli hallmarks radiologici che vengono utilizzati per la valutazione dei risultati della risonanza
magnetica e della TC con mezzo di contrasto e in particolare l’hyperenhancement in fase
arteriosa e il washout in fase portale venosa.

-Riquadro superiore: è presente una TC, una


sezione in fase arteriosa precoce, in cui
l’epatocarcinoma è meglio visibile e più
contrastato rispetto al fegato circostante;
- Riquadro inferiore: fase tardiva portale
venosa, l’HCC appare più scuro rispetto al
tessuto circostante.
Il contrasto è comunque sufficiente per valutare
la presenza della formazione (indicata dalle
frecce rosse) in entrambi i casi.

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STADIAZIONE
In Italia, la maggior parte dei casi di HCC insorge in pazienti affetti da cirrosi epatica e che presenta
pertanto un grado variabile di insufficienza epatica. La prognosi dei pazienti con HCC deve tenere
conto, quindi, non sono dell’estensione della neoplasia (TNM) ma anche della valutazione della
funzione epatica residua (Child-Pugh).
Riprendendo dei concetti di fisiologia la funzione epatica è riassumibile in una funzione sintetica e
di emuntorio e ovviamente tutti i sistemi che valutano il quadro di insufficienza epatica non
possono che tenere conto di questi fattori.
Tra i parametri che esprimono la funzione sintetica sono più informativi:
-i valori plasmatici di albumina;
-la valutazione dei fattori della coagulazione come il tempo di protrombina o INR;
-colesterolo e colinesterasi.
Un deficit protido-sintetico contribuisce anche ad una condizione di malnutrizione e può
comparire nelle fasi più avanzate.
Per quanto riguarda la funzione emuntoria, è molto importante tenere in considerazione:
-la bilirubina,in particolare la forma diretta;
-in seconda misura i livelli di ammoniemia.

CLASSIFICAZIONE CHILD-PUGH

Tra i sistemi di classificazione di riferimento per la valutazione dell’insufficienza epatica


sicuramente il sistema più ampiamente utilizzato è quello costituito dalla classificazione Child-
Pugh che include 5 variabili, ciascuna categorizzata in modo da produrre un punteggio da 1 a 3
punti per un totale complessivo che può oscillare tra 5 e 15 punti. Questi punteggi permettono di
identificare 3 classi di gravità crescente, le classi A-B-C:
•Un punteggio di 5-6 definisce la classe A;
•Un punteggio di 7-8-9 definisce la classe B;
•Un punteggio da 10 a 15 definisce la classe C.

Sulla base di questa classificazione possiamo quindi definire :


•Pazienti in classe A sono pazienti con una buona funzione epatica residua, un buon performance
status e in cui la storia naturale della cirrosi permette di definire una sopravvivenza a 2 anni nella
stragrande maggioranza dei casi. Sono pazienti candidati a terapie oncologiche;
•Pazienti in classe B definiscono una condizione intermedia. È una classe eterogenea che può
comprendere pazienti che hanno una severa compromissione epatica e pazienti in cui la funzione
epatica è ancora discretamente conservata. Per questi pazienti va considerata l’opzione trapianto
e se non trapiantabili possono essere suscettibili di altre terapie ma la decisione deve essere
gestita all’interno di un team multidisciplinare per valutare il rischio che il trattamento potrebbe
indurre in termini di una irreversibile ulteriore insufficienza epatica.
•Pazienti in classe C hanno una grave condizione di insufficienza epatica e quindi hanno una
prognosi infausta anche a breve termine. In questi pazienti la sopravvivenza attesa è inferiore al
50% ad un anno e poco superiore al 35% a due anni. Questi pazienti non sono tipicamente
eleggibili per trattamenti oncologici. Rimane valida l’opzione di un trapianto epatico.

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STADIAZIONE CON CLIP SCORE

Per la stadiazione dell’HCC purtroppo non esiste un unico sistema universalmente accettato e nel
corso degli anni sono stati avanzate diverse proposte e quindi diversi sistemi di stadiazione,
ognuno con variabili diverse proprio nel tentativo di definire il miglior sistema di classificazione del
paziente con HCC. Nel 1998 è stato proposto il CLIP (“Cancer of the Liver Italian Program”) score.
Questo sistema prende in considerazione quattro variabili:
- Il Child-Pugh;
- La morfologia della massa
neoplastica;
- Eventuale presenza di una
trombosi della vena porta;
- Livelli sierici di alfa-
fetoproteina.

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STADIAZIONE CON ALGORITMO BCLC
Attualmente il sistema più utilizzato nel mondo occidentale è l’algoritmo BCLC (“Barcelona Clinic
for Liver Cancer”). Inizialmente proposto nel 1999, un anno dopo quindi la proposta del CLIP, è
stato poi successivamente revisionato nel 2003. Questo sistema di stadiazione permette la
stratificazione dei pazienti in cinque gruppi sulla base del performance status, Child-Pugh e delle
caratteristiche della neoplasia. Il punto fondamentale e anche innovativo di questo sistema è
rappresentato dalla valutazione contestuale di variabili relative alla neoplasia e variabili relative
alla patologia di base, cioè ad esempio alla cirrosi epatica con riferimento a dati laboratoristici,
clinici e anche soggettivi del paziente. Il sistema non si limita alla sola predizione della
sopravvivenza del paziente e alla definizione della prognosi ma permette di identificare anche una
proponibile strategia terapeutica adeguata e personalizzata per ciascun paziente.

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