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Endometriosi

L’endometriosi è la presenza e la crescita di ghiandole e stroma endometriali al di fuori della cavità uterina.
L’endometriosi può svilupparsi nell'intera regione pelvica, in particolare nei legamenti uterosacrali e sulle ovaie o dietro
di esse. Occasionalmente interessa l'ombelico o le cicatrici di ferite addominali, la vagina, la vescica, il retto e perfino i
polmoni. L’endometriosi causa infiammazione, con progressiva fibrosi e aderenze. Nella forma più grave, l’intera
regione pelvica è “congelata”, con gli organi pelvici resi immobili dalle aderenze. L’endometriosi richiede quindi un
approccio multidisciplinare.
È una malattia benigna, perché l’endometrio non presenta alterazioni; è a carattere progressivo, perché le lesioni
ectopiche rispondono in maniera consensuale alle modificazioni ormonali tipiche del ciclo mestruale, compreso il flusso
mestruale che si accumula in tessuto non provvisto di drenaggio naturale. È quindi una malattia che compare quasi
esclusivamente nelle donne in età fertile.

Epidemiologia
In Italia si stima interessi il 10-15% delle donne in età riproduttiva (ma, data la maggiore conoscenza di questa
patologia e le migliori tecniche diagnostiche, la sua incidenza è in aumento).
Si stima che, in quasi il 75% delle donne con endometriosi, questa resti misconosciuta, e che il ritardo diagnostico sia
mediamente di 7-10 anni [dalla comparsa dei sintomi passa 1 anno per la prima visita e altri 6 per giungere alla
diagnosi; questo accade perché la sintomatologia dolorosa è sottovaluta e i segni ecografici di malattia sono tardivi].
Le donne con familiarità per la malattia hanno 4-7 volte più probabilità di averla.
Il 25-50% delle donne con infertilità e il 71-87% delle donne con dolore pelvico cronico hanno l’endometriosi. Inoltre,
l’endometriosi può essere precursore del cancro ovarico.
In Italia si stima una spesa sociale annua di 6 miliardi di euro, a cui contribuiscono le spese per le giornate lavorative
perse, le cure farmacologiche e i trattamenti chirurgici (l’endometriosi è la causa principale di isterectomia nelle giovani
donne).

Eziopatogenesi
I cardini dell’endometriosi sono i sintomi (dolore e infertilità) e le lesioni endometriosiche [per la cui conferma e
valutazione dell’estensione è necessario impiegare procedure chirurgiche e/o tecniche di imaging].
Molte teorie sono state proposte per spiegare l’eziopatogenesi dell'endometriosi e ad oggi rimangono tutte da
confermare definitivamente.
La teoria della mestruazione retrograda è il principio più antico che spiega l'eziologia dell'endometriosi. Questa teoria
propone che l'endometriosi si verifichi a causa del flusso retrogrado di cellule endometriali/detriti desquamati attraverso
le tube di Falloppio nella cavità pelvica durante le mestruazioni. Poiché la mestruazione retrograda è frequente, ma non
è sempre associata a endometriosi, sembra che singoli fattori sconosciuti determinino gli impianti e lo sviluppo
dell’endometrio mestruale retrogrado.
Le altre teorie proposte sono:
- metaplasia: trasformazione di tessuto/cellule peritoneali in tessuto endometriale attraverso ormoni e/o fattori
immunologici;
- fattori ormonali: proliferazione delle lesioni endometriosiche guidata dagli estrogeni e resistente al controllo
mediato dal progesterone;
- stress ossidativo e infiammazione: reclutamento di cellule immunitarie e produzione di citochine che
promuovono la crescita endometriale;
- disfunzione immunitaria: prevenzione dell’eliminazione dei detriti mestruali e promozione dell’impianto e della
crescita delle lesioni endometriosiche;
- soppressione dell’apoptosi: promozione della sopravvivenza delle cellule endometriali;
- predisposizione genetica: alterazione cellulare funzionale che aumenta la capacità adesiva e di escape dalla
clearance immunitaria delle cellule endometriali;
- cellule staminali: origine ai depositi endometriosici da cellule indifferenziate con capacità rigenerativa.
Manifestazioni cliniche [l’endometriosi è spesso asintomatica o subclinica]
- Dolore pelvico cronico: dolore costante o intermittente, ciclico o aciclico, che persiste per 6 mesi o più, e include,
in base alla sede di malattia, dismenorrea, dispareunia, disuria, dischezia (le “4 D”), dolore intermestruale
lombare, inguinale, gastrico.
Al di là della sintomatologia dolorosa che contraddistingue la malattia endometriosica, quest’ultima può
determinare notevoli distorsioni anatomiche a carico delle pareti rettali, vescicali e ureterali, che possono arrivare
a determinare stenosi intestinali e urinarie, oppure disfunzioni pelviche: sessuali (dispareunia superficiale e
profonda, vulvodinia), urinarie (ipersensibilià o iperattività vescicale, dissinergia vescicosfinterica, ritenzione
urinaria), rettali (stipsi, diarrea, alvo intermittente, tenesmo rettale) e perineali (disturbo ipertonico del pavimento
pelvico).
- Infertilità-subfertilità: difficoltà riproduttiva, nell’ottenimento e prosecuzione della gravidanza, dopo 1 (per
ASRM-ESHRE) o 2 (per WHO) anni di rapporti non protetti.
[La sterilità implica invece l’impossibilità assoluta di riprodursi, ad es. per assenza di tube, utero, ovaie,
azospermia.]
[L’infertilità/sterilità primaria implica l’assenza di concepimento, quella secondaria, invece, l’assenza di
concepimento dopo pregressi concepimenti.]
[Recenti dati dimostrano che il 25-50% delle pazienti con infertilità presenta endometriosi e che il 30-50% delle
pazienti con endometriosi presenta un problema di fertilità.]

Diagnosi
- Anamnesi: indagare i sintomi (e soprattutto la variabilità in relazione al ciclo mestruale o a trattamenti ormonali),
la fertilità ed eventuali pregresse diagnosi e trattamenti. [È importante l’ascolto della paziente (stabilendo con essa
un buon rapporto e facendole esporre la sua storia e le sue emozioni) e la tolleranza (cioè non avere preconcetti e
non sottovalutare nulla; ad es. anche la vulvodinia e la neuropatia del pudendo possono essere segni indiretti di
endometriosi).]
- EO: visita ginecologica con l’impiego dello speculum: [nelle forme lievi la pelvi può essere percepita come
normale]
La sola ispezione raramente consente di fare diagnosi; non di frequente sono rilevabili lesioni puntiformi bluastre
che si estendono in vagina, soprattutto a livello del fornice posteriore.
La palpazione è molto utile per la diagnosi e prevede l’esecuzione di un accurato “pain mapping” [un dolore
ventrale e dorsale suggerisce una patologia intrapelvica, mentre un dolore solo dorsale suggerisce un’origine
muscoloscheletrica]. Tipici reperti sono il dolore alla palpazione e/o noduli/ispessimento a livello del setto
rettovaginale, del fornice vaginale (e quindi dello scavo del Douglas), dei legamenti utero-sacrali; inoltre si
possono riscontrare utero fisso e ovaie palpabili per la presenza di cisti voluminose o poco mobili per le aderenze.
L’accuratezza diagnostica dell’esame clinico è in ogni caso inferiore rispetto alle metodiche di imaging; la visita
ginecologica permette di porre diagnosi solo in una minoranza di casi, quindi, la sua negatività non basta ad
escludere la presenza di endometriosi.
- Imaging: varie tecniche di imaging sono fondamentali per diagnosi, in quanto consentono di indagare anche le
sedi non accessibili (o non del tutto) con l’esplorazione digitale (annessi, intestino, peritoneo, ureteri, vescica,
ombelico).
Nonostante numerose opzioni, l’ecografia pelvica TV è ad oggi la tecnica diagnostica di prima scelta nello studio
dell’endometriosi ovarica e peritoneale profonda infiltrante (DIE) per la maggiore disponibilità, i costi ridotti, la
bassa invasività, la ripetibilità, la rapidità d’esecuzione, a fronte di un’elevata sensibilità e specificità. Inoltre, è un
esame che consente lo studio dinamico degli organi pelvici (importante per valutare eventuali aderenze) e
l’esecuzione di un accurato “pain mapping”, cioè la valutazione della dolorabilità di diversi compartimenti ed
organi pelvici alla palpazione con la sonda. Nel 2016 il gruppo IDEA (International Deep Endometriosis Analysis
Group) ha uniformato termini, definizioni e tecniche di misurazione per descrivere, ecograficamente, le lesioni
endometriosiche e ha proposto di standardizzare l’esame ecografico pelvico in modo da analizzare in maniera
sistematica la pelvi della paziente; in ogni caso, deve essere eseguito da un ecografista esperto in endometriosi.
La RMN è una tecnica altrettanto accurata se eseguita da un operatore esperto ma per l’invasività e i costi e quindi
la non ripetibilità, può essere considerata integrativa rispetto ad una valutazione ecografica in casi dubbi che
necessitino di ulteriori approfondimenti diagnostici, o in alcuni casi selezionati: lesioni multicentriche o sospetto
interessamento ileo-cecale e di altri tratti intestinali, della porzione superiore dell’addome (es. diaframma), dei
nervi (es. sciatico); è inoltre disponibile la colonografia RM con mezzo di contrasto come alternativa alla
colonscopia tradizionale. In alcune nazioni, per la maggiore disponibilità di radiologi esperti, l’RM è comunque
l’esame di rifermento per la diagnosi di DIE.
Come regola generale, nella scelta fra ecografia ed RM, la prima cosa da considerare è la disponibilità di un
operatore esperto per l’esecuzione di una delle due metodiche.
In alcuni casi si può decidere di avvalersi anche di altri esami di 2° livello, per indagare più dettagliatamente
alcuni distretti: colonscopia, Rx clisma opaco, TC, enteroclisi TC, uro-TC, cistostopia.
Data l’elevata accuratezza diagnostica dell’imaging (ecografia ed RM), il ruolo della laparoscopia a scopo
esclusivamente diagnostico è ad oggi estremamente limitato (ad es. in presenza di una clinica fortemente
suggestiva ma in assenza di altri reperti obiettivi significativi), anche perché l’evidenza istologica non si ritiene più
indispensabile. La laparoscopia esplorativa consente la diagnosi di endometriosi peritoneale ma è poco accurata
per quella di DIE, soprattutto in presenza di aderenze; quindi alcune lesioni endometriosiche profonde potrebbero
non essere identificate a meno che il chirurgo non sia in grado di attuare avanzate tecniche di dissezione e sia a già
a conoscenza delle sedi di malattia rivelate dall’imaging.

Sedi di localizzazione dell’endometriosi:

1. Ovaio
2. Plica vescico-uterina
3. Cavo retto-uterino
4. Pagina posteriore del legamento
largo
5. Legamento utero-sacrale

L’endometriosi può essere distinta schematicamente in tre forme a seconda della sua localizzazione:
- ovarica: sede più frequentemente colpita [l’accumulo di sangue proveniente mensilmente dall’endometrio
localizzato sulla superficie ovarica, di colorito marrone scuro, può contribuire a formare una cisti “cioccolato”, o
endometrioma];
- peritoneale: focolai non infiltranti, visibili solo alla laparoscopia [le lesioni attive appaiono come vescicole rosse
o puntini sul peritoneo, mentre cicatrici bianche o macchie brune (bruciature a “polvere da sparo”) rappresentano
un’endometriosi meno attiva], quindi può essere sospettata nei casi in cui l’ecografia, o altre tecniche di imaging,
siano negative in pazienti con sintomi tipici;
- profonda infiltrante (Deep Infiltrating Endometriosis, DIE): lesioni endometriosiche che penetrano nello spazio
retroperitoneale per più di 5 mm o nelle pareti degli organi addominali. Il sito anatomico maggiormente interessato
è la pelvi, dove l’endometriosi può interessare il compartimento anteriore, quello posteriore e, più raramente, i
paramètri laterali.
[Il parametrio (o fascia pelvica extra-sierosa) è il tessuto connettivo tra la fascia pelvica parietale (che ricopre le
strutture osteomuscolari che delimitano la cavità pelvica) e quella viscerale (che riscopre i visceri pelvici, fissandoli
alla parete) che contiene il supporto nervoso linfo-vascolare ai visceri pelvici. I paramètri si possono anatomicamente
suddividere in anteriori (o pilastri vescicali), posteriori (o pilastri rettali) e laterali (o paracervice); più caudalmente si
trovano il paracolpo e il pararetto.]
L’adenomiosi, invece, era precedentemente nota come “endometriosi interna”, in quanto caratterizzata dalla presenza
dell’endometrio e del suo sottostante stroma all’interno del miometrio.
Risulta più comune attorno ai 40 anni di età ed è associata a endometriosi (si riscontra quasi nel 50% dei casi di DIE) e
fibroma uterini. Tra i fattori di rischio rientrano: multiparità e chirurgia uterina con coinvolgimento della giunzione
endo-miometriale.
L’origine dell’adenomiosi sembrerebbe derivare dalla crescita dell’endometrio all’interno del miometrio. La diffusione
di tale infiltrazione nel miometrio è variabile, nei casi gravi sono visibili vacuoli ripieni di sangue mestruale all’interno
del miometrio. Occasionalmente, il tessuto stromale dell’endometriale infiltrato nel miometrio presenta atipia di vari
gradi o anche infiltrazione.
Può essere asintomatica, ma la presenza di flusso mestruale doloroso, regolare e abbondante (per la compromessa
capacità contrattile del miometrio) è reperto comun; non raro è il riscontro di una dispareunia profonda. È nota una
correlazione tra adenomiosi ed infertilità nonché outcomes ostetrici avversi, poiché in grado di influenzare il normale
rimodellamento delle arterie spirali, e si ipotizza inoltre che l'adenomiosi possa causare fallimento ricorrente
dell'impianto durante FIV. I sintomi si risolvono generalmente in età postmenopausale.
L’ecografia può porre il sospetto di adenomiosi, ma la RM è più specifica nel porre diagnosi. Caratteristiche
ecografiche dell’adenomiosi secondo i criteri musa (Morphological Uterus Sonographic Assessment):
̵ Ispessimento asimmetrico delle pareti uterine (a)
̵ Cisti miometriali anecogene (b)
̵ Isole iperecogene (c)
̵ Sottili ombre acustiche radiali (d)
̵ Striature e gemme subendometriali ecogeni (e)
̵ Vascolarizzazione focale transmurale (f)
̵ Zona giunzionale (interfaccia miometrio-endometrio o strato interno del miometrio) irregolare (g) e/o interrotta (h)

Nonostante l’apparente mancanza di una distinzione istologica tra la zona giunzionale ed il miometrio sovrastante,
questi due strati sono in realtà strutturalmente e biologicamente diversi: la zona giunzionale ha un ruolo nella
mestruazione, nel trasporto dello sperma e nella placentazione ed è estrogeno-sensibile, mentre il miometrio esterno ha
un ruolo nelle contrazioni uterine durante il travaglio e non è estrogeno-sensibile. L’alterazione della zona giunzionale
nell’adenomiosi può essere meglio valutata con la sezione coronale ottenuta con esame ecografico 3D.
L’adenomiosi può essere classificata come:
̵ focale: lesione che interessa <25% del miometrio del corpo uterino e per >25% è circondata da miometrio
normale;
̵ diffusa: lesione che interessa >25% del miometrio del corpo uterino e per <25% è circondata da miometrio
normale;
̵ adenomioma: lesione focale di adenomiosi con ipertrofia delle cellule miometriali circostanti.
Nella donna non desiderosa di gravidanza, il trattamento di scelta è principalmente ormonale (progestinico, E-P,
dispositivo intrauterino). Più raramente, rispetto al passato, si rende necessaria l’isterectomia.
Endometriosi ovarica
È presente nel 17-44% dei casi. Le localizzazioni ovariche possono essere superficiali o profonde (endometrioma) e
sono bilaterali nel 30-50% dei casi; in quest’ultimo caso le due ovaie possono tendere a prolassare ed aderire
posteriormente all’utero nel cavo di Douglas, determinando un quadro ecografico caratteristico definito “kissing ovaries
sign”, verosimilmente suggestivo di endometriosi pelvica avanzata, con concomitante coinvolgimento intestinale e
tubarico.
Ecograficamente, l’aspetto di un endometrioma “tipico” è quello di un cisti rotondeggiante/ovoidale uniloculare (o
multiloculare fino a 4 loculi), con contenuto omogeneo ipoecogeno definito “a vetro smerigliato” [fluido-denso] e
assenza di componente solida, e con scarsa vascolarizzazione periferica e assenza di vascolarizzazione centrale. Più
raramente può essere riscontrato un endometrioma dall’aspetto “atipico”, cioè che ha in più delle formazioni parietali
iperecogene che possono simulare una componente solida ma corrispondono in realtà a coaguli organizzati o
addensamenti di fibrina; in questi casi, verificando che non siano vascolarizzate al Color Doppler, si risolve la d.d. con
altre formazioni ovariche. In assenza di queste caratteristiche tipiche o atipiche, non si tratta di endometriomi. La cisti
endometriosica va in d.d. (facilmente risolta dall’ecografia TV) con: teratoma cistico, corpo luteo endo-emorragico,
fibromi (tecomi) ovarici, cisti mucinose, PID, tumori ovarici maligni o borderline (BOT). [I tumori ovarici possono
essere germinali, stromali o epiteliali; di questi ultimi fanno parte il carcinoma sieroso, mucinoso, endometrioide e a
cellule chiare.]
I tumori borderline e i carcinomi che possono derivare o essere associati ad un endometrioma (più frequentemente
istotipi endometrioide e a cellule chiare, più raramente istotipo sieroso a basso grado e borderline), mostrano
caratteristiche ecografiche tipiche delle formazioni non benigne, soprattutto la presenza nel contesto della formazione
cistica di tessuto solido e/o papille interne, spesso vascolarizzati all’esame Power Doppler. La presenza di un
endometrioma con aspetto tipico, associato però a più fattori di rischio (età avanzata, menopausa, familiarità per cancro
ovarico o mammario, infertilità, cisti di lunga presenza), pongono indicazioni per un attento follow-up ecografico della
formazione cistica, con eventuale rimozione chirurgica per diagnosi istologica in caso di sospetto evolutivo. In ogni
caso, il cancro ovarico è molto raro: 1,3% nella popolazione femminile generale e 1,8% in quella con endometriosi. [Il
dosaggio dei markers tumorali (CA125, prodotto soprattutto dal carcinoma ovarico sieroso, HE4, prodotto soprattutto
dal carcinoma sieroso ed endometrioide) non è utile nella d.d. perché potrebbero risultare fuori range anche in caso di
endometriosi.] [La sindrome di Lynch è una malattia autosomica dominante in cui i pazienti con una delle numerose
mutazioni genetiche note che compromettono la riparazione del mismatch del DNA hanno un elevato rischio durante la
vita di sviluppare cancro del colon-retto e altri tumori, ad es. a livello endometriale ed ovarico. Le mutazioni del gene
autosomico dominante BRCA sono invece associate ad un elevato rischio di sviluppare il cancro ovarico e
mammario.]
Durante la gravidanza, gli endometriomi possono subire cambiamenti morfologici, e quindi del pattern ecografico,
dovuti alla “decidualizzazione” che è quel processo di trasformazione endometriale atto a favorire l’impianto e
l’avanzamento della gravidanza; tale fenomeno si verifica anche a livello dell’endometrio ectopico. Gli endometriomi
decidualizzati appaiono ecograficamente come cisti ovariche spesso uniloculari, talvolta multiloculari (2-4 loculi), a
contenuto “ground glass” o “low level”, con proiezioni papillari, vascolarizzate al color Doppler, a profilo arrotondato e
superficie regolare. In questi casi, un’anamnesi positiva per presenza di endometrioma prima della gravidanza può
facilitare una diagnosi corretta e minimizzare il rischio di chirurgia non necessaria. Mediante follow-up, è possibile
riscontrare il riassorbimento di questi endometriomi decidualizzati durante la gravidanza e il puerperio, e, in seguito, la
ricomparsa in concomitanza della fine dello stato di amenorrea.
L’endometriosi si associa con elevata frequenza all’infertilità e può frequentemente esserne la causa principale.
Numerosi studi si sono focalizzati sulle modalità con cui un endometrioma può compromettere la fertilità, evidenziando
che:
- in circa il 15-25% dei casi il meccanismo implica l'anovulazione;
- infiammazione e fibrosi interessano la corteccia ovarica circostante l’endometrioma;
- un aumento dello stress ossidativo tissutale induce apoptosi e necrosi degli ovociti;
- la fibrosi porta alla distruzione dell'epitelio germinale con conseguenti tassi anormali di sviluppo follicolare,
rottura follicolare prematura e asincronia nella maturazione degli ovociti.
Anche le altre forme di endometriosi, come quella tubarica, possono influenzare la fertilità di una donna.
Identificare correttamente un endometrioma all’esame ecografico è di fondamentale importanza per vari motivi.
Innanzitutto, rappresenta spesso il segno ecografico “sentinella” della presenza di lesioni endometriosiche profonde. La
corretta diagnosi di un endometrioma permette inoltre di eseguire un corretto counselling in merito all’aumentato
rischio di subfertilità e di carcinoma ovarico. Inoltre, riconoscere la natura endometriosica della cisti ci può far preferire
un trattamento medico o un management di attesa piuttosto che un trattamento chirurgico. Quest’ultimo, infatti,
considerando che gli endometriomi, soprattutto in giovane età, tendono a recidivare e che multiple asportazioni
potrebbero danneggiare la riserva ovarica, viene riservato solo a casi selezionati di sospetta malignità o in caso di
sintomatologia o infertilità persistente.
Endometriosi tubarica
Nel 30% delle donne con endometriosi si può riscontrare una patologia tubarica. La salpinge può essere coinvolta dalla
malattia endometriosica prevalentemente in termini di aderenze, determinate da foci endometriosici sierosi e
sottosierosi (l’endometriosi è la causa più comune di aderenze peritubariche nelle donne in età riproduttiva); emorragie
ripetute a livello della superficie tubarica, portano a fibrosi e retrazione che deformano la normale morfologia della tuba
fino alla possibile obliterazione, con conseguente possibile ectasia (sactosalpinge per idrosalpinge). Meno
frequentemente, l’emorragia ciclica di impianti endometriali intraluminali può causare una raccolta ematica
(ematosalpinge).

Endometriosi profonda
Tra le principali sfide dell’imaging per l’endometriosi sicuramente c’è l’individuazione della malattia non ovarica e la
valutazione dell’estensione della malattia nelle strutture pelviche. La valutazione accurata dell’estensione
dell’endometriosi pelvica prevede l’identificazione, descrizione e misurazione di eventuali lesioni endometriosiche
infiltranti (soprattutto quelle non facilmente visibili alla laparoscopia in quanto retroperitoneali) a carico del
compartimento anteriore (vescica, ureteri, plica vescico-uterina, parametrio anteriore), laterale (paracervice laterale,
paracolpo/pararetto) e posteriore (torus uterino e legamenti utero sacrali, cavo del Douglas, setto retto-vaginale, fornice
vaginale posteriore, retto e sigma). Una diagnosi corretta è cruciale per l’adeguatezza del successivo management
terapeutico (che, trattandosi di una patologia benigna, dovrà avere carattere conservativo). L’ecografia rappresenta la
metodica di imaging di prima scelta e di 1° livello per valutare l’anatomia pelvica. Le localizzazioni di DIE si
visualizzano come ispessimenti lineari ipoecogeni o nodulari; la presenza o meno di “sliding sign”, la fissità dei distretti
analizzati oltre alla dolenzia riferita alla pressione con la sonda (pain mapping), ottimizzano la rilevazione di DIE. La
manovra di “sliding sign” (applicabile sia al compartimento anteriore che posteriore ed annessiale) consiste nel
provocare un movimento di scivolamento dell’utero rispetto alle strutture circostanti esercitando una moderata
pressione con la sonda e consente di identificare con elevata accuratezza la presenza di una condizione di obliterazione
della plica vescico-uterina e/o del cavo del Douglas e quindi di una sindrome aderenziale, a sua volta associata ad
elevato valore predittivo rispetto alla possibile presenza di DIE.

Il compartimento anteriore prevede il rilevamento dell’endometriosi nella vescica, nella plica VU e negli ureteri.
Nella maggior parte dei casi, l’interessamento è superficiale e coinvolge solo la plica VU, mentre la vescica e gli ureteri
sono localizzazioni più rare. L’assenza di sliding sign anteriore (indicativo della presenza di aderenze tra sierosa
dell’utero e sierosa vescicale e quindi, indirettamente, di endometriosi della plica VU) e la dolorosità evocata
nell’esecuzione di questa manovra devono far sospettare la presenza di DIE. La rilevazione di nodulazioni infiltranti la
parete vescicale o gli ureteri vanno studiate con cura valutandone in maniera precisa le dimensioni, le caratteristiche
ecografiche e l’esatta localizzazione delle stesse per poter ottenere indicazioni fondamentali per il management e, in
caso di necessità di chirurgia, pianificarla adeguatamente. Un’adeguata valutazione ecografica della vescica dovrebbe
essere eseguita con la vescica non completamente vuota per poterne visualizzare il profilo interno. La posizione più
frequente dei noduli endometriosici vescicali è la base; questi possono infiltrare la tonaca muscolare o, più raramente,
essere più profondi. I noduli che interessano solo la sierosa vescicale sono da considerarsi superficiali e provocano
obliterazione della plica VU. I noduli vescicali ecograficamente si riconoscono come formazioni solide ovalari ad
ecostruttura disomogenea, con margini più o meno regolari, scarsamente vascolarizzate al color doppler, che spesso
sono in continuità con l’adenomiosi uterina della parete anteriore. É molto importante valutare la sede di localizzazione
dei noduli per poter dare delle indicazioni precise al chirurgo (ad esempio noduli prossimi allo sbocco ureterale o
occupanti il trigono vanno segnalati perché necessitano di una chirurgia più complessa). La parte superiore degli ureteri
e i reni devono essere valutati per via transaddominale, mentre la parte distale degli ureteri fino all’incrocio con i vasi
iliaci possono essere valutati con l’ecografia TV [incrociati i vasi iliaci, gli ureteri discendono nella pelvi parallelamente
ai LUS, superano la fossetta ovarica e incrociano i vasi uterini per giungere in vescica]. Gli ureteri ecograficamente
appaiono come strutture tubulari con contorni sottili iperecogeni e contenuto ipoecogeno; per essere certi di osservare
gli ureteri è possibile soffermarsi sull’immagine e attendere la normale peristalsi ureterale e il conseguente “jet
ureterale” in vescica. Gli ureteri possono essere dilatati (idrouretere) conseguentemente alla presenza di una stenosi o
infiltrazione causata dalla presenza di endometriosi. I noduli endometriosici ureterali si manifestano come noduli
ipoecogeni non vascolarizzati al Color Doppler di dimensioni variabili. È sempre consigliabile eseguire un controllo
ecografico per via TA dei reni per valutare la pelvi renale e l’eventuale presenza di idronefrosi, spesso presente in caso
di endometriosi ureterale ma di solito asintomatica.

La valutazione sistematica del compartimento posteriore include la visualizzazione meticolosa della parete vaginale
compresi i fornici vaginali, il setto rettovaginale, il cavo di Douglas, i legamenti uterosacrali, la parete rettale anteriore e
la parte inferiore del sigma. L’assenza di sliding sign posteriore (indicativo della presenza di aderenze tra sierosa
dell’utero e sierosa rettale e quindi, indirettamente, di endometriosi del cavo del Douglas) e la dolorosità evocata
nell’esecuzione di questa manovra ci devono far sospettare la presenza di DIE. Nel caso in cui vengano evidenziati
noduli endometriosici la loro sede, le caratteristiche ecografiche, le dimensioni e i rapporti con le struttura adiacenti
devo essere descritte con precisione per poter definire un management adeguato. Le caratteristiche ecografiche e le
dimensioni dei noduli intestinali accuratamente valutati in fase pre-operatoria possono inoltre far prevedere il
trattamento chirurgico necessario per un’adeguata eradicazione chirurgica; in alcuni casi infatti, al posto di una
resezione segmentaria, potrebbe essere sufficiente il trattamento dei noduli con shaving o resezione discoide.
Normalmente tra la vagina e il retto è possibile notare una linea iperecogena che viene interrotta nel caso di presenza di
noduli endometriosici in questa sede. Il nodulo del setto retto vaginale può semplicemente obliterare lo stesso oppure
infiltrare il retto, la vagina o entrambi. [Intervenire chirurgicamente sul retto a questo livello, piuttosto che più
cranialmente, espone al rischio di formazione di una fistola retto-vaginale. Onde ridurre tale rischio, si interpongono tra
i vari organi, dopo averli separati, altre strutture come l’omento, il peritoneo o, talvolta, materiali artificiali.]
L’endometriosi del fornice vaginale si riconosce come ispessimento della parete vaginale o come presenza di un nodulo
ipoecogeno a margini finemente irregolari nello spessore della parete vaginale. I noduli vaginali possono avere un
ecostruttura più o meno disomogenea e spesso presentano aree cistiche vicino al nodulo.
I legamenti utero sacrali appaiono ecograficamente come delle strutture lineari iperecogene visibili posizionandosi con
la sonda a livello del fornice posteriore in sezione trasversa infero lateralmente alla cervice. A livello dei LUS si
possono evidenziare noduli di DIE tipicamente ipoecogeni di dimensioni variabili con margini più o meno regolari. I
noduli del LUS possono essere singoli o multipli, isolati o associati a noduli di più grandi dimensioni delle strutture
circostanti come noduli vaginali, del torus uterino (profilo posteriore della cervice) o delle strutture circostanti (es.
ureteri).
Per indagare retto e sigma risulta utile l’ecografia TV con o senza contrasto rettale (il mezzo di contrasto consiste in una
soluzione fisiologica iniettata nel retto mediante un catetere) [con un approccio transaddominale si può valutare anche il
coinvolgimento di appendice e cieco]. Normalmente valutando la parete intestinale in sezione longitudinale è possibile
riconoscere un sottile strato esterno iperecogeno che costituisce la sierosa, al di sotto si visualizza la tonaca muscolare
tipicamente ipoecogena, la sottomucosa che è nuovamente iperecogena e infine la mucosa che appare ipoecogena
[l’endometriosi intestinale viene definita come la presenza di ghiandole endometriali all’interno della parete intestinale
che raggiungono almeno la tonaca muscolare; per questo motivo tendenzialmente la colonscopia non è un esame
diagnostico utile]. L’interessamento endometriosico del muscolo comporta un ispessimento della parete intestinale (e
quindi una stenosi luminale) e la presenza di noduli ipoecogeni che possono avere margini più o meno regolari,
vascolarizzazione scarsa o assente al color doppler, dimensioni variabili e morfologie differenti. Quando l’invasione
della tonaca muscolare è significativa i margini appaiono decisamente più irregolari, presentano spiculature (e quindi
una retrazione fibrosa) per cui il nodulo pare somigliare ad un “cappello da indiano”. Le lesioni che vengono
identificate al di sotto dei LUS sono da considerarsi lesione del retto inferiore e medio, quelle al di sopra dei LUS
vengono considerate lesioni del retto superiore fino a livello circa
del fondo uterino zona definita come giunzione retto-sigma, mentre i noduli che si localizzano oltre il fondo uterino
sono da considerarsi noduli del sigma.
Un’ecografia approfondita per la valutazione di DIE dovrebbe valutare anche la presenza di eventuali lesioni infiltranti i
parametri. La rilevazione di endometriosi estesa ai parametri laterali se associata ad infiltrazione del plesso ipogastrico
richiede un intervento chirurgico complesso, necessita di una chirurgia “nerve sparing” eseguita da operatori esperti.

Classificazioni
Numerose classificazioni sono state proposte. Lo score codificato inizialmente dall'American Fertility Society
(ASRM) nel 1985 e successivamente revisionato nel 1996 rappresenta ancora ad oggi il sistema di classificazione più
diffuso. Lo score numerico che ne deriva determinerà l’attribuzione alla paziente del codice di esenzione previsto dai
LEA. I parametri che vengono considerati, relativamente al coinvolgimento ovarico e peritoneale, sono: la bilateralità
delle lesioni, la profondità dell’invasione, l’estensione del coinvolgimento del cul-de-sac e la densità delle aderenze
associate. Ad ogni quadro patologico corrisponde un punteggio, che permette l’assegnazione ad uno dei 4 stadi previsti:
- stadio I (malattia minima) - score 1-5;
- stadio II (malattia lieve) – score 6-15;
- stadio III (malattia moderata) – score 16-40;
- stadio IV (malattia severa) – score >40.

La classificazione ASRM è stata inoltre richiamata nel DPCM 12/01/2017 relativo ai nuovi LEA, per la definizione
delle esenzioni (classe III e IV); con i nuovi LEA infatti, l’endometriosi moderata e severa è stata inserita per la prima
volta nell’elenco delle malattie croniche esenti dalla partecipazione al costo delle prestazioni. Benché la complessità
della malattia non permetta di delineare un perfetto parallelismo tra stadio ed entità sintomatologica, l’assegnazione di
un punteggio diventa, però, di fondamentale importanza per la comunicazione tra centri diagnostici e chirurgici che si
interessino di endometriosi. L'inserimento della patologia in una di queste categorie è possibile tramite la consultazione
dell'apposito format descritto dall'ASRM. Tale classificazione tuttavia presenta dei limiti, basati principalmente sul:
̵ la natura chirurgica della stadiazione (richiede necessariamente la valutazione operatoria, quindi la valutazione
dello stadio non si può effettuare sulla base dei soli esami diagnostici)
̵ l’inquadramento dei casi di endometriosi profonda (che non è contemplata e pertanto rende “non classificabili”
anche molti casi di malattia avanzata).
A tali mancanze cerca di sopperire la classificazione Enzian, un sistema di stadiazione introdotto nel 2005. Questo
sistema tenta di inquadrare la patologia su una base organo-specifica, descrivendo 4 compartimenti: A (spazio tra il
retto e la vagina/cervice), B (compartimento laterale), C (retto) [per questi 3 compartimenti è specificato il grado di
invasione con i numeri da 1 a 3] ed F, che comprende le localizzazioni retroperitoneali distanti (far) [FA (adenomiosi
uterina), FB (endometriosi vescicale), FU (endometriosi ureterale), FI (endometriosi intestinale, craniale alla giunzione
retto-sigmoidea), FO (endometriosi in altre sedi, come il diaframma)].
Tale classificazione è stata poi estesa (#Enzian) per comprendere, oltre la DIP, tutte le forme e sedi dell'endometriosi,
consentendo una descrizione completa dell'intera condizione in un'unica, complessa, classificazione. I compartimenti
aggiunti sono: P (peritoneo), O (ovaio), T (tuba). Un'altra innovazione degna di nota è la versatilità della
classificazione, in quanto può essere applicata sia dopo l'intervento chirurgico, che prima, utilizzando ecografia o RM
[indicati da lettere minuscole u (ultrasuoni), s (chirurgia) ed m (RM)].
Infine nel 2021 è stata proposta una nuova classificazione dell’AAGL (American Association of Gynecologic
Laparoscopists), risultante di un sistema di punteggio di facile utilizzo basato sull'anatomia e la complessità chirurgica
necessaria per trattare completamente la malattia osservata. I 4 stadi correlano inoltre con la sintomatologia dolorosa
preoperatoria e l’infertilità. [In base allo stadio di malattia secondo questo score, si può valutare se la paziente necessita
un trattamento in un centro di riferimento che garantisce un livello di expertise più elevato.]
Management
Il percorso più appropriato per la paziente con endometriosi deve essere valutato in relazione a:
̵ età
̵ desiderio di gravidanza
̵ quadro clinico
̵ entità ed estensione della patologia
̵ presenza di segni e/o sintomi di endometriosi complicata o condizioni particolari
̵ comorbidità e pregressi interventi

quindi il trattamento dovrà essere personalizzato.


Se il principale obiettivo clinico è il trattamento del dolore, il ginecologo imposta la specifica terapia medica (per
bloccare la progressione della malattia o prevenire le recidive) e terapia del dolore.
Se il principale obiettivo clinico è il trattamento dell’infertilità, la paziente con volontà di una gravidanza dovrà essere
tempestivamente inviata al Centro di PMA di riferimento al fine di valutare il percorso assistenziale più appropriato.
Molte pazienti con endometriosi riferiscono sia dolore che problemi di fertilità; in questi casi nella scelta del trattamento
bisogna, tenere conto dei rischi e dell’invasività che la terapia specifica comporta e delle preferenze/esigenze della
paziente.
Se il principale obiettivo clinico è la preservazione delle funzioni d’organo, la principale strategia terapeutica è
rappresentata dall’intervento chirurgico (rimozione delle lesioni, adesiolisi).
Nella scelta fra terapia medica e chirurgica, è necessario tenere in considerazione i vantaggi, ma soprattutto gli
svantaggi:
- terapia medica: effetti collaterali, contraccezione (perché induce amenorrea), recidiva dopo l’interruzione,
limitazioni d’accesso;
- terapia chirurgica: aggressività, rischio di complicanze, adesioni, compromissione della riserva ovarica o delle
funzionalità d’organo, recidiva, elevata esperienza chirurgica.

Terapia

La terapia chirurgica è spesso necessaria, nell’arco della vita fertile delle donne affette, per ristabilire un quadro
anatomico sovvertito, risolvere un quadro clinico resistente alla terapia medica o trattare le forme “complicate” della
malattia (ad es. compressione ureterale o stenosi intestinale significativa). L’approccio chirurgico prevede la possibilità
di eseguire un trattamento di tipo conservativo (soprattutto nelle pazienti giovani o in quelle già operate per
endometriosi) o demolitivo. Gli obiettivi del trattamento chirurgico conservativo sono:
̵ asportazione completa delle lesioni endometriosiche macroscopiche
̵ ripristinare i normali rapporti anatomici
̵ preservare o ristabilire la fertilità
̵ trattamento dell’endometriosi complicata: o compromissione d’organo (compressione ureterale o stenosi
intestinale significativa); o cisti ovariche sospette (rischio di cancerizzazione) o quadro di flogosi pelvica acuta.
La laparoscopia è l’approccio chirurgico preferenziale nel trattamento dell’endometriosi, poiché offre numerosi
vantaggi rispetto al tradizionale approccio laparotomico: • un ridotto rischio di emorragia nel corso dell’intervento
̵ una minore incidenza di aderenze post-operatorie
̵ una riduzione della degenza e della convalescenza
̵ un minimo danno estetico.
In realtà, la maggior parte degli interventi è ad oggi eseguita con l’innovativa tecnica di chirurgia mininvasiva NOTES
(Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery) che sfrutta orifizi naturali (quali il retto e la vagina) per l’accesso
chirurgico alla cavità addomino-pelvica, evitando quindi incisioni cutanee. I vantaggi di questa tecnica, rispetto alla
laparoscopia, sono la ridotta morbidità e degenza in ospedale, oltre ad un migliore risultato estetico. Un altro approccio
innovativo è quello mini-laparotomico (che prevede una incisione a livello soprapubico di ridotte dimensioni attraverso
cui viene estrusa la porzione dell’organo da operare), che, pur essendo più invasivo, offre la possibilità di osservare e
toccare direttamente l’organo, per assicurarsi di aver riconosciuto tutte le lesioni endometriosiche presenti.

L’approccio chirurgico dell’endometrioma prevede diverse tecniche laparoscopiche, che rappresentano il gold standard
per tale patologia, rispetto alla laparotomia, in ragione di un recupero più veloce, un migliore esito post-operatorio e dei
costi di degenza ridotti. L’intervento prevede, come primo passo, l’apertura e il drenaggio del liquido color cioccolato al
loro interno; si può quindi eseguire l’escissione completa o enucleazione della parete della cisti mediante distacco
(“stripping”) dallo stroma ovarico con pinze da presa (cistectomia) [in realtà, l’endometrioma è più propriamente una
pseudocisti, è cioè priva di una vera e propria capsula, in quanto risultante dall’invaginazione della corteccia ovarica;
questo aspetto complica notevolmente l’intervento], oppure si può eseguire l’ablazione della parete della cisti
all’interno dell’ovaia con il laser o la diatermia. La tecnica di stripping prevede l’individuazione ottimale del piano di
clivaggio tra cisti e parenchima, prestando massima attenzione specialmente nella regione ilare dell’ovaio dove capsula
e parenchima possono essere più strettamente adesi; tale regione è ampiamente vascolarizzata, per cui una trazione
cruenta può comportare un importante sanguinamento e difficoltosa emostasi per diatermia. Le recenti evidenze
dimostrano che l’escissione della cisti è la tecnica più utilizzata e, se confrontata con l’ablazione, la migliore in termini
di riduzione del numero di recidive, di persistenza/ricomparsa del dolore pelvico ed è associata ad un aumento del tasso
di gravidanze spontanee. D’altro canto, studi recenti hanno evidenziato che la tecnica laparoscopica di stripping è
associata ad una riduzione della riserva ovarica; i meccanismi potenzialmente responsabili del danno sono: la rimozione
(non intenzionale) di tessuto ovarico pericistico sano contenente follicoli, la risposta infiammatoria post-chirurgica, la
compromissione della vascolarizzazione ovarica a causa dell’uso della diatermocoagulazione in prossimità dell’ilo, la
riduzione del volume ovarico. Le conseguenze cliniche del danno chirurgico sono minori nei casi di endometrioma
unilaterale, dal momento che la gonade sana controlaterale generalmente compensa la ridotta funzione di quella operata;
al contrario, il danno può diventare clinicamente rilevante nei casi di endometriomi bilaterali in cui si è dimostrato una
maggiore frequenza di insufficienza ovarica prematura. Il grado di riduzione della riserva ovarica (valutato col dosaggio
post-operatorio dell’AMH e della AFC) è quindi correlato: all’età della paziente, alla tecnica chirurgica, alla
localizzazione mono o bilaterale delle cisti e allo score rASRM. Nella valutazione del trattamento chirurgico
dell’endometrioma ovarico, nell’ottica di un trattamento IVF/ICSI, ogni caso deve essere valutato individualmente, in
quanto l’intervento chirurgico potenzialmente riduce la riserva ovarica, influenzando, indirettamente, il successo della
IVF/ICSI; d’altro canto la permanenza dell’endometrioma durante il trattamento FIVET/ ICSI, può presentare altri
rischi, quali la difficoltà nel recupero degli ovociti, la contaminazione del fluido follicolare, la potenziale progressione
di malattia, le complicanze nell’eventuale gravidanza, e il rischio di cancellazione del ciclo.
Il trattamento chirurgico delle lesioni di endometriosi infiltrante profonda (DIE) rappresenta una sfida impegnativa,
in quanto la sua efficacia dipende tanto dalla radicalità dell’exeresi effettuata, quanto dalla preservazione della
funzionalità d’organo.
Nelle pazienti con endometriosi intestinale, esistono varie tecniche chirurgiche a radicalità progressiva (shaving
[escissione del nodulo endometriosico], resezione discoide [rimozione del nodulo endometriosico insieme alla parete
intestinale circostante], resezione segmentaria), che vengono adottate in funzione principalmente della localizzazione
della patologia, delle dimensioni delle lesioni, della clinica presentata dalla paziente e dell’esperienza dell’operatore.
Non esiste una Linea Guida universalmente accettata per stabilire in quali casi sia opportuno eseguire o meno la
resezione intestinale. Risulta più indicata una resezione segmentaria con re-anastomosi in presenza di:
- noduli multifocali
- diametro > 3 cm (al di sopra di questo limite non è possibile impiegare la suturatrice meccanica, o staplers, per la
resezione discoide)
- interessamento circonferenziale > 50%
- stenosi luminale significativa
- infiltrazione profonda della muscolaris (coinvolgimento della muscolaris interna e/o della sottomucosa)
- interessamento del sigma.
In tali casi infatti l’esecuzione di tecniche di nodulectomia potrebbe essere insoddisfacente in termini di eccessivo
residuo di malattia; d’altro canto lo shaving garantisce la preservazione della vascolarizzazione e innervazione
dell’intestino, e riduce il rischio di complicanze peri e post-operatorie associate all’apertura della parete intestinale,
soprattutto se in prossimità del margine anale o con contestuale apertura della parete vaginale. In ogni caso, lo scopo
dell’interventodel trattamento chirurgico dovrebbe essere il miglioramento del sintomatologia dolorosa e/o della
fertilità, e quindi della qualità di vita della paziente.
SO-SURE Resection è un mnemonico per i passaggi operativi che sono quasi sempre necessari nella chirurgia della DIP
nel compartimento posteriore [non tutti sono necessari in ogni caso e l'ordine con cui devono essere eseguiti può
variare]:
- mobilizzazione del Sigma: libera l'intestino dalla parete laterale, consentendone una manipolazione più rapida e
facilitando l'ureterolisi sinistra;
- mobilizzazione delle Ovaie: libera le ovaie dalle aderenze associate in modo che possano essere mobilizzate per la
sospensione e sia garantito l'accesso e l'asportazione di eventuali lesioni nascoste al di sotto [nell'endometriosi
avanzata, le ovaie possono essere aderenti all'utero, alla parete laterale pelvica, all'intestino o tra loro (spesso con
endometriomi associati)];
- Sospensione di utero e ovaie (con suture alla parete addominale): migliora l’esposizione del compartimento
posteriore e riduce il rischio di aderenze post-operatore;
- Ureterolisi: libera e lateralizza gli ureteri per prevenire potenziali lesioni durante l'intervento chirurgico; facilita
anche la visione diretta degli ureteri quando si disseziona nelle vicinanze. Iniziare sempre la dissezione ureterica in
un'area di tessuto normale per consentire la dissezione del piano chirurgico corretto;
- ingresso negli spazi Rettovaginale e pararettali [quest’ultimi sono identificati per la presenza del tessuto adiposo];
- Escissione dell’endometriosi: una volta separate le strutture importanti dalle lesioni endometriosiche, quest’ultime
possono essere escisse.
Nota: Si deve prestare attenzione a non compromettere i plessi nervosi all'interno della parete pelvica durante
l'escissione, soprattutto i nervi ipogastrici e i plessi ipogastrici inferiori. Se il nervo ipogastrico è coinvolto nella
malattia e viene quindi reciso durante la resezione, è importante cercare di preservare almeno un lato.
Il tempo trascorso all'inizio della procedura per ottimizzare l'accesso e identificare e normalizzare l'anatomia pelvica
garantisce fornisce al chirurgo un approccio strutturato e sicuro all'escissione laparoscopica dell'endometriosi; inoltre,
questa tecnica ottimizza l'identificazione di tutte le aree di tessuto anormale, consentendo al chirurgo di asportare tutte
le lesioni endometriosiche.
In caso di localizzazione vaginale sono stati riportati sia interventi di colpectomia laparoscopica che mediante
approccio vaginale assistito per via laparoscopica.
Nel caso di endometriosi vescicale il trattamento standard consiste in una cistectomia parziale (approcci chirurgici
conservativi come la resezione del solo nodulo, vanno considerati in casi selezionati); se vi è un coinvolgimento della
base vescicale con interessamento di uno dei meati ureterali, può essere richiesto un reimpianto ureterale in vescica
(ureteroneocistostomia). In caso di interessamento dell’uretere, può essere necessario, qualora l’exeresi superficiale
della malattia (ureterolisi) non sia efficace, l’asportazione del tratto ureterale interessato ed un’anastomosi termino-
terminale ureterale oppure un reimpianto ureterale in vescica (ureteroneocistostomia).
Negli stadi più avanzati l’exeresi chirurgica può essere altamente complessa e comportare notevoli rischi peri-operatori
e postoperatori con notevole impatto sulla qualità di vita della paziente, che richiedono stretto monitoraggio e
prevenzione. Uno dei rischi postoperatori più importanti è rappresentato dalle disfunzioni degli organi pelvici (in
particolar modo la ritenzione urinaria e/o fecale), conseguenti a sezione o irritazione delle strutture nervose della pelvi.
Negli ultimi anni è stata introdotta e standardizzata la tecnica di preservazione delle fibre nervose (tecnica cosiddetta
“nerve-sparing”) per il trattamento chirurgico dell’endometriosi profonda infiltrante, che permette la riduzione del
tasso di disfunzioni pelviche postoperatorie.
L’efficacia del trattamento chirurgico, data la natura cronico-ricorrente della patologia, è solo temporanea. Pertanto,
deve essere eseguito un follow-up seriato post-operatorio per valutare periodicamente la qualità della vita e la
sintomatologia dolorosa ed evidenziare eventuali recidive di malattia e deve essere instaurato, ove non vi siano
controindicazioni alla terapia medica o desiderio di gravidanza, un trattamento ormonale post-operatorio per ridurre il
tasso di ricorrenza.
A seguito di una resezione intestinale segmentaria si può andare incontro ad una serie di complicanze a breve e a lungo
termine [per la classificazione delle complicanze post-chirurgiche si utilizza lo score Clavien]:
̵ Deiscenza anastomotica: cedimento dell’anastomosi intestinale per cause meccaniche e/o infettive.
̵ Stenosi severa: restringimento della sutura anastomotica a seguito dell’eccessiva cicatrizzazione
̵ Occlusione intestinale: arresto completo e persistente del transito intestinale. Tale condizione può essere correlata
ad una sindrome aderenziale (ileo meccanico).
̵ Fistola retto-vaginale: comunicazione anomala tra retto e vagina con passaggio patologico di aria e/o feci in
vagina.
̵ Emorragia dalla sutura anastomotica: sanguinamento anomalo a livello dell’anastomosi con anemizzazione
secondaria
̵ Disfunzioni minzionali, disturbi dell’alvo e alterazioni della eccitabilità sessuale (lubrificazione e turgore genitale)
di una donna: ritenzione urinaria, incontinenza urinaria, costipazione, tenesmo, riduzione della lubrificazione e
dispareunia possono essere espressione di danni a carico del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico.
Benché la qualità di vita delle pazienti e i sintomi ginecologici ed intestinali migliorino significativamente dopo una
resezione segmentaria, in una percentuale non irrilevante di casi essi persistono o aumentano. Quindi, trattandosi di una
patologia “benigna” che colpisce le donne in età fertile, un approccio chirurgico aggressivo (e le relative complicanze)
non è sempre giustificato (“less is better”). Un’altra questione rilevante è la prevenzione delle recidive dopo il
trattamento chirurgico; infatti il tasso di recidiva (sintomatologia o lesione) a 2-5 anni, in assenza di terapia medica
adiuvante, è del 12-50%. In tal senso è importante che il trattamento chirurgico offerto sia adeguato; la terapia medica
può ad esempio evitare o ritardare il timing dell’intervento, affinchè possa essere eseguito un solo intervento risolutivo.
In considerazione dell’elevata complessità della chirurgia dell’endometriosi è necessario un approccio multidisciplinare
ai fini di garantire una riduzione delle complicanze e un miglior risultato finale. Pertanto, a seconda del tempo
chirurgico da effettuare, in un unico intervento si alternano professionisti di vario tipo: ginecologi, urologi, chirurghi
generali e chirurghi vascolari. Nasce, quindi, la necessità di creare dei centri di riferimento in cui diversi esperti della
malattia possano collaborare per poter asportarla asportare in maniera radicale.

Gli obiettivi della terapia medica in presenza di una lesione ovarica sono:
̵ controllo della lesione ovarica prima od in alternativa all’intervento chirurgico [la terapia medica rappresenta la
prima linea terapeutica finché garantisce alla paziente una buona qualità di vita o questa non desideri una
gravidanza o quando la chirurgia è rifiutata o controindicata (ripetuti interventi, obesità, trombofilia, PID o altre
malattie responsabili di dolore pelvico cronico, patologie cardiovascolari e/o polmonari)];
̵ riduzione del rischio di recidiva della lesione ovarica dopo interventi chirurgico [data la natura cronico-ricorrente
dell’endometriosi, la terapia medica dovrebbe idealmente essere somministrata per tutto l’arco della vita
riproduttiva, allo scopo di prevenire ripetute aggressioni chirurgiche; infatti, in assenza di terapia medica, la
recidiva post-chirurgica si ha nel 10-30% dei casi di endometrioma a 5 anni e nel 50% dei casi di DIP a 1 anno];
̵ controllo del dolore.
La terapia medica interviene sulla sintomatologia, ma non riesce a modificare il decorso della malattia né tantomeno ad
ottenere una guarigione. Il trattamento medico dell’endometriosi ha come obiettivo quello di mantenere la patologia in
uno stato di stand-by in funzione della vita riproduttiva della donna. Quindi, le pazienti che desiderano concepire non
possono eseguire una terapia ormonale perché i farmaci attualmente disponibili sono contraccettivi o comunque
ostacolano il concepimento.
Le principali terapie mediche utilizzate per trattare il dolore (terapia sintomatica: FANS) e per trattare la
malattia/recidiva (terapia patogenetica che induce una pseudogravidanza (estro-progestinici, progestinici) o la
menopausa iatrogena (analoghi del GnRH): terapia ormonale che induce amenorrea).
- Terapia ormonale di prima linea:
- estro-progestinici (sia in somministrazione ciclica che continua): il loro effetto consiste nella diminuzione dei
livelli di gonadotropine e quindi di ormoni sessuali endogeni, con conseguente inibizione dell’ovulazione, e
nella decidualizzazione dell’endometrio, con conseguente lenta e temporanea atrofia; si sono inoltre
dimostrati efficaci nel diminuire la proliferazione cellulare e favorire l’apoptosi nell’endometrio eutopico ed
ectopico. Ne risulta una riduzione della perdita ematica mestruale e della contrattilità uterina. Tali farmaci
hanno numerosi vantaggi nel trattamento dell’endometriosi perché sono in genere ben tollerati e sicuri
nell’uso a lungo termine, consentono di regolarizzare il ciclo mestruale, garantiscono la contraccezione a chi
la desidera e sono in genere economici;
- progestinici: esercitano un effetto inibitorio sull’attività ovarica e antiproliferativo mediante
decidualizzazione e atrofia del tessuto endometriale. Tra i progestinici, l’unico utilizzato on-label è il
Dienogest, mentre tra quelli utilizzabili off-label sono Desogestrel, Noretisterone acetato e Levonorgestrel
(spirale intrauterina);
- Terapia ormonale di seconda linea:
- analoghi del GnRH: il loro effetto si esplica mediante l’inibizione dell’attività gondadotrofica dell’ipofisi,
provocando una soppressione della produzione di ormoni steroidei da parte dell’ovaio che causa uno stato
reversibile di pseudo-menopausa. L’utilizzo a lungo termine si associa ad un’importante riduzione della
densità minerale ossea, che ne limita l’assunzione per un massimo di 6 mesi; il trattamento può essere
prolungato per alcuni cicli di terapia se all’assunzione del GnRH-a si associa una terapia estro-progestinica
definita “add-back therapy” (in questo modo vengono controllati le perdite ossee, il dolore pelvico e le
vampate di calore). Un ulteriore limite è rappresentato dai costi elevati;
- danazolo: sopprime il GnRH o la secrezione di gonadotropine, inibisce direttamente la steroidogenesi,
incrementa la clearance dell’estradiolo e del progesterone e interagisce con i recettori per gli androgeni e per
il progesterone a livello dell’endometrio. I molteplici effetti del danazolo producono uno stato di
iperandorgenismo e di ipoestrogenismo, con conseguenti effetti collaterali che ne limitano fortemente
l’utilizzo.

Dopo aver esaurito le possibilità di recupero della fertilità mediante terapia medica e/o chirurgica, è consigliabile
indirizzare la coppia verso un trattamento di riproduzione assistita, con l’intento di migliorare la fecondità per ciclo
(inseminazione, stimolazione ovarica controllata ecc.), o di instaurare, soprattutto nei casi più avanzati della malattia,
una gravidanza mediante fertilizzazione in vitro ed embriotransfer (FIVET).

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