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Sammarco
Diagnostica dell'esofago
Sono il coordinatore del corso, ho il numero più alto di CFU nel corso di chirurgia e ritengo che
seguire le lezioni sia indispensabile perché vi porteremo la nostra esperienza clinica, la nostra
casistica, cose che sui libri non trovate. Non so che libro voi utilizziate, penso il Dionigi in quanto il
più aggiornato.
Iniziamo con una visione sistematica dell'apparato gastroenterico: partiremo dall'esofago.
Prima di tutto cos'è questo viscere? A che serve? E perché il buon dio ce l'ha messo tra la bocca e
lo stomaco.
È un condotto muscolo membranoso che non ha rivestimento sieroso (come invece stomaco,
intestino etc.) e questo complica notevolmente la tenuta delle anastomosi esofagee e richiede una
particolare cura nell'ambito del trattamento.
A che serve?
1. Deglutizione: transito del bolo dall'ipofaringe al cardias (funzione principale)
2. Effetto barriera rispetto al contenuto gastrico (anti-reflusso): se i saltimbanchi non avessero dei
meccanismi funzionali anti-reflusso, tutto il materiale che hanno nello stomaco refluirebbe in
bocca.
Badate bene, abbiamo parlato di meccanismi funzionali che aumentano la pressione per garantire
che ciò che è contenuto a livello gastrico non torni verso la bocca del paziente.
Un altro effetto importante è evitare che i succhi gastrici (particolarmente lesivi) risalgano.
Quant'è il pH a livello gastrico? Valori di uno oppure due, valori di altissima acidità!
Se non ci fosse una struttura come lo sfintere esofageo inferiore, avremmo un ritorno di questo
acido verso l'esofago. Per quanto l'esofago possa difendersi, vedremo con quali meccanismi, a un
certo punto si ha una delle patologie più diffuse attualmente nell'Europa occidentale e in USA,
legata principalmente a errori dietetici, quale il reflusso gastro-esofageo (il 60% della popolazione
dopo i 50 anni ha episodi di reflusso gastro-esofageo). Questo non significa però che ha la malattia
da reflusso gastro-esofageo. La malattia è l'epifenomeno del reflusso.
Reflusso è diverso da malattia da reflusso.
Cause più comuni del reflusso semplice sono cioccolato, agrumi alla sera, fumo e alcool.
Avere di questi fenomeni è quindi fisiologico; poi possono diventare patologici con delle
infiammazioni e parliamo di esofagite e quindi di malattia da reflusso.
Anatomia esofago
È un condotto muscolo membranoso molto lungo che attraversa tre distretti (cervicale, toracico e
addominale).
È un organo mediastinico posteriore.
Il mediastino è delimitato da:
- Anteriormente: sterno
- Lateralmente: pleure
- Posteriormente: fascia vertebrale
Si divide in anteriore e posteriore immaginando un piano di divisione sagittale che passa per la
biforcazione tracheale.
Nel mediastino anteriore abbiamo cuore, timo (degenerato nell'adulto); posteriormente abbiamo
grandi vasi e in particolare il rapporto tra aorta ed esofago è molto stretto (immaginate che ci
sono dei rami vascolari che vanno direttamente dall'aorta all'esofago).
L'esofago sta posteriormente alla trachea e non è diviso quasi da niente dalla trachea in quanto
quest'ultima è provvista solo per i due terzi anteriori da anelli cartilagine; dietro ci sta una pars
membranacea che non è più di un velo che sta a contatto con l'esofago.
Questo ci spiega quello che può succedere nella patologia neoplastica del terzo superiore
dell'esofago quando dall'esofago si ha l'invasione della trachea con la formazione della fistola
esofago-aerea. Clinicamente il paziente vi dirà che quando beve si affoga, ha la tosse, condizione
molto brutta e molto difficile.
Considerate che l'esofago ha un flusso continuo di saliva al suo interno; produciamo circa 800 ml
di saliva al giorno e senza accorgercene continuiamo a deglutirla e, se l'esofago è ostruito, la saliva
può prendere la via delle vie aeree e determinare un fenomeno ab ingestis.
Posteriormente ha rapporto con la colonna vertebrale e non abbiamo problemi d’interesse
chirurgico in caso d’invasione posteriore perché è difficile che possa andare a erodere la fascia
vertebrale.
Descrive un angolo di concavità a sinistra rispetto alla trachea e questo è importante perché il
chirurgo quando aggredisce l'esofago fa una cervicotomia a sinistra, un’incisione lungo il margine
anteriore dello sternocleidomastoideo proprio perché qui l'esofago fa una piccola curva e per noi è
più facile andare a prepararcelo. Ci troviamo davanti al lobo sinistro della tiroide, leghiamo
l'arteria tiroidea, lussiamo la tiroide e arriviamo all'esofago.
A livello mediastinico i rapporti sono principalmente con il bronco di sinistra e qui c'è un altro
punto importante tra bronco di sinistra e arco dell'aorta. Vedremo che l'esofago durante tutto il
suo decorso ha uno stretto rapporto con i due vaghi, che poi decorrono lateralmente insieme al
viscere nel mediastino; poi anteriormente il vago di sinistra e posteriormente il vago di destra
quando vanno a innervare lo stomaco.
Tra il bronco di sinistra e l'arco dell'aorta, il vago emette il suo ramo detto nervo ricorrente,
chiamato così perché ricorre lungo il margine esofageo e tracheale e arriva a innervare. A destra
non ricorre perché non c'è l'arco, ma va sul mediastino laterale e arriva sempre a livello della
tiroide.
I due nervi laringei inferiori o ricorrenti hanno dei rapporti importantissimi perché per noi
chirurghi questo è un punto delicatissimo: i rapporti dei nervi ricorrenti con l'arteria tiroidea
inferiore sono strettissimi e siccome per eseguire una tiroidectomia dobbiamo legare l'arteria
tiroidea inferiore, c'è il rischio di ledere il ricorrente.
Se il ricorrente viene danneggiato, il paziente avrà una paresi in adduzione della corda vocale
omolaterale; il paziente avrà quindi disfonia e un po' di tirage. Se la paresi è invece bilaterale, il
problema è grossissimo perché il paziente non respira e va tracheotomizzato.
Questo purtroppo c’è capitato in sala operatoria... solo chi non fa non falla diceva il mio maestro.
Questo rapporto ricordatelo perché in clinica chirurgica vi potrà capitare di visitare un paziente
che lamenta abbassamento della voce, per esempio da sei mesi, con negatività all'esame
otorinolaringoiatrico.
Quello che faccio io è chiedere una TC mediastinica immediata, associata magari a una risonanza,
soprattutto se il paziente è fumatore, perché penso ad un tumore dell'esofago a questo livello.
Questo è un segno prognostico infausto!
Poi passa nello iatus esofageo del diaframma, questa cupola muscolare che separa addome e
torace, e continua in addome per un tratto mai superiore ai 2 cm.
Tre situazioni diverse quindi dal punto di vista chirurgico: se dobbiamo aggredire totalmente il
viscere, dobbiamo aggredire in tutti e tre i distretti con cervicotomia, toracotomia e laparotomia
(o almeno così si faceva quando ho iniziato io, ma oggi è cambiato qualcosa grazie alla chirurgia
mini-invasiva).
Da medici voi dovrete ricordarvi, quando chiedete una rx con pasto baritato, di fare attenzione alla
porzione addominale dell'esofago: è importante soprattutto nei pazienti che soffrono di reflusso
gastro-esofageo perché, oltre ai meccanismi di carattere patologico, ci sono anche dei fenomeni
pressori. Infatti, normalmente la pressione addominale è positiva e la pressione toracica è
negativa e per questo motivo la porzione addominale dell'esofago normalmente collabisce.
Rivestimenti
Dal punto di vista macroscopico è costituito da tre
tonache:
- Tonaca mucosa: epitelio pavimentoso
pluristratificato, detto anche epidermoide o
squamocellulare; primo cugino della cute, epitelio
malpighiano. Se fate una gastroscopia, vedete una
mucosa translucida che improvvisamente al livello del
cardias diventa rossastra, vinosa perché si passa
all'epitelio cilindrico che sarà presente fino al canale
anale. Questo passaggio avviene a livello della linea
cosiddetta Z-line.
- Tonaca sottomucosa,
- Tonaca muscolare: strato concentrico e strato longitudinale; la muscolatura è liscia per i due terzi
inferiori e striata per il terzo superiore e ciò comporta che la deglutizione sia avviata in maniera
volontaria ma rimane poi un meccanismo automatico che si esplica attraverso recettori del plesso
di MEINER E AUERBACH.
- Tonaca avventizia: simile a quella dei vasi, costituita da connettivo fibrillare abbastanza denso
N.B. Manca la sierosa! E questa mancanza è importante sia per i chirurghi sia per il viscere stesso:
senza la sierosa, infatti, la capacità d’invasione della patologia tumorale aumenta, il T4, infatti,
solitamente indica il passaggio della sierosa e nell'esofago il T4 non ce l'abbiamo, abbiamo il T3.
Restringimenti
- A livello della
cartilagine cricoidea
dove c'è il muscolo
cricofaringeo.
- Quello bronchiale a
livello del bronco
sinistro
- Quello diaframmatico
a livello dello iatus
esofageo, dove
abbiamo un sistema a
cravatta con i pilastri
del diaframma che
schiacciano in senso
antero-posteriore il
viscere costituendo un
altro meccanismo anti-
reflusso.
Il tratto cervicale è in genere
di 6 cm. Il tratto toracico da
D1 a D12. Poi l'esofago
addominale subito al di sotto.
Sapete a che cosa serve la muscolaris mucosae? Soprattutto a livello dei villi intestinali questa può
permettere una maggiore mobilità con aumento della superficie assorbente.
Domanda studente: Ma dove non c'è assorbimento?
Risposta: dove non c'è assorbimento come nell'esofago c'è una muscolaris mucosae poco
rappresentata. Così come non ci sono ghiandole importanti, ci sono ghiandole molto rare che
servono semplicemente a lubrificare il viscere e ad avere un effetto anti-reflusso, barriera verso
l'acido gastrico.
Vascolarizzazione arteriosa
È segmentaria: non ci sono anastomosi
vascolari tra la parte cervicale e la parte
terminale.
Nello stomaco vedremo che la gastro-
epiploica di sinistra si anastomizza con la
gastro-epiploica di destra così come succede
la stessa cosa per la gastrica di sinistra con la
gastrica di destra.
Nel colon le arcate vascolari vedono una
comunicazione tra la colica di destra e la
colica di sinistra, con la mesenterica inferiore
e addirittura mette in comunicazione il
circolo mesenterico superiore con quello
inferiore. Questo ci offre delle opportunità
chirurgiche che non abbiamo nell'esofago: se
noi dobbiamo asportare l'esofago per un
tumore, dobbiamo fare l'esofagectomia
totale; mentre per un vaso come l'aorta
inseriamo una protesi che viene
riepitelizzata, per un viscere questa
opportunità non c'è, ci vuole un sostituto che
abbia una buona vascolarizzazione che
consenta meccanismi di sintesi delle
anastomosi. In genere noi usiamo un pezzo di stomaco oppure dei pezzi di colon (angolo colico di
sinistra). Ciò che ci importa comunque è che l'esofago non ci consente queste opportunità
chirurgiche: quando asportiamo parte dell'esofago,
quello che sta sopra e quello che sta sotto va in
ischemia.
La vena porta prende tutto il sangue che arriva dall'intestino e lo convoglia al fegato dove vengono
iniziati i processi metabolici. Il sistema portale è costituito da:
- Mesenterica inferiore
- Splenica
- Gastriche di sinistra
Questo flusso viene detto epatopéto perché va dalla periferia verso il centro. Se il flusso si inverte
si parla di epatofugo.
La saturazione della vena porta è molto più alta di quella di una vena periferica. Esiste una
patologia molto diffusa che sembra in fase di regressione grazie ai farmaci anti-epatite C; quando il
fegato per motivi innumerevoli va in cirrosi (post-epatitica, post-alcolica, post-atresia biliare etc.) -
dal greco "riccio", diventa duro e pieno di noduli - il sangue non decorre più in maniera libera e il
tutto si ripercuote con un aumento di pressione a livello del sistema portale.
Se il sistema di deflusso è impedito - oltre che nella cirrosi possiamo avere una condizione simile in
una patologia chiamata sindrome di Budd Chiari dove c'è un’occlusione neoplastica delle vene
sovraepatiche - si ha un aumento della pressione a livello portale.
L'inversione del flusso comporta la fuga attraverso dei sistemi che normalmente non funzionano e
sono degli shunt cosiddetti porto-cavali. Quello che ci riguarda per quanto riguarda l'esofago è
l'ipertensione a livello dei vasi sottomucosi attraverso il sistema emiazigos che crea le varici
esofagee. Soprattutto le donne anziane pluripare dopo i sessanta anni è facile che ci siano varici
delle gambe, stesso discorso ma più grave e importante lo si ha per le varici esofagee.
A livello del terzo inferiore essendoci un continuo insulto da parte dei succhi acidi, c'è più rischio di
rottura e il paziente potete perderlo in pochi minuti. Vi auguro di non vedere mai un paziente in
queste condizioni, si parla di ematemesi. L'ematemesi consiste nel sangue vivo che viene espulso:
può essere anche sangue meno vivo che magari è tornato nello stomaco e viene digerito e avrà un
colore caratteristico a fondo di caffè. Il sangue diventa nero perché l'emoglobina contiene ferro
che viene ridotto alla presenza di acido cloridrico. Considerate che il sangue è tossico per
l'intestino: esso, infatti, non è detto che esca per forza dalla bocca ma può essere eliminato con le
feci che saranno nere picee. La melena è questa condizione che descrive emorragie più basse ma
di cui parleremo più avanti.
Se si riesce a tamponare, il paziente potrebbe non morire: la condizione è terribile in quanto si
vede un vero e proprio lago di sangue.
Quando parliamo vedete che facciamo dei voli pindarici che però poi vi serviranno.
Interessamento linfonodale
Un esempio: esistono delle linee guida nel trattamento dei tumori che indicano un numero
minimo di linfonodi che tu devi aver dato all'anatomopatologo (almeno 15 linfonodi per l'esofago,
ma noi pezzi con meno di 50-60 linfonodi non ne abbiamo mandati mai, più gliene mandi meglio
è).
L'anatomopatologo ci può dire che su 30 linfonodi che gli abbiamo mandato non ce n'era nessuno
interessato da malattia. Qua diventa importante il discorso perché parliamo di N0 e la prognosi di
questo paziente è importantissima.
Quando faremo il cancro del colon vedremo come al secondo stadio la chemioterapia è a
discrezione del paziente; queste indicazioni vengono fuori da studi randomizzati e multicentrici da
cui emerge che con o senza chemio la curva di sopravvivenza non si modifica.
Quindi se non c'è significatività statistica vuol dire che è inutile fare la terapia, a maggior ragione
se abbiamo pazienti anziani (abbiamo operato proprio pochi giorni fa una paziente di 92 anni),
perché a quel punto fare una chemio significa ammazzarli.
Grosso dilemma della comunità scientifica: oltre alla predittiva, c'è anche una funzione curativa?
Se tolgo più linfonodi, il paziente guarisce di più?
Un dato è certo, che diminuiscono le recidive locali! E quindi aumenta l'overall survival.
L'atteggiamento odierno è quello di fare linfoadenectomie importanti e vedremo quando faremo il
cancro dell'esofago che bel lavoro ci tocca fare per fare una buona linfoadenectomia del viscere.
L'innervazione
Tutta l'innervazione finisce nei due plessi di Auerbach e Meissner dove si trovano dei pressocettori
che inviano un segnale all'ipotalamo quando il paziente sta deglutendo.
Disfagia
Il paziente vi viene a dire "quando mangio qualcosa si ferma qua" e sta a voi stabilire di cosa
stiamo parlando. Qualsiasi alterazione del meccanismo normale della deglutizione è definita
disfagia.
Se avvertiamo che si è fermato il cibo da qualche parte o addirittura ci provoca dolore, parleremo
di disfagia.
Il paziente riferisce che mentre mangia gli si blocca il cibo oppure sente bruciore.
Cosa dobbiamo valutare della disfagia?
Va distinta in disfagia:
- Per cibi solidi: patologia organica (maligna) o funzionale (non maligna)
- Per cibi liquidi:
Da quanto tempo succede? È importante chiederlo perché, se è cancro, un periodo di tempo lungo
dalla comparsa del sintomo significherebbe prognosi infausta. Solitamente quando si parla di una
comparsa pochi mesi prima della visita probabilmente si tratterà di una patologia maligna.
Se la paziente ha sempre avuto questo tipo di disturbi allora ci orienteremo verso una causa
funzionale.
Altra cosa importante è la sede: in alto o in basso. Nel primo caso pensate a una patologia del
tratto cervicale, nel secondo magari associato a bruciore pensate a una forma funzionale dovuta a
reflusso gastro-esofageo.
Patologie dell'esofago:
1. Funzionale
- Acalasia
- Spasmo esofageo diffuso
- Malattia da reflusso gastro-esofageo
- Discinesie in corso di collagenopatie (non è legata all'esofago in quanto tale ma a
collagenopatie come lupus, sclerodermia, malattie autoimmuni che colpiscono il collagene
e succede che abbiamo una polisofferenza che interessa tutti i visceri contenenti
collagene); abbiamo operato una signora con un prolasso rettale completo, cilindro rettale
che usciva per circa 30 cm, lo abbiamo resecato e riposto dentro e in quel caso la patologia
non è il prolasso ma la collagenopatia, e stessa cosa vale per l'esofago.
- Diverticoli
2. Organica
- Traumi
- Lesioni di caustici
- Tumori
Sfinteri esofagei
La peristalsi viene trasmessa attraverso meccanismi mediati dai plessi di Auerbach e Meissner.
L'epifenomeno della peristalsi terziaria molto spesso è il dolore dovuto alla contrazione
spasmodica del viscere e che il paziente riferisce come dolore toracico.
Ci sono due sfinteri importanti che hanno effetto anti-barriera:
1. Upper Esophageal Sphincter (UES) o bocca di Killian o sfintere crico-faringeo
- Pressione di circa 30-50 mmHg
- Costituito in parte da muscolatura striata
- Garantisce una efficace barriera protettiva nei confronti della via aerea (guardate che l'ab
ingestis è una cosa gravissima!)
Discinesie dell'esofago
Sono disturbi motori (quindi patologia funzionale, senza ostacolo organico) caratterizzati da
alterazione della normale attività peristaltica in assenza di ostruzione organica intrinseca o
estrinseca del lume.
La discinesia può essere essenziale (idiopatica) oppure può essere dovuta a una causa nota che
nella maggior parte dei casi è il reflusso gastro-esofageo, il quale agendo come elemento irritante
tende ad alterare i meccanismi naturali di deglutizione.
Il professore termina qui e dice che continueremo alla prossima lezione, ndr.
Domanda studente: per quanto riguarda il libro è necessario comprare anche il tomo del Dionigi
riguardante la chirurgia specialistica?
Risposta professore: non so voi, io magari volevo fare il chirurgo ed è diverso. Ma in ogni caso vi
consiglio di prendere un testo di Chirurgia da tenere per la vostra professione e la vostra
biblioteca.
Clinica Chirurgica – 11.12.2018 – Prof. Sammarco
La scorsa volta abbiamo parlato della patologia esofagea, distinta in organica e funzionale. Abbiamo detto
che la patologia organica più importante è il cancro, mentre per la funzionale abbiamo visto l’acalasia, i
diverticoli, che poi tratteremo uno per uno. Il capitolo più importante della patologia funzionale è quello
del reflusso gastroesofageo.
Il reflusso gastroesofageo è una condizione patologica, ma molto spesso può essere anche fisiologica,
infatti dopo i 50 anni i pazienti che hanno il reflusso sono più del 60%. Avere il reflusso non significa avere
la malattia da reflusso, che si manifesta con esofagite; questa può andare da un grado lieve fino a delle
vere e proprie stenosi, causate dalla risposta ad HCl e pepsina, quindi autodigestione. Il reflusso è un
insulto nei confronti del viscere, il quale reagisce all’inizio con un clearing e una peristalsi normale, poi nel
tempo compare la peristalsi terziaria, per la quale l’esofago si contrae disordinatamente, senza permettere
la progressione del cibo. Una zona importante dal punto di vista della patologia funzionale è proprio la
giunzione esofago-gastrica, dove si trova la linea Z, una linea frastagliata, dove potete notare la differenza
di colore tra la mucosa esofagea, che è chiara, madreperlacea, e la mucosa gastrica, che appare rosso
vinoso, la quale continuerà con epitelio cilindrico per tutto il canale digerente. Questo è importante non
solo per il reflusso, ma anche per la questione dei tumori; mentre prima il carcinoma dell’esofago era al
primo posto nell’ambito della patologia organica esofagea, ora quello che la fa da padrone, a causa del RGE,
è il cancro del cardias. È evidente che questo tumore sia correlato al RGE, perché oltre alle alterazioni
motorie che ne conseguono, provoca anche delle alterazioni di tipo morfologico e soprattutto anatomo-
clinico. Il reflusso non è costituito solo da acido, può essere presente anche contenuto duodenale alcalino,
ancora più dannoso perché non abbiamo terapie efficaci, se non i protettori di mucosa come il Gaviscon,
l’acido arginico, che è una delle prime terapie utilizzate; questo crea una sorta di schiuma sulla parete,
quindi con il reflusso, la prima cosa che refluisce è l’acido arginico, il quale va a creare una pellicola
protettiva, per cui la mucosa risulta meno irritata.
Oggi si utilizzano maggiormente delle soluzioni combinate, dove oltre all’arginato si aggiunge una sostanza
tampone (ad esempio il Maalox). Quindi il continuo refluire dell’esofago provoca una forma anatomo-
clinica definita Esofago di Barrett, una metaplasia, cioè una trasformazione di un tessuto in un altro, che
non è quello caratteristico della sede di cui stiamo parlando: qui troviamo una metaplasia di tipo gastrico o
intestinale, troviamo l’epitelio colonnare, che è al di sotto della linea Z. Siccome la mucosa colonnare
resiste maggiormente alla presenza di acido, è un meccanismo per il quale l’esofago si gastrizza o
intestinalizza, creando una mucosa più resistente. Quando l’insulto continua nel tempo si passa ad una
condizione più grave, la displasia. Le cellule metaplasiche sono cellule che si trasformano in un altro tipo,
ma sono mature, non hanno nessuna caratteristica neoplastica. Le displastiche iniziano ad avere alterazioni
della citoarchitettura, iniziano un processo di proliferazione incontrollata che poi ci porta all’anaplasia,
situazione in cui le cellule sono talmente alterate che non riusciamo a riconoscere da dove derivano. Ad
esempio in un carcinoma gastrico se noi non diciamo all’anatomopatologo che le cellule sono state
prelevate da un determinato distretto, lui non ci saprà dire che si tratta di un cancro anaplastico dello
stomaco. Quindi i tre gradi di progressione della malattia verso il tumore sono metaplasia – displasia –
anaplasia. L’esofago di Barrett è una condizione pre-cancerosa molto grave.
Esistono una serie di meccanismi che impediscono al contenuto gastrico di refluire nello stomaco, partiamo
da quelli anatomo-funzionali:
- Lo sfintere esofageo inferiore o LES è una struttura muscolare ad alta pression, circa 25 mmHg, il
quale può essere incontinente ed essere causa di reflusso.
- La porzione di esofago intra-addominale, sul quale gioca un meccanismo di pressione. La pressione
toracica è negativa nell’inspirazione, e diventa 0 o lievemente positiva a livello pleurico all’inizio
dell’espirazione; quindi la pressione positiva addominale genera un effetto barriera perché fa
collabire le pareti dell’esofago.
- Un ulteriore meccanismo è l’angolo di His, tra esofago e stomaco, un angolo acuto di circa 45 gradi.
Quando l’esofago comincia a ritrarsi e a difendersi dall’insulto del reflusso, questo angolo si apre.
L’ernia iatale quindi è correlata ad un meccanismo di reflusso, perché si forma quando c’è
un’alterazione dell’angolo.
- Lo hiatus esofageo, non è uno hiatus cilindrico, ma a cravatta, con un pilastro anteriore e uno
posteriore, che schiacciano l’esofago.
- La membrana di Bertelli, che ancora le pareti esofagee e del fondo gastrico alla faccia inferiore del
diaframma; la fascia sovra-diaframmatica e il legamento freno-esofageo.
Oltre ai meccanismi di difesa anatomici, abbiamo anche dei meccanismi cellulari, in primo luogo la capacità
di clearing dell’esofago, perché le cellule esofagee sono in continuo ricambio.
Inoltre abbiamo la forza di gravità e la peristalsi, divisa in primaria e secondaria (propulsive e fisiologiche),
mentre la terziaria è patologica, non propulsiva e irritativa.
Ora parliamo in maniera sistematica della semeiotica strumentale dell’esofago, vedremo quali sono le
indagini da fare nelle varie patologie.
SINTOMI TIPICI
Il primo è la disfagia: dobbiamo chiedere al paziente quando insorge, dove è localizzata, il timing. Poi c’è il
rigurgito. Qual è la differenza tra rigurgito e vomito? Il rigurgito non è preceduto da conati, è spontaneo, si
ha soprattutto in posizione supina. Un paziente con patologia esofagea di solito vi riferisce che la mattina
trova sul cuscino dei residui di cibo, e questo chiaramente lo allarma. Un altro segno del rigurgito è il segno
Clinica Chirurgica – 15.11.2018 – Prof. Sammarco
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Dopo insufflazione, si demarca inizialmente nella porzione centrale del palloncino un’impronta
determinata dal restringimento del LES, legata all'aumento di pressione. Dopo qualche minuto scompare
l’impronta sul palloncino: la dilatazione è avvenuta ed in modo efficace.
Non è semplice perché va fatta in narcosi, si dilata l'esofago a 300 mmHg e si rompono le fibre, con
un rischio di rottura dell'esofago iatrogena dall' 1 al 4 %. Si può usare la sonda Sengstaken–Blakemore
è uno strumento utilizzato per tamponare le emorragie da varici. una certa attività cardiale ci deve
essere.
Il rischio di complicanza è di perforazione esofagea che si vede con uno pneumomediastino o se si rompe la
parte inferiore dello stomaco compare peritonite, quindi un addome acuto.
-La reazione addominale più intensa che si manifesta con l'addome a tavolo avviene per una patologia
perforativa dell'addome che è la perforazione gastrica, perché la reazione addominale di difesa è tanto più
intensa quanto più dal punto di vista chimico-fisico la sostanza che fuoriesce è irritante. Più irritante dell'acido
cloridrico non c’è nulla. -
Fino ad avere dei quadri mascherati complessi nei quali c’è una difesa per la comparsa di un emoperitoneo
(come nella rottura della aorta addominale) che però sarà lieve perché il sangue è isosmotico con il contenuto
peritoneale e non dà molta difesa addominale.
DA SLIDE: Tutte le casistiche, dalla più grossa di Vantrappen, su più di 1400 dilatazioni alle più piccole, danno
una frequenza non operatore-dipendente del 2,4%[di perforazione Nds].
Purtroppo non ha risultato duraturo e va ripetuta co ripercussioni sulla compliance del pz. [ la slide in realtà
dice: La dilatazione endoscopica ha un duraturo risultato, che non viene ottenuto né dalla terapia
farmacologica né dalla iniezione di tossina botulinica Nds.].
2. Terapia farmacologica
• Nitrati (isosorbide denitrato)
• Calcioantagonisti (diltiazem, nefedipina, verapamil)
La nifedipina si usa anche per problemi cardiaci e pressori, agendo su muscolatura liscia. Non ha
grande effetto farmacologico e sopratutto continua la progressione di malattia.
Questi farmaci hanno una azione diretta rilassante sulle fibre della muscolatura liscia del LES e riducono i
sintomi nel 70% dei pazienti, sopratutto migliorano lo svuotamento esofageo.
• Iniezione di tossina botulinica. Durante l'endoscopia viene iniettata 80U di tossina botulinica
circonferenzialmente a livello del LES. l'iniezione i sintomi migliorano nel 60-70% dei pazienti, ma i sintomi
ritornano nella maggior parte dei pz entro un anno dal trattamento.
Al primo trattamento sembra un farmaco miracoloso perché il pz sta bene per i primi mesi anche se
non in tutti i pazienti c’è questa ottima risposta alla prima iniezione. Il problema della tossina è il
fenomeno della tachifilassi perché l'organismo si abitua al farmaco. Altro problema è la compliance
del paziente perché tende ad abbandonare il trattamento.
La principale indicazione resta quindi il pz che necessita di un temporaneo miglioramento, nell'attesa di
ulteriori terapie o in quei pz che non tollerano altri trattamenti (es. il pz ad altissimo rischio che non sopporta
un intervento maggior).
La durata dell'effetto della dilatazione è maggiore dopo più trattamenti nel tempo.
Megaesofago acalasico al quarto stadio terminale senza attività peristaltica. La manometria è
completamente piatta.
TRATTAMENTO CHIRURGICO
Terapia chirurgica consiste in una cardiomiotomia extramucosa secondo Haller. Extramucosa vuol dire
incidere la mucolare propria partendo dall'avventizia fino alla sottomucosa. Prima si incide fino alle fibre
arciformi dello stomaco [prima immagine], si dilata con le forbici [seconda immagine] e si apre, cosi che la
sottomucosa erni perfettamente dal viscere.
Più si interviene precocemente e più bisogna estendere verso l'alto la miotomia per trattare gli spasmi a
livello del corpo, azzerandoli. Cosi facendo si crea un abbattimento completo della pressione nello sfintere
esofageo, una malattia da reflusso iatrogeno.
Se non trattato dopo 2 anni il pz sviluppa una esofagite di terzo grado e si finisce per resecare esofago
terminale. Per questo oggi si fanno le plastiche antireflusso addominali
DA SLIDE: Chirurgia
Cardiasmiotomia extramucosa longitudinale sec. Heller + Plastica antireflusso (vedi MRGE)
Vie d’accesso:
• Toracica
• Laparotomica
• Laparoscopica (consigliata!!)
NISSEN
La plastica più famosa è secondo Nissen, a 360 gradi perché si libera il fondo
gastrico dai vasi breviori tra il fondo gastrico e ilo della milza mobilizzando
perfettamente il fondo gastrico, si porta davanti e si fa una cravatta con 3 punti
ancorandola alla parete dello stomaco.
DA SLIDE: Fundoplicatio sec. NISSEN - Plastica antireflusso con un manicotto
gastrico che avvolge l’esofago circonferenzialmente a 360°.
[il professore non è molto d’accordo perché nella scuola si esegue la plastica
toracica sec. Belsey che, secondo la casistica, ha dei risultati a lungo termine
migliori. Quando si fanno le laporoscopiche con solo 2 punti (la “floppy" Nissen)
la tenuta a 10 anni sarà peggiore perché già a 5 anni queste plastiche non
mantengono un buon risultato. Nds.]
Nella Nissen-Rossetti oltre a questa , Rossetti metteva dei punti tra esofago e plastica in alto e il diaframma
in basso. La bloccava completamente. Questa plastica ha una grossa tenuta antireflusso perché a 360 gradi
aumenta la pressione oltre quella fisiologica. Si utilizza in pz con una patologia semplice di reflusso ma che
ha ancora una attività peristaltica importante dell'esofago. Nell'esofago acalasico senza peristalsi non
passerebbe il cibo con questa tecnica. I pazienti acalasici operati si aiutano stando seduti molto dritti o
addirittura in piedi, sfruttando la forza gravitazionale. Non è il tipo di plastiche che si preferisce in un
trattamento post miotomia in pz con acalasia. Si preferisce una plastica più leggera.
Si può utilizzare una Dor a 180 gradi, portiamo solo al davanti dello stomaco, non è una doppia plastica.
DA SLIDE: Fundoplicatio sec. DOR (immagine A)
Plastica antireflusso con un manicotto gastrico che avvolge l’esofago solo sulla metà anteriore.
Oppure una Toupe che è sempre una Dor modificata in cui la valva si fa sul piano posteriore.
DA SLIDE: Fundoplicatio sec. TOUPET (immagine B)
Plastica antireflusso con un manicotto gastrico che avvolge l’esofago solo sulla metà posteriore. [Il professore
preferisce una Toupe. La Belsey non si fa più perché è complicata da un accesso toracico con una toracotomia
molto dolorosa per il paziente.]
Clinica Chirurgica- 19.11.2018- Prof. Sammarco
I diverticoli esofagei sono delle estroflessioni sacciformi della parete esofagea che comprendono la mucosa
e la sottomucosa.
La formazione di tali estroflessioni si ha laddove le arteriole, le venule e le terminazioni nervose entrano
nella sottomucosa per irrorarla e innervarla: tali punti corrispondono a dei loci minoris resistentiae.
La sottomucosa dell’esofago, similmente a quella gastrica è molto rappresentata, è riccamente
vascolarizzata ed è anche ricca di collettori linfatici; ciò spiega la rapidità di diffusione del cancro
dell’esofago e la multicentricità della malattia. Essendo inoltre l’esofago un organo molto lungo ciò renderà
problematico il trattamento chirurgico della patologia neoplastica.
La formazione delle estroflessioni è inoltre favorita dall’instaurarsi dell’attività terziaria. L’attività terziaria è
una condizione in cui si creano due anelli di pressione, tra i quali vi è una camera, quella esofagea, che
viene ad essere compressa sia da sopra, che da sotto (similmente a ciò che avviene pressando una camera
d’aria di una bicicletta da un lato e dall’altro). All’interno della camera si ha un aumento di pressione e poi
una dilatazione della stessa, con lo scivolamento graduale della mucosa e della sottomucosa sino alla
formazione del diverticolo.
Ciò è vero per i diverticoli falsi, cioè quelli che non riguardano tutta la parete esofagea, ma solo la mucosa
e la sottomucosa. I diverticoli si distinguono in falsi e veri.
I diverticoli veri oggi non si vedono più. Erano un retaggio dell’era in cui la patologia tubercolare era molto
presente.
L’esofago veniva tratto con tutta la sua parete, anche quella muscolare, nella cosiddetta sindrome adeno-
bronchiale, cioè la localizzazione di una necrosi caseosa al livello dei linfonodi che drenavano i polmoni con
l’organizzazione poi della necrosi, la fibrosi e la retrazione. Poiché riguardavano il linfonodo posto al livello
della biforcazione tracheale di sinistra laddove l’esofago contrae rapporti strettissimi, si aveva la trazione di
tutta la parete esofagea. Perciò non avevano una causa funzionale. Questi diverticoli non davano grandi
problemi: era come se si trattasse di un’acalasia iniziale solo di un distretto. Come sintomi si poteva avere
disfagia o rallentamento del transito. Nella pulsione invece il corteo sintomatologico è diverso.
Molti anni fa il trattamento dei diverticoli consisteva nel resecare la mucosa e la sottomucosa, nel fare una
sutura a sopraggitto: una prima serie di punti continui, poi dei punti staccati e nella riparazione della
breccia. Tuttavia con il tempo i diverticoli recidivavano.
Allora si ci iniziò a porre il problema di quale fosse la causa: ancora non si era ben studiata la motilità
esofagea perché mancavano i presidi diagnostici. Poi si capì che per essere risolutivi era necessario
abbattere quella peristalsi concentrica, la stessa che si ha nello spasmo esofageo diffuso, che dava
l’aumento di pressione e in definitiva la formazione dei diverticoli.
Perciò questi casi furono trattati con una miotomia extramucosa secondo Heller, intervento volto appunto
ad abbattere la peristalsi terziaria, mediante la creazione di un’apertura nella parete muscolare sino alla
sottomucosa e la formazione di una losanga, attraverso la quale erniasse la sottomucosa.
Con questo tipo di trattamento accadeva però che si aveva la formazione di nuovi diverticoli in altri
distretti, dove non era stata fatta la miotomia. Ciò avveniva perché i diverticoli riconoscono una duplice
causa:
Quelli essenziali, nei quali, similmente a ciò che accade per lo spasmo esofageo diffuso, non vi è
una causa nota; si definiscono infatti idiopatici.
Quelli dovuti al reflusso gastro-esofageo, che innanzitutto promuove l’instaurarsi dell’attività
peristaltica terziaria, la quale a sua volta favorisce la formazione delle estroflessioni e ciò si è
stabilito mediante la pHmetria. Perciò in questi casi non basta fare la miotomia, ma si rende
necessaria anche una plastica anti-reflusso.
Da PULSIONE;
Da TRAZIONE.
Diverticoli ipofaringei o del III superiore (ZENKER): diverticoli da
pulsione.
Si realizzano per:
Un diverticolo dello Zenker può essere apprezzato palpatoriamente come una sacca al livello della quale si
ha un crepitio perché all’interno vi è aria e saliva. Inoltre i pz che avranno disfagia superiore e odinofagia, vi
riferiscono che quando ingoiano si aiutano comprimendo la sacca con la mano. In questo modo fanno sì che
il bolo alimentare prenda la normale strada esofagea.
Un’osservazione che noi abbiamo fatto è che nei soggetti con reflusso gastro-esofageo, riscontravamo
mediante la manometria spesso un aumento di pressione al livello del WES, con una media statisticamente
rilevante (secondo il test di student) di 5-10 mmHg.
Ciò avveniva come meccanismo di compenso: la natura si difende dagli insulti, cercando di reagire; a volte
poi se la reazione è eccessiva si ha una patologia peggiore.
In questo caso l’aumento di pressione al livello del WES si aveva per evitare l’ab ingestis soprattutto
durante le ore notturne, durante le quali essendo il pz non vigile, possono aversi ingenti inalazioni (si può
anche morire per una violenta ab ingestis).
I diverticoli epifrenici non danno un segno diretto, ma solo segni indiretti. In generale i sintomi sono:
DIAGNOSI:
o Clinica: Zenker;
o Endoscopica: attenzione!!!;
o Radiologica: RX tubo digerente con m.d.c. per lo studio anche dello stomaco, per verificare la
presenza di reflusso e/o di ernia iatale;
o Manometrica: documenta l’eventuale assenza di onde peristaltiche primarie, il rilascio del LES o il
suo ipotono;
o pHmetrica: documenta la presenza e la durata di un pH anomalo in sede esofagea.
Quindi già con la sintomatologia riferita dal pz e con l’esame obiettivo ci orientiamo.
Poi non lo mandiamo a fare l’endoscopia, ma gli facciamo il Gastrografin per bocca. Questo perché il
diverticolo di Zenker è molto sottile e se entriamo alla cieca rischiamo di perforarlo. Durante l’endoscopia,
a volte si ha difficoltà a capire qual è l’ostio esofageo e qual è quello dello Zenker perché appaiono come
due bocche vicine. Dopo la somministrazione del Gastrografin, si entra sotto visione e una volta visto il
diverticolo si prende la strada giusta.
È inoltre importante stabilire se vi sono esiti infiammatori, degenerazioni neoplastiche, probabili
soprattutto quando vi è un’esofagite da ritenzione (come nell’acalasia cardiale ricordate l’immagine ad
acciottolato).
Poi la manomentria e la pHmetria per capire se è necessario correggere anche il reflusso gastro-esofageo.
La manomentria in questi casi non è facile, perché di norma si fa a pz vigile: si infila il sondino dal naso, e
quando opportuno si fa deglutire il pz con un sorso d’acqua. Mentre in caso di diverticolo di Zenker si fa
sotto visione endoscopica oppure si ‘lega’ il sondino all’endoscopio mediante un’ansa diatermica o una
pinza; una volta che siamo sicuri di essere nel lume esofageo, si apre l’ansa, si esce con l’endoscopio e si
continua l’esame manometrico ‘a mano’.
La manometria ci fa vedere la presenza di un’area di altissima pressione al livello cricofaringeo e un
mancato o ritardato rilasciamento al livello del WES.
Immagine radiologica: Si vede un livello
idro-aereo al livello della sacca: il liquido
è dato dal Gastrografin e da quello che il
pz ha mangiato e sopra c’è aria. Ciò
corrisponde al crepitio apprezzabile alla
compressione della sacca.
[Parentesi sulle Arterie Tiroidee: La ghiandola tiroidea è irrorata da due arterie per ciascun lato:
TERAPIA CHIRURGICA
Se è sintomatico
Se è complicato
L’obiettivo del trattamento è l’asportazione del diverticolo e correzione dell’alterazione della motilità alla
base.
Trattamento chirurgico del diverticolo di Zenker: Diverticulectomia + miotomia longitudinale del muscolo
cricofaringeo e della muscolatura esofagea.
Stiamo sezionando il diverticolo, facciamo il primo sopraggitto e poi in genere diamo dei punti staccati di
rinforzo. Successivamente facciamo una Miotomia Extramucosa secondo Heller che estendiamo fino alla
breccia. Ora non è così semplice come sembra nella diapositiva. Se si tratta di un grosso diverticolo, in
genere questo ha già occupato tutta la regione laterocervicale dove vi sono moltissimi nervi: l’ansa
dell’ipoglosso, il ricorrente per cui si possono creare dei danni seri durante l’intervento. Perciò dobbiamo
orientarci a seconda delle dimensioni del diverticolo:
Questa logica ci ha portato a sviluppare una metodica ancora più conservativa: con la chirurgia
laparoscopica sono state usate delle suturatrici, le ENDO GIA che vengono inserite con dei trocar.
La G.I.A. (Gastro Intestinal Instrument) è una suturatrice lineare capace di sezionare e suturare
contemporaneamente pezzi di intestino.
Ciò è stato poi applicato all’esofago e per i diverticoli di piccole dimensioni l’approccio endoscopico si è
dimostrato efficace e sicuro.
In questo caso andiamo a interrompere il muscolo e poi si cuce da entrambi i lati per evitare che vi siano
perdite di aria. Se si rompe il diverticolo la complicanza più temibile è la mediastinite, condizione
gravissima che ti da pochissimo tempo per agire. Infatti il mediastino è ricco di tessuto connettivo lasso che
è un pabulum, un terreno di coltura ottimo per i microrganismi. Poi bisogna considerare i microrganismi
presenti al livello del cavo orale. Tant’è che in caso di morso da cane oltre all’antitetanica si deve fare anche
la terapia antibiotica. In genere poi vi sono molto anaerobi per cui la mediastinite da anaerobi è molto
pericolosa perché in assenza di ossigeno questi batteri fanno quello che gli pare.
Per i diverticoli parabronchiali, qualora ve ne fossero da pulsione (sebbene come visto siano rari) il
trattamento è uguale a quello degli epifrenici. Si tratta più frequentemente di diverticoli da trazione.
I diverticoli epifrenici vanno ad adagiarsi sul diaframma e sono da pulsione. In molti casi riconoscono come
causa il reflusso gastroesofageo. Il trattamento consiste nell’azzerare l’alta pressione e laddove vi sia il
reflusso dobbiamo trattare con una plastica anti-reflusso.
Negli epifrenici si tratta di diverticoli di grosse dimensioni perché la diagnosi è tardiva a causa della
sintomatologia piuttosto indiretta e tardiva (a differenza dello Zenker in cui i sintomi sono diretti e precoci).
Nell’epifrenico la diverticulectomia è perciò la regola.
TRATTAMENTO CHIRURGICO
È spesso confusa con patologie affini, ma non coincidenti come l’ernia iatale da scivolamento e l’esofagite.
La MRGE insorge quando l’equilibrio fisiologico tra fattori aggressivi e protettivi si altera a favore dei primi,
consentendo un prolungato contatto del materiale di provenienza gastrica con la mucosa esofagea.
Digressione sul fatto che negli Stati Uniti hanno iniziato una campagna contro il grano, un po’ per ripicca nei
confronti delle nostre campagne contro il loro tipo di dieta e che invece prediligono la dieta mediterranea,
un po’ perché il nostro grano ha un’importante esportazione negli Stati Uniti.
Avere dei reflussi fisiologici è una cosa spesso normale. Se stasera mi mangio la polenta con i funghi, con il
taleggio sopra e bevo anche una bella bottiglia di vino rosso durante la notte è probabile che mi sveglierò un
paio di volte per l’acidità. Tuttavia ciò non vuol dire avere la malattia da reflusso.
Si parla di malattia da reflusso quando si ha un danno: l’esofagite, l’esofago di Barrett (condizione ad
alatissimo rischio precanceroso da trattare immediatamente).
Perciò attenzione alla sintomatologia atipica che ci fa deviare dalla diagnosi: asma bronchiale, dolore
toracico.
La malattia da reflusso gastroesofageo si instaura quando vi è uno squilibrio tra i fattori aggressivi e
protettivi. I fattori protettivi sono innanzitutto quelli meccanici che impediscono al contenuto
gastroduodenale di refluire.
Più che parlare di reflusso gastro-esofageo si parla di reflusso gastroduodenale perché è da tenere
presente il reflusso duodeno-gastrico. Questa è una condizione più grave perché nell’ambito di questo tipo
di reflusso, i sali biliari creano un importante danno della mucosa e danno un esofago di Barrett più grave.
Perciò l’ipotonia del LES, la lassità dell’angolo di His e della membrana di Bertelli, compresa l’ernia iatale da
scivolamento favoriscono il reflusso.
FISIOPATOLOGIA
Un’altra condizione favorente il reflusso, fisiologica poi con l’età è il ritardo dello svuotamento gastrico.
A vent’anni uno si mangia le pietre e le digerisce dopo 2 ore. Dopo i 50 anni per digerire un pasto
importante ci vogliono 4 ore. Il mancato o rallentato svuotamento gastrico espone ad avere un maggiore
quantitativo di sostanze che refluendo possono creare danni.
L’esofagite da reflusso è indicativa di malattia. Può avere aspetti microscopici; macroscopicamente spesso
le endoscopie sono negative. Se però vi è un forte sospetto clinico (soprattutto la pirosi) si fa una biopsia e
si vanno a vedere le alterazioni, indicative della fase iniziale della malattia.
Anche nelle MICI l’indice di regressione completa è quello microscopico. Sebbene poi da queste patologie
non si guarisca mai. La classificazione di Savary è invece una classificazione macroscopica.
ANATOMIA PATOLOGICA
ESOFAGITE DA REFLUSSO
Lesione legata all’irritazione chimica della mucosa esofagea in seguito al contatto con il contenuto acido
e/o alcalino duodenale (per acloridria, gastrite atrofica, dopo chirurgia gastrica, etc.).
È indicativa di MRGE.
ASPETTI MICROSCOPICI
Esofagite sclero-cicatriziale (III GRADO): perché le ulcere confluendo danno un restringimento cicatriziale
della mucosa.
Esofagite con metaplasia ghiandolare (IV GRADO): sostanzialmente corrisponde all’esofago di Barrett.
ESOFAGO DI BARRETT: Lesione caratterizzata da metaplasia ghiandolare (con epitelio cilindrico colonnare)
della mucosa esofagea.
Viene considerata una conseguenza dell’esofagite da reflusso cronica e una lesione a rischio per lo sviluppo
di adenocarcinoma dell’esofago (5-6% dei casi).
SINTOMATOLOGIA
SINTOMI TIPICI:
Pirosi o heartburn, riferito dal pz come senso di bruciore alla bocca dello stomaco;
Rigurgito: sul cuscino si trova un po’ del pasto del giorno prima;
Eruttazione: soprattutto in caso di ernia iatale (fortemente orientativo per questa diagnosi);
Nausea e vomito;
Odinofagia per lo spasmo al livello del WES.
SINTOMI ATIPICI:
Anemia: perché vi è una perdita, però non è mai un’ematemesi come nelle varici. Perciò
probabilmente l’emoglobina sarà ai limiti inferiori ma contestualmente ad un’astenia andiamo a
vedere i reticolociti, espressione della replicazione dei globuli rossi. In presenza di un aumento dei
reticolociti pensiamo ad una patologia che causa una perdita (ciò avviene anche nelle MICI dove
l’anemia si associa a disturbi dell’alvo soprattutto di tipo diarroico).
Ematemesi;
Disfagia: reazione dell’esofago che si contrae;
Dolore retrosternale: per l’attività terziaria;
Disturbi respiratori;
Disturbi ORL (otorinolaringoiatrici).
DIAGNOSI
Esofago-gastroscopia con bario: successione di radiogrammi che possono evidenziare il momento del
reflusso del materiale gastrico in esofago.
L’esame radiologico non è molto dirimente; anche una parietografia mi fa vedere l’esofagite ma non il
reflusso (bisogna avere la fortuna di beccare il momento in cui il materiale refluisce) per questo quando noi
facevamo la richiesta mettevamo con bario e in Trendelenburg perché speravamo di slatentizzare un
reflusso.
Esofagoscopia: rivela
L’esofagoscopia è importante per le biopsie e quindi per la diagnosi microscopica; inoltre si può apprezzare
un cardias non del tutto continente.
COMPLICANZE
Emorragia: le ulcere di II e III causano uno stillicidio ematico che può portare ad anemia ipocromica (spesso
è il primo segno della malattia).
Esofago di Barrett: metaplasia della mucosa. Lesione precancerosa che nel 5-6% dei casi esita in carcinoma.
Stenosi: grave complicanza che comporta un restringimento concentrico del lume esofageo e che si
accompagna a disfagia.
Può dar luogo a retrazione longitudinale che esita nell’esofago corto acquisito.
Ciò si vede soprattutto negli alcolisti, con condizioni di vita miserrime.
La stenosi è sovrapponibile ad una condizione neoplastica perché c’è un’importante occlusione del lume e
se non riuscite a dilatare si deve a fare un intervento come se si trattasse di una carcinoma. Si tratta di un
intervento molto importante.
TERAPIA MEDICA
Procinetici;
Altri farmaci appartenenti a questa classe sono Domperidone e Aloperidolo che agiscono aumentando il
tono degli sfinteri, aumentando la peristalsi e rendendola più normale.
Oltre ad un dieta povera dei cibi pirogeni come cioccolato, grassi, etc. un utile presidio consiste nell’alzare
la spalliera del letto anche di 10 cm, aiutando a evitare gli episodi di inondazione che sono quelli più
dannosi.
TERAPIA CHIRURGICA
La terapia chirurgica è indicata soprattutto nei casi di fallimento della terapia medica o di reflusso misto o
alcalino, nei quali i farmaci alleviano solo il fastidio. Poi se si tratta di una metaplasia intestinale bisogna
intervenire chirurgicamente subito.
Gli interventi funzionali (FUNDOPLICATIO) sono quelli attualmente più utilizzati e possono essere eseguiti
anche per via laparoscopica.
Le plastiche anti-reflusso mirano a ricreare intorno all’esofago una zona di alta pressione per ristabilire la
situazione fisiologica normale.
Si distinguono:
La terapia dell’esofago di Barrett è la plastica anti-reflusso. Nei casi inoperabili oppure se il pz rifiuta
l’intervento è necessaria una stretta sorveglianza con periodici esami endoscopici associati alla biopsia.
La terapia della stenosi cicatriziale da reflusso consiste nella dilatazione esofagea del lume esofageo, con
associato l’intervento di plastica anti-reflusso (come si fa nell’acalasia cardiale) oppure, in alternativa si
esegue l’esofagoplastica transluminale con catetere a palloncino.
Nella stenosi cicatriziale usiamo delle sonde di Savery rigide (bagnate con acqua calda per renderle più
morbide) per aumentare il numero di French (sistema di misura 1 Fr = 0,33 mm), cioè per aumentare il
diametro del lume esofageo.
È una procedura che va ripetuta più volte soprattutto se non associamo una plastica anti-reflusso. Infatti è
inutile dilatare se poi la causa rimane.
Nei casi più gravi si può fare la resezione con interposizione d’ansa come vedremo poi nel carcinoma
esofageo.
Clinica Chirurgica – 20.11.2018 – Prof. Sammarco
Sono pazienti che devono fare una terapia per tutta la vita. L’università del Nebraska (Creighton) ha
condotto uno studio costo-beneficio (in virtù del sistema sanitario americano), su 50 pazienti affetti con
follow-up a 40 anni, in trattamento con terapia antireflusso. Il costo medio per ciascuno era pari a 165 mila
USD. Si è valutato l’utilizzo della chirurgia dopo un anno di trattamento farmacologico inefficace, come nel
caso del reflusso alcalino. Tenendo conto del 10% di recidive chirurgiche, delle complicanze peri e post
operatorie, si otteneva un risparmio effettivo di 100 mila USD.
Le indagini sono di tipo clinico, radiografico, endoscopico, e con tecniche di manometria, Ph-metria 24h,
endoscopia e scintigrafia.
Plastiche antireflusso
Altra tecnica è la Lortat-Jacob, che è stata la prima tecnica di plastica antireflusso, che mirava a ripristinare i
mezzi di continenza della giunzione gastro-esofagea: l‘angolo di His, i pilastri diaframmatici. Questa tecnica
mirava ad abbassare l’esofago, chiudeva i pilastri e bloccava il fondo gastrico al diaframma, cercando di
tenere lo stomaco in sede. Tuttavia si è capito successivamente che quello che non funzionava era lo
sfintere esofageo inferiore.
Sono poi proseguito la Belsey Mark IV (dove la via di accesso è in toracotomia postero-laterale sinistra), alla
Nissen modificata, fino al gold-standard (in termini di costi e compliance dei pazienti) rappresentato dalla
Nissen laparoscopica, ossia una Floppy Nissen, in cui non si utilizzano tre punti di ancoraggio all’esofago. La
tecnica laparoscopica è quella meglio accettata dal paziente con tempo di degenza di 2 giorni.
Nella Floppy si passano due punti sulla parete dello stomaco che avvolto l’esofago. Questi pazienti, spesso
giovani, necessitano di un follow-up a lungo termine, di almeno 20 anni. Considerando che la Floppy si
utilizza da meno tempo non si hanno dati sul lungo termine.
Gli obiettivi della chirurgia antireflusso sono di: eliminare i sintomi e le complicanze, ripristinare una
soddisfacente qualità di vita, eliminare i costi della terapia medica, consentire l’eruttazione (questo è un
difetto della Belsey), evitare la distensione gassosa gastrica (con possibile danno ischemico per
compressione della parete, soprattutto sul sistema venoso per la differente pressione rispetto le arterie),
consentire il vomito se necessario, garantire il permanente controllo del RGE.
Belsey Mark IV
La via di accesso è toracotomica postero-
laterale sinistra. L’incisione è bassa, nel 6-
7 spazio, poiché bisogna arrivare al di
sopra del diaframma dove c’è l’esofago.
Si incidono i muscoli larghi del torace, si
entra in cavità, all’interno del triangolo di
Truesdale, che ha come cateti l’aorta ed il
pericardio e come ipotenusa il diaframma,
e si libera l’esofago dall’aorta,
mobilizzandolo. Si libera anche il cardias,
che deve essere mobile. Si procede alla
legatura dell’arteria di Belsey ramo
dell’arteria gastrica di sinistra (che dà le
arterie diaframmatiche inferiori).
L’indicazione chirurgica era data dalla presenza di ernia iatale in 19 casi, les ipoteso (12), non responder alla
terapia (7), esofago di Barrett (4). Il reperto endoscopico era in tutti positivo, con esofagite di I grado in 3
pazienti, II (24), III (10), IV (5).
La valutazione a lungo termine migliore, è avvenuta in 30 pazienti seguiti tramite indagine clinica,
radiologica, funzionale (ph manometria, scintigrafia) ed endoscopia. 9 pazienti con clinica-radiologica-
funzionale, 2 pazienti clinica-radiologica, ed uno tramite contatto telefonico (indagine clinica).
A lungo termine non vi è stato nessun caso di: mortalità, emorragia, perforazioni, lesioni ai nervi vaghi.
Complicanze verificatesi: 3 casi di versamento pleurico (risolti spontaneamente), un caso di dolore
toracotomico, costale scatenato dagli atti respiratori (controllato da FANS), ed un caso di disfagia
transitoria per edema della plastica operatoria (l’applicazione dei punti può traumatizzare i tessuti).
Il versamento pleurico è una circostanza normale nel caso del drenaggio toracico che hanno questi pazienti.
Infatti a differenza del drenaggio addominale, che è un drenaggio chiuso lasciato attaccato ad una busta, il
drenaggio toracico presenta il problema del mantenimento della pressione negativa, ed è necessario
l’utilizzo di una valvola ad acqua che non faccia entrare aria in inspirazione e la faccia uscire durante
l’espirazione. Gli interventi sulle pleure viscerali possono dare irritazione pleurica.
I risultati della Belsey Mark IV sono stati i seguenti: assenza completa di RGE in 35 pz; lieve reflusso non
patologico in 5 pz; Reflusso patologico in 2 pz. Risultati quindi eccellenti quindi nell’ 83,3 %, buoni 11,3 %,
scadenti 4,76%, con recidive a 15 e 22 mesi dall’intervento.
Questi quadratini di teflon servono a rinforzare i punti: quando si passa il punto si mette un quadratino da
una parte e un quadratino dall’altra per poi annodare sul quadratino invece di annodare sullo stomaco,
ottenendo sicuramente una maggiore tenuta. Questa pratica è stata mutuata dalla cardiochirurgia, in
particolare dagli interventi in cui la valvola viene fissata al rispettivo ostio.
A B
Questa (A) è la Ph-metria (in rosso la linea basale a pH 4, limite del reflusso patologico) prima
dell’intervento, in cui è evidente l’entità del reflusso sia per intensità sia per durata (ampiezza delle
oscillazioni dei valori); dopo l’intervento (B) è evidente come i valori del reflusso siano stati completamente
ribaltati.
In questa tecnica non leghiamo neanche i vasi dello stomaco e, siccome c’è bisogno solo di due punti, si
utilizza una pinza brevettata appositamente per la Nissen laparoscopica che passa dietro allo stomaco e né
anteriorizza la parte posteriore per la creazione della “cravatta”, fissata poi con i due punti;
successivamente si chiude posiziona il drenaggio.
Vantaggi e complicanze
- Tempi post operatori brevi rispetto alla Nissen tradizionale (2 anziché 7-10)
- Disfagia invalidante
- Gas bloat syndrome: se si stringe troppo con la Nissen c’è il rischio che lo stomaco si dilati a causa
della mancata eliminazione dei gas;
- Slipped Nissen
- Disfacimento della plastica (lazy resident): per imperizia del chirurgo (quality tailored)
Conclusioni
- Fundoplicatio sec. Nissen per via laparoscopica è il gold standard? Attualmente sì, per il semplice
fatto che è poco invasiva rispetto agli altri accessi, ma bisogna porsi il problema della durata e della
tenuta della plastica perché comunque non ci sarà mai un campo operatorio tale da garantire
un’erniotomia completa, quindi è facile che il paziente lamenti ancora dolore e senso di costrizione.
- La validazione statistica nel long term follow up? Al momento no e in letteratura si cominciano a
vedere diversi disfacimenti, con una certa frequenza dopo 7-8 anni
All’inizio del ‘900 la diagnosi di esofago di Barrett era autoptica e toccava all’anatomopatologo confrontarsi
con la presenza di tessuto gastrico a livello esofageo, senza possibilità di dirimere il dubbio se si trattasse di
una forma congenita oppure patologica.
Tileston fu il primo è il primo a interrogarsi sulla questione senza però dare una interpretazione; nel ’50 fu
Barrett ad avanzare l’ipotesi della metaplasia però congenita; i primi che diedero una caratterizzazione
all’esofago di Barrett furono Bosher e Taylor nel ’51 identificando le globet cells (cellule caliciformi
intestinali) quindi la presenza di metaplasia intestinale e non di semplice displasia fundica gastrica.
Solo nel ’53 con Allison e Johnstone dimostrarono che la struttura evidenziata da Barrett era esofago:
Quindi la prima definizione di esofago di Barrett è: presenza di epitelio colonnare in un tratto di esofago
distale posto sopra la giunzione gastro esofagea (la c.d. Z line) di origine congenita
Nel ‘59 ci si rende conto che è una conseguenza del reflusso gastroesofageo sia dal punto di vista clinico
che diagnostico, in più si mette in relazione l’esofago di Barrett con l’adenocarcinoma dell’esofago; ciò
indica che c’è una professione diagnostica tale che consente di seguire l’evoluzione della malattia dalla
metaplasia all’adenocarcinoma, perciò il Barrett è una lesione precancerosa. Poi ci sono le varie società che,
dopo una scoperta, si occupano di tipizzare e definire la malattia, per l’esofago c’è l’ISDE (international
society of disease of esophagus) che ogni due anni, a seguito di studi multicentrici eseguiti su numeri
enormi, vanno a definire le patologie e a dare le linee guida.
Quindi la presenza di epitelio metaplastico di tipo intestinale per sostituzione del normale epitelio
squamoso nell’esofago inferiore visibile endoscopicamente; poi il Barrett lo possiamo classificare a seconda
dell’estensione in short Barrett (0-2 cm) oppure in long Barrett (>2 cm) e ciò è correlato ad un maggiore o
minore rischio di adenocarcinoma. La società di gastroenterologia ha definito l’esofago di Barrett come
un’area di mucosa colonnare metaplastica nella porzione più prossima alla giunzione gastro-esofagea che
oltre a essere individuata endoscopicamente deve essere confermata istologicamente. Da ciò l’importanza
dell’endoscopia e del prelievo bioptico. La mortalità dei pazienti con esofago di Barrett con metaplasia
intestinale è del 7%, da ciò l’importanza di uno stretto follow-up; esiste anche un registro per l’esofago di
Barrett come esiste per i tumori essendo una lesione preneoplastica sul quale si annotano tutti i casi, la
storia naturale e le complicanze. Oltre alla classificazione basata sul tipo istologico del Barrett esiste
un’altra classificazione basata sul grado di displasia che è quella che viene utilizzata per standardizzare i
follow-up della malattia.
Possiamo avere:
- Negativo per displasia: il follow-up è allentato in questo caso
- Indefinito per displasia: in questo caso anche se ci fosse realmente displasia questa sarebbe lieve.
- Positivo per displasia di basso grado (LGD): si comincia a prenderla in considerazione
- Positivo per displasia di alto grado (HGD)
- Carcinoma in situ: non supera la membrana basale
- Carcinoma intramucoso (IMC) o carcinoma microinvasivo: non ha superato la tonaca muscolare
- Carcinoma invasivo
Il carcinoma intramucoso rispetto al carcinoma in situ può avere già dato metastasi in una percentuale del
2%.
Questo è fondamentale oggi per la diagnosi di esofago di Barrett grazie all’evoluzione tecnologica che ha
permesso l’impiego di strumenti ottici con alta
risoluzione.
Ci sono quindi nuove tecniche endoscopiche:
- Cromoendoscopia, cioè la semplice colorazione
con coloranti vitali come l’acido aceto acetico
- NBI (Narrow Band Imaging) cioè un’immagine
ad alta risoluzione che sfrutta la diffusione di
bande interpretate in maniera computerizzata
e riesce a sintetizzare un’immagine fisica e a
proporla in campo ottico
- Autofluorescenza
- CLE: endoscopia confocale laser, qui siamo nel campo della endomicroscopia che ci permette di fare
un’indagine quasi istologica.
Qui vediamo una cromoendoscopia con acido
aceto acetico e possiamo notare l’elevata
risoluzione e osservare queste lesioni che
sono sempre più sospette, andando da un
aspetto foveolare indice di bassa displasia
fino ad arrivare ad aspetti cerebriformi che
indicano una displasia importante con
interruzione dei vasi fino alla degenerazione
(microcarcinoma); questa lesione, vista con
un endoscopio normale si vede come un’area
rossastra e non si può distinguere
perfettamente.
Un altro colorante è l’indaco di carminio che è
un colorante di contrasto blu che si raccoglie
e fa le microstrutture delle cellule e poi con
l’endoscopio andiamo a vedere questi pattern che indicano un grado sempre crescente di displasia; le aree
che non assorbono il colorante indicano un danno di mucosa importante. Il blu di metilene è un colorante
basico e come tale viene assorbito dalle
sostanze acide cioè il polo negativo che
attrae il polo positivo. Quando abbiamo una
displasia, quel tessuto va incontro a una
intensa replicazione cellulare. Ci sono delle
alterazioni dell’indice citologico per cui i
nuclei diventano 10 volte più grandi, perché
la cellula deve crescere rapidamente. Ci saà
pertanto un grande quantitativo di acidi
nucleici, il blu di metilene verrà attratto
proprio da quelle cellule con un intenso
replicazione. Considerando altri pattern
istologici con i relativi coloranti, la
colorazione viene effettuata dallo
strumento, che attraverso uno spettro di
luce da proprio queste immagini, come se la mucosa fosse stata colorata con un colorante. La fluorescenza
invece noi la utilizziamo iniettando al pz delle sostanze che vengono poi catturate dalle cellule in intensa
replicazione. Indirettamente otteniamo un pre e un post, da notare come la mucosa displastica tenderà ad
assorbire rapidamente la sostanza, cosa che non farà la mucosa sana. Queste metodiche ci servono prima
di tutto per renderci conto che è presente un’area sospetta, secondariamente ad indirizzare i prelievi
bioptici. La diagnosi deve essere istologica oltre che macroscopica.
Si può notare come prelievi bioptici che, effettuati in un Barrett che macroscopicamente appare con basso
grado di displasia, indirizzino verso una forma con alto grado di displasia. Viene rappresentata la
sottomucosa, la membrana basale, la muscolaris mucosa e i vari gradi di displasia fino ad arrivare al
carcinoma microinvasivo. In passato, di fronte a questo tipo di neoplasia, l’unica scelta terapeutica possibile
era data dall’ intervento chirurgico, l’endoscopia non permetteva di effettuare un’ablazione completa della
sottomucosa, muscolaris mucosa.
Attualmente si hanno a disposizione una serie di metodiche, come le radiofrequenze, che bruciano il
tumore fino al tessuto sano. Bisogna però avere la certezza di non aver lasciato residui tumorali, perché la
recidiva sarebbe un evento drammatico. Queste informazioni vengono fornite dall’ anatomo patologo, ma
purtroppo la possibilità che qualche cellula neoplastica possa comunque dislocarsi in altre sedi è sempre
presente nel caso di neoplasie esofagee. Si pone il problema di come trattare il micro carcinoma, perché la
procedura diagnostica ovviamente prevede di individuare un’area con un Barrett, valutare il tipo di
displasia e successivamente avviare un programma di follow up.
Questo sarà molto più stretto per una condizione di displasia di alto grado piuttosto che di basso. Nei
pazienti con un alto grado di displasia ci si aspetta un passaggio verso un carcinoma microinvasivo,
condizione ormai irreversibile. C’è una buona percentuale di Barrett, anche con alto grado di displasia,
che con la terapia medica o chirurgica regredisce completamente.
Nel caso in cui il pz abbia ormai un carcinoma microinvasivo, fare un intervento demolitivo, quale
un’esofagectomia, non è un trattamento di poco conto, considerando che è gravato da moltissimi rischi, da
molte complicanze sia peri che post operatorie. Se si riuscisse ad asportare la neoplasia con una metodica
conservativa, si eviterebbero al pz tutte queste problematiche, sempre tuttavia tenendo conto che il cancro
è in uno stadio molto precoce, massimo microinvasivo. Adesso le linee guida protendono, anche nel
carcinoma avanzato localmente, verso una terapia neoadiuvante. Questo approccio terapeutico ha
permesso, nel trattamento del tumore del retto basso, extraperitoneale, di ottenere fino a un 24 % di pz
con remissione completa della malattia. Bisogna tenere a mente alcuni aspetti fondamentali: se il tumore è
regredito sicuramente effettuo un intervento conservativo, perché la terapia neoadiuvante mi ha permesso
di evitare un eventuale dislocazione di cellule neoplastiche. C’ è da ricordare però che i risultati della
terapia neoadiuvante nel carcinoma esofageo sono meno buoni rispetto a quelli del carcinoma del retto. La
radioterapia funziona bene sulla prostata, laddove ci siano organi facilmente aggredibili che non abbiano
niente intorno. Quando noi parliamo di carcinomi del cardias stiamo parlando di un adenocarcinoma, non
di carcinoma squamoso come quello esofageo. Questo vale anche se il carcinoma del cardias insorge in
territorio esofageo, riconoscendo un Barrett alla base. In caso di malattia metastatica bisogna ricorrere a
una palliazione il più conservativa possibile. Oggi abbiamo a disposizione endoprotesi, che possono essere
posizionate dal cardias fino anche a metà esofago, una sull’ altra, che permettono una gestione migliore di
queste forme metastatiche. Ancora però non è stato raggiunto un accordo sul miglior trattamento nella
displasia di alto grado o nel cancro mininvasivo, c’ è chi preferisce l’approccio chirurgico, chi la
radiofrequenza. La tendenza però è quello di fare un trattamento che, sulla base di un minore dispendio
della compliance del paziente, dia i migliori risultati, sia in termini di sopravvivenza che delle complicanze.
Clinica Chirurgica – 21.11.2018 – Prof. Sammarco
La displasia di alto grado è una lesione che non ha superato la membrana basale, con probabilità di positività
linfonodale del 2% (le perplessità della terapia conservativa riguardano proprio i linfonodi, che non possono
essere valutati endoscopicamente, mentre in chirurgia sono accessibili).
Da distinguere condizioni di carcinoma, che ha invaso la sottomucosa senza coinvolgere la muscolaris
mucosa, dal carcinoma franco, che ha aggredito la muscolaris mucosa e che è considerato micro invasivo.
Il trattamento dei tumori precoci su metaplasia esofagea di Barrett è in continua evoluzione.
Un tumore micro invasivo o una displasia di alto grado non si trattano con un intervento di chirurgia
maggiore, la chirurgia invasiva è il trattamento riservato al carcinoma franco.
La terapia neoadiuvante ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza del paziente. Se la malattia è
metastatica l’opzione da considerare è la palliazione.
L’ablazione a radiofrequenza (RFA) è tra le tecniche più usate, può essere eseguita in modo circonferenziale,
è un trattamento altamente conservativo e non fa altro che “bruciare” le cellule neoplastiche.
La terapia fotodinamica (PDT) utilizza il laser, che però non penetra nei tessuti in profondità e non ci assicura
di aver asportato tutta la lesione. Anche con successivi controlli bioptici comunque non c’è la sicurezza di
aver rimosso il tessuto neoplastico.
La resezione mucosale endoscopica (EMR) ci dà maggiore sicurezza perché si asporta la porzione sub
epiteliale di mucosa su cui l’anatomopatologo può fare diagnosi. Nonostante questo c’è la possibilità che ci
siano metastasi linfonodali non evidenziate con queste tecniche.
Una variante della EMR è la resezione sottomucosa effettuata da endoscopisti esperti che riescono a trattare
il microcarcinoma invasivo, che ha una percentuale di metastasi linfonodali del 19%, quindi è una scelta
difficile da prendere, tuttavia è una buona alternativa all’intervento chirurgico di resezione che è gravato da
una certa mortalità intra e post-operatoria.
Un tumore che non ha coinvolto la sottomucosa può essere trattato con le metodiche conservative.
Secondo linee guida:
Cosa preferisce il paziente? In uno studio più del 50% dei pazienti ha preferito la sorveglianza endoscopica,
un 15% ha preferito la terapia fotodinamica, solo un 15% preferisce l’intervento.
La maggioranza dei pazienti seguiti al follow-up comunque muore per altre cause.
L’inconveniente del follow-up stretto del paziente è una scarsa compliance del paziente stesso, ed è un
programma che ha un costo considerevole.
Caso 1: paziente con diagnosi di esofago di Barrett con sorveglianza biennale endoscopica dopo 7 anni
sviluppa un pT1 N0 M0, cioè un carcinoma intramucoso senza metastasi linfonodali o a distanza.
Caso 2: paziente con esofago di Barrett che rifiuta la sorveglianza, dopo 10 anni sviluppa un pT3 che ha invaso
l’avventizia con linfonodi positivi senza metastasi a distanza, muore dopo 15 mesi. Il cancro dell’esofago ha
una prognosi infausta, aggressivo quasi quanto il tumore del pancreas.
Termica
Fotochimica
Meccanica
- Mucosectomia endoscopica
- Resezione sottomucosa
- garantire la totale distruzione della lesione metaplastica fino in profondità ed evitare la persistenza
di lesioni tumorali
- ridurre i disagi per il paziente (come trattamenti ripetuti)
- ridurre le complicanze come l’emorragia di un vaso sottomucoso, la perforazione (in alcune zone la
parete dell’esofago è molto sottile), il dolore e la stenosi. Queste complicanze non sono accettabili,
perché si tratta di lesioni benigne.
Trattando l’esofago di Barrett in modo circonferenziale si può essere più sicuri di aver rimosso tutta la lesione
ma con un maggior rischio di stenosi esofagea. È importante lasciare dei “ponti” sulla mucosa. Lo stesso
discorso lo faremo quando tratteremo il trattamento delle emorroidi.
Tramite un elettrodo bipolare si trasmette un’alta quota di energia penetrando fino a 3 cm di profondità, fino
alla muscolaris mucosa. Ha un tasso di eradicazione del 90% .
Altre applicazioni della radiofrequenza sono metastasi e palliazione, soprattutto nell’epatocarcinoma su
fegato cirrotico, che è una controindicazione alla chirurgia.
L’ablazione con radiofrequenza ha migliorato il trattamento dei pazienti, perché prima era probabile non
riuscire a rimuovere tutta la lesione o al contrario spingersi oltre, con perforazione e stenosi. Quindi i risultati
sono migliori e i costi sono contenuti. Successivamente si ottiene una riepitelizzazione priva di lesione.
[Mostra immagine della tecnica e apparecchio.]
Nel caso di lesioni di esofago di Barrett con estensione circonferenziale possiamo anche spingerci a
trattamenti più profondi, ma un trattamento a 360° sicuramente si complica con stenosi.
Lo strumento consta di sonde a pallone che per via endoscopica entrano nell’esofago e poi “bruciano” con la
radiofrequenza la lesione. L’ablazione focale con sonda TTS ci consente di fare delle ablazioni estese.
- gravidanza
- soggetti trattati con radioterapia dell’esofago (alto rischio di rottura della parete esofagea)
- varici esofagee (rischio di emorragia)
- esofagite eosinofila
Non c’è evidenza che la terapia endoscopica, inclusa RFA e crioterapia, sia più efficace nel ridurre il rischio di
cancro e vantaggiosa dal punto di vista economico rispetto alla sorveglianza endoscopica a lungo termine nel
caso di lesioni non displastiche dell’esofago di Barrett. (Evidenza scarsa).
La terapia RFA per pazienti con displasia di basso grado porta alla riepitelizzazione con epitelio normale
esofageo nel 90% dei casi. (Evidenza alta).
Mucosectomia endoscopica
[slide: Consiste nell’asportazione, previa infiltrazione e scollamento, della mucosa esofagea, è una tecnica
semplice, ripetibile, consolidata in caso di lesioni focali, nodulari o piane, non ulcerate.
Le tecniche convenzionali di resezione endoscopica della mucosa comprendono mucosectomia con ansa (lift
and cut), la mucosectomia “strip biopsy”, la mucosectomia con “cap” e la mucosectomia con legatura
elastica.]
In genere scolliamo la mucosa iniettando soluzioni contenenti adrenalina, con effetto emostatico.
Le complicanze sono le stesse dei trattamenti conservativi.
In pazienti non operabili la mucosectomia può essere un trattamento da considerare, nonostante rimanga la
probabilità del 19% di metastasi linfonodali in lesioni che hanno già invaso la sottomucosa.
Il vantaggio della mucosectomia rispetto alla radiofrequenza è quello di poter fornire al patologo un
campione istologico da analizzare, che nel 40% dei casi conferma la patologia residua.
Con la sottomucosectomia endoscopica si riesce ad arrivare fino a 20 mm di profondità.
Alcuni biomarker possono aiutarci nella diagnosi differenziale, il 40% dei siewert 2 è un cancro su Barrett, il
restante 60% un tumore dello stomaco.
L‘ENTERYX è un copolimero di etilen-vinil-alcool (EVOH) e tantalio, un agente radiopaco, che veniva iniettato
a livello della sottomucosa della giunzione esofagogastrica, precipita sotto forma di una massa inerte e riduce
l’apertura cardiale. Ne 2005 l’FDA ne ha sospeso l’uso in seguito a episodi gravi di reazioni avverse,
soprattutto embolizzazione.
ENTERYX
“Sono state usate in passato delle protesi (simili a quelle che vengono utilizzate nel paziente gravemente
obeso per ridurre il riempimento gastrico) che venivano poste all’esterno della giunzione esofagogastrica,
che però venivano eliminate nel tempo perché inglobate nella parete esofagea ed eliminate con il transito
gastrointestinale”
Does aggressive treatment of reflux prevent progression to cancer? The primary goal of anti-reflux therapy
for patients with Barrett’s esophagus is to control their reflux symptoms.
Available data suggest, but do not prove, that aggressive antireflux therapy might also prevent cancer in
these patients.
Il tumore intramucoso è un fattore peggiorativo? Si senza dubbio perché regredisce molto meno.
Il trattamento aggressivo previene il cancro? La chirurgia anti reflusso previene la formazione del cancro?
Quando noi diamo la terapia medica a questi pazienti il
dosaggio non è quello che si dà ai pz con gastrite, si dà
un dosaggio molto più alto. Si è ormai assodato che la
terapia anti reflusso deve essere data in 3
somministrazioni iniziando da 20 mg x 3, perché si è visto
che 40 mg non sono sufficienti a tenere a bada il reflusso;
inoltre la dose va frazionata perché l’emivita del farmaco
non copre le 24 ore. Se gli diamo 60 mg in bolo come si
fa nell’ulcera, non è sufficiente non ha lo stesso effetto
perché il reflusso è aggressivo e quindi sicuramente la
chirurgia rispetto la terapia medica può prevenire
l’insorgenza dell’adenocarcinoma.
Se il paziente ha il reflusso, l’esofagite io lo posso tenere in terapia medica e l’importante è che il paziente
stia bene e sia asintomatico. Se c’è un Barrett io devo non solo far stare bene il paziente, ma devo impedire
che si blocchi la progressione verso il tumore e sembra che la terapia chirurgica abbia maggiore efficacia
rispetto la terapia medica. A questo servono questi studi a consigliare il paziente su cosa deve fare.
L’ablazione endoscopica confrontata con la mucosectomia e con la terapia medica dà gli stessi risultati?
Perché se con la semplice ablazione endoscopica risolvo, non faccio la mucosectomia perché è una procedura
più a rischio.
Cosa sono le biopsie estensive? Un concetto delle linee guida sulle biopsie: è come la ratio linfonodale dopo
un intervento per cancro, più linfonodi mando ad analizzare maggiore è l’attendibilità del risultato
dell’anatomopatologo. Un semplice prelievo non basta. Le biopsie vanno fatto su 4 quadranti ad un cm una
sopra l’altra per almeno 4/5 cm quindi parliamo di 20 30 biopsie.
In questo caso se siamo in un centro dedicato e siamo in una displasia di basso grado, la sorveglianza
endoscopica può essere accettata. La radiofrequenza: sembra che sia una terapia adeguata nel basso grado
di displasia perché sembra che possa portare ad una completa asportazione della mucosa con displasia ed
una sua riepitelizzazione. Quindi ricapitolando se c’è un centro buono che fa una sorveglianza adeguata a 12
mesi con adeguate biopsie per una displasia di basso grado il risultato è equivalente tra la chirurgia e la
terapia medica.
Qui c’è questo piccolo gettone, questo “flat adenoma” però guardando all’ecoendoscopia vediamo che ha
già scompaginato la sottomucosa e in questo stadio alla possibilità che ci siano linfonodi presi può andare dal
4 al 19%. Ecco l’importanza anche dell’ecoendoscopia. A questo paziente gli avremmo proposto la
mucosectomia se non avessimo fatto l’endoscopia, ma con l’ecoendoscopia abbiamo la certezza che la
sottomucosa è infiltrata quindi non basta la mucosectomia o la sottomucosectomia, perché l’incidenza di
malattia metastatica ai linfonodi è alta.
L’interessamento a parete del tumore e i linfonodi che voi vedete già da T1 c’è un N1; è molto difficile fare la
differenza tra displasia di alto grado che non abbia all’interno foci di microcarcinoma e il carcinoma
intramucoso, questo è il problema fondamentale.
Non c’è dubbio che la resezione RO (vedi grafico in basso) dia una sopravvivenza altissima, per il primo studio
la sopravvivenza è del 90% a 5 anni, ma anche un secondo stadio da più della metà dei pazienti vivi a 5 anni,
prima si moriva in 1 anno/ 6 mesi.
-Trattare il reflusso
CARCINOMA DELL’ESOFAGO
Epidemiologia
Non è un tumore che alle nostre latitudini esiste molto, principalmente è presente nei paesi in via di
sviluppo a causa delle carenze alimentari dovute alla scarsità di risorse, ma sono state individuate anche
delle abitudini alimentari particolari quali il consumo di bevande (es. thè) o cibi particolarmente
caldi/bollenti che possono creare delle alterazioni della mucosa esofagea. L’unica area in italia in cui c’è un
aumento dell’incidenza in italia è l’area del triveneto (Friuli, Veneto ecc.) probabilmente, secondo una
ipotesi del professor Peracchia, correlandosi al discorso dell’ingestione di sostanze calde, è dovuta
all’ingestione della polenta bollente.
È un carcinoma ad altissima malignità, è al nono posto per grado di malignità, in genere è una neoplasia
dell’età avanzata con una mortalità molto elevata; la sopravvivenza media è di 9 mesi e di solo l’8% a 5
anni. Questa alta mortalità è anche dovuta alla difficoltà di fare una diagnosi precoce e questo a causa della
posizione del viscere per cui la presenza di neoplasia da difficilmente segno di sè, se non con la disfagia ma
solo quando sono interessati i 2/3 della circonferenza del viscere quindi in una fase avanzata; altro segno
che potrebbe dare, sempre però in una fase avanzata, è la linfoadenopatia sovraclaveare; diversamente a
quanto accade per il cardias che sicuramente può dare più precocemente segno di sè e beneficiare di
tecniche di prevenzione secondaria.
Non ci sono differenze sostanziali sulla sopravvivenza in rapporto al sesso, alla razza o al tipo istologico.
Bisogna comunque considerare che stiamo parlando nel 90% dei casi di carcinoma squamocellulare e non
di adenocarcinoma come a livello del cardias, perchè nasce dal tessuto epidermoide squamoso
Negli stati uniti abbiamo 5 casi per 100000 abitanti, in Italia abbiamo 10 casi per 100000 abitanti. Un
tumore diviene di interesse epidemiologico e richiede una prevenzione e quindi screening quando si hanno
circa 100 casi per 100000 abitanti e raggiunge questi numeri in Cina, in Iran, nella parte del mar Caspio,
quindi in Turchia, laddove oltre ad esserci il fattore alimentare (consumo di bevande e cibi caldi) vi è anche
una importante carenza alimentare e di fattori nutrizionali dovuta alla povertà.
È 2 volte più frequente negli uomini e 5 volte più frequente nella razza nera, sempre in rapporto alla
situazione di povertà; vi è una importante presenza anche in quelle aree dove vi è un importante consumo
di Alcool proprio a dimostrare una correlazione diretta tra il suo consumo e il carcinoma dell’esofago.
Un fenomeno molto rilevante invece è che nel mondo occidentale l’adenocarcinoma è in netto incremento
rispetto allo squamocellulare dovuto principalmente alla correlazione con la MRGE dovuta principalmente
dovuta alle abitudini alimentari scorrette (consumo eccessivo di grassi) che ricorrono soprattutto nei paesi
industrializzati (USA). Addirittura l’incremento di incidenza dell’adenocarcinoma esofageo è stimato essere
il maggiore ed il più rapido di tutti gli adenocarcinomi delle ultime due decadi.
Eziologia
• Per il carcinoma squamoso i due fattori di rischio maggiormente riconosciuti sono il fumo e
l’alcool.
• I carotenoidi e la vitamina c proteggono invece dal tumore, questi si trovano nelle diete delle
società più avanzate e questo spiega la maggior frequenza del tumore nelle popolazioni povere.
• Non è dimostrata una predisposizione genetica tranne che per la Tylosi plantare e palmare (il
Tyloma è il callo), una ipercheratosi sia nel piede che nella mano che si trasmette con modalità
autosomica dominante, in questi pazienti il cancro dell’esofago superiore è frequente, questa è
comunque una condizione rara, basti pensare che il professore ne vide solo un caso appena
arrivato qui a Germaneto; questo è spiegabile perchè il carcinoma squamocellulare dell’esofago è
“primo cugino” di un altro tessuto epiteliale, ossia della pelle e quindi la discheratosi che si produce
sulla mucosa esofagea è responsabile della degenerazione neoplastica.
• Le infiammazioni croniche stimolano la proliferazione cellulare e sono sicuramente alla base della
cancerogenesi, questa infiammazione può essere dovuta al reflusso (induce Barret come abbiamo
visto), l’acalasia (il cibo rimane nella zona acalasica fermenta e induce infiammazione), la stenosi
da caustici, la sindrome di Plummer Vinson (anemia sideropenica associata a macroglossia, e le
aree a maggior incidenza sono le regioni scandinave soprattutto nelle donne, questo legato
soprattutto alla ciclicità mestruale e infatti il ministero Svedese aveva introdotto anche nel pane dei
sali di ferro per far fronte a questa condizione) questa è associata ad alterazioni della mucosa orale
e delle prima porzione dell’esofago infatti questa sindrome è particolarmente associata a tumori
della prima porzione dell’esofago, Il papilloma virus è un’altra condizione di rischio sia per il k.
Esofageo che per la cervice uterina.
• L’adenocarcinoma è sicuramente meno correlato all’uso dell’alcool e del fumo. La maggior parte
degli adenocarcinomi insorge su esofago di Barrett. Nel caso della metaplasia intestinale (in quanto
il Barrett può essere di tipo fundico, transizionale o metaplasia intestinale) il rischio di displasia ed
evoluzione in carcinoma è sicuramente presente. Esistono anche degli adenocarcinomi che non
insorgono su Barret, ma sono forme rare così come lo sono gli adenocantoni
• Come in molte altre neoplasie sono state riscontrate le seguenti mutazioni di 13Q, 5Q, 18Q, 3P, 9P
e 17Q che non sono però marker biologici, stessa cosa per aneuploidia e mutazioni di P53.
La displasia è importante e viene definita grazie al citologico. L’insorgenza del carcinoma sulla displasia può
variare tra i 2 e i 46 mesi. Dove c’è una displasia grave possono per un 50% di casi essere già presenti i foci
di un carcinoma microinvasivo, quindi nell’esofago se troviamo una displasia grave siamo più autorizzati
rispetto al cardias ad essere più aggressivi da un punto di vista chirurgico anche perchè non abbiamo tutte
quelle armi più conservative (mucosectomie, radiofrequenze ecc.) che avevamo per il cardias.
Sintomi:
• Disfagia: è purtroppo un sintomo avanzato;
• Perdita di peso: è un sintomo avanzato per tutte le neoplasia, anche per il carcinoma dello
stomaco, soprattutto nella localizzazione del corpo;
• Disfonia: attenzione perchè l’esofago ha rapporti diretti con il laringeo ricorrente e soprattutto nel
tumore del terzo medio del viscere (anche nel carcinoma medio ilare del polmone) ci può essere
questo sintomo. È comunque anche questo un segno tardivo;
• Linfoadenopatia sopraclaveare o cervicale: è anch’esso un segno di malattia avanzata che noi oggi
consideriamo segno di malattia metastatica.
Diagnosi:
possiamo utilizzare diverse metodiche per la diagnosi e queste sono:
1. L’esame radiologico del tubo digerente con pasto baritato è sicuramente importante; bisogna
stare attenti che non ci sia una fistola esofago-aerea (controindicazione alla chirurgia) perchè se
così fosse il bario, che è irritante, andrebbe nelle vie aeree e può portare ad exitus del pz, per
questo è necessario farla prima con il Gastrografin, perchè anche se quest’ultimo va nelle vie aeree
non succede nulla. Questa indagine serve a identificare:
a) la sede della neoplasia, un punto di repere importante che noi abbiamo è la biforcazione
tracheale in modo tale da poter capire se la neoplasia è sopra o sottocarenale e questo è
importantissimo per il tipo di intervento chirurgico che poi andremo ad effettuare,
inanzitutto per capire l’estensione dell’esofagectomia, poi capire la via di accesso (se
accediamo da sinistra riusciamo ad arrivare al massimo alla biforcazione, al di sotto non si
riesce ad arrivare per la presenza del cuore e delle altre strutture, mentre da destra si
riesce ad arrivare anche al di sotto);
b) l’estensione longitudinale;
c) l’entità della stenosi del lume esofageo;
d) permette di valutare eventuali deviazione del lume esofageo;
2. L’endoscopia è un esame fondamentale, perchè ci consente di eseguire le biopsie e di effettuare le
colorazioni vitali; queste colorazioni sono molto importanti perchè una caratteristica del carcinoma
esofageo è la multicentricità e inoltre a mucosa integra il tumore può invadere per via sottomucosa
anche un po’ a distanza dalla sede primaria, quindi con queste tecniche possiamo rilevare zone che
macroscopicamente sembrano indenni ma in cui in realtà è presente la neoplasia. [Un’altra
caratteristica che rende questa chirurgia abbastanza complessa è che questo viscere è lungo circa
28-30 cm e quando lo si asporta riduce la sua estensione di circa la metà e visto che dobbiamo
rispettare dei precisi margini di resezione (4-6 cm di margini sani) l’estensione della resezione deve
essere più ampia rispetto a tumori che interessano altri distretti anatomici]. Le colorazioni vitali più
utilizzate sono:
a. Il blu di toluina è quello che si usava di più ed è un colorante in positivo, cioè va a colorare
le aree dove c’è displasia. Questo colorante è una tiazidina, sostanza basica, che si lega al
DNA delle cellule e va a colorare laddove c’è una attività mitotica elevata o un aumento
della permeabilità di membrana per cui può dare dei falsi positivi (alta sensibilità ma bassa
specificità) quindi questa metodica è principalmente utile per indicarci laddove effettuare
le biopsie che quindi sono imprescindibili;
b. Il lugol (viene anche utilizzato per il pap-test) invece è una soluzione iodio-iodurata che
reagisce con il glicogeno dell’epitelio squamoso normale e conferisce una tonalità rosso
brunastro, quindi laddove non è presente glicogeno perchè si è persa l’integrità dello strato
squamocellulare il colorante non viene captato e quell’area displastica non si colora quindi
è un colorante in negativo;
c. Il blu di metilene;
d. l’indaco carminio;
e. Il rosso congo.
questo è un pezzo di esofagectomia totale in cui è ben visibile la lesione che coloriamo con il
blu e con il lugol e notiamo che con il lugol si colora la mucosa sana ma non la lesione mentre
con il blu si colora la lesione ma non la porzione sana. Oggi queste metodiche sono andate in
disuso visto che ci sono degli endoscopi che agiscono con dei filtri che sottraggono alcune
frequenze della luce ed è come se stessimo effettuando delle colorazioni vitali. (manca una
slide, non appena la reperisco verrà inserita NDR)
Stadiazione
Una volta fatta la diagnosi è necessaria la stadiazione prechirurgica per poter effettuare un corretto
approccio terapeutico.
Inanzitutto dobbiemo sottolineare che esso può diffondere attraverso diverse vie:
Del tumore dobbiamo riuscire ad individuare i tre parametri del TNM e per ognuno di questi parametri
abbiamo delle indagini specifiche da effettuare:
• T: estensione del tumore nel contesto della parete del viscere in esame e valutiamo anche se sono
state interessate delle strutture per contiguità
1. Ecoendoscopia, assolutamente indispensabile perchè ci consente di vedere non solo il
parametro T ma anche il parametro N, ovviamente N1 cioè i linfonodi in prossimità del
viscere e non quelli a distanza;
2. Broncoscopia, per escludere inanzitutto la presenza di una fistola esofago-aerea ma anche
perchè come abbiamo detto questo tumore può essere multicentrico e si può localizzare
anche a livello polmonare e quindi questo parametro deve essere indagato.
3. TAC, ci fa vedere un tumore abbastanza avanzato nella parete esofagea (T3-T4), quindi è
una metodica più utile per un tumore più avanzato, mentre è meno sensibile per un
tumore più piccolo, per cui è complementare rispetto all’ecoendoscopia
4. RM, la facciamo soprattutto per valutare una invasione dell’aorta, dati i rapporti
strettissimi tra i due visceri.
• N: interessamento linfonodale
1. Ecoendoscopia, come abbiamo già detto ci consente di valutare l’ N1;
2. TAC, per N2 ed N3.
• M: metastasi a distanza
1. Ecografia addome superiore, per valutare soprattutto le metastasi epatiche;
2. Radiografia standard del torace, per valutare metastasi polmonari;
3. Scintigrafia ossea, per valutare le metastasi osse
4. Una TAC total body comunque è l’esame forse più utile per valutare il parametro M
5. La PET è più utile per il follow-up di pazienti già operati piuttosto che per la diagnosi;
questa metodica è anche utile per tutti i casi dubbi alla TAC
TNM:
T:
M:
Stadiazione
Stadio 0 Tis N0 M0
Stadio I T1 N0 M0
Stadio IIA T2T3 N0N0 M0Mo
Stadio IIB T1T2 N1N1 M0M0
Stadio III T3T4 N1Ogni N M0M0
Stadio IVA Ogni T Ogni N M1a
Stadio IVB Ogni T Ogni N M1b
Terapia
• La radioterapia è molto discussa ed è difficile da fare per la localizzazione del viscere (in rapporti
stretti con altri organi molto delicati) anche se i tumori squamosi concettualmente rispondono
bene alla radioterapia; neanche in neoadiuvante ci sono delle indicazioni precise;
• Dilatazione ed endoprotesi termiche che funzione in maniera ottima;
• Chemioterapia, purtroppo ci sono risultati pessimi, questa è principalmente da destinarsi ai casi
inoperabili ma senza nessuna evidenza che possa avere una certa efficacia;
• Terapie combinate
Terapia chirurgica: è una delle poche situazioni nelle quali si ha la fortuna di arrivare in tempo la chirurgia è
l’unica terapia risolutiva
prima di effettuare la terapia chirurgica, visto che questa è molto complessa e che può essere traviata da
numerose complicanze, è necessario valutare la resecabilità e questo lo facciamo valutando la stadiazione,
poi è centrale valutare l’operabilità quindi valutando le condizioni generali del paziente. Purtroppo molto
spesso questo tumore interessa pazienti anziani, con una diagnosi tardiva e quindi il paziente è già
defedato, i pazienti operabili si riducono. Bisogna anche considerare che la tenuta dell’anastomosi dipende
dalle condizioni nutrizionali del paziente, per cui spesso si portano questi pazienti in condizione di
nutrizione forzata per fare in modo che essi giungano all’intervento in maniera adeguata. É necessario
dunque fare delle valutazioni prechirurgiche a 360 gradi per poter individuare i pazienti che possono
realmente beneficiare di una chirurgia così importante e complessa; queste valutazioni comprendono:
1. valutazione dello stato nutrizionale, pesando il pz e confrontando il peso con delle tabelle,
plicometria, indice di Karnovski;
2. indagini di laboratorio, importanti per valutare l’albumina, i trigliceridi, il colesterolo ecc.
3. valutazione dell’apparato respiratorio: FVC, FEV1 deve essere > di 1,2-1,4 L/s. Si deve effettuare
questa valutazione perchè nell’intervento si effettua la toracotomia e quindi poi il paziente nel
post-operatorio non riesce ad espandere perfettamente a causa della dolorabilità, per far fronte a
questa dolorabilità si iniettano numerosi antidolorifici, addirittura in alcuni casi gli anestesisti
portano un cateterino a livello peridurale e si iniettano oppiacei in maniera importante nel post-
operatorio. Se il paziente ha già ha una funzionalità respiratoria ridotta questa mancata
respirazione indotta dal dolore conseguente all’intervento porta ad un ristagno di muco all’interno
delle vie aeree, questo ristagno poi porta ad atelettasia, infatti questi pazienti vengono seguiti con
numerose radiografie per valutare questa condizione, l’atelettasia purtroppo si può infettare e
dare numerose problematiche, a questo scopo è molto utile effettuare anche una bonifica del cavo
orale, per evitare appunto che ci possa essere una traslocazione di questi microrganismi a livello
polmonare con le susseguenti problematiche;
4. emogasanalisi, ci consente di vedere una ventuale acidosi o alcalosi, ma principalmente qui è utile
nel dubbio che ci sia una disfunzionalità respiratoria perchè ci permette di valutare anche la
pressione parziale di ossigeno e di anidride carbonica; se poi si nota che il pz ha una pressione di
ossigeno bassa e alta di anidride carbonica si inserisce il respiratore al pz;
5. valutazione cardio-vascolare, in particolare l’ecocardio che ci consente di vedere la frazione di
eiezione ventricolare (FEV), è indispensabile che questa sia buona;
6. funzionalità epatica, valutando gli enzimi epatici, le pseudocolinaesterasi che consentono di
smaltire i gas anestetici nel post-operatorio ma sono un importante indice di funzionalità epatica,
così come i livelli di colesterolo, il tempo di coagulazione, i livelli di albumina ecc.
7. funzionalità renale, valutando la creatininemia (o,8-1,2) e la clearance della creatinina, essa deve
essere buona visto l’entità e la difficoltà dell’intervento. Ovviamente è altrettanto fondamentale
valutare la diuresi nel post-operatorio perchè una IRA si può manifestare inizialmente con oliguria
o addirittura anuria e se ci si accorge che ci sono problemi nella diuresi è necessario stimolarla
immediatamente per evitare ischemia renale e necrosi tubulare acuta.
8. profilo glicemico, ovviamente l’iperglicemia è disastrosa per un intervento chirurgico data la
elevata possibilità di complicanze infettive (i microrganismi si nutrono di questo glucosio) e quindi
è possibile che la stessa ferita cirurgica si infetti nel post-operatorio.
9. riserva ematopoietica, in modo tale da poter corregerla in vista dell’intervento trasfondendolo e
richiedere le unità necessarie per le perdite ematiche intraoperatorie; in alcuni casi, soprattutto se
i pz sono in condizioni comunque accettabili, si possono fare dei programmi di autotrasfusione.
Clinica Chirurgica – 27.11.2018 – Prof. Sammarco
Quello che veniva fatto in passato erano gli interventi di by-pass, non veniva nemmeno aperto il torace
però c’era il problema che oltre alla malnutrizione (che si può provocare anche con una digiunostomia, con
una j-peg, con una procedura meno invasiva), c’è anche il problema della saliva: se c’è un carcinoma
avanzato completamente ostruttivo, questi pazienti muoiono poi per ab ingestis perché l’esofago si riempie
di saliva la notte, hanno questi ab ingestis ripetuti e poi polmoniti fino all’ascesso polmonare.
In ogni caso dobbiamo garantire la migliore qualità di vita.
Sicuramente la dilatazione mediante endoprotesi è la prima scelta,non ci sono dubbi e abbiamo detto
anche per il trattamento della fistola esofagea.
Se invece non riusciamo neanche così, allora sono giustificati alcuni interventi di minima di by-pass; ciò
significa che senza aprire il torace, quindi sottocutanea o retro sternale, si fa un by-pass con un segmento di
intestino lasciando il tumore là, permettendo alla saliva di defluire.
Si parla sempre di pz che hanno 4-5 mesi di vita, quindi questi interventi vanno esaminati solo in casi
estremi se non si riesce con le procedure endoscopiche a risolvere il problema, cosa che invece oggi si
risolve benissimo in una grandissima % dei casi.
Si è parlato dell’importanza della lunghezza dell’organo
ENTITA’ DI RESEZIONE ESOFAGEA
in vitro e in vivo, e quindi i margini di resezione che
Retrattilità dell’organo devono essere non inferiori a 4 cm quando l’esofago è
Margini di sicurezza: 8 cm a monte e a in vivo, ma almeno 8 cm in vitro, perché gli 8 cm poi si
valle retraggono e diventano 4.
Margine minimo: in vivo 4 cm
Questa (Figura 1) è una esofagectomia totale, dove distinguiamo il
tumore, la linea Z e dove abbiamo solo una piccola parte superiore dello
stomaco, ossia una resezione polare superiore. Si tratta di un
adenocarcinoma del cardias, è un Siewert 1. Vedete il tumore a soli due
cm dalla zed line.
Quindi le arcate vascolari normali di uno stomaco sono lungo la grande e lungo la piccola curvatura e sono
in continuazione tra loro a metà stomaco, le leghiamo sopra e con il flusso di sotto le teniamo in vita. Per
cui quel segmento di stomaco che noi andremo a prendere, è un segmento vascolarizzato.
Questo vale per tutti i segmenti che verranno utilizzati, perché se non è vascolarizzato il segmento che
viene preso, succede che va in necrosi; lo stesso discorso vale per esempio se si vuole utilizzare un tratto di
ansa intestinale.
Questa è un’arcata vascolare (in riferimento alla figura 4) , c’è un’arteria ed una vena che fanno questa
arcata in continuazione tra loro per tutto l’intestino, quindi noi andiamo ad interromperla lungo le linee
tratteggiate, però vedete che grazie queste anastomosi vascolo – vascolari questa parte rimane
vascolarizzata. Questo è quello che facciamo soprattutto nelle sostituzioni dopo gastrectomia totale.
Nell’esofago teoricamente si potrebbe prendere questo tratto di intestino che è abbastanza lungo e si
prende sulla terza arcata vascolare e portarlo sopra e fare un’anastomosi dopo aver resecato l’esofago. È
possibile farlo sulla parte distale tra l’intestino e lo stomaco, se lo lasciamo, altrimenti è possibile togliere
anche lo stomaco e portare un’ansa a Y e fare un’esofagogastrotomia, ma diciamo che è un’ipotesi
abbastanza remota.
Il difetto di questa trasposizione è che essendo queste arcate vascolari non di grosso calibro, quando le
andiamo a portare sopra, in genere si va a creare una sofferenza soprattutto sull’arcata vascolare venosa,
per cui queste anse in genere diventano nerastre quindi poi le anastomosi non tengono bene.
Un’altra possibilità che abbiamo è quella di prendere un
pezzo di colon: queste sono le arcate vascolari di Riolano,
dove c’è la mesenterica superiore e la mesenterica inferiore.
Vedete come tutto il colon ha queste arcate marginali che
comunicano tutte tra loro; per intenderci, se io vado a
chiudere un vaso, attraverso queste arcate il colon rimane
irrorato lo stesso.
Se noi volessimo prendere un pezzo di colon, potremmo legare l’arteria sigmoidea quindi partiamo da qua
che è ancora vascolarizzato e arriviamo alla colica media, si chiude qui, la colica media continua a
vascolarizzare questa parte e ci prendiamo tutto questo pezzo di colon sulla colica di sinistra, che è un ramo
della mesenterica inferiore.
Facendo così riusciamo a portare su tutto questo pezzo; la continuità intestinale sotto la ristabiliamo con
un’anastomosi termino terminale sul colon e quindi abbiamo tutto questo pezzo di colon mediante il quale
possiamo anastomizzare lo stomaco e l’esofago che rimane a livello cervicale.
Riassumendo le plastiche che possiamo fare sono con lo stomaco, con l’intestino e con il colon.
Plastiche significa che sostituiamo l’esofago con un pezzo di questi sostitutivi.
All’inizio qualcuno aveva iniziato a fare come si fa per le strutture vascolari: es. per l’aneurisma dell’aorta
addominale si reseca l’aneurisma e si fa un innesto, cioè si prende una protesi che in genere è di un
materiale che si chiama Dacron (è un materiale/tessuto molto poroso) e quindi la sostituiamo
completamente con questa protesi; però questa protesi viene immediatamente colonizzata dall’endotelio
vasale e si crea come se fosse un nuovo vaso ed essendoci il sangue che passa ad alto flusso, le anastomosi
che vengono fatte non mollano.
Per le arterie e le vene, questo discorso si può fare, ma per l’intestino/ lo stomaco, bisogna fare delle
plastiche con un materiale vivente e vitale, autoplastico (quindi dello stesso paziente) che sia però ben
vascolarizzato.
Si è provato a fare innesti con pezzi di intestino di cadavere, ma in questo caso si comprende come oltre al
problema del rigetto, parliamo anche di tessuti che sono andati in necrosi e quindi non servono a un
granché. Si è provato ad utilizzare tubi in teflon ma sono stati rigettati, qualcosa che si è fatto a livello
cervicale laddove era molto alta l’anastomosi, quindi non era possibile eseguire la plastica con il colon,ecc.,
sono stati utilizzati dei lembi vitali (quelli che usano i plastici), i lembi di scorrimento, accartocciati a tubo
con l’epidermide all’interno come fosse mucosa stratificata e poi eseguita anastomosi dal rinofaringe e
l’esofago retrosternale.
Sono stati fatti anche degli autotrapianti, si è preso un pezzo di intestino con arteria e venula, e fatti degli
innesti di microchirurgia andando ad innestare l’arteria sulla tiroidea inferiore e la venula direttamente
sulla giugulare. Grandi risultati non sono stati conseguiti, per grossi problemi nel post operatorio per
filtrazioni anastomotiche.
L’anastomosi intratoracica è più a rischio, perché se perde, se filtra, va direttamente nel mediastino e la
mediastinite è una possibilità terribile, perché a differenza della peritonite che ti da la possibilità di
intervenire con dei tubi di drenaggio, la mediastinite se non si interviene entro 12 ore può portare a morte.
Invece se filtra l’anastomosi cervicale, può essere inserito un drenaggio a livello cervicale (come d’altronde
viene messo a livello toracico), ma quello che succede è che in genere prende la strada esterna, cioè la
filtrazione esce sul tegumento del collo, quindi si fa una fistola cutanea che col tempo si chiude, ma
soprattutto non c’è contaminazione.
Caso clinico: pz cha ha subito esofago plastica cervico – mediastinica posteriore che aveva stenosi da
caustici, in cui era stato preso per forza il colon perché con l’assunzione dei caustici da ragazzina, si era
bucato anche lo stomaco ed era stato necessario effettuare anche una resezione gastrica.
LINFOADENECTOMIA
Sul valore predittivo curativo della linfoadenectomia è stato già detto: ha un valore predittivo sicuramente
per la ratio linfonodale, più linfonodi vengono presi meglio è per stadiare la malattia e soprattutto si è in
grado di dire se quel paziente andrà meglio di quell’altro o peggio; valore curativo non nel senso della
sopravvivenza del pz in quanto tale, ma nel senso della diminuzione delle recidive loco regionali, cioè più
linfonodi togliamo più è facile che non ci sia una recidiva in loco.
LINFOADENECTOMIA ADDOMINALE
Per i tumori bassi soprattutto, quindi III inferiore e per i tumori del cardias, dovremo fare una
linfoadenectomia addominale. Bisognerà asportare i linfonodi compresi tra l’ilo della milza, lo iato
esofageo, il legamento epato – duodenale o piccolo omento (lungo il quale decorrono la vena porta,
coledoco e l’arteria epatica), l’arteria gastrica destra, il margine superiore del pancreas inferiormente e
l’aorta addominale posteriormente: si tratta della cosiddetta linfoadenectomia D2, poi vedremo che c’è la
D2 allargata e la D3, mentre la D1 prende solamente i linfonodi regionali.
Considerate la complessità di questo intervento. Se vogliamo fare un discorso radicale dobbiamo ragionare
in questi termini.
NEOPLASIE SOPRACARENALI
NEOPLASIE SOTTOCARENALI
Linfoadenectomia cervicale in questo distretto non è necessaria: andare a fare uno svuotamento funzionale
cervicale per un tumore sottocarenale non è indicato.
Linfoadenectomia standard invece andrà sicuramente eseguita. Totale ed allargata invece cambia in base
all’approccio, anche dal punto di vista della via d’accesso.
In un congresso di vent’anni fa a cura della società internazionale della laparoscopia esofagea, i giapponesi
presentarono delle statistiche incredibili, dicendo che anche per il tumore del III inferiore dell’esofago,
eseguivano la three – field (linfoadenectomia totale + cervicale). Presentando studi randomizzati e curve di
sopravvivenza, dissero che la loro sopravvivenza risultava superiore a quella raggiunta in Europa o negli
USA. Questi risultati ponevano per il lasciare ogni trattamento conservativo, mentre a uno degli ultimi
congressi si è ribadito l’approccio del III inferiore trans – iatale, linfoadenectomia standard con
sopravvivenza sovrapponibile a quella riportata dai giapponesi anni addietro.
Se ne può concludere che sia inutile sottoporre il paziente ad un intervento altamente invasivo se si può
ottenere lo stesso risultato con un intervento meno demolitivo.
VIE DI ACCESSO
Toracotomia dx
La toracotomia sinistra permette di arrivare solamente a livello della carena, perché a sinistra si ha
l’arco aortico e il cuore, non si può dunque passare da dietro a prendere l’esofago.
Toraco – freno – laparatomia: incisioni che partono dall’addome (laparatomia) e incidendo il
diaframma entrano nello spazio intercostale interrompendo l’arcata costale cartilaginea, dove sono
saldate le ultime coste, dominando così sia l’addome che il torace con un’unica incisione. Questa
tecnica, che in genere si fa a sinistra, consente ugualmente di andare solamente ad operare al di
sotto della carena e quindi effettuare una linfoadenectomia che va al di sotto della carena.
Nell’eseguire questo intervento bisogna stare molto attenti all’incisione diaframmatica, perché il
diaframma è innervato dal nervo frenico il quale dal livello cervicale, decorre posteriormente allo
scaleno anteriore, entra in mediastino, decorre lateralmente ai pericardi e poi va a innervare a
“zampa d’oca” il diaframma. Perciò andando a incidere la cupola diaframmatica, si può rischiare di
incidere in frenico e se si provoca una paresi diaframmatica, il pz avrà un post operatorio grave e
probabilmente non riuscirà a staccarsi dal respiratore automatico e si potrà avere atelettasia,
polmoniti, ecc.. Bisogna dunque incidere la cupola perifericamente, in modo da non ledere le fibre
diaframmatiche. Questo è comunque un intervento che non viene più eseguito.
Laparotomia: ha permesso di soppiantare la tecnica precedente, soprattutto per i tumori inferiori,
sottocarenali. Si entra in laparatomia perché bisogna effettuare la resezione apicale di stomaco, la
linfoadenectomia D2 e preparare lo stomaco o il colon per andare a ricostruire. Una volta lì è
possibile fare, come Pinotti, un’incisione sui pilastri diaframmatici, aprendoli a T, entrando
direttamente.
Attualmente con la laparoscopia si riesce addirittura per via trans – iatale, quindi senza neanche
aprire lo iato, preparandosi e staccando l’esofago, entrare dentro e operare.
Toracoscopia da sinistra: altra alternativa conservativa. La toracoscopia sta alla toracotomia come
la laparoscopia sta alla laparatomia. Allo stesso modo in cui operiamo in addome, è possibile
operare in torace mediante dei trocars, nei quali si inseriscono gli strumenti che permettono di
operare.
Oggi quindi laparatomia soppiantata da laparoscopia o addirittura da toracoscopia, come approccio
altamente conservativo.
Cervicotomia: continua a conservare la sua utilità per gli accessi dei tumori alti del torace e in quel
caso non ci sono alternative.
Dunque l’atteggiamento culturale chirurgico degli ultimi anni è quello di prediligere una chirurgia
mininvasiva, che vada a eseguire meno incisioni possibili, più piccole e che siano più sopportabili per il pz.
Con i devices che si hanno attualmente (bisturi ad ultrasuoni, elettrici, bipolari, ecc.), si può operare come
se si fosse in open, ma molti anni fa quando si è iniziato a fare tutte queste cose, questi devices non c’erano
e un intervento di esofagectomia totale che con il taglio di Ivor – Lewis, con laparatomia e cervicotomia, si
faceva in 6 – 8 ore, i giapponesi, che sono comunque stati sempre i primi, arrivavano anche a 14 ore in
laparascopia.
Questo per il pz, anche dal punto di vista anestesiologico, diventa un rischio poco accettabile.
Adesso invece la differenza tra le curve di durata degli interventi si è ridotta in maniera sensibilissima, si
parla di un’ora e mezza di differenza. Il problema è che ci vuole il chirurgo che sia in grado di operare in
laparoscopia, perché, come la toracoscopia, ha bisogno di una curva di apprendimento molto lunga, molto
importante e non tutti i centri sono in grado di eseguirla. Devono esserci dei centri dedicati a questo tipo di
chirurgia.
TECNICHE DI RICOSTRUZIONE
Una volta tolto l’esofago e parte dello stomaco, adesso bisogna ricostruire.
Lo stomaco in toto non può essere portato perché è come se ci fosse un’ernia iatale di grandi dimensioni, ci
sarebbe una sindrome da occupazione.
L’esofago è 1/5 dello stomaco, quindi sicuramente dal punto di vista della qualità di vita post – operatoria è
preferibile non utilizzare lo stomaco, ma ricorrere invece alla metodica che consente di fare questi tubi
gastrici che vengono portati su per eseguire la ricostruzione.
CASO CLINICO
PLASTICHE
Questi erano gli interventi che venivano fatti prima di by – pass, quando
tutto il torace era preso dal tumore e non c’era nessuna indicazione ad
aprire il torace.
Questo discorso è possibile farlo quando l’altezza del pz lo permette, quindi toraci piccoli, dove è possibile
liberare sia da sopra che da sotto l’esofago, ma in un soggetto alto lo stripping non è attuabile.
CASO CLINICO
Riguardo l’irrorazione del colon abbiamo avuto un caso veramente allarmante in una pz con claudicatio
intemittens abdominis, quindi dolore ischemico, in questo caso riferito all’addome. Questa si manifesta
subito dopo l’assunzione di cibi pesanti, quindi l’apparato intestinale richiede un impegno dal punto di vista
vascolare. Il pz presenta dolore e ha paura a mangiare, per cui il pz dimagrisce.
Chiamano in consulenza per questa paziente dalla gastroenterologia e una volta presa in carico la prima
cosa da fare in sospetto di claudicatio è effettuare una Angio – TC.
La pz presentava ostruzione di tutta la mesenterica superiore e tutta la mesenterica inferiore, e non era
morta! Solitamente in un caso del genere, si ha un infarto intestinale massivo. Evidentemente tutto ciò era
avvenuto nell’arco del tempo con molta lentezza.
Eseguita anche una colonscopia, l’immagine che ne risultava era classica della colite ischemica, con questo
colon biancastro, senza reticolo vascolare sottomucoso.
È stato chiesto al radiologo interventista di disostruire per via angiografica, perché chirurgicamente non era
possibile asportare tutto l’intestino, ma anche lì era tutto murato. La pz sopravviveva grazie a un flusso
retrogrado che le derivava dalla ipogastrica attraverso le emorroidarie media e inferiore. Chiaramente si
trattava di un equilibrio precario.
Anche il chirurgo vascolare non è stato in grado di intervenire perché non era possibile avere il run – off e il
run – in.