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LINEE GUIDA

NEOPLASIE DEL POLMONE


2020

del tasso di sopravvivenza a 3 anni (3-years OS rate): 41% versus 26% (p = 0.024) rispetto alla

combinazione carboplatino-paclitaxel. Dal confronto è emerso un profilo di tollerabilità sovrapponibile tra i

2 regimi di combinazione, con un incremento delle polmoniti associate alla radioterapia in favore del braccio

carboplatino e paclitaxel (G ≥2 33.3% versus 18.9% p = 0.036), ed un aumento delle esofagiti severe nel

braccio ciplatino ed etoposide (G≥3 20.0% versus 6.3% p = 0.009).

Lo studio PROCLAIM è un trial randomizzato di fase III che ha confrontato la combinazione di cisplatino ed

etoposide versus un regime a base di cisplatino e pemetrexed, nei pazienti con NSCLC ad istologia non

squamosa, con OS come obiettivo primario [229]. Lo studio, che ha incluso 555 pazienti, è stato interrotto in

anticipo per futilità, evidenziando un beneficio analogo in termini di sopravvivenza fra i 2 bracci di

trattamento (OS: 26.8 versus 25.8 mesi, HR 0.98; 95% CI, 0.79 – 1.20, p = 0.831), confermando però una

significativa riduzione delle tossicità di grado 3 e 4 in favore della combinazione cisplatino e pemetrexed

(64.0% versus 76.8%; p = 0.001).

Limiti: imprecisione delle stime per alcuni esiti

Bilancio beneficio/danno: Alla luce delle evidenze descritte il bilancio tra i benefici e i danni sembra

favorevole a un trattamento chemioterapico a base di platino in associazione alla radioterapia, in pazienti con

NSCLC in stadio IIIA/IIIB non resecabile o IIIC.

Qualità Globale Forza della


Raccomandazione clinica
delle evidenze raccomandazione

Nei pazienti con NSCLC in stadio IIIA/IIIB non resecabile, o


IIIC, una chemioterapia a base di platino dovrebbe essere presa
Moderata Positiva forte
in considerazione come opzione terapeutica di prima scelta in
associazione al trattamento radioterapico.
COI: nessun conflitto dichiarato

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NEOPLASIE DEL POLMONE
2020

QUESITO 9 GRADE: Nei pazienti affetti da NSCLC in stadio III non resecabile, in risposta o stabilità di
malattia dopo trattamento chemio-radioterapico a dosi radicali e con espressione di PD-L1 sulle cellule
tumorali superiore o uguale a 1%, una terapia di consolidamento con durvalumab è raccomandata rispetto
all’osservazione?

RACCOMANDAZIONE:
Nei pazienti affetti da NSCLC in stadio III non resecabile, in risposta o stabilità di malattia dopo trattamento
chemio-radioterapico a dosi radicali, e con espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali superiore o uguale a
1%, una terapia di consolidamento con durvalumab della durata di 12 mesi dovrebbe essere presa in
considerazione come opzione terapeutica di prima scelta.
Forza della raccomandazione: Positiva forte
Motivazioni/Commenti al bilancio Beneficio/Danno:

Lo studio di fase III “PACIFIC” è un trial di randomizzato in doppio cieco, multicentrico, che ha incluso 713
pazienti con performance status 0-1, affetti da NSCLC localmente avanzato (stadio III non resecabile secondo
TNM versione 7), in risposta o stabilità di malattia dopo un trattamento di chemio-radioterapia concomitante
(almeno 2 cicli di chemioterapia a base di platino concomitanti alla radioterapia) ad intento radicale (dose
totale di radioterapia compresa tra 54 e 66 Gy). I pazienti venivano randomizzati, in un intervallo temporale
compreso tra 1 e 42 giorni dall’ultima dose di radioterapia, a ricevere un trattamento immunoterapico con
durvalumab o placebo (2:1) 10 mg/kg e.v. ogni 2 settimane sino a un massimo di 12 mesi di trattamento. I
due endpoint primari erano PFS e OS. Il tempo alla progressione è stato valutato da un Comitato di revisione
centrale indipendente in cieco, secondo i criteri RECIST v1.1.
Alla prima analisi ad interim pianificata, la PFS è risultata significativamente superiore nei pazienti trattati
con durvalumab rispetto al placebo (PFS mediana: 16.8 mesi versus 5.6 mesi, HR 0.52, IC 95% 0.42-0.65, P
= 0.001). Gli eventi avversi di grado 3 e 4 sono stati solo lievemente più frequenti nel braccio durvalumab
(29.9% versus 26.1%), così come gli eventi avversi che hanno portato a una sospensione dal trattamento
(15.4% versus 9.8%) [230].
Dopo un follow-up mediano di 25.2 mesi, la sopravvivenza globale nella popolazione generale è risultata a
favore del braccio di immunoterapia con durvalumab (OS mediana: non raggiunta versus 28.7 mesi, HR 0.68,
95% IC: 0.53-0.87; tasso di sopravvivenza a 2 anni: 66.3% versus 55.6%, P = 0.005), così come pure il dato
aggiornato di PFS (HR 0.51, IC 95% 0.41-0.63, P = 0.001) [231]. Un’analisi per sottogruppi pre-pianificata
ha inizialmente dimostrato un vantaggio in sopravvivenza in favore del durvalumab indipendentemente dai
livelli espressione di PD-L1 al cut-off prestabilito del 25%, misurato su tessuto d’archivio, disponibile nel
63% circa dei pazienti: cut-off ≥ 25% (HR, 0.46) e cut-off < 25% (HR, 0.92). Sulla base di questi dati il
durvalumab è stato approvato da FDA come terapia di consolidamento in pazienti con NSCLC in stadio III
non resecabile, in risposta o stabilità di malattia dopo trattamento chemio-radioterapico a dosi radicali,
indipendentemente dai livelli di espressione tumorale del PD-L1.
Una successiva analisi esplorativa post-hoc non pianificata, richiesta dalle autorità regolatorie europee
(CHMP), volta ad esplorare il ruolo predittivo del PD-L1 ad un cut-off diverso da quello pre-stabilito (cut-off:
1% versus 25%), ha tuttavia evidenziato una correlazione significativa tra i livelli di espressione del PD-L1 e
il beneficio in sopravvivenza nei pazienti trattati con durvalumab: cut-off ≥ 1% (HR, 0.53) e cut-off < 1%
(HR, 1.36). Sulla base di tali evidenze il durvalumab è stato approvato prima dall’EMA (settembre 2018) e
successivamente dall’AIFA (con determina del Dicembre 2018) come terapia di consolidamento dopo
trattamento chemio-radioterapico ad intento radicale nei pazienti in stadio III con espressione di PD-L1 ≥ 1%.
Al congresso ESMO 2020 è stato presentato l’aggiornamento a 4 anni dello studio, che conferma un beneficio
clinicamente rilevante e duraturo in termini di sopravvivenza nei pazienti trattati con durvalumab con una OS
mediana di 47.5 mesi, raggiunta per la prima volta, rispetto ai 29.1 mesi del braccio di controllo (HR: 0.71,
95% IC: 0.57-0.88), e una PFS del 35.3% versus 19.5%, rispettivamente. L’aggiornamento della
sopravvivenza sulla base dei livelli di espressione del PD-L1 conferma un beneficio significativo
limitatamente al sottogruppo di pazienti con PD-L1 ≥ 1%, seppur l’espressione immunoistochimica di tale
biomarcatore sia stata valutata solo nel 63% dei pazienti inclusi nello studio [232].

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