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“In una zona, dove risulta denunciata la scomparsa di due persone, è stato rinvenuto un femore umano.

L’A.G. ha disposto l’accertamento tecnico finalizzato all’identificazione genetica del resto cadaverico e alle
conseguenti comparazioni. Descriva il candidato l’iter procedurale da seguire, con riferimento ai profili
normativi e alle metodiche tecniche; al fine della identificazione genetica della persona a cui la traccia è
riferibile.”

La genetica forense è una disciplina che può avere diverse finalità nell’ambito giudiziario, sia penale che
civile, come l’individuazione personale, l’accertamento o l’esclusione di paternità, il riconoscimento di resti
cadaverici o la fenotipizzazione. Per ogni scopo, le analisi da eseguire sui reperti possono essere
relativamente differenti, ma la conditio sine qua non affinché il risultato finale sia attendibile è la
documentazione della catena di custodia. Tale procedura rientra come postulato dell’art. 360 c.p.p. sugli
accertamenti tecnici irripetibili e comprende la documentazione foto e/o videografica di tutti gli step e i
passaggi che una fonte di prova biologica oggetto di indagine ha subito dalla fase iniziale, ossia dal primo
sopralluogo, sino all’arrivo in laboratorio e alla sua analisi, finemente standardizzata. È fondamentale,
quindi, che il reperto sia in ogni momento rintracciabile per assicurare la bontà del lavoro svolto dagli
operatori e accertare che ci si sia attenuti ai protocolli di settore imposti, fornendo, anche in caso di future
revisioni, la prova della mancanza di contaminazione operativa e, quindi, un significativo valore probatorio
al risultato dell’analisi del reperto stesso.

Quando ci si approccia ad una scena del crimine risulta di fondamentale importanza il corretto svolgimento
del sopralluogo, un complesso di attività svolte dalla polizia giudiziaria volte a individuare, fissare,
raccogliere e conservare ogni possibile fonte di prova che si pensi possa essere collegata al reato. Questa
serie di attività trova il suo riferimento normativo negli articoli 55 e da 347 a 357 del Codice di Procedura
Penale.

I resti scheletrici possono essere sia ossa che denti e sono un’importante fonte di informazioni. Dall’analisi
di un resto scheletrico si può capire, ad esempio, se questo sia umano o animale, si può risalire all’epoca
della morte, al sesso e all’età dell’individuo al momento della morte, alla sua etnia, statura, costituzione
corporea e facciale e si può ricavare il suo profilo genetico, consentendo quindi anche la ricostruzione dei
rapporti di parentela. È importante sottolineare, però, che l’identificazione di resti scheletrici provenienti
da disastri di massa di varia natura può essere estremamente difficoltosa, in quanto il più delle volte
risultano frammentati e mescolati ad altri resti scheletrici non umani e/o detriti di altra natura. Proprio per
questo motivo l’analisi morfologica deve essere affiancata da quella molecolare.

Nel caso in cui, in una zona dove risulta denunciata la scomparsa di due persone, venga rinvenuto un resto
scheletrico, come un femore, durante il sopralluogo gli agenti della polizia giudiziaria devono repertarlo in
maniera adeguata, annotando e fotografando tutte le caratteristiche del sito di deposizione e la posizione
del resto, utilizzando scrupolosamente tutti i necessari dispositivi di protezione individuale durante la
raccolta, lasciando associati i resti anatomicamente uniti e disponendoli negli appositi contenitori
antimanomissione etichettati, annotando tutte le informazioni utili.

Se l’A.G. ha disposto l’accertamento tecnico finalizzato all’identificazione genetica del resto cadaverico e
alle conseguenti comparazioni, il reperto collezionato deve essere invitato al laboratorio forense, nel quale
gli operatori procederanno all’analisi morfologica e all’estrazione e amplificazione del DNA per ricavarne il
profilo genetico. Le procedure più utilizzate in caso di persona scomparsa e di ritrovamento di un resto
cadaverico sono le comparazione del profilo ricavato dal reperto con: il profilo della persona scomparsa
proveniente da campioni procurati ad esempio da uno spazzolino da denti o un pettine; il profilo di un
parente con lo scopo di ricostruire il genotipo dell’individuo scomparso; i profili presenti nella banca dati
nazionale del DNA.
I laboratori forensi sono laboratori necessariamente accreditati da un ente di accreditamento specifico
secondo la normativa ISO/IEC 17025 che attesta la qualità dei dati che fornisce. Questa qualità è assicurata
da specifiche procedure, eseguite in adesione alle linee guida nazionali e internazionali, in particolar modo
le linee guida rilasciate dall’ENFSI.

Nel momento in cui il reperto arriva in laboratorio, deve essere fotosegnalato e le operazioni tecniche,
eseguite sia su di esso che sulle tracce campionate da esso, vengono documentate su specifici registri, in
modo tale da dimostrare l’assenza di manomissione e, quindi, il rispetto della catena di custodia.

Le prime analisi che vengono effettuate sono quelle anatomiche, macroscopiche e microscopiche, ovvero a
livello istologico, che permettono di capire se il reperto in questione sia o meno un femore e se sia o meno
umano. Esistono infatti caratteristiche macroscopiche, come la morfologia o l’organizzazione dell’osso, e
istologiche, come la disposizione delle fibre collagene, permettendo di attribuirle con certezza o a un essere
umano o a un animale.

Successivamente si passa all’analisi molecolare. Prima di procedere all’estrazione del DNA, bisogna
eliminare tutte le componenti esterne potenzialmente contaminanti tramite abrasione, trattamento con
UV e con ipoclorito di sodio, poi si taglia una porzione di campione e la si disgrega. L’estrazione del DNA
viene effettuata in un locale dedicato con procedure standardizzate e per lo più automatizzate, per ridurre
al minimo le possibilità di errore e di contaminazione. Esistono diversi metodi di estrazioni, come il metodo
organico, il metodo chelex, il metodo con le biglie, ma tutti prevedono tre fasi fondamentali: lisi delle
cellule, separazione del DNA dalle altre componenti cellulari e purificazione.

Il DNA estratto deve essere poi quantizzato. Il metodo elettivo è la Real-Time PCR effettuata con le sonde
TaqMan, che saranno diverse e specifiche per valutare, oltre alla quantità di DNA totale, anche il
quantitativo di DNA prettamente maschile, il suo stato di degradazione e l’eventuale presenza di inibitori
della reazione di amplificazione.

Lo step successivo è l’amplificazione mediante la metodica della PCR. Il DNA dell’uomo è identico per circa
il 99,9%, quindi con la genetica forense si sfrutta questo 0,1% di differenza per individuare la persona da cui
proviene una traccia. Le differenze utilizzate in genetica forense sono i polimorfismi, ovvero variazioni della
sequenza del DNA presenti in più dell’1% della popolazione. I polimorfismi più utilizzati sono quelli di
lunghezza autosomici, in particolare i microsatelliti o STR (Short Tandem Repeat), i quali sono delle
sequenze ripetute di DNA non codificante costituite da unità di ripetizione molto corte (1-5 bp) disposte
secondo una ripetizione in tandem. Il polimorfismo consiste nel differente numero di ripetizioni dell’unità
ripetitiva, il quale può essere più o meno variabile a seconda del suo tasso di mutazione, portando alla
formazione di un elevato numero di alleli che saranno presenti in diverse percentuali nella popolazione.
Questo rende il sistema dei loci STR un sistema multiallelico con un’elevata variabilità e quindi capacità di
discriminazione. Nel 1999 in Europa è stato selezionato un set standard europeo (ESS) di loci STR,
successivamente ampliato, fino ai 24 STR ad oggi utilizzati, ed entrato formalmente in uso nel 2009.

Con la tecnica della PCR si vanno, quindi, ad amplificare 24 loci STR e si valuta la loro lunghezza grazie
all’elettroforesi capillare, la quale determina il peso molecolare dei frammenti di PCR confrontando il
tempo necessario da questi ultimi per raggiungere la finestra esposta al laser rispetto a un marcatore
interno di riferimento, una molecola di dimensioni note. Al termine della corsa si otterrà un
elettroferogramma, ossia un grafico composto da una serie di picchi ordinati ognuno corrispondente ad un
locus STR di una specifica lunghezza. L’insieme dei 24 loci STR di specifiche lunghezze forma un profilo
genetico.

La stessa procedura verrà applicata ai campioni che dovranno essere confrontati con la traccia. La
combinazione di più loci STR abbassa la probabilità che, da un risultato di totale identità, la traccia possa
provenire da un individuo preso a caso dalla popolazione. Questa probabilità viene infatti calcolata con la
regola del prodotto, nella quale si moltiplicano le frequenze dei singoli loci STR presenti nella popolazione.

Il DNA estratto dal femore repertato potrà quindi essere confrontato o con DNA estratto da tracce
eventualmente presenti su oggetti in possesso della persona scomparsa, dalla cui comparazione dovrà
risultare una totale identità, o con DNA dei loro familiari, come i genitori o i fratelli, dalla cui comparazione
si dovrà avere un’identità del 50%.

Un diverso tipo di analisi che può essere sfruttata in questo contesto è quella che utilizza i marcatori di
discendenza: il DNA mitocondriale o gli STR del cromosoma Y. Infatti, per quanto riguarda il DNA
mitocondriale, questo viene ereditato quasi esclusivamente dalla linea materna, mentre il cromosoma Y
viene ereditato esclusivamente per via paterna, risultando quindi entrambi molto utili per la ricostruzione
della linea parentale di un campione ignoto per il quale non si può procedere ad un confronto diretto.

Il risultato delle analisi verrà infine riportato in termini di “likelihood ratio”, un valore numerico derivato dal
rapporto della probabilità che la traccia derivi effettivamente dal sospettato sulla probabilità che la traccia
provenga da un altro individuo sconosciuto presente nella popolazione. A questo valore si attribuisce,
infine, una valutazione verbale che può andare a supporto all’ipotesi di identificazione o di esclusione.

isola CpG è: associate al 5' dei geni sono più lunghe di 500 bp con un contenuto di GC >55% e con un
rapporto di CpG osservati/attesi maggiore di 0,65

A differenza dei siti CpG nella regione codificante di un gene, i siti CpG nelle isole CpG dei promotori non
sono metilati se i geni sono espressi. Questa osservazione ha portato alla formulazione dell'ipotesi secondo
cui la metilazione dei siti CpG nel promotore di un gene possa inibire la sua espressione. La metilazione,
così come la modificazione istonica, è un fenomeno di vitale importanza nell'imprinting.[5] Le isole CpG
tipicamente si trovano presso il sito d'inizio della trascrizione, soprattutto nei geni housekeeping

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