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Cominciamo a parlare della funzionalità del pancreas, ed oggi in particolare, del pancreas esocrino.
Il pancreas è quest’organo la cui testa si incunea in questa “C” formata dal duodeno, ed il corpo (o
coda) si allunga, libero nelle anse intestinali.
Ci occuperemo della parte esocrina quindi della parte delle cellule acinari che producono il succo
pancreatico, in particolare gli enzimi, insieme alle cellule del dotto che modificano il pH, con una
secrezione abbondante di bicarbonato, e producono muco utile per mantenere in forma inattiva gli
enzimi pancreatici fino a quando il succo non si riversa nel duodeno.
Di solito, le pancreatiti acute derivano dall’attivazione precoce degli enzimi all’interno delle
cellule acinari; naturalmente tale inappropriata inattivazione determina la lisi delle cellule con il
rilascio degli enzimi pancreatici e di tutto quello che c’è nella cellula in circolo. Questo può essere
rilevato anche a livello sierico, come avviene per il fegato quando si ha citolisi delle cellule
epatiche, la quale produce un innalzamento delle transaminasi.
Poi si possono riscontrare forme croniche, dove la problematica è “minore” ma essa perdura nel
tempo. La problematica principale è la sostituzione fibrotica del parenchima esocrino del pancreas,
cioè le cellule acinari vengono man mano sostituite da tessuto fibrotico. Ciò si accompagna ad una
serie di caratteristiche, che si vanno a valutare in medicina di laboratorio per distinguere
problematiche croniche da quelle acute:
Amilasi e Lipasi sono i due enzimi principali che sono valutati in medicina di laboratorio per la
diagnosi di pancreatite acuta. Sia per amilasi che per lipasi bisogna avere almeno una triplicazione
dei valori riscontrati rispetto al valore massimo di riferimento per fare una diagnosi positiva di
pancreatite acuta.
Amilasi1: la sensibilità (diagnostica del test) dell’amilasi è dell’85%: ciò significa che se dosiamo
l’amilasi in persone con sospetta pancreatite possiamo avere un 15% di pazienti Falsi Negativi
(cioè pazienti che sono affetti da pancreatite, ma che per il test rientrano nei valori di riferimento)
[la Sensibilità Diagnostica è la capacità del test di individuare la percentuale di affetti in un gruppo
di pazienti: se è dell’85%, perdiamo la capacità di discriminare come affetti un 15% di pazienti
effettivamente malati, dichiarandoli Falsi Negativi].
Inoltre vi è un altro problema per l’amilasi: esso è un enzima prodotto anche da altri distretti, come
le ghiandole salivari e da altri organi [intestino, tube di Falloppio, tiroide e leucociti]. Dunque
dosare l’amilasi non ci dice con certezza che si è in presenza di problema pancreatico, ma
potremmo essere in presenza di qualche altro problema. Ci sarà un modo per distinguere l’amilasi
pancreatica da quella di altri distretti ?
È possibile distinguere l’amilasi pancreatica da quella prodotta in altri distretti:
Il paziente sofferente di pancreatite in fase acuta non può sottoporsi a tutte queste indagini e sotto-
indagini per andare a capire se è effettivamente pancreatite: le linee guida, dicono, infatti, che basta
il dosaggio della lipasi (che è invece un enzima specifico del pancreas), e che l’ottenimento di
valori tre volte superiori a quelli di riferimento è sufficiente ad effettuare diagnosi di pancreatite
acuta. Tale dosaggio è molto più veloce e sensibile.
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: per test dell’amilasi si intende dosaggio dell’amilasi sierica.
In linea generale, è meglio soffrire di forme acute di pancreatiti, poiché come avviene per altri
organi che hanno un alto tasso rigenerativo come fegato ed appunto lo stesso pancreas, se
quest’ultimo è tenuto sotto stress rischiamo di creare infiammazione e favorire i processi di
proliferazione cellulare: se qualche cellula “scappa” al controllo, la pancreatite può esitare in cancro
e metastasi (e il cancro al pancreas è uno dei tumori che, oggi, per via dell’anatomia e della
posizione dell’organo, può sviluppare masse tumorali che neanche per via di problematiche di
malassorbimento spesso vengono diagnosticate tempestivamente, ma si rilevano solo in fase
avanzata in cui il tumore ha generato metastasi ed è di difficile trattamento).
Dunque, per quanto riguarda le pancreatiti acute, cosa si va a misurare? Si misura lipasi ed amilasi,
naturalmente tenendo presente che la lipasi è quella che conta maggiormente tra le due.
Abbiamo detto che nella fase acuta quello che succede di solito è o per attivazione precoce degli
enzimi pancreatici all’interno delle cellule o del dotto per via di ostruzione, o per cause genetiche, si
ha un fenomeno intenso, acuto appunto.
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: si intende dosaggio della lipasi sierica.
Le pancreatiti croniche, invece, non sono dovute a questa tipologia di problemi, ma possono
essere dovute ad altre problematiche, che portano a riduzione della sintesi di enzimi con minore
assorbimento dei nutrienti. Per quanto riguarda le analisi di laboratorio, se una persona lamenta lievi
dolori addominali e sintomi di malassorbimento, si possono fare diverse cose, alcune più semplici
altre meno.
Metodi invasivi - test della stimolazione secretiva: questo è il test che con più sicurezza ci
permette di fare diagnosi di pancreatite cronica, però è anche il test più invasivo e
complicato. Si effettua in centri attrezzati: per fare questo test si stimola la secrezione dei
succhi pancreatici e si prelevano direttamente questi succhi dal duodeno per valutarne la
concentrazione (questo tipo di test non è alla portata di tutti; la cosa che più comunemente si
fa nei laboratori è quella di valutare la concentrazione di alcuni enzimi nelle feci);
Metodi non invasivi – valutazione degli enzimi nelle feci: naturalmente gli enzimi che
vengono riversati nel duodeno, assolvono la loro funzione, e vengono escreti con le feci. Tra
i vari enzimi prodotti dal pancreas, quello che viene di solito dosato è l’elastasi, questo
perché è l’enzima che riesce ad essere escreto immodificato (mentre gli altri enzimi vengono
degradate, e la loro concentrazione può variare) e non subisce problemi di variazioni di
concentrazione: naturalmente se la sua concentrazione è diminuita, c’è qualche problema;
Risale al 1952 il primo lavoro che ha identificato come causa di pancreatite una componente
ereditaria: si ritrovò una famiglia con più di un
componente affetto da questa malattia. Queste
sono le condizioni dettate dalle linee guida per
definire la malattia familiare. Le pancreatiti
ereditarie sono pancreatiti acute ricorrenti o
croniche, con esordio precoce entro i primi 10
anni di vita (mentre nelle condizioni non
ereditarie l’esordio è più tardivo, perché
intervengono più gli altri fattori ambientali
(alcol, fumo etc.); nei casi ereditari c’è
ovviamente una predisposizione, una
componente genetica che facilità l’insorgenza
di questa patologia anche in assenza dei comuni
fattori etiologici, come alcool e droghe). È
presente familiarità, ovvero più di un
componente presenta la stessa patologia e di
solito l’esordio è lieve. Essendo soprattutto
patologie “croniche”, portano a calcificazioni e
poi a processi fibrotici.
Dati della Campania: incidenza di 3-10 casi ogni 100000 nati/anno, e in teoria porterebbe a 180-600
casi/anno solo in Campania. Chiaramente non è proprio così, se si consultano i registri annuali, i
casi registrati saranno sicuramente meno: questo può dipendere dalla variabilità della
predisposizione genetica, che quindi è un rischio di sviluppare la patologia che si concretizza con
l’azione di fattori ambientali; o dipendere dal fatto che una buona parte di questi pazienti rientrano
nel gruppo degli affetti da Fibrosi Cistica, che possono soffrire di questa patologia pancreatica.
La cronicità/ricorrenza della patologia porta ad un rischio 60 volte più alto che questi pazienti
sviluppino cancro del pancreas.
I geni che si utilizzano in medicina di laboratorio per fare diagnosi di pancreatite ereditaria:
SPINK1: codifica per una proteina che impedisce l’attivazione di tripsina dal
tripsinogeno. Se questo gene ha mutazione e non può assolvere a questa funzione, si ha
una maggiore attivazione della tripsina;
CFTR: questo è in collegamento con la Fibrosi Cistica, esercita il suo compito a valle
dell’attivazione della tripsina. CFTR è un canale che principalmente trasporta Cl- ma
anche HCO3- (bicarbonati) e serve a regolare il pH nei dotti pancreatici e nel duodeno; la
mancata funzione di CFTR e la deregolazione di questi equilibri porta ad una maggiore
attivazione del tripsinogeno.
Processo fisiologico di attivazione del tripsinogeno: il tripsinogeno viene trasportato nel lume
intestinale dove viene attivato da enteroproteasi attaccate all’epitelio intestinale. In condizioni
patologiche, se il tripsinogeno viene attivato aspecificamente interviene SPINK1 che ne blocca
l’azione, inattivandolo. Se SPINK1 non funziona, la tripsina attivata inizia la degradazione;
l’attività della tripsina può essere favorita da mutazioni inattivanti di CFTR. CFTR serve a regolare
il pH del succo pancreatico nel dotto pancreatico: il mancato equilibrio alcalino di questa soluzione,
derivato da inattivazione di CFTR, favorisce l’attivazione precoce della tripsina. Dunque ci sono
mutazioni di PRSS1 (gene per il tripsinogeno) che portano ad un’attivazione maggiore del
tripsinogeno in tripsina, e mutazioni che diminuiscono la degradazione della tripsina, e quindi è
come mantenere per più tempo la tripsina attivata e rischiare sempre l’auto-digestione.
L’ analisi molecolare di questi pazienti, e per questi geni, si fa quando si hanno pazienti con
pancreatite acuta ricorrente o cronica, quando si è in presenza di più affetti nella stessa famiglia
(familiarità), quando l’esordio è precoce e quando non si conoscono altri fattori scatenanti tale
patologia (pancreatite idiopatica).