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6Gastroenterologia #4 – 01/10/2015
Prof. Pier Alberto Testoni – Motilità gastro-duodenale, dispepsia, gastrite cronica e gastropatie.
S: Giorgia Albertini R: Giuseppe Dell’Anna
Il professor Testoni consiglia l’utilizzo del manuale di malattie del sistema digerente “Unigastro”,
nonostante vi siano dei punti di non convergenza tra le sue opinioni e quelle dei suoi colleghi.
Il prof consiglia inoltre di prendere parte ai seminari interattivi sui casi clinici.
1. MOTILITA' GASTRO-DUODENALE
Lo stomaco è un organo che ha il compito di ricevere quello che mangiamo, renderlo idoneo a passare il
piloro e al successivo assorbimento che avverrà nel piccolo intestino. Oltre ad una componente secretoria,
ha anche una componente motoria che si occupa dell’accoglimento e della lavorazione del cibo. Quando
parliamo di motilità gastrica e duodenale dobbiamo differenziare quella post prandiale, più importante e
di solito, quando compromessa, causa dei maggiori sintomi dispepiti, e quella interdigestiva, presente
nell’intervallo tra un pasto ed il successivo.
1.1 FASE POST PRANDIALE: digestione e svuotamento del contenuto gastrico in duodeno.
Durante la fase post prandiale, lo stomaco deve essere in grado di accogliere il cibo, ovvero il fondo
gastrico si espande in modo da non far aumentare la pressione intragastrica e generare una sensazione di
sazietà precoce, sintomo cardine della dispepsia (descritta nei dettagli in seguito). Il cibo inoltre, dev’essere
ben sminuzzato affinché i succhi gastrici possano aggredire e rompere i legami chimici delle componenti
fondamentali dei cibi, e poter così passare attraverso il piloro (diametro= 2 mm). È inoltre importante che vi
sia un corretto svuotamento gastrico (regolato dal feedback negativo duodenale), altrimenti viene percepita
una sensazione di ripienezza, tipica anche questa del paziente dispeptico.
Quando viene deglutito il bolo alimentare, si innesca il riflesso adattativo del corpo e del fondo gastrico:
avviene un’espansione dello stomaco lungo la grande curvatura, che si riflette prevalentemente nel corpo e
nel fondo gastrico senza coinvolgimento dell’antro, e fa in modo che si possa ingerire una grande quantità di
cibo. Questo è un meccanismo insito nella natura animale dell’uomo, infatti ci permette di percepire lo
stimolo di sazietà solo quando la parete gastrica raggiunge una certa distensione.
Questo meccanismo permette che ad un aumento di volume non segua un aumento della pressione
intragastrica. Se la parete si rilassasse poco a causa di un’eccessiva contrazione, il volume ingerito creerebbe
un precoce aumento di pressione che, quindi, genererebbe lo stimolo della sazietà.
I meccanismi alla base di questo rilasciamento adattativo sono legati a modulazioni indotte dalla distensione
della muscolatura liscia, a loro volta regolate da strutture vascolari e nervose intramurali, plessi nervosi e da
riflessi vago-vagali.
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Affinché il cibo venga aggredito dagli enzimi presenti nel succo gastrico (amilasi pancreatica-carboidrati,
lipasi pancreatica e linguale-acidi grassi, pepsina gastrica-proteine) per essere reso digeribile prima che arrivi
in duodeno, questo deve essere triturato e sminuzzato. Ciò avviene attraverso una serie di movimenti che
vanno dal corpo all’antro, a piloro chiuso, che generano un aumento di pressione, il quale fa letteralmente
“sbattere” il contenuto contro lo sfintere pilorico chiuso. La componente liquida e le particelle inferiori a
2mm passano comunque, mentre la componente solida resta nello stomaco, affinché possa esser resa idonea
al passaggio del piloro.
Fra le componenti del cibo vi sono le fibre, le quali non riescono ad essere distrutte in quanto non abbiamo
gli enzimi per digerire la cellulosa, componente fondamentale di quest’ultime. Questa quota di cibo resta
nello stomaco finché non viene svuotato il resto, in seguito si innesca il sistema motorio interdigestivo che
permette lo svuotamento definitivo dello stomaco.
Lo svuotamento cambia sia da persona a persona, sia per situazioni patologiche che possono alterare la
muscolatura intrinseca e sia per situazioni fisiologiche legate alla tipologia di cibo che si assume. Infatti, più
alto è il contenuto calorico e di grassi, più lento è il passaggio del contenuto gastrico in duodeno. Questo ha
un significato fisiologico, in quanto le lipasi devono avere il tempo di aggredire gli acidi grassi, altrimenti
avremmo steatorrea, ovvero la presenza di notevoli quantità di sostanze grasse non digerite nelle feci.
La mucosa duodenale è dotata di chemocettori (amminoacidi-Rs, carboidrati-Rs, lipidi-Rs, osmolarità-Rs e
pH-Rs) che percepiscono ciò che arriva, ed esercitano un controllo a feedback sullo svuotamento gastrico.
Un altro fattore che permette un corretto svuotamento gastrico è ovviamente la motilità, ci sono infatti
situazioni in cui abbiamo caduta di forza contrattile (gastroparesi) spesso associate ad ipotiroidismo o
diabete scompensato, e situazioni in cui la motilità è scoordinata, ma la capacità contrattile è conservata
(dispepsia funzionale a componente motoria).
Il ciclico alternarsi di MMC è bruscamente interrotto al pasto: la velocità di questo arresto (che avviene
simultaneamente a tutti i livelli dell’intestino) suggerisce che il meccanismo alla base di questo arresto sia
nervoso ed ormonale. In questo contesto si è osservato che gastrina e CCK (colecistochinina), ormoni
entrambi liberati in periodo prandiale, iniettati in vena, sono in grado di estinguere i MMC presenti a livello
gastrico e dell’intestino tenue superiore, ma non quelli ileali. Va segnalato che solo la presenza fisica di
alimenti nel tratto superiore del sistema gastroenterico interrompe i MMC, mentre la nutrizione parenterale
(somministrazione endovenosa di materiale nutritivo) non interrompe la motilità interdigestiva.
I MMC dipendono direttamente dal SNE (sistema nervoso mioenterico): la denervazione sia parasimpatica
sia simpatica non li blocca, mentre invece essi si arrestano quando raggiungono una regione in cui il SNE sia
stato interrotto. E’ ragionevole ritenere che il SNE dia inizio ai MMC dopo aver ricevuto un idoneo segnale,
la cui origine (nervosa o ormonale) non è però ancora chiara. Si è osservato che in coincidenza dell’inizio del
periodo di motilità interdigestiva- e quindi dei MMC- aumenta il livello ematico di motilina, ma non è
chiaro se questo sia la causa o solo un effetto di questo inizio.
2. DISPEPSIA
La dispepsia è una delle sindromi più frequenti che portano il paziente a consultare il medico, essa è quindi
causa di un’elevata spesa sociale. L’ampia diffusione dell’endoscopia ha portato all’evidenza che una
patologia organica responsabile di sintomi dispeptici è presente solo in una piccola percentuale di pazienti,
pertanto, l’uso appropriato delle metodiche diagnostiche in pazienti con dispepsia, rappresenta un banco di
difficile prova per il clinico. I sintomi che caratterizzano la sindrome dispeptica sono rappresentati da:
Gastroenterologia #4 – Testoni – Motilità gastro-duodenale, dispepsia, gastrite cronica e gastropatie. V: 1 4/13
• dolore o discomfort localizzati all’epigastrio, ma anche agli altri quadranti dell’addome superiore,
intendendo per discomfort una sensazione di fastidio che non raggiunge il livello di dolore;
• eruttazione, rappresentata dall’eccessiva emissione di gas proveniente dallo stomaco;
• sazietà precoce, consistente nella necessità di interrompere l’assunzione di cibo in seguito alla
sensazione di sazietà non appena iniziato il pasto, da non confondere con la ripienezza, definita in
seguito, e con l’anoressia o iporessia, rappresentata dall’assenza o dalla riduzione dell’appetito;
• ripienezza postprandiale, consistente nella sensazione prolungata di ristagno di cibo a livello delle
prime vie dell’apparato digerente dopo un pasto, consumato interamente e con appetito;
• nausea, consistente nella sensazione di imminente vomito;
• vomito, rappresentato dalla violenta emissione di contenuto gastrico associata alla contrazione del
diaframma.
È importante definire univocamente le varie forme di dispepsia. Per dispepsia si deve intendere quindi, un
complesso di sintomi che raggiungono un grado di severità o frequenza tali da portare il paziente a consultare
un medico. In tale accezione rientrano, pertanto, sia la dispepsia organica (c’è una malattia che sostiene
questa patologia, es. gastroparesi diabetica) sia la dispepsia funzionale (condizioni anomale con incerta
associazione con i sintomi, es. infezione da Helicobacter Pylori, gastriti croniche, anomalie motorie della
motilità gastrica, forma idiopatica). Per dispepsia non investigata si deve intendere quella forma di
dispepsia, sia di nuova insorgenza sia con manifestazioni ricorrenti, per la quale non sono state (o non sono
ancora state) effettuate indagini diagnostiche e quindi, non è stata (o non è stata ancora) posta una precisa
diagnosi di natura organica o funzionale. Vi è un’ulteriore distinzione in dispepsia acuta, di recente
insorgente e della durata di qualche giorno, e dispepsia cronica, caratterizzata da sintomi persistenti da
almeno tre mesi, la quale può essere ricorrente o continua.
Nella slide #3 presentata dal prof. Testoni a lezione (5 MD lecture dyspepsia), vi sono elencate una serie di
condizioni associate alla dispepsia.
Cause di dispepsia organica sono rappresentare, per esempio, dall’ ulcera peptica (ulcer-like, mucosa
gastrica ipersensibile alla secrezione acida oppure legata ad infezione da helicobacter pylori), dal danno
gastroduodenale da farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), dai tumori gastrici. Una sintomatologia
dispeptica accompagna le manifestazioni cliniche della patologia biliare, epatica, pancreatica, oltre che
della malattia del reflusso gastroesofageo. Tuttavia, anche patologie extra-intestinali possono indurre
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rilevanti sintomi dispeptici, come, per esempio, il diabete mellito, attraverso la neuropatia autonomica e,
quindi, la gastroparesi, l’ipotiroidismo e l’ipercalcemia attraverso l’induzione di un difetto della motilità,
le sindromi da malassorbimento, per il loro complesso quadro fisiopatologico che coinvolge anche il
sistema endocrino associato all’apparato gastrointestinale, le malattie infiltrative, come l’amiloidosi,
sempre attraverso l’induzione di difetti della motilità.
I differenti meccanismi fisiopatologici della dispepsia funzionale sono suddivisi in base alla fase funzionale
nella quale esplicano principalmente il loro effetto:
1. Digiuno
• Infezione da helicobacter pylori
• Ipersensibilità alla distensione gastrica
• Disordini del SNC/SNP
2. Accomodazione
• Accomodazione inefficace
• Attività contrattile fasica non soppressa
• Anomalie dell’attività elettrica gastrica
3. Svuotamento
• Ritardato svuotamento
• Ipersensibilità duodenale ai lipidi o all’acido
• Dismotilità dell’intestino tenue
2.3 DIAGNOSTICA
L’approccio al paziente con dispepsia non investigata è differente rispetto al paziente già sottoposto ad
indagini diagnostiche. Relativamente al paziente con dispepsia non investigata, l’approccio di base deve
mirare soprattutto a definire alcuni punti fondamentali. Va stabilita la presenza di una correlazione tra i
sintomi ed il tratto gastrointestinale superiore; quindi va esclusa la presenza di sintomi e segni di allarme
(vedi 2.3.1). Va inoltre esclusa la responsabilità di farmaci, quali sacilati e FANS, ma anche farmaci anti-
ipertensivi, quali nitrati e calcio-antagonisti, o teofillinici (dimetilxantina→ asma, BPCO) e fluidificanti delle
vie aeree; è opportuno, inoltre, discriminare tra malattia da reflusso gastroesofageo e dispepsia, anche
attraverso la risposta ad un trial terapeutico con farmaci inibitori della secrezione acida gastrica. Infine, va
esclusa un’infezione gastrica da Hp che, se presente, deve essere sottoposta a eradicazione mediante terapia
specifica. Questa strategia, definita test and treat, è valida nei pazienti senza sintomi di allarme ed è
fortemente raccomandata in quanto è in grado di curare la maggior parte delle ulcere peptiche associate
all’infezione da Hp; va tuttavia ribadito che in pazienti con dispepsia funzionale l’eradicazione dell’infezione
da Hp non sempre migliora la sintomatologia dispeptica. L’efficacia dell’approccio test and treat
è,ovviamente, maggiore in zone dove la prevalenza di patologia ulcerosa gastroduodenale Hp+ è elevata.
L’effettuazione di un esame endoscopico è riservato a pazienti con sintomi di allarme o con età superiore a
45-55 anni. Le evidenze correnti indicano, infatti, che l’effettuazione di un esame endoscopico fin dal primo
approccio diagnostico è indicata in pazienti in età più avanzata, nei quali è maggiore il rischio di patologia
organica. Non è, invece, consigliata l’effettuazione di uno studio radiologico delle prime vie dell’apparato
digerente che trova indicazione nel sospetto di un difetto della canalizzazione a tale livello. Analogamente, in
assenza di sospetto di patologia biliare o pancreatica, l’ecografia addominale non è indicata.
Di seguito sono riportati i segni e sintomi di allarme, la cui presenza dev’essere assolutamente indagata dal
clinico durante l’anamnesi:
- età > 45 aa
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- perdita di peso (sia perché il paziente mangia meno perché è dispeptico, sia perché dimagrisce
mangiando uguale a prima)
- farmaci (FANS)
- melena, ematemesi
- anemia micro (carenza ferro) o macrocitica (carenza b12 o folati)
- sangue occulto nelle feci positivo
- disfagia
- infezione da H. pylori
Di seguito sono illustrati gli algoritmi diagnostici, elaborati per le due classi principali di pazienti che si
presentano dal clinico lamentando disturbi prettamente legati alla sindrome dispeptica.
1. Paziente di età <45 anni, assenza di segni o sintomi di allarme e di fattori di rischio
2. Paziente di età >45 anni o età <45 anni, ma con segni e sintomi di allarme e fattori di rischio
Di seguito sono riportati gli esami di laboratorio di primo e di secondo livello a cui è consigliato sottoporre
un paziente dispeptico che giunge alla nostra attenzione:
1° LIVELLO:
- emocromo
- ferro sierico, ferritina
- anticorpi per h. pylori
- anticorpi per la celiachia
- transaminasi, test della funzionalità epatica
- colestasi
- amilasemia, lipasemia
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2° LIVELLO:
- disordini metabolici: diabete, ipo/ipertiroidismo
- malattie del collagene
- funzionalità renale
- funzionalità pancreatica
- assorbimento dell’intestino tenue
- markers di neoplasia: CEA, CA 19-9, alpha-fetoproteina
- parassiti
- test respiratorio: lattulosio, lattosio, idrogeno
Nel caso in cui il paziente non abbia segni di allarme o sintomi collegati a disordini organici
gastrointestinali, è importante prendere in considerazione le seguenti condizioni:
-intolleranza al glutine o al lattosio
-allergie agli alimenti
-enteropatie per sensibilità al glutine
-disfunzioni tiroidee, diabete
-malattie del collagene
-insufficienza pancreatica
-insufficienza renale cronica
-scompenso destro
-cirrosi
-infezione da parassiti
-farmaci
-problemi psichici/psichiatrici
2.4 TERAPIA
La valutazione dell’efficacia dei vari trattamenti adottati in pazienti con dispepsia funzionale è resa
assolutamente difficoltosa dall’entità della risposta al placebo, che rappresenta un importante fattore
confondente, si stima che tale risposta sia variabile dal 20 al 60%.
La rassicurazione del paziente e l’esposizione delle caratteristiche della patologia della quale è portatore,
patologia benigna, non evolutiva, ad andamento cronico-recidivante, spesso rappresentano il primo step di
trattamento e possono essere sufficienti in una considerevole quota di pazienti. La modificazione dello stile
di vita (abolizione del fumo), delle abitudini alimentari (sospensione dell’assunzione di caffè e di alcol) e
la razionalizzazione dell’uso di farmaci (sacilati, FANS) vanno inoltre raccomandate. Le terapie
farmacologiche utilizzate, comprendono gastroprotettori e inibitori della secrezione acida dello stomaco,
se prevalgono sintomi quali dolore, bruciore epigastrico; al contrario, i pro cinetici dello stomaco possono
essere vantaggiosi per controllare i sintomi dismotori.
3. GASTRITE
La gastrite, negli anni, è stata definita come una sindrome clinica, un quadro endoscopico o
un’infiammazione microscopica dello stomaco. La gastrite non è quindi, l’iperemia della mucosa
documenta all’endoscopia e non è sinonimo di dispepsia. I fattori eziologici che portano alla gastrite sono
molti ed eterogenei. La gastrite è stata classificata, in accordo con il cosiddetto “Sistema di Sydney”, sulla
base del decorso temporale (acuta o cronica), delle caratteristiche istologiche, della distribuzione anatomica e
del meccanismo patogenetico proposto.
1. Gastriti acute:
- Infiammazione acuta da Hp
- Altre gastriti acute infettive
Numerosi e diversificati sono i reperti endoscopici (immagine seguente). La mucosa gastrica può essere
normale, può essere iperemica, edematosa, presentare lesioni pomfoidi più o meno erose, può essere
ipotrofica o atrofica, oppure presentare delle ulcerazioni più o meno gravi. E’ compito dell’endoscopista
eseguire dei rilievi bioptici anche in caso di mucosa normale, affinché si possa giungere con certezza alla
diagnosi.
Il prof ci tiene a sottolineare che l’endoscopista, nell’eseguire i rilievi bioptici, deve attenersi al Sydney
System, illustrato nell’immagine in alto a dx.
1- Nel primo, persiste una predominanza della gastrite a livello antrale, con progressiva risoluzione
dell’infiammazione nel corpo, e non essendo presenti in questa regione ghiandole secernenti HCl, la
secrezione acida gastrica risulta normale, la gastrinemia è anch’essa normale, poiché non essendoci
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2- Nel secondo, la gastrite progredisce in direzione sia dell’antro che del corpo (gastrite multifocale),
essendo qui situate le ghiandole predisposte alla secrezione acido-gastrica, ed essendo queste
infiammate, vi sarà una conseguente riduzione della secrezione acida. Ci aspetteremmo dunque,
livelli alti di gastrina, ma essendo anche l’antro infiammato, ne risulteranno livelli normali, il
pepsinogeno I è ridotto, in quanto la regione acido secernete è infiammata, mentre, si riscontrano
livelli elevati di pepsinogeno II, con conseguente diminuzione del pgI/pgII ratio. Questa forma di
gastrite, predispone a metaplasia intestinale incompleta e completa, fino alla displasia e alla
possibile formazione di adenocarcinoma.
La fase precoce della gastrite cronica di tipo B è la gastrite non atrofica superficiale. I cambiamenti
infiammatori sono limitati alla lamina propria della mucosa, con edema ed infiltrato cellulare (linfociti,
neutrofili) che separa le ghiandole gastriche intatte. Il passo successivo è la gastrite atrofica. L’infiltrato
infiammatorio (linfociti, neutrofili) si estende più in profondità nella mucosa, con progressiva distorsione e
distruzione delle ghiandole. Il quadro finale della gastrite cronica è l’atrofia gastrica. Le strutture
ghiandolari sono perse e vi è scarsità di infiltrato infiammatorio. Endoscopicamente la mucosa è
significativamente assottigliata, permettendo di visualizzare i vasi sanguigni sottostanti. Di seguito è
riportato uno schema riassuntivo.
Nella gastrite cronica atrofica di tipo B, le ghiandole gastriche possono subire una trasformazione
morfologica. La metaplasia intestinale denota la conversione delle ghiandole gastriche ad un fenotipo
intestinale, contenente cellule caliciformi mucipare secernenti sialomucine (enteriche) e/o solfomucine
(coliche), quest’ultime caratterizzate da un rischio maggiore di evoluzione neoplastica, legato spesso all’età
del paziente. I cambiamenti metaplastici possono avere distribuzione irregolare, oppure vi può essere un
esteso coinvolgimento gastrico. L’aspetto maggiormente rilevante è la forte associazione tra la metaplasia
intestinale e lo sviluppo di cancro gastrico. A seguito di numerosi studi, sono state individuate tre tipologie di
metaplasia intestinale:
- Tipo I (completa, small bowel-like IM): caratterizzata dalla presenza di cellule caliciformi
mucipare enteriche (→ sialomucine) e cellule epiteliali colonnari, è fisiologica in soggetti anziani e
non rappresenta un fattore di rischio per il cancro gastrico.
- Tipo II (incompleta, colonic-type IM): caratterizzata dalla presenza di cellule caliciformi mucipare
immature, secernenti sialo e solfomucine, è sicuramente un fattore di rischio da tenere in
considerazione.
- Tipo III (incompleta, colonic-type IM): simile alle precedente, l’unica differenza consiste nella
distribuzione irregolare multifocale, la quale costringe l’endoscopista ad eseguire più prelievi
bioptici, al fine di formulare una corretta diagnosi. Rappresenta un fattore di rischio maggiore
rispetto al tipo II.
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In alto a sinstra, un’immagine endoscopica (EGDS) di metaplasia intestinale. In alto a destra un campione
istopatologico di metaplasia intestinale.
E’ una patologia diffusa in tutto il mondo, la prevalenza tende ad aumentare con il progredire dell’età (10%
a 20 anni, 50% a 60 anni), correlata allo stato socio economico per questioni di qualità di vita e condizioni
igieniche.
L’eziopatogenesi dipende dalla virulenza del ceppo batterico, dalle tossine e dai mediatori infiammatori
prodotti e dalla risposta immunitaria dell’ospite.
Il test diagnostico per definire la presenza di una gastrite cronica attribuibile ad un’infezione da Hp, è
rappresentato dalla valutazione istologica della biopsia gastrica, corredata dalla colorazione di GIEMSA,
che consente l’evidenziazione del batterio a livello della superficie epiteliale. Tale esame richiede
l’effettuazione di un’esofagogastroduodenoscopia e va, quindi, riservato a pazienti sintomatici e con elevato
rischio di patologia organica. Al contrario, in individui di età inferiore a 45-55 anni e in assenza di sintomi
conferenti elevato rischio di patologia organica, si preferisce evitare l’esecuzione di test invasivi e rilevare la
presenza del batterio attraverso test non invasivi.
In alternativa, campioni di tessuto prelevati endoscopicamente possono essere utilizzati per effettuare il test
rapido all’ureasi, che rappresenta un metodo immediato, basato sull’attività ureasica del batterio, la quale
determina, in una soluzione campione, l’idrolisi dell’urea in ammonio e CO2 con incremento del pH e
variazione del colore. Quest’indagine può risultare falsamente negativa, se effettuata a breve distanza
dall’assunzione di farmaci che inibiscono l’attività metabolica del batterio, quali antibiotici, bismuto o PPI.
Per ciò che riguarda i test non invasivi, la presenza di anticorpi circolanti di classe IgG può essere ricercata
mediante un test per ELISA. Tuttavia, in virtù della memoria immunologica, elevati livelli di IgG specifiche
sono rilevabili anche a distanza dall’eradicazione del batterio. Il test, di conseguenza, è utile per la ricerca
dell’Hp in individui naive, mentre non consente la verifica dell’eradicazione o la valutazione di eventuali
recidive.
L’esame attualmente più utilizzato, provvisto di un’elevata accuratezza diagnostica, è rappresentato dal
breath test all’urea, che prevede l’assunzione orale di urea marcata con 13C la quale, in presenza di attività
batterica ureasica, rilascia 13CO2 a livello gastrico. Il gas diffonde nel circolo ematico, viene eliminato
nell’aria espirata e in essa quantizzato mediante spettrometria di massa. Anche il breath test all’urea può
risultare falsamente negativo, se effettuato a breve distanza da terapie con farmaci che inibiscono l’attività
metabolica del batterio.
Un ulteriore esame, di accuratezza paragonabile al breath test all’urea, è rappresentato dalla ricerca di
antigeni specifici dell’Hp nelle feci. Si tratta di un test immuno-enzimatico che, a differenza dei precedenti,
non subisce interferenze da eventuali terapie in atto e può quindi, essere utilizzato per la valutazione
dell’avvenuta eradicazione o di possibili recidive dell’infezione.
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Nella gastrite cronica indotta dall’infezione da Hp è stata osservata una forma di gastrite multifocale,
ovvero atrofia gastrica con metaplasia intestinale associata, questa potrebbe infine portare allo sviluppo di
adenocarcinoma gastrico. L’infezione da Hp è ora considerata un fattore di rischio indipendente per il
cancro gastrico, in quanto, studi epidemiologici a livello mondiale hanno documentato una più alta incidenza
di infezione da Hp nei pazienti con adenocarcinoma dello stomaco, rispetto ai soggetti controllo. La
sieropositività per l’Hp è associata ad un aumentato rischio di 3-6 volte per il cancro gastrico, che potrebbe
essere 9 volte più alto se si tenesse conto dell’inaccuratezza dei test sierologici nell’anziano. Il meccanismo
attraverso il quale l’infezione da Hp porta al cancro non è noto, ma sembra essere correlato all’
infiammazione cronica indotta dal microrganismo. Gioca un ruolo cruciale in questo meccanismo anche la
condizione di ipocloridria tipica di questi pazienti, la quale favorirà la crescita batterica gastrica, essendo
diminuita la sterilità dell’ambiente, e la produzione, da parte di quest’ultimi, di composti nitrici
cancerogeni. Sono rilevanti inoltre, sia la virulenza del ceppo batterico, sia l’efficacia della risposta
immune dell’ospite, che l’aggiunta di eventuali fattori di rischio legati al life-style del paziente (fumo, alcol,
assunzione di cibi salati, etc..).
L’infezione da Hp è anche associata allo sviluppo di un linfoma a cellule B di basso grado, il linfoma MALT
gastrico.
Di seguito vengono riportati degli schemi riassuntivi presentati dal prof Testoni a lezione.
Domanda: Quando viene fatta la gastroscopia e la biopsia, viene comunque fatta la ricerca per Helicobacter
pylori?
Risposta: Il referto dell’anatomo patologo riporta informazioni su atrofia, infiammazione, metaplasia e
positività/negatività per Hp, utilizzando una scala da 0 a 3 (es. 0=atrofia basso grado, 3=atrofia massimo
grado).
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La gastrite atrofica cronica di tipo A coinvolge primariamente il corpo ed il fondo gastrico, con risparmio
dell’antro. Tradizionalmente questa forma di gastrite è associata all’anemia macrocitica (o perniciosa), in
presenza di anticorpi circolanti contro le cellule parietali ed il fattore intrinseco, la cosiddetta gastrite
autoimmune. Gli anticorpi anticellule parietali, diretti contro la H+/K+-ATPasi, sono presenti in più del
90% dei pazienti con anemia macrocitica e in circa il 50% dei pazienti con gastrite di tipo A.
La ghiandola gastrica che contiene la cellula parietale è colpita preferenzialmente in questa forma di gastrite
e l’acloridria ne rappresenta il risultato. Le cellule parietali sono anche la fonte del fattore intrinseco, la cui
mancanza conduce al deficit di vitamina B12 e alle sue conseguenze (anemia macrocitica, disfunzione
neurologica).
L’acidità gastrica riveste un ruolo importante nell’inibizione a feedback del rilascio di gastrina dalle cellule
G, l’acloridria, al contrario, insieme al relativo risparmio della mucosa antrale (sede delle cellule G), porta
all’ ipergastrinemia (>500 pg/mL), rilevata nei pazienti affetti da tale patologia. L’iperplasia delle cellule
enterocromaffino-simili con franco sviluppo di tumori carcinoidi gastrici potrebbe derivare, nel lungo
termine, dall’esposizione agli effetti trofici della gastrina a queste concentrazioni. L’ipergastrinemia e
l’acloridria possono essere osservate anche nella gastrite di tipo A, non associata all’anemia macrocitica.
4. GASTROPATIE
Quando la mucosa gastrica presenta danno cellulare ma non vi è evidenza di uno stato infiammatorio che
interessi la stessa, si parla di gastropatia. Di seguito viene proposta una classificazione, anche se in alcuni
casi non è sempre semplice porre con certezza diagnosi di gastropatia o di gastrite.
• Acuta, Erosiva-emorragica: alcol, FANS (più comune), salicilati, stress, grave uremia, shock,
ustioni, traumi, ipovolemia.
Esame obiettivo: ematemesi, melena, sangue occulto, dolore addominale superiore, dispepsia,
nausea, vomito.
Istologia: non specifica, assenza di infiltrato infiammatorio, danno cellulare, neutrofili ubiquitari,
erosioni superficiali che non coinvolgono la muscolaris mucosae.
Endoscopia: erosioni, ulcere superficiali, arrossamento della mucosa, lesioni emorragiche.
• Cronica reattiva: FANS, salicilati, reflusso biliare, radio/chemioterapia.
• Congestizia: ipertensione portale
• Ipertrofica, malattia di Ménétrier “protein-losing gastropathy”: è una rara entità caratterizzata
da spesse e tortuose pliche della mucosa gastrica, più prominenti nel fondo e nel corpo gastrico.
Istologicamente si osserva una massiva iperplasia foveolare (iperplasia delle cellule superficiali e
delle ghiandole mucosernenti), che sostituisce la maggior parte delle cellule principali e parietali.
L’eziologia di questo quadro clinico inusuale non è nota. La sovraespressione di fattori di crescita
quali il TGF-alfa potrebbe essere coinvolta in questo processo.
Il danno a carico della mucosa gastrica si verifica attraverso un meccanismo locale ed uno sistemico. I FANS
sono perlopiù acidi organici deboli, che a pH acido si trovano in forma non ionizzata, quindi altamente
lipofilica, in grado di attraversare la barriera mucosa ed accumularsi nelle cellule epiteliali. A livello
sistemico, i FANS, attraverso il blocco delle COX, inibiscono la sintesi di PG, responsabili, come si è detto,
del mantenimento della normale integrità mucosa. Dall’acido arachidonico originano sostanze protettive
(PG) o aggressive (leucotrieni) nei confronti della mucosa gastrica. La sintesi delle PG è catalizzata dalle
COX-1 e COX-2, la prima è espressa in maniera costitutiva in tutti in diversi tessuti dell’organismo, la COX-
2 non è espressa stabilmente, ma la sua espressione viene indotta in risposta a processi infiammatori. I FANS
tradizionali inibiscono entrambe le forme enzimatiche e, di conseguenza, causano danno gastrico per la
marcata riduzione del contenuto mucosale di PGE2. Al contrario, le nuove molecole antinfiammatorie,
selettivamente attive sulla COX-2 (espressa solo nella flogosi), non interferiscono con la produzione
mucosale di PG.
Anche una normale attività motoria dello stomaco, contribuisce al mantenimento di un normale flusso
ematico. Contrazioni di elevata ampiezza, anch’esse secondarie alla ridotta sintesi di PG, determinano,
infatti, una riduzione del flusso ematico mucosale, a sua volta responsabile di ipossia, attivazione dei
neutrofili e produzione di radicali liberi dell’ossigeno.
I sintomi della gastropatia da FANS sono gli stessi di una sindrome dispeptica dominata da dolori epigastrici
e nausea. Il quadro può evolvere, sul piano patologico, fino alla comparsa di un’ulcera gastrica e gastrite
acuta emorragica, che possono determinare sanguinamenti profusi. È importante sottolineare che la severità
dei sintomi raramente correla con quella delle lesioni e che i sintomi rilevanti possono mancare nel 40% dei
pazienti con lesioni erosivo-ulcerative e nel 60% dei pazienti che sviluppano sanguinamento.