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1 – ANATOMIA
L’esofago è un organo lungo circa 22 cm, delimitato in alto da uno sfintere esofageo superiore, costituito da
muscolatura striata, in basso da uno sfintere esofageo inferiore (LES), costituito da muscolatura liscia. Tra i
due tipi diversi di muscolatura è presente una zona di transizione, caratterizzata da un’embricazione di
muscolo liscio e striato.
L’esofago è un organo prevalentemente toracico, che attraversa il diaframma attraverso lo iato esofageo, e in
minima parte addominale. L’esofago è pertanto in contatto con il sacco pericardico e tale posizione
anatomica ha, come vedremo, degli importanti risvolti in alcune patologie. La posizione anatomica
dell’esofago, in contiguità con il pericardio, lo pone in stretto rapporto con il cuore. Una sintomatologia
cardiaca quale l’extrasistole ad insorgenza in fase postprandiale può essere infatti dovuta anche a reflusso di
materiale gastrico in esofago.
2 – FUNZIONI
Le funzioni dell’esofago sono fondamentalmente due: impedire il reflusso e veicolare il bolo dall’orofaringe
allo stomaco.
• I fattori anatomici sono: angolo di His (angolo di inserzione fra esofago e stomaco), membrane e
legamenti che consentono allo stomaco e all’esofago di mantenere la propria posizione anatomica.
Il diaframma svolge inoltre un ruolo di sfintere esterno, aiutando il LES nella sua funzione quando,
in fase di inspirazione, la pressione addominale aumenta. Se infatti si misura la pressione a livello
del LES, tale pressione ha una doppia componente: una (in verde) che rappresenta l’attività
intrinseca delle cellule deputate a mantenere il tono dello sfintere, l’altra (azzurra, che va su e giù)
dovuta all’azione di pinza dei pilastri diaframmatici. Se il LES non sta più a cavallo del diaframma,
cosa che accade in caso di ernia iatale, la pressione a livello dello sfintere diminuisce.
• I fattori funzionali sono invece legati essenzialmente alla presenza dello sfintere esofageo inferiore,
funzionale, della lunghezza di circa 3-5 cm, zona di alta pressione dovuta alla presenza di cellule
muscolari lisce specializzate che hanno un tono basale. Il tono basale dello sfintere esofageo
inferiore è intorno ai 15-30 mmHg ed è sufficiente per garantirne una buona protezione e una buona
tenuta.
Lo sfintere, normalmente chiuso in condizioni di riposo, deve ovviamente rilasciarsi durante la deglutizione
in maniera corretta e coordinata al fine di consentire il passaggio del bolo fin nello stomaco. Il LES si rilascia
per via neurogena quando inizia l’atto della deglutizione e si apre contemporaneamente allo sfintere esofageo
superiore. Se ciò non si verifica insorge la disfagia.
Vi sono alcuni fattori (ormonali, nervosi, alimentari) che possono alterare la pressione e la tenuta del LES:
• gastrina, motilina, sostanza P, prostaglandine (PGF2,), stimoli -adrenergici o colinergici,
antagonisti della dopamina e pasti proteici aumentano il tono dello sfintere;
• CCK (colecistochinina), secretina, VIP, GIP, NO, glucagone, PGE1, PGE2, stimoli -adrenergici,
dopamina, cioccolato, grassi, caffè, alcol, fumo, menta riducono il tono dello sfintere.
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2.2 – TRASPORTO
La funzione di trasporto richiede un’armonica integrazione tra le due tonache muscolari: deve essere infatti
presente una contrazione che proceda oro-aboralmente e che si associ al rilasciamento della porzione di
esofago sottostante, in modo che quest’ultima sia in grado di “accettare” il bolo. Il bolo poi, raggiunge il
LES, lo trova aperto e arriva nello stomaco. Tale attività integrata prende il nome di peristalsi. Vi sono due
tipi di peristalsi: quella primaria, che nasce in seguito ad ogni deglutizione, e quella secondaria, fenomeno
protettivo, che mettono in atto autonomamente i recettori della mucosa dell’esofago (in risposta a stimoli
chimici, termici, pressori) e che consente una clearance della mucosa esofagea. Tale funzione è
particolarmente importante durante il sonno, dal momento che, quando si dorme, la frequenza di deglutizione
è inferiore al normale1 (in media, nell’arco della giornata, 1 atto/min), ci si trova in clinostatismo ed è quindi
più facile avere un reflusso.
Esiste un terzo tipo di attività motoria, diverso dalla peristalsi e caratterizzato da contrazioni singole, isolate.
Si parla di attività motoria terziaria
Le onde di contrazione peristaltica, che ci consentono una deglutizione anche contro gravità, hanno
un’ampiezza variabile dai 50 ai 100 mmHg (in alcune situazioni patologiche si arriva anche a molto di più).
Esperimento: il soggetto viene messo supino, si misura la pressione in vari segmenti dell’esofago e si dà al
paziente un sorso di bario; si osserva poi come il bario procede lungo l’esofago. In condizioni fisiologiche,
quando il paziente deglutisce, la colonna di bario viene subito clearata perché il bario viene spinto in avanti.
Se invece la funzione di trasporto è alterata, l’onda pressoria quasi non c’è e la colonna di bario va
comunque avanti per un po’, ma poi, se la peristalsi proprio manca, il bario resta fermo, a contatto con le
pareti dell’esofago.
3 – SINTOMI ESOFAGEI
3.1 – PIROSI
Si tratta di un sintomo molto comune, descritto dal paziente come bruciore epigastrico o retro sternale, che a
volte viene percepito risalire fino in gola. È un sintomo spesso associato alla malattia da reflusso.
3.2 – RIGURGITO
E’ un sintomo meno frequente rispetto alla pirosi e consiste nella presenza di liquido in bocca a causa del
reflusso. È un sintomo molto specifico della malattia da reflusso. I lattanti hanno il rigurgito perché il LES
non è presente, in quanto non ancora maturato.
3.4 – DISFAGIA
E’ un sintomo di allarme ed è definita come
difficoltà a deglutire (disfagia propriamente
orofaringea). Può anche essere riferita dal paziente
come una sensazione di arresto nella progressione
del bolo durante la deglutizione, anche associata a
dolore. Le cause possono essere legate o alla
presenza di una massa occupante spazio, come una
neoplasia, o da alterazioni motorie. La disfagia può
essere sia per solidi che per liquidi: nel caso di
tumori maligni la disfagia è inizialmente solo per i
solidi e poi anche per i liquidi. Si parla di disfagia
paradossa nel momento in cui si è disfagici per
liquidi ma non per solidi (indicazione di un
disturbo motorio come l’acalasia).
La disfagia va distinta dall’odinofagia che è invece un’algia legata all’atto deglutitivo.
1
Durante il sonno si deglutisce soprattutto durante la fase REM
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4 – DIAGNOSI
Una corretta definizione di esofagite impone l’osservazione mediante endoscopia di erosioni (perdita di
sostanza molto superficiale, raramente visibile mediante esami radiologici) a livello della mucosa esofagea.
In tale lezione si discuterà, tuttavia, delle metodiche diagnostiche funzionali, che non comprendono
l’endoscopia.
4.1 – MANOMETRIA
4.2 – PH-METRIA
La pH-metria consiste nella misurazione del pH all’interno
dell’esofago nell’arco delle 24 ore. Il pH è il logaritmo negativo in
base 10 della concentrazione di ioni idrogeno e gli elettrodi utilizzati
per questo tipo di esame sono sensibili a tale concentrazione.
Gli elettrodi sono inseriti dal naso del paziente fino a 5 cm sopra il
LES (posizione standardizzata). È possibile anche misurare il pH in
maniera meno invasiva attraverso una capsula introdotta (dalla bocca
o dal naso) e spillata sulla mucosa esofagea. Tale capsula è in grado
di trasmettere le rilevazioni del pH attraverso onde radio, senza la
necessità di sondini.
4.3 – pH-IMPEDENZIOMETRIA
Il valore normale di pH in esofago è intorno a 6-6.5. Solo variazioni del pH con valori che scendono sotto la
soglia del 4 sono considerate significative dalla pH-metria; altre variazioni non sono registrate seppur
possano essere comunque rilevanti ai fini dell’indagine diagnostica (per esempio pH che da 6.5 passa a 5). Si
comprendono quindi i limiti della pH-metria e la necessità di introdurre una nuova tecnica diagnostica basata
su una misurazione fisica del reflusso: l’impedenziometria.
L’impedenziometria è una tecnica non invasiva che rileva la resistenza opposta dall'organismo al passaggio
di una corrente elettrica: in particolare si può misurare la resistenza all’interno dell’esofago. La mucosa
esofagea ha una resistenza di circa 2000 Ohm, mentre il contenuto gastrico o un bolo di saliva hanno una
resistenza molto più bassa, compresa tra 30 e 100 Ohm. Con un bolo di saliva o in presenza di reflusso
gastrico, che hanno resistenza molto più bassa, si registra una diminuzione di resistenza all’interno
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dell’esofago, indipendentemente dal pH di ciò che lo sta attraversando o sta refluendo. Si tratta infatti, come
detto in precedenza, di una misurazione fisica, non chimica (quale invece è la pH-metria).
In altre parole si fa passare una corrente molto debole tra due anellini di metallo che si posizionano
nell’esofago del paziente, e si misura poi la resistenza tra questi. Se nell’esofago non sta passando nulla, si ha
una certa impedenza basale; quando invece arriva il bolo e quindi i due anellini sono messi in contatto,
l’impedenza crolla e finchè il bolo resta tra i due anellini l’impedenza resta bassa; una volta passato il bolo,
l’impedenza torna quella iniziale. Nell’impedenziometria si utilizzano tanti anellini, uno accanto all’altro,
lungo tutto l’esofago.
5.1 – ACALASIA
È una patologia molto antica, descritta per la prima volta da Sir Thomas Willis
nel 1672, caratterizzata dall’incapacità del paziente di deglutire, trattata nel
passato con i fanoni di balena (bastoni cartilaginei), usati per spingere
fisicamente il bolo lungo l’esofago; l’alternativa era morire per cachessia. Il
termine acalasia deriva dal greco e significa mancato rilasciamento dello
sfintere esofageo inferiore.
L’incidenza della malattia, che colpisce entrambi i sessi e aumenta con l’età, è
veramente minima; la prevalenza è leggermente superiore.
L’eziologia non è ben conosciuta; ci sono varie ipotesi, tra cui quelle infettive
(herpervirus), quelle genetiche, quelle legate a processi neurodegenerativi e a
fenomeni di autoimmunità.
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La patogenesi è un po’ più chiara ed è caratterizzata da un’infiammazione del plesso mienterico con processi
neurodegenerativi che portano alla perdita di cellule dei gangli inibitori del plesso mienterico stesso:
perdendo quindi cellule dei gangli inibitori, si ha una riduzione dei livelli del neurotrasmettitore NO. Prevale
così la funzione eccitatoria (costante) esercitata dall’acetilcolina su quella inibitoria (ridotta) esercitata
dall’ossido nitrico (NO). In condizioni normali, a livello del LES c’è un bilanciamento tra acetilcolina e NO;
se la produzione di NO è ridotta, prevale l’azione dell’acetilcolina e lo sfintere fa molta fatica ad aprirsi o
non si apre per niente.
Il sintomo principale, dunque, è la disfagia, presente sempre (100% dei casi) nell’acalasia e che può essere
anche paradossa (disfagia per i liquidi ma non per solidi, oppure per alcuni alimenti che impegnano molto la
spinta dell’esofago, per esempio il riso). Il paziente può avere dolore retrosternale e rigurgito; possono
presentarsi anche complicanze a livello polmonare (polmonite ab ingestis) e, in fase tardiva, cachessia.
La diagnosi si effettua principalmente tramite manometria esofagea, esame che dimostra un’aperistalsi del
corpo esofageo e un assente o alterato rilasciamento del LES. Si osserva, in altre parole, l’assenza di
quell’integrazione dei movimenti contrattili delle due tonache muscolari che generano la peristalsi, perché
c’è una degenerazione a carico del plesso di Meissner.
Tecniche più recenti di manometria possono anche consentire la distinzione e la classificazione dell’acalasia
in uno dei tre sottotipi:
1. Il tipo 1 è caratterizzato dal fatto che l’onda di contrazione peristaltica non parte, né si apre il LES
alla deglutizione;
2. Nel tipo 2 l’esofago esegue una pan-pressurizzazione che però non genera peristalsi;
3. Il tipo 3 è caratterizzato da un residuo di peristalsi molto lieve.
Tale classificazione è importante in quanto, a seconda del tipo di acalasia, si associano diversi approcci
terapeutici. La diagnosi può anche essere effettuata tramite RX, dopo aver somministrato al paziente del
bario. Si osserva la tipica immagine del becco di flauto (coda di topo/becco d’uccello), con la quale si
presenta l’esofago; si vede l’esofago e nelle parte terminale questa filiforme continuazione che impedisce al
mezzo di contrasto di proseguire, tanto è vero che l’esofago è pieno.
L’endoscopia non è un esame diagnostico utile in questo caso poiché non vi sono alterazioni della mucosa.
Per questa ragione è opportuno considerare l’acalasia, per quanto sia una patologia rara, come una possibile
causa di disfagia in presenza di endoscopia negativa. L’eco-endoscopia o la TC sono utili per escludere la
presenza di acalasie secondarie. L’acalasia, infatti, può essere determinata da altre patologie quali ad esempio
neoplasie. L’acalasia a lungo termine non presenta alternative terapeutiche se non la dilatazione pneumatica
o l’intervento chirurgico.
In fase molto iniziale l’RX è normale o quasi e l’endoscopia non dice nulla, quindi si pensa che la disfagia
abbia alla base qualcosa di psicologico.