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Clinica Medica e Geriatria n°28 del 20.01.2023 (Prof.

Ceresini)
Sbobinatore: Giorgia Tabarelli, Michaela Boschini Controllore: Giulia Perina

GLI INDICI DI FUNZIONALITÀ EPATICA


Segue un elenco degli indici di funzionalità epatica.

• LDH lattico deidrogenasi;


• marcatori di coniugazione riguardanti il metabolismo della bilirubina e i sali biliari;
• marcatori di colestasi riguardanti sempre la bilirubina o alcuni enzimi come fosfatasi
alcalina e gamma-GT;
• marcatori di protidosintesi come le proteine plasmatiche e i fattori della coagulazione.

TRANSAMINASI
Aspartato aminotransferasi (AST) o glutammico-ossalacetato transaminasi (GOT) e
alanina aminotransferasi (ALT) o glutammico-piruvato transaminasi (GPT) sono presenti
anche in altri tessuti e sono marcatori anche di altre patologie.
AST è un enzima sia citoplasmatico che mitocondriale, si trova soprattutto nel cuore e ancora
prima delle troponine si utilizzava come marcatore d’infarto. Infatti, le transaminasi fanno parte
del pannello di valutazione dell’infarto miocardico. GOT si trova anche nel muscolo scheletrico
e nel rene.
L’ALT è una transaminasi esclusivamente citoplasmatica molto più presente nel fegato e nel
rene mentre meno nel cuore e nel muscolo.
I marcatori hanno una rilevanza nel danno acuto virale e nel danno tossico e sono indici di
cito necrosi dell’epatocita. Sono indicatori molto sensibili.
AST aumenta molto anche nel danno muscolare (dalle slides: sia cardiaco che muscolare. Ma
in questo caso c’è un aumento isolato senza ALT che invece c’è sempre nel danno del fegato.
AST e ALT aumentano principalmente per necrosi dell’epatocita ma in maniera minore per
danneggiamento funzionale cellulare, inoltre sono enzimi sensibili che sono in grado di rilevare
lesioni pancreatiche anche in un quadro asintomatico).
Entrambi, soprattutto l’ALT, possono aumentare anche nell’insufficienza cardiaca e qualche
volta anche nel fegato da stasi. Nel cuore polmonare acuto, ovvero quando quindi vi è
un’improvvisa ostruzione del ritorno venoso dal polmone al cuore come in un’embolia
polmonare, si va incontro a fegato da stasi e questa colonna di sangue che si va a formare a
causa della stasi può portare ad alterazione degli enzimi cardiaci, e qualche volta degli enzimi
di cito necrosi delle transaminasi e di colestasi, come fosfatasi alcalina e gamma-GT, mentre
è più difficile trovare un aumento della bilirubina poiché il suo aumento richiede del tempo.

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Per quanto riguarda il prelievo, l’orario non ha influenza, così come l’ingestione di cibo. La
GOT a volte può essere un po' più alta fisiologicamente in soggetti di sesso maschile
afroamericani.

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LATTICO DEIDROGENASI
Un altro enzima di cito necrosi è lattico deidrogenasi. È un tetramero con diverse isoforme
soprattutto a livello epatico ma queste non vengono distinte in laboratorio. Quindi questo
enzima è presente nel fegato ma anche nel muscolo in un’altra isoforma, nel cuore dove
rappresenta un marker di infarto miocardico, nel polmone (dalle slides: nel muscolo predomina
M4 e nel cuore H4). Molti altri enzimi di cito necrosi si accompagnano all’aumento di LDH: per
esempio nei pazienti neoplastici dove la malattia è in progressione.
Soprattutto un tempo quando non esisteva il Butterfly con il vacuum (vuoto) standardizzato, o
anche quando è necessario un prelievo di sangue fatto a mano bisogna porre una certa
attenzione allo stantuffo della siringa poiché si rischia di creare un vacuum eccessivo con
emolisi del globulo rosso e uscita di LDH accompagnato da un aumento di potassio.

MARCATORI DI COLESTASI
• Nell’ittero ostruttivo si avrà solamente bilirubina diretta o coniugata, se vi sono
patologie infiammatorie o infettive del parenchima vi sarà grande prevalenza della
bilirubina non coniugata o indiretta. Vi sono anche forme fisiopatologiche,
costitutive come la Gilbert a trasmissione famigliare con modesto aumento della
bilirubina prevalentemente non coniugata. Nell’ittero colestatico la causa è
postepatocitaria, tranne in casi in cui si ha la cirrosi epatica, vi è dunque una stasi e
una compressione dei canalicoli intraepatici e di conseguenza aumenta la bilirubina
già coniugata. (dalle slides: il gruppo dei marcatori di coniugazione comprende il
dosaggio della bilirubina e dei suoi cataboliti e serve ad indagare la capacità di
captazione e coniugazione epatica e la capacità escretrice del fegato. Nell’ittero
ostruttivo c’è un blocco fisico del sistema duttale, come può accadere a causa di calcoli
o tumori, in quello metabolico in seguito a difetti genetici o acquisiti come in seguito a
trattamenti medici).

• Gamma-GT (gamma-glutamil transferasi) è sempre un enzima di colestasi, insieme


alla bilirubina, molto spesso nei pazienti itterici in cui si ha la bilirubina coniugata alta,
si ha gamma-GT elevata poiché nei cirrotici cronici si hanno spesso noduli degenerativi
che possono andare ad ostruire i canalicoli biliari. (dalle slides: essendo influenzata
dall’assunzione di alcol poiché ne stimola la sintesi epatica è utile nello screening e
follow-up alcolisti. Aumenta anche in seguito all’assunzione di farmaci come
rifampicina e antiepilettici)

• La fosfatasi alcalina (ALP) è un enzima di formazione ossea, di turnover osseo oltre


che di citolisi. In laboratorio è possibile dosare l’isoenzima osseo: quindi se si ha una
paziente con osteoporosi e anche un problema epatico è possibile dosare la fosfatasi
alcalina insieme
all’isoenzima osseo. Ci
sono situazioni fisiologiche
dove è alta fisiologicamente
come nei bambini dove vi è
un veloce accrescimento. In
questo caso l’aumento della
fosfatasi alcalina totale è
dovuto ad un aumento
dell’isoenzima osseo.
Anche in gravidanza ci può
essere un certo aumento
della fosfatasi alcalina, nello
specifico dell’isoenzima

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circolante di origine placentare. (dalle slides: marcatore soprattutto delle vie biliari,
insieme a bilirubina, AST e ALT, quindi aumenta nell’ostruzione delle vie biliari, farmaci
epatotossici, epatopatie, viene escreta con la bile e quindi è un buon marker di
colestasi extraepatica. In presenza di aumento di dubbia origine si deve valutare la
presenza contemporanea di gamma-GT che è più specifico per la patologia epatica)

INDICI DI PROTIDOSINTESI
• Indici di sintesi proteica sono
l’albumina (dalle slides: valori di
riferimento 3,6-4,9 g/dL, le sue
funzioni principali riguardano il
mantenimento della pressione
osmotica del sangue, il trasporto di
acidi grassi, bilirubina, ormoni e

farmaci, l’albumina plasmatica raramente


diminuisce in caso di epatite acuta a causa della
sua lunga emivita mentre si riduce in quella cronica
soprattutto quando questa evolve in cirrosi), che
rappresenta gran parte delle proteine circolanti e il
carrier di diversi farmaci, e altre sieroproteine. La
alfa-fetoproteina (AFP) si riscontra elevata
soprattutto nell’epatocarcinoma. Se l’albumina è
più bassa del normale si può pensare ad una
sofferenza funzionale o magari anche anatomica
del parenchima epatico. Tra le proteine non c’è solo
l’albumina: il fegato è un deposito proteico, soprattutto un deposito di amminoacidi che
in parte andranno a formare proteine e in parte entreranno nella gluconeogenesi per
formare substrati energetici (dalle slides: la quota di amminoacidi liberi aumenta
notevolmente in corso di necrosi epatica oppure nella cirrosi avanzata con possibile
amminoaciduria). Queste proteine non sono rappresentate solo dall’albumina ma ci
sono anche i fattori della coagulazione. Dosare i fattori della coagulazione è una
delle modalità per verificare la funzionalità epatica: il tempo di Quick (tempo di
protrombina PT) (dalle slides: il tempo in secondi necessario alla formazione del
coagulo con valori di riferimento 12-14 secondi, valuta il meccanismo estrinseco e
comune della coagulazione e può essere alterato in presenza di deficit dei fattori 1, 2,
5, 10 prodotti a livello epatico) oggi sostituito dall’INR (International Normalized
Ratio) (dalle slides: aumenta in caso di carenza o alterazione congenita dei fattori 1,
2, 5, 10, in corso di epatopatie e deficit di vitamina K), fibrinogeno. Fattori della
coagulazione e INR possono essere indici rapidi di insufficienza epatica. Nel classico
profilo elettroforetico si osservano anche le alfa2globuline che aumentano nelle
infezioni, infiammazioni, nell’infarto, nelle neoplasie; seguono di norma la VES e la
PCR e di norma sono indici di patologie infiammatore acute o subacute come una
polmonite quindi infezioni acute batteriche. Ci sono soggetti che pur non avendo
nessuna patologia infiammatoria acuta hanno la VES, la PCR e le alfa2globuline alte:
in questo caso si può sospettare una neoplasia (dalle slides: le alfa2 aumentano anche
in traumi, infarto del miocardio, epatopatie croniche e diabete mellito mentre
diminuisce in epatiti virali, collagenopatie e pancreatite). Le betaglobuline (dalle

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slides: tale frazione elettroforetica esprime principalmente il comportamento della


transferrina, proteina C reattiva, beta2-microglobulina, beta-lipoproteine e possono
aumentare anche in gravidanza, sindrome nefrosica e diminuire nella A-beta-
lipoproteinemia congenita, atransferritemia congenita, enteropatie essudative)
possono aumentare in modo critico nelle insufficienze epatiche insieme alle
gammaglobuline; quindi, si possono fondere con le beta. La fusione beta-gamma ci
può essere ma non è una regola fissa. In caso di insufficienza epatica non si ha un
aumento monoclonale delle gammaglobuline come nel mieloma ma policlonale, e per
questo si allargano all’elettroforesi. (dalle slides: in condizioni normali la frazione IgG
è prevalente sulle altre, un aumento policlonale può essere dovuto anche a infezioni
congenite, batteriche acute e croniche, parassitosi, mentre un aumento monoclonale
anche in malnutrizione, ustioni, terapia immunosoppressiva e sindrome nefrosica)

• Fattori della coagulazione: Il


fibrinogeno (Fatt. 1) può
essere aumentato in alcune
malattie infettive acute e
croniche, in patologie del
connettivo con necrosi, nelle
neoplasie e anche in
gravidanza e ustioni. Invece
nelle epatopatie è ridotto.
(dalle slides: valori di
riferimento 200-400 mg/dL,
glicoproteina sintetizzata dal
fegato, proteina solubile che si
trasforma in una proteina
insolubile e fibrosa che è la
fibrina, è il substrato fisiologico della trombina). Nelle epatopatie ci può essere un
sovvertimento e alcune proteine aumentano per la diminuzione del metabolismo
epatico. Gli ormoni tiroidei T3 e T4 si legano alla tiroxin binding globuline (TBG) la
quale è una proteina sintetizzata dal fegato. È vero che in corso di epatopatia
diminuisce la sintesi di questa proteina ma il fegato è anche responsabile del
metabolismo di questa proteina (dalle slides: il catabolismo a livello epatico può
avvenire attraverso reazioni di transaminazione, deaminazione e successiva
trasformazione dello ione ammonio tossico in urea poi escreta di reni). Quindi la TBG
rimane elevata in circolo e lega più ormone tiroideo: a parità di fabbisogno un paziente
che sviluppa un’epatopatia necessita di una maggiore dosaggio di levotiroxina, perché
la TBC anche se è sintetizzata di meno, viene metabolizzata di meno.
Si ha, dunque, un’alterazione dei fattori della coagulazione che bisogna andare a
valutare con ulteriori esami: anamnesi del paziente, ecografia epatica… (dalle slides:
la trombina (Fatt. 2°) è l’enzima responsabile della conversione del fibrinogeno in
fibrina che a sua volta è stabilizzato dal fattore 13 in presenza di calcio, circola nel
sangue come protrombina, è sintetizzato dal fegato, la sua formazione è condizionato
dall’apporto di vitamina K)

• La pseudocolinesterasi fa parte delle colinesterasi, le quali sono enzimi che


catabolizzano l’acetilcolina. L’acetilcolina è sintetizzata dalla colina acetil transferasi
nei neuroni colinergici. L’acetilcolina sintetizzata che si accumula nello spazio
sinaptico deve essere poi metabolizzata poiché altrimenti continuerebbe a stimolare i
recettori in modo eccessivo. La colinesterasi viene prodotta a partire dalla
pseudocolinesterasi, che è uno dei tanti enzimi che viene prodotto a partire da questo
metabolismo. La pseudocolinesterasi è un indice molto sensibile della funzione epatica
ed è uno degli unici parametri di funzionalità che si nota ridotto in caso di sofferenza
epatica.

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Con gli indici di funzionalità epatica risulta più difficile stabilire epatopatie tossiche a meno che
non siano causate da alcol. Il laboratorio va sempre accorpato all’imaging, anamnesi… In un
numero non molto basso di pazienti si può ricorrere alla biopsia epatica. (dalle slides: gli indici
di funzionalità epatica definiscono entità e evolutività funzionale in modo da distinguere tra
danno acuto e cronico, definiscono l’eziologia della lesione che risulta semplice nelle epatiti
virali)
In caso di danno epatico acuto risulta più difficile comprendere le motivazioni eccetto
l’epatopatia tossica e alcolica e quindi si rende necessaria l’esecuzione di ulteriori esami
diagnostici. È difficile avere un’ischemia epatica dal momento che il fegato è un collettore di
sangue, e anche il sangue venoso ha una minima percentuale di ossigeno, può accadere per
esempio in seguito a condizioni a livello del tripode celiaco. (dalle slides: per danno epatico
acuto si intende un danno all’epatocita che avviene e si manifesta in un breve periodo di
tempo. Possibili cause: infettiva, alcolica, tossica, ischemica, autoimmune, da ostruzione
biliare) È possibile anche il danno epatico da autoimmunità come nell’epatite cronica
autoimmune. (dalle slides: costituisce circa 1/5 delle epatiti non virali e non alcoliche e ci sono
diverse varianti. La prima forma mostra un elevato titolo di autoanticorpi: anticorpi antinucleo
ANA e anti-muscolo liscio. La seconda categoria anticorpi contro l’antigene solubile epatico
(anti-SLA) e gli antigeni microsomiali epatici. Entrambe le forme sono caratterizzate da
aumento lieve transaminasi con aumento minimo fosfatasi alcalina).

Il danno epatico cronico nella maggior parte dei casi deriva da un’epatite acuta che cronicizza.
Ci possono essere casi anche di epatopatie autoimmuni che cronicizzano.
Ci sono pazienti che sviluppano epatiti in modo non acuto e di conseguenza il paziente non
se ne accorge essendo la sintomatologia molto subdola e magari iniziano ad accusare astenia
dopo anni. (dalle slides: fattori di rischio alcolismo, malattie genetiche del fegato, fattori di
rischio per infezioni virali, emodializzati cronici, tossicodipendenti)
Le epatiti croniche non si accompagnano ad un elevato indice di transaminasi. Le
transaminasi sono alte nelle epatiti acute o da danno acuto su un’epatite cronica. Addirittura,
nelle cirrosi avanzate le transaminasi sono basse perché ci sono pochi epatociti.
La sintomatologia della epatopatia cronica che prelude l’insufficienza epatica è l’astenia e può
essere completamente asintomatica soprattutto inizialmente. Quindi in seguito all’anamnesi
si misurano le transaminasi e in seguito HBsAg quindi viene eseguita la sierologia dell’epatite
B e dell’anti-HCV. (dalle slides: HVA, HBV, HCV, EBV quindi le epatiti virali costituiscono la
stragrande maggioranza delle forme di epatite acuta virale) L’epatite cronica autoimmune a
volte nasce in modo lento, quindi è utile verificare gli anticorpi antinucleo. La situazione può
essere stabile per molto tempo oppure gradualmente peggiora e va verso insufficienza
epatica.

Sintomatologia dell’insufficienza epatica


La cirrosi epatica è l’anticamera dell’insufficienza epatica seguito da un progressivo quadro di
fibrosi del tessuto epatico.
Sintomi:
• Ascite, un versamento peritoneale in seguito a ipertensione portale nell’addome:
• Sanguinamento da varici esofagee, infatti questi soggetti con epatopatia cronica
spesso esordiscono con ematemesi;

Il paziente con insufficienza epatica avrà disturbi della coagulazione, potrebbe avere una
un’encefalopatia post-epatica (o porto-sistemica) e potrebbe avere anche delle alterazioni
degli effetti dei farmaci che hanno metabolismo epatico. Le benzodiazepine possono
peggiorare il danno epatico del paziente epatopatico: il metabolismo epatico delle
benzodiazepine è completamente sovvertito in un paziente con insufficienza epatica, ed è
facile avere un’intossicazione di benzodiazepine in queste condizioni.
Inoltre, c’è anche una disfunzione immunitaria legata all’insufficienza epatica e la cirrosi,
perché le proteine che fanno parte della cascata immunitaria sono epatiche, quindi non ci si

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deve meravigliare quando un paziente cirrotico è anche in qualche modo


immunocompromesso.

ENCEFALOPATIA PORTO-SISTEMICA
Si tratta di una condizione in cui tutti i residui degli aminoacidi azotati - soprattutto l’ammonio
che è il catabolita ultimo e che non risulta metabolizzato in questo caso - vanno in circolazione,
perché non vengono trasformati in urea dovuto all’insufficienza epatica, e andando in
circolazione determinano un effetto fortemente soppressivo sul SNC, in particolare sullo stato
di vigilanza.

Si suddivide in 4 stadi (da slide):

STADIO 1: lieve mancanza di attenzione, confusione moderata, insonnia, irritabilità,


depressione e/o ansia.

STADIO 2: sonnolenza, amnesie, rallentamento della risposta agli stimoli, disorientamento nel
tempo e nello spazio.

STADIO 3: alterazione del tono dell’umore alternato a sonnolenza, mioclonie, talvolta Babinski
positivo.

STADIO 4: coma.

Quindi, in un soggetto con un’insufficienza epatica nota è importante andare a dosare


l’ammoniemia in quanto potrebbe avere un inizio di un’encefalopatia epatica porto-sistemica.
Da notare che a volte potrebbe essere positivo il test di Babinski e alla fine questo quadro di
sonnolenza aumenta fino arrivare al coma, altamente difficile da trattare se non irreversibile.
Il coma da encefalopatia epatica è una delle forme peggiori.

TERAPIA
La terapia, soprattutto nel caso di una insufficienza epatica, si basa su:

• Evitare pasti ricchi in proteine: i residui azotati non vengono metabolizzati e si forma
ammoniaca peggiorando o determinando l’encefalopatia porto-sistemica;
• Aminoacidi ramificati: non è noto completamente il meccanismo, determinano anche
loro problemi, ma la presenza di ammoniemia in questi casi viene meglio tollerata
rispetto a pazienti che non assumono amminoacidi ramificati. Secondo la letteratura,
nel paziente con insufficienza epatica la proporzione tra aminoacidi ramificati e
aminoacidi aromatici è nettamente a sfavore per gli aminoacidi ramificati; si è
osservato che bilanciando questo rapporto il paziente migliora, la disfunzione cognitiva
migliora e in qualche modo il quadro clinico ne risente in modo positivo;
• Dieta ricca di fibre in quanto riducono l’assorbimento di diversi alimenti -come lo
zucchero avendo nel diabetico l’effetto di ridurre la velocità di assorbimento del
glucosio- ma, in questo caso riduce l’assorbimento dei radicali azotati;
• Farmaci: il Lattulosio è uno zucchero non riassorbibile, il catartico più importante
somministrato anche a microclismi, ma sicuramente utilizzato come terapia orale può
aiutare a mantenere efficace la canalizzazione per ridurre il più possibile ammoniaca
e radicali del metabolismo azotato nell’intestino evitando il più possibile lo sviluppo di
un’encefalopatia posto-sistemica. Attenzione deve essere posta alle varici esofagee: i
pazienti cirrotici, epatopatici cronici possono presentare varici, conseguenza
dell’ipertensione portale, che diventano sanguinanti e di difficile gestione (sebbene

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attualmente vi siano anche delle terapie endoscopiche locali e si può somministrare


un analogo della somatostatina per inibire la secrezione acida gastrica o oppiacei e
inibitori di pompa protonica), e che potrebbero avere un peggioramento o uno sviluppo
di un’encefalopatia porto-sistemica. Nel paziente che ha sanguinato, anche se non
presenta segni di encefalopatia porto-sistemica, è buona norma iniziare il trattamento
con lattulosio per favorire la progressione e la canalizzazione; inoltre si possono
somministrare aminoacidi ramificati per via infusiva. Gli antibiotici locali (neomicina,
rifaximina) che sono somministrati tipicamente in patologie intestinali (da utilizzare con
maggiore cautela rispetto al lattulosio), evitano la fermentazione batterica e quindi la
produzione di residui azotati che porterebbero poi alla formazione di ammoniaca;
• Infusione di albumina, il paziente con ascite è carente di albumina, in questo caso sarà
necessaria anche la paracentesi;
• La paracentesi è il gold standard nel paziente con un’ascite importante, con edemi
(agli arti inferiori e pelvi) dovuti alla mancanza di albumina ma anche perché,
soprattutto per quanto riguarda gli arti inferiori, l’ascite - ovvero il versamento
peritoneale – comprime la vena cava inferiore, la quale è interessata da un fenomeno
di stasi manifestandosi in periferia come edema degli arti inferiori.
• Altri farmaci: tipicamente
questi pazienti presentano anche
un’iperaldosteronismo secondario
– l’eccesso di aldosterone può
essere primario, nel morbo di
Conn, un adenoma surrenalico
secernente, oppure secondario
quando vi è una riduzione della
volemia da sequestro di liquidi. In
questo l’insufficienza epatica
provoca un sequestro e
spostamento di liquidi nell’interstizio che si manifesta con edemi e ascite e la risposta
a ciò è la produzione di aldosterone. La secrezione di aldosterone è secondaria 
richiamo di sale (Na+) nel circolo  il sodio stesso finisce nell’interstizio 
peggioramento dell’edema e del quadro clinico: si tratta di un circolo vizioso.
Per fermarlo occorre bloccare gli effetti dell’aldosterone, ottenendo così una riduzione
dell’assorbimento del sale, con un aumento di escrezione di acqua libera con l’urina.
Per ottenere questo effetto si utilizzano gli antialdosteronici, in primis lo
spironolattone, tutte le volte che si è di fronte ad un iperaldosteronismo secondario,
anche nell’insufficienza cardiaca – altra condizione clinica in cui non si ha un ritorno
sanguigno sufficiente al cuore, una pompa insufficiente e si manifesta con edemi,
liquidi che dal compartimento vascolare si spostano nell’interstizio e con secrezione
dell’aldosterone – tra le varie note terapeutiche comparirà l’antialdosteronico. Oltre allo
spironolattone c’è anche il canreonato di potassio, sono simili con un utilizzo
frequente, con un effetto collaterale importante antiandrogenico potendo provocare nel
maschio ginecomastia. Negli ultimi anni è stato introdotto un farmaco che presenta
meno effetti collaterali, ovvero l’epleronone, usato soprattutto nei pazienti con
iperaldosteronismo primario prima dell’intervento. Inoltre l’aldosterone in eccesso è
dannoso per l’organismo in quanto porta a ipertensione, e l’ormone di per sé può
provocare un danno cardiovascolare essendo i recettori dell’aldosterone presenti nel
miocardio e nelle pareti vasali. Ridurre l’aldosterone è importante con antialdosteronici
laddove si riesca, se ciò non avviene si utilizzano gli antirecettoriali per evitare che
l’eccesso di questo ormone peggiori il quadro cardiovascolare. Un effetto che provoca
lo spironolattone, oltre a quello antiandrogenico, è l’iperpotassiemia, in contrasto con
l’iperaldosteronismo in cui tipicamente si ha ipernatriemia e ipopotassiemia, ed è da
tenere sotto controllo; l’epleronone riduce gli effetti androgenici, ma non quelli relativi

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all’iperkaliemia. Queste sono considerazioni importanti soprattutto di fronte a pazienti


ipertesi che assumono ACE-inibitori, poiché anch’essi aumentano i livelli di potassio.

SINDROME EPATO-RENALE
La sindrome epato-renale è una condizione
clinica molto particolare, non così rara, che si
manifesta con una insufficienza renale
funzionale (quindi il rene di per sé non ha la
patologia) caratterizzata da una cirrosi
avanzata (insufficienza epatica) secondaria
ad un’intensa vasocostrizione renale.

Si suddivide in due tipologie:


• Insufficienza renale acuta con un quadro severo, con prognosi molto grave,
prevalenza dal 18 al 40%. Insorge da uno a cinque anni dall'instaurarsi di
un'insufficienza renale.
• Ascite refrattaria con un’insufficienza renale che si manifesta con caratteristiche di
cronicità.

MECCANISMO D’AZIONE (immagine a


lato)

Cirrosi  ostruzione al flusso portale 


ipertensione portale  attraverso un
meccanismo riflesso si sviluppa una
vasodilatazione splancnica e sistemica 
questa vasodilatazione porta sua volta ad
un'attivazione di agenti vasocostrittori che
funzionano elettivamente sull’arteria renale
 vasocostrizione renale determinata
anche dall’aumentata sensibilità renale ai
mediatori vasocostrittori.

Conoscere questo meccanismo è


importante in quanto i trattamenti che sono
stati apportati, non sono molti, sono farmaci
vasocostrittori. L’ultimo uscito è la
terlipressina, un analogo della
vasopressina, con effetto, appunto
vasocostrittore, per evitare la
vasodilatazione splancnica e sistemica, che rappresenta il punto chiave.
Per concludere, i vari eventi che si susseguono nella sindrome epato-renale sono
l’insufficienza epatica con ipertensione portale, l’effetto vasodilatatorio a livello splancnico e
sistemico, ma soprattutto l’effetto vasocostrittorio a livello renale che diventa molto sensibile
ai fattori della vasocostrizione. In questo caso l'unica terapia possibile per evitare quella
vasodilatazione splancnica e sistemica e la conseguente vasocostrizione renale, è
paradossalmente un vasocostrittore.
Si tratta di condizioni da considerare sempre insieme all’epatologo e al nefrologo.

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INSUFFICIENZA EPATICA E TIROIDE


Un'insufficienza epatica può avere conseguenze su alcuni sistemi endocrini e la tiroide è uno
di questi. Non c'è quindi da meravigliarsi se bisognerà ottenere un compenso terapeutico in
un soggetto ipotiroideo che sviluppa un’epatopatia anche acuta, perché in questo caso la
proteina legante gli ormoni tiroidei in circolo risulta aumentata a causa del suo ridotto
metabolismo, quindi anche se la sintesi risulta normale lega maggiormente gli ormoni tiroidei.
Questa condizione può essere valida anche per altre situazioni come per i corticosteroid-
binding globulin (CBG) che legano gli ormoni steroidei anche se molto meno evidente. Uno
degli aspetti più evidenti è quello dato dalla tireopatia, forse perché il legame tra tireociti e
thyroxine binding globulin è molto solido oltre al fatto che ci sono molti più pazienti con
tireopatia che non pazienti che abbiano bisogno di terapie di supporto steroideo per
insufficienza surrenalica. L’insufficienza tiroidea, l'ipotiroidismo, è altamente più frequente
rispetto all’Addison.

DISORDINI DEL BILANCIO IDROSALINO POST-CHIRURGIA


IPOFISARIA
Aspetto molto importante, perché potrebbe capitare almeno una volta di averne a che fare.
Il paziente che subisce una ipofisectomia può andare incontro nell'arco di un tempo che va
dai 4 ai 14 giorni dopo l'intervento a una iposodiemia che può essere mortale, generalmente
preceduta da sonnolenza e stato soporoso.
In un paziente ipofisectomizzato mandato a casa dal neurochirurgo, dopo quattro giorni deve
assumere sodio-potassio da ripetere dopo altri 5 /6 giorni e dopo altri 5 /6 giorni ancora (il prof
racconta di un caso di una paziente che ha impiegato circa un mese per controllare il bilancio
idro-salino, trattata con soluzione fisiologica) fornendo 500-750 ml di fisiologica al giorno oltre
ad un’integrazione di sale per bocca (aggiungendolo negli alimenti).

(Il prof riferisce di un’alra paziente ricoverata per una gravissima iposodiemia e ha dovuto
eseguire una terapia con soluzioni ipertoniche (3%), che vanno sempre fatte in un ambiente
ospedaliero controllato).

IMPORTANTE: in un paziente dopo ipofisectomia deve essere controllata la sodiemia


perché potrebbe sviluppare una iponatriemia.

SINTOMI
I sintomi scaturiscono mediante l’attivazione di alcuni meccanismi; dopo una ipofisectomia si
può sviluppare un disturbo del bilancio idro-elettrolitico, soprattutto idrosalino e può essere di
due tipologie.

RISPOSTA TRIFASICA
• Inizialmente potrebbe svilupparsi un diabete insipido (attualmente chiamato AVP-D/
arginin-vasopressin deficiency) provocato da un’alterazione neurogena dell’asse
ipotalamo-ipofisi. Quando si toglie l’ipofisi si va accanto al peduncolo ipofisario; la
vasopressina è prodotta a livello del nucleo sopraottico e paraventricolare per
raggiungere la neuroipofisi dove viene secreta. Durante l’operazione, anche se il
neurochirurgo è esperto, si potrebbe toccare il peduncolo, irritandolo se non addirittura
reciderlo. Da quel momento il flusso di vasopressina, dal nucleo sopraottico e
paraventricolare dell’ipotalamo alla neuroipofisi risulta essere compromesso, non è più

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Clinica Medica e Geriatria n°28 del 20.01.2023 (Prof. Ceresini)
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presente la vasopressina e si sviluppa il diabete insipido (sintomi caratteristici sono la


poliuria, basso peso specifico urinario perché il paziente non è in grado di concentrare
le urine – valori di 1002/1005 rispetto al valore di normalità di 1020 mOsm/kg:
attualmente si utilizzano pannelli laboratoristici che calcolano direttamente i valori);
• Dopo alcuni giorni, si ha un’esagerata produzione di vasopressina, se il peduncolo non
è stato tagliato del tutto, perché si sviluppa una reazione probabilmente irritativa,
mediata dal vago, che fa sì che la vasopressina sia secreta maggiormente. Questo
porta a un quadro di SIADH, sindrome da inappropriata produzione di ADH, ed è
questa la situazione in cui si potrebbe verificare un’iposodiemia:
aumento di produzione di vasopressina → aumento della volemia → diluizione del
sangue → riduzione della sodiemia.
(Il prof riferisce di un paziente operato per un adenoma ipofisario di 3 cm non
secernente e in nona giornata aveva 133 mEq/L di Na+, si è deciso di trattarlo con
sodio per bocca e dopo 2 giorni è stato fatto un controllo). Questi pazienti necessitano
di un follow up frequente e prolungato nel tempo, e come strategie terapeutiche
tipicamente si utilizza il sodio, tendenzialmente per bocca, soluzioni fisiologiche per 3-
5 giorni per poi rivalutare il paziente. Qualora il paziente non migliori, e la sodiemia
rimane bassa, va mandato al Pronto Soccorso;
• Infine, si può avere un quadro di diabete insipido che diverrà persistente. Anche in
questa situazione potrebbe verificarsi un’iponatriemia qualora venga somministrato un
quantitativo eccessivo di vasopressina.

Riassunto: diabete insipido → SIADH → diabete insipido persistente

RISPOSTA BIFASICA
• Inizialmente si sviluppa un diabete insipido (AVP-D) sempre da alterazione neurogena
dell’asse ipotalamo-ipofisi;
• Successivamente si determina un quadro di SIADH che risulta essere temporaneo (in
questa fase potrebbe svilupparsi un iposodiemia);
• Infine, il quadro patologico potrebbe risolversi completamente

Riassunto: diabete insipido → SIADH → risoluzione completa

Sopra è presente lo schema di quello che è stato spiegato precedentemente.

A sinistra è presente la situazione fisiologica: sono rappresentati il nucleo sopraottico e il


paraventricolare dove è prodotta la vasopressina che poi raggiunge la neuroipofisi; la figura

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grigia è l’adenoipofisi, e con un adenoma dell’adenoipofisi si potrebbe sviluppare una lesione


del peduncolo e questa può essere:
- totale (complete axotomy) con rilascio della vasopressina che era stata già precedente
prodotta e presente nella neuroipofisi, portando ad un inziale quadro di diabete insipido legato
all’alterata fisiologia del sistema, poi per un meccanismo non del tutto noto, ma che si ritiene
sia legato al vago, si ha un release non regolato di vasopressina. Tutta la vasopressina
presente viene rilasciata, e si ha una neuroipofisi senza vasopressina con un quadro di
diabete insipido persistente.
-parziale (incomplete and inferior axotomy) con un quadro definito anche isolated
hyponatriemia (iponatriemia isolata) in cui si ha una vasopressina ridotta ma sufficiente
(possibile diabete insipido), successivamente si verifica una release di vasopressina da
irritazione vagale, infine si ha una neuroipofisi con una vasopressina sufficiente nei neuroni
rimanenti (risoluzione del quadro patologico).
Il prof ha chiarito che all’esame non chiederà nel dettaglio tutto il meccanismo di quest’ultimo
argomento, ovvero dei disordini del bilancio idrosalino post-chirurgia ipofisaria, ma ritiene
importante che all’esame si sappia cosa accade dopo l’intervento di ipofisectomia, ovvero
l’iposodiemia che va da un arco dai 3-4 ai 14-20 gg dopo.

Vi sono altre condizioni che possono determinare un’iposodiemia:


-il paziente potrebbe essere carente di ACTH, viene a mancare così lo stimolo sul surrene e
la produzione di cortisolo e quindi anche di sodio, infatti una delle manifestazioni in corso di
Morbo di Addison è l’iposodiemia
-ipotiroidismo (riferimento di un caso di una paziente con ipotiroidismo che aveva
iponatriemia importante legata alla patologia tiroidea; trattando poi l’ipotiroidismo,
l’iposodiemia si è risolta).

L’iponatriemia in un soggetto che ha subito


ipofisectomia si presenta con:
-sodiemia < 135 mmol/L - da considerare che in
un paziente operato, la sodiemia va trattata
anche se non è marcatamente bassa,
diversamente da un soggetto che fa diuretici
cronicamente che può essere tenuto in
osservazione;
-osmolarità plasmatica <275 mOsml/kg;
-osmolarità urinaria > 100 mOsml/kg.

Se si osserva un’osmolarità plasmatica e urinaria alterate in relazione tra loro (la prima bassa
e la seconda elevata) si può dare da bere al paziente e risolvere questo quadro, ma l’obiettivo
principale è la sodiemia e quindi fornire al paziente del sale.

Successivamente si farà la diagnosi valutando fT4 (non viene eseguito il TSH in quanto in
seguito a ipofisectomia il TSH è 0) che valuta la funzionalità ipofisaria. Se il paziente
ipofisectomizzato ha l’fT4 basso tendenzialmente avrà anche il TSH basso, mentre in cronico
verrà valutato sia TSH e fT4, in quanto il sistema TSH-Ft4 può funzionare correttamente
indicando che quel paziente è stato operato riuscendo a preservagli la funzionalità ipofisaria.
Possono capitare dei pazienti che non avranno mai il TSH alto, in questo caso si valuterà l’fT4
per scegliere la terapia migliore.

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AVP E COPEPTINA
La misurazione diretta di AVP non
viene più eseguita, in quanto poco
affidabile.
Recentemente, in alcuni centri, ma
non ancora a Parma, si dosa la
copeptina che è un frammento C-
terminale precursore della
vasopressina, secreto in quantità
equimolari con la vasopressina nel
flusso ematico.

Il dosaggio della copeptina potrebbe diventare il gold standard, in quanto se è normale lo è


anche la vasopressina, se è bassa vuol dire che non si ha sufficiente vasopressina. Nella
diagnosi di diabete insipido, al di là di quelle che sono tutte le manifestazioni secondarie per
cui si arriva alla diagnosi (peso specifico urinario, test dell’assettamento ecc.) attualmente si
ricerca direttamente la copeptina.

A volte, quando un paziente viene ipofisectomizzato per un adenoma GH-secernente


potrebbe sviluppare una poliuria post intervento per acromegalia, che non è un disordine idro-
elettrolitico come quello trattato relativamente al danno ipofisario; potrebbe anche essere che
il chirurgo abbia tolto l’adenoma GH-secernente e abbia toccato anche il peduncolo ipofisario
e quindi il paziente sarà da valutare attentamente. Bisogna, dunque, misurare sodio,
osmolarità plasmatica e urinaria dopo 4-5 giorni e dopo ancora 4-5 giorni: se è presente
iponatriemia fin da subito si dà del sale per os.

Un aspetto che tende a far rilassare è il fatto che dopo un intervento per acromegalia è nota
la marcata diuresi dopo l’improvviso decremento del GH, il GH trattiene liquidi, se manca il
GH si ha questa profusa diuresi che dura sui 2-5 giorni. È una condizione che va in diagnosi
differenziale con il diabete insipido - non tanto con l’eccesso di arginina-vasopressina (AVP)
e in questo caso non ci si aspetta l’iposodiemia. Si valuterà l’osmolarità plasmatica,
l’osmolarità urinaria, la sodiuria, il peso specifico urinario, di solito in queste condizioni manca
la polidipsia in quanto non si tratta del vero diabete insipido, e laddove sia possibile si fa il
dosaggio della copeptina.

Bisogna quindi fare attenzione negli interventi soprachiasmatici, dove sono situati i nuclei
sopraottico e paraventricolare che producono vasopressina, che rimuovono solitamente
adenomi o craniofaringiomi, a non sezionare il peduncolo in quanto potrebbe provocare
diabete insipido anche permanente.

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