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1 – CARATTERISTICHE
La malattia da reflusso gastro-esofageo (GERD/GORD o MRGE) è molto diffusa. È importante, come
medici, essere in grado di riconoscerla ed affrontarla poiché, pur non essendo una malattia particolarmente
complessa, può portare a conseguenze anche piuttosto serie.
La malattia da reflusso gastro-esofageo è definita come una condizione che si sviluppa quando un reflusso di
contenuto gastrico causa sintomi fastidiosi o complicanze. Tale definizione risale al 2006 ma è, ad oggi,
ancora valida. Quando si parla di contenuto gastrico ci si può riferire ad acido e cibo, ma anche a sali biliari,
lisolecitina ed enzimi pancreatici, perché ci potrebbe essere un reflusso duodeno-gastrico che precede quello
gastro-esofageo. Tra un reflusso di tipo acido e un reflusso misto di acido e bile è certamente più dannoso il
secondo, perché la bile con la sua azione tensioattiva (emulsiona i grassi) rimuove in qualche modo lo strato
superficiale protettivo, lasciando la mucosa direttamente esposta all’insulto dell’acido.
Dunque il reflusso è un fenomeno fisiologico; la malattia si instaura nel momento in cui l’azione lesiva
supera le capacità difensive.
I tre punti cardine di questa capacità lesiva, responsabili quindi dell’insorgenza della patologia, sono:
• La capacità lesiva del materiale refluito;
• Il tempo di contatto del materiale refluito con la mucosa esofagea;
• La resistenza della mucosa. Può essere che a parità di reflusso un soggetto sia perfettamente sano,
mentre un altro sviluppi un’erosione, perché le singole mucose hanno resistenze differenti;
nonostante ciò non siamo ancora in grado né di misurare questa resistenza né di correggerla
farmacologicamente.
2 - EPIDEMIOLOGIA
Si tratta di una malattia con altissima prevalenza.
La tabella mostra i dati americani, ma quelli italiani
non sono molto differenti: intorno al 10% della
popolazione riferisce episodi di pirosi con una certa
frequenza.
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In uno studio non recentissimo, effettuato nei paesi scandinavi, si è andati ad esaminare le cartelle di tutti i
pazienti morti di tumore all’esofago, prestando particolare attenzione alla presenza o meno di una storia di
reflusso. Si è visto che nei pazienti con MRGE sintomatica e, in particolare, quelli che presentavano anche
reflusso notturno, la frequenza di adenocarcinoma esofageo aumentava in maniera considerevole rispetto ai
pazienti che non presentavano sintomi da MRGE.
Questa considerazione è una dimostrazione del fatto che è estremamente importante gestire il problema in
modo corretto per evitare le sgradevoli complicanze. Gestire il problema in modo corretto implica sottoporre
il paziente alle indagini consone per scoprire l’eziologia del disturbo e trattarlo di conseguenza. Sembra
banale ma, ad oggi, spesso questo schema d’azione non viene seguito: si pensi che gli inibitori di pompa
protonica, spesso utilizzati per trattare la MRGE anche quando non servono, hanno un costo pari allo 0,07%
del PIL italiano.
3 - EZIOPATOGENESI
La malattia da reflusso è solitamente una malattia multifattoriale.
I principali fattori eziologici sono:
• La resistenza della mucosa, che come già detto purtroppo non è misurabile nè correggibile;
• L’incompetenza dello sfintere esofageo inferiore (LES);
• L’alterato clearing;
• Alcuni fattori gastrici.
Molto importanti sono, inoltre, i rilasciamenti transitori. Si è detto che all’atto della deglutizione, si genera
un’onda peristaltica che si propaga oro-aboralmente e contemporaneamente il LES si rilassa; quando il LES
si apre espone l’esofago al reflusso. In questa condizione è possibile che del materiale acido refluisca
nell’esofago; tuttavia, essendoci un’onda motoria proveniente dall’alto, l’eventuale acido viene subito
clearato. Se invece si avesse un rilasciamento non associato a deglutizione, come accade nel caso del
TRLES, potrebbe succedere che il LES si rilascia, ma l’onda motoria parte alcuni secondi dopo (circa 20-30
secondi), durante i quali il reflusso acido è libero di risalire l’esofago. Il refluito acido rimane a contatto con
le pareti dell’esofago fino a quando non viene clearato con le successive deglutizioni.
I rilasciamenti transitori sono responsabili dei reflussi fisiologicamente presenti in ogni soggetto e possono
essere scatenati da due fattori:
• Micro-deglutizioni, più frequenti nel post-prandio;
• Distensione del fondo gastrico: il motivo per cui si sconsiglia ai pazienti affetti da reflusso di bere
bevande gasate è che queste distendono il fondo dello stomaco.
Quindi, i rilasciamenti transitori saranno certamente più frequenti nel periodo post prandiale.
I rilasciamenti transitori vanno dunque a causare i reflussi fisiologici ma, quando a questi si associa uno
sfintere ipoteso o troppo corto, la condizione può aggravarsi e generare la malattia da reflusso.
NB: Spesso nei referti endoscopici si legge “piccola ernia iatale da scivolamento”; bisogna però tenere in
considerazione il fatto che la procedura endoscopica richiede che si vada a gonfiare lo stomaco in modo da
farlo distendere (normalmente il sacco gastrico è un sacco virtuale, collabisce); come conseguenza di ciò
può succedere che la mucosa gastrica risalga leggermente. In questi casi è discutibile se sia lecito o meno
parlare di ernia iatale, in quanto si tratta di una situazione assolutamente non fisiologica. Il vero sistema per
fare diagnosi di ernia iatale è l’esame radiologico, con il quale si riesce a valutare la presenza di ernia ed
eventualmente le dimensioni di quest’ultima.
Rimane il punto fermo che ciascun paziente deve seguire una terapia personalizzata: ad esempio non ha
senso far dormire in posizione anti-Trendelemburg2 un paziente che non ha reflusso notturno.
4 – CLASSIFICAZIONE
In una classificazione della MRGE fatta a
Montreal nel 2006 sono state distinte le sindromi
esofagee da quelle extraesofagee.
Le sindromi esofagee sintomatiche comprendono
quelle che presentano i sintomi tipici della
malattia da reflusso, ossia pirosi e rigurgito, e
quelle con dolore toracico. Vi sono poi le
sindromi esofagee che, oltre ai sintomi,
presentano anche danno alla mucosa, come
l’esofago di Barrett.
Anche le sindromi extraesofagee associate al
reflusso sono divise in due gruppi: il primo
comprende quelle che hanno un’associazione
accertata (tosse, laringite, asma ed erosioni
dentarie), il secondo quelle in cui l’associazione è solo
ipotizzata (sinusite, fibrosi polmonare e otite media).
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Più a lungo il cibo rimane nello stomaco e più aumenta il rilascio di gastrina.
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La posizione di Trendelenburg, o posizione anti-shock, è la posizione in cui è posto il paziente in caso di shock o
durante l'esecuzione di particolari indagini radiologiche, nonché durante operazioni di chirurgia ginecologica e
addominale. Il soggetto è supino, sdraiato in modo che il capo sia situato inferiormente a ginocchia e bacino. La
posizione di Trendelenburg inversa, anche definita anti Trendelenburg, è opposta alla posizione di Trendelenburg.
Viene praticata nei letti ospedalieri articolati e prevede l'inclinazione a 25-30° del letto in modo tale che la testa e il
torace risultino su un piano superiore rispetto a quello dei piedi (paziente supino).
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La manometria è utile per capire se l’esofago ha dei deficit funzionali perché, in questo caso, il restringimento della
giunzione gastro-esofagea (chirurgia anti-reflusso) sarebbe inutile se non dannoso: potrebbe peggiorare la
situazione provocando disfagia.
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5 – COMPLICANZE
Una malattia da reflusso cronica, ossia prolungata nel tempo, può dare una serie di complicanze che possono
essere distinte in esofagee ed extraesofagee.
6 – MANIFESTAZIONI CLINICHE
I sintomi della MRGE sono distinti in tipici e atipici: i sintomi tipici comprendono pirosi e rigurgito; i
sintomi atipici si dividono in esofagei ed extraesofagei.
Al contrario, è indicato sottoporre ad una gastroscopia pazienti di età maggiore di 45-55 anni, poiché
aumenta la probabilità che vi siano delle alterazioni organiche (non necessariamente neoplastiche),
soprattutto nei maschi.
Altre indicazioni alla gastroscopia sono:
• Pregresse malattie gastroenteriche;
• Familiarità;
• Consumo regolare di farmaci gastro-lesivi (come i FANS);
• Mancata risposta al trattamento;
• Rapida recidiva alla sospensione della terapia;
• Forte preoccupazione del paziente.
E’ importante tenere a mente questi fattori in quanto la gastroscopia è un esame invasivo che, quindi, va
limitato ai casi in cui è strettamente indicato.
Inoltre è bene ricordare che diversi studi (anche italiani) hanno dimostrato che sia l’aumento di peso sia
l’aumento della circonferenza addominale hanno una correlazione quasi lineare con il numero di reflussi e
con l’incidenza dell’esofago di Barrett.
Infine, per inquadrare meglio il paziente, si può indagare la presenza dei cosiddetti “red flags”, ossia quei
segni e sintomi che devono far scattare nel medico un campanello d’allarme. I “red flags” della patologia
gastro-enterica sono:
• Masse addominali;
• Sanguinamento gastro-enterico;
• Anemizzazione;
• Calo ponderale non spiegato;
• Disfagia;
• Vomito ricorrente.
Tra questi, il più importante per la patologia inerente all’esofago è senza dubbio la disfagia. In presenza di
disfagia è legittimo effettuare una radiografia con mezzo di contrasto, che è in grado di evidenziare la
presenza di eventuali masse e spesso anche di acalasia, poiché la gastroscopia è un esame che di solito
presenta lunghe liste d’attesa. In generale, ha senso fare una radiografia con mdc quando si sospetta che la
causa del reflusso sia di tipo organico. Al contrario, non è accettabile una diagnosi radiologica di MRGE: la
radiografia, infatti, può evidenziare solo la presenza di reflusso durante l’esecuzione dell’esame, ma questo
non significa che il paziente sia affetto da MRGE.
1 – STRUTTURA DELL’ESOFAGO
La struttura normale dell’esofago aperto (porzione sinistra
dell’immagine) è rappresentata da un tubo ricoperto da una mucosa
di colore bianco-avorio, immediatamente adiacente alla mucosa
dello stomaco (porzione destra dell’immagine), la quale dopo
fissazione in formalina appare di colore marrone-rosato. In vivo,
invece, la mucosa esofagea si presenta rosea, mentre quella dello
stomaco appare rossastra.
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Integrazioni da “istologia e anatomia microscopica” – Wheater.
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Il professore le chiama peri-esofagee, ma non ho trovato riscontro di questo nome né cercando sui libri né su internet.
(ndr)
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NB: seguendo le slide andrebbero trattate le esofagiti ma, per mancanza di tempo, il professore ci esorta a
studiarle autonomamente dal testo.
La presenza di questi criteri indica che l’esofago ha subito un insulto, ma non chiarisce l’eziologia della
malattia: può essere reflusso gastrico, reflusso di sali biliari oppure entrambi.
Nell’immagine a sinistra si vede bene come le papille subepiteliali9 salgano superando i 2/3 dello spessore
dello strato malpighiano; mentre nell’immagine a destra è indicato dalle frecce lo spessore dello strato
basale, che risulta essere maggiore del 15% dello spessore della mucosa. Infine si nota, soprattutto in quella a
sinistra, un infiltrato infiammatorio costituito da cellule piccole con citoplasma rossastro: si tratta soprattutto
di PMN neutrofili, ma anche eosinofili.
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Il professor Albarello utilizza la dizione anglosassone di esofago con il dittongo iniziale. Quindi, invece di GERD si
troverà GORD e invece di “esophagus” si troverà “oesophagus”.
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Integrazione da slide.
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Sta diventando frequente l’esofagite eosinofila, in cui si nota appunto un infiltrato ricco soprattutto di polimorfo
nucleati eosinofili.
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Le papille subepiteliali sono invaginazioni della lamina propria che si approfondano nell’epitelio. (ndr)
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3.3 – COMPLICANZE
Le complicanze della GORD sono:
• Esofagite;
• Stenosi;
• Ulcerazioni;
• Esofago di Barrett;
• Adenocarcinoma.
4 – ESOFAGO DI BARRETT
Norman Barrett era un chirurgo inglese il quale, nel 1950, osservando degli esofagi autoptici di pazienti con
delle ulcere esofagee che erano morti per la rottura o il sanguinamento delle stesse, notò che tali esofagi
presentavano, oltre al consueto epitelio di colore biancastro, anche una parte più rosea. Egli li definì come
“esofagi corti congeniti a cui è stato attaccato un pezzo di stomaco: questa parte di stomaco si è ulcerata e ha
portato alla morte del paziente per emorragia”.
Nel 1957 però, in seguito a una serie di vicissitudini, riuscì a capire che non si trattava di un esofago corto
congenito a cui erano attaccati pezzi di stomaco, bensì di una parte di esofago rivestita da epitelio colonnare
(tipico della mucosa gastrica). Da questo errore deriva il nome “esofago di Barrett”.
Per capire bene l’esofago di Barrett bisogna definire in maniera corretta la giunzione esofago-gastrica. La
giunzione esofago-gastrica può essere definita da un punto di vista anatomico, fisiologico, endoscopico,
istologico e anche chirurgico.
Gli americani hanno definito la giunzione esofago-gastrica come l’unione dello stomaco e l’esofago
prossimale al margine delle pieghe gastriche: dunque, secondo tale definizione, parte dell’esofago distale è
rivestito fisiologicamente da epitelio colonnare10. Le popolazioni occidentali concordano sul fatto che la
giunzione esofago-gastrica coincida con il punto in cui lo stomaco confluisce nel tubo esofageo utilizzando
come margine le pieghe gastriche e, quindi, sul fatto che la porzione distale dell’esofago sia rivestita da
epitelio colonnare.
Si può vedere nell’immagine a sinistra come prima della fissazione la
giunzione squamo-colonnare, che si trova già in esofago, sia una
giunzione dentellata, a forma di zigzag, chiamata linea Z.
In un esofago di Barrett (vedi immagine a destra), invece, si vedono
delle lingue di mucosa rosea che salgono dallo stomaco fino a
raggiungere la porzione intermedia dell’esofago, isolando dei “gettoni”
di mucosa biancastra residua, cioè di mucosa di tipo malpighiano.
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Questo concetto è sicuramente vero per le popolazioni occidentali, ma gli asiatici sembrano non condividerlo.
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Dunque, anche se l’origine delle cellule dell’esofago di Barrett è ancora dibattuta, rimane il fatto che il
risultato finale è la metaplasia intestinale.
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Caratteristica di questo tipo di tumore è la presenza di cellule che al microscopio assomigliano a un anello con una
gemma incastonata.
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Nella patogenesi dell’esofago di Barrett vengono chiamati in causa diversi agenti eziologici, che alcuni
hanno raggruppato sotto il nome “ABC dell’esofago di Barrett”:
• Acido, perché nella GORD si ha un reflusso di acido dalla cavità gastrica che crea uno stato
infiammatorio;
• Bile, perché, sempre nella GORD, si può avere un reflusso misto di acido e bile che, allo stesso
modo, causa infiammazione;
• CDX2, un fattore di trascrizione che sembra essere espresso in maniera costante dalla mucosa
metaplastica di tipo intestinale tipica dell’esofago di Barrett. Alcuni studi sperimentali hanno
dimostrato che l’esposizione continua ad acidi gastrici e sali biliari induce l’espressione di
CDX2 nelle cellule che non hanno ancora assunto un fenotipo intestinale. Pare che sia proprio
l’espressione di CDX2 a determinare la trasformazione, dal punto di vista istologico, delle
cellule dell’epitelio di riparazione in cellule intestinali.
Dunque, l’ipotesi che CDX2 sia un fattore coinvolto nella patogenesi dell’esofago di Barrett sembrerebbe
piuttosto valida.
Un’altra proteina importante è BMP4 (Bone Morphogenic Protein 4), che sembra essere coinvolta nella
patogenesi della MRGE. Si è visto che la continua esposizione dell’esofago all’insulto causato da acidi e sali
biliari refluiti induca l’attivazione di BMP4, la quale induce a sua volta l’espressione di CDX2.
Uno studio del 2011 ha dimostrato che, nel contesto dell’esofago di Barrett, si riscontra non solo l’aumento
di espressione dei fattori trascrizionali che inducono la differenziazione in senso intestinale (come CDX2),
ma anche la repressione dell’espressione dei fattori di trascrizione che, al contrario, indurrebbero la
differenziazione in senso squamoso.
Dunque, la presenza di fattori pro-infiammatori aumenta i livelli di BMP4; ciò causa l’attivazione di cellule
staminali che, attraverso l’attivazione della trascrizione di specifici geni, differenzieranno in un fenotipo
colonnare. Si è osservato che, a questo punto, solo se avviene l’attivazione di CDX2 si avrà il
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L’immunoistochimica è una tecnica che prevede l’utilizzo di anticorpi monoclonali rivolti verso una proteina di
interesse ed associati con un marcatore colorato.
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differenziamento in epitelio di tipo intestinale e, quindi, metaplasia intestinale; se invece CDX2 non è attiva
si otterrà un epitelio colonnare non specializzato, a cui viene attribuito il nome di metaplasia non
intestinale. In conclusione, nella definizione di esofago di Barrett potrebbe non rientrare solo la metaplasia
di tipo intestinale.
Nell’immagine istologica a pagina 5, accanto alla metaplasia intestinale, si può osservare un epitelio
colonnare privo di cellule caliciformi mucipare: si tratta di epitelio metaplastico di tipo non intestinale.
Anche nell’immagine a pagina 4, che rappresenta l’evoluzione da un esofago normale a un esofago di
Barrett, si può vedere che, prima di arrivare a un epitelio con fenotipo intestinale (E), si ha un epitelio
colonnare non specializzato (D).
Alcuni studiosi hanno cercato di mettere insieme tutte queste informazioni in un interessante lavoro del
2015. La loro conclusione è che, a seguito dell’insulto e del continuo ciclo di ulcerazione e riparazione che si
perpetua nel tempo, può essere che la differenziazione vada in più direzioni: in senso intestinale o verso una
serie di istotipi gastrici, come quello ossintico, o ancora verso un fenotipo pancreatico, ecc…
Ciò che determina che il processo differenziativo vada in una direzione piuttosto che un’altra sono i fattori
trascrizionali espressi. L’esofago di Barrett, quindi, è il risultato di un processo molto più complesso di
quanto non si pensasse in passato.
Inoltre, nel punto di passaggio squamo-colonnare non si hanno necessariamente due tipi di epitelio separati
l’uno dall’altro; può esserci, infatti, una parte di passaggio chiamata epitelio multistratificato, che non è né
squamoso né colonnare: è colonnare nella parte più superficiale e squamoso nella parte più profonda, come
una sorta di “entità di passaggio”. La presenza di tale epitelio depone a favore di un fenomeno di transizione
dalla parte squamosa a quella colonnare.
Già nel 1989 uno studio aveva evidenziato che esistevano almeno sette tipi di cellule colonnari con
caratteristiche differenti a livello della giunzione squamo-colonnare in un esofago di Barrett: alcune più
simili alle cellule gastriche, altre più simili a quelle dell’intestino tenue.
4.2 – DEFINIZIONE
L’American College of Gastroenterology (ACG) nel 1998 affermava che per poter parlare di esofago di
Barrett doveva essere presente metaplasia intestinale; tale definizione venne riconfermata nel 2008. Dunque,
secondo gli americani, le modifiche dell’esofago devono essere riconoscibili all’endoscopia e la metaplasia
intestinale visibile all’esame istologico.
Secondo la definizione della British Society of Gastroenterology (BSG), invece, non è necessaria la presenza
di metaplasia intestinale, ma è sufficiente la presenza di aree al di sopra della giunzione esofago-gastrica
suggestive di esofago di Barrett (visibili all’endoscopia), supportata dal riscontro di epitelio colonnare
all’esame istologico dell’esofago, indipendentemente dal fatto che tale epitelio sia di tipo gastrico o
intestinale.
Dunque, a differenza di quella americana, la definizione inglese comprende tutti i fenotipi metaplastici in cui
può differenziare l’epitelio esofageo in risposta ai cicli di erosione e riparazione e non solo quello di tipo
intestinale.
È importante tenere ben presente, quando si pensa alle definizioni, che, come già detto, le vie differenziative
nel Barrett possono essere due: non solo intestinale ma anche gastrica, più o meno matura.
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Due americani, Riddell and Odze, nel 2009 hanno proposto di rivedere la definizione americana, proprio alla
luce dei vari studi che hanno dimostrato che in un contesto di esofago di Barrett si può trovare anche una
metaplasia non intestinale.
Il grande interesse per questa definizione è legato alla grande incidenza della patologia: in America vivono
circa 300.000.000 di persone, di queste 100.000.000 soffrono di GORD con epitelio colonnare nei 2-3 cm
distali di esofago, di queste solo a 4.000.000 è stato diagnosticato un esofago di Barrett secondo la
definizione americana (con presenza di metaplasia intestinale); approssimativamente 16.000 di questi
pazienti, andranno incontro ad un adenocarcinoma esofageo.
Ampliando la definizione di esofago di Barrett americana e facendola coincidere con quella inglese ci
sarebbero delle ricadute enormi in termini di costi, perché bisognerebbe estendere i test di screening per
l’adenocarcinoma esofageo a 100.000.000 persone. Oltretutto lo screening per l’adenocarcinoma esofageo è
assai inefficace: la maggior parte si diagnostica in uno stadio avanzato. In più spesso le assicurazioni tendono
ad aumentare esponenzialmente il premio o, addirittura, a non coprire il cliente se affetto da esofago di
Barrett per gli elevati costi associati.
4.3 – DIAGNOSI
La diagnosi dell’esofago di Barrett prevede la collaborazione
di gastroenterologi ed anatomopatologi.
stomaco). m