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Modulo: Metodologie di Medicina di laboratorio

Ricapitolando:

La volta scorsa abbiamo parlato del pancreas esocrino. E siamo arrivati alla conclusione che per
quanto riguarda le valutazioni di laboratorio, per diagnosticare le pancreatiti acute e croniche
bisogna utilizzare metodi differenti. Ad esempio per diagnosticare le pancreatiti acute bisogna
guardare i livelli di amilasi e di lipasi ma soprattutto di lipasi perché è molto più importante in
quanto è molto più specifica.

Oltre al laboratorio di routine che fa fronte alle richieste sia dei privati che delle strutture
ospedaliere, c’è il laboratorio delle urgenze. Spesso e volentieri per chi arriva al pronto soccorso o
anche per chi è ricoverato in determinati reparti, i medici necessitano di sapere determinati
parametri in tempi veramente brevi.

VALUTAZIONE DI LABORATORIO DEL DIABETE

Oggi parleremo del pancreas endocrino, anche se, ovviamente, non parleremo di tutto il pancreas
endocrino. Nel pancreas endocrino ci sono:

- le cellule acinari, che si occupano di secernere tutti quegli enzimi che ci servono per la
digestione e che, quindi, assolvono alla funzione esocrina del pancreas;
- e poi abbiamo le insule pancreatiche (α,β,δ). Noi parleremo soltanto di alcune di queste
insule: le insule β, deputate principalmente alla produzione di insulina ( coinvolta nel
metabolismo del glucosio e dei lipidi).
Parlando di glucosio, la patologia strettamente correlata è il diabete. Abbiamo principalmente due
tipi di diabete:

- Diabete di tipo 1 (insulino-dipendente): può essere sia immunomediato che non


immunomediato anche se il diabete di tipo 1 è principalmente immunomediato perché è
dovuto principalmente alla distruzione delle cellule β a causa della presenza di autoanticorpi
contro antigeni, proteine che si trovano su queste cellule. Cosa c’è a monte della produzione
di questi autoanticorpi? Principalmente può essere anche l’esposizione accidentale, per
qualche motivo, di antigeni di queste cellule per lisi, stress, interventi chirurgici. Tutti questi
eventi possono portare all’esposizione di questi antigeni, queste proteine e quindi si possono
creare anticorpi che naturalmente vanno poi a distruggere ulteriormente le cellule e quindi la
loro funzione. Questo diabete è insulino-dipendente perché distruggendo queste cellule o,
comunque, non facendole funzionare bene quello che succede è che ci viene a mancare
appunto l’insulina. Come sappiamo, una delle funzioni dell’insulina è quella di normalizzare
la glicemia del nostro sangue e tenere la glicemia a livelli ottimali (non troppo alti né troppo
bassi). Anche se, per precisione, per quanto riguarda i livelli alti se ne occupa l’insulina per
quanto riguarda invece i livelli bassi se ne occupa il glucagone ( che viene prodotto dalle
insule α). Questo diabete di tipo 1 può anche essere non immunomediato. Questo vuol dire
che c’è una piccola percentuale di questi casi di diabete in cui non si riscontrano anticorpi
contro queste cellule β ed, in realtà, non si sa la causa della deficienza di queste cellule.
Sottolineo che, naturalmente, oltre che per danno alle cellule noi possiamo avere
insufficienza insulinica per svariati motivi: per mutazioni in proteine che sono deputate a
sentire la concentrazione di glucosio nel sangue, per alterazioni nei meccanismi di
secrezione dell’insulina. Tuttavia questi ultimi casi sono molto rari.
- Diabete di tipo 2: è quello più diffuso ed, in teoria, dovrebbe riguardare una fascia di
popolazione di età più grande anche se, ultimamente, ne soffrono anche persone molto più
giovani.

Poi abbiamo il diabete mellito gestazionale, cioè un tipo di diabete (principalmente di tipo 2) che
può colpire le donne in gravidanza ed è una cosa spesso limitata al periodo della gravidanza ma
qualche volta può anche perdurare o addirittura poi può trasformarsi in diabete di tipo 2. Nella
maggior parte dei casi, tuttavia, si manifesta durante il periodo gestazionale e si conclude con il
parto.

Abbiamo poi altre patologie come l’alterata tolleranza glucidica in cui abbiamo dei livelli di
glucosio che rientrano in una fascia del range di riferimento ma sono vicini al limite massimo. Da
110 a 126 mg/dL rientrano i valori di glicemia nei casi di alterata tolleranza glucidica. Il limite
massimo di glicemia è oggi fissato a 126 mg/dL. Fino a qualche anno fa questo limite massimo era
fissato a circa 140 mg/dL. Perché si è deciso di portarlo a 126? Spostando il limite massimo dei sani
da 140 a 126 cosa succede in uno screening? Si riducono i falsi negativi. Immaginate due curve
gaussiane che si sovrappongono un po’, è logico che ci sono naturalmente una parte di sani che
hanno valori “alti” e una parte di malati che hanno valori più “bassi” ed entrambi comunque
“rientrano” nel range normale. Se noi spostiamo il cut-off verso un valore più basso (da 140 a 126,
appunto) significa che aumentiamo la sensibilità del nostro test. Infatti sebbene così facendo
rischiamo di avere dei falsi positivi in più, tuttavia, è anche vero che ci assicuriamo che tra la
popolazione malata aumentiamo la percentuale di quelli che veramente riusciamo a detectare. Tra
questi positivi che recuperiamo spostando questo limite, naturalmente, ci possono essere dei falsi
positivi perché basandoci sul valore assoluto di glicemia non è detto che uno che abbia un valore di
glicemia di 126 mg/dL sia diabetico. Quindi perché aumentiamo la sensibilità? Perché ci serve in
questo caso la sensibilità? Non ci andava bene avere qualche positivo in meno e qualche negativo in
più? La sensibilità è preferibile quando è importante avere il positivo vero prima che subentrino
altre complicazioni. In gravidanza questi valori limite di glicemia vengono abbassati ancora di più,
infatti la donna che ha dei valori di glicemia uguali o maggiori a 92 viene tenuta sotto osservazione
e viene definita avere il diabete gestazionale.
Basi molecolari del diabete:

- Di tipo 1: carente produzione di insulina causata principalmente dalla distruzione delle beta
cellule, scatenata nella maggior parte dei casi da una risposta autoimmune.
- Di tipo 2: carenza di azione dell’insulina causata da resistenza insulinica e/o disfunzione
delle beta cellule. Quello che principalmente succede è che, di solito, l’insulina viene
prodotta normalmente però le cellule che devono rispondere a questa insulina non
rispondono bene. La stessa cosa avviene appunto in gravidanza: i cambiamenti ormonali che
le donne subiscono durante questo periodo aumentano la resistenza all’insulina e, quindi,
sono necessarie quantità maggiori di insulina per raggiungere gli stessi scopi.
Cosa succede quindi? Noi mangiamo, assorbiamo glucosio e questo, tramite la vena porta, va al
fegato. I livelli plasmatici di glucosio segnalano alle cellule beta la concentrazione di questo
componente e le cellule beta provvedono a secernere l’insulina. Tessuti come quello muscolare e
quello adiposo - che rispondono alla stimolazione dell’insulina - portano in superficie, sulla
membrana i trasportatori del glucosio e, quindi, assorbono parte del glucosio dalla circolazione.
Quando l’insulina non può assolvere a questo compito - perché il recettore o a valle del recettore il
sistema non funziona - i trasportatori del glucosio restano nel citoplasma e il glucosio, di
conseguenza, non può entrare nelle cellule dei tessuti e resta in circolazione.

Questa è un’altra slide che dice esattamente la stessa cosa.

Diabete secondario: secondario perché non è dovuto né a problemi di insulino-dipendenza ( come


nel diabete di tipo 1 ) né di insulino-indipendenza (come nel diabete di tipo 2) ma è dovuto a tutta
una serie di patologie o di fattori - detti appunto secondari - che portano ad un mal funzionamento
delle cellule pancreatiche o ad altri motivi come, ad esempio: le pancreatiti, le neoplasie, la fibrosi
cistica o la resezione chirurgica; tutte problematiche che possono in qualche modo diminuire
l’afflusso di insulina, l’utilizzo di insulina. Poi abbiamo tutta una serie di malattie endocrine che
portano ad un aumento di glucosio in circolazione. Questo può essere dovuto nel caso del
glucagonoma, ad esempio, ad una produzione di glucagone e quindi ad un conseguente aumento di
glucosio, una mobilitazione del glucosio che , invece di essere conservato nei distretti del fegato
oppure del muscolo, entra in circolazione. Oppure cortisolo o altri tipi di farmaci che possono in
qualche modo aumentare la produzione di glucosio.

In questa slide è mostrato il meccanismo di azione del glucagone. Il glucagone attiva tutta una serie
di geni che bloccano l’utilizzo del glucosio, spostano il metabolismo verso gli acidi grassi e cercano
di riversare il glucosio nel circolo sanguigno. Questo poi non è altro che il ruolo fisiologico del
glucagone quando i livelli plasmatici del glucosio si abbassano. Quindi in alcuni tipi di diabete
secondario c’è una risposta anomala che porta alla secrezione del glucagone in condizioni in cui
non dovrebbe.
Vediamo cosa succede in laboratorio se ho un sospetto di diabete. Innanzitutto:

- Devo avere una glicemia a digiuno maggiore di 126 mg/dL ( o 7 mmol/L)


- Devo avere una glicemia a due ore dal carico (in riferimento al test che si fa per la conferma
del diabete) maggiore di 200 mg/dL
- Naturalmente se ho una percentuale di emoglobina glicata ( o glicosilata) – quindi degli
addotti tra emoglobina e glucosio - maggiore del 6.5% questo è segno che non sto molto
bene
- Poi naturalmente ci sono dei sintomi che intervengono in una fase più avanzata, quando
ormai la malattia è già conclamata e che possono essere: poliuria, polidipsia o un calo
ponderale accompagnati da una glicemia casuale oppure accompagnati glicemia maggiore di
200 ( per esempio, faccio un’analisi del sangue per altri motivi e mi trovo questi valori di
glicemia).

Naturalmente in questi casi - ma anche negli altri - tutti questi esami vanno ripetuti almeno due
volte. Tuttavia, se si riscontrano soprattutto una delle prime tre condizioni possiamo porre diagnosi
di diabete. Lo spostamento del cut-off al valore di 126 mg/dL ci evita di dover arrivare a
considerare i sintomi tardivi del diabete come indici diagnostici, in quanto, permettendoci una
diagnosi precoce, non si arriva alla manifestazione di questi sintomi e di altri che sono molto
importanti nella gestione del diabete.
Per fare le analisi con questo tipo di analita, cioè il glucosio, bisogna stare attenti a determinate
cose:

- La misura della glicemia va fatta sul plasma, ed il sangue deve essere prelevato in una
provetta contenente anticoagulante ed inibitori della glicolisi.
- Il campione può essere conservato nella provetta primaria a temperatura ambiente non oltre
le 72 ore.

Dunque, devo fare il prelievo a digiuno ( come di solito si fa per tutti i prelievi ) e nel sangue la
misura va fatta sul plasma con inibitori della coagulazione e della glicolisi. Questo è ovvio perché
nel sangue abbiamo tutta una serie di cellule – sia globuli rossi che bianchi – che anche dopo il
prelievo possono consumare il glucosio presente. Quindi se non si è attenti, se non si cerca di inibire
tutte queste reazioni e si lascia il campione, ad esempio, di un diabetico sul banco per 4, 5 ore, dopo
4-5 ore quel diabetico risulterà perfettamente normale perché i livelli di glucosio sono scesi sotto il
livello massimo.

Perché il prelievo va fatto la mattina? Anche in questo caso c’è una motivazione ed è molto
importante, anche se si rispettano le indicazioni di stare a digiuno e così via, non fare prelievi nel
pomeriggio o quando capita. Questi illustrati nel grafico sono i livelli medi di glicemia a digiuno
nelle varie ore della giornata, in condizioni fisiologiche. Nelle ore che vanno dalle otto alle nove del
mattino i livelli medi sono molto più alti che nel pomeriggio, questo accade fisiologicamente.
Ovviamente in un soggetto diabetico questi valori sono, in proporzione, tutti spostati tutti verso
l’alto. Quindi la scelta di fare i prelievi la mattina riduce la possibilità di avere un falso negativo
perché in un soggetto diabetico potrei trovare nel pomeriggio valori di glicemia leggermente più
bassi.
L’inibitore della glicolisi usato di solito è il fluoruro di sodio. Quindi si utilizzano delle provette con
fluoruro di sodio ed ossalato di potassio.

Il fluoruro di sodio inibisce la glicolisi verso la fine del pathway, bloccando appunto l’enolasi.
Questo enzima ha bisogno del magnesio per svolgere la propria attività. Il fluoruro di sodio forma
dei complessi con il magnesio e con il fosfato organico che si trova nelle cellule, impedendo così il
normale funzionamento dell’enzima.
Un metodo alternativo se non vogliamo andare in laboratorio è utilizzare i glucometri. I glucometri
sono molto facili da utilizzare: basta fare una puntura su un dito, prelevare e sottoporre a
misurazione una goccia di sangue ed in tempo immediato abbiamo il nostro valore.

C’è però un problema: questi glucometri (di qualsiasi marca e di qualsiasi prezzo) non sono poi così
affidabili nel senso che hanno un’imprecisione abbastanza grande e, tenendo presente i vari valori
di riferimento, possono comunque variare più o meno di un delta e posso quindi risultare diabetico e
non esserlo o, viceversa, essere diabetico e rilevare valori normali. Le linee guida dicono di non
utilizzare i glucometri per fare diagnosi ma soltanto nel monitoraggio a casa o in ospedale della
glicemia di una persona a cui è già stato diagnosticato il diabete.

Un altro parametro che possiamo utilizzare è la glicosuria. Oggi abbiamo appunto i glucometri che
in maniera quasi elettronica fanno la misura del glucosio nel sangue. Qualche tempo fa, però, le
analisi del sangue dal punto di vista diabetico venivano fatte in due modi principalmente:

- O mettendo una goccia di urina sul bancone con delle formiche vicino (se le formiche
andavano verso l’urina significava che era dolce e quindi che conteneva una quantità di
glucosio di un certo tipo). In questa metodica non so a quanto ammontasse l’ovvia
imprecisione: ci si basava sulla tendenza delle formiche ad andare o meno.
- L’altro metodo è l’assaggio dell’urina per verificarne appunto la dolcezza come indice di
presenza della malattia.

A prescindere dalla metodica il concetto è misurare (usando come matrice non più il sangue ma le
urine) il glucosio nelle urine.

Questa però è una metodica con una scarsa sensibilità diagnostica. Quale potrebbe essere il motivo?
Perché tra plasma e urine, pur utilizzando metodi precisi, conviene comunque il plasma e non le
urine? Perché se troviamo glucosio nelle urine potrebbe anche trattarsi di un danno renale e quindi
non sarebbe una metodica specifica. E se escludiamo il danno renale? Escludendo il danno renale,
converrebbe analizzare le urine perché visto che non ci dovrebbe essere il glucosio nelle urine, se
lo troviamo ( a maggior ragione rispetto ad un’analisi del plasma) possiamo dire con certezza che il
soggetto è diabetico. Tuttavia rimane comunque una metodica con scarsa sensibilità. Perché allora?
Il motivo è che sebbene funzionalmente il rene riassorbe il glucosio, tuttavia, ci sono delle
condizioni in cui non lo riassorbe, quali? A parte quando non funziona bene, il rene non riassorbe il
glucosio quando i suoi livelli plasmatici sono sui 160-180 mg/dL (ricordiamoci che il range di
riferimento dei livelli plasmatici di glucosio ha un massimo di 126 mg/dL, quindi in questo caso
siamo ben oltre). Questo determina che avremo glicosuria nel paziente diabetico quando già si
saranno manifestate altre problematiche (troppo tardi quindi!), cioè se aspettiamo di misurare il
livello di glucosio nelle urine si devono appunto raggiungere questi alti livelli di glucosio nel
plasma e questo, di per sé, già ci può creare diversi problemi.

Un’altra caratteristica che non rende la glicosuria un parametro ottimale per la diagnosi di diabete è
che si tratta di un esame che ha diverse interferenze tra cui anche l’acido ascorbico. Quindi non è un
esame molto specifico nella valutazione dei livelli di glucosio e quindi non viene utilizzato.
Tuttavia, come un po’ avviene anche per i livelli plasmatici di glucosio, se faccio un esame delle
urine per altri motivi e riscontro dei livelli di glucosio molto alti, ovviamente, li considero ed
approfondisco la questione andando a vedere se è un caso isolato oppure è dovuto a problematiche.
Nel caso si tratti di una problematica diabetica è chiaro che se si riscontrano dei livelli alti di
glucosio nelle urine, di conseguenza, basterà fare un esame del glucosio nel sangue e si dovranno
riscontrare dei livelli oltre i 160-180 mg/dL.

Uno dei parametri utilizzati per fare diagnosi di diabete è l’emoglobina glicata. L’emoglobina
glicata si forma attraverso un processo che avviene in maniera fisiologica continuamente (anche in
tutti i soggetti sani). Una piccola percentuale del glucosio libero nel sangue a volte reagisce con
delle proteine formando appunto degli addotti, dei complessi. Naturalmente se la concentrazione del
glucosio aumenta oltre la norma la probabilità e la facilità con cui questo può avvenire aumenta.
Quindi anche la valutazione dei livelli plasmatici di emoglobina glicata ci dice qualcosa sulla nostra
patologia.
Naturalmente l’albumina è sempre la proteina più abbondante nel nostro sangue ed è pure quella
che viene maggiormente glicata.

La formazione dell’emoglobina glicata:

- E’ un processo non enzimatico, ovvero avviene senza nessun intervento di enzimi


particolari. Si realizza durante tutta la vita degli eritrociti ed è irreversibile, cioè una volta
che avviene questo legame glucosio-emoglobina, quell’emoglobina rimarrà tale fino a
quando l’eritrocita che la contiene non finisce il suo ciclo vitale (di circa 120 giorni) e
quindi solo a quel punto viene eliminata.
- La formazione di questa emoglobina dipende principalmente dalla concentrazione di
glucosio e la sua eliminazione avviene quindi con la degradazione dei globuli rossi.
- La vita media degli eritrociti è di circa 120 giorni.
- La quantità di emoglobina glicata è proporzionale alla glicemia media delle 6 – 12 settimane
precedenti. Questo significa che non ci dà un’informazione sui livelli di glucosio nel nostro
sangue al momento della misurazione perché anche un soggetto non diabetico potrebbe
avere dei valori di emoglobina glicata oltre il 6,5%, anche il 10%. Questo è dovuto proprio
al fatto che la reazione di formazione dell’emoglobina-glicata è irreversibile; quindi se si ha
una glicemia alta per un giorno, due giorni, per un periodo relativamente lungo viene
facilitato questo processo di formazione dell’emoglobina-glicata. A questo punto
l’emoglobina glicata permane fino a quando i globuli rossi non vengono eliminati, per cui
anche se si rientra con la propria glicemia a valori normali e si fa un’ analisi
dell’emoglobina glicata si avrà per lo più un valore che costituirà una “media” derivante da
quei giorni in cui ci si è dati alla pazza gioia con la pasticceria, dai globuli rossi neonati che
avranno l’emoglobina quasi completamente non glicata e così via.
Quindi si avrà una stima media dello stato storico di glicemia nel sangue.

Per chi è più interessato alle reazioni chimiche la formazione dell’emoglobina glicata è illustrata in
figura. Questa reazione è spontanea, avviene tra qualsiasi proteina e il glucosio. Il gruppo aldeidico
del glucosio reagisce spontaneamente con il gruppo amminico delle proteine per formare una base
di Shiff che, spontaneamente, in maniera però un po’ più lenta, forma questo prodotto di Amadori.
Questa ultima reazione è irreversibile perché prevede lo spostamento di doppi legami. A questo
punto la molecola di glucosio resta irreversibilmente legata alla proteina. Quindi ognuno di noi ha
un po’ di prodotti Amadori nel sangue.
Il significato clinico di questa emoglobina quindi qual è? A cosa ci serve visto che non ci dà
un’informazione dello stato attuale di glicemia?

 È un parametro di elezione per la valutazione retrospettiva del grado di controllo glicemico


nei soggetti diabetici.
Come avviene per tutte le patologie in cui bisogna seguire una cura, una terapia più o meno
a lungo termine, l’aderenza del paziente alla terapia non sempre è buona. C’è chi scoccia o
magari si dimentica di prendere il farmaco; chi non vuole prendere il farmaco. Soprattutto
oggi che abbiamo una percentuale di diabetici anche tra i giovani e i giovanissimi ( già alle
scuole medie c’è una buona percentuale sia di obesità che di diabete) è facile intuire che far
rispettare determinate terapie o anche diete a bambini che si trovano in mezzo ad altri
bambini che mangiano di tutto è un po’ complicato. Ci sono diverse patologie a regime
metabolico dove c’è una restrizione della dieta particolare, come nella fenilchetonuria
oppure anche nella celiachia; tutte patologie che non sono proprio gravi però socialmente
limitano l’interazione con gli altri.
Quindi misurare l’emoglobina glicata serve a capire un po’ se il nostro paziente sta facendo
una buona dieta, se sta seguendo la terapia e così via.
 È importante nel monitoraggio dei pazienti diabetici sia di tipo 1 che di tipo 2.
 E’ utile per valutare l’efficacia della terapia e per predire lo sviluppo delle complicanze.
Quindi anche nei casi in cui abbiamo un paziente eccellente (che quindi segue
costantemente terapia e dieta) ci serve appunto per monitorare se la terapia sta andando bene
o meno.

Allora abbiamo parlato di diabete di tipo 1, di tipo 2. Abbiamo visto che dal punto di vista
diagnostico non ci sono differenze però è importante sapere davanti a quale tipo di diabete siamo
per approcciare la migliore terapia. La valutazione per distinguere tra questi due tipi di diabete
possiamo farla in diversi modi:

- Valutando i livelli di insulina o di parti dell’insulina.


- Valutando la presenza di autoanticorpi.
Ci sono diversi tipi di autoanticorpi:

- contro l’insula pancreatica;


- contro la stessa insulina;
- contro altri enzimi che fanno parte sempre del corredo delle cellule beta.

Quelle riportate sono le date della messa in opera di questi autoanticorpi.

Vediamo quali sono le caratteristiche di questi autoanticorpi:

1. Sono ad alta affinità.


2. Sono diretti soprattutto contro epitopi conformazionali; cioè se facessimo un Western blot di
queste proteine magari non riusciremmo a detectarle perché è necessaria la conformazione
della proteina.
3. Sono a titolo non elevato; questo ci permette di vedere se ci sono degli elementi in maniera
più agevole.
4. Sono preferenzialmente di tipo IgG1.
5. Variano al variare della durata della malattia; quindi possiamo un po’ ricostruire la storia
della malattia.
6. Naturalmente se sono causa della malattia - perché questi autoanticorpi distruggono poi le
cellule beta - è logico anche pensare che compaiano prima ancora di avere dei livelli di
glucosio alti nel sangue e quindi possiamo correre ai ripari e vedere di risolvere la situazione
un poco prima.
7. Sono preferenzialmente diretti contro autoantigeni diversi a seconda dell’età d’esordio della
malattia e della rapidità di distruzione delle cellule beta; ( un po’ come il punto di prima) a
seconda di quali anticorpi sono presenti possiamo avere un’idea della gravità ed anche
dell’età “biologica” del danno.

Non tutti sono d’accordo sull’utilizzo di questi autoanticorpi perché:

1. Circa l’1% della popolazione generale non diabetica è positiva a questi autoanticorpi
(nonostante appunto non abbia il diabete).
2. Il passaggio transplacentare di autoanticorpi in una donna che presenta questo tipo di
problematiche non crea certo la malattia di diabete nel neonato. (Quindi siamo sempre
nell’ambito del determinare se tali autoanticorpi siano o meno la causa poi del diabete - in
questo caso di tipo 1-. Ci sono dei dubbi).
3. In esperimenti di plasmaferesi ( quindi esperimenti in cui il sangue dei pazienti è stato
ripulito da questi anticorpi) la situazione comunque non è migliorata; quindi togliendo
questi anticorpi non si ha un miglioramento delle condizioni.
4. Il diabete di tipo 1 si può manifestare anche in soggetti con agammaglobulinemia congenita,
cioè in pazienti che hanno problemi nella produzione di anticorpi, quindi di
immunoglobuline.

Quindi tali autoanticorpi potrebbero essere una concausa ma sicuramente ci sono molti dubbi. Ciò è
chiaro anche solo facendo riferimento al primo punto elencato, ovvero la presenza dell’1% della
popolazione (che non è un numero piccolo) che ha questi anticorpi però non ha il diabete.
Per quanto riguarda la sensibilità diagnostica di questi anticorpi, soltanto se si mettono un po’ tutti
insieme, cioè se si testano tutti insieme raggiungiamo una sensibilità del 96-98% nei casi di diabete
di tipo 1. Questo perché c’è una variabilità dovuta al fatto che ci possono essere soggetti che hanno
un tipo di anticorpi e non altri tipi e quindi bisogna testarne quanti più possibili.

Un altro marcatore che possiamo utilizzare per fare diagnosi di diabete è il peptide C che è questa
porzione in giallo della molecola della pro-insulina. Tale porzione viene tagliata per aver poi
l’insulina matura. Questo marcatore permette di valutare la riserva funzionale pancreatica nei
pazienti in terapia. Se noi abbiamo dei pazienti a cui somministriamo insulina e vogliamo vedere se
la funzionalità pancreatica c’è ancora, quello che possiamo fare è andare a detectare questo peptide
in circolo. È logico che l’insulina che noi forniamo al paziente è già matura e quindi non ha questo
peptide, quindi, se detectiamo questo peptide nel plasma di una persona questo ci indica che quella
persona ha ancora una funzionalità pancreatica delle cellule beta e quindi sta comunque producendo
parte di insulina. Questo può essere importante perché ci permette di modulare la quantità di
insulina da somministrare.
Se invece non ci sono evidenze di danno alle cellule beta da autoanticorpi ed un paziente non
necessita di somministrazioni di insulina continue ( ovvero a volte ne ha bisogno ed altre no)
potremmo essere in presenza di diabete di tipo 1B. Questo è un tipo di diabete 1 in cui non si hanno
autoanticorpi e di cui non si conosce esattamente la causa. Questo tipo di diabete è raro ed è
principalmente diagnosticato in soggetti di etnia africana o asiatica. Data l’odierna immigrazione da
parte di persone provenienti da queste parti del mondo, nei nostri laboratori ci capita spesso di
analizzarne campioni e quindi dobbiamo tenere conto anche di queste problematiche.

Alterata glicemia a digiuno: ci riferiamo ad una particolare intolleranza al glucosio, non è proprio
diabete ma ci sono dei livelli di glicemia relativamente alti anche se sotto il livello massimo. Come
si evolve questa intolleranza?

A. Una parte di questi soggetti sviluppa il diabete, per questo vanno comunque tenuti sotto
osservazione.
B. Una parte rientra nei valori normali.
C. Una parte rimane con alterata glicemia per lungo tempo.

Bisogna quindi monitorare e stare attenti a questi soggetti.


L’oral glucose tolerance test serve a valutare esattamente qual è la nostra abilità a metabolizzare il
glucosio. Tuttavia questo test ha delle problematiche analitiche:

- E’ poco riproducibile perché dipende tutto da una serie di fattori. Oggi si dà una dose
standard per tutti i soggetti ( a prescindere dal sesso e dalla corporatura) prima, invece, si
dava in base al peso. Oggi si danno 75 grammi di glucosio e poi si valuta come questo viene
metabolizzate. Dando una dose standard la riproducibilità non solo tra individui diversi ma
anche per lo stesso individuo non è molto elevata.
- Dipende dall’esercizio fisico, anche l’esercizio fisico che è stato fatto qualche giorno prima
del test. Quindi il test necessita di una preparazione sia come dieta, sia come esercizio fisico
prima di poterlo effettuare.
- Interferenze cliniche ( nel caso di un soggetto sotto terapia e che sta facendo uso di vari tipi
di farmaci).
- Non è ben tollerato. Naturalmente bisogna stare attenti: questo test non si può fare a tutti e,
soprattutto, non si può fare a tutti i diabetici! Deve essere fatto sotto stretta sorveglianza.
Infatti, se voi avete un soggetto diabetico già problematico e gli fate un OGTT rischiate di
creargli dei problemi seri, soprattutto a livello di uno degli organi principalmente sensibili a
questa patologia che è la cornea: potete avere un distacco della retina ma anche altre
problematiche. Quindi bisogna stare attenti.

L’OGTT non si fa quando si ha:

- presenza di malattie acute;


- diabete (non è che non si fa, si fa sotto stretta sorveglianza);
- dopo interventi chirurgici;
- dopo l’assunzione di diversi farmaci che possono interferire con il metabolismo del
glucosio.

Come si fa questo test?

1. Nel corso di patologie acute, nel periodo di convalescenza successivo ad interventi questo
test non si fa.
2. È preferibile che nei tre giorni precedenti il test l’alimentazione non subisca restrizioni e
contenga almeno 150 grammi di carboidrati al giorno, cioè deve essere una dieta quanto più
regolare.
3. Nei giorni precedenti il test deve essere mantenuta la consueta attività fisica, non ci devono
essere insomma variazioni in questo senso.
4. L’assunzione di farmaci salvavita deve essere continuata anche prima dell’esecuzione del
test, non si può quindi interrompere.
5. L’assunzione di altri farmaci deve essere rimandata fino all’avvenuta effettuazione
dell’ultimo prelievo.
6. Il test va effettuato a digiuno (di almeno 8 ore e non superiore a 14 ore).
Prima i livelli di glucosio si misuravano nelle 6 ore. Oggi tutti i test misurano il glucosio entro le 2
ore e valutano la risposta “indiretta” dell’insulina, cioè la capacità dell’insulina di abbassare, di far
tornare i livelli di glucosio normali entro le 2 ore.

Si somministrano quindi 75 grammi di glucosio e poi si fanno due prelievi: al tempo 0 e dopo 120
minuti.

Naturalmente dopo queste 2 ore i livelli di glucosio di una persona normale ritornano a quelli
precedenti (al test) o comunque molto vicini; in un diabetico, invece, i livelli di glucosio rimangono
stazionari, alti. Quindi noi possiamo fare diagnosi di diabete mellito se:

- A digiuno la nostra glicemia è maggiore o uguale a 126 mg/dL


- Oppure se dopo questo test di carico la glicemia è maggiore o uguale a 200 mg/dL
- O, come abbiamo detto all’inizio, se casualmente ci misuriamo la glicemia e ci troviamo un
valore di circa 200 mg/dL (naturalmente ci conviene ripetere il test)

Oppure possiamo fare diagnosi di alterata glicemia a digiuno quando abbiamo valori di glicemia
compresi tra 110 – 125 mg/dL. In quella fascia possiamo avere qualche intolleranza glucidica e ci
conviene monitorarci un po’.
Le complicanze acute che possiamo avere dal diabete sono:

- Ipoglicemia, molto comune.

Diciamo che tutte le complicanze acute , se non trattate bene, possono essere letali. Come ci può
uccidere tanto zucchero anche l’assenza non è piacevole.

- Possiamo andare incontro a cheto acidosi diabetica, in quanto le cellule del nostro
organismo, ad un certo punto, non potendo utilizzare il glucosio per i loro fabbisogni
energetici (il glucosio rimane fuori dalle cellule!) shiftano per il metabolismo lipidico.
Questo può creare tutta una serie di problematiche: formazione di chetoni che, a loro volta,
abbassano il pH del sangue e, poiché il range di pH del nostro sangue è molto molto piccolo
si può andare anche in coma.
- Un’altra complicanza è lo stato iperosmolare non chetosico (cioè non dipendente dai
chetoni) in cui abbiamo una disidratazione eccessiva perché voi sapete che uno dei sintomi
del diabete è la poliuria e, quindi, se ci disidratiamo senza reintegrare questi liquidi questo ci
può portare diverse problematiche.
Possiamo avere anche complicanze croniche:

- Nefropatia: i nostri reni di solito sono sottoposti ad un continuo lavoro e possono perdere
man mano la loro capacità di riassorbire determinati elementi e possono andare in
insufficienza renale.
- Malattie cardiovascolari dovute a tutta una serie di fattori: sia perché di solito il diabete è
associato anche poi al metabolismo lipidico sia anche per via degli addotti glucosio-
proteine.

Questa è una tabella che indica i rischi che può avere un diabetico per quanto riguarda diverse
patologie. La cecità insieme all’insufficienza renale ed alla amputazione (dovuta necrosi di alcuni
tessuti), sono le complicanze cui un diabetico va incontro con più alto rischio. I diabetici possono
rischiare la cecità anche in seguito ad un picco glicemico molto alto e breve; esso può bastare a
creare problemi alla cornea. I diabetici hanno poi un rischio di 2-5 volte maggiore rispetto alla
norma di sviluppare infarto e/o ictus.

Per evitare il rischio di incorrere in queste complicanze, quindi, monitoriamo tutta una serie di
parametri:
- la glicemia
- i corpi chetonici
- la microalbuminuria
- la creatinina
- la cistatina C
- il colesterolo HDL ed LDL

Valori che ci indicano un po’ la funzionalità renale.

 Lo screening della microalbuminuria nei pazienti con diabete di tipo 1 deve iniziare in
pubertà ed entro 5 anni dall’inizio della malattia.
 L’80% dei diabetici di tipo 1 (ed un 20-40% dei diabetici di tipo 2) con microalbuminuria
sviluppa proteinuria entro i 10-15 anni.

L’albuminuria è, quindi, un parametro che ci indica il rischio di sviluppare patologie renali.

I corpi chetonici devono essere misurati nelle urine o nel sangue da parte dei pazienti a casa o nel centro
antidiabetico per una conferma della diagnosi di cheto acidosi diabetica e per la sorveglianza. E questo
deve essere fatto anche quando si è in uno stato febbrile, di stress, di iperglicemia persistente o di
gravidanza.

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