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S: Perini Sofia, Fante Silvia, Soffiato Zaccaria 07-04-2022

SV: Baiocchi Jacopo Malattie del metabolismo, esercitazione 1


Prof.ssa Lapolla

ESERCITAZIONE: OBESITA’ E NAFLD

Caso clinico: obesità e DCA


Donna di 49 anni inviata al centro di diabetologia
per obesità, ha familiarità da parte di mamma per
obesità e diabete di tipo 2, convive e svolge un
lavoro sedentario in biblioteca. Riferisce di non
aver avuto macrosomia alla nascita, svolge
pochissima attività fisica e non fuma. L’anamnesi
patologica rivela una storia di iperlipidemia,
iperuricemia, asma allergico, per cui da giovane
aveva seguito una terapia a base di cortisone, e
psoriasi.
Di recente il medico di base tramite delle analisi
di routine ha rilevato un modesto aumento delle
transaminasi, nonostante non faccia uso di nessun
tipo di farmaco.
Esame clinico:
- altezza 1,67 m
- peso 117,60 kg
- obesità di terzo grado con BMI di 43 kg/cm2
- circonferenza addominale di 114 cm
- pressione 140/80 mmHg
Dunque, la dietista fa una valutazione dei comportamenti e delle
abitudini alimentari ed emerge che la signora mangia abbastanza
regolarmente a pasto, seppur eccedendo nella quantità di
carboidrati. Inoltre, pilucca dolcetti, cioccolata ed altro durante il
pomeriggio e nel dopocena senza riuscire a controllarsi. Questo la
porta a mangiare di nascosto dal compagno ma non attua meccanismi di compenso tipici di alcuni DCA, come
vomito o utilizzo di grandi quantità di lassativi.
Riguardo alla storia dell’obesità, riferisce che a 20 anni pesava 61 kg, quindi normopeso, ma poi, con il lavoro, ha
iniziato ad aumentare di peso. Ha provato ad attenersi a diete che portavano a un dimagrimento di circa 3-4 kg, ma
questi venivano ripresi appena le diete venivano sospese, e da circa 5 anni ha superato i 100 kg con un incremento
progressivo.

Esami
L’emocromo è normale mentre il profilo
lipidico è alterato, con i livelli di colesterolo a
249 mg/dl, LDL a 167 mg/dl, HDL a 45 mg/dl
e trigliceridi un po’elevati. La glicemia a
digiuno è di 98 mg/dL, l’emoglobina glicata 5,2 %, l’acido urico modestamente aumentato e il TSH normale, che
nell’obeso va sempre controllato di routine. Ha markers di epatite negativi ma presentando un leggero ittero e le
transaminasi fuori dai range di riferimento, si esegue un’ecografia epatica dalla quale emerge steatosi epatica.
Domanda: Si sa quante calorie assumeva la paziente giornalmente?
Risposta: Si, le è stato richiesto di scrivere un diario alimentare, dal quale si è visto che l’introito calorico era
eccessivo.

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Il comportamento alimentare è problematico, in quanto spesso mangiucchia di nascosto e ha un introito piuttosto
consistente di carboidrati; pertanto, rientra nel quadro di un disturbo del comportamento alimentare di tipo
mangiucchiatore.
Tra i disturbi del comportamento alimentare analoghi a questo si trovano:
- Iperfagia prandiale (divoratore): assunzione di grandi quantità di cibo durante i pasti, privilegiando la
quantità sulla qualità;
- Grignoteur (mangiucchiatore): assunzione di piccole quantità di cibo, soprattutto dolci e grassi altamente
calorici, in risposta a noia e malesseri vari durante buona parte della giornata;
- Carbohydrate craving syndrome: assunzione compulsiva di cibi con molti carboidrati soprattutto nella
seconda parte della giornata; scatenata solitamente da alterazioni dell’umore che tendono alla depressione.
La paziente in questione soffre dunque di un DCA, ma non si tratta di bulimia propriamente detta in quanto
mancano gli atteggiamenti di compenso tipici, ma fa parte del profilo “mangiucchiatore”.
Per quanto riguarda l’aspetto più fisico, con i dati raccolti il sospetto clinico si indirizza verso la sindrome
metabolica, in quanto sono presenti i parametri alterati che la caratterizzano: assetto lipidico, circonferenza
dell’addome e pressione alta.
Si conclude dunque che la signora presenta un DCA da
“mangiucchiatore” e una sindrome metabolica.
Oltra a questo bisogna ricordare che ha anche un modesto aumento delle
transaminasi, con marker epatitici virali negativi, e steatosi epatica. Questo
porta a sospettare, non avendo una storia di potus, che abbia una NAFLD,
non alcoholic fatty liver disease, che sarà trattata più avanti nella lezione
[NdS: Con il termine “potus” si intende una storia di ingestione eccessiva e routinaria di alcol]

Esami più appropriati per completare la diagnosi


Il monitoraggio pressorio è sempre consigliato, 2 o 3 volte alla settimana e, inoltre, essendo predisposta al diabete
di tipo 2 per obesità e familiarità, si potrebbe fare un OGTT con curva insulinemica. Avendo una grave obesità e la
sindrome metabolica, dall’esame probabilmente emergerà iperinsulinismo con insulino-resistenza.
Attenendosi solamente alla buona pratica clinica e per capire se la paziente abbia una patologia diabetica o
prediabetica non si dosa l’insulina ma bisogna attuare un percorso diverso. La signora ha glicemia a digiuno
normale, quindi con la curva si potrà fare diagnosi di diabete se, a due ore dall’inizio, la glicemia è maggiore o
uguale a 200 oppure, se ha ridotta tolleranza ai carboidrati, sarà compresa tra 140 e 199. Piuttosto che l’esame
dell’uricuria, sarebbe più appropriato richiedere un esame dell’uricemia, in quanto spesso presente nella sindrome
metabolica.

Trattamento
Dopo aver spiegato alla signora quali siano i rischi dell’obesità e l’importanza dell’attività fisica, le è stata data
un’indicazione dietetica sia per la vita quotidiana che per i pasti fuori casa.
Le viene insegnata inoltre l’importanza delle etichette nutrizionali per evitare di ingerire troppo “cibo spazzatura”,
in quanto molti alimenti come crackers, fette biscottate e pane confezionato contengono zuccheri e altre componenti
aggiuntive. Viene data, quindi, una dieta personalizzata di 1600 kcal per raggiungere un peso ragionevole, diverso
da quello ideale, che non porti ad un calo troppo drastico.
Al controllo ha perso peso nonostante non si sia attenuta molto alla dieta ma riferisce di non riuscire comunque a
fare attività fisica; quindi, le viene proposta una terapia farmacologica con Liraglutide, visto che il BMI è piuttosto
elevato, per usare un farmaco con buona efficacia.
È un’incretina, agonista del recettore GLP-1 che agisce aumentando la secrezione di insulina, riducendo glucagone,
lo svuotamento gastrico e la sensazione di fame.

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La signora salta il controllo successivo e si presenta dopo un anno. Riferisce di essere riuscita ad arrivare a pesare
105 kg nell’anno precedente ma poi li ha ripresi, è diventata amenorroica, come spesso succede nell’obesità, non
ha svolto gli esami di controllo e non ha assunto i farmaci in quanto troppo costosi. Benché non ci fossero stati
peggioramenti della funzionalità epatica e miglioramenti dell’assetto lipidico, continua ad avere oscillazioni
ponderali con scarsa adesione al programma terapeutico. A questo punto le viene proposta una consulenza
psichiatrica o psicologica ma la paziente rifiuta e non si presenta ai controlli successivi.
Dopo un anno, ritorna in ambulatorio con un
peso di 124 Kg, per chiedere se sia possibile
eseguire un intervento di gastroplastica.
Viene, dunque, mandata al centro dell’obesità
dove, prima di poter decidere se candidarla
all’intervento deve essere valutata, soprattutto
dal punto di vista psicologico in quanto avere
un DCA è una controindicazione
all’esecuzione di qualunque intervento di
chirurgia bariatrica.
Le principali controindicazioni per gli
interventi di chirurgia bariatrica sono:
- assenza di un periodo di trattamento
medico verificabile
- paziente incapace di partecipare ad un prolungato protocollo di follow up
- disordini psicotici, depressione grave, disturbi della personalità e del comportamento alimentare valutati da
uno psichiatra o psicologo con competenze specifiche
- alcolismo e tossicodipendenza
- presenza di malattie con ridotta aspettativa di vita
- pazienti inabili a prendersi cura di sé stessi e senza un adeguato supporto familiare e sociale
Cercando questi dati nel caso clinico riportato i fattori sfavorenti per l’intervento sarebbero i primi tre, resta da
valutare attentamente se siano sufficienti all’esclusione dalla procedura.
In generale, oltre a queste controindicazioni, prima dell’intervento bisogna informare la persona che in caso non
accettasse di ridurre l’alimentazione, tutti gli interventi di restrizione gastrica possono dare problematiche,
perché in caso di abbuffate si andrebbe incontro a lesioni dello stomaco. In questi casi sono più indicati interventi
meno invasivi come la diversione biliopancreatica, ma in ogni caso il paziente deve essere consapevole dei rischi e
del fatto che successivamente dovrà essere seguito per controllare eventuali deficit di proteine, vitamine, calcio ed
altro.
Bisogna quindi fare una scelta molto accurata e valutare bene i fattori relativi al paziente, la gravità dell’obesità, la
distribuzione del grasso ed eventuali comorbidità. Con un’obesità così importante sarebbe utile un periodo breve di
dieta molto severa per far dimagrire un po’ la signora, in modo da ridurre i rischi collegati all’anestesia.
È necessario, inoltre, ricordare che gli interventi di chirurgia bariatrica devono sempre essere eseguiti presso un
centro accreditato, quindi con grande esperienza, in quanto molto complessi e rischiosi.
In conclusione, la signora non è stata ritenuta abile all’intervento in quanto non affidabile e, a seguito di questa
comunicazione, ha smesso di seguire il follow up senza tornare più in ambulatorio.
Purtroppo scenari simili sono molto frequenti tra i pazienti obesi, e probabilmente questo sarebbe evitabile
sensibilizzando maggiormente la popolazione sull’importanza di uno stile di vita sano.
Domanda: Dal momento che la paziente in questione presentava segni di un disturbo del comportamento
alimentare già al primo incontro, sarebbe stato possibile affiancare al trattamento dietetico un percorso
psicologico?

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Risposta: È stato proposto, ma la paziente ha rifiutato questa possibilità. Inoltre, c’è un altro problema che è stato
acuito notevolmente dalla pandemia, ovvero la scarsità di psicologi all’interno del sistema sanitario. Anche
nell’Ulss di Padova, nonostante le continue richieste di affiancamento psicologico nel percorso di cura di bambini
obesi, non vengono assunti e si trovano solo nei centri più specialistici che si occupano di casi gravi. Lo stesso
centro regionale dell’obesità di riferimento dell’ULSS Euganea, presso cui si recano i pazienti in attesa di
intervento, ha solamente uno psicologo, che non è neppure continuativo ma cambia spesso.
Domanda: Il contesto sociale non favoriva la terapia? Si poteva proporre un cambio?
Risposta: Il lavoro di bibliotecaria portava la signora ad essere sola per tutto il giorno. Avremmo potuto proporlo
ma sarebbe stato complicato. Non aveva molti rapporti sociali, magari avere anche soltanto un’amica che la
stimolasse ad andare a fare una passeggiata l’avrebbe aiutata.
Domanda: La chirurgia bariatrica è economicamente a carico del sistema sanitario nazionale, ci possono essere
casi in cui il paziente si rifiuta di prendere il farmaco perché costa e viene indicato per la chirurgia?
Risposta: Si, quando il paziente che si rifiuta ha grave obesità con complicanze gravi come la steatosi epatica non
alcolica che evolve in fibrosi o un diabete complicato da una malattia cardiovascolare allora si impone l’intervento.
Ora il ministero ha riconosciuto l’obesità come malattia cronica invalidante ma non ci sono pannelli di farmaci ed
esami per cui essere esenti. La liraglutide ha ancora un costo abbastanza sostenuto essendo un farmaco innovativo,
come altri farmaci ancora sotto il vaglio dell’EMA che inibiscono i centri nervosi della fame. Alcuni, inoltre, non
sono proprio arrivati all’EMA, come la Silbutramina, che negli Stati Uniti si trovava persino nei supermercati ed
ha portato a svariati suicidi. È necessario un controllo, in quanto farmaci che agiscono a livello del sistema nervoso
centrale non possono essere dati in caso di problemi di depressione, che accompagna spesso l’obesità o sindrome
ansioso-depressiva. Il ministero non ha ancora espresso il proprio parere ma è difficile che farmaci innovativi
entrino in commercio in tempi brevi.

NAFLD- Non-Alcoholic Fatty Liver Disease


La NAFLD è l’acronimo inglese usato per definire la steatosi epatica non alcolica. Per confermare questa patologia
ci deve essere l’evidenza di steatosi epatica, ottenibile tramite un’ecografia addominale o una biopsia, e
l’esclusione delle cause secondarie di steatosi. Nella maggior parte dei casi si associa ai fattori di rischio della
sindrome metabolica, quindi a obesità, diabete e dislipidemia.
Le cause secondarie di steatosi sono
molteplici, ma principalmente sono dovute
all’alcolismo, uso di farmaci e malattie
ereditarie.
Le restanti sono elencate nella tabella
riportata, in cui vengono suddivise in forme
di steatosi macrovescicolare e
microvescicolare.
Le cause più frequenti di steatosi
macrovescicolare, ovvero singole grandi
gocce lipidiche nel citoplasma degli
epatociti, sono:

- alcolismo;
- infezione da HCV (genotipo 3);
- morbo di Wilson;
- lipodistrofia [NdS: Le lipodistrofie sono un gruppo di malattie metaboliche rare contraddistinte da anomalie del tessuto
adiposo, perdita generalizzata o parziale del grasso corporeo, alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico, importante
resistenza all'insulina endogena ed esogena e disordini immunologici.]
- digiuno eccessivo;

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- nutrizione parenterale;
- abetalipoproteinemia;
- farmaci (tra questi i corticosteroidi assunti per periodi prolungati, ad es. nelle patologie reumatologiche)
Le cause di steatosi microvescicolare, ovvero tante piccole gocce lipidiche che spingono il nucleo verso la
periferia, sono:

- sindrome di Reye;
- farmaci (valproato, antivirali);
- steatosi gravidica;
- sindrome HELLP; (NdS: La sindrome HELLP è un insieme di manifestazioni di una patologia della gravidanza,
potenzialmente pericolosa per la vita e considerata spesso una variante o una complicanza della preeclampsia.)
- anomalie congenite del metabolismo.
All’esame istologico la NAFLD viene confermata per la presenza di un accumulo di trigliceridi superiore al 5%
del peso del fegato. Verrà ulteriormente classificata in:
- NAFL-Non Alcoholic Fatty Liver: sono presenti gli epatociti steatosici senza evidenza di danno
epatocellulare. Si osservano elementi di infiammazione lobulare e portale moderata e lipogranulomi.
L’infiltrato presente è rappresentato da linfociti ed eosinofili.
- NASH-Non Alcoholic SteatoHepatitis: è presente una steatoepatite, la quale mostra già elementi di
necrosi, inizio di fibrosi e quindi la base per la cirrosi. Tipica è la presenza del ballooning, ovvero epatociti
rigonfi con un citoplasma che appare chiaro e rarefatto da un nucleo ipercromatico.
È bene tenere a mente che alcune forme di cirrosi non
alcolica possono evolvere in HCC. Inoltre, il 35-50%
di HCC compaiono in pazienti privi di cirrosi quando
vi è una condizione di NASH; per questo va
monitorata strettamente questa condizione.
Nel 1976 è stata scoperta la sindrome metabolica, nel 2003 si è visto
che i pazienti con sindrome metabolica avevano la steatosi epatica
con un’origine non alcolica che aumentava il loro rischio di HCC
oltre che di quello cardiovascolare.

Patogenesi
Tutto inizia con l’accumulo intra epatocitario di
trigliceridi, i quali determinano la lipotossicità.
Questo accumulo è causato da un’aumentata
disponibilità di acidi grassi liberi provenienti dal
tessuto adiposo e dalla maggiore lipogenesi de
novo. I pazienti con NAFLD avranno livelli elevati
di FFA (free fatty acids) e un’aumentata secrezione
di VLDL, che sono la base per determinare anche
l’insulino-resistenza. Gli FFA vanno incontro a β-
ossidazione negli epatociti a livello mitocondriale,
causando la formazione di ROS con i relativi danni
strutturali e funzionali che predispongono alla
progressione della patologia.

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È stato dimostrato che, proprio perché condividono fattori di rischio comuni, le due condizioni di NAFLD e
sindrome metabolica si autoalimentano. I fattori predisponenti sono:

- farmaci come i cortisonici a lunga durata o la terapia ormonale sostitutiva di vecchia generazione ad elevato
contenuto estro-progestinico;
- fumo, per lo stress ossidativo basale;
- età avanzata;
- etnia: a maggior rischio gli ispanici, seguiti da caucasici e africani;
- forme genetiche;
- stato metabolico: obesità viscerale-patologica rispetto all’obesità sottocutanea-sana;
- microbiota intestinale: tante ipotesi, nessuna evidenza al momento;
- dieta.

Epidemiologia
Si è stimata una prevalenza globale
di NAFLD del 55,5% nei pazienti
con diabete mellito di tipo 2. Tra
questi, se poi sottoposti a una
biopsia epatica, il 17% di loro
aveva già una fibrosi avanzata. La
prevalenza cambia a seconda delle
varie aree geografiche.
Dall’immagine: in USA del 55%, Asia 67%,
Africa 30% Europa al 68%.

In Italia si stima la prevalenza di


obesità al 18-20% e della NAFLD
al 20-25%. La presenza di obesità
in NAFLD è del 65%. L’incidenza
è circa di 4000 nuovi casi all’anno, di cui il 10% progredisce a cirrosi. Il 25% della popolazione generale ha la
NAFLD e il 3% ha la NASH. Un problema sempre più evidente sono i bambini obesi e gli adolescenti obesi che
entrano a far parte della categoria di pazienti con NAFLD.
Gli obesi patologici hanno una prevalenza di NAFLD al 90% ma si pensa anche che siano sottostimati questi dati,
perché prima di arrivare alla disfunzione epatica rimane asintomatica come condizione.

Diagnosi
Il tipico paziente con NAFLD è obeso. Prendendo i suoi parametri si avrà la conferma della sindrome metabolica
con in aggiunta i livelli aumentati di ALT o GGT. Quasi sempre all’esame obiettivo risulta difficile da palpare il
fegato, ma osservandolo con l’ecografia apparirà steatosico e “brillante”.

Score clinici
Spesso i medici usano i seguenti score a scopo diagnostico e prognostico.

- FLI (fatty liver index) calcolato con i parametri della sindrome metabolica, trigliceridi, circonferenza
addome;
- HSI (hepatic steatosis index), calcolato dal rapporto tra le transaminasi e il BMI;
- NASH score, poco usato poiché serve il valore delll’insulinemia che non è un esame di routine;
- BARD score determina la severità della fibrosi, si basa sulle transaminasi, sul BMI e sulla presenza di
diabete. Si usa più di tutti;
- NFS (NAFLD fibrosis score) valuta la severità della fibrosi sul valore del BMI e presenza di diabete o di
IFG (impaired fasting glucose).

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Esistono degli score italiani come quello prodotto da Giulio Marchesini che si calcola facilmente per determinare il
rischio di fibrosi con quattro parametri clinici, tra questi vi è anche la conta piastrinica e l’albumina.
Fibroscan e biopsia
Per valutare se vi è presenza di fibrosi si usa come test il fibroscan, si tratta di un’ecografia con una sonda
particolare. Si usa come approccio terapeutico o come score di previsione, se peggiora allora si ricorre alla biopsia
epatica, che non si fa quasi mai di prima battuta. Un fibroscan patologico dà indicazioni di peggioramento: la
NAFLD e la fibrosi danno un peggiore controllo glicemico. Serve fare questo test perché gli enzimi epatici sono
una spia ma non quantificano la fibrosi.
Nel servizio di diabetologia della prof c’è un ambulatorio dedicato ai pazienti diabetici con NAFLD in collaborazione con i
gastroenterologhi del sant’Antonio: se le transaminasi sono aumentate, l’ecografia mostra steatosi, gli score sono elevati, si inviano
i pazienti in gastro per fare il fibroscan.

La biopsia epatica è un test di secondo livello ed è invasivo, ha come vantaggio quello di poter escludere qualsiasi
altra diagnosi, stadiare il grado di danno epatico e dare una prognosi al paziente. Come svantaggio c’è il fatto di
essere una procedura con dei rischi, il fatto che in genere la maggior parte dei quadri sono ancora benigni e in ogni
caso non esiste una vera e propria terapia specifica una volta fatta la diagnosi.
Quello che dovrebbero fare tutti è mettersi a dieta per perdere peso e ridurre l’introito di colesterolo, i carboidrati
semplici e i trigliceridi, mentre si è dimostrato che la metformina non dà benefici sulla riduzione della fibrosi. I
farmaci che sembrano dare dei miglioramenti sono i glitazoni (in Italia solo uno è approvato e ci sono
controindicazioni al suo utilizzo nelle cardiopatie) e le incretine, come la Liraglutide.
Si sottolinea come nell’approcciarsi a questi pazienti che hanno più fattori di rischio sia essenziale un approccio
multidisciplinare.

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Obesità infantile
Ad oggi l’obesità infantile risulta un problema sempre più rilevante. Dai dati del 2010 la media nazionale di
bambini obesi e sovrappesi è il 30.7%. Ci sono già dati di steatoepatosi in bambini e adolescenti.

[NdS: Si riportano i risultati dello stesso studio con i dati del 2019. Si evidenzia un chiaro trend geografico che vede le Regioni del
Sud avere valori più elevati di eccesso ponderale in entrambi i generi. Prevalenze di obesità più elevate si osservano anche in famiglie
in condizione socioeconomica più svantaggiata e tra i bambini che sono stati allattati al seno per meno di 1 mese o mai. Il link per
leggerlo è: https://www.epicentro.iss.it/okkioallasalute/indagine-2019-dati ]

Globalmente la prevalenza della NAFLD si stima essere al 10% nei bambini, il 17% negli adolescenti e il 40% nei
bambini obesi; alcuni casi hanno una rapida progressione che hanno richiesto un trapianto di fegato.
Domanda: Esiste una differenza tra i due sessi?
Risposta: In pubertà è più frequente in femmine, ma è più strettamente correlata all’entità dell’obesità. Negli adulti
è più elevata la frequenza nelle donne. (NdS: dallo studio del 2019 è emerso che la percentuale di bambini obesi è maggiore
nei maschi con il 9.9% rispetto alle femmine con l’8.8%)

Domanda: Come può intervenire il medico nell’educazione dei genitori per il bambino obeso? Fino a quanto si
può spingere?
Risposte: Tanto, devi convincere i genitori, se il genitore non si rende conto della gravità della cosa non
prenderanno mai sul serio l’educazione alimentare del figlio. Servirebbe in realtà un’educazione generale nella
società. Spetta al pediatra e alla scuola il compito di educare ma la volontà deve partire dalla famiglia, l’abitudine
alimentare parte da lì.
Domanda: L’obesità infantile predispone di più ad altre patologie?
Risposta: Sì alla sindrome metabolica, alla NAFLD e all’ipertensione.

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