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Il profilo biologico è l’insieme di tutte quelle caratteristiche potenzialmente utili nella ricostruzione
dell’identità e della vita dei resti scheletrici rinvenuti in contesti paleontologici, archeologi o forensi.
In esso confluiscono conoscenze legate al sesso, all’età della morte, alla statura in vita, alle patologie, ai
disturbi dello sviluppo, e tutto ciò che può essere facilmente riscontrabile in dei resti antropologici in buono
stato di conservazione (cosa che poco spesso accade in contesti archeologici, motivo per cui è necessario
applicare tutte le metodologie a nostra disposizione).
Con sesso ci riferiamo al sesso biologico, ovvero quello assegnato all’individuo al momento della creazione
dello zigote, e che può avere due forme: sesso maschile e sesso femminile. Il genere è invece un costrutto
socio-culturale che non può essere limitato alla dicotomia maschio-femmina.
Il riconoscimento del sesso biologico è dato da delle differenze sistematiche, che nel loro insieme prendono
il nome di dimorfismo sessuale.
- valutazione del sesso (sex assessment) che prevede l’osservazione delle caratteristiche dimorfiche e
della loro valutazione visiva (approccio utilizzato su resti in buono stato di conservazione).
- Stima del sesso (sex estimation) che prevede l’individuazione dei due sessi attraverso l’analisi di
misure (preferibilmente utilizzato con resti frammentari).
I distretti dello scheletro che permettono una migliore valutazione dello scheletro sono il cranio (con la
mandibola) e il cinto pelvico. Spesso però, l’individuo presenta un mosaico di caratteri sia maschili che
femminili: sta all’antropologo soppesare i vari elementi in base alla loro importanza.
I tratti dimorfici del bacino sono collegabili a due tipi diversi di spinta: il bacino dell’uomo è stretto, alto e
con intersezioni muscolari marcate, efficiente per la corsa e la camminata; il bacino delle donne è largo e
con una cavità pelvica ampia, adatta al parto. L’ampliamento della cavità pelvica deriva da una serie di
adattamenti, come: il sacro corto e largo, un angolo sottopubico ottuso, un’ala dell’ileo bassa e larga, un
pube più lungo e un’incisura ischiatica molto larga.
Il cranio e la mandibola femminili presentano tratti generalmente più morbidi e con inserzioni muscolari
meno marcate.
Possono esserci errori di attribuzione: per esempio un individuo femminile scambiato per uno maschile a
causa dei suoi tratti robusti, derivati da popolo di appartenenza e/o genetica.
In alcuni casi, le misure di determinati distretti scheletrici permettono di riconoscere il sesso dell’individuo
con una precisione del circa 80-90% dei casi. Per esempio, Spradley e Jantz, hanno ottenuto buone misure
per quanto riguarda il cinto scapolare: altezza della scapola (87% di accuratezza), larghezza della scapola
(86%) diametro della testa dell’omero (86%). Le tre misure, se considerate insieme, possono raggiungere
un’accuratezza del 94%. Negli ultimi anni è sempre più diffusa la morfometria geometrica, ovvero l’insieme
delle metodologie morfologiche e metriche.
Nei soggetti immaturi, le caratteristiche del cranio e del bacino sono ancora poco sviluppate, per cui la
determinazione del sesso è problematica. Alcuni distretti scheletrici presentano però un certo grado di
dimorfismo sessuale, legato alle dimensioni e alla massa muscolare (più grande negli individui maschi).
I caratteri più promettenti sono: sulla mandibola, il grado di prominenza del mento, l’ileo, l’angolo e la
profondità dell’incisura ischiatica, l’elevazione della superficie auricolare, l’omero, la simmetria della
troclea, la forma della fossa oleocranica e l’angolo dell’epicondilo mediale, nella dentizione, le dimensioni
dei denti (sia permanenti che decidui) e il rapporto tra volume dello smalto e della dentina.
Il dimorfismo sessuale nei non adulti è minimo, e ci sono due fattori di disturbo:
- L’età: il dimorfismo sessuale nei giovani è dato anche dal tasso di crescita di maschi e femmine. Per
cui è molto importante tenere conto dell’età degli individui analizzati
- La popolazione di appartenenza: spesso le differenze tra le popolazioni sono maggiori delle
differenze tra sessi, rendendo difficile il riconoscimento.
Nei casi in cui risulta impossibile o difficile comprendere il sesso dell’individuo, si può ricorrere anche alla
paleogenomica e alla paleoprotenomica. Per quanto riguarda la prima, il metodo utilizzato è quello
dell’analisi di indicatori molecolari sesso-specifici, ovvero i geni dell’amelogenina, una proteina dello smalto
dentario. Esso è presente in due forme: una sul cromosoma x (AMELX) una sul cromosoma Y (AMELY). Le
femmine avranno dunque solo il gene AMELX, mentre i maschi li avranno entrambi.
La paleoprotenomica si occupa invece di indagare sul prodotto dell’espressione dei geni AMELX e AMELY,
ovvero sulle proteine dell’amelogenina nelle sue due isoforme: AMELX e AMELY.
Quello che lo scheletro in realtà dimostra, non è tanto l’età anagrafica, quanto piuttosto l’età biologica
condizionata dallo stile di vita, cioè dall’alimentazione, dall’attività fisica e dai fattori ambientali, che
possono averne allungato o accorciato la durata.
I cambiamenti scheletrici e dentari, nei primi 15-20 anni di vita, avvengono in maniera graduale e
proporzionale allo scorrere del tempo. Quindi è abbastanza semplice determinare l’età.
Lo sviluppo e la sostituzione della dentatura decidua è un fenomeno graduale e ben documentato, non solo
perché i denti sono gli elementi più duri e resistenti del corpo umano, ma anche perché il loro sviluppo è
geneticamente determinato e poco soggetto a condizionamenti esterni.
Al termine della maturazione scheletrica,i cambiamenti sono lenti e poco visibili. Si fa dunque riferimento
ad aspetti degenerativi del sistema scheletrico o a patologie che insorgono con l’invecchiamento.
La scatola cranica è composta da diverse ossa unite fra loro da suture di natura fibrosa che iniziano a
ossificare dopo i 30 anni di età, con un processo progressivo ma discontinuo.
Anche la dentatura subisce delle variazioni: spesso viene associato il grado di usura delle occlusioni con
l’età, tenendo presente le possibili variazioni, come la presenza di patologie dentoalveolari o l’abrasività del
cibo. Un metodo utilizzato frequentemente è la valutazione della translucenza della dentina nella radice di
denti monoradicolati associata al grado di retrazione della membrana paradontale. Altro metodo è pendere
in esame il volume della camera e del canale pulpare, che diminuisce progressivamente con l’età.
L’estremità sternale della quarta costa presenta modifiche di forma, consistenza e qualità della superficie
articolare, associate all’avanzamento d’età. Le modificazioni della superficie auricolare e della sinfisi pubica
dell’osso coxale sono i metodi più utilizzati per l’identificazione dell’età. Più in generale, si riscontra quasi
sempre una progressiva diminuzione della mineralità del tessuto osseo e l’insorgenza di patologie come
l’osteoporosi, artrosi o l’alterazione delle superfici articolari.
Per concludere, per quanto riguarda i soggetti adulti, non c’è un singolo indicatore scheletrico in grado di
riflettere accuratamente l’età di un individuo. Pertanto sarebbe opportuno applicare più indicazioni
possibili.
Con il termine Tafonomia si intende l’insieme di processi che porta alla formazione di un fossile; il passaggio
dunque di un essere vivente dalla biosfera alla litosfera. In seguito il significato del termine è stato
ampliato, e comprende tutte quelle azioni, naturali e antropiche, che sono intervenute intorno o dopo la
morte dell’individuo, fino a quando i suoi resti non vengono riportati alla luce, influenzandone la posizione
e la conservazione.
Il termine Archeotanatologia invece, indica la scienza che studia la morte nelle sue componenti biologiche
(quindi applicando nei contesti sepolcrali metodologie strutturate) e nelle sue componenti sociali
(indagando dunque sul rapporto delle antiche popolazioni con i morti e con la morte).
Con Antropologia della morte si intende l’interpretazione complessiva dei contesti che si avvale anche del
contenuto di altre discipline.
Contesti di riferimento: terminologia
Antropologia di campo
Il primo passo è quello di identificare i reperti ossei e documentarne la posizione il relazione agli oggetti e
alle strutture circostanti. Può essere utile un’osservazione preliminare sul sesso, età della morte e statura,
nel caso in cui lo stato di conservazione non permetta studi morfologici e metrici successivi (può succedere
che le ossa non si possano prelevare in quanto si distruggerebbero; o che nel terreno siano rimaste solo
delle silhouettes).
C’è da specificare che il momento della decomposizione crea degli spazi vuoti laddove vi erano tessuti molli,
facendo spostare/cadere le ossa (spostamento della testa e della mandibola, appiattimento della gabbia
toracica, dislocazione parziale della colonna vertebrale, caduta delle ossa del bacino).
1. Spazio vuoto: il corpo è originariamente deposto in un contenitore (una bara, una cassa, un
sarcofago) in materiale deperibile o con fessure; i sedimenti andranno successivamente a riempire
lo spazio sepolcrale, così che al momento dello scavo le ossa si trovano in essi incluse.
In questo caso, alcune ossa hanno il tempo di uscire dal loro volume iniziale: nel caso di posizione
supina ad esempio, le ossa coxali, non più trattenute a livello della sinfisi pubica, cadono
lateralmente, trascinando i femori, cosicché le rotule si trovino ai lati delle ginocchia.
2. Spazio pieno: il corpo è deposto nella terra; in questo caso gli spostamenti delle ossa saranno
limitati agli spazi creati dalla decomposizione. Per esempio, se le mani erano poste sopra il bacino,
al momento del ritrovamento del corpo esse saranno all’interno della cavità pelvica, mentre si
manterrà sicuramente la posizione della sinfisi pubica e delle rotule.
3. Riempimento progressivo: gli spazi lasciati liberi dalla decomposizione vengono man mano rempiti,
da sedimenti o altro; le ossa rimarranno pressoché nella loro originaria posizione.
Anche l’architettura del contenitore del corpo e il suo allestimento giocano un ruolo fondamentale per
la posizione del cadavere al momento del rinvenimento. Può succedere che i movimenti di alcune ossa
siano impediti dalla parete della tomba (effetto parete) o che l’originario supporto sopraelevato del
corpo fosse in materiale deperibile, causando quindi la caduta dello scheletro.
1- Articolazioni labili: quelle che si decompongono prima. Esse si trovano nella mano, negli elementi
distali del piede, nella regione cervicale, nella colonna vertebrale; sono articolazioni labili anche le
giunture coxo-femorali, scapolo-toraciche, costo-sternali, lo ioide e le patelle.
2- Articolazioni persistenti: resistono un tempo maggiore. Esse sono: la colonna lombare, articolazione
lombo-sacrale, sacro-iliaca, ginocchio, caviglia, tarso, metatarso e articolazione atlanto-occipitale.
Il tempo di distruzione delle articolazioni dipende dal trattamento funerario e dai fattori climatici.
Studio in laboratorio
Lo studio in laboratorio prevede, oltre allo studio osteobiografico dei resti umani (patologie ecc.) anche la
loro analisi, per identificare tutte quelle alterazioni che possono aiutare nella ricostruzione della loro storia
tafonomica:
- Eventi accidentali: di origine nauturale (fattori ambientali, chimici e biologici dipendenti dagli
ambienti di deposizione) e di origine antropica (intercettazione di sepolture in seguito allo scavo di
altre tombe, canali, edifici o tentativi di saccheggio).
- Eventi intenzionali: modalità di trattamento del cadavere (esposizione, inumazione, cremazione,
mummificazione, smembramento ecc.) delle ossa (recupero, costruzione di amuleti ecc.), operazioni
chirurgiche fatali ecc.
1. Peri mortem: lesioni che non presentano tracce di riparazione, avvenute quindi poco prima della
morte, causandola o no, ma anche qualche tempo dopo, e che interessano ossa ancora ricco di
acqua e componenti organiche.
2. Post mortem: lesioni avvenute su osso secco con componente organica ridotta, o mineralizzato,
privo di componente organica.
Sono queste infatti le condizioni dell’osso che determinano le modalità di reazione alle lesioni e alle
fratture. Il pattern è il seguente:
- L’osso fresco tende a fratturarsi producendo frammenti o talvolta schegge irregolari, che però
rimangono attaccati gli uni agli altri, con profili curvilinei e superficie di rottura liscia, che forma
angoli acuti o ottusi con la superficie dell’osso.
- L’osso mineralizzato tende a frantumarsi in piccoli frammenti di forma regolare, con margini
rettilinei e superficie di frattura rugosa e perpendicolare all’osso.
Le lesioni causate durante la fase di scavo o studio possono essere riconosciute in base al colore, spesso più
chiaro rispetto all’osso a contatto con i sedimenti, e in base all’aspetto, levigato o smussato. L’antichità
delle lesioni può essere comprovata qualora siano presenti concrezioni o macchie, o particelle di sedimento
intrappolate nella lesione stessa, nelle sue microfratture e depressioni.
CUT MARKS (causati dal movimento di una lama Molto stretti e allungati. Se fatti su ossa fresche i
nell’atto di tagliare) margini possono essere sollevati e ricurvi. Sulle ossa
lunghe sono di solito perpendicolari o obliqui
rispetto all’asse dell’osso
CHOP MARKS (causati da un movimento “a colpo La grandezza è variabile a seconda dello strumento
d’ascia” per tagliare spessi tessuti molli o rompere e della potenza utilizzati. Si passa da piccoli tagli (a
un osso) forma di V) fino a grandi solchi la cui larghezza è
talvolta comparabile alla lunghezza. La profondità è
variabile.
SCRAPE MARKS (tracce di raschiamento sulla Possono avere diverse morfologie: serie densa di
superficie ossea, dovute magari al movimento strie superficiali che ricoprono un’area di osso di
tangenziale di una lama nell’atto di rimuovere una certa estensione; asportazione di una scheggia
tessuti molli). di corticale o di una striscia molto superficiale.
Spesso sono visibili strisce longitudinali (in caso di
raschiamento) o trasversali al movimento della
lama (in caso di taglio tangenziale.
TRAMPLING/ABRASION MARKS (tracce di abrasione Simili ai cut marks, ma spesso con andamento
dovute allo sfregamento di particelle di sedimento sinuoso a tratti, a causa del rotolamento dei granuli
contro la superficie ossea, dovuto al movimento di sedimento. Spesso non presentano un
relativo di terra e ossa, anche a causa di un andamento preferenziale
calpestamento)
SEGNI DI DENTI (causati dall’azione di predazione o I segni più frequenti sono:
scavenging di alcuni animali, compreso l’uomo - Roditori: solchi relativamente larghi a fondo
appiattito, paralleli o sub paralleli, spesso
con striature longitudinali e parallele
all’interno.
- Carnivori: lasciano depressioni o fori di
forma circolare dovuti alle cuspidi dei loro
denti, oppure solchi meno profondi con
sezione trasversale a U, sinuosi ed irregolari,
che spesso si intersecano fra loro, dovuto
allo scorrimento del dente sulla superficie
ossea. Essi preferiscono le parti più tenere,
come per esempio l’osso spugnoso delle
epifisi delle ossa lughe
ROOT ETCHING Reticolo di solchi sinuosi e irregolari, poco profondi
e con sezione trasversale ad U. Spesso sono più
chiari rispetto all’osso a causa della decalcificazione
dovuta alla secrezione di acidi da parte delle radici.
BURNING, CALCINATION ( azione del fuoco che L’azione del fuoco produce sull’osso: contrazione,
produce vari effetti, dipendenti dall’ambiente di deformazione, frammentazione, formazione di
combustione, dalla temperatura raggiunta, dalla crepe con pattern quadrettato, esfoliazione e
durata dell’esposizione e dallo stato delle ossa: con cambiamenti di colore. Questi ultimi due dipendono
carne, fresche o secche) dalla temperatura:
- Imbrunimento (giallo-marrone) con
temperature minori di 400°.
- Annerimento dai 390° ai 525°
- Calcinazione (cambiamento della struttura
cristallina con colorazione grigio-blu) circa
645° (grigio bianca dagli 800° circa)
WEATHERING (esposizione agli agenti atmosferici) Gli agenti ambientali fisici e chimici agiscono
sull’osso lasciato in superficie o che risiede nello
strato più superficiale del suolo. Essi provocano
crepe, spaccature ed esfoliazioni; l’osso corticale
assume una consistenza fibrosa. Contrariamente
all’azione del fuoco, non vi sono dei confini netti tra
zone dell’osso danneggiate e quelle integre.
CAPITOLO 3.5
LA BIOARCHEOLOGIA
Con il termine Bioarcheologia si intende lo studio dei resti umani provenienti da contesti archeologici con lo
scopo di ricostruire le condizioni di vita degli individui del passato, tramite l’integrazione di dati biologici
con informazioni sull’ambiente sociale e naturale. Questa materia, essendo scientificamente orientata,
necessita di un numero esiguo di campionari per poter testare ipotesi rilevanti. Per questo la
bioarcheologia si concentra principalmente su popolazioni recenti (Paleolitico superiore).
A partire della ricostruzione del profilo biologico (età, sesso, etnia), è possibile ricostruire anche lo stato di
salute, l’attività fisica, le modalità di sussistenza, la nutrizione degli individui del passato. Si può indagare
anche sugli aspetti sociali, quali il ruolo e la condizione dell’individuo all’interno della comunità, l’impatto
delle malattie, la gestione della morte e dei defunti, la violenza interpersonale, le tradizioni ecc.
Tendenzialmente vengono analizzati i marcatori ossei e dentari, anche se in casi come la mummificazione è
possibile analizzare i tessuti molli ancora presenti.
- Perturbazioni ambientali
- Stress fisiologici (dovuti a cattiva nutrizione, malattie e altre circostanze debilitanti).
Alcune manifestazioni scheletriche sono transitorie, come per esempio l’iperostosi porotica, stress
metabolico che spesso causa una sovrapproduzione di globuli rossi per contrastare uno stato anemico;
oppure episodi di arresto dell’accrescimento delle ossa lunghe.
Altre sono invece di lunga durata, come le displasie ossee legate al rachitismo; altre ancora addirittura
permanenti, come il livello di asimmetria degli elementi scheletrici pari (asimmetria fluttuante) e la
mancata espressione dello sviluppo in statura.
Uno dei tessuti metabolicamente più difficile da produrre e dunque più predisposto a modificazioni causate
da stress fisiologici è lo smalto dentario. Considerando che lo sviluppo della corona dei denti decidui e
permanenti è regolare e ben noto, lo studio dei difetti nell’amelogenesi (fase dell'odontogenesi durante la
quale gli ameloblasti formano lo smalto dei denti) in particolare le ipoplasie lineari dello smalto,
permettono di capire più o meno il periodo e l’intensità dello stress fisiologico.
Lo studio di questi stress permette di indagare su un altro momento importante per la storia dell’individuo,
ovvero lo svezzamento, estremamente singolare da popolazione a popolazione e anche da specie a specie.
Durante l’età adulta lo scheletro è meno sensibile ai cambiamenti nell’omeostasi; ma carenze metaboliche,
deprivazioni e immobilizzazioni, possono portare a fenomeni osteoporotici che causano una diminuzione
della massa e della densità ossea che può essere analizzata macroscopicamente e microscopicamente.
Più comuni sono le tracce delle patologie infettive che lasciano tracce nello scheletro (sifilide, tubercolosi
ecc.). Il loro studio ha permesso di capire l’origine di queste malattie, collocandolo nel periodo di adozione
di un’economia agropastorale neolitica; la prossimità agli animali e la presenza di comunità stanziali ha
infatti permesso una più facile proliferazione degli agenti patogeni.
Recenti avanzamenti nel sequenziamento del DNA, hanno permesso lo studio di malattie che non lasciano
tracce nello scheletro, come il colera o la peste.
Sempre legato all’ambito paleo patologico è lo studio dei traumi. Lo studio del tipo di lesione, la sua
posizione e le modalità o meno di riparazione, integrate ad informazioni sullo status sociale dell’individuo,
permettono di ricostruire la gerarchia sociale, le attività di sussistenza, le interazioni interpersonali, le
tradizioni in ambito medico, funerario, familiare ecc. Per esempio le trapanazioni craniche erano molto
utilizzare per la cura delle malattie.
Attività fisica
Uno dei campi più investigati dalla bioarcheologia è quello delle abitudini posturali,delle abitudini
locomotorie e dei livelli di attività delle popolazioni del passato. A tal scopo vengono analizzate le
degenerazioni delle superfici articolari e la formazione di aree articolari accessorie (erosioni, proliferazioni
ossee ai margini dell’articolazione, osteofitosi, eburneazione delle superfici).
Non esiste attualmente una nomenclatura accettata per descrivere i processi di degenerazione articolare: si
parla di osteoartriti (OA) osteoartrosi, o più generalmente degenerative joint disease (DJD). La variabilità
della nomenclatura deriva in parte da una poca conoscenza sull’eziologia e i processi di formazione di
queste degenerazioni.
Gli studi affermano che la posizione e la severità delle DJD può derivare da specifiche attività fisiche e la
loro frequenza e intensità; vanno considerati però i fattori ambientali, dell’invecchiamento e la
predisposizione genetica.
- Attività di lieve intensità e lunga durata: lesioni microtraumatiche a carico di aree soggette a
sollecitazioni meccaniche, quali le entesi (aree di intersezione del sistema tendineo-muscolare dei
legamenti delle ossa) che possono subire variazioni nella robustezza oppure patologie, le
entesopatie.
- Attività di forte intensità e breve durata: lesioni macrotraumatiche, come fratture.
A partire dagli anni ’80 si è riscontrata una correlazione tra l’attività fisica e le dimensioni, la rugosità e alla
presenza di erosioni e osteofitosi nelle entesi, utilizzati come veri e propri marcatori di attività.
Degli esempi possono essere le entesopatie a carico dei legamenti dell’omero, riconducibili ad attività di
lancio o all’utilizzo di strumenti pesanti; oppure l’esostosi del meato acustico esterno (EAE), collegato
all’uso di risorse acquatiche.
I cambiamenti descritti sopra sono di tipo degenerativo: esistono però anche dei processi adattativi dello
scheletro in risposta all’attività fisica e ai carichi meccanici, leggibili soprattutto nelle ossa lunghe. Gli
elementi scheletrici rispondo alle attività in particolare adattando i livelli di densità ossea, la densità e
spessore delle trabecole della spongiosa dell’osso, e rimodellando la forma e la dimensione dell’osso
corticale, soprattutto nelle diafisi. L’analisi della forma e della dimensione della sezione diafisaria, permette
di comprendere la direzione dello stress da piegatura.
Ovviamente, anche in questo caso, vanno presi in considerazione aspetti come influenze ormonali,
fisiologiche, genetiche e nutrizionali.
L’analisi biochimica delle ossa, sul collagene o sulla componente inorganica, permette di ricostruire la dieta
e gli aspetti nutrizionali della popolazione del passato:
- Isotopi stabili del carbonio ( 13 C - 12 C) e dell’azoto ( 15 N – 14 N): apporto di proteine di origine animale
e vegetale.
- Ciclo del carbonio (C3): importanza dell’orzo, avena, segale e riso nella dieta.
- Ciclo del carbonio (C4): importanza del mais, sorgo e miglio nella dieta.
- Ciclo del carbonio (CAM): importanza delle cactacee nella dieta.
- Dati derivati dall’azoto e dallo zolfo ( 32 S – 34 S): consumo di risorse marine.
Altre informazioni sullo stato nutrizionale di un individuo possono essere ricavate tramite le alterazioni e le
patologie dentoalveolari e in generale dalla condizione del cavo orale.
La masticazione comporta l’insorgenza di usura dentaria nella superficie occlusiva, visibile sia a livello
macroscopico che microscopico, e che dipende dalla consistenza, la tessitura e il tipo di lavorazione del cibo
consumato, o anche più semplicemente da attività extra-masticatorie (uso della pipa, lavorazione delle
pelli, malocclusione). Anche le fratture dentarie (chipping) possono dare importanti informazioni di ordine
socio-culturale. Le patologie, come carie, periodontiti, ascessi, perdita di denti, raggiungono il picco con
l’introduzione di una dieta agricola e il conseguente consumo di amido. Ciò che ritroviamo nel cavo orale
può essere indicatore di diverse abitudini alimentari, legate non solo alle disponibilità ma anche al censo e
al sesso.
CAPITOLO 3.6
LA BIOARCHEOLOGIA: PALEOPATOLOGIA
La Paleopatologia è la scienza delle malattie del passato,utile anche a ricostruire i modelli comportamentali,
lo stile di vita, la condizione socio-economica e igienico-sanitarie delle antiche popolazioni.
1. Fonti indirette: testi storici, reperti archeologici e produzioni artistiche antiche; un esempio sono i
papiri medici egiziani, con i quali conosciamo malattie del passato che altrimenti rimarrebbero
ignorate, poiché non lasciano segni nello scheletro; oppure protesi, cinti erniari, strumenti
chirurgici ritrovati in contesti archeologici ecc..
2. Fonti dirette: sono i resti biologici: scheletri, materiali di origine organica (tessuti molli calcificati,
coproliti, calcoli) e mummie.
Le patologie che lasciano segni sullo schermo possono essere raggruppate in:
1. TRAUMI:
- Postmortem: pseudopatologia
- Antemortem
- Perimortem
2. INFEZIONI SPECIFICHE:
- Virali: vaiolo, poliomielite, malattia di Paget
- Micotiche: Asperigillosis, Cryptococcosis
- Batteriche: tubercolosi, brucellosi, lebbra, peste, treponematosi
- Parassitarie con patogeni unicellulari (protozoi): malaria
- Parassitarie con patogeni multicellulari: echinoccoccosi, vermi intestinali
3. INFEZIONI A-SPECIFICHE:
- Periostite supporativa
- Osteomielite
4. MALATTIE ARTICOLARI:
- Patologie dell’invecchiamento: artrosi, ernie di Schmorl
- Multifattoriali: DISH, artrite
5. TUMORI:
- Primitivi benigni: condroma, osteoma
- Primitivi maligni: mieloma endoteliale, osteosarcoma
- Extrascheletrici benigni
- Extrascheletrici maligni
6. STRESS METABOLICI:
- Scorbuto: avitaminosi C
- Anemia: avitaminosi A
- Rachitismo: avitaminosi D
- Causati da squilibri ormonali
7. PATOLOGIE CONGENITE:
- Distrettuali: spondiloschisi, emispondilia, aplasie e ipoplasie
- Sistemiche: acondroplasia, osteogenesi imperfetta, acrocefalosindattilia, concomitante sindattilia.
E’ importante soffermarsi sul Paradosso Osteologico: quando sullo scheletro si osservano le lesioni, la
condizione patologica è sistemica e in forma cronica. In altre parole l’individuo deve essere sopravvissuto
diverso tempo con la patologia, al punto che l’osso ha avuto il tempo di rispondere. Per questo si hanno le
lesioni. Se invece lo scheletro non presenta nessun segno, è possibile che l’individuo abbia contratto la
malattia in forma acuta, senza lasciar tempo al corpo di reagire, portandolo velocemente alla morte.
Con pseudopatologia si intende la serie di lesioni che sono causati dai processi tafonomici che possono
simulare una patologia.
La diagnosi paleopatologica inizia con l’annotazione di ogni lesione scheletrica (osteoblastica, osteoclastica,
posizione, estensione); successivamente si prosegue con la diagnosi differenziale, comparando le lesioni
osservate sullo scheletro con quelle riscontrabili nelle diverse patologie ossee. Spesso l’osservazione
macroscopica non è sufficiente, ed è necessaria quella microscopica.
Indagini virtuali
Con le x-rays è possibile individuare linee di frattura non visibili ad occhio nudo; con le CT-scans si possono
fornire informazioni sullo spessore corticale ed eventuali cambiamenti dovuti a stress biomeccanici.
Analisi molecolari
Le analisi genetiche sono le uniche analisi che possono individuare la causa di morte in scheletri privi di
tracce o confermare l’ipotesi della presenza di patologie avanzata con l’indagine macroscopica.
Analisi microscopiche
Spesse volte si rende necessario l’esame istologico; gli strumenti utilizzati sono i microscopi elettronici a
scansione o la micro-tomografia. Essi sono molto utili per le indagini paleo parassitologiche, ovvero lo
studio delle infestazioni da parassiti nel tratto intestinale.
LE PATOLOGIE
Traumatologia
Con il termine trauma si intende un’interruzione della continuità del tessuto osseo avvenuta in vita a
seguito di eventi violenti/accidentali, provocati a loro volta da una forza esterna.
1. Postmortem: l’evento non è patologico in quanto avvenuto dopo la morte. I margini delle lesioni
sono spigolosi e di colore più chiaro rispetto alle superfici ossee a contatto con il terreno.
2. Antemortem: sono le lesioni che avvengono durante la vita dell’individuo. L’osso ha il tempo di
rispondere alla frattura, e i segni di rimodellamento sono visibili già dopo due settimane. A livello
osteologico si osserva una struttura incoerente lungo la lesione che prende il nome di callo osseo
3. Perimortem: lesione più complessa da riconoscere in quanto i margini della frattura sono appuntiti
e i margini hanno lo stesso colore delle altre superfici ossee.
I traumi possono essere causati da meccanismi diretti e indiretti, che possono portare a lesioni incomplete
dell’osso, chiamate a legno verde e a spirale.
La frattura può anche essere provocata come conseguenza di una patologia preesistente, come
l’osteoporosi.
Le patologie infettive
Altro indicatore scheletrico molto utile nell’indagine dello stile di vita delle popolazioni del passato è
costituito dalle infezioni.
MALATTIE ARTICOLARI
Patologie dell’invecchiamento
- Primo stadio: colpisce la cartilagine, che protegge le articolazioni evitando gli attriti e assorbendo
l’impatto degli urti. In questa prima fase la cartilagine inizia ad erodersi e frammentarsi e l’osso
rimane allo scoperto.
- Negli stadi successivi si osservano lesioni osteofitiche (di tipo osteoblastico) e lesioni porose (di tipo
osteoclastico). In particolare gli osteofiti, piccole escrescenze ossee, accompagnano l’ispessimento
dei contorni dell’area articolare interessata. Nei casi più gravi la superficie articolare arriva
addirittura ad eburne arsi, risultando liscia e lucida e con eventuali porosità.
Patologia ad eziologia sconosciuta, colpisce il distretto scheletrico soprattutto a livello della colonna
vertebrale: i tendini si ossificano e un numero pari di vertebre assumono la tipica forma a cera colata.
Anche le inserzioni muscolari possono essere colpite (entesopatie).
Artrite reumatoide
Infiammazione cronica che coinvolge le articolazioni. Le cause sono multifattoriali, e generalmente i primi
distretti coinvolti sono quelli di mani e piedi, con lesioni bilaterali e spesso la sub-lussazione delle
articolazioni.
TUMORI
Tra i tumori ossei benigni ricordiamo l’osteocondroma (escrescenze ossee spesso fungiformi, aghiformi o a
becco di pappagallo)
I tumori ossei primitivi maligni si sviluppano durante l’accrescimento. Tra essi ricordiamo: l’osteosarcoma, il
sarcoma di Ewing e i condrosarcomi.
I tumori ossei derivati da tessuti emopoietici possono essere difficilmente riscontrabili, in quanto
confondibili con i tumori linfatici. Il mieloma multiplo è la neoplasia maligna di più frequente riscontro in
materiale osseo antico.
I tumori maligni extraossei possono metastatizzare il tessuto osseo, generando tumori ossei maligni
secondari.
Le malattie metaboliche
Includono patologie ad eziologia differente, che però condividono la proprietà di alterare il metabolismo
osseo e dei tessuti ematopoietici ad esso strettamente collegati. Possiamo distinguere:
Patologie congenite
A questa categoria fanno parte numerose patologie sistemiche o distrettuali, eterogenee ma comuni nel
fatto di essere congenite. Le alterazioni congenite distrettuali consistono nell’assenza di un elemento osseo
(aplasia) o da un suo ridotto svilppo (ipoplasia), o nella comparsa di morfologie anomale.
Altre alterazioni consistono nell’unione di distretti scheletrici normalmente separati, o dalla separazione di
parti generalmente saldate, o da ossa soprannumerarie.
Le alterazioni congenite sistemiche sono molto rare da individuare in contesti archeologici in quanto
provocavano la morte in età infantile. Ricordiamo l’acondroplasia.