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Biologia dello sviluppo e filogenesi animale e laboratorio

Anno accademico 2017/18

Corso tenuto dalla professoressa R. Scudiero

Sbobinature sviluppate da
Mario Russo

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Premessa
Salve ragazzi, mi chiamo Mario Russo e sono uno studente del corso di laurea Scienze Biologiche (matricole
N88).
Condivido GRATUITAMENTE queste sbobinature del corso di Biologia dello Sviluppo e Filogenesi
Animale (BSFA) tenuto dalla professoressa R. Scudiero nell’anno accademico 2017/18.
Il file digitale, in formato PDF, è possibile scaricarlo dal gruppo Facebook nominato “Biologia dello sviluppo
- Scudiero” raggiungibile tramite questo link:

Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/229741984222381/

Le sbobinature contengono, oltre al testo, anche immagini prese dalle slide proiettate durante il corso 2017/18
(alcune di queste immagini sono presenti nei vari libri di testo consigliati dalla prof). Le slide del corso invece,
contenenti immagini e testi, potete scaricarle o dalla pagina web del docente (se siete iscritti all’insegnamento),
o dal gruppo FB dedicato (nel post fissato in alto) oppure cliccando sul seguente link:

Slide del corso: https://drive.google.com/drive/folders/1QtaEC30pJaLjQQOl1ayfzwIA9pbQg-BB

Ragazzi ci tengo a dirvi che, sebbene mi sia impegnato molto nello sviluppo di questo materiale, queste
sbobinature sono pur sempre, appunto, delle sbobinature. Con questo intendo dire che potrebbero contenere
degli errori di varia natura (potrei, ad esempio, aver commesso degli errori di trascrizione, aver compreso male
dei concetti oppure la prof in alcuni frangenti potrebbe aver usato impropriamente alcuni termini, essersi
confusa, etc.). Per ridurre la presenza di potenziali inesattezze mi sono confrontato con colleghi e consultato
vari libri di testo, sia di biologia dello sviluppo che di filogenesi. Tuttavia, nonostante il mio impegno, credo
che ci siano ancora cose inesatte (concetti poco chiari o errati, termini scritti non correttamente, etc.); le parti
potenzialmente errate sono state racchiuse tra due parentesi quadre presedute da un asterisco.

Esempio: * [POTENZIALE ERRORE]

Quando vi trovate dinanzi a questi potenziali errori vi consiglio vivamente di ricevere a riguardo chiarimenti
dalla professoressa oppure consultare i libri di testo e/o le slide. Sul gruppo FB, inoltre, sono presenti tutte le
registrazioni delle lezioni che, volendo, potete usare per ascoltare queste parti potenzialmente errate ed
eventualmente riuscire a correggere e a comprendere meglio i concetti contenuti in esse.

Per quanto riguarda la stampa di questi appunti, vista la presenza di molte immagini, la soluzione ideale sarebbe
quella a colori; tuttavia, mi rendo conto che in questo caso i costi sarebbero piuttosto alti. Quindi, qualora
decidiate di stamparle in bianco e nero vi consiglio vivamente di guardare le immagini dalle slide o dai libri di
testo. Ricordatevi sempre che:

per questo esame lo studio dalle immagini è di fondamentale importanza!

All’interno di questo materiale trovate anche delle domande di biologia dello sviluppo (pagine 352 e 353) e di
filogenesi animale con cui esercitarvi e valutare il vostro grado di preparazione (queste domande erano presenti
sulla pagina web della professoressa).

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Ci tengo a ribadire che in queste sbobinature, per motivi di spazio, sono state inserite SOLO LE IMMAGINI
delle slide proiettate al corso. Le slide, infatti, contengono sia immagini sia testi scritti; consiglio di scaricare
le slide se volete dare un’occhiata ai testi scritti inseriti dalla prof.

Di seguito, invece, sono elencati i libri di testo consigliati dal docente.

Biologia dello Sviluppo

- Andreuccetti et al., Biologia dello sviluppo, McGraw-Hill


- Gilbert, Biologia dello sviluppo, Zanichelli

Filogenesi animale

- Cleveland et al. Diversità animale McGraw-Hill


- Liem, Anatomia Comparata dei Vertebrati ed. EdiSES
- Stingo et al., Anatomia Comparata ed. edi-ermes

Sul sito del docente è disponibile il materiale didattico utilizzato durante il corso.

Spero che tale materiale possa essere di aiuto a tutti.

Buono studio e in bocca al lupo! 😉

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Biologia dello sviluppo

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1. Lezione del 25/09/2017
Biologia dello sviluppo e filogenesi: definizioni

La biologia dello sviluppo è lo studio dei meccanismi che portano alla nascita, alla genesi, di un nuovo
organismo (praticamente la sua ontogenesi).

La filogenesi è la genesi di una nuova specie, quindi è lo studio dei meccanismi che sono alla base della
grande diversità che troviamo negli organismi viventi.

Nel 1899 fu stabilito che la biologia dello sviluppo e la filogenesi sono due branche della biologia strettamente
collegate. Infatti:

“l’ontogenesi ripercorre la filogenesi”


- Ernst Haeckel -

Quando si osservano le fasi dello sviluppo di un organismo vertebrato, qualunque esso sia, è possibile capire
la sua storia evolutiva e tutte le modificazioni strutturali e molecolari che hanno definito l’organismo stesso.

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Stadio filotipico
Serviamoci del seguente esempio per spiegare lo stadio filotipico: considerando come gruppo di organismi i
vertebrati (un gruppo di organismi molto vasto), nelle prime fasi dello sviluppo embrionale non si è in grado
di riconoscere un tipo di embrione da un altro. Ad esempio, non si riesce a distinguere l’embrione di pesce da
quello di rettile, e quello di rettile da quello dell’uomo; questo proprio perché l’ontogenesi ripercorre la
filogenesi.

È bene tenere presente che con gli stadi filotipici non si risale all’origine del mondo e non si ripercorre tutta la
sua storia, tuttavia si riescono a ripercorrere tutti quegli stadi fondamentali che caratterizzano il vasto gruppo
di appartenenza dei cordati.
Col procedere del differenziamento, le differenze che ci sono ad esempio tra le strutture tipiche di un uccello
e quelle tipiche di un mammifero appaiono sempre più chiare.
Come possiamo osservare dalla figura, inizialmente è veramente difficile distinguere un embrione di uccello
da un embrione di mammifero. Lo stadio dello sviluppo dell’apertura delle branchie ad esempio, tipico dei
pesci e che avviene in una certa regione, lo si ritrova in un certo senso anche nei rettili, negli uccelli e nei
mammiferi (uomo compreso), organismi che come sappiamo non respirano con le branchie e non vivono
nell’acqua. Questo perché si tratta di uno stadio filotipico, ovvero uno stadio tipico e caratteristico di quel
gruppo di vertebrati (a volte può avvenire la nascita di individui che presentano delle cicatrici perché una
determinata invaginazione non ritorna nella classica posizione); “l’abbozzo delle branchie”, o meglio, gli
abbozzi delle aperture faringee, saranno presenti in tutti gli embrioni di cordati. Stesso discorso vale per la
coda, questa infatti nell’essere umano regredisce ma durante lo sviluppo embrionale dell’uomo la coda però è
presente.
Durante il corso di Biologia dello Sviluppo e Filogenesi Animale si porrà attenzione alle principali classi di
organismi vertebrati, dagli ittiopsidi (pesci) fino ad arrivare ai mammiferi (uomo compreso), senza però
dimenticare alcuni invertebrati che sono stati fondamentali per la ricerca in questo campo. Infatti la stragrande
maggioranza degli studi e delle conoscenze che si hanno nel campo della biologia dello sviluppo lo si deve ad
organismi come Drosophila melanogaster (il moscerino della frutta, utilizzato anche e soprattutto nel campo
della genetica dove è stato importante per comprendere come, durante lo sviluppo, vengono ereditate
determinate caratteristiche) e Paracentrotus lividus (riccio di mare). Il riccio di mare è stato un organismo
modello fondamentale per la comprensione di tutta una serie di meccanismi che sono poi stati ritrovati così
come sono anche nei vertebrati (uomo compreso).

Nota: come sappiamo, l’essere umano è un primate discendente dalle scimmie. Tuttavia bisogna anche dire
che se si va molto indietro nel tempo ci si accorge che esso discende dai batteri, dal brodo primordiale, e così
via.

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Albero filogenetico
Di seguito vi è un’immagine dell’albero della vita per quanto riguarda la biologia animale (volendo essere
precisi sarebbe più corretto usare il termine cladogramma).

Un albero filogenetico può o meno avere una radice (quindi può essere rooted o unrooted). In figura i rami
dell’albero indicano dei phyla animali ma in realtà ciascun ramo potrebbe indicare una sola proteina oppure
una sola sequenza nucleotidica; un confronto quindi può essere fatto a grandi livelli considerando interi phyla
oppure all’interno di un singolo gene andando ad osservare come il gene stesso si è modificato nei vari
organismi, animali e vegetali, che si stanno considerando per la costruzione dell’albero.
Come possiamo notare dall’immagine, i rami che indicano i vari phyla si trovano tutti sullo stesso piano, il che
significa che tutti questi organismi vivono nello stesso periodo in cui vive l’essere umano. Una forma di vita
estinta sarebbe stata indicata da un ramo avente un’altezza diversa (visto l’albero da questa prospettiva il ramo
avrebbe avuto un’altezza più bassa).
Dal punto di vista evolutivo gli organismi viventi hanno tutti lo stesso peso, ciò vuol dire che su un albero
evolutivo si trovano tutti sullo stesso livello.

Nota: durante le lezioni può capitare di usare il termine “basso vertebrato” per indicare vertebrati appartenenti
ad un gradino evolutivo più basso. Si tratta di organismi più antichi, più primitivi dell’essere umano, che
durante l’evoluzione possono aver subito varie modifiche. È bene sapere però che il termine “basso vertebrato”
non è corretto e pertanto si invitano gli studenti a non utilizzarlo in sede d’esame.

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All’interno dell’albero ci sono dei nodi, ovvero punti di divergenza in cui da un antenato comune (che
ricordiamo può trattarsi anche di una semplice sequenza nucleotidica) si ha una diversificazione; si tratta di un
punto in cui qualcosa è accaduto (ad esempio da “Ancestral colonial protist” si ha “True tissues” e “No true
tissue”). “True tissues” e “No true tissue” vengono chiamati gruppi o cluster: cluster che derivano da un
singolo nodo presentano una sorta di parentela mentre cluster che derivano da nodi diversi non sono
strettamente imparentati. Questo perché per trovare l’antenato comune bisogna “superare” vari nodi dell’albero
(nel nostro caso bisogna scendere via via più in basso).
Osservando la figura si nota che da un antenato coloniale protista (Ancestral colonial protist) hanno origine
degli organismi in cui non si riconoscono delle vere strutture tissutali ma solo un ammasso di cellule (No true
tissue); questi organismi esistono e si tratta delle spugne.
Dunque un albero filogenetico può basarsi sulle dicotomie, ovvero sulle “separazioni” che si osservano a
partire da un antenato comune. Come detto in precedenza, un antenato comune all’interno di un albero
filogenetico può essere anche solamente una sequenza nucleotidica o amminoacidica e i discendenti potranno
differenziarsi per un codone o amminoacido. Nel nostro caso abbiamo un albero molto generico, in cui sono
presenti delle dicotomie classiche e dove ogni ramo rappresenta un phylum. La prima dicotomia è la seguente:
• No true tissues: organismo costituiti da un ammasso di cellule.
• True tissues: organismi in cui si riconoscono dei tessuti, cioè le cellule si specializzano e si organizzano
in tessuti.

Gli organismi che presentano dei veri e propri tessuti presentano una simmetria radiale primaria o bilaterale.
• Simmetria radiale primaria: la simmetria radiale primaria, laddove è presente, è presente fin da subito e
lo sarà sempre, per tutto il corso dell’esistenza dell’organismo. Appartengono a questa categoria le meduse.
• Simmetria bilaterale: gli organismi con simmetria bilaterale possono a sua volta essere suddivisi in
protostomi e deuterostomi (prima grande dicotomia) in base ad una caratteristica osservabile durante il
loro sviluppo. Durante lo sviluppo embrionale una delle prime strutture che si forma è il tubo digerente,
apparato utile per l’alimentazione, il quale per caratteristica deve essere collegato con l’ambiente esterno.
Il tubo digerente può essere più o meno aperto, infatti - contrariamente a come si possa immaginare - non
sempre presenta due aperture verso l’esterno come nel caso della specie umana; il tubo digerente può anche
essere un sacco a fondo cieco. Vediamo ora le differenze tra protostomi e deuterostomi.
- Protostomi: alla formazione del tubo digerente durante lo sviluppo embrionale, la prima apertura
verso l’esterno che si verrà a creare corrisponderà, nell’individuo adulto, alla bocca. Questo si
verificherà sia nel caso in cui l’apparato digerente prevedrà l’apertura anale sia se l’apparato digerente
diventerà un sacco a fondo cieco (nel caso del sacco a fondo cieco quell’unica apertura sarà la bocca).
Negli organismi in cui è prevista una sola apertura del tubo digerente può venirsi a creare, durante lo
sviluppo, una seconda apertura. Appartengono ai protostomi la stragrande maggioranza degli
organismi che conosciamo (molluschi, artropodi, platelminti, etc.).
- Deuterostomi: appartengono ai deuterostomi tutti quegli organismi in cui, durante lo sviluppo
embrionale, l’apertura anale sarà la prima apertura collegata con l’esterno che verrà a crearsi.
Appartengono al gruppo dei deuterostomi solamente due phyla, quello degli echinodermi
(appartengono a questo phylum i ricci di mare) e quello dei cordati (il phylum dei cordati comprende
il subphylum dei vertebrati). L’essere umano fa parte del subphylum vertebrati, phylum cordati.

Lo studio dello sviluppo embrionale del riccio di mare, un deuterostoma, è stato molto importante in quanto si
tratta di un organismo molto più vicino all’essere umano in termini di caratteristiche di quanto lo possa essere
un artropode o un mollusco. L’essere umano e il riccio di mare mostrano delle similitudini per quanto riguarda
lo sviluppo embrionale.

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Simmetria del corpo animale
Gli organismi si distinguono anche per la loro simmetria. Gli assi di simmetria sono molto importanti per il
loro studio.

Generalmente si riconoscono, da come possiamo vedere in figura, organismi con:


• Nessuna simmetria: esiste solo un caso di organismi in cui non si riconosce alcuna una simmetria ed è
quelle delle spugne. Le spugne sono organismi che non presentano un’organizzazione tissutale, quindi non
viene riconosciuta nessuna simmetria.
• Simmetria radiale: nella simmetria radiale qualsiasi piano passante per l’asse centrale dell’organismo
dividerà lo stesso in due parti speculari; questo significa che possono esserci infiniti piani che passano per
l’asse centrale del corpo dell’organismo, questo sarà sempre diviso in due parti speculari (se si considera
ad esempio un’arancia, qualsiasi taglio longitudinale che si effettua su di essa darà sempre origine a due
parti speculari).
• Simmetria bilaterale: in questo caso vi è un solo asse che divide l’organismo in due parti speculari.
Guardando la figura possiamo osservare come sia presente un unico piano di simmetria che divide
l’organismo longitudinalmente in una parte destra e in una parte sinistra.

L’uomo è un organismo che presenta simmetria bilaterale

È bene tenere presente che sia in caso di organismi bipedi sia in caso di organismi quadrupedi i piani di
simmetria sono sempre gli stessi. Vi è un unico piano di simmetria che è il piano di simmetria longitudinale
(oppure sagittale) il quale divide l’organismo in due parti speculari.

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Piani di divisione
Esistono altri piani di simmetria che sono altrettanto importanti per lo studio della biologia, dell’anatomia e
della morfologia degli organismi. Parliamo del piano frontale (detto anche piano orizzontale) e del piano
trasversale.

• Piano frontale: detto anche piano coronale o piano orizzontale, il piano frontale va a “tagliare la testa”
dell’animale. Mentre il piano sagittale divide l’organismo in due parti speculari, il piano frontale -
parallelamente alla fronte - divide il corpo in parte dorsale e parte ventrale, parti che non sono speculari.
• Piano trasversale: è trasversale al piano sagittale e al piano frontale dal momento che forma un angolo di
90° con essi. L’organismo viene tagliato in due parti: parte craniale e parte caudale.

Questi concetti appena descritti sono estremamente importanti per la visualizzazione delle strutture da un punto
di vista anatomico. L’unico vero asse di simmetria è il piano sagittale (o longitudinale) che divide l’organismo
in una parte destra e una parte sinistra le quali, salvo rare eccezioni, sono speculari (se viene considerata la
linea mediana ovviamente). È bene precisare una cosa: se si considerano gli organi impari dell’essere umano
si osserva che il piano sagittale non va a formare due parti speculari (per il resto invece come ad esempio gli
occhi, il cervello e la bocca il piano sagittale forma due parti speculari). Il piano frontale separa il dorso dal
ventre.
È bene tenere presente che nell’ambito dei vertebrati, tutti gli organismi bipedi (incluso non solo l’uomo ma
anche tutto il gruppo degli uccelli) trattati in questo corso rappresentano l’eccezione alle regole di simmetria
appena descritte. La stragrande maggioranza dei vertebrati si trova in posizione orizzontale e non verticale
(pesci, rettili, anfibi e quasi tutti i mammiferi).

Nota: non utilizzare in sede d’esame termini come “parte anteriore” e “parte posteriore”. Con “parte
anteriore” potremo riferirci alla testa ma se si considera un quadrupede questo termine potrebbe indicare la
parte superiore che invece corrisponde alla parte dorsale. Meglio dunque utilizzare termini come “parte
dorsale” e “parte ventrale” e termini come, nel caso dell’asse trasversale, “parte craniale” e “parte caudale”.

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La cavità celomatica

La cavità celomatica è un’altra componente utilizzata per effettuare grosse classificazioni.


Il celoma è una sorta di “sacca” presente all’interno dell’organismo che permette di avere un corpo non
compatto, fungendo in questo modo da camera d’aria; grazie al celoma il corpo dell’animale è più forte e più
resistente alle pressioni. Un esempio per capire meglio questo concetto può essere il seguente: per assicurarsi
che un oggetto fragile spedito con le poste arrivi a destinazione in maniera integra, questo viene circondato
con sacchetti pieni d’aria i quali aiutano ad attutire gli urti che possono essere provocati dal trasporto. Il celoma
funziona in maniera molto simile e col tempo subisce tutta una serie di riduzioni. Anche nel corpo umano sono
presenti, seppur ridotte, delle “camere d’aria”: il cuore, i polmoni, l’intestino sono circondati, protetti, da una
sorta di cavità. La parete del pericardio e le pleure che circondano il polmone derivano dalla cavità celomatica
e creano una struttura di contenimento intorno agli organi fondamentali dell’uomo.
Gli organismi vengono suddivisi in acelomati, celomati e pseudocelomati.
• Acelomati: presentano un corpo pieno, non ci sono cavità. Il tubo digerente può essere più o meno cavo.
• Celomati: organismi con un vero e proprio celoma, di cui l’uomo ne fa parte. La cavità si pone tra
ectoderma-mesoderma e mesoderma-endoderma e ciò permette una protezione dei tessuti mesodermici.
• Pseudocelomati: questi organismi presentano una cavità all’interno del corpo che circonda il tratto
digerente. Gli strati tipici del corpo degli organismi, ovvero l’ectoderma (parte più esterna) e il mesoderma
(parte intermedia), sono separati dal tratto digerente dalla cavità.

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Guardando attentamente l’albero filogenetico mostrato a pagina 7 si può notare che gli acelomati rappresentano
un numero ridotto; anche gli pseudocelomati sono pochi e sono rappresentati dai nematodi. Dagli anellidi in
poi ci si trova di fronte solamente a celomati e ciò indica che il celoma è una caratteristica importante: l’enorme
fioritura di organismi che abbiamo avuto, dagli anellidi in poi (basta pensare ai molluschi, agli artropodi e ai
cordati), sono tutti celomati.
Il celoma può formarsi in due modi, per schizocelia ed enterocelia.
I celomati possono essere “suddivisi” in protostomi e deuterostomi.

Per quantità di specie i protostomi (artropodi, molluschi, etc.) sono di gran lunga vincenti rispetto ai
deuterostomi i quali tuttavia hanno dato un’impronta importante allo sviluppo; infatti, sebbene siano presenti
solamente due phyla - tra cui gli echinodermi che sono tutti organismi marini, quasi tutti sessili e che non
hanno colonizzato altri ambienti - il phylum dei cordati ha avuto un buon successo evolutivo.

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Di seguito possiamo osservare uno schema riassuntivo delle “classificazioni” che abbiamo appena descritto,
partendo dalle spugne e dai poriferi, che non presentano organizzazione tissutale, fino ad arrivare ai celomati.

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Omologie e analogie strutturali

Due strutture si definiscono omologhe quando presentano la stessa derivazione embrionale; possono svolgere
o meno la stessa funzione.
Due strutture si definiscono analoghe quando svolgono la stessa funzione; possono o meno avere la stessa
derivazione embrionale.
L’arto di un mammifero (ad esempio la gamba dell’uomo) e l’ala di un uccello sono due strutture omologhe
in quanto hanno la stessa derivazione embrionale ma non sono analoghe perché non svolgono la stessa funzione
(la gamba dell’uomo serve per camminare mentre l’ala dell’uccello serve per volare).
Il riquadro a sinistra dell’immagine mostra strutture omologhe tra loro: abbiamo l’arto umano, l’arto di una
balena, l’arto di un uccello e l’arto di un pipistrello. Questi arti possono essere più o meno modificati ma tutti
presentano gli stessi tipi di ossa, ovvero l’omero (in verde), il radio (in blu), l’ulna (in rosso) e l’estremità (in
giallo). L’ala dell’uccello e l’ala del pipistrello sono due strutture sia omologhe che analoghe (stessa
derivazione embrionale e stessa funzione) mentre l’arto della balena, che serve per nuotare, non è analoga
all’arto dell’uomo o all’ala degli uccelli.
Nel riquadro a destra sono raffigurate tre strutture analoghe (due delle quali anche omologhe tra loro): l’ala di
un pipistrello, l’ala di un uccello e l’ala di un insetto. L’ala dell’insetto non è omologa all’ala dell’uccello o
del pipistrello.
Dunque l’omologia indica una comune derivazione embrionale ma non dà alcuna informazione sulla funzione;
con il termine analogia, invece, si indicano due strutture aventi la stessa funzione ma non dà alcuna
informazione sulla derivazione embrionale.

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I vertebrati

Durante il corso di biologia dello sviluppo e filogenesi animale ci focalizzeremo maggiormente sullo studio
dei vertebrati.
In figura osserviamo un albero filogenetico molto generale sui vertebrati aventi come antenato comune i
cordati; i vertebrati sono un subphylum dei cordati la cui origine risale intorno ai 500 milioni di anni fa.
Dagli ostracodermi derivano solamente le missine e le lamprede (agnati); osserviamo poi i placodermi estinti
da cui probabilmente derivano i condroitti (o pesci cartilaginei come lo squalo e le razze) e un gruppo la cui
fioritura è molto importante. Dai primitivi acantodi estinti hanno avuto origine da un lato gli osteitti o pesci
ossei (rappresentano la stragrande maggioranza dei pesci che oggi conosciamo) e dall’altro - sempre dagli
osteitti, tramite un gruppo filetico particolare - i tetrapodi. Vi è dunque un lato che collega in qualche modo
gli osteitti con i tetrapodi.
Da un primitivo anfibio, un crossopterigio ripidista originato dagli osteitti, hanno avuto origine gli anfibi attuali
e i rettilomorfi, dei primitivi rettili dai quali si sono originati i rettili attuali, gli uccelli e i mammiferi; gli uccelli
e i rettili, da come si può osservare, sono più apparentati. I mammiferi dunque derivano dal grande gruppo dei
rettilomorfi.
Le similitudini che si possono osservare all’interno di quest’albero, quindi a livello filogenetico, le ritroveremo
anche per quanto riguarda la biologia dello sviluppo. Rettili e uccelli infatti presentano il medesimo schema di
sviluppo (una lucertola, una tartaruga, un passero, un canarino e un pulcino presentano le stesse fasi di
sviluppo); ciò che cambiano sono le fasi finali in cui ad esempio si avrà l’ala, il becco, etc.
Anche nei mammiferi, nonostante diventino placentati, sono presenti fasi iniziali di sviluppo simili a quelle
degli uccelli e dei rettili. Nell’uomo è presente un uovo che non possiede più il tuorlo il quale è invece presente
nelle uova degli uccelli. Uova di lucertola e di coccodrillo sono pressoché identiche ma se si osserva un uovo
di placentato (dei mammiferi che fanno le uova ancora esistono, anche se pochi) vediamo che presenta una
struttura che non contiene più il tuorlo ma presenta una cavità dove normalmente dovrebbe essere contenuto
il tuorlo. Vedremo in seguito che nei mammiferi, al di sotto della regione in cui si formerà l’embrione, si forma
una sorta di sacco vitellino - che in seguito regredirà - senza però il vitello (l’uovo in un certo senso si “ricorda”
che un tempo era telolecitico).

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2. Lezione del 26/09/2017
Biologia dello sviluppo

Durante il corso sarà importante capire i seguenti punti:


• Crescita: regolazione della grandezza degli organismi, come un determinato organismo raggiunge una
certa taglia.
• Differenziamento: come possono differenziarsi le cellule e come riescono a svolgere compiti diversi pur
partendo da una singola cellula che è lo zigote?
• Morfogenesi: generazione e organizzazione delle cellule differenziate in tessuti e organi.
• Riproduzione: come si formano le cellule germinali e perché acquisiscono la loro tipica capacità?
• Evoluzione: come sono avvenuti i cambiamenti che hanno dato vita a nuove forme del corpo?
• Integrazione ambientale: in che modo l’ambiente circostante influenza lo sviluppo?

Esistono diversi approcci allo studio della biologia dello sviluppo:


• Approccio anatomico (descrittivo): approccio che l’ha resa padrona e si basa sia su un’osservazione
microscopica (fasi iniziali) sia su un’osservazione macroscopica (fasi successive). Tale approccio prevede
anche di confrontare lo sviluppo dei vari organismi (embriologia descrittiva).
• Approccio sperimentale: all’embriologia descrittiva si è aggiunta l’embriologia sperimentale. Gli
embriologi sono intervenuti sperimentalmente con trapianti di regioni in zone diverse rispetto alle normali
zone di localizzazione per poi osservare i risultati.
• Approccio genetico: grazie alla genetica oggi possiamo parlare di geni master, di geni regolativi dello
sviluppo. Con la genetica si è venuti a capo di quella che è la funzione di alcuni geni.

È bene tenere presente che i vari approcci appena elencati sono interconnessi fra loro. L’embriologia
sperimentale e descrittiva ad esempio si susseguono in quanto dopo aver iniziato un esperimento
successivamente si passa allo studio della nuova morfologia. Con gli esperimenti di knockout genico, dopo un
approccio sperimentale (quindi embriologia sperimentale) si agisce sul patrimonio genetico e alla fine si
osservano i risultati (embriologia descrittiva).
Passiamo ora alla descrizione dei vari punti appena elencati.

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Crescita: regolazione della divisione cellulare
La cellula uovo e lo spermatozoo fondendosi
danno origine allo zigote, un “organismo”
unicellulare che diventerà alla fine
pluricellulare (sarà costituito da milioni e
milioni di cellule). Il primo step dello
sviluppo di un organismo è la
segmentazione, ovvero la divisione dello
zigote in tante cellule.
La divisione cellulare è regolata dal ciclo
cellulare. La stragrande maggioranza delle
cellule si dividono per mitosi che possono
essere più o meno veloci o addirittura assenti
del tutto in alcune cellule differenziate; le
cellule della linea germinale invece si
dividono per meiosi.
Il ciclo cellulare è suddiviso nelle seguenti
fasi:
• Fase G1: in questa fase una cellula figlia di piccole dimensioni, originatasi dalla divisione della cellula
madre di dimensioni più grandi, inizia ad accrescersi di volume fino a raggiungere le dimensioni tipiche
di quella linea cellulare. Si ha una produzione di enzimi e proteine.
• Fase S (sintesi): fase in cui avviene la sintesi, la replicazione, del DNA.
• Fase G2: questa rappresenta una fase di ulteriore crescita e di preparazione alla fase successiva
(formazione dei microtubuli necessari alla formazione del fuso mitotico).
• Fase M (mitosi): la fase mitotica è a sua volta formata da 4 fasi: profase, metafase, anafase e telofase. Alla
fine la cellula madre si dividerà in due cellule figlie geneticamente identiche.

Differenziamento

Il differenziamento rappresenta un altro grosso step dello sviluppo. A partire dallo zigote si avranno - per
segmentazione - più cellule che inizialmente saranno tutte identiche tra loro, dopodiché si avrà la generazione
della diversità cellulare.
Dunque da una cellula capostipite, contenente una certa informazione genetica, si avranno poi dei tipi cellulari
molto diversi tra di loro per forma e funzione. Infatti, nonostante tutte le cellule dell’essere umano abbiano lo
stesso genoma, ci sono cellule che sono specializzate in alcune funzioni e cellule specializzate in altre. Per
quanto riguarda la forma le cellule possono avere forme simili o forme molto diverse: in figura si osservano
una cellula pancreatica (cellula secernente) e una cellula del polmone (cellula addetta agli scambi gassosi).
Una cellula dell’epitelio intestinale può mostrare una forma simile ad una cellula pancreatica, tuttavia le
funzioni sono differenti dal momento che una è adibita all’assorbimento mentre l’altra alla secrezione.

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Morfogenesi
La morfogenesi è un altro step che fa
parte dello sviluppo di un nuovo
individuo. Dopo il differenziamento
le cellule si organizzano per formare
delle strutture complesse e ordinate
come i tessuti e gli organi. Salvo
qualche eccezione, la maggior parte
dei tessuti sono costituiti da cellule
diverse: ad esempio a livello del
cervello non si trovano solamente
cellule nervose (cellule tutte dello
stesso tipo) ma anche cellule
connettivali e cellule sanguigne che
lo irrorano. Le cellule dunque si
differenziano per poi organizzarsi a
formare strutture più complesse.

Riproduzione
La cosa straordinaria della riproduzione è che già nelle prime fasi di
sviluppo embrionale di un organismo si può riconoscere, all’interno dello
stesso, la linea somatica e la linea germinale.
• Cellule della linea somatica: sono tutte quelle cellule che vanno a
costituire i vari tessuti e i vari organi e svolgono funzioni precise in
base al loro differenziamento. Alcune cellule somatiche si divideranno
e continueranno a dividersi per mitosi mentre altre, una volta raggiunto
il differenziamento, non si divideranno più.
• Cellule della linea germinale: sono cellule che possono essere già
presenti in un embrione ai primi stadi di sviluppo e, pur derivando da
uno zigote, hanno un destino completamente diverso rispetto alle
cellule somatiche. Saranno sempre cellule germinali: le cellule
germinali maschili daranno origine agli spermatozoi mentre le cellule
germinali femminili daranno origine alle cellule uovo.

La linea somatica e la linea germinale sono nettamente separate. Le cellule germinali, prima di diventare
spermatozoi o cellule uovo, subiranno tutta una serie di modificazioni, prima fra tutte la divisione meiotica; la
meiosi rappresenta l’unica divisione cellulare a cui vanno incontro le cellule della linea germinale e si tratta di
una divisione che riduce, o meglio, dimezza il corredo cromosomico di una determinata specie.

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Evoluzione

La biologia dello sviluppo e la filogenesi sono strettamente collegate. Haeckel affermò che l’ontogenesi
ripercorre la filogenesi, tuttavia è vero anche che l’ontogenesi ripercorre un po’ la storia evolutiva. Come
possono venirsi a creare delle modifiche livello di un organismo tali da far sì che si passi da una specie ad
un’altra? Come avviene quindi l’origine di una nuova specie?
Oggi è possibile riuscire a capire come da un antenato sia stato possibile formarsi tutto l’albero filogenetico
mostrato in figura, che va dai lemori (scimmie quadrupedi) all’uomo. L’uomo condivide con lo scimpanzé
(specie più vicina) più del 90% del genoma e del trascrittoma (questa è la cosa più importante); ricordiamo che
il genoma rappresenta tutto il corredo cromosomico mentre il trascrittoma è la parte del genoma che viene
trascritto e tradotto in proteine (praticamente è ciò che poi vediamo, ovvero il fenotipo).

Integrazione ambientale
L’ambiente può influenzare lo sviluppo di un
organismo. Oggigiorno sta prendendo sempre
più piede una branca detta evo-devo, cioè
l’epigenetica: il corredo cromosomico si eredita
così com’è da un organismo all’altro salvo le
piccole ricombinazioni che si hanno con il
crossing over. Tuttavia si è visto che anche le
modificazioni causate dall’esterno potrebbero
essere in qualche modo ereditate da padre in
figlio. In figura è illustrato un esempio di come
un ambiente possa influenzare in maniera
negativa. Si tratta di bambini focomelici in cui gli
arti non si sono sviluppati correttamente: in
passato si usava somministrare durante la
gravidanza la talidomide, un farmaco che blocca le sensazioni di nasua, e si era convinti che non provocasse
danni al feto in quanto protetto dalla barriera placentale. Purtroppo poi si scoprì che in realtà la talidomide
riusciva ad attraversare la barriera placentale andando ad interferire con lo sviluppo degli arti; tanti farmaci
usati in passato sono stati poi ritirati dal commercio in quanto i danni erano maggiori dei benefici.

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Non solo farmaci ma anche alcuni composti chimici furono tolti dal mercato, basta pensare all’amianto
(asbesto) che in passato si pensava fosse innocuo (le scuole venivano costruite con l’amianto per evitare che
potessero incendiarsi), invece poi si scoprì che era tossico e fu definito come la “panacea di tutti i mali”. Altro
esempio è il mercurio che veniva usato nell’amalgama dentale come battericida per poi scoprire che allo stesso
tempo era dannoso per via dei danni che recava alle cellule.

Sviluppo diretto e indiretto


Il programma di biologia dello sviluppo prevede lo studio dei seguenti argomenti:
• Gametogenesi: formazione delle uova e degli spermatozoi.
• Fecondazione: i gameti maschili e femminili si incontrano e danno origine allo zigote.
• Embriogenesi: sviluppo dell’individuo attraverso la segmentazione, la gastrulazione e l’organogenesi.

Oltre a tutto questo, può esserci anche uno sviluppo post-embrionale. Lo sviluppo di un nuovo individuo può
essere diretto o indiretto.

• Sviluppo diretto: tipico dei mammiferi e non solo (infatti si osserva anche in altri vertebrati come gli
uccelli, i rettili, etc.). Lo sviluppo diretto prevede la formazione dello zigote a partire dalla cellula uovo
(gamete femminile) e dallo spermatozoo (gamete maschile); successivamente avviene l’embriogenesi e la
crescita del feto fino al momento in cui sarà pronto per affrontare il mondo esterno. Il piccolo nuovo
individuo sarà simile ai genitori. Quindi una volta formatosi lo zigote si avrà direttamente lo sviluppo in
un piccolo senza fasi intermedie.
• Sviluppo indiretto: tipico della stragrande maggioranza degli invertebrati ma anche di alcuni vertebrati
come gli ittiopsidi e gli anfibi. Lo sviluppo indiretto prevede una fase larvale: il piccolo che fuoriesce
dall’uovo - il quale si forma attraverso lo sviluppo embrionale - non è uguale ai genitori, anzi mostra
caratteristiche diverse che si modificano attraverso un fenomeno detto metamorfosi. La fase intermedia
viene detta fase larvale e la larva, che rappresenta il primo prodotto dell’embriogenesi, si trasformerà per
metamorfosi nell’individuo adulto. Quest’ultimo inizialmente sarà sempre di dimensioni più ridotte
rispetto ai genitori ma presenterà caratteristiche simili; un esempio tipico di sviluppo indiretto è
rappresentato dal ciclo vitale della rana, un anfibio, che di seguito viene descritto.

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In questo caso la fecondazione è esterna, in seguito alla quale si ha la formazione dello zigote. Quest’ultimo
darà origine - dopo la segmentazione, la gastrulazione e l’accrescimento - ad una fase larvale che prende
il nome di girino. Il girino può vivere solamente nell’acqua e in seguito alla metamorfosi diventa una rana,
ovvero un organismo dall’aspetto e dallo stile di vita diversi: la rana infatti non nuota, è capace di saltare,
riesce a vivere ancora nell’acqua ma respira con i propri polmoni (ha bisogno quindi di aria). La larva
dunque ha uno stile di vita completamente diverso da quello degli adulti. Altro esempio, oltre la rana, è il
bruco: il bruco è un verme che cammina e si nutre di foglie, dal verme fuoriesce la farfalla che è un insetto
avente uno stile di vita completamente diverso dal bruco in quanto è in grado di volare.

Biologia dello sviluppo: metodi di studio


I metodi di studio della biologia dello sviluppo sono:
• Embriologia descrittiva: osservazioni macroscopiche e microscopiche durante le varie fasi dello sviluppo.
Si tratta quindi di osservare al microscopio i cambiamenti dell’embrione nel corso del tempo.

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• Embriologia sperimentale: si basa sulla manipolazione delle cellule embrionali.

• Genetica, regolazione dell’espressione genica: si basa sul “giocare” con i geni. Prevede quindi la
stimolazione o inibizione di un gene per poi osservare cosa accade.

Genetic markers as cell lineage tracers


Abbiamo detto che l’embriologia
descrittiva, l’embriologia sperimentale e
la genetica sono fasi strettamente
collegate. In figura è rappresentato un
tipico esperimento di embriologia
sperimentale ma che coinvolge anche
l’embriologia descrittiva e la genetica.
In seguito ad una manipolazione si passa
all’osservazione al microscopio (quindi
embriologia descrittiva); c’è però da
dire che in questo caso non si sta
solamente effettuando un trapianto di
cellule da un embrione all’altro.
Utilizzando embrioni molto simili ma
aventi una caratteristica genetica
differente è possibile verificare facilmente il risultato di una manipolazione effettuata. Nell’esperimento
mostrato in figura lo sperimentatore ha prelevato delle cellule da un embrione di quaglia “colorata”, ovvero
una quaglia con cellule che presentano un pigmento, che ha poi inserito al posto di cellule chiare di un embrione
di pollo (le cellule possono essere inserite nella stessa posizione occupata nel primo embrione o meno). Senza
effettuare alcun tipo di manipolazione o colorazione, osservando al microscopio l’embrione di pollo avente le
cellule trapiantate, è possibile distinguere le cellule pigmentate derivanti dall’embrione di quaglia dalle cellule
chiare dell’embrione di pollo stesso.

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Al microscopio dunque è possibile notare la diversa colorazione che indica il diverso destino delle cellule.
Questa scoperta è stata importantissima ed ha permesso la costruzione delle mappe dei territori presuntivi
(argomento che affronteremo in dettaglio nelle prossime lezioni): avendo un embrione che si trova ancora allo
stadio di poche cellule è possibile affermare che cellule situate in una determinata zona saranno destinate a
costituire un determinato organo. Tutto ciò è possibile grazie a degli esperimenti molto semplici che in passato
si sono svolti.

Preformismo o epigenesi?
Le conoscenze che abbiamo oggi sono il frutto di
duri lavori svolti in passato. Fino alla fine del 700’
e inizio 800’ era sostenuta la cosiddetta teoria del
preformismo secondo la quale nello spermatozoo,
precisamente nella sua testa, fosse presente un
organismo preformato, cioè un individuo molto
piccolo già pronto, già formato, destinato
solamente ad accrescersi. La cellula uovo era
considerata una struttura che non apportava nulla;
soltanto con l’ingresso dello spermatozoo lo
sviluppo poteva andare avanti. La cellula uovo
veniva considerata solamente una “camera
incubatrice” per l’accrescimento di questo
homunculus (omuncolo) presente nella testa dello
spermatozoo (figura a lato).
Questa teoria oggi potrebbe far sorridere ma non
bisogna dimenticare che in quegli anni i
microscopi erano molto rudimentali. Con
l’avvento di una migliore microscopia si passò
subito all’epigenesi, cioè alla genesi,
all’accrescimento e alla nascita di un nuovo
individuo in seguito alla successione di strutture
sempre più differenziate. Le prime osservazioni di
tale teoria vennero fatte su una cellula uovo di
gallina, una cellula grande e facilmente
osservabile. Una volta avvenuta la fecondazione,
le varie fasi dello sviluppo sono state osservate
man mano che passava il tempo di incubazione
(esperimento possibile ovviamente ancora
tutt’oggi): si vide che l’embrione, col trascorrere
del tempo, si accresceva fino a diventare un pulcino. Dunque inizialmente non era presente alcun individuo
preformato di piccole dimensioni; “dal nulla” si organizzava via via una nuova struttura. Lo sviluppo di uovo
di gallina fu osservato per la prima volta dall’italiano Marcello Malpighi nel 1672; bisogna tuttavia arrivare
alla fine del 700 per far tramontare del tutto la teoria del preformismo.

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Biologia dello sviluppo: fasi
Durante il corso di biologia dello sviluppo studieremo le seguenti fasi.
• Gametogenesi: formazione delle cellule germinali da cui nasce il tutto.

• Fecondazione

• Segmentazione (o Blastulazione): porta all’aumento del numero di cellule fino a formare una blastula,
cioè una struttura formata per lo più da cellule ancora indifferenziate e tutte uguali tra loro. Possono
presentare dimensioni differenti.

• Gastrulazione: rappresenta il primo e proprio evento morfogenetico e porta alla modificazione delle cellule
e alla formazione dei tre foglietti embrionali (ectoderma, esoderma ed endoderma) i quali a loro volta
daranno vita a tutte le strutture dell’organismo.

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• Organogenesi

Ciclo vitale della rana

Il ciclo vitale della rana è stato molto studiato nel corso degli anni. La prima tappa è ovviamente la
gametogenesi che porta alla formazione della cellula uovo e degli spermatozoi. La fecondazione, ovvero la
fusione dello spermatozoo con la cellula uovo, dà origine allo zigote. Lo step successivo è la segmentazione in
seguito alla quale si ha la formazione della blastula; a seguire c’è la gastrulazione, con conseguente formazione
dei tre foglietti embrionali, e infine l’organogenesi.
Il primo apparato che si forma, durante le ultime fasi della gastrulazione, è il sistema nervoso, ed è per questo
che nella prima fase si parla di neurulazione; successivamente si avrà la formazione dei restanti organi fino
ad arrivare, in questo caso, alla larva la quale poi per metamorfosi si trasformerà nell’individuo adulto.
Quest’ultimo passaggio può esserci o meno a seconda che lo sviluppo sia diretto o indiretto.

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Modelli sperimentali per lo studio dello sviluppo embrionale
Oltre all’embriologia descrittiva, all’embriologia sperimentale e alla genetica, anche l’uso di sistemi modello
è stato molto importante per studio dello sviluppo embrionale; le conoscenze che si hanno oggi e tutto ciò che
si trova nei testi lo si deve anche a questi sistemi modello. Esistono modelli sperimentali che sono consoni agli
studi che si stanno effettuando; per tantissimo tempo sono stati usati e vengono tuttora usati modelli animali.
C’è da dire che oggigiorno, nel campo della biologia animale, si sta cercando di spostarsi sempre di più verso
l’uso di modelli cellulari, per diversi motivi.
• Motivazione etica: l’uso di sistemi cellulari evita sofferenza o eventuale morte degli animali.
• Motivazione economica: mantenere in laboratorio una linea cellulare e non animale ha dei costi inferiori.
Per gli animali inoltre sono necessari stabulari appositi ed è necessario molto più tempo per ottenere dei
risultati. Se ad esempio si vuole testare la tossicità di una sostanza, l’uso di cellule con un turn over rapido
risulta ovviamente la scelta migliore rispetto all’uso di un animale (dopo un giorno infatti si può già
verificare se quella determinata cellula - che normalmente si divide - si dividerà ancora o meno, oppure
morirà).

Bisogna però anche dire che purtroppo ci sono degli studi che non possono ancora prescindere dall’uso di
animali.

I modelli sperimentali usati nel campo della biologia dello sviluppo, e non solo, vengono scelti in base alle
seguenti caratteristiche.
• I modelli sperimentali devono essere economici: il budget per la ricerca non è sempre alto, di conseguenza
il modello sperimentale deve risultare economico da un punto di vista sia dell’approvvigionamento
(acquisto o cattura del modello) sia del suo mantenimento in laboratorio.
• I modelli sperimentali devono avere un ciclo vitale breve: gli studi di genetica ad esempio si basano sullo
studio dei moscerini (Drosophila melanogaster) proprio perché presentano un ciclo vitale breve che
permette di osservare i risultati delle generazioni successive in poco tempo. L’essere umano che presenta
un ciclo vitale di 80 anni non risulta particolarmente idoneo al fine di ottenere dei risultati in tempi brevi;
quindi bisogna usare organismi con cicli di vita molto rapidi e che raggiungano in fretta la maturità
sessuale.
• I modelli sperimentali devono essere di facile manipolazione: ne è un esempio l’esperimento visto in
precedenza dell’embrione di quaglia e di pollo.

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Gli organismi invertebrati sono stati molo utilizzati per gli studi della biologia dello sviluppo, della genetica e
della biologia molecolare.

• Caenorhabditis elegans: trattasi di un piccolo verme costituito solamente da due cromosomi. Il suo
genoma è stato uno dei primi a essere completamente sequenziato; il suo ciclo vitale è molto rapido, motivo
per cui è possibile tenerlo in laboratorio con estrema facilità.
• Drosophila melanogaster (moscerino della frutta): mostra uno sviluppo piuttosto rapido e si tiene
facilmente sia in laboratorio che in una abitazione domestica. Per l’allevamento basta disporre di un
barattolo contenente alla base una “pappetta” (costituita da zucchero, banana e un po’ di lievito), avente
una temperatura interna superiore ai 20 °C e chiuso in un modo da non impedire il passaggio di aria;
inizialmente si osserveranno dei piccoli vermi bianchi sulla pappetta, poi successivamente si ottengono un
gran numero di moscerini. La pappetta va cambiata perché col tempo va in putrefazione. Gli incroci tra
questi moscerini permettono di osservare la modalità con cui determinati caratteri vengono ereditati alla
generazione successiva.
• Gasteropodi: l’uso dei gasteropodi ha permesso lo studio del cosiddetto sviluppo a mosaico, differente dal
nostro che invece è uno sviluppo regolativo.
• Paracentrotus lividus (riccio di mare): il riccio di mare è stato utilizzato davvero tantissimo nel campo
della biologia dello sviluppo, grazie alla sua abbondanza che c’è stata in passato. Le uova e gli spermatozoi
possono essere ottenuti facilmente aprendo i ricci oppure iniettando in essi KCl che determina uno shock
osmotico. In laboratorio, mettendo vicini uova e spermatozoi, è possibile far avvenire una fecondazione
esterna con conseguente formazione dello zigote; lo sviluppo è indiretto, passa quindi attraverso la fase
larvale e il pluteo può essere ottenuto entro due giorni durante i quali è possibile osservare tutte le fasi
della blastulazione e della gastrulazione. Lo zigote è trasparente (può essere visto a occhio nudo) e con la
microscopia è possibile seguire, col passare del tempo, la formazione della struttura digerente e del pluteo
senza alcun tipo di fissazione; così facendo si evita la sua morte. Viene quindi trasferito dall’acqua al
microscopio, e viceversa, senza alcun bisogno di ucciderlo; in questo modo si ha la possibilità di osservare
le varie fasi dello sviluppo.

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I vertebrati usati negli studi di biologia dello sviluppo sono i seguenti.

• Branchiostoma lanceolatum (anfiosso): per la precisione si tratta di un cordato, parente stretto dei
vertebrati.
• Danio rerio (pesce zebra): ha un costo di circa 2,00 € presso un acquario. Gli embrioni di pesce zebra
sono facilmente ottenibili, con le opportune precauzioni, anche in ambito domestico. Quando si mettono
esemplari maschi e femmine insieme nello stesso ambiente bisogna adottare qualche strategia per evitare
che questi mangino le uova; in genere vengono posizionate delle biglie di vetro in fondo alla vaschetta in
maniera tale che le uova, deposte dalla femmina all’alba e fecondate dal maschio tramite fecondazione
esterna, si vadano a collocare negli spazi “interstiziali”. Una volta tolte le biglie di vetro le uova vanno
raccolte e tenute in acqua ossigenata (i pesci tropicali necessitano di acqua dolce e di una temperatura di
25-26 °C); nel giro di pochi giorni si ottengono delle larve e dopo circa 10 giorni si avranno dei piccoli
pesci zebra. L’embrione e le piccole larve sono visibili ad occhio nudo (possiamo quindi immaginare
quanto migliore potrà essere l’osservazione con un microscopio). Tenere i pesci zebra in laboratorio ha un
costo veramente basso.
Gli studi di genetica hanno dimostrato che i pattern di sviluppo nei pesci zebra, ovvero i geni coinvolti
nelle fasi principali, sono molto simili a quelli dei vertebrati più complessi. Quindi, studiare un particolare
processo nei pesci zebra, che ricordiamo ha un costo molto basso, risulta essere utile per capire ciò che
accade negli organismi più complessi. I pesci zebra negli ultimi hanno sono stati molto utilizzati nella
ricerca (sono di utilizzo recente nel campo della genetica) e stanno rimpiazzando i topi i quali invece
richiedono dispendi maggiori.
I pesci zebra, se ben tenuti, riescono a produrre mediamente 200-300 uova a settimana.
• Xenopus laevis (anfibio): altro organismo usato moltissimo per la ricerca grazie al quale è stato possibile
ottenere la stragrande maggioranza delle informazioni sulla biologia dello sviluppo classica. Le rane sono
facili da ottenere e da mantenere, infatti non necessitano di molta cura e basta un piccolo acquario con
poca acqua. Avendo a disposizione una coppia maschio-femmina è possibile ottenere ciclicamente un gran
numero di uova; gli Xenopus non sono organismi a riproduzione stagionale (cioè con produzione di uova
una volta all’anno) e questo evita di attendere un nuovo anno per ottenere nuovi risultati.

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Come i pesci zebra, anche Xenopus produce mediamente 200 uova a settimana. La fecondazione è esterna,
quindi è possibile osservare e studiare i gameti nonché il loro incontro. Lo sviluppo è indiretto ma piuttosto
rapido e, rispetto ai pesci zebra, le uova sono talmente grandi da poter essere osservate a occhio nudo e da
permettere eventuali manipolazioni. Grazie all’embriologia sperimentale è possibile effettuare
manipolazioni durante lo sviluppo (precisamente durante lo stadio di blastula in cui sono presenti tutta una
serie di cellule) che consentono ad esempio di distruggere selettivamente una cellula o di inserire una
sostanza (ad esempio i coloranti vitali).
• Gallus gallus domesticus (gallina): tra i vertebrati più complessi è stata utilizzata moltissimo per la ricerca
la gallina. Le uova hanno un costo basso e sono facilmente reperibili, d’altro canto il meccanismo di
fecondazione interna e la presenza del guscio rappresentano dei piccoli ostacoli al fine di poter osservare
ciò che avviene all’interno. Gli studi sulle uova di gallina hanno fornito molte conoscenze sullo sviluppo
embrionale di rettili e uccelli.

Per quanto riguarda i mammiferi il topo (Mus musculus) rappresenta uno degli animali più utilizzati per la
ricerca. Il topo mostra piccole dimensioni e una gestazione rapidissima (si ottengono nuovi esemplari nel giro
di 20-25 giorni). Dal momento che oggigiorno si tiene conto anche del benessere degli animali, sia per un
discorso etico sia perché i risultati non devono essere influenzati da particolari condizioni ambientali, i topi
vengono mantenuti in stabulari appositi, in condizioni di temperatura e umidità ottimali.

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Gametogenesi

La gametogenesi è quel processo che porta alla formazione dei gameti i quali a loro volta danno origine ad un
nuovo individuo. La stragrande maggioranza delle cellule che costituiscono un organismo sono cellule
somatiche, cioè cellule che sono deputate a svolgere tutte le funzioni vitali di un organismo. Quelle cellule
invece il cui unico compito è la formazione di cellule deputate alla riproduzione, ovvero i gameti (spermatozoo
e cellula uovo), vengono dette cellule germinali. I gameti sono cellule che inizialmente possono essere
immature, poi successivamente raggiungono la piena maturazione, fase in cui divengono spermatozoo e
cellula uovo. I gameti presentano un corredo cromosomico dimezzato rispetto alle cellule somatiche, corredo
che verrà poi ripristinato nel momento in cui si andranno a fondere all’atto della fecondazione; se non ci fosse
questo dimezzamento si verificherebbe un raddoppiamento del corredo cromosomico ad ogni generazione.
Solo l’informazione genetica contenuta nei gameti verrà trasmessa alla progenie (discendenti); studiamo
meglio questo concetto servendoci della figura presente in alto.
• Prima generazione (riquadro a sinistra): una volta formato lo zigote si formeranno le cellule somatiche
e le cellule germinali, quest’ultime verranno trasmesse alla generazione successiva. Questa rappresenta
una condizione normale, condizione di un individuo sano.
• Seconda generazione (riquadro centrale): in questa situazione osserviamo delle cellule somatiche che
hanno subito una mutazione (cerchietti colorati in rosso), ovvero un cambiamento a livello del genoma
(modificazione o distruzione di un frammento di DNA) che può essere stato causato ad esempio da una
sostanza tossica. Una mutazione che interessa esclusivamente cellule somatiche non verrà trasmessa alla
generazione successiva ma sarà limitata alle sole cellule somatiche dell’organismo che ha subito tale
mutazione (un esempio è il tumore). L’insorgenza di un tumore è causata da una modifica che avviene
all’interno di una cellula che la priva delle funzioni caratteristiche e la dota di un elevato tasso mitotico
portando alla formazione di grandi masse. Un tumore che colpisce cellule somatiche dunque non verrà
ereditato ma interesserà solamente quelle cellule che deriveranno dalla cellula inizialmente colpita.
• Terza generazione (riquadro a destra): una mutazione che colpisce una cellula germinale verrà ereditata
alla progenie (dal riquadro centrale al riquadro a destra).

La gametogenesi avviene nelle gonadi che sono gli organi deputati alla riproduzione: le gonadi maschili sono
i testicoli mentre le gonadi femminili sono gli ovari. Le cellule germinali primordiali (abbozzi di gonadi)
ancora immature si ritrovano già nella vita embrionale: nella specie umana infatti - nonostante la maturazione
sessuale avvenga intorno al tredicesimo anno di età - già nel primo mese di sviluppo (quindi non primo mese
di nascita) sono presenti le cellule primordiali germinali, abbozzi delle gonadi. Questi abbozzi saranno destinati
a diventare gonadi maschili, ovvero cellule primordiali germinali che daranno origine agli spermatozoi, oppure
a gonadi femminili che daranno origine alle cellule uovo.
La maggior parte dei vertebrati (essere umano compreso) sono specie gonocoriche, cioè a sessi separati. In
tali specie ci sono due ghiandole sessuali presenti in individui diversi: nel genere maschile è presente il testicolo
mentre nel genere femminile è presente l’ovario.

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Nelle specie a sessi separati può esserci o meno dimorfismo sessuale, ovvero una differenza fenotipica tra
maschio e femmina.
Alle specie gonocoriche si contrappongono le specie ermafrodite, cioè specie in cui gli individui presentano
entrambe le gonadi, maschili e femminili. L’ermafroditismo è molto comune nel mondo vegetale, comune tra
gli invertebrati e presente in maniera sporadica nei vertebrati. Possiamo definire l’ermafroditismo in due modi
diversi:
• Ermafroditismo simultaneo: le due gonadi, maschile e femminile, sono presenti contemporaneamente in
un individuo. È il caso dei lombrichi e di alcuni gasteropodi. Nell’ambito dell’ermafroditismo simultaneo
si distinguono a sua volta un ermafroditismo completo e incompleto:
- Ermafroditismo simultaneo completo: l’ermafroditismo simultaneo viene detto completo quando le
due gonadi presenti nello stesso individuo possono essere sufficienti affinché l’individuo stesso riesca
a riprodursi.
- Ermafroditismo simultaneo incompleto: nell’ermafroditismo simultaneo incompleto invece i gameti
prodotti dalle gonadi maschili e femminili presenti nello stesso individuo per qualche motivo non
riescono ad incontrarsi. Dunque, risulta necessaria la presenza di un gamete di un altro organismo
affinché avvenga la fecondazione e la nascita di un nuovo individuo.
Nell’ermafroditismo simultaneo spermatozoo e cellula uovo di uno stesso individuo si incontrano per dare
origine ad un nuovo organismo; questo meccanismo tuttavia non introduce alcuna variabilità genetica ma
fissa il corredo cromosomico di quell’individuo. Nel caso in cui quel determinato individuo dovesse
presentare un problema, una patologia, questa verrà trasmessa alla generazione successiva, un evento che
va in contrasto con il principio base della teoria evoluzionistica. Per ovviare a ciò, molto spesso negli
organismi - nonostante siano ermafroditi simultanei - la maturazione della gonade maschile e femminile
avviene in momenti diversi, in questo modo viene richiesto necessariamente l’intervento di una controparte
affinché ci sia la riproduzione.
• Ermafroditismo successivo: l’ermafroditismo successivo è invece più comune dal momento che presenta
più vantaggi da un punto di vista evolutivo. Nello stesso individuo può essere presente prima un tipo di
gonade e poi successivamente l’altro: si parla di ermafroditismo proterandrico se è presente prima il
testicolo e poi l’ovario, viceversa si parla di ermafroditismo proteroginico se è presente prima l’ovario e
poi il testicolo. L’ermafroditismo successivo lo si ritrova nei vertebrati a livello dei pesci come le spigole
e le orate, organismi molto comuni; i pesci allo stato di piccola taglia producono spermatozoi mentre allo
stato di taglia grande diventano femmine con la gonade femminile che sostituisce quella maschile. Il
processo di ovogenesi è molto più dispendioso del processo di spermatogenesi, in virtù di ciò
l’ermafroditismo successivo proterandrico risulta avere un senso: un organismo di taglia piccola disporrà
di meno energia rispetto ad un organismo di taglia grande, ragion per cui la spermatogenesi “viene
affidata” ad un organismo di taglia piccola mentre l’ovogenesi ad un organismo di taglia grande il quale
invece dispone di un metabolismo più elevato.

Determinazione del sesso


Prima di addentrarci nello studio della spermatogenesi e dell’ovogenesi (formazione dei gameti), è bene capire
come avviene la determinazione del sesso. Dal momento che già a livello dell’embrione viene a crearsi un
abbozzo della gonade, bisogna chiedersi cosa fa sì che un tale abbozzo diventi testicolo oppure ovario. La
determinazione del sesso può essere:
• Determinazione del sesso primaria: la determinazione del sesso primaria è quella cromosomica ed è
dovuta alla presenza di diversi cromosomi sessuali. Nei mammiferi esistono il cromosoma X e il
cromosoma Y; sia nei maschi che nelle femmine uno dei cromosomi è sempre X, il secondo cromosoma
invece può essere X o Y. Si parla di determinazione primaria del sesso cromosomica perché lo zigote è già
destinato a diventare maschio (XY) o femmina (XX) e ciò dipende dal tipo di cromosoma sessuale presente
nello spermatozoo e nella cellula uovo al momento della fecondazione.

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• Determinazione del sesso secondaria: strettamente collegata alla determinazione del sesso primaria, la
determinazione del sesso secondaria dipende dagli ormoni sessuali femminili (estrogeni) o maschili
(testosterone), ormoni che permettono di distinguere fenotipicamente un maschio da una femmina. Un
essere umano di sesso maschile che assume estrogeni avrà un accrescimento delle mammelle, allo stesso
modo un essere umano di sesso femminile che assume testosterone avrà una peluria maggiore sul corpo.
• Determinazione del sesso di tipo ambientale: la determinazione del sesso dipende dall’ambiente in cui
maturano gli embrioni e spesso dipende dal fattore temperatura. Questo tipo di determinazione del sesso
lo si ritrova nei rettili, infatti si ritiene che questo possa essere stato uno dei motivi che abbiano portato
all’estinzione di grandi rettili come i dinosauri. Durante il periodo dei dinosauri è avvenuta una
modificazione della temperatura (era glaciale) che può aver modificato l’ambiente circostante riducendo
la flora e la fauna. In conseguenza di ciò ci fu una riduzione del cibo e quindi per i dinosauri, dal momento
che presentavano una grande mole, risultava molto difficoltoso riscaldarsi a temperature molto basse. La
variazione di temperatura inoltre potrebbe aver agito sulle uova di dinosauro permettendo la vita ai soli
maschi o alle sole femmine, destinandoli in questo modo, nonostante la presenza di cibo, all’estinzione.
Questa teoria è supportata dal fatto che in alcune specie di alligatori e tartarughe è possibile modificare il
sesso nel momento in cui le uova vengono incubate ad una certa temperatura, determinando in questo
modo la nascita di soli maschi o di sole femmine.

A lato è mostrato il cariotipo umano costituito da 22 coppie di cromosomi autosomici e 1 coppia di cromosomi
sessuali (determinazione del sesso primaria cromosomica); un omologo viene ereditato dal padre
(spermatozoo) mentre l’altro dalla madre (cellula uovo). Nelle femmine di essere umano possiamo dire che ci
sono “23 coppie autosomiche” perché alle 22 coppie classiche si aggiunge un’altra coppia data da due
cromosomi X, due cromosomi uguali tra loro; nei maschi invece ci sono 22 coppie autosomiche ed una coppia
diversa XY. Il cromosoma Y non è altro che una sorta di “mezzo cromosoma”.
Negli uccelli, a differenza dei mammiferi, si parla di coppie ZZ per i maschi (cromosomi uguali) e ZW per le
femmine (cromosomi differenti).
Nelle api (insetti) vi è una differenza enorme a livello cromosomico tra maschi e femmine: i maschi sono
aploidi mentre le femmine sono diploidi.
Per quanto riguarda le cavallette (insetti), nei maschi manca un cromosoma X (sono X0) mentre nelle femmine,
così come nelle femmine di essere umano, i cromosomi sessuali sono 2, ovvero XX.
Nella specie umana l’individuo X0 è di sesso femminile ed in genere è sterile.

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Nella determinazione ambientale del sesso, in base alla temperatura di incubazione delle uova è possibile
modificare il rapporto maschio femmina in una covata (figura in basso)

Gonade indifferente o bipotente


Durante le prime fasi dello sviluppo embrionale si
ha l’abbozzo della gonade. A lato è mostrata una
gonade che prende origine da quella che viene
definita cresta genitale (una struttura embrionale);
quest’ultima è costituita da una parte più interna
detta medulla, o zona midollare, e una parte più
esterna detta cortex, o zona corticale. In questo
stato la gonade è indifferenziata e bipotente, cioè
in grado di differenziarsi in gonade maschile o
femminile (in questo caso è corretto anche il
termine totipotente), e all’inizio è sempre così,
anche in caso di determinazione primaria del sesso
(cromosomica).
Tale abbozzo viene colonizzato da cellule
germinali primordiali che si formano già all’inizio
dello sviluppo embrionale; oggigiorno ancora non è chiara l’origine di queste cellule (vedi la prima figura a
pagina 34). Secondo studi condotti su uccelli e rettili sembra che queste cellule derivino dalla regione che
forma il sacco del tuorlo (laddove è presente), una regione extraembrionale. Il sacco del tuorlo negli uccelli e
nei rettili è quella struttura epiteliale che avvolge il tuorlo e fa un tutt’uno con l’intestino dell’organismo; il
tuorlo rappresenta il materiale nutritivo che man mano viene utilizzato per la crescita dell’embrione.

33
Localizzazione delle gonadi nei vertebrati
In alcuni vertebrati si è visto che le cellule germinali primordiali si staccano dalla regione del sacco del tuorlo
e migrano andando a colonizzare l’abbozzo della gonade; a seconda di dove si andranno a posizionare queste
cellule si avrà la linea germinale maschile o la linea germinale femminile.

L’abbozzo della gonade nei mammiferi, e nei vertebrati in genere, è strettamente collegata al sistema escretore,
tant’è vero che si parla di sistema urogenitale; quindi nella regione renale si trovano anche gli abbozzi delle
gonadi. Spesso le vie efferenti del sistema urinario sono le stesse del sistema genitale.

34
In precedenza abbiamo detto che a seconda di dove andranno a posizionarsi le cellule germinali primordiali si
andrà verso la linea maschile o la linea femminile. Nella specie umana le cellule germinali primordiali iniziano
a colonizzare le gonadi solo alla sesta settimana di sviluppo; prima di tale periodo è possibile stabilire il sesso
del piccolo solo effettuando un’analisi cromosomica (la gonade infatti è ancora indifferenziata).
Le cellule germinali primordiali maschili vanno a colonizzare la parte più interna, quella midollare, mentre le
cellule germinali primordiali femminili vanno a colonizzare la parte corticale; una volta che le cellule si
saranno posizionate, subiranno una serie di modificazioni (intorno alle 8-9 settimane) e assumeranno il tipico
aspetto del testicolo o dell’ovario.

35
Dotto di Wolff e di Muller
Nel maschio e nella femmina andranno anche
a modificarsi le vie genitali. La parte alta della
figura a lato mostra uno stadio indifferenziato
in cui è possibile osservare l’abbozzo dei reni,
l’abbozzo della gonade indifferenziata e due
dotti: il dotto di Wolff e il dotto di Muller.
Nella linea maschile, nel momento in cui le
cellule germinali primordiali vanno a
colonizzare la medulla si ha la regressione del
dotto di Muller. Nella linea femminile, invece,
avviene esattamente l’opposto, cioè si
mantiene il dotto di Muller e scompare il dotto
di Wolff (in entrambi i casi, ovvero sia per il
dotto di Muller sia per il dotto di Wolff, la
regressione avviene per un processo di
apoptosi). Nei maschi il dotto di Wolff forma
l’uretere e forma praticamente il canale
genitale maschile, nelle femmine il dotto di
Muller diventa l’ovidotto in cui passerà la
cellula uovo.
Nei maschi dunque la gonade si sviluppa in
testicolo, il dotto di Wolff rimane strettamente
collegato alla gonade e andrà a formare
l’epididimo e il dotto deferente degli
spermatozoi (detto anche uretere secondario); nei maschi il dotto di Muller regredisce. Nelle femmine invece
l’ovario si ritrova “isolato” (nei maschi infatti il testicolo è strettamente collegato all’epididimo e gli
spermatozoi vengono riversati in esso), il dotto di Wolff scompare, il dotto di Muller invece rimane e si
avvicina alla gonade formando gli ovidotti.

Questa immagine di fianco aiuta a comprendere


il perché un individuo di genotipo X0 mostra un
fenotipo femminile. Sul cromosoma Y,
nonostante sia più piccolo del cromosoma X, ci
sono dei geni che regolano il destino del dotto
di Wolff, del dotto di Muller e della gonade.

36
3. Lezione del 28/09/2017
Differenziamento dell’abbozzo di gonade in gonade maschile o femminile
Nella lezione scorsa abbiamo visto come la
determinazione del sesso nei mammiferi e negli
uccelli dipenda dai cromosomi. Negli uccelli i
maschi presentano cromosomi sessuali ZZ
mentre le femmine ZW; nei mammiferi invece è
presente la coppia XX o XY per le femmine e i
maschi rispettivamente. Ciò che permette alla
gonade indifferenziata di differenziarsi in
gonade maschile è un gene presente su una
regione del cromosoma Y detto gene SRY.
Questo gene si esprime a livello delle cellule
della cresta genitale, cioè nelle cellule
dell’abbozzo della gonade che nel maschio si
sviluppano in cellule somatiche del Sertoli. Il
gene SRY è attivo per un periodo di tempo molto breve (ad esempio nei topi è attivo per circa due giorni
mentre in altre specie può essere attivo per un paio d’ore) e la produzione della proteina SRY, sebbene la sua
presenza sia limitata, fa sì che la gonade da indifferenziata diventi una gonade maschile. Questa proteina non
è altro che un fattore di trascrizione, ovvero una proteina che ha la capacità di attivare la trascrizione di
determinati geni. La proteina SRY attiva la trascrizione del gene che codifica la proteina Sox-9, una proteina
che si esprime per un lungo periodo di tempo e che determina la formazione del testicolo a partire dall’abbozzo
della gonade.

Partendo dalla cresta genitale indifferenziata, se le cellule presentano come cromosomi sessuali la coppia XY
allora si avrà la produzione della proteina SRY la quale a sua volta determina la produzione di Sox-9; la
proteina Sox-9 determina la trasformazione della gonade indifferenziata in testicolo, inoltre controlla tutti quei
geni e fattori che determinano i caratteri secondari sessuali maschili (genitali, organo sessuale, testosterone e
così via).

37
Viceversa, se le cellule presentano come cromosomi sessuali la coppia XX allora Sox-9 non verrà prodotta dal
momento che manca il gene SRY. In questo caso vengono attivati altri geni come Dax-1, Wnt-4 e una subunità
della β-catenina che determinano lo sviluppo della gonade indifferenziata in ovario e la formazione dei
caratteri sessuali secondari femminili (ad esempio la produzione di estrogeni).
Esperimenti condotti su topi transgenici per SRY (immagine in basso) hanno dimostrato che la produzione
della proteina SRY è normalmente presente nella linea maschile e non in quella femminile. Durante questi
esperimenti fu attivata la trascrizione del gene SRY in topi di sesso femminile (XX) trasformandoli in questo
modo in topi transgenici per SRY. Il gene SRY nei topi transgenici viene espresso e alla fine, pur essendo
genotipicamente XX, avranno un fenotipo uguale ad un maschio controllo (questi topi mostreranno
caratteristiche sessuali secondarie maschili, gonadi maschili, etc.).

Da come possiamo notare dallo schema presente a pagina 37, alla base del differenziamento vi è tutta una
catena di eventi. La proteina Sox-9 induce la produzione delle cellule del Sertoli (cellule della linea somatica
maschile) e del fattore antimulleriano, fattore che di seguito descriviamo. Nella precedente lezione abbiamo
detto che durante lo sviluppo ci sono, a livello della regione pelvica, sia il dotto di Wolff sia il dotto di Muller;
nella linea maschile il dotto di Muller regredisce mentre nella linea femminile regredisce il dotto di Wolff. Ciò
che causa la regressione del dotto di Muller nella linea maschile è il fattore antimulleriano, fattore prodotto da
Sox-9.
La cresta genitale indifferenziata è costituita da una regione più esterna, detta corticale, e da una più interna,
detta midollare. Nello sviluppo della linea maschile le cellule germinali primordiali si recano nella regione
midollare a livello della quale le cellule somatiche della gonade diventano cellule del Sertoli e cellule del
Leydig mentre le cellule germinali migrate diventano spermatogoni e poi successivamente spermatozoi. Le
cellule colonizzanti la regione midollare producono, sotto l’induzione di SRY, Sox-9 la quale a sua volta
determina la produzione del fattore di regressione (detto anche AMF o Mrf) del dotto di Muller. A questo
punto si ha la produzione del testosterone e infine il fenotipo tipico del maschio adulto.
Nello sviluppo della linea femminile la zona che più si sviluppa nella gonade è la zona corticale. In questa
linea è assente la produzione di SRY e le cellule germinali primordiali che vanno a colonizzare la regione
corticale producono, sotto l’azione di altre proteine come Dax-1 e Wnt-4, estradiolo e progesterone; alla fine
l’adulto presenterà il fenotipo tipico della femmina.
Il testosterone è l’ormone maschile per eccellenza mentre gli ormoni femminili per eccellenza sono l’estradiolo
e il progesterone.

38
Di seguito è stato schematizzato ciò che abbiamo appena descritto.

Interazioni tra determinazione primaria e secondaria del sesso


Lo schema in basso illustra fondamentalmente ciò che è stato già affermato poco prima. Nei maschi SRY
blocca la produzione di Dax-1 e attiva quella di Sox-9 la quale a sua volta blocca Wnt-4 (prodotto tipico della
linea femminile) e attiva il fattore antimulleriano; successivamente si avrà la formazione del testosterone e
l’ormone antimulleriano determina la regressione del dotto di Muller.
Nelle femmine Dax-1 è attivo, quest’ultimo blocca la produzione di Sox-9 ma attiva quella di Wnt-4 il quale
blocca la produzione del testosterone e del fattore antimulleriano.
Lo schema in basso rappresenta la parte molecolare di controllo del differenziamento delle cellule che
coinvolge dei geni che vengono attivati o inattivati.

39
È risaputo che un organismo è costituito da cellule aventi tutte lo stesso genoma, in virtù di ciò ci si aspetta
che tutte le cellule debbano presentare lo stesso fenotipo. Tuttavia così non è in quanto le cellule differenziate
si distinguono tra loro sia per forma che per funzione: la formazione di un determinato tipo cellulare dipende
dalla regione del patrimonio genetico che viene trascritta. Dunque in cellule diverse vengono trascritti geni
diversi e questo determina l’insorgenza di caratteri primari e secondari sessuali maschili o femminili. Nei
maschi SRY attiva Sox-9 la quale blocca alcuni geni e ne attiva altri che determinano la formazione
dell’ormone antimulleriano e del testosterone. Nelle femmine invece SRY è assente, Sox-9 è bloccato e
vengono attivati dei geni che normalmente sono bloccati da questo fattore di trascrizione; si avrà dunque la
produzione di estrogeno e progesterone e non di testosterone e dell’ormone antimulleriano.

Ciclo cellulare, mitosi e meiosi


Le cellule germinali e le cellule somatiche sono due linee cellulari che si separano già durante lo sviluppo
embrionale.
Le cellule somatiche sono quelle cellule che normalmente costituiscono l’individuo nella sua generalità e le
loro potenzialità si esauriscono con il differenziamento; infatti inizialmente le cellule somatiche vengono
definite cellule staminali. Le cellule staminali sono cellule totipotenti che intraprendono un percorso
differenziativo che le porterà ad avere un trascrittoma (l’insieme dei geni che vengono trascritti e tradotti in
proteine) diverso tra loro; una volta che queste cellule si saranno differenziate potranno continuare o meno a
dividersi a seconda del loro destino (ad esempio le cellule muscolari ad un certo punto cessano di dividersi a
differenza di quelle epiteliali che presentano sempre una regione basale staminale).
Le cellule germinali sono quelle cellule che conservano le loro “potenzialità originali” dal momento che a
partire da queste è possibile dare origine ad un nuovo individuo; la cellula germinale può essere definita come
una cellula sempre totipotente. In biologia è stato introdotto il concetto di continuità della linea germinale: “la
linea germinale è come se passasse da generazione in generazione senza modificarsi”.
Le cellule somatiche e le cellule germinali si distinguono anche per il tipo di divisione a cui vanno incontro:
le cellule somatiche si dividono esclusivamente per mitosi mentre le cellule germinali primordiali inizialmente
vanno incontro a mitosi (per aumentare il loro numero) per poi dividersi per meiosi al momento della
maturazione.

40
Con la meiosi si passa da una cellula
germinale primordiale ad una cellula
germinale propriamente detta. Una
cellula germinale primordiale è una
cellula capostipite delle cellule
germinali che mantiene ancora un
corredo cromosomico diploide; nel
momento in cui va incontro ad una
divisione riduzionale diventa una
cellula germinale a tutti gli effetti.
Questa cellula inizialmente può essere
immatura (ne sono esempi l’ovocita e
lo spermatocita).
La mitosi è una divisione cellulare
conservativa che non altera il corredo
cromosomico. La cellula madre prima
di dividersi va incontro alla replicazione del suo genoma, in questo modo le due cellule figlie - che si
origineranno dalla divisione della cellula madre - avranno lo stesso genoma iniziale della cellula madre (figura
immagine pagina 40).
La meiosi viene considerata una divisione riduzionale in quanto determina il dimezzamento del corredo
cromosomico. A differenza della mitosi, nella meiosi generalmente da una cellula madre si hanno 4 cellule
figlie attraverso un solo processo di duplicazione del genoma; quindi, mentre nel processo mitotico hanno
origine 2 cellule figlie da una cellula madre in cui è avvenuta una replicazione del DNA, con la meiosi si hanno
4 cellule con una sola replicazione cromosomica della cellula iniziale. La meiosi è come se consistesse in due
mitosi consecutive dove nella prima, e non nella seconda, avviene un ciclo cellulare classico avente una fase
S in cui avviene la sintesi del DNA; dunque è come se avvenissero due cicli continui, con la differenza che nel
secondo ciclo cellulare la fase S viene bypassata (vedi immagine in alto).
In basso è illustrata una mitosi classica: i cromosomi, ciascuno costituito da due cromatidi fratelli, si
dispongono perpendicolarmente al fuso mitotico, dopodiché i cromatidi fratelli si separano e migrano ai due
poli della cellula. Infine si origineranno due cellule figlie che presenteranno dei cromosomi identici a quelli
della cellula madre.

41
La meiosi si suddivide in due fasi:
• Prima divisione meiotica: come nella mitosi, in questa prima divisione meiotica i cromosomi sono
costituiti da due cromatidi fratelli. I cromosomi omologhi si separano e migrano ai poli della cellula.
• Seconda divisione meiotica: dopo che i cromosomi omologhi si sono separati ha inizio la seconda
divisione meiotica, divisione che non prevede una “seconda replicazione del genoma”. In questa fase si
avrà la divisione dei cromatidi fratelli.

La prima divisione meiotica è più complessa ed è molto importante dal momento che avviene il crossing over,
ovvero la ricombinazione del DNA. È importante che questo fenomeno avvenga nella linea germinale in
quanto, come detto precedentemente, solo ciò che accade nella linea germinale può essere ereditato alla
generazione successiva. Tutto ciò che invece riguarda la linea somatica non viene ereditato alla progenie, anche
se dovesse avvenire uno scambio a livello della mitosi (infatti tutte le modificazioni, qualora ci fossero,
rimarrebbero confinate a livello di quel determinato individuo, risultando in questo modo solo una perdita di
tempo). Gli scambi che avvengono a livello delle cellule germinali e che vengono trasmessi alla progenie
introducono variabilità genetica, variabilità che è osservabile tra fratelli: due fratelli infatti, salvo nel caso in
cui questi siano monozigotici, presentano genotipi diversi (i fratelli monozigoti possono presentare delle
differenze per una serie di fattori ma il loro genotipo è identico). Con il crossing over (ovvero la ricombinazione
casuale di frammenti di DNA tra cromatidi non fratelli di cromosomi omologhi derivanti dal corredo
cromosomico materno e paterno) si producono delle variabilità che sono fondamentali per aumentare le
possibilità di successo di una determinata specie. Più una specie presenta variabilità genetica e più ad esempio
potrà sopravvivere a cambiamenti ambientali; per gli organismi viventi è importante avere potenzialità di
adattamento a cambiamenti sia dell’ambiente interno che dell’ambiente esterno. Una specie in grado di vivere
solo in un determinato habitat è a rischio morte nel momento in cui avviene una piccola variazione
nell’ambiente; organismi che invece, ad esempio, riescono a sopravvivere a temperature diverse riusciranno
ad adattarsi a variazioni di temperatura che potrebbero verificarsi nell’ambiente.

42
Maggiore è la variabilità genetica e maggiori sono le probabilità di sopravvivenza e di adattamento ai
cambiamenti. Anche se i meccanismi di ricombinazione possono determinare dei cambiamenti che disturbano
la normale composizione di un organismo oppure essere letali, la variabilità va sempre considerata un valore
aggiunto per la specie.
Come detto in precedenza, la prima divisione meiotica rappresenta una fase molto importante e complessa. La
profase della I divisione meiotica viene suddivisa a sua volta in: zigotene, pachitene, diplotene e diacinesi.
Nella figura in basso possiamo osservare i punti in cui sta avvenendo il crossing over, uno scambio di
frammenti di DNA tra cromatidi non fratelli di cromosomi omologhi. Il corredo cromosomico di un organismo,
sia quello presente nelle cellule somatiche sia quello presente nelle cellule germinali, deriva dalla fusione di
gameti parentali maschili e femminili (paterno e materno). Considerando ad esempio la specie umana, ogni
gamete contiene 23 cromosomi e nel momento in cui essi si fondono, all’atto della fecondazione, andranno a
formare uno zigote che presenterà la somma dei cromosomi di origine paterna e materna, vale a dire 46.
Se non ci fosse crossing over i gameti verrebbero ereditati di generazione in generazione in “maniera
immutabile”, senza creare alcuna variabilità genetica.

43
In basso possiamo osservare le varie fasi della profase della prima divisione meiotica.

L’immagine in basso illustra gli scambi che avvengono tra cromatidi non fratelli di cromosomi omologhi (nella
specie umana i cromosomi sono disposti in coppie e i cromosomi che fanno parte della stessa coppia vengono
definiti omologhi). Nella seconda divisione meiotica i cromatidi fratelli che si andranno a separare
presenteranno dei frammenti derivanti dai cromatidi non fratelli dei cromosomi omologhi.

44
La seconda divisione meiotica, come già detto prima, è una classica divisione mitotica in cui i cromosomi non
sono presenti come tetradi ma come dimeri.

Le cellule germinali, sia quelle della linea maschile sia quelle della linea femminile, vanno incontro a meiosi,
un tipo di divisione cellulare che porta alla formazione di 4 cellule aploidi a partire da una cellula germinale
primordiale.

45
Comparazione tra spermatogenesi e ovogenesi
Tra spermatogenesi e ovogenesi ci sono moltissime differenze: una delle differenze fondamentali sta nel fatto
che partendo da una cellula germinale primordiale - lo spermatogonio per quanto riguarda la linea maschile e
l’ovogonio per quanto riguarda invece la linea femminile - solo in un caso si hanno effettivamente 4 cellule,
ed è il caso della spermatogenesi. Con la spermatogenesi infatti si ottengono 4 spermatozoi a partire da un
singolo spermatogonio. Nel caso della linea germinale femminile, da ogni ovogonio si formerà una sola cellula
uovo e 3 globuli polari che rappresentano una sorta di prodotti di scarto dal momento che servono per eliminare
frammenti di DNA non più utili.
Nella specie Homo sapiens i maschi possono produrre milioni di spermatozoi (a partire dalla pubertà fino alla
fine del suo ciclo vitale), a differenza delle femmine che invece sono in grado di produrre una cellula uovo al
mese fino al periodo della menopausa. Questo accade perché esiste una differenza enorme tra spermatogenesi
e ovogenesi in termini di dispendio energetico: lo sviluppo del nuovo organismo è quasi tutto a carico della
cellula uovo, lo spermatozoo invece ha solamente il compito di trasportare il corredo cromosomico, necessario
a ripristinare la diploidia tipica di quella specie.

46
Nella specie umana esiste un’altra grande differenza tra spermatogenesi e ovogenesi. Gli spermatogoni, ovvero
le cellule germinali primordiali della linea maschile, mantengono la loro capacità di dividersi per mitosi per
tutta la vita dell’individuo. Già a livello dell’embrione la linea germinale è separata da quella somatica, gli
spermatogoni si dividono per mitosi per poi andar incontro alla maturazione che porterà alla formazione degli
spermatozoi. A questo punto c’è da dire una cosa molto importante sulla spermatogenesi, cioè che esiste
sempre una sorta di “riserva”: quando uno spermatogonio si divide per mitosi forma due spermatogoni di cui
solamente uno porterà alla formazione di 4 spermatozoi, l’altro invece sarà uno spermatogonio staminale (fig.
in basso). Nella linea maschile dunque esiste un pool di spermatogoni staminali che garantiscono la possibilità
di formare nuovi spermatozoi, a cominciare dalla pubertà fino alla fine della vita di quell’organismo. Questo
tipo di meccanismo vale non solo per la specie umana ma anche per tutti i vertebrati.
Nell’ovogenesi, considerando sempre l’Homo sapiens, le cellule germinali primordiali (gli ovogoni) si
dividono per mitosi durante lo sviluppo embrionale formando un pool di ovogoni che però si “blocca” ancor
prima della nascita del nuovo organismo; con il termine “blocco” si intende per l’appunto il blocco della
divisione mitotica degli ovogoni (questi non si divideranno più per mitosi - osserva la fig. in basso). Il numero
di ovogoni presenti nella gonade in un individuo di sesso femminile è già stabilito, già determinato, prima
della nascita. Questi ovogoni, una volta bloccati e numericamente invariati, rimarranno in uno stato di
quiescenza fino al raggiungimento della pubertà, periodo in cui ciascuno di essi, in maniera ciclica, andrà
incontro alla maturazione ovocitaria, entrando subito in meiosi, con alla fine la formazione della cellula uovo.
È bene tenere presente che alcuni ovogoni andranno incontro a fenomeni di atresia, di conseguenza non
matureranno mai in ovociti o cellule uova; nonostante ciò il loro numero è già stato stabilito e il processo di
maturazione inizia nel periodo della pubertà.
Detto ciò, possiamo renderci conto della grande differenza che esiste tra la spermatogenesi e l’ovogenesi. Nei
maschi vengono formati milioni e milioni di spermatozoi, una produzione che può essere continua o annuale
a seconda della specie; mentre l’uomo può riprodursi durante tutto l’anno, gli uccelli e i rettili (e molte altre
specie) possono riprodursi soltanto in determinati periodi dell’anno (la stimolazione da parte di alcuni fattori
che porterà alla formazione degli spermatozoi da un lato e delle cellule uovo dall’altro avviene soltanto in
determinati periodi dell’anno). A prescindere dalla stagionalità, gli spermatogoni nella linea maschile
continuano a dividersi per mitosi per tutta la vita di quell’individuo a differenza degli ovogoni che invece sono
numericamente già stabiliti al momento della nascita.

47
La Spermatogenesi

Questa immagine mostra come la prima fase mitotica nella linea germinale maschile viene mantenuta per tutta
la vita dell’organismo. Ad un certo punto alcuni spermatogoni primordiali continueranno a mantenere una
capacità mitotica mentre altri andranno incontro a meiosi.

Spermiogenesi, spermioistogenesi e struttura degli spermatozoi


Nella linea sessuale maschile gli spermatogoni
vanno incontro a meiosi e ognuno di essi dà
origine a 4 spermatozoi. Questo processo
prende il nome di spermatogenesi (genesi
degli spermatozoi) e viene diviso in due fasi:
spermatogenesi (spermatogenesi generale) e
spermioistogenesi. La spermioistogenesi
(detta anche spermiogenesi) è l’insieme delle
modificazioni istologiche che avvengono
nell’ultima fase, fase che porterà alla
formazione degli spermatozoi.
Dunque lo spermatogonio, man mano che il processo di spermatogenesi prosegue, andrà incontro a meiosi e
successivamente alla formazione di 4 cellule figlie. Quest’ultime inizialmente sono legate tra loro da ponti
citoplasmatici per poi, man mano che il processo avanza, separarsi allo stadio di spermatozoo nella
spermioistogenesi (i ponti citoplasmatici si chiudono); a questo punto si hanno 4 spermatozoi
morfologicamente, ma non geneticamente, identici tra loro.

48
La morfologia dello spermatozoo può essere estremamente variabile da specie a specie (nell’ambito dei
mammiferi, gli spermatozoi di uomo, cane e topo sono morfologicamente diversi); morfologia a parte, questi
spermatozoi tuttavia presentano delle caratteristiche in comune. Lo spermatozoo è una cellula in cui il
citoplasma è stato quasi eliminato del tutto, eliminazione che avviene durante la spermioistogenesi; insieme al
citoplasma vengono eliminati anche gli organuli (apparato del Golgi, ribosomi, etc.). Il risultato finale sarà uno
spermatozoo fondamentalmente costituito da:
• Testa: nella testa è presente il nucleo che trasporta il corredo cromosomico dimezzato. Il nucleo è
sormontato da una struttura detta acrosoma che permette allo spermatozoo di raggiungere il citoplasma
della cellula uovo. L’acrosoma infatti è una sorta di grande lisosoma al cui interno sono presenti enzimi
litici fondamentali allo spermatozoo per attraversare gli strati protettivi e la membrana plasmatica della
cellula uovo.
• Collo: a livello del collo sono presenti i mitocondri, organuli che rappresentano il motore degli
spermatozoi.
• Coda: i centrioli sono necessari per l’organizzazione del flagello (coda). Una caratteristica importante
dello spermatozoo è la motilità, a tal proposito sono muniti di una coda più o meno lunga presente nella
porzione flagellare. Il flagello è costituito da microtubuli, elementi importanti per il movimento cellulare;
le cellule infatti, generalmente, si muovono grazie ai microtubuli - strutture intracellulari costituite da
monomeri di tubulina - che hanno la capacità di allungarsi e di restringersi. Il movimento del flagello, e
quindi dello spermatozoo, richiede un consumo di energia che deriva dai mitocondri localizzati nel collo
dello spermatozoo.

In basso vi è una rappresentazione schematica di vari stadi della spermiogenesi nel porcellino d’India. Si
osserva chiaramente l’eliminazione del citoplasma man mano che il processo avanza fino ad ottenere una
cellula ridotta solamente al nucleo con acrosoma, il collo con i mitocondri e la coda con i microtubuli.

49
A lato vi è un’immagine che illustra alcuni
spermatozoi. Gli spermatozoi di varie specie
possono variare per la lunghezza del flagello e la
forma della testa la quale può essere semplice,
arrotondata, triangolare o ad uncino. La seconda
immagine in basso a destra invece mostra degli
spermatozoi visti al microscopio.
Nei vertebrati terresti, gli spermatozoi liberati dal
testicolo non hanno ancora né la capacità di
muoversi né quella di fecondare (gli spermatozoi
prodotti a livello del testicolo sono praticamente
immobili e non fecondabili). La capacità di
movimento viene acquisita una volta che questi
hanno attraversato l’epididimo, il centro di
raccolta degli spermatozoi, cioè un canale
presente a livello del testicolo che raccoglie tutti i
canalicoli testicolari. Gli spermatozoi riescono a
raggiungere l’epididimo nonostante siano privi
della capacità di movimento. A livello
dell’epididimo questi acquisiscono la capacità di
movimento ma non hanno ancora la capacità di
fecondare la cellula uovo; ciò fu dimostrato con
un esperimento molto semplice in cui gli
spermatozoi furono prelevati a livello del testicolo
prima che avessero attraversato l’epididimo. Al
microscopio questi spermatozoi risultano
immobili e inoltre incapaci di fecondare se messi
a contatto con una cellula uovo. Se invece al
microscopio vengono analizzati spermatozoi
prelevati dopo che questi hanno attraversato
l’epididimo, si osserva che gli stessi sono capaci
di muoversi ma non ancora di fecondare; la
capacità di fecondazione viene acquisita nel
momento in cui avviene la capacitazione, un
fenomeno che permette la stimolazione della
reazione acrosomiale. Nelle specie terrestri la
capacitazione degli spermatozoi avviene quando
questi attraversano le vie genitali femminili; in
caso di fecondazione assistita gli spermatozoi,
prima di procedere con la fecondazione in vitro,
devono essere “lavati” con estratti di vie genitali femminili in maniera tale che acquisiscano la capacità di
fecondare.
Nelle specie che si riproducono attraverso fecondazione esterna gli spermatozoi riescono ad acquisire la
capacitazione in altri modi come ad esempio il contatto con l’acqua, la variazione di pH, la variazione di calcio,
etc. (alcuni casi particolari verranno trattati nelle prossime lezioni).
La capacitazione si basa sull’attivazione della regione acrosomiale. Per attivazione della regione acrosomiale
si intende la rottura della membrana dell’acrosoma cosicché vengano riversati all’esterno gli enzimi litici; c’è
da dire che prima di questo passaggio vi è l’azione di una serie di fattori di riconoscimento che permettono il
corretto riconoscimento tra spermatozoo e cellula uovo della stessa specie.

50
Di fianco possiamo osservare delle immagini che
raffigurano spermatozoi al microscopio ottico
(3.14 a) e al microscopio elettronico a scansione
(3.14 b). Il microscopio elettronico a scansione
permette di apprezzare la tridimensionalità e la
superficie dello spermatozoo.

In fig. 3.16 (a) è rappresentata una sezione


sagittale eseguita in una regione che comprende
la testa, il collo e la parte iniziale del segmento
intermedio.
In fig. 3.16 (b) si osserva invece una sezione
frontale: si nota la regione del collo dove sono
evidenti il materiale segmentato ed elementi
dell’involucro nucleare.
La figura 3.16 (c) infine raffigura una sezione
sagittale a livello della parte terminale del
segmento intermedio e inizio del segmento
principale. Si nota, oltre alla presenza
dell’assonema posto centralmente, la presenza di
mitocondri.

51
Apparato di movimento dello spermatozoo
L’apparato di locomozione dello spermatozoo è il flagello, all’interno del quale è presente l’assonema, una
struttura costituita da 9 coppie di microtubuli periferici ed una coppia di microtubuli in posizione centrale. La
figura in basso mostra una sezione trasversale della coda dello spermatozoo; a seguire poi, più in basso, vi è
un’immagine della struttura dell’assonema.

52
Sezioni trasversali di differenti regioni dello spermatozoo mostrano immagini diverse al microscopio. Le
immagini della fig. 3.15 (in basso) rappresentano tutte sezioni trasversali che si distinguono per la regione
dello spermatozoo interessata alla sezione, che in questo caso sono il flagello (assonema), una regione più
centrale (collo) e la testa.

Fattori che danneggiano la spermatogenesi


La spermatogenesi è un processo particolarmente delicato che può essere danneggiato da vari fattori. Tali
fattori in realtà possono danneggiare non solo la spermatogenesi ma anche altre fasi delicate come la divisione
di una cellula o lo sviluppo embrionale (durante la gravidanza ad esempio non è possibile assumere determinati
farmaci in quanto vi è in atto una fase di attiva proliferazione che potrebbe subire dei danni).
Nella spermatogenesi, come detto in precedenza, ci sono delle cellule che mantengono la capacità di dividersi
mentre altre vanno incontro ad un differenziamento; queste cellule sono particolarmente sensibili a qualsiasi
cambiamento esterno. Vediamo ora quali sono i fattori che danneggiano la spermatogenesi.
• Temperature elevate: temperature elevate possono recare danni agli spermatozoi, motivo per cui la regione
scrotale negli organismi omeotermi, come i mammiferi, è situata esternamente. Questo tipo di soluzione
evita il surriscaldamento dei testicoli. Gli uccelli invece, che sono anch’essi organismi omeotermi, non
presentano una regione scrotale esterna e la risposta a questa eccezione è la seguente: negli organismi
viventi vige l’esistenza di un punto d’incontro tra “vantaggi” e “svantaggi”. Una regione scrotale
posizionata all’esterno negli uccelli rappresenterebbe sicuramente un vantaggio nell’evitare fenomeni di
surriscaldamento, tuttavia poiché questi organismi hanno bisogno di un corpo aereodinamico per il volo,
la presenza di una regione scrotale esterna risulterebbe particolarmente scomoda.
• Avitaminosi: una corretta spermatogenesi può essere danneggiata da avitaminosi, cioè una carenza di
vitamine.
• Radiazione ionizzanti: le radiazioni ionizzanti (raggi X) possono danneggiare non solo la spermatogenesi
ma, dal momento che colpiscono il DNA, tutte quelle cellule che si trovano in fase di divisione. È per
questo motivo che nei maschi si cerca sempre di evitare di effettuare numerose radiografie a livello della
regione addominale. Per evitare danni da raggi X si usa schermare tale zona.
• Radiazioni elettromagnetiche: si ritiene che anche le radiazioni elettromagnetiche possano essere
dannose.
• Pesticidi: esperimenti condotti su donatori di sperma che vivono nella regione della Terra dei fuochi o a
Taranto nei pressi dell’Ilva hanno dimostrato la pericolosità di alcuni pesticidi. Negli abitanti di zone
inquinate è stato riscontrato un elevato tasso di danni o patologie a livello degli spermatozoi come ad
esempio azoospermia (numero ridotto di spermatozoi), cellule spermatiche non funzionanti, immobili,
incapaci di fecondare, aventi pronucleo degenerato, etc. Questi studi hanno inoltre evidenziato che
vengono principalmente colpiti gli spermatociti e gli spermatozoi e non tanto gli spermatogoni; di
conseguenza, se gli abitanti vengono allontanati dalla regione contaminata il liquido spermatico si
normalizza nel giro di pochi mesi. L’infertilità maschile è notevolmente aumentata e in parte la causa è
proprio la presenza di sostanze inquinanti nell’ambiente.

53
La figura in basso mostra alcuni spermatozoi difettosi. Ci sono spermatozoi che presentano una doppia coda,
altri una testa priva del collo, mancanza dell’acrosoma, due teste fuse, etc.

In basso osserviamo uno schema che illustra il fenomeno della capacitazione.

Nell’epididimo si ha la formazione degli spermatozoi i quali espongono, a livello della testa, dei fattori che
sono “schermati”, bloccati. In seguito all’eiaculazione si avrà la motilità e un inizio di sblocco il quale avverrà
poi del tutto a livello del tratto genitale femminile. Per “inizio di sblocco” si intende l’inizio
dell’allontanamento delle zattere lipidiche le quali poi verranno successivamente rimosse del tutto.

54
La citometria a flusso
La temperatura è un fattore implicato nella motilità e
successiva capacitazione dello spermatozoo. Nell’uomo
alla temperatura di 37 °C gli spermatozoi si muovono
alla velocità di 30-50 µm/sec.
Oggigiorno, grazie ad una serie di strumentazioni, è
possibile fare il cell sorting, ovvero “scegliere il sorting
delle cellule”. La citometria a flusso (detta anche
citofluorimetria) è una metodica che può essere
utilizzata per scartare gli spermatozoi ritenuti non
efficienti o che presentano caratteristiche anormali; con
tale tecnica è possibile perfino separare lo spermatozoo
che porta il cromosoma X dallo spermatozoo che porta
il cromosoma Y. Pertanto, qualora la legge lo consenta,
questa tecnica dà la possibilità di stabilire il sesso del
nascituro quando si ricorre alla fecondazione assistita.
Sebbene tale pratica viene ritenuta non del tutto positiva
da un punto di vista eugenetico, non si può negare che
l’attuazione stessa risulterebbe una soluzione ideale
quando all’interno di una famiglia è presente una
malattia genetica legata al sesso (cioè una patologia che
viene ereditata attraverso il ramo maschile o femminile).
Il divieto dell’uso della citometria a flusso da parte delle
leggi italiane priva le persone della possibilità della
risoluzione del problema a monte; in seguito ad una
diagnosi prenatale le persone sono poi costrette a
ricorrere all’aborto.
Passiamo ora ad una breve descrizione dei vari passaggi
di questa tecnica. Inizialmente il liquido spermatico
viene diluito notevolmente, dopodiché viene utilizzato
un colorante fluorescente vitale (un colorante che può
essere utilizzato sulle cellule). Successivamente si passa
all’osservazione della luce emessa dagli spermatozoi
grazie all’uso di una sorgente luminosa: gli spermatozoi
che portano il cromosoma X emettono, anche se di poco,
maggior luce degli spermatozoi che hanno il cromosoma
Y. Questa differenza, seppur piccola, può essere
intercettata dalla strumentazione permettendo in questo
modo la separazione degli spermatozoi portatori del
cromosoma X da quelli portatori di Y.

55
Durata della spermatogenesi
La durata della spermatogenesi, cioè della maturazione degli spermatozoi, è variabile. Di seguito vengono
elencate le durate di spermatogenesi di alcuni mammiferi, organismi in cui tale processo è stato maggiormente
studiato:
- Uomo: 64 giorni
- Ratto: 48 - 53 giorni
- Topo: 34,5 giorni
- Coniglio: 43 giorni
- Pecora: 40 giorno

Nell’essere umano in particolare vi è una:


• Fase di quiescenza: fase di quiescenza dello spermatogonio di 16 giorni.
• Fase di mitosi: fase di 16 giorni durante i quali lo spermatogonio va incontro a divisioni mitotiche.
• Fase di meiosi: dopo la fase mitotica hanno inizio le meiosi (24 giorni).
• Spermioistogenesi: fase di maturazione della durata di 24 giorni che porta alla formazione dello
spermatozoo (eliminazione del citoplasma, etc.).

Nella specie umana il numero di spermatozoi è enorme:

vi sono 200 - 400 milioni di spermatozoi in 2 - 4 mL,


quindi 100 milioni di spermatozoi / mL

Se la concentrazione degli spermatozoi risulta essere inferiore a 20 milioni / mL l’individuo risulta essere
sterile poiché la probabilità che uno spermatozoo su 20 milioni riesca ad incontrare la cellula uovo è pressoché
nulla.

Organizzazione dei testicoli


Il processo di spermatogenesi avviene nella gonade maschile, gonade ormai differenziata che prende il nome
di testicolo. Generalmente si usa distinguere un testicolo di tipo ampollare, detto anche cistico, da un testicolo
di tipo tubulare.

56
La figura 3.9 (a) presente a pagina 56 mostra una sezione longitudinale di testicolo ampollare mentre in figura
3.9 (b) osserviamo una sezione trasversale di un testicolo organizzato in tubuli. La sezione trasversale di un
testicolo tubulare mostra una struttura cava: dall’esterno verso l’interno abbiamo una lamina basale, uno
spessore più o meno ampio e infine un lume. Il testicolo ampollare o cistico è tipico degli ittiopsidi (pesci sia
cartilaginei sia ossei) e di alcuni anfibi mentre il testicolo tubulare è tipico dei vertebrati terrestri (quindi rettili,
uccelli e mammiferi, uomo compreso).
Abbiamo detto in precedenza che gli spermatogoni vanno incontro ad una serie di fasi di maturazione che
portano alla formazione degli spermatozoi:

Spermatogonio → Spermatocita Primario → Spermatocita Secondario → Spermatidi → Spermatozoo

Il testicolo ampollare o cistico è costituito, come suggerisce il nome, da ampolle o cisti. Ognuna di queste
contiene un tipo cellulare diverso, o meglio, una determinata fase del differenziamento dello spermatogonio;
ci sarà ad esempio una cisti contenente spermatogoni, una cisti contenente spermatociti primari, altre che
conterranno spermatociti secondari e infine delle cisti contenenti spermatozoi. In questo caso dunque si ha via
via la maturazione di gruppi di cellule diversi tra loro.
Nel testicolo di tipo tubulare invece le fasi che portano alla formazione dello spermatozoo, a partire dallo
spermatogonio, si osservano lungo tutto il tubulo, a partire dalla regione basale fino ad arrivare al lume; nella
regione basale ci saranno gli spermatogoni, nella regione intermedia gli spermatociti primari, poi gli
spermatociti secondari e infine gli spermatozoi i quali inizialmente si affacciano nel lume per poi essere
successivamente riversati in esso. Dal lume gli spermatozoi andranno tutti verso i dotti spermatici (epididimo
nel caso dei tetrapodi - nei pesci l’epididimo non c’è), vale a dire i punti di raccolta di tutti i lumi dei tubuli.
Nella fig. 3.9 (b) si osserva il tessuto connettivo (in azzurro) che avvolge il tubulo, un tessuto importante poiché
è in grado di comprimere, di spingere, gli spermatozoi verso il lume. A livello della membrana basale si
osservano dei colori più scuri che stanno ad indicare i nuclei degli spermatogoni; questi nuclei mostrano una
forma arrotondata e una cromatina più dispersa. Man mano che ci si sposta verso la base del lume, le macchie,
i colori, corrispondenti ai nuclei sono più forti. Questo succede perché a questo punto a livello della cellula si
vede quasi esclusivamente il nucleo (il citoplasma è stato eliminato); la cromatina risulta più condensata,
motivo per cui il nucleo appare più evidente e con una forma meno circolare.
In fig. 3.9 è possibile anche osservare una sezione trasversale di un vaso con dei globuli rossi all’interno.
Le immagini che possiamo osservare in basso sono state scattate al microscopio e ritraggono sezioni trasversali
di un testicolo cistico. Si vedono vari raggruppamenti di cellule, ognuno in uno specifico stato di sviluppo; la
maturazione la si riconosce dal nucleo.

57
Le cellule del testicolo: cellule del Sertoli e cellule del Leydig

In questa figura si osserva una sezione di un tubulo, con la base e il lume. A partire dalla lamina basale fino ad
arrivare al lume si osservano nel seguente ordine: spermatogoni, spermatociti primari, spermatociti secondari
e infine gli spermatozoi. Gli spermatozoi sono posizionati in maniera tale che il flagello sporga nel lume e la
testa situata ancora a livello del tubulo; col passare del tempo lo spermatozoo si stacca e cade nel lume.
Il testicolo, sia tubulare che cistico, è costituto - oltre che da cellule sanguigne e da cellule degli endoteli dei
vasi - per la maggior parte da cellule germinali, nelle varie fasi di sviluppo, e da cellule somatiche: le cellule
somatiche tipiche e caratteristiche del testicolo sono le cellule del Sertoli e le cellule del Leydig. Le cellule del
Sertoli si trovano all’interno dell’epitelio del tubulo e rappresentano in un certo senso una struttura portante,
delle trabecole, che sostengono tutta la parete del tubulo stesso.
Le cellule del Leydig vengono anche dette cellule interstiziali in quanto si trovano all’esterno, negli spazi, tra
un tubulo e l’altro.
La figura in alto mostra, a livello della lamina basale, gli spermatogoni, cioè cellule che come abbiamo detto
si dividono per mitosi per poi solo una di esse andare incontro a meiosi (solo una di esse); dopo le due divisioni
meiotiche si originano 4 spermatociti primari che sono ancora collegati tra loro da ponti citoplasmatici (i ponti
citoplasmatici rimangono anche allo stadio di spermatociti secondari). Man mano il citoplasma viene eliminato
e le cellule iniziano ad assumere una forma allungata fino a diventare spermatozoi i quali si affacciano nel
lume; successivamente queste cellule si distaccano l’una dall’altra e vengono riversati nel lume del tubulo.

Nota: i termini “spermatogonio / ovogonio” e “cellula primordiale germinale” possono essere considerati
sinonimi. Volendo però essere precisi, la cellula germinale primordiale è una cellula non ancora differenziata
(quindi non appartiene ancora né alla linea maschile né a quella femminile); nel momento in cui essa si va ad
annidare nella gonade intraprenderà il percorso differenziativo diventando spermatogonio o ovogonio.

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In questa figura si può benissimo notare la lamina basale, la parete del tubulo e il lume. Il tubulo è costituito
da una serie di cellule del Sertoli alle quali aderiscono le cellule germinali; le cellule del Leydig invece si
trovano all’esterno.
Vediamo ora alcune differenze tra le cellule del Sertoli e le cellule germinali:
• Rispetto agli spermatogoni primari, spermatociti e così via, le cellule del Sertoli si distinguono per la forma
(sono molto più grandi).
• Quando lo spermatogonio termina le mitosi i nuclei risultano essere più addensati, più forti, rispetto a
quelli delle cellule del Sertoli.
• La cellula del Sertoli è più grande e presenta molto più citoplasma rispetto alle cellule germinali, anche
dello spermatogonio (lo spermatogonio ha più citoplasma degli spermatozoi).

In basso osserviamo una sezione longitudinale di un testicolo in toto dove non si riconoscono bene i tubuli in
quanto, appunto, trattasi di una sezione longitudinale. Si osserva chiaramente tutta la struttura del testicolo
avvolta dalla tonaca albuginea e l’epididimo a livello del quale vengono raccolti tutti gli spermatozoi. A livello
dell’epididimo avviene la prima fase di “preparazione” dello spermatozoo alla fecondazione (motilità) e
l’esposizione, a livello della regione acrosomiale, dei recettori in seguito all’eliminazioni di strutture di natura
lipidica. La presenza di queste strutture lipidiche che inizialmente coprono i recettori fa sì che la reazione
acrosomiale non avvenga al momento sbagliato (nell’acrosoma sono presenti enzimi litici che possono causare
dei danni); i recettori sono responsabili dei fenomeni di riconoscimento e capacitazione.

59
Ricapitolando, a partire dagli spermatogoni si avranno gli spermatociti primari, gli spermatociti secondari, gli
spermatidi e infine gli spermatozoi.
Gli spermatidi, rispetto agli spermatociti primari e secondari, mostrano un aspetto più allungato. Gli
spermatogoni, gli spermatociti primari e gli spermatociti secondari sono delle cellule dalla forma
rotondeggiante in cui si avrà una riduzione della quantità di citoplasma, l’eliminazione di organuli che non
siano mitocondri e infine l’addensamento della cromatina. Con gli spermatidi, cellule dalla forma allungata,
inizia a formarsi l’assonema; alla fine si avranno gli spermatozoi finali.
In basso possiamo osservare delle sezioni trasversali di tubuli. Quando si disegna la sezione trasversale di un
tubulo per convenzione si usa disegnarlo in maniera circolare; tuttavia è bene sapere che il tubulo può essere
allungato e mostrare una forma leggermente diversa. Al centro dell’immagine presente nel riquadro in alto a
sinistra si osservano le code degli spermatozoi che sporgono verso il lume.

In questa immagine è racchiuso un concetto che abbiamo detto precedentemente. La spermatogenesi,


generalmente, è un processo molto delicato e i testicoli sono degli organi particolarmente sensibili alle sostanze
tossiche. Le immagini ritraggono testicoli di ratti: in basso a destra dei due riquadri superiori possiamo
osservare una lettera “N” mentre in basso a destra dei due riquadri inferiori possiamo leggere “N + DDE”. La
lettera N sta per ratti normali mentre N + DDE indica dei ratti a cui è stata introdotta una piccola quantità di
DDE nel loro cibo per un periodo di 4 settimane. Il DDE rappresenta il metabolita principale dei DDT (in
pratica un pesticida); il DDE si può trovare in natura come prodotto di degradazione del DDT.
Tutti i ratti presi in esame sono dei ratti giovani, in piena maturità sessuale:
• Ratti N: in questo caso i tubuli si trovano in perfetta forma. Si osservano gli spermatogoni, gli spermatociti,
gli spermatidi e infine una quantità enorme di spermatozoi.
• Ratti N + DDE: nei ratti alimentati con DDE lo spessore del tubulo non è chiaramente visibile. La figura
mostra la presenza di una sorta di “buchi” che stanno ad indicare la mancanza di cellule germinali. Il
riquadro in basso a destra mostra come all’interno del tubulo di questi ratti non siano presenti gli
spermatozoi ma cellule degenerate; quindi, in questo caso le cellule non maturano in spermatozoi poiché
è avvenuto il loro sfaldamento che ha poi determinato la loro degenerazione.

60
I testicoli sono costituiti da cellule germinali maschili e da cellule somatiche che sono le cellule del Sertoli e
le cellule del Leydig, cellule che svolgono delle funzioni fondamentali per la spermatogenesi e la riproduzione.
Le cellule del Sertoli presentano le seguenti funzioni:
• Funzione di sostegno: rappresentano l’architettura di base del tubulo. Le cellule del Sertoli sono presenti
anche nel testicolo di tipo ampollare a livello del quale rappresentano una struttura che mantiene le cisti.
• Formazione del compartimento basale e del lume: formano il compartimento basale e il compartimento
del lume.
• Formazione della barriera emato-testicolare: la barriera emato-testicolare è addetta alla protezione delle
cellule germinali da agenti tossici che possono provenire dal il circolo sanguigno (purtroppo non sempre
ci riesce).
• Partecipano alla formazione del fluido testicolare: il fluido testicolare favorisce l’emissione degli
spermatozoi nel lume.
• Funzione di fagocitosi: hanno la capacità di fagocitare i corpi residui della maturazione degli spermatozoi.
Tutto il citoplasma in eccesso eliminato dagli spermatogoni e dagli spermatociti viene fagocitato dalle
cellule del Sertoli. Quindi, le cellule del Sertoli fungono un po’ da spazzini del testicolo.
• Produzione del fattore antimulleriano: la produzione del fattore antimulleriano dimostra che le cellule
del Sertoli sono dotate anche di una funzione ormonale che determina la scomparsa del dotto di Muller
durante l’embriogenesi. Il fattore antimulleriano viene prodotto dalle cellule del Sertoli sotto stimolazione
di Sox9.
• Produzione di proteine che legano gli androgeni: producono, durante tutta la vita dell’organismo, delle
proteine che legano gli androgeni.
• Produzione dei fattori di crescita: i fattori di crescita agiscono e facilitano la maturazione germinale.
• Produzione di attivina e inibina: trattasi di proteine aventi la capacità di regolare tutte le attività del
testicolo e le stimolazioni che avvengono grazie al testosterone, l’ormone maschile per eccellenza.

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4. Lezione del 02/10/2017
Le cellule del testicolo: cellule del Sertoli e cellule del Leydig (continuo)

Nella scorsa lezione abbiamo detto che il testicolo ampollare, o cistico, ha una struttura costituita da ampolle,
o cisti, le quali presentano cellule che si trovano tutte nello stesso stadio differenziativo. Il testicolo tubulare
invece - tipico dei rettili, degli uccelli e dei mammiferi - presenta dei tubuli seminiferi.

62
La figura presente in basso a sinistra a pagina 62 mostra una sezione longitudinale di un testicolo di
mammifero. Esternamente si osserva una tunica albuginea, internamente invece ci sono dei tubuli i cui i lumi
convergono nella cosiddetta rete testis la quale a sua volta converge nell’epididimo. L’epididimo si trova sulla
“testa” del testicolo e convoglia gli spermatozoi verso il dotto efferente; una cosa importante da dire
sull’epididimo è che, oltre a rappresentare una struttura di raccordo da cui poi espellere gli spermatozoi, al suo
interno avviene la prima trasformazione funzionale degli spermatozoi che da immobili diventano mobili.
Il riquadro destro dell’immagine in basso a pagina 62 rappresenta invece una sezione trasversale di un lobulo
in cui si osservano i seguenti elementi.
• Strato di muscolatura liscia: la muscolatura liscia è presente a livello di ciascun tubulo e poi, ovviamente
avvolge il tutto. Questa muscolatura è responsabile della contrazione, quest’ultima facilita il distacco degli
spermatozoi dalle cellule del Sertoli; successivamente avviene il passaggio nel lume fino ad arrivare alla
rete testis e poi all’epididimo.
• Spermatogoni
• Spermatociti primari
• Spermatociti secondari: presentano ancora una forma cellulare arrotondata.
• Spermatidi: gli spermatidi sono cellule che cominciano ad allungarsi. L’allungamento è dovuto dal fatto
che, come si osserva dalla figura, vengono eliminate, disfatte, porzioni di citoplasma dallo spermatidio. Al
termine della fase di maturazione si avrà uno spermatozoo avente la struttura tipica, cioè una testa, il collo
e il flagello.

La struttura del testicolo tubulare è organizzata, dalla zona basale verso il lume, in due compartimenti: un
compartimento basale ed un compartimento ad-luminale (figura in basso).

All’interno di questi tubuli è possibile trovare un unico tipo di cellula somatica, ovvero la cellula del Sertoli.
Queste cellule sono piuttosto grandi che fungono da struttura portante di tutte le cellule germinali
(costituiscono la struttura scheletrica del tubulo). Le cellule del Sertoli prendono contatto tra di loro tramite
giunzioni strette (occludenti), in questo modo determinano la netta distinzione tra il compartimento basale ed
il compartimento ad-luminale. Le giunzioni sono anche responsabili della barriera ematoencefalica.

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Nel compartimento basale si trovano cellule ancora diploidi, ovvero (dal basso verso l’alto della figura):
• Spermatogoni staminali: queste cellule prolifereranno per mitosi.
• Spermatociti primari: gli spermatociti primari hanno cominciato il differenziamento ma non sono ancora
andati incontro a meiosi.

Nel compartimento ad-luminale invece si trovano:


• Spermatociti secondari: rappresentano i prodotti della fase iniziale della meiosi.
• Spermatidi allungati
• Spermatozoi: gli spermatozoi per un certo periodo risulteranno ancora legati alle cellule del Sertoli
dopodiché si staccano da esse per poi cadere nel lume.

Un tubulo può essere rappresentato schematicamente in questo modo.

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In questa figura si osserva la tunica, le cellule del Sertoli (con adese le cellule germinali) e il lume, dove sono
presenti gli spermatozoi. Tra un tubulo e l’altro troviamo delle cellule somatiche interstiziali dette cellule del
Leydig che partecipano alla formazione del testicolo ma non alla formazione del tubulo seminifero (sono
cellule che fanno parte degli spazi interstiziale, quindi degli spazi presenti tra i tubuli, di conseguenza non
prendono connessione con i tubuli veri e propri).
Nella lezione precedente abbiamo visto quanti spermatozoi si possono trovare all’interno di un tubulo
perfettamente funzionante e anche come alcuni prodotti riescano a provocare dei danni alla struttura testicolare
nonostante la presenza della barriera emato-testicolare.
Di seguito sono elencate le funzioni delle cellule del Sertoli:
- rappresentano una struttura scheletrica delle cellule germinali;
- “formano” il compartimento basale e ad-luminale. Con le loro giunzioni tight creano una porzione basale
e una ad-luminale attraverso la quale le sostanze non passano;
- partecipano alla formazione della barriera emato-testicolare;
- producono il fluido testicolare che favorisce l’eliminazione degli spermatozoi;
- fagocitano i corpi residui derivanti dalla spermioistogenesi;
- producono il fattore antimulleriano, ovvero quel fattore che determina la regressione del dotto di Muller
durante l’embriogenesi;
- producono l’ABP protein, una proteina che lega gli androgeni. Tale proteina è fondamentale per il legame
con il testosterone il quale è un ormone che stimola l’attività dei tubuli seminiferi;
- producono fattori di crescita che agiscono sulle cellule germinali determinandone la loro proliferazione e
maturazione;
- producono le proteine attivina e inibina che sono fondamentali per il meccanismo di feedback (cioè di
controllo, di regolazione) di tutta la spermatogenesi.

Ciò che determina la formazione del compartimento basale e ad-luminale, e di conseguenza la formazione
della barriera emato-testicolare, è il fatto che le cellule del Sertoli sono contigue e si agganciano tra loro
formando, a livello del compartimento basale, delle giunzioni strette (figura in basso); nel compartimento ad-
luminale invece ci sono delle giunzioni che permettono un crosstalk tra cellule.

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La presenza di queste giunzioni strette fa sì che ci sia una netta separazione tra il compartimento basale, in cui
le cellule sono ancora allo stadio diploide, dal compartimento ad-luminale. Tutto ciò che, attraverso
l’irrorazione sanguigna, giunge a livello della zona basale raggiungerà poi le cellule del Sertoli senza però
attraversarle, andando in un certo senso a comunicare con le cellule germinali. Quindi tutto ciò che arriva con
il sangue viene filtrato attraverso le cellule del Sertoli; questo rappresenta un sistema di protezione, non bisogna
dimenticare che il sangue potrebbe trasportare farmaci o altre sostanze tossiche.
Altri esempi di protezione sono la barriera ematoencefalica situata a livello del cervello e la barriera emato-
placentare situata tra il sangue materno e il feto.
La barriera emato-testicolare tuttavia non è in grado di offrire protezione per tutte le possibili sostanze tossiche,
infatti lo stesso DDE può provocare dei danni. In questi casi sarebbe importante capire se i danni che
avvengono a questo livello vengono poi, in qualche modo, ereditati alle cellule germinali oppure se determinate
sostanze possono riuscire ad attraversare la barriera emato-testicolare. Tutto ciò che si ritrova nel
compartimento basale non dovrebbe passare nella zona ad-luminale.

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Il testicolo presenta sicuramente una struttura molto particolare. Questa struttura è costituita - escludendo la
parte muscolare, la parte connettivale e il sangue che lo irrora - da cellule germinali e da due tipi di cellule
somatiche: le cellule del Sertoli, situate all’interno dei tubuli, e le cellule interstiziali del Leydig.

In questa immagine possiamo notare le cellule del Leydig presenti negli interstizi tra un tubulo e l’altro.
Vediamo ora quali sono le funzioni importanti di queste cellule:
• Sintesi degli ormoni sessuali maschili di natura steroidea: le cellule del Leydig sono cellule produttrici
principalmente di testosterone. Il testosterone può essere modificato in estradiolo, l’ormone sessuale
femminile per eccellenza; quindi, anche nel maschio una piccola parte di testosterone viene trasformato in
estradiolo.
La stragrande maggioranza del testosterone circolante nei maschi quindi viene formato grazie alle cellule
del Leydig. In realtà bisogna dire che il testosterone può essere prodotto anche dalle cellule della corteccia
surrenale, organo presente sia nei maschi che nelle femmine; dunque, sebbene sia irrisoria, anche nelle
femmine viene prodotta una piccola quantità di testosterone (ricordiamo che nelle femmine, dal momento
che non hanno i testicoli, non sono presenti le cellule del Leydig).
• Le cellule del Leydig agiscono mediante testosterone su:
- cellule germinali attraverso le cellule del Sertoli;
- sulle stesse cellule del Sertoli che espongono la proteina ABP (proteina che lega gli androgeni);
- organi lontani mostrando un effetto tipico ormonale. Le cellule del Leydig trovandosi secernono
ormoni (fondamentalmente testosterone) che possono essere trasportati dal circolo sanguigno (non
bisogna dimenticare che le cellule del Leydig si trovano nella regione interstiziale che è la regione più
irrorata). Quindi l’ormone, una volta prodotto, finisce nel circolo sanguigno, in questo modo può
raggiungere tutto l’organismo; è responsabile, oltre al feedback che vedremo, dei caratteri sessuali
secondari maschili.
- su ipotalamo e ipofisi con una regolazione di tipo feedback.

67
Di seguito è possibile osservare delle immagini che ritraggono cellule del Leydig e la loro localizzazione.

La prima immagine a sinistra è stata ottenuta grazie a un microscopio elettronico a scansione. Si nota una
sezione trasversale di tubuli seminiferi: la parte più scura è formata da cellule, la parte più interna è il lume del
tubulo mentre al centro ci sono le cellule del Leydig.
La figura centrale è stata ottenuta tramite microscopio ottico a trasmissione (si notano il nucleo e tutti gli altri
organuli).
A livello delle cellule del Leydig avviene la trasformazione del colesterolo in testosterone in varie fasi
(immagine a destra). Tutti gli ormoni steroidei, sia quelli maschili (testosterone) che femminili (17-β-
estradiolo), derivano dal colesterolo. Dal colesterolo, grazie all’azione di tutta una serie di enzimi, si arriva al
testosterone il quale per aromatizzazione dà origine all’ormone femminile estradiolo (terza immagine della
figura). Senza colesterolo gli ormoni sessuali non potrebbero esistere.

68
Controllo della spermatogenesi
La spermatogenesi è regolata in maniera molto
precisa. Nella regolazione della spermatogenesi e
dell’ovogenesi è coinvolto il seguente asse
endocrino: l’asse ipotalamo-ipofisi-gonade (la
gonade può essere maschile o femminile). Nel
controllo della spermatogenesi, e dell’ovogenesi,
sono dunque coinvolti 3 sistemi diversi: il
sistema nervoso (attraverso l’ipotalamo), il
sistema endocrino (attraverso l’ipofisi) e il
sistema genitale (attraverso le gonadi). Le gonadi
sono considerate delle ghiandole endocrine a tutti
gli effetti dal momento che producono esse stesse
degli ormoni; dunque, le gonadi sono organi che
presentano una duplice funzione, quella di
produrre gameti maschili o femminili e quella di
produrre ormoni. In virtù di ciò ne consegue che
le gonadi fanno parte di due sistemi: il sistema
endocrino e il sistema riproduttivo.
Il controllo della spermatogenesi inizia nel
momento in cui ci sono stimolazioni interne o
esterne. Nella specie umana il controllo della
spermatogenesi inizia a seguito di stimolazioni
interne che avvengono con il passaggio dall’età
infantile alla pubertà; negli animali a
riproduzione stagionale (estate o inverno) invece
la regolazione della spermatogenesi comincia
grazie a stimolazioni esterne. In quest’ultimo
caso vanno considerati fattori ambientali come ad
esempio i cambiamenti di temperatura o a un
fotoperiodo diverso. In seguito all’azione di
questi fattori, di questi stimoli, l’ipotalamo
determina la produzione di GnRH (fattore di
rilascio delle gonadotropine ipofisarie) il quale agendo sull’ipofisi fa sì che vengano prodotte due
gonadotropine ipofisarie (il nome gonadotropina sta ad indicare l’effetto stimolante sulle gonadi): FSH,
l’ormone stimolante, e LH, l’ormone luteinizzante. L’FSH e LH sono due gonadotropine di natura proteica
(cioè sono delle proteine) a differenza degli steroidi testosterone ed estradiolo che invece presentano acidi
grassi. I termini non hanno nulla a che vedere con il testicolo, in quest’ultimo infatti non si parla né di follicolo
né di corpo luteo (parleremo di follicolo e di corpo luteo quando studieremo le gonadi femminili). L’FSH e
LH sono stati ampiamente studiati nel ciclo ormonale femminile in cui si è vista la loro azione sulla
stimolazione del follicolo - azione che porta alla formazione delle cellula uovo - e del corpo luteo il quale nei
mammiferi è responsabile dell’impianto dello zigote nell’utero. Nella linea femminile l’ormone stimolante è
coinvolto nella fase iniziale, cioè in quella fase di stimolazione e formazione della cellula uovo, mentre quello
luteinizzante entra in gioco successivamente.

69
Studi condotti nella linea maschile hanno tuttavia dimostrato che queste due gonadotropine sono coinvolte
anche nella spermatogenesi. Nella spermatogenesi l’FSH è l’ormone che:
• determina lo “start” della spermatogenesi, l’avvio del processo di maturazione. L’FSH stimola tantissimo
la proliferazione degli spermatogoni ancora in mitosi e l’inizio del differenziamento, vale a dire il
passaggio da spermatogonio a spermatocita primario;
• determina a livello delle cellule del Sertoli:
- la produzione della proteina che legherà il testosterone (un androgeno);
- la mitosi, intesa come la formazione stessa delle cellule del Sertoli;
- la secrezione delle proteine che stimolano la steroidogenesi (produzione di testosterone).

LH invece agisce direttamente sulle cellule del Leydig determinando la produzione di testosterone.
Il testosterone è responsabile della maturazione spermatogoniale. Mentre l’FSH controlla per lo più la
proliferazione, il testosterone controlla la spermioistogenesi, cioè la fase secondaria (fasi di mitosi e
maturazione degli spermatozoi).
Nella figura 3.18 si osservano tutti quelli che sono i meccanismi di feedback. Nelle cellule del Sertoli il
testosterone, che si lega attraverso l’ABP protein, viene aromatizzato in estradiolo (E2), l’ormone sessuale
femminile. La produzione degli estrogeni determina un feedback negativo: un’elevata concentrazione di
estrogeni nel sangue circolante della linea maschile determina il blocco della produzione di FSH e LH; questo
meccanismo di feedback viene anche controllato da altre due proteine che sono l’inibina e l’attivina. Entrambe
vengono prodotte dalle cellule del Sertoli e determinano, con una sorta di equilibrio instabile, il feedback
positivo o negativo, cioè danno segnali di ripresa o di blocco della produzione di FSH e LH. In questo modo
si fa sì che tutto il sistema sia sempre in equilibrio e che non ci sia mai una quantità eccessiva di testosterone
o estradiolo in circolo.
In basso possiamo osserviamo uno schema riassuntivo di ciò che è stato detto. Gli androgeni sono gli ormoni
sessuali maschili che vengono prodotti dalle cellule del Leydig. Non agiscono localmente ma in maniera
endocrina, cioè vengono messi in circolo agendo sui testicoli stessi oppure su altri organi (cervello e ipotalamo
compresi).
Gli estrogeni sono gli ormoni sessuali femminili che agiscono perlopiù sulle cellule in mitosi determinando la
proliferazione delle cellule mitotiche che nel caso del testicolo sono gli spermatogoni. Vengono prodotti dalle
cellule del Sertoli e agiscono per via paracrina (localmente).

70
Ovogenesi

Tipi di ovario
Con l’ovogenesi si ha la formazione (la genesi) della cellula uovo, processo che avviene nell’ovario. L’ovario
presenta una struttura più complessa del testicolo e può essere di due tipi: compatto o a grappolo.

L’ovario a grappolo viene così chiamato


proprio per la sua struttura a grappolo e
possiamo trovarlo in vari vertebrati (in figura è
rappresentato un ovario di lucertola, un rettile).
Nell’immagine si notano follicoli di dimensioni
differenti, quelli più grandi sono follicoli in
fase di maturazione; il tutto è avvolto da una
membrana connettivale. Il colore rosso
presente in figura indica l’irrorazione
sanguigna dell’organo.
Nell’ovario compatto, tipico dei mammiferi
(uomo compreso), i follicoli non sporgono
all’esterno ma sono praticamente all’interno
dell’ovario. In figura si osservano follicoli in
varie fasi di maturazione.
Gli ovogoni, le cellule germinali primordiali,
vanno a colonizzare l’abbozzo della gonade
fermandosi perlopiù nella regione corticale
(figura a fianco). Una volta colonizzato la
gonade queste cellule diventano “cellule
stabili”, cioè sono cellule diploidi che non
vanno incontro a divisione mitotica. Quindi, queste cellule, prima ancora di cominciare le divisioni meiotiche,
perdono la capacità di dividersi per mitosi. Mentre nella linea germinale maschile è possibile trovare degli
spermatogoni staminali, nella linea germinale femminile non si ritrovano ovogoni staminali.

71
Testicolo ed ovaio
Il testicolo e l’ovario si distinguono anche per la
seguente caratteristica: mentre nel testicolo vi sono
molte cellule germinali e poche cellule somatiche
(distinguibili nei due tipi precedentemente descritti)
nell’ovario ci sono poche cellule germinali
circondate da molte cellule somatiche. Il tutto
rappresenta il follicolo (immagine a destra): quindi,
ogni follicolo è costituito da una cellula germinale e
da una serie di cellule somatiche circostanti le quali
partecipano alla maturazione dell’ovocita.
Durante l’ovogenesi si ha la regressione del dotto di
Wolff (immagine in basso a destra). Quest’ultimo
forma il dotto deferente in cui passano gli
spermatozoi, quindi una struttura non necessaria
nella linea femminile. Il dotto di Muller nella
femmina invece rimane, trovandosi in un certo
senso, in quanto non si toccano, “a stretto contatto”
con gli ovari; contribuisce alla formazione degli
ovidotti, cioè le vie efferenti dell’uovo.
A pagina 73 possiamo osservare un’immagine (la
prima in alto) che ci mostra un’altra grande
differenza tra spermatogenesi e ovogenesi,
differenza che sbilancia il rapporto cellule sessuali
maschili e femminili. Mentre con la spermatogenesi
da uno spermatocita primario si formano 4
spermatozoi, nell’ovogenesi da un ovocita primario
si forma una sola cellula uovo; le altre 3 cellule, che
in teoria dovrebbero formarsi, degenerano. Quella
quantità di DNA che nei maschi viene utilizzata per
formare altri 3 spermatozoi, nelle femmine viene
eliminata, espulsa, sotto forma di globuli polare.
Dunque, da un ovogonio si forma una cellula uovo e
3 globuli polari che molto spesso si trovano ancora
legati alla cellula uovo. Il risultato finale sarà una
cellula aploide e 3 globuli polari che verranno poi
eliminati. È importante notare che alla fine di tutto
questo processo un’unica cellula, cioè la cellula
uovo, mantiene il corredo citoplasmatico della
cellula germinale primordiale (i vari organuli e
apparati vengono ereditati). La cellula uovo quindi,
a differenza dello spermatozoo, presenta una certa
quantità di citoplasma all’interno del quale si trova
tutta una serie di molecole informazionali necessarie
al corretto sviluppo dell’embrione. Sulla cellula
uovo cade dunque il compito di portare in dote una
serie di molecole che sono necessarie alle prime fasi
dell’embriogenesi. Lo spermatozoo invece porta
esclusivamente l’informazione genetica.

72
Vertebrati con differenti modalità riproduttive

Non abbiamo ancora finito di elencare le differenze esistenti tra spermatogenesi e ovogenesi. La
spermatogenesi è un processo che avviene in maniera molto simile in tutte le classi di vertebrati (un discorso
che in realtà si potrebbe allargare anche agli invertebrati). Nell’ovogenesi, invece, il processo di maturazione
dell’ovogonio in cellula uovo matura e fecondabile varia in base al tipo di riproduzione a cui va incontro una
determinata specie. Le cose cambiano a seconda che la specie sia ovipara, ovovivipara e vivipara. Vediamo
ora quali sono le differenze tra questi tipi di riproduzione.
• Oviparità: le specie ovipare si riproducono espellendo delle uova le quali, all’atto dell’espulsione, possono
essere già fecondate oppure la fecondazione può avvenire in un secondo momento (parliamo quindi di
fecondazione interna o esterna). Avvenuta la fecondazione lo sviluppo può essere diretto o indiretto fino
ad arrivare alla nascita dell’organismo.

73
• Ovoviviparità: nelle specie ovovivipare la cellula uovo prodotta dalla gonade viene messa negli ovidotti
dove verrà fecondata. Lo zigote rimarrà all’interno del corpo materno a livello degli ovidotti dove lo
sviluppo embrionale avanza e si completa; alla fine si avrà una sorta di parto a tutti gli effetti.
• Viviparità: la viviparità è una modalità di riproduzione tipica dei mammiferi. La cellula uovo, una volta
fecondata a livello degli ovidotti, si impianta nell’utero e prende strettamente contatto con il corpo
materno. A questo punto è opportuno precisare che la viviparità non va confusa con l’ovoviviparità. Con
l’ovoviviparità l’embrione non gode dell’aiuto, dell’apporto, del corpo materno ma si sviluppa grazie
all’uso del contenuto della cellula uovo. Tuttavia ciò non è sempre vero, infatti negli ovidotti possono
essere presenti sostanze nutritive oppure in alcuni casi possono avvenire fenomeni di embriofagia,
fenomeni tipici negli squali. Gli squali sono fondamentalmente delle specie ovipare (possono essere anche
ovovivipare), lo sviluppo è diretto, le uova prodotte sono grandi e ricche di sostanze nutritive destinate
all’embrione; le uova vengono rilasciate in mare e danno origine ad un organismo identico al genitore. In
alcuni squali però le uova presentano un guscio più piccolo e vengono trattenute a livello degli ovidotti;
molto spesso il piccolo che si trova nell’ovidotto fuoriesce dal guscio prima ancora che lo sviluppo sia
terminato. Dal momento che il nuovo individuo esternamente non ha più a disposizione le sostanze
nutritive presenti nel guscio, per sopravvivere attaccherà e mangerà i suoi fratelli (gli altri embrioni); il
termine embriofagia deriva proprio da questo (nutrimento di altri embrioni). Per quanto questo possa
sembrare un’azione cruenta, si tratta di una strategia di sopravvivenza che permette di dare alla luce ad
esempio un individuo sano, forte, e non 4-5 individui che invece potrebbero avere delle carenze ed essere
facilmente sopraffatti dai predatori. Nelle specie vivipare l’apporto nutrizionale arriva dal corpo materno.

Tuorlo e dimensioni delle uova


Le modalità riproduttive appena descritte sono
strettamente collegate al tipo di uovo che si
ritrova nelle specie.
Tra spermatogenesi e ovogenesi esistono
differenze, tra le altre cose, anche in termini di
dimensioni dei gameti (spermatozoo e cellula
uovo). Gli spermatozoi sono delle cellule
estremamente piccole, talmente piccole che per
poter apprezzare la loro struttura bisogna
ricorrere alla microscopia elettronica (discorso
che vale per tutte le specie). La cellula uovo
invece presenta dimensioni sono variabili. Si
parte da valori di dimensioni inferiori a 140 µm
(queste cellule sono visibili con microscopia
ottica anche se quella elettronica risulta più indicata) fino ad arrivare a valori maggiori di 1 cm come nel caso
dei grandi rettili e dei grandi uccelli. L’uovo di struzzo è di circa 15 cm, quello di gallina è di 3-4 cm mentre
quello di un anfibio ha una dimensione di pochi mm; tutte queste uova sono osservabili ad occhio nudo. Le
dimensioni delle uova sono strettamente correlate al tipo di riproduzione.
Il tuorlo o vitello è una sostanza nutritiva presente all’interno della cellula uovo. In base alla sua quantità
presente possiamo distinguere diversi tipi di uova.
• Uova alecitiche: uova molto piccole, tipiche delle specie vivipare (stragrande maggioranza dei
mammiferi). Queste uova non contengono sostanze nutritive destinate all’embrione; le sostanze nutritive
provengono dal corpo materno.
• Uova oligolecitiche o isolecitiche: appartengono a questa categoria le uova di riccio di mare. Le uova
oligolecitiche contengono una bassa quantità di tuorlo e hanno dimensioni di circa 150 µm; lo sviluppo
embrionale è molto breve e l’embrione si trasforma in una larva. Quindi, esistono specie ovipare con
sviluppo indiretto.

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• Uova mesolecitiche: tipiche degli anfibi, in questo tipo di uova si inizia ad osservare una certa quantità di
vitello in quanto è richiesta nelle prime fasi embrionali. Anche in questo caso lo sviluppo è indiretto ma la
forma larvale è molto più complessa rispetto a quella osservabile nelle specie con uova isolecitiche.
• Uova megalecitiche o telolecitiche: uova tipiche degli organismi ovipari in cui lo sviluppo è diretto.
Durante lo sviluppo l’embrione non riceverà nutrimento dalla madre e non passerà neanche attraverso una
fase larvale, questo perché la larva di riccio di mare (detta larva pluteo) o quella di anfibio (detta girino)
è un piccolo organismo diverso dall’adulto che riesce a nutrirsi in maniera autonoma; ne consegue che
l’accrescimento e tutto ciò che è necessario per la metamorfosi avviene senza l’aiuto materno. Negli
organismi ovipari con sviluppo diretto l’uovo deve sopperire a tutte le esigenze, dalle fasi embrionali fino
a quando il nuovo organismo completa il suo sviluppo; egli, una volta fuoriuscito, sarà pressoché identico
al genitore. Tutto questo richiede, oltre che ad un periodo di sviluppo più lungo, una grande quantità di
materiale nutritivo, motivo per cui la dimensione dell’uovo è strettamente connessa alle dimensioni
dell’adulto. Ad esempio l’uovo di struzzo è più grande dell’uovo di gallina in quanto le dimensioni dello
struzzo adulto sono maggiori delle dimensioni della gallina adulta; a sua volta le dimensioni dell’uovo di
gallina sono maggiori di quelle della quaglia perché le dimensioni della gallina adulta sono maggiori delle
dimensioni della quaglia adulta.

In questa figura possiamo osservare delle uova di alcuni organismi. In particolare abbiamo:
- Figura 1: uovo alecitico di mammifero ancora in sede a livello di un follicolo maturo (visione al
microscopio).
- Figura 2: uovo isolecitico di riccio di mare (visione al microscopio).
- Figura 3: uova mesolecitiche di alcuni pesci.
- Figura 4: uova di tartaruga.
- Figura 5: uova di squalo con la loro forma particolare.
- Figura 6: uova di anfibi riconoscibili grazie alla doppia colorazione.
- Figura 7: uova di rettili.
- Figure 8, 9 e 10: uova di uccelli (da quelle di gallina a noi ben note fino ad arrivare a quelle di struzzo).

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Da come si può notare, le differenze tra i vari tipi di uova in termini di dimensioni possono essere notevoli.
C’è da dire che le uova possono differire anche per un’altra caratteristica molto importante, vale a dire la
presenza o meno di un involucro esterno. Dalle foto a pagina 75 possiamo osservare:
- uova senza involucro;
- uova aventi una sottile membrana;
- uova con una struttura gelatinosa avente una funzione di protezione;
- uova aventi un vero e proprio involucro sotto forma di guscio. Quest’ultimo può avere forme diverse ed
essere più o meno rigido (ad esempio una struttura calcarea tipica degli uccelli oppure di tipo membranoso
come quella di alcuni rettili).

Ovogenesi e meiosi

La meiosi rappresenta una fase importante dell’ovogenesi. L’ovogenesi si distingue dalla spermatogenesi
anche per il fatto che molto spesso, nella stragrande maggioranza dei casi, la meiosi non viene completata. Gli
spermatozoi, immessi nella rete testis e che raggiungono poi l’epididimo, sono cellule aploidi, cellule in cui
quindi la meiosi viene completata. Nel caso della cellula uovo è bene innanzitutto precisare che ciò che viene
definito cellula uovo in realtà è ancora un ovocita. Cellula uovo e ovocita non sono sinonimi: la cellula uovo
è una cellula aploide (corredo cromosomico dimezzato) mentre l’ovocita è una cellula che si trova ancora in
meiosi, cioè una cellula in cui le fasi di divisione meiotica non si sono ancora completate (il corredo
cromosomico può non essere ancora dimezzato). Nel momento in cui inizia la meiosi ha inizio il processo di
maturazione ovocitaria.
Mentre la spermioistogenesi porta alla formazione di una cellula aploide di dimensioni molto piccole e priva
di citoplasma, nell’ovogenesi non solo si ha l’inizio e, in alcuni casi, il completamento della meiosi ma anche
l’accrescimento ovocitario; quindi, man mano che l’ovocita matura esso accresce fino a raggiungere le
dimensioni tipiche di quella specie.
La meiosi può essere completa oppure bloccarsi in alcune fasi (può bloccarsi quando si forma l’ovocita
primario, nella metafase della prima divisione meiotica oppure nella metafase della seconda divisione
meiotica). Quando la meiosi è completa possiamo dire che in quella specie sono presenti delle uova; è il caso
degli cnidari e del riccio di mare (le uova che la femmina di riccio di mare emette all’esterno sono
effettivamente uova).
Per quanto riguarda gli anfibi e i mammiferi è comune affermare che “lo spermatozoo incontra la cellula uovo
a livello degli ovidotti”; è bene sapere che tale affermazione non è corretta in quanto lo spermatozoo incontra
l’ovocita secondario e non la cellula uovo. Questo perché la cellula non ha ancora completato il processo
meiotico, completamento che avverrà solamente con l’ingresso dello spermatozoo.

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Con l’avvento delle mestruazioni a fine ciclo ciò che viene emesso è l’ovocita secondario insieme alla parte
dell’endometrio che si era preparato, in questo caso inutilmente, ad un eventuale impianto; dal momento che
non è avvenuto l’incontro con lo spermatozoo la meiosi non si è completata.
Anche per gli anfibi vale lo stesso discorso che abbiamo appena fatto per i mammiferi. Le uova deposte dalla
femmina non si chiamano cellule uova ma ovociti secondari i quali completeranno la meiosi solo con l’arrivo
dello spermatozoo; in seguito il globulo polare viene espulso e avviene la fusione tra il pronucleo maschile e
femminile.
Vi sono specie, è il caso di alcuni nematodi e molluschi, in cui lo spermatozoo incontra non l’ovocita
secondario ma addirittura un ovocita primario. Anche a livello dell’ovocita primario la meiosi sarà completa
solo nel momento in cui ci sarà l’incontro con lo spermatozoo; successivamente avverrà poi la fecondazione
vera e propria.
Questo tipo di strategia permette, detto molto banalmente, di “evitare perdite di tempo”: risulta infatti inutile
completare un processo meiotico, peraltro complesso, se poi alla fine la fecondazione non avviene. Il
completamento della meiosi senza successivo ingresso dello spermatozoo risulterebbe una strategia ancora più
svantaggiosa per quelle specie che emettono all’esterno un grande numero di uova e per le quali inoltre è
richiesto un periodo di tempo maggiore per raggiungere la maturazione. Dunque, se avviene l’incontro con lo
spermatozoo il processo di ovogenesi viene completato, in caso contrario il tutto rimane bloccato.
L’ovogenesi è un processo bloccato, regolato, da una serie di segnalazioni. Esistono degli elementi, dei
messaggeri, in grado di codificare dei segnali provenienti dallo spermatozoo.
Nei mammiferi si è visto che la meiosi dell’ovocita secondario è bloccata a causa dell’assenza di un fattore di
promozione della meiosi, un fattore che promuove la divisione (fattore di promozione che peraltro è lo stesso
della mitosi).

Il progesterone, uno degli ormoni coinvolti nell’impianto della blastocisti nell’utero, induce la produzione di
una proteina che a sua volta è responsabile della formazione del fattore di promozione della divisione meiotica
(sblocco e completamento della meiosi).
Ma non solo i fattori, anche la sola presenza di calcio (onda di calcio) può determinare il completamento della
meiosi; infatti, all’atto della fecondazione si ha la rottura di alcuni granuli corticali che contengono calcio il
quale, una volta rilasciato, è coinvolto nello sblocco della meiosi. Dunque, può esserci un controllo di tipo
chimico (attraverso delle sostanze chimiche) oppure un controllo dovuto ad una semplice depolarizzazione in
seguito all’onda di calcio che si ha con l’ingresso dello spermatozoo (normalmente si verificano entrambe le
situazioni, inoltre il rilascio del calcio dai granuli corticali è importante anche per il blocco della polispermia).
La cellula uovo è una cellula molto complessa. Questa cellula porta con sé, oltre al nucleo aploide, tutto il
citoplasma che ne deriva dall’ovocita in cui sono presenti gli organuli, i lisosomi, i mitocondri, l’apparato del
Golgi, il reticolo endoplasmatico, insomma tutto ciò che normalmente si ritrova in una cellula.

77
Tuttavia bisogna dire che la cellula uovo è un qualcosa di diverso rispetto ad una normale cellula somatica in
quanto deve contenere tutte quelle proteine essenziali e molecole informazionali che permettono le fasi iniziali
dello sviluppo del nuovo individuo, il corretto inizio dell’embriogenesi e la corretta regolazione dello sviluppo
stesso.
Subito dopo la fecondazione, come vedremo nelle prossime lezioni quando studieremo le varie fasi
dell’embriogenesi, avvengono tante divisioni mitotiche molto rapide che, come sappiamo, danno origine a
nuove cellule in maniera esponenziale. Quindi, tante divisioni mitotiche significa formazione di tante cellule
per le quali sono richieste molte membrane plasmatiche (quindi proteine e acidi grassi) e i vari organuli; detto
ciò, risulta piuttosto ovvio il perché all’interno della cellula uovo sia presente una serie di elementi, di strutture,
che consentono la formazione del nuovo individuo durante lo sviluppo embrionale.
Nella cellula uovo è inoltre presente, ancor prima della fecondazione, il tuorlo (detto anche vitello), una
sostanza nutritiva destinata esclusivamente alla nutrizione dell’embrione.
In base a quanto detto finora, non possiamo far altro che ribadire che l’ovogenesi è un processo molto più
complesso e dispendioso della spermatogenesi; è proprio per questo motivo che gli spermatozoi prodotti con
la spermatogenesi sono una quantità enorme (milioni e milioni) a differenza delle cellule uova che sono invece
un numero ben definito.

Durante l’accrescimento ovocitario il nucleo dell’ovocita è molto attivo. Nella spermatogenesi è possibile
riconoscere le varie fasi - durante le quali si formano gli spermatociti, gli spermatidi e infine gli spermatozoi -
in base ai diversi livelli di condensazione del nucleo; la cromatina infatti appare sempre più condensata (ad
esempio, lo spermatidio mostra un nucleo nero, addensato). Nel caso della cellula uovo invece la situazione è
esattamente l’opposta. Durante l’ovogenesi l’ovocita si trova in piena trascrizione, tant’è vero che si osservano
i cosiddetti cromosomi a spazzola o lampbrush, ovvero dei cromosomi che presentano una serie di filamenti
vicini tra loro. In questa fase avviene la trascrizione dei geni i cui trascritti che ne derivano in parte verranno
tradotti dando origine alle rispettive proteine e in parte rimarranno come messaggeri o molecole di RNA. Ecco
spiegato il perché nell’ovocita si ritrova una grande quantità di trascritti per proteine, rRNA, etc.

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I cromosomi a spazzola o anche, con un termine inglese, cromosomi lampbrush, presentano espansioni laterali
a forma di ansa che conferiscono a questi cromosomi un aspetto piumoso. Indagini autoradiografiche hanno
permesso di mostrare che questi cromosomi sono sede di un’intensa sintesi di RNA. Immagini al microscopio
elettronico dei cromosomi a spazzola hanno anche consentito di osservare catene di RNA che si staccano da
ogni gene in trascrizione. L’ansa, infatti, è costituita da un filamento centrale che corrisponde a una molecola
di DNA unita a proteine, ed è attiva nel trascrivere gli mRNA. Dall’ansa si dipartono sottili fibrille di materiale
ribonucleoproteico più corte nel tratto che corrisponde all’inizio dell’ansa e più allungate man mano che la
trascrizione del gene procede.

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Nella figura in basso possiamo osservare i loop della trascrizione, il messaggero che sta nascendo (RNA in
formazione) a partire dal DNA. Il genoma si trova in attiva trascrizione, infatti si vedono chiaramente le zone
di trascrizione (inizio e fine di una trascrizione).

Il riquadro in alto a sinistra della figura presente in basso è rappresentato un grafico che indica l’arricchimento
di DNA, RNA, vitello (laddove l’uovo lo richieda) e di rRNA (importanti per la traduzione dei messaggeri in
proteine) nella cellula uovo al trascorrere del tempo di accrescimento.

80
Vitellogenesi

La cellula uovo, ad eccezione delle uova alecitiche dei mammiferi placentati, si arricchisce, tra le altre cose,
anche di vitello. Il vitello o tuorlo è il materiale nutritivo per eccellenza dell’embrione durante il suo sviluppo
ed è formato fondamentalmente da una proteina detta vitellogenina, una glicofosfolipoproteina a cui sono
legati lipidi, fosfati e zuccheri. La vitellogenina trasporta all’interno della cellula uovo:
• Amminoacidi: essenziali per la formazione delle proteine.
• Lipidi: essenziali per la struttura delle membrane plasmatiche.
• Fosfati: essenziali per la formazione dell’ATP.
• Zuccheri: fonte di energia per le cellule.

La vitellogenina presenta all’interno della sua struttura due atomi di calcio e due atomi di zinco. La
vitellogenina fornisce quindi all’embrione - oltre agli amminoacidi, ai lipidi, etc. - anche zinco e calcio,
indispensabili rispettivamente come cofattori di numerosi enzimi (primi fra tutti DNA polimerasi e RNA
polimerasi) e per la formazione delle strutture scheletriche.
È bene sapere che quando si parla di vitello in realtà si parla di una “vitellogenina modificata”. Quest’ultima
è una proteina che viene sintetizzata a livello del fegato e non a livello ovocitario (in quest’ultimo caso può
essere prodotta in piccolissima parte in alcuni casi). Nelle femmine appartenenti a specie che producono uova
con vitello, parallelamente all’accrescimento ovocitario avviene anche la vitellogenesi, ovvero il processo di
formazione di vitello che comincia a livello del fegato. La vitellogenina secreta dal fegato viene immessa nel
circolo sanguigno attraverso il quale raggiunge la gonade dove viene internalizzata nell’ovocita,
accumulandosi sotto forma di placchette di vitello. Dunque a questo punto si parla di placchette di vitello e
non più di vitellogenina dal momento che quest’ultima, generalmente, a livello dell’ovocita viene subito scissa
in componenti più piccole (fosvitina, ribovitellina) facilmente compattabili e conservabili. Durante lo sviluppo
embrionale, al momento opportuno, le placchette di vitello vengono scisse da enzimi specifici presenti
nell’ovocita nei costituenti fondamentali (amminoacidi, zuccheri e così via) i quali verranno poi
successivamente utilizzati dall’embrione.
Il vitello dunque rappresenta una dispensa, il materiale di riserva, dell’embrione.

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La produzione di vitellogenina che avviene a livello del fegato è un processo molto dispendioso, ragion per
cui avviene solamente al momento opportuno. La sintesi di vitellogenina viene regolata a livello ormonale
dove l’estrogeno (ormone sessuale femminile per eccellenza) determina, nel momento in cui si trova in circolo,
la produzione di vitellogenina da parte delle cellule epatiche. A livello della gonade, durante l’accrescimento
ovocitario arriva un segnale che induce le cellule follicolari a produrre estrogeno il quale, una volta immesso
nel circolo sanguigno, arriva al fegato; il fegato comincia a produrre vitellogenina la quale una volta messa in
circolo raggiunge la gonade dove viene internalizzata.
Il gene della vitellogenina è un gene:
- Inducibile: cioè un gene che viene indotto da una sostanza.
- Tessuto-specifico: viene indotto fondamentalmente nelle cellule epatiche.
- Dipendente dall’ormone (estrogeno).
- Sesso-specifico: dal momento che il gene della vitellogenina viene indotto dagli estrogeni possiamo dire
che la sesso-specificità e l’ormone dipendenza sono strettamente correlate.

Nelle specie in grado di riprodursi solamente nel periodo estivo - come ad esempio le tartarughe (specie ovipare
con uova ricche di vitello) o gli uccelli che depongono le uova nel nido - il gene inducibile della vitellogenina
è ovviamente presente non solo durante il periodo riproduttivo ma anche per tutto il resto dell’anno (ricordiamo
che tutte le cellule di un determinato organismo presentano lo stesso genoma).
Durante alcuni esperimenti in cui furono iniettati estrogeni in maschi di tartaruga si vide che questi iniziarono
a produrre vitellogenina. La vitellogenina nei maschi ovviamente non ha alcuna utilità dal momento che
l’ovocita non è presente, tuttavia questi esperimenti hanno dimostrato che il gene inducibile della vitellogenina
è presente anche nei maschi dove però è silente in quanto non indotto. Nelle femmine invece, durante il periodo
degli amori e dopo che l’asse ipotalamo-ipofisi-gonade entra in funzione, l’FSH stimola la produzione di
estrogeni i quali vanno a stimolare il fegato con conseguente produzione di vitellogenina; quindi, si tratta di
un meccanismo a feedback che viene controllato dagli ormoni. Da come possiamo notare dalla figura presente
a pagina 69, l’ipotalamo stimola attraverso il GnRh la produzione di FSH il quale, a livello delle cellule
follicolari, determina la produzione degli estrogeni; quest’ultimi stimolano il fegato a produrre vitellogenina
la quale per fagocitosi viene internalizzata nelle cellule follicolari e infine arriva nell’ovocita che la incamera.
La figura in basso mostra le placchette della micropinocitosi. Si notano le vescicole rivestite da clatrina che
permettono l’internalizzazione della vitellogenina.

82
La vitellogenesi negli anfibi e negli insetti

La vitellogenesi è stata studiata in molti organismi tra cui gli anfibi e i rettili. È un processo che praticamente
avviene in tutte le specie ovipare e ovovivipare, e la quantità di vitello può variare in base al tipo di uova. Il
ciclo è sempre lo stesso: si parte dalla produzione a livello della gonade del 17 β-estradiolo, un ormone
femminile che stimola il fegato a produrre vitellogenina la quale è responsabile della formazione del vitello
una volta internalizzata nell’uovo (figura in alto).
La vitellogenesi non è un processo tipico dei vertebrati, infatti è presente anche negli invertebrati laddove siano
presenti uova contenenti materiale nutritivo (le proteine possono essere più o meno simili). La vitellogenesi è
stata particolarmente studiata negli insetti, organismi in cui tale processo avviene in maniera piuttosto simile.

83
Negli insetti, partendo dai corpora allata (elementi omologhi alla struttura nervosa, ipotalamica, degli anfibi)
si ha la sintesi dell’ormone stimolante la cui azione sulla gonade femminile determina la produzione
dell’ecdisone, un omologo dell’estrogeno; l’ecdisone va a stimolare i corpi grassi, degli analoghi del fegato, e
si ha la produzione di vitellogenina. Ci si rende conto dunque che anche negli insetti (degli invertebrati) la
vitellogenesi è un processo controllato da ormoni ed avviene in maniera molto simile a quanto visto negli
anfibi.

La vitellogenina come biomarker di contaminazione ambientale


La presenza o meno di vitellogenina nel circolo sanguigno di organismi di sesso maschile molto spesso viene
utilizzata come biomarker di contaminazione ambientale. Nel nostro caso il termine biomarcatore (o marker)
indica una sorta di “evidenziatore biologico”, cioè una sostanza biologica (ad esempio una molecola o una
proteina) in grado di evidenziare una contaminazione di tipo ambientale. Un esemplare maschio di lucertola,
ad esempio, sappiamo che non può mai presentare vitellogenina nel suo organismo in quanto appunto maschio,
neanche se esso si trova nella stagione degli amori, quindi in piena spermatogenesi. Se però in questo esemplare
maschio viene trovata vitellogenina (la presenza di vitellogenina può essere rilevata o in seguito ad analisi di
un campione sanguigno o andando a verificare a livello del fegato la presenza del relativo mRNA o della stessa
proteina, oppure eseguendo un saggio plasmatico) allora è possibile dedurre che lo stesso sia venuto a contatto
con degli estrogeni i quali hanno stimolato la sintesi di vitellogenina (il contatto difficilmente può avvenire
bevendo acqua in quanto gli estrogeni sono delle sostanze idrofobiche). Dunque, la presenza di vitellogenina
nei maschi è sintomo di inquinamento da estrogeni. Esiste tutta una categoria di sostanze (come ad esempio
sostanze plastiche, diossina, molti detergenti usati per la cura della pelle, etc.) in cui sono presenti delle
molecole che possono fungere da Xenoestrogeni, cioè degli estrogeni esterni che possono essere introdotti
all’interno di un organismo. L’assunzione di estrogeni dall’esterno nelle femmine può essere causa di una
pubertà anticipata (anticipata maturazione sessuale); risulta molto difficile discriminare gli estrogeni esterni
dalla grande quantità di estrogeni che si trovano all’interno di un organismo. Considerando sempre le lucertole
come esempio, la discriminazione tra estrogeni interni e quelli derivanti dall’esterno potrebbe essere fatta
effettuando uno screening di tutte le femmine, facendo una media della quantità di estrogeni che si ritrova e
infine verificare se tale dato nella popolazione è mediamente più alto; nonostante ciò, rimane tuttavia una cosa
difficile da eseguire in quanto vanno considerate la variabilità individuale e tante altre cose. Nei maschi invece
il calcolo risulta essere più semplice dal momento che essi di base non presentano vitellogenina.

Accrescimento ovocitario negli anfibi


A fianco è schematizzato l’accrescimento
ovocitario negli anfibi. Da come possiamo
notare si tratta di un periodo piuttosto
lungo (3 anni). Tuttavia a partire dalla
maturità sessuale le fasi di accrescimento si
accavallano, di conseguenza ogni anno la
specie sarà in grado di riprodursi grazie alla
presenza di una coorte di ovociti
completamente matura. Le femmine di
anfibio depongono ovociti non maturi da
un punto di vista meiotico in quanto essi
sono bloccati nella seconda metafase
meiotica; risultano però completamente
maturi per quanto riguarda l’accrescimento
del citoplasma (RNA, proteine) e della
quantità di vitello necessaria per lo
sviluppo embrionale.

84
È bene ricordare che le uova degli anfibi sono uova mesolecitiche, cioè delle uova con parecchio vitello, una
quantità che però non è tale da invadere tutto l’uovo.
Le immagini presenti in basso mostrano l’importanza del processo di vitellogenesi e come questo processo
possa essere visto al microscopio (a sinistra abbiamo una visione al microscopio ottico mentre a destra abbiamo
una visione al microscopio elettronico). Le macchioline rosse che si osservano stanno ad indicare i granuli di
vitello (placchette vitelline). La vitellogenina è una proteina che lega una grossa componente lipidica, ne
consegue che le placchette che si osservano in queste immagini possono essere considerate dei cumuli di
grasso. Gli esseri umani che presentano un alto valore di colesterolo devono evitare di mangiare uova proprio
perché quest’ultime sono ricche di grassi. La presenza di questo grasso dipende in un certo senso dalla
vitellogenina, una proteina che porta legata a sé una grossa componente lipidica.

85
5. Lezione del 03/10/17
Accrescimento ovocitario
Nella scorsa lezione abbiamo visto che in
alcuni vertebrati (considerammo gli anfibi,
degli organismi ovipari) gli ovociti vanno
incontro ad un accrescimento che può o meno
comportare il completamento della meiosi;
infatti nella maggior parte dei casi la meiosi
ad un certo punto si blocca e viene completata
solamente all’atto della fecondazione.
L’accrescimento ovocitario invece è un
processo che va avanti e può durare anche per
un periodo di tempo piuttosto lungo. Il
processo di accrescimento ovocitario prevede
due fasi:
• Fase di accrescimento previtellogenica:
accrescimento del citoplasma il quale si
arricchisce di messaggeri, di rRNA e di
proteine.
• Fase di accrescimento vitellogenica:
fase che riguarda la quantità di vitello (vitellogenesi).

Al termine di queste fasi si avrà un ovocita che presenterà una certa quantità di citoplasma, un nucleo attivo e
una quantità variabile di vitello (bassa, mediamente alta o molto alta).

In questa immagine si osserva una gonade di lucertola (immagine già vista nella lezione scorsa) in cui sono
presenti follicoli grandi e follicoli più piccoli. I follicoli piccoli sono dei follicoli giovani che si trovano nella
fase previtellogenica, quelli grandi invece sono follicoli che si trovano in piena fase di vitellogenesi; quindi, i
follicoli di grandi dimensioni sono indice del fatto che l’ovocita si sta accrescendo.
Nelle lucertole il diametro dei follicoli inizialmente è inferiore a 100 µm, successivamente si avranno ovociti
di 0,8 – 0,9 cm; in seguito l’uovo si accresce ulteriormente, con guscio e annessi che poi vedremo in dettaglio,
fino a che le dimensioni non raggiungono un valore di circa 1,5 cm (valore tipico dell’uovo di lucertola).
Dunque all’interno della gonade avviene una modificazione dell’ovocita in termini di dimensioni.

86
La figura 3.19 illustra un ovario a grappolo di un pesce osseo (situazione molto simile a quanto detto per
l’ovario di lucertola); a destra invece si osservano le placchette vitelline. L’ovario a grappolo è costituito da
follicoli ciascuno dei quali risulta circondato da cellule follicolari e da una membrana ovocitaria (parte colorata
in azzurro). All’interno invece si osserva il citoplasma dell’ovocita che è completamente pieno di placchette
vitelline (in rosso). Si osservano inoltre follicoli più piccoli e follicoli più grandi.

Anche questa immagine stata ottenuta grazie al microscopio elettronico. Si osservano le placchette vitelline
che appaiono elettrondense (scure).

87
Ovogenesi nei mammiferi

Nella stragrande maggioranza dei mammiferi, ad eccezione dell’ornitorinco e dell’echidna che sono
mammiferi monotremi che depongono uova telolecitiche, le uova sono alecitiche. Le uova di ornitorinco e di
echidna presentano una certa quantità di vitello che però non permette al nuovo organismo di svilupparsi in
maniera completa; infatti nei monotremi alla schiusa dell’uovo fuoriesce un organismo che si trova ancora in
uno stato fetale. Una situazione simile la si riscontra anche nei marsupiali ma con una differenza: nei marsupiali
il nuovo organismo viene partorito allo stato fetale mentre negli organismi monotremi il nuovo organismo,
partorito anch’esso allo stato fetale, dovrà poi essere nutrito con del latte dai genitori.
Escludendo dunque i monotremi in cui troviamo uova con vitello, tutti gli altri mammiferi placentati, specie
umana compresa, presentano delle uova alecitiche, ovvero delle uova in cui non vi è vitello; in questo caso
l’embrione viene nutrito e curato dal corpo materno attraverso la placenta. Anche nei mammiferi avviene
l’accrescimento ovocitario con i follicoli che assumono forma e dimensioni diverse man mano che avanza il
processo di maturazione dell’ovocita. I mammiferi presentano una gonade diversa rispetto a quella dei pesci
ossei e dei rettili, infatti hanno una gonade di tipo compatto dove i follicoli non sporgono verso l’esterno (caso
in cui la gonade assume un aspetto tipico del grappolo d’uva); dunque, la gonade nei mammiferi è compatta,
non ci sono protuberanze all’esterno e i follicoli si accrescono verso l’interno.
La figura in alto mostra le varie fasi della maturazione ovocitaria nei mammiferi. La maturazione ovocitaria
nei mammiferi non comporta un notevole accrescimento delle dimensioni dell’ovocita ma piuttosto di un
accrescimento che riguarda solamente il citoplasma; l’essenza del vitello nelle uova alecitiche dei mammiferi
(che può rappresentare una buona parte dell’uovo) fa sì che le dimensioni della cellula non aumentino di molto.
Nei mammiferi ciò che si modifica, e di molto, è la struttura del follicolo: mentre la stragrande maggioranza
delle cellule del testicolo sono cellule germinali (ci sono infatti poche cellule somatiche come quelle
connettivali, quelle del sangue e fondamentalmente quelle del Sertoli e del Leydig) nell’ovario le cellule
somatiche, cioè quelle follicolari, sono quantitativamente di gran lunga maggiori di quelle germinali.

88
Ciascuna cellula germinale è circondata da un gran numero di cellule follicolari che si distribuiscono a formare
le cellule della granulosa, la teca e le cellule follicolari vere e proprie (quindi abbiamo la granulosa, la teca e
una parte esterna che forma la parte della membrana basale del follicolo).
Nei mammiferi più che di maturazione ovocitaria si parla di maturazione del follicolo in quanto è l’insieme
follicolo-ovocita che cambia, che matura e che aumenta di dimensioni. Osservando la figura a pagina 88 si
nota che ciò che varia molto in termini di dimensioni non è tanto l’ovocita (colere violetto) bensì il follicolo.
Si avranno in quest’ordine:

Follicoli Primari o immaturi → Follicoli Secondari → Follicoli Terziari o follicoli di Graaf

Il follicolo di Graaf (detto anche follicolo maturo) ha una struttura molto grande il cui interno “è riempito” di
una regione vuota che prende il nome di antro; all’interno dell’antro l’ovocita inizia a sporgere, a liberarsi e a
staccarsi dalle cellule follicolari. È importante che l’ovocita, nel momento in cui viene espulso, si liberi delle
cellule follicolari che lo circondano; se così non fosse lo spermatozoo sarebbe costretto ad attraversare le
cellule follicolari prima di entrare in contatto con l’ovocita.
Sebbene l’ovocita perda le cellule follicolari, esso rimane comunque circondato da una membrana che prende
il nome di zona pellucida, una struttura che ricopre un ruolo molto importante nel riconoscimento
spermatozoo-ovocita (fecondazione) e nel blocco della polispermia, ovvero quel fenomeno che permettere di
evitare che un solo ovocita possa essere fecondato da più spermatozoi.
Le immagini presenti in basso mostrano come si organizza la regione interna del follicolo, regione dove
l’ovocita sporge, via via che dal follicolo primario si passa a quello secondario. Si osservano inoltre il nucleo
in attiva trascrizione, la parte citoplasmatica, la membrana e le cellule follicolari; tra la membrana e le cellule
follicolari inizia ad organizzarsi la zona pellucida che è costituita da uno strato di glicoproteine. Le
glicoproteine sono 3, cioè la ZP1, la ZP2 e la ZP3 che partecipano rispettivamente nella zona pellucida 1, nella
zona pellucida 2 e nella zona pellucida 3.

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In questa immagine viene mostrato il follicolo terziario, follicolo che può essere considerato ormai un follicolo
di Graaf. In questo follicolo le cellule si dispongono in maniera tale da creare uno spazio, spazio che in seguito
diventerà antro; dunque, il follicolo si ingrandisce per via dell’aumento delle dimensioni dell’antro. L’ovocita
a questo punto si è allontanato dalle cellule follicolari (anche se un piccolo strato di tali cellule che lo circonda
è ancora presente) e sporge nell’antro. Si osserva il nucleo, il citoplasma e intorno la zona pellucida (zona
chiara nell’immagine).

Questa figura mostra una sezione longitudinale di un ovario di mammifero, una struttura costituita da vari
follicoli. Dal momento che la maturazione di un follicolo dura un certo periodo di tempo, ogni follicolo
presente in questa gonade si trova in una fase di maturazione diversa rispetto agli altri. All’interno della gonade
si trovano anche i corpi lutei, cioè dei follicoli che non presentano più l’ovocita al loro interno in quanto
espulso. Una volta che avviene l’espulsione dell’ovocita il follicolo quindi si trasforma in corpo luteo il quale
viene mantenuto solo per un certo periodo di tempo, dopodiché andrà incontro a regressione.

90
Il mantenimento o meno del corpo luteo è strettamente
collegato all’impianto dell’embrione. Se avviene la
fecondazione e successivamente l’impianto della
blastocisti nell’utero (blastocisti è il termine che viene
dato all’embrione dei mammiferi subito dopo la
fecondazione), allora il corpo luteo persiste e procede
nel secernere gli ormoni fondamentali (ad esempio il
progesterone) all’impianto e al mantenimento della
blastocisti (mantenimento della gravidanza); viceversa,
se l’impianto non avviene il corpo luteo non viene
stimolato e quindi degenera.
Con la formazione del follicolo di Graaf si ha
praticamente l’ovulazione, vale a dire l’emissione
all’esterno dell’ovocita il quale è circondato soltanto
dalla corona radiata e dalla zona pellucida.
La fig. 18.43 illustra un follicolo di ratto all’atto
dell’ovulazione (visione al microscopio ottico); in
seguito ad una rottura si ha la fuoriuscita dell’ovocita.
Dalla figura posiamo notare come inizialmente
l’ovocita sia circondato da cellule di cui
successivamente si libera per arrivare ad essere soltanto
un ovocita circondato dalla zona pellucida.

Successivamente il follicolo diventa corpo luteo (ci sono ancora le cellule della granulosa, le cellule della teca
e l’antro è vuoto dal momento che manca l’ovocita) il quale se non stimolato a livello ormonale andrà a formare
i corpi atresici (vedi immagine).
Bisogna però dire che in una sezione dell’ovario è possibile trovare dei follicoli atresici che non derivano da
un follicolo che ha ovulato (quindi che deriva dal corpo luteo) ma sono dei follicoli in cui la maturazione non
è andata a buon fine. Ciò significa, ancora una volta, che l’ovogenesi nella linea femminile è un processo di
“tipo riduzionale”. I fenomeni di atresia a carico delle cellule germinali sono dovuti perlopiù ad apoptosi e si
verificano durante le fasi sia prenatale che postnatale. L’atresia riduce drasticamente il numero di cellule
germinali che saranno ovulate dopo la pubertà. Un conteggio delle cellule germinali ha dimostrato che nella
donna, dei 7 milioni di cellule presenti nel feto al quinto mese di gravidanza, solo 1 - 2 milioni sopravvivono
al momento della nascita. Di questi, circa 400 - 500 000 sono ancora presenti all’inizio della pubertà e solo
400 - 500 sono quelli che saranno ovulati dall’inizio della pubertà fino alla menopausa.

91
Apparato genitale femminile umano

In figura possiamo osservare una perfetta sezione longitudinale dell’apparato genitale femminile umano,
quindi una sezione che mantiene la simmetria (le gonadi sono degli organi pari). La gonade è strettamente
collegata alla tuba uterina, o tuba di Falloppio, che altro non è il dotto di Muller. Il dotto di Muller negli altri
vertebrati prende il nome di ovidotto mentre nei mammiferi, in particolare nell’anatomia della specie umana,
prende il nome di tuba di Falloppio.
A questo punto è bene fare delle precisazioni. La differenza tra l’anatomia umana e l’anatomia comparata sta
nel fatto che molto spesso una “stessa” struttura (struttura omologa) presente nei vertebrati (specie umana
compresa) può assumere nomi diversi a seconda del tipo di organismo. L’essere umano ovviamente si è
concentrato maggiormente sullo studio dell’anatomia umana e man mano che venivano identificati regioni,
organi, e così via, egli ha associato dei termini; tuttavia, i termini usati per queste regioni della specie umana
non corrispondono alle relative regioni omologhe presenti negli altri vertebrati. Questo non succede solo nel
caso della tuba di Falloppio dell’apparato genitale femminile ma anche, ad esempio, per alcune regioni del
cervello. Il ventricolo mesencefalico, che a tutti gli effetti viene chiamato terzo ventricolo, nell’essere umano
viene denominato l’acquedotto del Silvio; il glomerulo renale nei vertebrati, con la capsula Bowman,
nell’uomo viene chiamato corpuscolo del Malpigli ma si tratta sempre, in un certo senso, della stessa struttura.
Molto spesso le strutture presentano lo stesso nome dello studioso che le ha evidenziate, tuttavia è bene
ricordare che, nonostante i nomi possano risultare diversi, si parla di strutture omologhe in quanto presentano
la stessa derivazione embrionale.
La tuba di Falloppio e l’ovario, nonostante non rappresentino una struttura unica, sono due elementi
strettamente collegati; infatti l’ovocita, nel momento in cui viene espulso, cade nella tuba di Falloppio per poi
arrivare successivamente all’utero a livello del quale avviene l’impianto.

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Ciclo ovarico nella donna
La maturazione che abbiamo descritto a livello del follicolo nei mammiferi è un processo che è stato
particolarmente studiato nella donna della specie umana. In questo caso la maturazione dell’ovocita prende il
nome di ciclo ovarico, un ciclo avente una durata di circa 28 giorni nel suo insieme; l’intero ciclo è
fondamentalmente controllato da ormoni, infatti a tal proposito esiste cosiddetto asse ipotalamo-ipofisi-gonade
femminile che è molto simile all’ipotalamo-ipofisi-gonade maschile. Nel ciclo spermatogenetico, avente una
durata di circa 60 giorni, si ha la maturazione degli spermatogoni in spermatozoi attraverso varie fasi; tuttavia
non si ha la percezione di un vero e proprio ciclo in quanto si tratta di un evento continuo. Oggi sappiamo che
la maturazione degli spermatogoni in spermatozoi avviene durante un arco di 64 giorni, tuttavia le ondate
spermatogenetiche sono molteplici e rendono impossibile riconoscere l’inizio e la fine del ciclo.
Nel caso della gonade femminile, invece, è possibile identificare l’inizio e la fine del ciclo.
Il ciclo mestruale viene controllato sia dalle gonadotropine ipofisarie sia dagli ormoni gonadici.
Il ciclo ovarico è possibile dividerlo in due fasi:
• Fase follicolare: la fase follicolare nella donna dura generalmente 15 giorni, tuttavia il range può essere
molto più ampio determinando in questo caso i famosi “ritardi”. In questa fase avvengono le maggiori
modificazioni del follicolo e viene conclusa con l’ovulazione.
• Fase luteinica: è la fase che segue l’ovulazione e ha una durata di 13-14 giorni. Il periodo è meno variabile
rispetto a quello della fase follicolare.

IL ciclo endometriale riguarda l’utero e non la gonade. Esso può essere suddiviso in una fase mestruale, una
fase proliferativa e una fase secretoria.

Nell’ immagine a destra sono riportate le fasi del ciclo ovarico. La


prima fase, detta fase follicolare (fase di stimolazione del follicolo),
è a carico soprattutto dell’ormone follicolo stimolante. Tali ormoni
sono molto importanti non solo nell’ovogenesi ma anche nella
spermatogenesi (per il fatto di essere stati identificati e studiati prima
nel ciclo ovarico femminile, tali ormoni sono stati nominati FSH e
LH).
L’ormone follicolo-stimolante (FSH) è l’ormone ipofisario che
determina la maturazione del follicolo (dal follicolo primario a
quello di Graaf) mentre l’ormone luteinizzante (LH) controlla la
fase luteinica. Da come si può notare dallo schema, al momento
dell’ovulazione vi è tanto un picco di FSH quanto quello di LH e ciò
suggerisce che entrambi gli ormoni sono necessari per un corretto
ciclo ed una corretta ovulazione. Anzi, pare che sia proprio
l’aumento dell’LH (LH surge) a determinare il momento preciso in
cui si avrà l’ovulazione. Successivamente si ha la diminuzione degli
ormoni circolanti (soprattutto FSH) e subentra poi la fase luteinica.

93
Il ciclo ovarico è strettamente collegato al ciclo dell’endometrio il quale è responsabile del ciclo mestruale.
In questo grafico sono riportate le ondate di FSH e LH; con il picco di LH si ha l’ovulazione. A livello della
gonade, dal follicolo in maturazione vengono prodotti gli estrogeni, ovvero gli ormoni femminili per
eccellenza che determinano i caratteri sessuali femminili e che predispongono la donna ad un eventuale
gravidanza (impianto della blastocisti).
Con l’ovulazione si ha un cambiamento del follicolo sia da un punto di vista morfologico sia per quanto
riguarda la produzione ormonale. Gli estrogeni si abbassano (anche se poi si stabilizzano) e inizia ad essere
secreto il progesterone da parte del follicolo, follicolo che a questo punto è diventato corpo luteo.
L’ovario, così come il testicolo, è un organo fondamentale per la riproduzione e non bisogna dimenticare che
si tratta di un organo endocrino a tutti gli effetti. Mentre nel testicolo si ha la produzione del testosterone, nella
gonade femminile si ha la produzione dapprima di estrogeni e poi del progesterone.
Nel caso del ciclo endometriale, il punto di partenza è il ciclo mestruale. Una volta avvenuta la fuoriuscita del
sangue, l’utero si prepara, sotto l’azione degli estrogeni, ad accogliere l’eventuale blastocisti. Sotto l’azione
degli estrogeni, man mano che il follicolo matura, la struttura dell’utero si modifica; infatti, durante la fase
follicolare si ha l’accrescimento dell’endometrio (parete dell’utero) che diventa più “alto” (più spesso) e più
vascolarizzato. L’accrescimento continua, e si stabilizza sempre di più, sotto l’effetto del progesterone.
Nel momento in cui si ha l’impianto il progesterone continua ad essere prodotto, l’utero si modifica
ulteriormente e si ha la formazione della placenta. Se, invece, l’impianto della blastocisti non avviene si ha un
crollo sia del progesterone sia degli estrogeni e questo accade perché la blastocisti, nel momento in cui si
impianta, comincia a produrre un ormone che è la gonadotropina corionica umana (hCG) (praticamente
l’ormone che viene utilizzato per i test di gravidanza). L’hCG viene prodotta da una parte extraembrionale
della blastocisti, il corion, e sotto il suo effetto continuano ad essere prodotti gli estrogeni, soprattutto quelli
progestinici (quindi il progesterone); il progesterone, come detto in precedenza, contribuisce al mantenimento
dell’utero, in questo modo può essere formata la placenta. Se non vi è l’impianto della blastocisti allora non ci
sarà la produzione dell’hCG, che rappresenta un segnale per il corpo luteo e la gonade in seguito al quale si ha
un crollo della produzione degli ormoni e lo sfaldamento dell’endometrio, con l’inizio del ciclo mestruale.
Ecco che si ritorna al punto di partenza: tutto è cominciato con il flusso sanguigno, e si ritorna nuovamente al
flusso sanguigno. ciò che viene eliminato non è solo sangue ma anche residui di cellule che costituivano
l’endometrio.

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La prima figura che osserviamo mostra graficamente tutti i vari cambiamenti degli ormoni. Così come nella
gonade maschile, anche nella donna vi è tutto un meccanismo di feedback nell’asse ipotalamo-ipofisi-gonade
che determina, in base alle stimolazioni di vari ormoni, il corretto svolgimento del ciclo mestruale. Un ciclo
mestruale irregolare generalmente è dovuto ad un non corretto sistema di segnalazione di feedback.
La seconda immagine in alto a destra non è altro che un ulteriore schema di un concetto già spiegato in
precedenza. Il ciclo ovarico inizia con le mestruazioni al punto 0 (in teoria, essendo un fenomeno ciclico,
l’inizio sarebbe arbitrario ma per convenzione il conteggio comincia con le mestruazioni) che generalmente
durano 4-5 giorni. Si ha poi un periodo ovulatorio che presenta un picco intorno al 15esimo-16esimo giorno,
dopodiché si ha una fase in cui agisce il progesterone. Nonostante l’estrogeno ci sia sempre, nella fase luteinica
diventa molto importante il progesterone. Quando la blastocisti viene impiantata nell’utero con la fecondazione
assistita è necessario prima sottoporsi ad una cura di estrogeni (per avere una maturazione follicolare ed in
seguito poi recuperare gli ovociti maturi pronti per la fecondazione), dopodiché va effettuato un trattamento
con il progesterone che consente di preparare l’utero ad accogliere la blastocisti.

Questa figura mostra il ciclo endometriale (detto anche uterino). Inizialmente vi è una fase di proliferazione,
poi di secrezione, continua la proliferazione (c’è anche una fase secretiva che prepara l’ambiente per la
blastocisti) e infine c’è la fase mestruale. La fase mestruale è stata collocata alla fine in quanto deriva da tutti
gli eventi che sono avvenuti precedentemente.

95
La fecondazione

Dopo aver visto come avviene la formazione del gamete maschile (spermatogenesi) e del gamete femminile
(ovogenesi), passiamo ora allo studio della fecondazione.
La fecondazione è un processo che si trova alla base della riproduzione sessuale. In alcuni organismi, come
alcuni invertebrati e organismi vegetali, la riproduzione può essere anche asessuata, ovvero senza il
coinvolgimento di una linea paterna e materna. La riproduzione asessuata se da un lato permette a singoli
organismi di procedere alla moltiplicazione della specie, dall’altro prevede la “totale conservazione” dal
momento che non aggiunge alcuna variabilità genetica. Con l’ermafroditismo, invece, una piccola variabilità
genetica viene aggiunta in quanto, nonostante si parli sempre di un solo organismo, durante la formazione dei
gameti avviene il crossing over. Dunque, la riproduzione asessuata è una strategia riproduttiva non molto
vincente, motivo per cui non esiste nei vertebrati, organismi in cui è stato favorito l’incontro tra due organismi.
La fecondazione rappresenta il punto cardine della riproduzione sessuata e permette, attraverso l’unione dei
geni dei genitori, di ricostruire il corredo cromosomico tipico di una determinata specie.

Fecondazione: fusione tra il pronucleo maschile e il pronucleo femminile


Quando si usa il termine fecondazione si
tende subito a pensare all’incontro tra lo
spermatozoo e la cellula uovo. In realtà ciò
che avviene è l’incontro tra il nucleo dello
spermatozoo, il pronucleo maschile, e il
nucleo della cellula uovo, il pronucleo
femminile. Con il termine “incontro” si
intende appunto l’incontro tra un individuo
maschile e femminile; con il termine
“fusione”, invece, si indica la fusione tra il
pronucleo maschile e il pronucleo
femminile in seguito alla quale verrà
ripristinata la diploidia.
La specie umana presenta 23 coppie di
cromosomi (46 quindi in tutto). Come
possiamo notare dalla figura a lato, da
cellule primordiali germinali maschili e femminili costituite da 46 cromosomi vengono a formarsi cellule
gametiche costituite da 23 cromosomi (ricordiamo che da ogni cellula primordiale germinale maschile
vengono a formarsi 4 spermatozoi mentre da ogni cellula primordiale germinale femminile si formano una sola
cellula uovo e tre globuli polari).

96
L’incontro tra uno spermatozoo e una cellula uovo porta alla formazione di un’unica cellula diploide, ovvero
una cellula che presenta il corredo cromosomico tipico di quella specie (nel caso della specie umana questa
cellula sarà costituita da 46 cromosomi disposti in 23 coppie); questa singola cellula prende il nome di zigote.
Lo zigote è una cellula uovo fecondata, una cellula in cui è avvenuta la fusione tra il pronucleo maschile e
femminile; dunque, una singola cellula, che però presenta un corredo cromosomico diploide.

Tipi di fecondazione
La fecondazione può essere esterna o interna.
• Fecondazione esterna: la fecondazione esterna la si trova in tutti gli organismi che vivono in ambienti
acquatici (che sono vertebrati e invertebrati). Gli spermatozoi, infatti, devono necessariamente essere
espulsi in un mezzo liquido che ne permetta il movimento. In questo tipo di fecondazione non avviene
copulazione tra maschi e femmine, e il mezzo esterno (in questo caso l’acqua) favorisce sia il rilascio dei
gameti che il loro incontro. Affinché la probabilità dell’incontro tra il gamete maschile e femminile della
stessa specie che diffondono nel mezzo esterno sia alta, la fecondazione esterna deve prevedere una
produzione di un gran numero di gameti. I motivi di ciò sono vari e vengono elencati di seguito.
- Innanzitutto, considerando anche un solo e piccolo spazio del mare, qui potrebbero trovarsi molti
organismi aventi in comune la stessa stagione riproduttiva. Di conseguenza, questi organismi viventi
diffonderanno i gameti sia maschili che femminili nello stesso periodo.
- Le forti correnti d’acqua possono disperdere tutti questi gameti.
- La grande produzione di gameti è importante anche per far fronte all’esigenza da parte dei gameti,
maschili e femminili della medesima specie, di incontrarsi e di riconoscersi. Sia a livello dello
spermatozoo che a livello della cellula uovo sono presenti delle molecole di riconoscimento del “self”
e del “non-self” (cioè del gamete della stessa specie o del gamete della specie diversa).
- Esistono predatori che si nutrono di gameti.

Negli organismi a fecondazione esterna generalmente i gameti, per via della loro alta produzione, sono di
piccole dimensioni.
In questo tipo di fecondazione non esistono cure parentali in quanto gli zigoti vengono dispersi.
La fecondazione esterna è tipica di molti invertebrati, pesci e anfibi; in quest’ultimi tuttavia, in alcuni casi,
la fecondazione può essere interna. Sia nei pesci che negli anfibi generalmente ciò che avviene non è un
vero e proprio atto sessuale (non c’è produzione dei gameti nel maschio e nella femmina) ma una sorta di
copulazione, che evita la dispersione delle uova e degli spermatozoi. I maschi e le femmine infatti si
incontrano, la femmina depone le uova e il maschio immediatamente le feconda. In alcuni anfibi accade
perfino che le uova prodotte (ricordiamo che queste uova sono racchiuse da un “ambiente” gelatinoso)
formano un ammasso che può risalire sul dorso materno dove potranno essere fecondate dal maschio una
volta che quest’ultimo si sarà poggiato sul dorso della femmina. Dunque, parliamo di una fecondazione
che si basa su una sorta di copulazione, una “copulazione” che non prevede l’incontro degli organi genitali
maschili e femminili ma piuttosto un incontro tra spermatozoi e uova in un ambiente ristretto. Una volta
che le uova vengono fecondate queste potranno essere conservate in tasche incubatrici (come ad esempio
il dorso materno dove avviene l’incontro dei gameti), permettendo in questo modo anche la cura parentale.
Un esempio di cura parentale nei pesci è rappresentato dal maschio del cavalluccio marino che presenta
sul ventre delle tasche incubatrici dove possono essere contenute le uova fecondate.
Dunque, riepilogando, la fecondazione esterna generalmente prevede la diffusione dei gameti in un mezzo
esterno; tuttavia non mancano casi in cui si ha “l’incontro” tra un organismo maschile e femminile.
• Fecondazione interna: la fecondazione interna prevede generalmente una copulazione ed è un fenomeno
avviene nella linea genitale femminile. La produzione di gameti, a differenza della fecondazione esterna,
è ridotta, soprattutto per quanto riguarda le uova; generalmente sono presenti le cure parentali.
Negli ittiopsidi (vertebrati acquatici) la fecondazione interna è tipica solamente dei condroitti le cui uova
sono telolecitiche e presentano il guscio.

97
È bene tenere presente che la presenza del guscio presuppone che la fecondazione sia interna, questo
perché lo spermatozoo, per quanto la vescicola acrosomiale sia provvista di enzimi litici, non è in grado di
forare un guscio. Quindi, laddove vi è il guscio vi è fecondazione interna.
La fecondazione interna è tipica dei tetrapodi (rettili, uccelli e mammiferi) ma non mancano alcune
eccezioni rappresentate da alcuni invertebrati come ad esempio i gasteropodi (molluschi terrestri) e da
alcuni anfibi (salamandre). Nel caso delle salamandre c’è da dire che non vi è una vera e propria
copulazione, infatti il maschio depone delle spermateche che vengono poi raccolte dalla cloaca della
femmina; quindi, non c’è copulazione tra maschio e femmina ma i gameti maschili in qualche modo
riescono ad arrivare negli ovidotti dove avviene la fecondazione.
Dal momento che la fecondazione interna avviene in un ambiente chiuso e raccolto, la probabilità che gli
spermatozoi e le uova si incontrino è piuttosto alta rispetto a quella della fecondazione esterna; per questo
motivo nella fecondazione interna la produzione dei gameti è ridotta, specie per quelli femminili.

Strategie riproduttive

Quando si parla di fecondazione generalmente si parla anche, rispetto ai vari organismi in genere, di strategie
riproduttive.

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Di seguito vengono elencate alcune di queste strategie.
- La fecondazione interna ed esterna rappresentano due strategie riproduttive differenti. Uno dei vantaggi
della fecondazione esterna è permettere la riproduzione di organismi sessili che ad esempio vivono su delle
rocce; per questi organismi, infatti, riuscire ad incontrare un partner della stessa specie può risultare
difficilissimo, se non impossibile. Quindi, avere la possibilità di diffondere i gameti all’esterno rappresenta
una possibilità di riproduzione.
- Altra strategia riproduttiva è quella di sincronizzare i cicli riproduttivi, cioè i gameti maschili e femminili
maturano in sincronia, maturano nello stesso periodo.
- La produzione di molte uova piccole che prevedono una fase larvale o di poche uova grandi che prevedono
uno sviluppo diretto rappresenta un’altra strategia riproduttiva. Gli organismi che si riproducono con
fecondazione esterna e aventi uno sviluppo che prevede una fase larvale, vanno incontro a due “colli di
bottiglia”. Il primo collo di bottiglia è rappresentato dal fatto che i gameti vengono dispersi e dovranno in
seguito poi incontrarsi; il secondo, invece, è rappresentato dal fatto che sia lo zigote che la larva possono
essere predati. Le larve si trovano in uno stato in cui non presentano né la struttura né le strategie difensive
tipiche di quella determinata specie, di conseguenza sono più vulnerabili alla predazione di altri organismi;
quindi, non solo il numero di gameti ma anche il numero di zigoti deve essere piuttosto alto affinché una
piccola parte di essi riesca a sopravvivere e a raggiungere la fase adulta. In caso di uova grandi e di sviluppo
diverso, il nuovo individuo che fuoriesce dal guscio si dirige in maniera innata verso la sua meta
aumentando in questo modo le probabilità di sopravvivenza (la tartaruga marina, ad esempio, una volta
fuori dal guscio sa che deve dirigersi verso il male).
Se a tutto questo inoltre si aggiungono le cure parentali, la necessità di un gran numero di uova diminuisce
ulteriormente. Nei mammiferi le probabilità di sopravvivenza del nascituro aumentano in quanto alle cure
parentali si aggiunge anche il fatto che il piccolo viene mantenuto all’interno del corpo materno (la morte
del nuovo organismo può avvenire in seguito ad un aborto o con la morte del genitore materno). Una volta
che la progenie viene messa al mondo avrà la possibilità di raggiungere la fase riproduttiva, ovvero il fine
ultimo di ciascun individuo.

In base al tipo di uovo e allo stile di vita è possibile risalire al tipo di strategia riproduttiva adottato, alla quantità
di gameti prodotti e, di conseguenza, alle probabilità di successo dell’atto riproduttivo.
In caso di fecondazione interna, la vita degli spermatozoi all’interno delle vie genitali femminili può essere
molto variabile. Generalmente non è particolarmente lunga, i gameti infatti non appena vengono emessi
devono incontrarsi (discorso che vale sia per la fecondazione esterna che interna).
Nella fecondazione esterna il mezzo acquoso facilita la sopravvivenza dei gameti i quali possono resistere
anche per alcuni giorni prima che avvenga la fecondazione; in caso di fecondazione interna, invece, vi sono
alcune specie che possono conservare gli spermatozoi nelle vie genitali femminili anche per molto tempo (da
un minimo di poche ore o pochi giorni a casi in cui possono trascorrere anche lunghi periodi di tempo). Nelle
api ad esempio gli spermatozoi vengono conservati per tutta la vita, e questo ha un senso in quanto solo l’ape
regina pensa a riprodursi e i maschi sono tutti sterili; ecco che risulta necessario conservare gli spermatozoi
per tutta la vita.
Nei mammiferi la durata dei gameti è breve, va da un minimo di poche ore ad un massimo di pochi giorni.
Fanno però eccezione i pipistrelli dove gli spermatozoi vengono emessi impacchettati per poi essere conservati
nell’utero anche per mesi.

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Prima che possa avvenire la fecondazione, ovvero l’incontro del pronucleo maschile e femminile, è necessario
che lo spermatozoo attraversi degli strati protettivi presenti intorno all’ovocita e la membrana plasmatica
dell’ovocita stesso (figura in basso).

Gli strati protettivi possono essere di natura diversa. Negli anfibi, ad esempio, questi sono di natura gelatinosa;
oltre a quello gelatinoso è presente un altro strato che prende il nome di strato vitellino, uno strato che offre
un ulteriore protezione all’ovocita.
Nei mammiferi invece è presente prima la corona radiata e poi la zona pellucida.
Dunque, arrivati a questo punto possiamo dire che: lo spermatozoo deve avere la possibilità di incontrare
l’uovo della stessa specie, di passare attraverso vari strati, arrivare a livello della membrana plasmatica e
introdurre poi il pronucleo al suo interno.

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In questa figura vengono mostrate varie strategie affinché tutto questo possa accadere. Esistono dei veri e
propri meccanismi chemiotattici che attraggono in maniera specie-specifica gli spermatozoi alla cellula uovo;
quando si parla di meccanismi chemiotattici si intendono sostanze chimiche in grado di attrarre lo spermatozoo
alla cellula uovo.
I primi studi a riguardo sono stati effettuati, per la semplicità di reperimento di uova e spermatozoi in
laboratorio, sul riccio di mare nel 1912. Si cercò di capire come fosse possibile che in uno spazio marino in
cui ci sono tanti spermatozoi e cellule uovo, avvenga l’incontro e la fusione dei gameti giusti. La prima
molecola chemioattrattante messa in evidenza durante questi studi venne nominata fertilizina, una molecola
coinvolta nel fenomeno della fecondazione.
In altri organismi si è visto che esiste una particolare regione della cellula uovo attraverso la quale può passare
lo spermatozoo; dunque, in alcuni casi la fecondazione non può avvenire in un punto qualsiasi della cellula
uovo ma solo ed esclusivamente in un punto ben preciso. Nei pesci (figura in alto) si forma una struttura, una
sorta di cono al contrario (come la bocca di un vulcano), che attira gli spermatozoi; anche negli anfibi si è visto
che viene a formarsi il cosiddetto cono di fecondazione (a livello del polo animale), cioè una regione sulla
superficie della cellula uovo che attira lo spermatozoo. Solo attraverso questa regione lo spermatozoo può
entrare nella cellula uovo.
Affinché la fecondazione si possa attuare con successo grazie a due gameti della stessa specie, è necessario
che avvengano tutta una serie di interazioni che di seguito elenchiamo.
- Incontro tra spermatozoo e cellula uovo.
- Penetrazione dello spermatozoo attraverso i vari involucri ovulari. Spesso questo prevede un’attivazione
dello spermatozoo (capacitazione).
- Fusione delle membrane plasmatiche dei due gameti e attivazione dell’uovo che si prepara ad accogliere
il pronucleo maschile.

101
Mentre il pipistrello è in grado di conservare gli spermatozoi anche per mesi, nella specie umana invece si è
visto che in genere l’uovo è vitale per circa 24 ore dopo l’ovulazione, stesso discorso per gli spermatozoi (gli
spermatozoi possono essere vitali anche per un periodo di tempo inferiore); quindi se l’incontro tra questi due
gameti avviene entro 24 ore dall’ovulazione, determinato dal picco di LH e FSH, allora ci sarà fecondazione.
Tale strategia riproduttiva potrebbe non risultare particolarmente vincente, tuttavia va considerato che nella
specie umana la riproduzione può avvenire durante tutto l’anno (l’essere umano non è una specie a
riproduzione stagionale) e che una volta che avviene l’impianto della blastocisti nel 99% dei casi la
fecondazione e l’embriogenesi vanno a buon fine. Queste caratteristiche vantaggiose dunque compensano il
fattore limitante rappresentato dalla vita breve dei gameti.

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6. Lezione del 05/10/17

Fecondazione nel riccio di mare

La fecondazione è un fenomeno che è stato particolarmente studiata nel riccio di mare (Paracentrotus lividus);
grazie a questo organismo inoltre è stata acquisita la stragrande maggioranza delle informazioni sulla
riproduzione. Il riccio di mare è un organismo facile da reperire, i sessi sono separati e da un singolo organismo
è possibile ottenere tantissimi gameti (migliaia di uova o milioni di spermatozoi); avendo a disposizione un
solo esemplare maschio e un solo esemplare femmina è possibile osservare il fenomeno della fecondazione in
tutti i suoi passaggi. La fecondazione può aver luogo anche in laboratorio utilizzando un semplice vetrino,
senza l’ausilio di particolari apparecchi; grazie al gran numero di gameti che si possono avere a disposizione
è stato possibile studiare vari dettagli come ad esempio la presenza di proteine sull’involucro.
L’ovogenesi nel riccio di mare è completa, il che vuol dire che alla fine ciò che viene emesso all’esterno dalla
femmina sono delle uova a tutti gli effetti (in questi organismi la fecondazione è esterna); queste uova sono
circondate da una membrana plasmatica, da una membrana vitellina e da uno strato gelatinoso. Lo spermatozoo
dunque dovrà passare attraverso prima lo strato gelatinoso, poi incontrare e dissolvere la membrana vitellina e
infine entrare in contatto con la membrana plasmatica.
Nel riccio di mare la membrana plasmatica dello spermatozoo si fonde con la membrana plasmatica della
cellula uovo; successivamente quasi tutto lo spermatozoo verrà inglobato all’interno.

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La prima fase della fecondazione nel riccio di mare è una fase chemio-attrattiva in cui, grazie alla presenza di
sostanze solubili presenti nel mezzo esterno, lo spermatozoo si dirige verso la cellula uovo della stessa specie.
Una volta avvenuto il contatto ha inizio la reazione acrosomiale, un processo che permette allo spermatozoo
di spingersi verso la parte gelatinosa e la membrana vitellina; grazie ad enzimi litici e tipici della vescicola
acrosomiale avviene la fusione tra le membrane plasmatiche dei due gameti. A questo punto si ha l’apertura e
successivamente poi il passaggio del pronucleo maschile.

Il riquadro in alto a destra di questa figura mostra spermatozoi di riccio di mare visti al microscopio. Gli
spermatozoi degli invertebrati generalmente sono più semplici di quelli dei vertebrati; infatti, l’acrosoma è più
piccolo. Poi vi è una testa contenente il nucleo, un colletto con all’interno dei mitocondri sferoidali e infine la
coda.
In questa figura lo spermatozoo del riccio di mare viene confrontato con quello della specie umana;
quest’ultimo presenta un acrosoma più grande ed un colletto, contenente i mitocondri, più lungo.
Gli spermatozoi dei vertebrati terrestri diventano mobili passando attraverso l’epididimo per poi “capacitarsi”
nelle vie genitali (è bene tenere presente che l’epididimo è presente solo nei mammiferi maschi, uomo
compreso). Anche per quanto riguarda il riccio di mare lo spermatozoo, a livello del testicolo, non è in grado
né di muoversi né di fecondare; la capacità di movimento verrà acquisita nel momento in cui essi vengono
rilasciati nell’acqua dove avviene una variazione del pH (7,2 → 7,6).

104
Il pH dell’acqua di mare ha un valore pari a 8 mentre il pH dei testicoli ha un valore di 7,2. Nel momento in
cui gli spermatozoi fuoriescono dai testicoli, ambiente in cui maturano, entrano in contatto con l’acqua dove
si ha una fuoriuscita di ioni idrogeno (H+) e un ingresso di ioni sodio (Na+). Questo determina una variazione
di pH all’interno dello spermatozoo, che da 7,2 passa a 7,6, permettendo in questo modo allo stesso di acquisire
la capacità di movimento. La variazione di pH, infatti, va a stimolare l’attività ATPasica della dineina, una
delle molecole che costituiscono l’assonema, ovvero la struttura responsabile del movimento dei microtubuli.
Le molecole di ATP sono fondamentali affinché ci sia il movimento e l’attività ATPasica della dineina
favorisce il movimento del flagello.

Alcune delle immagini che vediamo in questa figura sono state ottenute con un semplicissimo microscopio
ottico. Possiamo osservare un uovo di riccio di mare, un uovo di tipo isolecitico che rende praticamente
impossibile distinguere il polo animale dal polo vegetativo in questi tipi di organismi. Nelle uova di altre
specie aventi più vitello, quest’ultimo praticamente tende ad accumularsi in una regione specifica
determinando una compartimentalizzazione tra citoplasma e vitello (un po’ come succede se vengono mischiati
acqua e olio, con l’olio che si posiziona sopra l’acqua). In queste uova il vitello si posiziona al di sotto del
citoplasma andando a costituire il polo vegetativo; la zona ricca di citoplasma, invece, rappresenterà il polo
animale. Dal momento che nel riccio di mare la quantità di vitello è scarsa ed è distribuita equamente all’interno
dell’uovo, risulta estremamente difficile distinguere un polo animale da un polo vegetativo.

105
Adesso apriamo una piccola parentesi andando a vedere quali sono le specie di riccio di mare che possiamo
trovare nei nostri mari.
• Paracentrotus lividus: ricci di mare che presentano una colorazione viola, marrone o verde; hanno delle
spine piccole. Vengono utilizzati anche nella nostra cucina (spaghetti al riccio di mare) e ciò che vengono
consumate sono le gonadi.
• Arbacia lixula: questa specie presenta una colorazione nera, una struttura un po’ più schiacciata e degli
aculei più lunghi. Arbacia lixula non viene utilizzata nell’alimentazione dal momento che, nel momento
in cui si va a tagliare il riccio, le gonadi si sfaldano completamente; per questo motivo risulta impossibile
recuperare la parte edibile dell’organismo. L’Arbacia lixula presenta un vitello con pigmentazione
violaceo, ed è per questo che l’insieme gonade-uovo appare di colore violetto.

Un tempo si credeva che Paracentrotus lividus e Arbacia lixula rappresentassero rispettivamente la femmina
e il maschio della stessa specie. Successivamente però si scoprì che si trattava di due specie completamente
diverse e che quindi non esisteva alcun dimorfismo sessuale; ogni specie presenta organismi maschili e
femminili. Sia per quanto riguarda Paracentrotus lividus sia per quanto riguarda Arbacia lixula dall’esterno è
praticamente impossibile distinguere il maschio dalla femmina. Nel momento in cui il riccio viene aperto
durante il suo periodo riproduttivo (generalmente il periodo riproduttivo del riccio di mare è l’inverno, periodo
in cui l’acqua è più fredda), le gonadi vengono esposte e solo a quel punto sarà possibile fare la distinzione tra
maschio e femmina. Le gonadi femminili appariranno ricche di uova con un vitello color arancione carico
mentre le gonadi maschili, ricche di sperma di colore bianco (lo sperma è sempre di colore bianco), sono di
colore giallo. Se invece le gonadi, sia quelle maschili che quelle femminili, vengono esposte nel periodo non
riproduttivo esse appaiono di un colore marroncino rendendo impossibile la distinzione.
Per la ricerca è stato utilizzato soprattutto Paracentrotus lividus in quanto la violenta colorazione di Arbacia
lixula può creare fastidi durante l’osservazione al microscopio.
Le uova o gli spermatozoi del riccio di mare possono essere ottenute in due modi.
• Iniezione di una soluzione KCl 0,5 M: questo metodo consiste nell’iniettare nella parte molle e morbida
del riccio, situata intorno alla bocca, una soluzione 0,5 M di cloruro di potassio (KCl) che provoca uno
shock all’organismo con conseguente fuoriuscita dei gameti (uova o spermatozoi). Si tratta di un metodo
incruento, infatti una volta effettuata l’iniezione il riccio di mare è in grado di eliminare da solo il cloruro
di potassio e non subisce alcun tipo di danno; successivamente l’animale può essere liberato in mare.
• Taglio trasversale: metodo più rapido per ottenere i gameti e consiste nel tagliare l’animale in due,
trasversalmente. La scelta di questo metodo (più rapido rispetto a quello che si basa sull’iniezione)
ovviamente provoca la morte dell’animale. Una volta prelevate le gonadi queste vengono messe in acqua
dove vengono girate e filtrate; alla fine in fondo si troveranno gli spermatozoi o le cellule uovo.

Il metodo del taglio trasversale può essere usato con Paracentrotus lividus e non con Arbacia lixula; infatti,
come detto pocanzi, un taglio trasversale su Arbacia lixula determina lo sfaldamento delle gonadi (queste,
peraltro, risulteranno mescolate con l’intestino e quant’altro). È per questo motivo che la stragrande
maggioranza degli studi condotti nel mediterraneo sono stati fatti sul Paracentrotus lividus, tuttavia non
mancano studi condotti su altre specie di riccio di mare dove però il meccanismo della fecondazione avviene
sempre allo stesso modo (possono esserci delle piccole differenze come ad esempio la colorazione dell’uovo).
Tornando alla figura presente a pagina 105 il quadratino presente in alto a sinistra mostra un uovo isolato
mentre quello in alto al centro illustra un uovo su cui è stata messa una gocciolina di sperma diluito; tra tutti
gli spermatozoi che si osservano intorno alla cellula uovo solo uno riuscirà a penetrare. Non appena si ha
l’ingresso dello spermatozoo, cioè del primo spermatozoo che riesce a superare tutti gli strati e a raggiungere
la membrana plasmatica della cellula uovo, si ha la formazione della membrana di fecondazione, il che
significa che si ha l’inizio di tutta una serie di eventi che determinano il blocco della polispermia, ovvero un
blocco dell’ingresso di ulteriori spermatozoi.

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Il blocco della polispermia è un avvenimento estremamente importante perché nello zigote deve essere
ripristinato il corredo cromosomico diploide: l’ingresso di più pronuclei maschili determinerebbe una
situazione ibrida, una situazione in cui i pronuclei maschili sarebbero quantitativamente maggiori rispetto a
quelli femminili e il corredo cromosomico risulterebbe moltiplicato. Se il blocco della polispermia risultasse
inefficace (cosa che può capitare) lo zigote praticamente non riuscirebbe ad andare avanti con lo sviluppo e di
conseguenza verrebbe abortito.
Il blocco della polispermia avviene in due fasi.
• Blocco rapido
• Blocco lento: la membrana di fecondazione che si “innalza” e circonda l’uovo fa parte del blocco lento.
Questo blocco perdura nel tempo e permette di distinguere un uovo fecondato da uno non fecondato ancor
prima che inizino le divisioni a cui andrà incontro lo zigote. Possiamo avere un’idea di ciò osservando la
figura presente a pagina 105: il quadratino in alto a destra mostra un uovo fecondato dove è visibile
chiaramente un alone intorno (membrana di fecondazione) mentre il quadratino in alto a sinistra mostra
un uovo non fecondato. La membrana di fecondazione permane fino allo stadio di blastula, dopodiché
viene eliminata.

Sempre in figura a pagina 105 possiamo osservare anche un’immagine scattata al microscopio elettronico a
scansione che illustra degli spermatozoi adesi all’uovo senza però attraversare la membrana.
Dal punto 1 al punto 5 (numeri all’interno di cerchietti azzurri nello schemino in basso della figura a pagina
105) vengono indicati i vari passaggi della fecondazione nel riccio di mare. Nel momento in cui lo
spermatozoo, per chemioattrazione, raggiunge lo strato gelatinoso della cellula uovo avviene la reazione
acrosomiale con la fuoriuscita degli enzimi litici; * [il processo acrosomiale si espande e permette allo
spermatozoo di raggiungere la membrana plasmatica. Grazie ad altri recettori presenti sulla membrana
plasmatica avviene il contatto, la fusione delle membrane e infine si ha l’ingresso dello spermatozoo.
L’ingresso dello spermatozoo determina la depolarizzazione della membrana (questo fa parte del blocco
rapido) e la reazione corticale, cioè l’ingresso dello spermatozoo determina anche un flusso di ioni calcio che
provoca la rottura dei granuli corticali. Man mano che i granuli corticali si rompono quest’onda di calcio si
muove e fa sì che la membrana di fecondazione si sollevi].

Attrazione specie-specifica tra spermatozoo e cellula uovo


Tra spermatozoo e cellula uovo esiste
un’attrazione specie-specifica. Il
riccio di mare è una specie marina e nel
mare possono trovarsi tanti altri gameti
(per fare un esempio, Paracentrotus
lividus e Arbacia lixula potrebbero
condividere lo stesso scoglio ed in quel
caso risulterebbe estremamente
probabile un incontro tra gameti non
specie-specifico). Esistono dei peptidi
che permettono l’attrazione specie-
specifica e uno di questi, evidenziato in
Arbacia punctulata, è stato nominato
resact. Questo peptide, composto da 14 amminoacidi, viene prodotto dall’involucro gelatinoso dell’uovo e
agisce chiemiotatticamente, anche a concentrazione molto basse, guidando gli spermatozoi verso le uova del
riccio (un po’ come i ferormoni). Lo spermatozoo presenta, a livello della membrana plasmatica, un recettore
per il resact ed una volta che il peptide interagisce con esso si ha la determinazione di una serie di segnalazioni
(attraverso i messaggeri secondari classici come l’AMP ciclico) con conseguente apertura dei canali del calcio.
Dunque, si ha un ingresso di calcio all’interno dello spermatozoo che ne determina il movimento.

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In questa immagine presente a lato osserviamo come il resact, nel
momento in cui arriva a livello dei suoi recettori presenti sulla
membrana plasmatica dello spermatozoo, attivi:
- un anale del calcio;
- uno scambiatore sodio / idrogeno;
- l’enzima fosfolipasi, che a sua volta produce l’IP3.

Questo provoca l’esocitosi del processo acrosomiale. La fosfolipasi


permette la scissione della membrana acrosomiale, si ha quindi
l’attivazione e la fuoriuscita degli enzimi litici presenti
nell’acrosoma che si dirigono verso l’involucro gelatinoso
degradandolo.

Una volta attraversato l’involucro


gelatinoso gli spermatozoi raggiungono
la membrana vitellina. Questa presenta
dei recettori di molecole come la
ligandina o bindina che sono presenti
a livello dello spermatozoo (figura a
lato).
Abbiamo dunque descritto un doppio
passaggio: il peptide resact (molecola
scoperta in Arbacia punctulata ma è
bene sapere che esistono molecole
simili in tutte le specie di riccio di
mare) grazie al quale viene superato
l’ostacolo della membrana gelatinosa, e
la ligandina grazie alla quale lo
spermatozoo raggiunge la membrana vitellina. La fig. (A), ottenuta grazie al microscopio elettronico a
scansione, mostra un insieme di spermatozoi che circondano non un uovo ma una pallina di polistirolo rivestita
interamente da recettori della ligandina. Gli spermatozoi riconoscono questa pallina di polistirolo come cellula
uovo in quanto avviene il legame ligandina-recettore; con questo esperimento viene dunque dimostrato che lo
spermatozoo e la cellula uovo legano grazie all’interazione tra la ligandina presente sullo spermatozoo e i suoi
recettori presenti sulla cellula uovo.

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Una volta avvenuto questo legame specie-specifico ha inizio il vero e proprio processo di introduzione del
pronucleo maschile all’interno della cellula uovo.

Le membrane plasmatiche dei due gameti si fondono grazie alla presenza a livello della ligandina di un gruppo
di amminoacidi idrofobici i quali determinano la fusione delle vescicole fosfolipidiche tra loro (similmente a
quanto succede con i processi di endocitosi ed esocitosi).

Blocco della polispermia: blocco rapido e blocco lento


Vi sono due meccanismi che bloccano la polispermia: un blocco rapido e un blocco lento.

Il blocco rapido è dovuto ad un cambiamento del potenziale elettrico della membrana. Con l’ingresso dello
spermatozoo si ha una depolarizzazione della membrana in seguito ad un afflusso di ioni sodio; la membrana
della cellula uovo diventa positiva, così come è positiva quella dello spermatozoo, e di conseguenza ci sarà
repulsione e non attrazione. Con una concentrazione di sodio (Na+) all’interno della cellula uovo pari a 50 mM
si ha una percentuale di uova polispermiche ancora pari al 100%, cioè con l’introduzione di 50 mM di sodio
all’interno gli spermatozoi continueranno a passare in quanto la membrana plasmatica non è efficacemente
depolarizzata. Man mano che la quantità di sodio aumenta, la percentuale di spermatozoi che riusciranno a
passare diminuisce.

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Vediamo ora il blocco lento. Una volta che avviene l’ingresso dello spermatozoo nella cellula uovo si ha
un’onda di calcio che a sua volta determina la fusione dei granuli corticali.

Le figura (B) e (C) sono state ottenute con l’ausilio della microscopia elettronica. In figura (A) si osserva una
serie di granuli corticali localizzati al di sotto della membrana plasmatica della cellula uovo; i granuli vengono
detti corticali proprio perché sono situati nella regione più esterna, cioè nella regione corticale (cortex). Nel
punto in cui si ha l’ingresso dello spermatozoo avviene la rottura dei granuli corticali i quali rilasciano calcio;
il rilascio di calcio da parte di un granulo corticale a sua volta provoca la rottura di quelli adiacenti. Quest’onda
di calcio si trasmette a partire dal punto preciso in cui lo spermatozoo è entrato (per capire bene il fenomeno
basta pensare a ciò che si osserva lanciando una pietra in uno stagno). Una volta che i granuli si rompono,
questi si fondono tra loro andando a formare la membrana corticale.
Le membrane dei granuli corticali e la membrana plasmatica della cellula uovo si fondono e avviene il rilascio
del contenuto dei granuli nello spazio compreso tra la membrana vitellina e la membrana plasmatica. Quindi,
il contenuto del granulo corticale va a ritrovarsi nello spazio perivitellino, in questo modo viene a formarsi una
sorta di “sandwich” (la membrana plasmatica e la membrana vitellina rappresentano le parti esterne mentre il
contenuto dei granuli corticali rappresenta la parte centrale).
Nei granuli corticali sono presenti proteasi e mucopolisaccaridi.
• Proteasi: le proteasi degradano i recettori della ligandina, così facendo viene evitata l’eventuale
polispermia; infatti, come detto anche precedentemente, in assenza del recettore della ligandina lo
spermatozoo non è in grado di legarsi. Le proteasi inoltre degradano le proteine che ancorano membrana
vitellina alla membrana plasmatica.
• Mucopolisaccaridi: i mucopolisaccaridi non appena fuoriescono all’esterno dei granuli corticali
“riempiono” lo spazio compreso tra la membrana plasmatica e la membrana vitellina (spazio perivitellino,
un ambiente acquoso). Si tratta di un avvenimento simile a quello dell’uso della gelatina da cucina (la
gelatina al momento dell’acquisto è disidratata ma nel momento in cui entra in contatto con l’acqua si
rigonfia).

Dunque, nel seguente ordine si ha: membrana plasmatica, un nuovo strato gelatinoso costituito da polisaccaridi
ed infine la membrana vitellina. Ecco che a questo punto si è formata la membrana di fecondazione.

110
In questa figura si osserva la formazione dell’involucro di fecondazione e la rimozione dell’eccesso di sperma
(in generale, la fecondazione in diversi istanti di tempo). La figura (A) mostra degli spermatozoi, con le
rispettive code, che circondano la cellula uovo. Nel punto in cui avviene l’ingresso dello spermatozoo si ha
un’ondata di calcio e la rottura dei granuli corticali che determina il sollevamento della membrana di
fecondazione. Quest’ultima - grazie all’assenza della ligandina, del resact e quant’altro - è in grado di
allontanare gli spermatozoi dalla cellula uovo. La membrana di fecondazione compare dopo un tempo di circa
due minuti dal momento in cui lo spermatozoo entra nella cellula uovo. L’assenza della membrana di
fecondazione è indice di fecondazione non avvenuta, e ciò può accadere nonostante ci sia stato l’ingresso dello
spermatozoo.

È possibile seguire l’ondata di calcio rilasciato dai granuli corticali grazie all’utilizzo di un colorante
fluorescente. Il colorante utilizzato per l’esperimento mostrato in figura è l’equorina, un colorante in grado di
emettere fluorescenza in presenza di calcio.

111
Il riquadro grande in basso a sinistra di questa figura mostra un uovo non fecondato; infatti, è chiaramente
visibile il pronucleo femminile. Quello a destra, invece, ritrae un uovo fecondato con la relativa membrana di
fecondazione che lo circonda. L’uovo non fecondato e l’uovo fecondato sono ancora delle strutture
unicellulari, tuttavia non bisogna dimenticare che uno mostra un corredo cromosomico aploide mentre l’altro
un corredo cromosomico diploide.

Attivazione del metabolismo dell’uovo

L’ingresso dello spermatozoo, oltre a ripristinare il corredo cromosomico diploide tipico di quella determinata
specie, attiva anche il metabolismo dell’uovo. Come sappiamo, l’ovocita mentre si accresce si trova in una
fase trascrizionale molto attiva mentre verso la fine del processo di accrescimento l’uovo entra in una fase di
stasi; a questo punto saranno presenti tutta una serie di proteine e di messaggeri materni, ereditati durante
l’accrescimento ovocitario, che però saranno inattivi (ad esempio saranno inattivi gli enzimi, i messaggeri si
troveranno in una forma non traducibile, il DNA non potrà essere trascritto, etc.). Con l’ingresso dello
spermatozoo si ha l’attivazione di questo metabolismo, l’innesco di tutta una serie di eventi che permettono lo
sviluppo di un nuovo organismo molto complesso a partire da una singola cellula.
La cellula uovo è, dunque, una struttura che contiene il materiale utile alla costruzione di un nuovo organismo;
l’ingresso dello spermatozoo, invece, determina l’inizio dello sviluppo.
In alto viene schematizzato ciò che avviene nel momento in cui si ha il contatto e la successiva fusione della
membrana plasmatica dello spermatozoo con quella della cellula uovo:
• Ingresso di sodio (Na+): come già detto precedentemente, il sodio determina la depolarizzazione della
membrana e, successivamente, la fusione e il blocco rapido della polispermia.
• Attivazione di fosfolipasi C: le fosfolipasi attivano l’inositolo trifosfato (IP3) il quale determina il rilascio
di calcio (Ca2+). Si ha la reazione corticale ed il blocco lento della polispermia. Le fosfolipasi C attivano
anche le proteine chinasi C e questo è responsabile dell’attivazione del metabolismo (avvio delle divisioni
cellulari tipiche della segmentazione, avvio della sintesi proteica e della sintesi lipidica). Ecco che si avrà
la formazione di acidi nucleici e proteine a partire dall’mRNA materno accumulato nella cellula uovo.

112
Confronto tra la fecondazione di riccio di mare e la fecondazione di mammifero

In figura sono messe a confronto la fecondazione che avviene nel riccio di mare e la fecondazione che avviene
nel topo comune (Mus musculus), un mammifero. Da come si può notare, non vi è una grossa differenza tra
questi due modelli ed ecco perché gli studi sul riccio di mare sono considerati molto importanti. Nel riccio di
mare (figura A) la cellula uovo è circondata da una membrana plasmatica, da una membrana vitellina (matrice
extracellulare) e infine un involucro gelatinoso (rivestimento extracellulare); nei mammiferi, invece, si trova
la membrana plasmatica, la zona pellucida (matrice extracellulare, equivalente alla membrana vitellina del
riccio di mare) e infine il cumulo ooforo (rivestimento extracellulare).
I vari passaggi che conducono lo spermatozoo verso la membrana plasmatica sono più o meno gli stessi sia
per quanto riguarda il riccio di mare sia per quanto riguarda il topo. Una differenza sta nel fatto che mentre il
processo acrosomiale dello spermatozoo del riccio di mare spinge lo stesso interamente verso l’interno della
cellula uovo, nel caso del topo, invece, questo processo acrosomiale non c’è proprio. Inoltre lo spermatozoo
del riccio di mare, vista la presenza del processo acrosomiale, va dritto per dritto verso la cellula uovo a
differenza di ciò che accade nei mammiferi dove il gamete maschile si dispone tangenzialmente rispetto alla
superficie dell’ovocita.
La più grande differenza tra la fecondazione nel riccio di mare e la fecondazione nei mammiferi sta nel tipo di
fecondazione: in un caso abbiamo una fecondazione esterna mentre nell’altro una fecondazione interna.

113
Fecondazione nei mammiferi

Un campione di seme umano di norma contiene dai 200 ai 400 milioni di spermatozoi in un volume di 2-4 mL
(dunque una concentrazione di 100 milioni per 1 mL). Se gli spermatozoi sono inferiori a 20 milioni / mL, o
se quelli anomali sono superiori al 25 %, allora l’organismo può essere considerato sterile; in questi casi è
possibile ricorrere alla fecondazione assistita la quale può forzare l’incontro tra lo spermatozoo e la cellula
uovo che altrimenti naturalmente sarebbe impossibile.
Gli spermatozoi usciti dal testicolo sono incapaci sia di muoversi sia di fecondare la cellula uovo. Dovranno
essere stimolati alla motilità e andare incontro a capacitazione per riuscire rispettivamente a muoversi e a
fecondare la cellula uovo; la capacità del movimento viene acquisita nell’epididimo mentre la capacitazione
avviene nelle vie genitali femminili.

Nota: è bene tenere presente che anche nei mammiferi per convenzione si parla di “cellula uovo”. In realtà ciò
che stiamo definendo è un ovocita secondario, ovvero una cellula che non ha completato il differenziamento.

Vie genitali femminili e fecondazione

In questa figura è mostrato l’ovario e il percorso dell’ovocita secondario attraverso il dotto di Muller.

114
Nella figura l’uovo è magnificato maggiormente rispetto al resto; se così non fosse, l’uso della stessa scala per
qualsiasi elemento presente in questa immagine permetterebbe di vedere a malapena la cellula uovo. Questo
perché l’uovo è estremamente piccolo ed è alecitico (cioè completamente privo di vitello). Ricordiamo che i
mammiferi placentati non producono vitellogenina a livello del fegato, né le femmine né tantomeno i maschi.
Nell’immagine sono mostrati il range della termotassi (range of termotaxis) e il range della chemiotassi (range
of chemotaxis): salendo le vie genitali femminili - attraverso prima la vagina, poi l’utero e poi entrando nel
dotto di Muller - lo spermatozoo può spingersi più o meno fino ad un certo livello, all’interno di un range in
cui funziona l’attrazione.
Nel punto nominato fertilization site (sito della fecondazione) generalmente avviene la fecondazione. Quando
l’embrione arriva a livello dell’utero esso si trova già nella fase di blastula, dopodiché, nel momento in cui si
impianta, va incontro alla gastrulazione (queste fasi verranno studiate nelle prossime lezioni). La
segmentazione, dunque, avviene prima ancora dell’impianto della blastocisti nell’utero.
L’ambiente uterino è leggermente alcalino e ciò favorisce la sopravvivenza degli spermatozoi. Il tempo di
sopravvivenza degli spermatozoi nelle vie genitali femminili è estremamente variabile: poche ore, pochi giorni,
alcuni mesi o, in alcuni casi, perfino un’intera vita. Nella specie umana la sopravvivenza degli spermatozoi
nelle vie genitali femminili è limitata a pochi giorni.

Nella prima figura (quella presente a sinistra) viene illustrata l’importanza del numero di spermatozoi iniziali
(almeno 100 milioni) affinché possa avvenire la fecondazione. La concentrazione degli spermatozoi
diminuisce man mano che essi risalgono le vie genitali femminili; l’esempio mostra come, partendo da un
valore di 107, si arrivi ad un valore di 102 a livello dell’ampolla. Un numero iniziale di spermatozoi pari a 10
milioni vorrebbe dire un numero finale di 100 spermatozoi, una quantità che non garantisce alte probabilità di
fecondazione. Tuttavia è bene precisare che una bassa probabilità di fecondazione non significa che essa non
possa avvenire ugualmente; infatti, come ben sappiamo, basta un solo spermatozoo affinché ci sia
fecondazione. Non risulta improbabile trovarsi dinanzi a casi di avvenuta fecondazione associati a diagnosi di
aspermia, perché esiste sempre, seppur piccola, una percentuale di accadimento. Dunque, partendo da un
numero iniziale basso di spermatozoi, statisticamente risulta alquanto improbabile che uno soltanto riesca ad
arrivare alla fine e a fecondare la cellula uovo; improbabile però non significa impossibile.
Vediamo ora cosa accade agli spermatozoi nelle vie genitali femminili.
• Perdita di fattori decapacitanti: i fattori decapacitanti sono fattori che “coprono” il processo acrosomiale.
Hanno la funzione di evitare che la vescicola acrosomiale si possa rompere in un momento inopportuno.
• Formazione di zattere lipidiche: si formano a livello del processo acrosomiale. Le zattere lipidiche sono
importanti per il riconoscimento e la stimolazione della rottura dell’acrosoma.
• Iperattivazione della motilità spermatica: lo spermatozoo diventa più attivo, più mobile (più di quanto
già lo sia) e questo permette allo stesso di acquisire la capacità di legarsi alla zona pellucida. La zona
pellucida nei mammiferi equivale alla membrana vitellina del riccio di mare; quindi, a livello della
membrana vitellina troviamo i recettori della ligandina mentre nei mammiferi troviamo la zona pellucida
e i recettori della zona stessa.
• Acquisizione della capacità di legarsi a ZP

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Capacitazione degli spermatozoi

In figura sono rappresentati degli esperimenti che hanno dimostrato quanto sia importante, e necessario, il
passaggio da parte dello spermatozoo nelle vie genitali femminili affinché possa avvenire la fecondazione.
• Esperimento #1: spermatozoi prelevati dal testicolo, quindi non eiaculati, vengono messi a contatto con
una cellula uovo non fecondata. La fecondazione non avviene.
• Esperimento #2: spermatozoi eiaculati, ovvero spermatozoi con capacità di movimento, vengono messi a
contatto con una cellula uovo non fecondata. Anche in questo caso la fecondazione non avviene.
• Esperimento #3: in questo terzo esperimento degli spermatozoi eiaculati vengono mescolati con del fluido
uterino e, successivamente, messi in contatto con una cellula uovo non fecondata. In questo caso si ha
fecondazione con conseguente formazione dello zigote. Quando si effettua la fecondazione assistita gli
spermatozoi devono essere opportunamente trattati con fluidi uterini

Varie sono le molecole, le proteine, coinvolte nella capacitazione dello spermatozoo. Una di queste è il
progesterone, ormone prodotto dal corpo luteo in seguito all’ovulazione. Se l’ovulo si trova a livello del dotto
di Muller, questo indica che è stato espulso; quindi, il follicolo si è trasformato in corpo luteo il quale sta
producendo il progesterone. Quando il progesterone incontra lo spermatozoo rende la sua membrana
plasmatica instabile, processo a cui partecipa anche l’albumina la quale, sottraendo il colesterolo, la rende più
debole; l’azione dell’albumina sposta le zattere lipidiche, strutture localizzate sulla testa dell’acrosoma che
contengono i recettori per la zona pellucida.
Le vie genitali femminili sono leggermente alcaline a causa della presenza di ioni bicarbonato che attivano
l’adenilato ciclasi (messaggero secondario) la quale a sua volta determina la formazione dell’AMP ciclico, il
vero e proprio messaggero secondario. L’AMP ciclico partecipa e determina la fusione della membrana
acrosomiale dello spermatozoo con la membrana plasmatica della cellula uovo, con conseguente fuoriuscita
degli enzimi litici dell’acrosoma.
Nella specie umana uno spermatozoo impiega dai 30 minuti a 6 giorni per raggiungere l’ampolla del dotto di
Muller.

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Questa immagine illustra un concetto già descritto in precedenza. Man mano che si percorrono le vie genitali
femminili, fino ad arrivare all’ovario, la concentrazione di bicarbonato aumenta; il bicarbonato funge da
chemioattrattante verso l’ovario.

La zona pellucida e le glicoproteine ZP1, ZP2 e ZP3

In questa immagine è rappresentato uno spermatozoo eiaculato. Sono visibili piccole strutture, delle molecole
di superficie, che formano una sorta di cappuccio avente la funzione di proteggere l’acrosoma, evitando che
possa danneggiarsi e che vengano emessi all’esterno gli enzimi acrosomiali. Nel momento in cui gli
spermatozoi eiaculati percorrono le vie genitali femminili si ha praticamente l’allontanamento di questa
“protezione” e l’esposizione dei recettori che comunicheranno con la zona pellucida.

117
La zona pellucida è un involucro glicoproteico costituita da tre glicoproteine, ovvero proteine a cui sono legati
residui di zuccheri: queste proteine sono state chiamate ZP1, ZP2 e ZP3. Messe insieme queste proteine
formano una rete, una maglia, visibile in quest’immagine (structure of the zona pellucida). Le proteine ZP2 e
ZP3 formano lo scheletro principale, le catene della struttura, mentre la proteina ZP1 funge da ponte e tiene
unite queste trabecole.

Solamente la proteina ZP3 è in grado di legare gli spermatozoi, ciò vuol dire che il recettore presente sulla
membrana acrosomiale dello spermatozoo non è altro che il recettore della proteina ZP3. Il ruolo della ZP3
nello stabilire il legame dello spermatozoo alla cellula uovo è emerso da esperimenti in cui gli spermatozoi,
dopo essere stati incubati con molecole di ZP3, perdevano la capacità di legarsi alla cellula uovo dal momento
che i loro siti recettoriali ZP3 erano stati saturati (schema - modello topo). Gli stessi esperimenti effettuati con
le proteine ZP1 e ZP2 non producevano, invece, nessun effetto sugli spermatozoi che conservavano pertanto
la capacità di legare la zona pellucida.

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Altri studi hanno inoltre dimostrato che anche gli zuccheri presenti sulle proteine ZP sono fondamentali per il
riconoscimento; infatti, rimuovendo la componente glucidica della proteina non si ha più il legame
spermatozoo-cellula uovo e di conseguenza non si ha fecondazione.
Sappiamo che sullo spermatozoo del riccio di mare è presente la ligandina, o bindina, che si lega al suo
recettore situato sulla membrana vitellina. Nei mammiferi lo spermatozoo si lega alla ZP3, il recettore ovulare,
formando il cosiddetto legame primario (reazione acrosomiale); una volta avvenuto il legame con la proteina
ZP3 entra in gioco la proteina ZP2 con la quale lo spermatozoo forma il legame secondario. Dunque vi è
dapprima un legame primario, avviene quindi la reazione acrosomiale e, successivamente, si ha il legame
secondario con la ZP2.

Una volta avvenuta la reazione acrosomiale, quindi una volta “passato” il legame tra ZP3 e spermatozoo (la
reazione acrosomiale, ovviamente, elimina il legame spermatozoo-ZP3), lo spermatozoo potrebbe allontanarsi
oppure rimanere lì, inerte. Questo però non accade dal momento che entra in gioco il legame con ZP2 che
permette allo spermatozoo di rimanere adeso e ad avvicinarsi poi sempre di più alla membrana plasmatica
dell’uovo.
I carboidrati presenti a livello della proteina ZP3 sono molto importanti. La ligandina, o bindina, presente sullo
spermatozoo di riccio di mare è equivalente ad una galattosiltransferasi presente sullo spermatozoo di
mammifero; dunque, nei mammiferi il riconoscimento tra spermatozoo e cellula uovo avviene a livello dei
carboidrati.
I restanti passaggi della fecondazione nei mammiferi sono gli stessi che avvengono sulla membrana plasmatica
del riccio di mare:
- passaggio attraverso il cumulo ooforo con la chemioattrazione da parte degli ioni bicarbonato;
- riconoscimento a livello della zona pellucida;
- reazione acrosomiale;
- legame e passaggio del pronucleo maschile all’interno della cellula uovo.

119
Nella figura in basso è schematizzato ciò che è stato appena descritto.

Queste immagini presenti di fianco sono state ottenute


grazie alla microscopia elettronica. Abbiamo una
cellula uovo della specie umana con adesi degli
spermatozoi; anche in questo caso, ovviamente, esiste
il blocco della polispermia.
Il legame primario avviene tra la proteina ZP3 e le
molecole presenti sulla membrana plasmatica dello
spermatozoo (galattosiltransferasi). Una volta avvenuto
il legame scatta la reazione acrosomiale e lo
spermatozoo può attraversare, grazie agli enzimi litici e
al movimento del flagello, la zona pellucida.
Nella cavia usata per gli esperimenti è stato dato un
nome alla proteina della membrana acrosomiale interna
che lega lo spermatozoo alla ZP2: proteina PH 20.
Nella specie umana invece la proteina omologa, cioè
equivalente alla PH 20, è stata chiamata SPAM-1
(sperm adhesion molecule - 1). A questo punto può
avvenire la vera e propria fusione dove pare siano
coinvolte altre proteine come ad esempio la fertilina
dello spermatozoo, detta anche PH 30. Anche se il
meccanismo è ormai chiaro, per quanto riguarda le
proteine coinvolte ci sono ancora dei dubbi.

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Reazione corticale e blocco della polispermia nei mammiferi

Il blocco della polispermia che avviene nei mammiferi è un processo del tutto simile a quello che avviene nel
riccio di mare. Non prevede la formazione della membrana di fecondazione ma vi è la reazione dei granuli
corticali: la proteina ZP3 viene modificata e la proteina ZP2 viene scissa dagli enzimi rilasciati dai granuli
corticali. Mentre nel riccio di mare la reazione corticale determina il sollevamento della membrana di
fecondazione, nei mammiferi questa determina la distruzione della zona pellucida; come sappiamo, per gli
spermatozoi è essenziale il legame con ZP3 e poi successivamente con ZP2, di conseguenza se queste due
proteine sono assenti non potrà più esserci il legame.
Il blocco rapido è dovuto, anche in questo caso, dalla depolarizzazione della membrana; il blocco lento, invece,
è dato dalla reazione corticale che provoca una modificazione della zona pellucida tale da non permettere più
agli spermatozoi di interagire con essa.
In base a quanto detto, possiamo dire che i vari passaggi del processo di fecondazione nel riccio di mare e nei
mammiferi sono molto simili tra loro; possono esserci dei cambiamenti sostanziali nei vari gruppi di animali
come ad esempio il tipo di fecondazione (esterna o interna) ma i passaggi di base, quelli fondamentali, sono
gli stessi.

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Ripresa metabolica

Anche nei mammiferi l’ingresso dello spermatozoo, oltre a ripristinare il corredo cromosomico diploide,
determina la ripresa metabolica. Studi hanno evidenziato un vero e proprio smascheramento dei messaggeri.
I messaggeri materni presenti nella cellula uovo sono bloccati, ovvero non possono essere tradotti nonostante
la presenza di tutto il macchinario addetto alla traduzione; il blocco è dovuto alla presenza del cosiddetto CAP
che blocca l’inizio della traduzione. L’ingresso dello spermatozoo, in seguito ad una serie di cambiamenti che
riguardano soprattutto il pH, determina lo smascheramento del 5’ il quale rappresenta il punto di inizio della
traduzione a cui si possono legare le subunità ribosomiali (in particolare la subunità 40S).

Qui vengono schematizzati gli eventi, i vari passaggi, che avvengono in seguito al legame dello spermatozoo
alla membrana plasmatica dell’uovo nei mammiferi, specie umana compresa.

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Con questo schema viene dimostrato, ancora una volta, che ci sono molte similitudini con ciò che succede
nella fecondazione del riccio di mare. In seguito all’ingresso dello spermatozoo si ha:
- afflusso di sodio;
- variazione del potenziale di membrana;
- blocco veloce della polispermia;
- variazione della trasduzione del segnale attraverso una serie di messaggeri secondari;
- attivazione della fosfolipasi C che attiva l’inositolo trifosfato (IP3), con liberazione di calcio;
- esocitosi dei granuli corticali;
- blocco lento della polispermia;
- Gli ioni calcio attivano le NAD chinasi determinando la sintesi di lipidi e la produzione di ossigeno (quindi
l’inizio della ripresa metabolica);
- attivazione delle pompe Na+ / H+;
- aumento del pH cellulare;
- sintesi proteica, sintesi del DNA, etc.

Tutto identico a ciò che accade nel riccio di mare. I meccanismi che stanno alla base della fecondazione nel
riccio di mare e nella specie umana sono identici; anche le molecole coinvolte sono molto simili, aventi
funzioni analoghe.

I pronuclei dello spermatozoo e della cellula uovo non sono equivalenti

La piccola figura presente in alto a sinistra, ottenuta al microscopio, illustra una cellula uovo in cui la fusione
dei due pronuclei, chiaramente visibili, non è ancora avvenuta. La cosa particolare di questa figura è che si
vede ancora il globulo polare: negli organismi in cui l’ovogenesi non è completa (gruppo a cui appartengono
anche i mammiferi), l’ingresso dello spermatozoo determina, tra le altre cose, anche uno start per il
completamento della meiosi, quindi dell’eliminazione dell’ultimo globulo polare.
Questa immagine è stata scattata subito dopo l’ingresso dello spermatozoo, dove i pronuclei maschili e
femminili non sono ancora fusi; dunque, ci troviamo di fronte ad una cellula che ha due pronuclei separati
(quindi non un nucleo diploide) e l’ultimo globulo polare che è stato espulso.

123
A questo punto una domanda può sorgere spontanea:

“potrebbero fondersi due pronuclei femminili o due pronuclei maschili? È solamente una questione di
variabilità genetica o c’è dell’altro?”

Prima di rispondere a questa domanda è bene ricordare una cosa. L’ovocita secondario di fatto, fino al
momento in cui non viene espulso il globulo polare, presenta due pronuclei in quanto il globulo polare stesso
ha un suo pronucleo; dunque, con l’ovocita secondario si hanno due pronuclei femminili che a questo punto
potrebbero anche fondersi. In teoria questo potrebbe accadere ma in realtà non avviene; nel caso in cui una
cosa del genere dovesse avvenire lo sviluppo non andrebbe avanti. Questo perché:

“affinché lo sviluppo di un nuovo organismo avvenga in maniera corretta è necessario


che ci sia un pronucleo maschile e un pronucleo femminile. È una condizione necessaria perché
i pronuclei maschili e femminili non sono equivalenti”.

Il pronucleo maschile è importante non per un discorso di variabilità genetica ma proprio perché non è
equivalente a quello femminile; infatti, sebbene parliamo di due gameti della specie umana ognuno dei quali
avente 23 cromosomi, esistono delle differenze che riguardano i geni presenti sui cromosomi autosomici.

Esperimenti di trapianti di pronuclei nel topo: creazione di zigoti androgenetici e ginogenetici


Di seguito sono schematizzati esperimenti di trapianti di pronuclei nel topo.

• Zigoti ginogenetici: se lo zigote è ginogenetico, cioè entrambi i pronuclei che hanno dato origine ad esso
sono femminili, allora l’embrione sarà abortivo, quindi la gravidanza non va avanti. Studi su questi
embrioni abortiti hanno rivelato che gli stessi erano ben formati ma i tessuti extraembrionali erano carenti,
di conseguenza la placenta non poteva essere tale da consentire il normale avanzamento della gravidanza.
In casi come questi, sebbene inizialmente l’embrione sia perfettamente formato, la placenta è destinata a
staccarsi e vi è l’aborto.
• Zigoti androgenetici: questi zigoti derivano dalla fusione di due pronuclei maschili. In questo caso avviene
esattamente l’opposto di quanto visto per gli zigoti ginogenetici. Si ha una camera gestazionale perfetta,
una corretta placenta però l’embrione è assente; dunque, si tratta di una situazione abortiva, tuttavia in
alcuni casi, dal momento che la placenta risulta essere corretta, si può avere il fenomeno della “finta
gravidanza”. Viene a formarsi la cosiddetta mola idatiforme, o gravidanza molare, ovvero una sorta di
pancia, un’iperplasia del trofoblasto; per eliminare questa struttura bisogna solamente intervenire.

124
• Controlli degli zigoti ottenuti con la fusione di un pronucleo maschile e uno femminile: se i pronuclei
sono biparentali (cioè uno maschile e uno femminile) si ha la formazione dello zigote, dell’embrione e dei
tessuti extraembrionali. Il controllo di zigoti ottenuti con trasferimento di pronuclei potrebbe risultare una
procedura scontata, un esperimento di cui si conosce già il risultato (zigote normale) e quindi inutile da
effettuare. Tramite manipolazione è possibile ottenere sia zigoti ginogenetici sia zigoti androgenetici e in
entrambi i casi la gravidanza non va a buon fine, con formazione di embrioni abortivi. Bisogna però essere
sicuri che queste gravidanze “incomplete”, con formazione di embrioni abortivi, non siano dovute proprio
a queste manipolazioni esterne, manipolazioni che avrebbero potuto impedire lo sviluppo di uno zigote
derivante dalla fusione di due pronuclei femminili o maschili.
Esiste dunque un anche un controllo della manipolazione: partendo dal presupposto, dalla certezza, che
uno zigote derivante dalla fusione naturale di un pronucleo maschile e femminile si sviluppi in un embrione
sano, bisogna assicurarsi che il procedimento di manipolazione non influenzi in maniera negativa gli
esperimenti. Se con la manipolazione si ottiene uno zigote e di conseguenza un embrione che termina tutte
le sue fasi di sviluppo, allora possiamo concludere che gli embrioni abortivi ottenuti negli zigoti
ginogenetici e androgenetici non sono dovuti al processo di manipolazione ma alla fusione di due pronuclei
femminili e due pronuclei maschili. Possiamo dire a questo punto che i pronuclei femminili e maschili non
sono equivalenti.

Apriamo una piccola parentesi su un punto fondamentale della ricerca scientifica e della sperimentazione,
ovvero la procedura di controllo. Quando si effettua un esperimento bisogna sempre porsi con il controllo,
detto anche bianco della reazione, al fine di assicurarsi che un dato risultato osservato in seguito ad una
determinata manipolazione sia dovuto all’esperimento in sé, alla modifica di una proteina oppure ad un
particolare trattamento, etc. Ad esempio, se si stanno conducendo esperimenti su degli animali bisogna essere
certi che i risultati che si vanno ad osservare siano frutto di un determinato trattamento e non del fatto che
siano stati tenuti in cattività. Se si tiene un animale per 15 giorni in cattività a contatto con una sostanza allora
bisogna anche che lo stesso venga tenuto per 15 giorni in cattività non a contatto con la sostanza; così facendo
ci si assicura che un dato risultato sia dovuto o alla cattività, o al tipo di ambiente in cui l’animale è cresciuto
oppure alla sostanza a cui l’animale è entrato in contatto.

Imprinting genetico

Torniamo ora al concetto della non equivalenza dei pronuclei maschili e femminili. La non equivalenza è
dovuta all’imprinting genetico:

tra la linea maschile e la linea femminile esiste un’espressione differenziale di materiale genetico
che viene trasmessa.

125
* [Parliamo di geni presenti in duplice copia (biallelici) e non di geni, invece, presenti su cromosomi sessuali
che possono o meno esserci a seconda che sia presente il cromosoma X o il cromosoma Y. Quindi, stiamo
parlando di geni biallelici, cioè di alleli di cui però viene espressa una sola copia, o quella presente sulla linea
femminile o quella presente sulla linea maschile, quindi si parla di espressione monoallelica di geni biallelici.
Nella specie umana è stato visto che ci sono circa 30 geni espressi solo nella linea materna mentre gli stessi
non vengono espressi in quella paterna (in quella paterna sono imprinted); ci sono poi circa 70 geni che
vengono espressi solo nella linea paterna mentre in quella materna sono bloccati (figura a pagina 125)]. Si
tratta di un controllo epigenetico, un blocco che avviene mediante metilazione, in questo modo geni non
vengono espressi.

In questa figura è mostrato un caso tipico, uno dei tanti. I geni IgF-2, H19 e IgF-2r sono strettamente collegati
tra loro. Nel maschio è attivo il gene IgF-2 e sono spenti i geni H19 e IgF-2r; nella femmina, invece, sono attivi
i geni H19 e IgF-2r ed è spento il gene IgF-2.
• IgF-2: quando è attivo verrà prodotta un fattore di crescita, detto IGF-2, ovvero una proteina molto simile
all’insulina.
• H19: gene che regola l’espressione del gene IgF-2.
• IgF-2r: questo gene codifica per una proteina che degrada specificamente il recettore di IGF-2.

Affinché ci siano i prodotti di tutti e tre i geni sono necessarie entrambe le linee, quella maschile e quella
femminile. La presenza della sola linea maschile causerebbe l’espressione esponenziale del gene IgF-2 in
quanto sarebbero assenti quelle proteine addette alla sua regolazione e alla degradazione del recettore di IGF-
2 (proteine codificate dal gene H19 e IgF-2r). La sola presenza della linea femminile invece garantirebbe la
presenza del solo sistema di regolazione (H19 e IgF-2r); infatti, mancherebbe la proteina da regolare che viene
prodotta da IgF-2. È necessario che la proteina codificata dal gene IgF-2 venga prodotta ma allo stesso tempo
la sua produzione deve essere regolata onde evitare che si accumuli nel tempo.
Questo rappresenta solo uno dei tanti esempi di geni imprinted, cioè di geni che determinano la non
equivalenza tra il pronucleo maschile e il pronucleo femminile.

126
7. Lezione del 09/10/17
Fecondazione in vitro (IVF)

Prima di passare allo studio di ciò che accade dopo la fecondazione, quindi dopo la formazione dello zigote, è
bene spendere qualche parola sulla fecondazione in vitro, anche perché si tratta di un argomento che ci
interessa da vicino. La fecondazione in vitro si basa su una serie di manipolazioni messe in atto al fine di far
avvenire la fecondazione quando normalmente, naturalmente, non può accadere; la fecondazione ad esempio
non può avvenire quando, nel caso dell’uomo, vi sono difetti nella spermatogenesi (quantità di spermatozoi
non sufficiente) oppure quando non vi è una corretta ovulazione nel caso della donna.
Il primo essere umano concepito con la fecondazione in vitro è nato in Inghilterra nel 1978 e si chiama Louise
Brown (donna) mentre il primo essere umano (sempre una donna) “a nascere in provetta” è nato in Italia, a
Napoli, per mano del ginecologo napoletano Vincenzo Abate (questa bambina nata, ora ragazza, oggi ha una
laurea in biologia).
La tecnica più utilizzata nella fecondazione in vitro è la ICSI, acronimo di iniezione intracitoplasmatica degli
spermatozoi, che di seguito descriviamo. Sappiamo benissimo che affinché avvenga la fecondazione è
necessario che l’uovo e lo spermatozoo entrino in contatto; sappiamo anche che lo spermatozoo deve essere
capacitato, questo significa che una volta preso l’eiaculato gli spermi devono essere preparati trattandoli con
il fluido proveniente dalle vie genitali femminili. La situazione però inizia a farsi un po’ più complessa nel
momento in cui bisogna prendere gli ovuli.

127
Innanzitutto si potrebbe attendere che l’ovario sia pronto per ovulare in maniera naturale; tuttavia l’ovulazione
avviene per un ovulo al mese e, come accade in tutte le manipolazioni che avvengono in vitro, non sempre si
ha la garanzia di successo al 100 %. Dunque, risulta necessario che l’iniezione intracitoplasmatica dello
spermatozoo avvenga contemporaneamente su più ovuli. La donna si sottopone alla FIVET, fa un ciclo di
ormoni (in particolare FSH ed estradiolo) in modo tale da stimolare la gonade femminile all’ovulazione non
di un solo follicolo ma di più follicoli (si tratta di una iperstimolazione che determina l’ovulazione di più
follicoli in quel determinato mese). Ovviamente questi follicoli non si faranno ovulare (con l’ovulazione
naturale sarebbe difficile recuperare l’ovulo nelle vie genitali femminili) ma avverrà un vero e proprio
intervento (pick-up degli oociti), con anestesia totale. Dunque, il primo passo da compiere è la stimolazione
della gonade, dopodiché - non appena ci si rende conto, attraverso ecografia, che ci sono più follicoli pronti ad
ovulare - si procede all’aspirazione degli ovuli tramite ago. Con l’uso di un microscopio con
micromanipolatore la fecondazione avviene in maniera forzata, iniettando direttamente lo spermatozoo
all’interno dell’uovo. A questo punto ci si assicura che la fecondazione sia andata a buon fine attendendo
l’inizio delle prime divisioni dello zigote, cioè l’inizio della formazione della blastocisti (inizio
dell’embriogenesi). Successivamente si procede con il “viaggio inverso”, cioè praticamente, servendosi di un
sondino, l’embrione viene depositato nell’utero con la speranza che questo attecchisca (le varie fasi sono
illustrate nello schema in basso).

Dal momento che inizialmente l’ovulo è stato rimosso forzatamente dal follicolo, è necessario che l’utero si
trovi nelle condizioni di poter accettare la blastocisti e permettere il suo impianto; ecco che quindi alla donna,
dopo il ciclo di FSH ed estrogeni, verrà somministrato l’ormone progestinico che prepara l’impianto per la
blastocisti.

128
Ricapitolando, con l’aiuto dello schema presente nella pagina 128, i passaggi da eseguire nella fecondazione
in vitro sono:
- prelievo dell’ovocita dai follicoli di Graaf (follicoli maturi);
- microiniezione del pronucleo maschile con successiva fusione a quello femminile;
- inizio della segmentazione;
- formazione della blastocisti che viene presa e depositata nel luogo naturale.

Vediamo ora, invece, quali sono i due punti importanti della fecondazione in vitro.
• Buon esito dell’iniezione dello spermatozoo e formazione della blastocisti.
• Avvenimento della fecondazione su più ovuli con conseguente formazione della blastocisti.

Avendo a disposizione ad esempio 10 ovuli, nel migliore dei casi si possono ottenere 10 blastocisti; in questo
caso si parla di embrioni congelati. Nonostante siano ancora in corso studi sulla criopreservazione, oggigiorno
non si è ancora in grado di congelare un seme per poi riprendere lo sviluppo; allo stadio di blastocisti tuttavia,
con un numero ridotto di cellule non ancora differenziate, il congelamento può avvenire. Il congelamento deve
però essere immediato, avvenire con azoto liquido (quindi con temperature molto inferiori ai -150 C °) e la
catena del freddo non deve mai bloccarsi se non al momento in cui l’embrione deve essere impiantato.
Generalmente si creano molte blastocisti ma di queste ne vengono impiantate solo un certo numero; la legge
italiana permette l’impianto di 3 blastocisti, un numero che molto spesso risulta essere piuttosto basso. Infatti,
impiantando tre sole blastocisti, nessuna di queste riesce ad impiantarsi per bene, ragion per cui risulta
preferibile impiantarne un numero maggiore; d’altro canto, è pur vero che l’impianto di un maggior numero
di blastocisti può determinare delle gravidanze gemellate.
A causa di vincoli imposti dalla legge italiana molte persone si recano all’estero per poter ricorrere alla
fecondazione in vitro. Altra cosa che nel nostro Paese non è consentita è la conservazione delle blastocisti, una
pratica che ai giorni nostri potrebbe rivelarsi molto utile. La donna della specie umana è più fertile all’età di
18-20 anni, fertilità che va a scemare dopo i 30. Oggigiorno molte donne con età compresa tra i 18 e i 20 anni
sono impegnate negli studi o con il lavoro e non pensano ancora a mettere su famiglia; per questo motivo molte
di esse si sottopongono alla fase di recupero degli ovociti (congelamento degli ovociti).
In alcune zone del mondo, come ad esempio Barcellona, esistono meno vincoli ed è possibile prelevare gli
ovociti e conservare gli embrioni. In alcuni Stati è prevista la distruzione degli embrioni che non vengono
impiantati, il che significa ripetere tutto il procedimento qualora la gravidanza non dovesse andare a buon fine;
avendo, invece, a disposizione delle blastocisti congelate, queste possono essere impiantate in caso di esito
negativo della precedente gravidanza.

129
La Partenogenesi

La partenogenesi naturale: obbligatoria o facoltativa

Si parla di partenogenesi quando la fecondazione e la formazione di un nuovo individuo avviene a partire da


un solo genitore. Il genitore in questione è di sesso femminile, condizione sufficiente ma allo stesso tempo
necessaria per far sì che ci sia la partenogenesi in quanto c’è bisogno della cellula uovo.
La partenogenesi naturale può essere:
• Obbligatoria: si ha quando manca il partner.
• Occasionale o facoltativa: soltanto in particolari condizioni.

La partenogenesi naturale, che sia obbligatoria oppure occasionale, avviene in varie classi di animali. Infatti,
da come si può notare anche da questa immagine, questo fenomeno non avviene solo nelle piante, negli insetti
e negli invertebrati acquatici come ad esempio l’Artemia salima ma avviene anche nei vertebrati;
nell’immagine infatti possiamo osservare un geco, uno squalo e un rettile di grandi dimensioni noto
comunemente come drago di Komodo (Varanus komodoensis).
La partenogenesi è un processo che permette la sopravvivenza della specie in determinate condizioni. Nelle
lezioni scorse abbiamo detto che determinati fattori ambientali, come ad esempio la temperatura, possono
determinare la nascita di soli individui maschi o soli individui femmine (determinazione del sesso di tipo
ambientale). Se in una determinata specie la partenogenesi è possibile, il problema della presenza di pochi
partner dell’altro sesso può essere risolto con la partenogenesi occasionale, o facoltativa, ovvero quel tipo di
partenogenesi che viene messa in atto solamente quando le condizioni esterne non sono ottimali per una
corretta fecondazione.

130
La partenogenesi obbligatoria si attua in mancanza di partner, situazione che viene a verificarsi nella società
delle api (figura in alto). L’unico organismo animale all’interno della complessa struttura sociale delle api in
grado di produrre cellule uovo è l’ape regina. L’ape regina presenta un corredo cromosomico diploide; la sua
linea germinale va incontro a meiosi andando a formare cellule uovo. Quest’ultime, a loro volta, possono
andare incontro ad una partenogenesi particolare, ovvero una partenogenesi in cui non si completa il
diploidismo. La cellula uovo avente corredo cromosomico aploide si attiva e dà origine a quelli che vengono
chiamati droni, fondamentalmente api di sesso maschile, che presentano un corredo cromosomico aploide.
* [Le cellule germinali di queste api di sesso maschile vanno incontro solamente a mitosi e sono in grado di
formare spermatozoi, sempre per mitosi]; rappresentano l’unico caso in cui le cellule germinali non vanno
incontro a meiosi, e questo succede perché tali cellule sono già aploidi (n). Questi spermatozoi che si dividono
per mitosi sono in grado di fecondare le cellule uovo dell’ape regina, fecondazione in seguito alla quale
possono avere origine api lavoratrici o un’altra ape regina. Vediamo ora in che modo può verificarsi l’uno o
l’altro caso. Le api durante l’embriogenesi vanno incontro alla fase larvale, queste larve vengono chiamate
pupe. Se quest’ultime, all’interno dell’alveare, vengono nutrite con il miele allora daranno origine a femmine
2n sterili (la linea germinale è sterile); se, invece, vengono nutrite con la pappa reale daranno origine all’ape
regina, fertile, la quale volerà via dall’alveare per formare una nuova colonia.

131
Partenogenesi sperimentale

La partenogenesi appena descritta è una partenogenesi naturale, che avviene in natura. Tuttavia, essa può anche
essere indotta in laboratorio dove l’attivazione della cellula uovo avviene grazie a delle stimolazioni che
praticamente “simulano” l’ingresso dello spermatozoo. Come già detto nelle scorse lezioni, l’ingresso dello
spermatozoo determina una depolarizzazione della membrana della cellula uovo e un’ondata di calcio. Quindi,
se in una cellula uovo si provoca prima una depolarizzazione della membrana (con uno shock elettrico) e poi
un’ondata di calcio (con opportune sostanze) si induce una attivazione partenogenetica.
Nella partenogenesi sperimentale, in seguito alla stimolazione non si ha la fuoriuscita dell’ultimo globulo
polare. In seguito alla stimolazione che l’ovocita secondario riceve (una stimolazione che ha il significato di
“fecondazione avvenuta”), i due pronuclei femminili, parliamo * [di quello presente in sede e quello che
dovrebbe essere espulso sotto forma di globulo polare], si fondono e inizia ad avvenire la segmentazione. Nella
lezione scorsa abbiamo però parlato della non equivalenza dei pronuclei maschili e femminili, in particolare
dicemmo che una blastocisti derivante dalla fusione di due pronuclei femminili, che in questo caso si verrebbe
a formare in seguito a partenogenesi sperimentale, non può andar incontro ad uno sviluppo normale. Tuttavia,
bisogna anche ricordare che questa blastocisti, nonostante la mancanza delle strutture extraembrionali del
trofoblasto che sono necessarie all’impianto e alla formazione della placenta, è in grado di dare origine ad un
embrione perfetto. Quindi, la cosiddetta massa cellulare interna è quella che darà origine al vero e proprio
embrione a differenza di quella esterna che darà, invece, origine alle strutture extraembrionali; le cellule
interne, inoltre, sono cellule totipotenti in grado di sviluppare, nelle opportune condizioni, un organismo
completo.

132
Dunque, la partenogenesi sperimentale può essere un modo per aggirare quelli che sono gli ostacoli di natura
etica ed avere a disposizione anche delle cellule staminali embrionali umane da monitorare. La comunità
scientifica utilizzerebbe volentieri cellule embrionali umane, ciò però non è possibile a causa del disaccordo
del resto della comunità. Secondo l’opposizione, ottenere delle blastocisti per poi prelevare delle cellule
significa comunque far avvenire una normale fecondazione; quindi, una fecondazione che dà origine ad una
blastocisti la quale, se messa nelle opportune condizioni, potrebbe svilupparsi in un bambino umano a tutti gli
effetti. Dunque, secondo il resto della comunità non è corretto mettere in atto delle manipolazioni che possono
avviare l’inizio di una vita al fine unico di utilizzare delle cellule. Eppure, facendo un’attenta riflessione, c’è
da dire che in questo caso non si parla di un organismo completo ma di una manipolazione, a partire da un
ovocita, che dà un certo numero di cellule le quali saranno comunque destinate a morire.
L’utilizzo di tali cellule - ovvero di cellule embrionali staminali derivanti da uno zigote di fatto ginogenetico
(unione di un pronucleo di un ovocita con il pronucleo di un globulo polare), che sono indistinguibili da quelle
di uno zigote derivante dalla fusione di un pronucleo maschile e femminile - non comporta alcun problema
etico in quanto quella determinata blastocisti non risulta funzionale. La partenogenesi sperimentale dà dei
grossi vantaggi e rappresenta un escamotage per ottenere cellule staminali embrionali, che sono delle cellule
totipotenti, cioè cellule ancora in grado di dare origine a tutte le linee cellulari differenziate dell’organismo
umano (tessuto nervoso, sangue, etc.). Le cellule staminali rappresentano un punto di base per poter risolvere
danni dovuti anche a malattie molto gravi come ad esempio le leucemie.

133
Embriogenesi: lo sviluppo embrionale

Dopo aver studiato spermatogenesi, ovogenesi e fecondazione, possiamo ora passare allo studio del vero e
proprio sviluppo embrionale, l’embriogenesi.
L’embriogenesi è un processo che avviene senza interruzioni; nonostante ciò, è possibile dividerla in 3 grossi
momenti:
• Segmentazione: detta anche divisione, o cleavage in inglese, rappresenta il primo momento
dell’embriogenesi. È bene precisare che il termine inglese “cleavage” (che significa divisione), rispetto al
termine italiano “segmentazione”, sarebbe più corretto da utilizzare. Questo perché durante l’embriogenesi
esiste un momento che prevede la segmentazione del corpo in metameri (metameria del corpo) a cui risulta
più appropriato associare il termine “segmentazione”. Quando in inglese si usa il termine “segmentation”
non ci si riferisce al processo indicato con “segmentazione” in italiano, piuttosto ci si riferisce ad una fase
tardiva dell’organogenesi. Gli inglesi usano il termine cleveage in quanto durante questa fase non avviene
altro che un’attiva proliferazione cellulare, cioè a partire dallo zigote si arriva ad un numero enorme di
cellule (il numero varia da specie a specie). A segmentazione avvenuta si ha un insieme di cellule che
presentano un limitato livello di organizzazione, in pratica le cellule sono tutte uguali tra di loro. L’uovo
fecondato, o zigote, alla fine della segmentazione diventa blastula e le cellule che la compongono vengono
dette blastomeri.
• Gastrulazione: secondo momento dell’embriogenesi, molto importante, durante il quale la blastula si
trasforma in gastrula. Durante la gastrulazione le divisioni cellulari continuano, ma ad un ritmo ridotto.
Quest’ultime, inoltre, iniziano a muoversi (movimenti morfogenetici tipici) e ad organizzarsi nei tre
foglietti embrionali: ectoderma, mesoderma ed endoderma.
• Organogenesi: nell’organogenesi, a partire dai tre foglietti embrionali si sviluppano tutti gli apparati
caratteristici di quel determinato organismo; in questa fase la gastrula diventa neurula la quale arriverà
fino alla fine dello sviluppo. La neurula è una gastrula in cui avviene la formazione del primo apparato,
l’apparato nervoso. Durante l’organogenesi ci sarà un’elevata organizzazione e specializzazione da parte
delle cellule; infatti, quest’ultime sono ormai differenziate nei vari tipi cellulari caratteristici di
quell’organismo.

Ognuna di queste fasi è regolata da vari geni. La segmentazione è regolata dai geni materni, quindi da tutta
quella parte che lo zigote ha ereditato dalla madre (nell’ovogenesi, infatti, durante l’accrescimento ovocitario
vi è una forte trascrizione e traduzione, il che significa molte proteine e mRNA che all’atto della fecondazione
diventano metabolicamente attivi, che quindi possono essere trascritti e tradotti).

134
Alla fine della segmentazione, e inizio gastrulazione, entrano in gioco i geni master regolatori dello sviluppo.
Questi geni vengono così chiamati perché si è visto che una volta “messi a tacere” (“spegnendoli” in un certo
senso) lo sviluppo non va avanti, o almeno, non va avanti in maniera regolare. Alcuni di questi geni sono
essenziali mentre altri hanno il compito di regolare l’azione di altri geni; quindi, parliamo di fattori di
trascrizione, ovvero di proteine in grado di regolare l’espressione, in un sistema a cascata, di altre proteine.
Gli ultimi geni coinvolti nell’embriogenesi sono i geni esecutori, geni che danno conto della funzionalità
cellulare. Ecco che a seconda del tipo cellulare (cioè se una determinata cellula diventerà muscolare, nervosa,
scheletrica, etc.) saranno “accesi” o “spenti” determinati geni; i geni che verranno accesi sono quei geni che
hanno un determinato mandato, compatibile con quel tipo di attività cellulare e che devono eseguirlo.

GENI MATERNI → GENI MASTER REGOLATORI → GENI ESECUTORI

Le cellule del fegato, ad esempio, sono responsabili del metabolismo degli acidi grassi; quindi, sono cellule
che hanno tutta una serie di geni attivi che si trovano alla base dell’eliminazione di grassi.

La segmentazione

La segmentazione è la prima fase dell’embriogenesi,


che comporta il passaggio dalla monocellularità
(zigote) alla pluricellularità. Lo zigote inizia a
dividersi per mitosi e le cellule che si originano
vengono dette blastomeri. I blastomeri derivano da
mitosi particolari, cioè mitosi le cui fasi di
accrescimento G1 e G2 sono assenti, al massimo
brevissime; questo significa che la cellula si divide
senza aumentare di dimensioni. Se ad esempio lo
zigote presenta un diametro di 1 cm, in seguito ad una
divisione si formeranno due cellule con un diametro
di 0,5 cm; da ciascuna di quest’ultime si genereranno
due cellule con un diametro di 0,25 cm e così via. Le
cellule continuano a dividersi fino a quando non viene
ripristina la normale grandezza delle cellule di
quell’organismo. La cellula uovo di una gallina
presenta delle dimensioni di circa 5-6 cm, 2-3 cm se
non si considerano l’albume e il guscio (parliamo
quindi solo di quella parte che veramente risulta
essere la cellula uovo); le cellule di una gallina adulta,
tuttavia, non sono grandi 2-3 cm ma presentano dimensioni microscopiche. Dunque, la grandezza di un
organismo non dipende dalla grandezza delle sue cellule ma dal numero delle cellule; le cellule, ad eccezioni
di casi particolari, sono tutte microscopiche (ordine dei µm).
In seguito a queste particolari divisioni mitotiche viene ripristinato il rapporto nucleo-citoplasma tipico di
quella specie.

È estremamente importante che ci sia un nucleo che controlli uno spazio citoplasmatico piccolo.

Passiamo alla spiegazione di questo importante concetto.

135
Il nucleo rappresenta il centro di controllo, il core, della cellula. Il nucleo deve fare in modo che il citoplasma
sia perfettamente funzionante e che ci siano le proteine necessarie affinché tutto funzioni; se le dimensioni del
citoplasma risultassero troppo grandi rispetto a quelle del nucleo, quest’ultimo non riuscirebbe a controllare in
maniera ottimale tutto ciò che accade all’interno della cellula, e quindi non riuscirebbe a fare in modo che tutto
funzioni. In un organismo adulto il rapporto nucleo-citoplasma (N/C) presenta un valore optimum, un valore
tale da permettere al nucleo il controllo e la risposta a tutte le esigenze di quel determinato citoplasma e di
quella determinata membrana plasmatica.
Dunque, la segmentazione è importante per due ragioni:
• generazione di un gran numero di cellule che daranno origine al nuovo individuo;
• aumento del rapporto nucleo-citoplasma fino a quando esso non raggiunge il valore ottimale.

Come detto precedentemente, i blastomeri derivanti dalla segmentazione non si accrescono dal momento che
mancano le fasi di accrescimento del ciclo cellulare (ciclo cellulare, in questo caso, è costituito
fondamentalmente dalla fase S, in cui avviene la sintesi del DNA, e dalla fase M, cioè la mitosi); qualora le
fasi di accrescimento dovessero essere presenti, queste saranno molto brevi. La mancanza delle fasi di
accrescimento fa sì che le cellule figlie diventino sempre più piccole rispetto alla cellula madre iniziale da cui
hanno origine.
È bene tenere presente che la segmentazione è una fase brevissima, le mitosi e le citodieresi (taglio della cellula
madre che dà origine a due cellule figlie) sono rapidissime; generalmente sono richiesti * [dai 20 ai 60 minuti
per ottenere una divisione completa durante la segmentazione].
Quando si parla di turn over cellulare ci si riferisce al tasso mitotico, ovvero alla capacità e alla velocità che
hanno le cellule di dividersi. Le cellule differenziate di un organismo adulto possono essere distinte nei
seguenti tipi.
• Cellule perenni: trattasi di cellule che hanno perso la capacità di dividersi. In questo caso si dice che il
loro turn over coincide con il turn over dell’organismo. Esempi di cellule perenni sono le cellule muscolari
e le cellule nervose, anche se bisogna dire che degli studi hanno dimostrato che un certo recupero può
esserci. Comunque sia, fondamentalmente, possiamo dire che una cellula nervosa specializzata non si
dividerà mai più.
Discorso simile per le fibre muscolari. Ad esempio, se parte di un muscolo viene persa in seguito ad un
incidente, ciò che in seguito si forma (cioè quello che vediamo quando il tutto si cicatrizza) è un tessuto
fibrotico, connettivale, e non la massa muscolare. La massa muscolare, purtroppo, non viene più
recuperata. Quindi, le cellule nervose e le cellule muscolari possono essere considerate delle cellule
perenni.
• Cellule stabili: le cellule stabili presentano un turn over abbastanza lungo. Anche se è pur vero che “vivono
e muoiono” in una fase ben distinta e discriminante della vita di un organismo, il loro turn over è lento.
Sono cellule stabili le cellule del fegato (epatociti) le quali generalmente possono durare anche un mese
(turn over lento).
• Cellule labili: le cellule labili costituiscono gli epiteli. Il tessuto epiteliale riveste gli organi che sono a
stretto contatto con l’ambiente esterno; quindi, parliamo della pelle, delle mucose intestinali, dell’esofago,
etc. Questi epiteli, proprio perché rivestono delle zone che sono in continuo contatto con l’esterno
(dall’esterno possono provenire prodotti di varia natura), sono formati da cellule labili, cioè da cellule
aventi una vita piuttosto breve (vanno incontro a turn over). Le cellule labili sono cellule che presentano
un alto tasso mitotico.

Fatta questa distinzione tra le cellule presenti all’interno di un organismo adulto possiamo immaginare quanto
siano rapidi le divisioni cellulari che avvengono durante la segmentazione. Infatti:

nonostante il tasso mitotico delle cellule labili sia elevato, quest’ultimo non sarà mai elevato
quanto il tasso mitotico che si trova durante la fase di segmentazione

136
Nella segmentazione le divisioni cellulari possono durare da un minimo di parecchi minuti ad un massimo di
1 ora; nel caso, invece, delle cellule differenziate le divisioni possono durare da un minimo di alcune ore fino
ad arrivare ad alcuni giorni.
Il tasso mitotico dei blastomeri è risulta perfino maggiore dell’elevato tasso mitotico delle cellule cancerogene.
Le cellule cancerogene (cellule tumorali) sono pericolose proprio perché sono cellule in attiva proliferazione.
Queste cellule tornano allo stadio precedente di quello differenziativo, diventando una sorta di cellule staminali
che vanno incontro alle cosiddette divisioni “impazzite”. Possiamo concludere affermando che:

i blastomeri presentano il più alto tasso mitotico che si possa trovare


nel mondo degli organismi viventi

Con la segmentazione si ha l’instaurarsi del corretto rapporto N/C nelle cellule di quell’organismo. Questo
processo risulta essere molto diverso a seconda del tipo di uovo; la segmentazione dipende, è strettamente
controllata, dal tipo di uovo in quanto la presenza di una grossa quantità di vitello può alterare i pattern di
divisione determinando delle divisioni incomplete.

Ciclo cellulare durante la segmentazione

In figura possiamo osservare un confronto tra il ciclo cellulare dei blastomeri (A) e il ciclo cellulare delle
cellule somatiche (B).
• Ciclo cellulare nei blastomeri: il ciclo cellulare dei blastomeri non presenta le fasi di accrescimento G1 e
G2. A partire dalla mitosi possiamo osservare il coinvolgimento di varie cicline, proteine addette al
controllo del ciclo cellulare. Nel ciclo cellulare è presente solamente la ciclina B la quale si lega a cdc2,
un legame in seguito al quale avviene l’attivazione del fattore che promuove la mitosi (MPF). Durante la
mitosi si ha la degradazione della ciclina; nello stesso tempo in cui avviene la sintesi del DNA la ciclina
viene nuovamente sintetizzata in maniera tale da attivare nuovamente l’MPF per la mitosi successiva.
• Ciclo cellulare nelle cellule somatiche: nelle cellule somatiche la fase di accrescimento G1 avviene dopo
la mitosi. Successivamente si ha la sintesi del DNA (fase S), poi un ulteriore accrescimento della cellula
con la fase G2 (in questa fase si ha la produzione dei microtubuli che sono necessari per la formazione del
fuso mitotico) e infine la mitosi (fase M). Nel ciclo cellulare delle cellule somatiche sono presenti la ciclina
A, la ciclina B, la ciclina D, la ciclina E, etc.

137
Ritmo di formazione dei blastomeri

Il grafico che osserviamo in alto mostra come la fase di segmentazione sia una fase “esplosiva”. È possibile
chiaramente notare una crescita esponenziale del numero di cellule.
Anche durante la gastrulazione si verifica un aumento del numero di cellule (dopotutto non si può pensare che
l’organismo adulto abbia lo stesso numero di cellule della blastula), tuttavia, da come appare anche in grafico,
la velocità di duplicazione è inferiore. Un tasso mitotico veloce come quello presente durante la segmentazione
non è presente in nessun altro momento della vita cellulare. Nelle rane, ad esempio, si possono formare circa
37 000 cellule in 40 ore (925 cellule all’ora); in Drosophila melanogaster avviene una mitosi ogni 10 minuti,
in 12 ore quindi si ottengono 50 000 cellule.
Verso la fine della segmentazione (nel momento in cui si parla di transizione di medio blastula) il ritmo delle
divisioni diminuisce (in seguito vedremo perché questo accade). Nella segmentazione mancano, oltre alle fasi
di accrescimento, anche grandi attività di trascrizione e traduzione; infatti, lo zigote, e poi la blastula, non
fanno altro che dividersi senza produrre alcunché, sostenendosi col solo “materiale” ereditato dalla madre. Con
l’avvento della transizione di medio blastula iniziano ad esserci le fasi di accrescimento del ciclo cellulare e la
trascrizione dei geni embrionali.
Quindi, volendo ricapitolare, fino alla fase di transizione di medio blastula l’embrione vive grazie ai geni
materni (il ciclo cellulare viene regolato grazie ai geni materni). Dalla fase di transizione di medio blastula in
poi si attivano i geni embrionali i quali possono trattarsi dei geni materni stessi, * [che però da questo momento
si trovano sul genoma dell’embrione].

138
Al termine della segmentazione l’embrione prende il nome di blastula. La blastula presenta una forma più o
meno sferica ed è costituita da una serie di cellule che racchiudono all’interno una cavità, la cavità del
blastocele.
In figura è rappresentata una blastula di riccio di mare vista dall’esterno. C’è da dire che in questa fase, così
come appare, la blastula viene chiamata morula, per la vaga somiglianza di forma con una mora (in questo
stadio le cellule si riescono quasi a contarle). Successivamente le cellule si compattano a causa del liquido
presente nella cavità blastocelica il quale “spingendo” organizza, dispone, le cellule in maniera più omogenea;
a questo punto la blastula non mostra più una forma tipica di una mora ma appare più liscia nei suoi contorni.
I due riquadri in basso a sinistra (visione al microscopio) dell’immagine mostrano delle blastule di riccio di
mare; in uno di questi riquadri (immagine a sfondo blu) le cellule che racchiudono la cavità blastocelica non
si riescono più a discriminare.
Con Sea urchin (si guardi la parte destra della figura) viene indicata una sezione trasversale di una blastula di
riccio di mare in cui le cellule che tappezzano la cavità blastocelica sono organizzate quasi in monostrato.
La parola inglese Frog presente nell’immagine, invece, indica una sezione trasversale di una blastula di rana,
una blastula che si presenta un po’ diversa rispetto a quella di riccio di mare. Nella blastula di rana è possibile
distinguere un polo animale un polo vegetale. Il polo animale presenta dei blastomeri più piccoli e la cavità
blastocelica è più spostata verso di esso; il polo vegetativo, invece, è delimitato da blastomeri più grandi. Nel
caso della blastula di rana, quindi, a circondare la cavità blastocelica (una cavità più piccola e spostata verso
il polo animale) non vi è un monostrato di cellule ma un maggior numero di cellule. Questo è
fondamentalmente dovuto al tipo di uova.

139
Classificazione delle uova in base alla quantità di vitello presente

Ripetiamo un concetto espresso nelle lezioni scorse, ovvero che le uova possono essere classificate in base alla
quantità di tuorlo presente.
• Uova alecitiche: uova prive di vitello, tipiche dei mammiferi placentati.
• Uova isolecitiche o oligolecitiche: uova con poco vitello, sparso in maniera uniforme. È difficile
distinguere un polo animale da un polo vegetativo. Queste uova sono tipiche del riccio di mare.
• Uova mesolecitiche: in queste uova è presente una quantità moderata di tuorlo, una quantità che è
maggiore di quella presente nelle uova isolecitiche ma minore di quella presente nelle uova telolecitiche.
Nelle uova mesolecitiche, grazie al fatto che il vitello si accumula al polo vegetativo, si comincia, appunto,
a distinguere il polo animale dal polo vegetativo. Quindi, l’uovo quindi presenterà una zona in cui è
presente una maggior quantità di citoplasma con all’interno il nucleo (polo animale) e una zona in cui è
presente più vitello (polo vegetativo).
• Uova telolecitiche o megalecitiche: trattasi di uova che contengono tantissimo tuorlo il quale occupa non
solo la zona vegetativa ma quasi l’intero uovo. Il citoplasma insieme al nucleo sono schiacciati a livello
del polo animale.
• Uova centrolecitiche: uova tipiche degli insetti e degli artropodi in genere. Il tuorlo e il nucleo si trovano
al centro dell’uovo con il citoplasma che forma una corona tutta intorno; anche in questo caso non è
possibile distinguere un polo animale da un polo vegetativo.

Nella figura in alto sono mostrati i tipi di uova che abbiamo appena descritto. In figura 1 è rappresentato un
uovo isolecitico in cui si osservano le placchette vitelline (giallo) sparse nel citoplasma (blu) e il nucleo in
posizione centrale. Nelle uova centrolecitiche (figura 2) il citoplasma si trova intorno al tuorlo e al nucleo,
quindi, una situazione concentrica dove non si può distinguere il polo animale dal polo vegetativo. Le uova
mesolecitiche sono tipiche degli anfibi, il vitello è presente ma è tutto raggruppato al polo vegetativo mentre
al polo animale troviamo il nucleo e il citoplasma (figura 3). Nelle figure 4 e 5 sono rappresentate
rispettivamente uova telolecitiche di uccelli (grande quantità di tuorlo presente al centro, il citoplasma lo
circonda occupando perlopiù la zona del polo animale) e di zebrafish (in questo caso si osserva una netta
distinzione tra citoplasma e tuorlo).
In base al tipo di uova si hanno vari tipi di segmentazione. Parleremo dei vari tipi di segmentazione nel corso
della prossima lezione.

140
8. Lezione del 10/10/17
Tipi di segmentazione
La segmentazione (o cleveage) è un processo che può essere di vari tipi, e ciò dipende dalla quantità di tuorlo
presente nelle uova.
• Segmentazione oloblastica: nella segmentazione oloblastica lo zigote si divide completamente. Questo
tipo di segmentazione avviene nelle uova con poco vitello, quindi, parliamo di uova alecitiche (come quelle
dei mammiferi), isolecitiche (come quelle del riccio di mare) e mesolecitiche (come quelle degli anfibi).
In questi organismi il solco di divisione sarà completo; con la prima divisione si avranno due cellule
completamente divise, con la seconda divisione si avranno quattro cellule completamente divise, e così
via. La segmentazione oloblastica a sua volta può essere uguale o ineguale.
- Segmentazione oloblastica uguale: segmentazione tipica dei mammiferi e dell’anfiosso. I blastomeri
che si formano in seguito alle divisioni sono tutti uguali tra loro per dimensione; questi vengono detti
mesomeri. La segmentazione oloblastica uguale avviene dove c’è pochissimo tuorlo, e le divisioni
daranno origine a cellule figlie (blastomeri o, in questo caso, mesomeri) le quali saranno via via sempre
più piccole rispetto alla cellula madre. Queste cellule saranno completamente divise tra loro e avranno
tutte le medesime dimensioni.
- Segmentazione oloblastica ineguale: tipica degli anfibi e del riccio di mare. I blastomeri derivanti da
questo tipo di segmentazione saranno anch’essi divisi gli uni dagli altri ma si distingueranno per
dimensioni. Infatti, ci saranno dei blastomeri più piccoli (micromeri), generalmente quelli del polo
animale che sono privi di vitello, e dei blastomeri più grandi (macromeri) che, invece, sono più ricchi
di vitello e che generalmente sono presenti al polo vegetativo. Dunque, i blastomeri piccoli, medi e
grandi, prendono il nome di micromeri, mesomeri e macromeri rispettivamente.
• Segmentazione meroblastica: la segmentazione meroblastica avviene nelle uova ricche di vitello. In
questo tipo di segmentazione il solco di divisione parte rapidamente dal polo animale, in cui è presente il
citoplasma, per poi rallentare non appena incontra il vitello. Allo stesso tempo, dal momento che le
divisioni devono essere rapide, partirà il secondo solco di divisione, poi il terzo, e così via. Alla fine, a
livello del polo animale, regione in cui è presente il citoplasma, si avranno una serie di cellule, formate e
completamente divise; a livello del polo vegetativo, invece, * [l’embrione non risulterà diviso, cioè i
blastomeri risulteranno congruenti tra loro].
La segmentazione meroblastica (segmentazione parziale), in base alla localizzazione del citoplasma può,
a sua volta, essere discoidale o superficiale.
- Segmentazione meroblastica discoidale: nella lezione scorsa abbiamo detto che nell’uovo telolecitico,
un uovo ricco di vitello, il citoplasma generalmente si trova solamente all’apice del polo animale,
andando a formare una sorta di calotta (o disco). Nella segmentazione meroblastica discoidale sarà
solo questa regione a dividersi rapidamente e a formare delle cellule separate le une dalle altre; la
porzione dello zigote che contiene solo il vitello, invece, rimarrà ancora indivisa. Dunque, questo tipo
di segmentazione riguarda soltanto la parte di citoplasma situata a livello discoidale.
- Segmentazione meroblastica superficiale: tipica delle uova aventi il vitello in posizione centrale e il
citoplasma intorno ad esso. La segmentazione meroblastica viene detta superficiale proprio perché la
divisione interessa solamente il citoplasma circostante (avviene alla periferia dell’uovo).

141
Questa immagine aiuta a comprendere meglio ciò che abbiamo appena detto sui tipi di segmentazione. Da
sinistra verso destra osserviamo:
- segmentazione oloblastica uguale in uova isolecitiche che porta alla formazione di blastomeri tutti uguali
tra loro per dimensione. La figura indica una segmentazione oloblastica uguale nel riccio di mare; tuttavia,
c’è da dire che in questo organismo si osserva una piccola differenza tra i blastomeri, quindi, sarebbe più
corretto definirla segmentazione oloblastica ineguale. La sezione trasversale della blastula mostra un
blastocele molto ampio;
- segmentazione oloblastica ineguale in uova mesolecitiche di anfibi, molto evidente. I blastomeri, come
risulta dall’immagine, sono nettamente divisi tra loro. È possibile stabilire che in questi organismi avviene
una segmentazione di tipo oloblastica ineguale già alla terza divisione; infatti, a questo stadio i blastomeri
al polo animale sono più piccoli rispetto a quelli presenti al polo vegetativo (che invece risultano essere
più grandi). La sezione trasversale della blastula, oltre a mostrare la disuguaglianza tra i blastomeri, mostra
un blastocele più piccolo e spostato verso il polo animale rispetto a quello più ampio della blastula di riccio
di mare derivante da segmentazione oloblastica uguale. Il polo animale, dunque, contiene la cavità
blastocelica e blastomeri piccoli tutti uguali tra loro; il polo vegetativo, invece, non presenta cavità e i
blastomeri sono via via sempre più grandi.
- segmentazione meroblastica discoidale in uova telolecitiche dove il nucleo e il citoplasma sono
generalmente spostati verso il polo animale (i cerchietti in blu presenti nell’immagine rappresentano i
nuclei). Le divisioni mitotiche e i solchi di segmentazione avvengono soltanto a livello del polo animale
dello zigote; il polo vegetativo, invece, rimane praticamente indiviso e pieno di vitello. Ci sono dei
blastomeri assolutamente separati, una cavità blastocelica ridotta e spostata verso il polo animale e altri
blastomeri * [in qualche modo aperti] sul vitello.
- segmentazione meroblastica superficiale in uova centrolecitiche, un tipo di segmentazione che riguarda
solamente gli artropodi. Il vitello si trova in posizione centrale mentre nucleo generalmente si trova tra il
vitello e la parte superficiale in cui è presente il citoplasma. Nella segmentazione meroblastica superficiale
iniziano le divisioni e i nuclei aumentano (i fusi mitotici si organizzano solo intorno alla regione nucleare).
La maggior parte dei nuclei si sposta verso la regione superficiale dove è presente il citoplasma mentre la
restante parte (pochi) è sparsa a livello del vitello. I blastomeri presenti nella zona superficiale sono divisi
a tutti gli effetti mentre quelli presenti a livello del vitello sono indivisi (una sorta di sincizio).

142
La tabella 5.1 che possiamo osservare in basso non è altro che una schematizzazione di ciò che abbiamo appena
detto.

In questa tabella troviamo anche altre informazioni come ad esempio la forma che la blastula assume in seguito
ad un determinato tipo di segmentazione.

Tipi di segmentazione oloblastica

Finora sono stati descritti i tipi di uova, i tipi di segmentazione e alcuni modelli di essa come quello discoidale
e superficiale. Rimanendo in tema dei modelli di segmentazione, la segmentazione oloblastica può essere, a
seconda di come sono distribuiti spazialmente i solchi di segmentazione (cioè se il fuso mitotico si organizza
in maniera trasversale, longitudinale, etc.), di tipo: radiale, bilaterale, a spirale o rotazionale.

143
Vediamo ora in quali tipi di uova avvengono questi tipi di segmentazione oloblastica. Di seguito verranno
elencate le differenze che possiamo trovare tra i vari tipi di segmentazione oloblastica solo da un punto di vista
morfologico, in base a ciò che si nota dall’esterno; lo studio di altre differenze verrà affrontato nel corso delle
prossime lezioni.
Nelle uova isolecitiche la segmentazione oloblastica può essere dei seguenti tipi (si guardi la figura a pagina
143).
• Oloblastica radiale: la più semplice in assoluto, tipica degli echinodermi e dell’anfiosso. Il primo solco
avviene in maniera longitudinale (parallelamente all’asse polo animale-polo vegetativo) e divide lo zigote
in due blastomeri uguali tra loro. Il secondo solco di divisione è ugualmente longitudinale ma
perpendicolare al primo, in questo modo vengono a formarsi 4 blastomeri tutti uguali tra loro. Il terzo solco
di segmentazione è, invece, equatoriale e determinerà la formazione di 4 blastomeri uguali al polo animale
e 4 blastomeri uguali al polo vegetativo. Con questi 8 blastomeri l’embrione presenta una simmetria
radiale.
• Oloblastica a spirale: la segmentazione oloblastica a spirale avviene negli anellidi, nei molluschi e nei
vermi piatti. Questo tipo di segmentazione si distingue per la diversa disposizione dei piani di
segmentazione (si veda la figura a pagina 143), inoltre determina uno sviluppo delle uova in cui avviene
completamente diverso. Infatti, la segmentazione oloblastica a spirale generalmente dà origine a uno
sviluppo a mosaico a differenza di quella radiale o rotazionale (nei mammiferi) che dà, invece, origine a
uno sviluppo di tipo regolativo. Come vedremo in seguito, questa è una differenza molto importante, una
differenza che spiega il successo di alcuni animali rispetto ad altri.
Nella segmentazione oloblastica a spirale il primo solco di segmentazione è, anche in questo caso,
longitudinale e divide lo zigote in due blastomeri uguali. Successivamente però le divisioni saranno tali da
originare dei blastomeri organizzati a formare una scala a chiocciola (da qui il nome a spirale), una struttura
chiaramente visibile da un’osservazione dall’alto sul polo animale. La segmentazione oloblastica a spirale
risulta essere ineguale; infatti, alla fine i blastomeri del polo animale saranno più piccoli di quelli del polo
vegetativo.
• Oloblastica bilaterale: tipica dei tunicati in cui i solchi di segmentazione successivi al secondo fanno sì
che la blastula abbia una simmetria bilaterale. Ricordiamo che la simmetria bilaterale si ha quando un asse
longitudinale passante lungo l’asse polo animale-polo vegetativo dà origine a due parti speculari.
• Oloblastica rotazionale: la segmentazione oloblastica rotazione è tipica dei mammiferi. Nelle lezioni
successive vedremo come avviene.

Nelle uova mesolecitiche degli anfibi la segmentazione oloblastica è di tipo radiale (così come lo è nelle uova
isolecitiche degli echinodermi e dell’anfiosso). C’è da dire però che negli anfibi il terzo solco di
segmentazione, invece di avvenire perfettamente nella zona equatoriale (come nel caso degli echinodermi e
dell’anfiosso), avviene secondo un piano che si trova più vicino al tropico che all’equatore. I blastomeri
derivanti avranno dimensioni differenti: i 4 blastomeri posizionati al polo animale saranno più piccoli dei 4
blastomeri posizionati al polo vegetativo. Nonostante questa differenza, la segmentazione rimane comunque
di tipo radiale.
La figura presente a pagina 143 aiuta a comprendere meglio i tipi di segmentazioni oloblastica che avvengono
nelle uova isolecitiche e mesolecitiche.

144
Segmentazione oloblastica radiale di uovo di anfiosso

La figura 5.5 mostra la segmentazione oloblastica radiale dell’uovo di anfiosso. Dallo stadio a 2 blastomeri
fino allo stadio di 32 blastomeri si ha una visione dall’esterno dell’embrione; lo stadio di blastula, invece, viene
visto in sezione sagittale dal polo animale al polo vegetativo. L’organizzazione dei fusi mitotici fa sì che il
primo solco di segmentazione longitudinale dia origine a due blastomeri uguali tra di loro, il secondo solco di
segmentazione longitudinale e perpendicolare al primo dia origine a 4 blastomeri uguali tra loro, etc. Infine si
avrà tutta una serie di blastomeri tutti identici e organizzati a formare un monostrato intorno alla cavità
blastocelica.

Segmentazione dell’uovo di riccio di mare

In figura 5.4 è illustrata la segmentazione del riccio di mare, segmentazione abbastanza simile a quella
dell’anfiosso.

145
Infatti, le prime tre fasi della segmentazione del riccio di mare sono identiche alle fasi di segmentazione viste
nell’anfiosso. I primi due solchi delle prime due fasi avvengono secondo un piano longitudinale mentre il terzo
solco nella terza fase avviene secondo un piano equatoriale. Alla fine si avranno 8 blastomeri identici tra loro,
di medie dimensioni, detti mesomeri.
La segmentazione che avviene nel riccio di mare differisce da quella che avviene nell’anfiosso per le
dimensioni dei blastomeri; queste, infatti, cominciano ad essere diverse a partire dal 4 solco di divisione. È
bene ricordare che il fuso mitotico, ovviamente, deve essere perpendicolare al solco di divisione; quindi, se ad
esempio il solco avverrà secondo un piano longitudinale il fuso mitotico si posizionerà perpendicolarmente ad
esso in modo tale da avere * [un eguale numero di nuclei nei blastomeri figli].
Con la quarta divisione di segmentazione i blastomeri animali si dividono in modo uguale secondo un piano
meridiano formando 8 mesomeri mentre i blastomeri vegetativi si dividono in modo diseguale formando 4
macromeri e 4 micromeri al polo vegetativo. Il quarto solco di divisione, trasversale, dunque, al polo vegetativo
avviene nettamente verso l’estremità (figura in basso).

(Immagine fatta in aula)

Nella figura 5.4 a pagina 145 i 4 macromeri sono indicati in colore azzurro e presentano dimensioni maggiori
dei mesomeri (in grigio) presenti al polo animale e dei micromeri (grigio scuro) presenti all’estremità del polo
vegetativo. Dunque, ad un certo punto, la blastula di riccio di mare (molto simile a quella dell’anfiosso,
costituita da una serie di cellule che delimitano la cavità blastocelica) presenterà:
- al polo animale i mesomeri, ovvero dei blastomeri tutti uguali tra loro per dimensione;
- al polo vegetativo macromeri e micromeri, cioè dei blastomeri più grandi e più piccoli rispetto ai mesomeri
che, invece, sono di medie dimensioni.

In fig. 5.4 possiamo osservare abbreviazioni come “an” e “veg”.


- an1 e an2: indicano le due linee di blastomeri del polo animale.
- veg1 e veg2: indicano le due linee di macromeri presenti al polo vegetativo.
- Infine, sotto i macromeri si trovano i micromeri.

Dunque, nell’insieme, ci sarà una serie di cellule che delimita la cavità blastocelica: le cellule presenti al polo
animale presentano dimensioni simili mentre al polo vegetativo ci sono una serie di cellule più grandi e una
serie di cellule più piccole.

146
La fecondazione e lo sviluppo del riccio possono essere facilmente osservate al microscopio. È bene tenere
presente che le differenze appena descritte che esistono tra i blastomeri nel riccio di mare difficilmente sono
apprezzabili al microscopio ottico (come testimonia questa immagine). Al microscopio, infatti, si osserva una
struttura tridimensionale appiattita, con le cellule sovrapposte le une alle altre; i micromeri, cioè i blastomeri
di piccole dimensioni, non si riescono proprio ad osservare. Negli anfibi, invece, le differenze tra i blastomeri
sono molto più evidenti al microscopio, con i blastomeri del polo vegetativo che appaiono decisamente più
grandi dei blastomeri del polo animale.

Segmentazione oloblastica radiale in anfibio

Negli anfibi la segmentazione è oloblastica, radiale e ineguale. Nel riquadro in alto a sinistra di questa figura
possiamo notare un uovo fecondato, in quello in basso a sinistra il primo solco di divisione. In figura 5.1 si
osserva come questo primo solco di divisione si approfondisca.

147
Negli anfibi la segmentazione è ineguale perché le divisioni che avvengono al polo animale sono più rapide di
quelle che avvengono al polo vegetativo; laddove è presente molto vitello (situazione tipica delle uova
meroblastiche) le cellule non riescono proprio a dividersi in quanto il vitello stesso crea un ingombro che non
si riesce a superare. Dunque, nel caso di un uovo meroblastico pieno di vitello non si riesce proprio a “tagliare”,
a separare, fisicamente il vitello stesso.
La figura in alto mostra le fasi principali della segmentazione oloblastica diseguale negli anfibi. Nonostante a
livello del polo animale le divisioni che avvengono siano più veloci, le cellule che ne derivano risultano
completamente divise tra loro.
Descriviamo le fasi principali che sono illustrate in figura.
- Stadio a 2 cellule: il primo solco di segmentazione è longitudinale ed è passante per l’asse polo animale-
polo vegetativo.
- Stadio a 4 cellule: il secondo piano di segmentazione è, anche in questo caso, longitudinale ma
perpendicolare al primo. Si avranno 4 blastomeri separati e uguali tra di loro.
- Stadio a 16 cellule: il terzo solco di divisione è, invece, subequatoriale. Infatti, a differenza di quanto
avviene negli echinodermi, per la presenza di abbondante vitello nell’emisfero vegetativo i fusi mitotici
sono marcatamente spostati verso il polo animale, sicché verranno a formarsi 4 piccoli blastomeri
nell’emisfero animale (micromeri) e 4 blastomeri più grandi nell’emisfero vegetativo (macromeri). I
micromeri dell’emisfero animale, contenendo meno vitello, si dividono più velocemente rispetto ai
macromeri e così, con il proseguire delle divisioni di segmentazione, si vengono a delineare due regioni
embrionali ben distinte: la prima, in corrispondenza dell’emisfero animale, costituita da un numero più
elevato di micromeri e la seconda, in corrispondenza dell’emisfero vegetativo, formata da un numero più
limitato di macromeri.
In figura abbiamo due immagini dell’uovo allo stadio di 16 cellule: in un’immagine si ha una visione dal
polo animale (si vedono i micromeri) mentre nell’altra si ha una visione dal polo vegetativo (in questo
caso, invece, si osservano i macromeri). In questi esempi che stiamo studiando c’è da notare e sottolineare
un concetto molto importante (concetto che si rivela importante anche per lo sviluppo di tipo regolativo
che in seguito tratteremo): il primo e il secondo solco di divisione sono sempre longitudinali. Inoltre, allo
stadio a 4 blastomeri si riesce sempre a distinguere, come nello zigote iniziale, la regione del polo animale
dalla regione del polo vegetativo. Se il primo piano di segmentazione, quello responsabile della formazione
dei primi due blastomeri, fosse equatoriale e non longitudinale si avrebbero due blastomeri di cui uno
contenente il polo animale e l’altro contenente il polo vegetativo. Se ciò dovesse accadere, lo sviluppo non
riuscirebbe ad andare avanti. È, dunque, fondamentale che inizialmente i blastomeri contengano sia il polo
animale sia il polo vegetativo.

148
- Stadio a 32 cellule e blastula tardiva: nel momento in cui le divisioni si susseguono velocemente viene a
formarsi una blastula. La blastula tardiva che si osserva in figura mostra chiaramente il polo animale dal
momento che le cellule sono molto piccole; il polo vegetativo, invece, contiene blastomeri più grandi. * [I
blastomeri del polo vegetativo ovviamente non saranno grandi come i blastomeri presenti allo stadio di
due o quattro cellule ma sicuramente saranno più grandi di quelli presenti al polo animale nella blastula
tardiva].

Nella figura 8.1 (c) sono semplicemente schematizzate in maniera diversa le prime tappe della segmentazione.
- Stadio a 2 cellule: il primo piano di segmentazione porta alla formazione di 2 blastomeri uguali (P.A. e
P.V. stanno per polo animale e polo vegetativo rispettivamente).
- Stadio a 4 cellule: il secondo piano di segmentazione origina 4 blastomeri uguali tra loro.
- Stadio a 8 cellule: con il terzo solco di divisione si hanno dei micromeri al polo animale e dei macromeri
al polo vegetativo.
- Stadio a 16 e 32 cellule: * [lo stadio a 16 cellule viene raggiunto con un altro solco longitudinale mentre
quello a 32 cellule con un altro solco equatoriale]. Dal terzo solco in poi i piani di segmentazioni
longitudinali ed equatoriali si alternano (i primi due sono sempre longitudinali). * [Ovviamente da questo
punto in poi le divisioni sono state fatte]. Le cellule del polo animale in seguito ad un solco equatoriale
diventeranno più piccole; anche le cellule del polo vegetativo in seguito ad un piano di segmentazione
equatoriale diventeranno più piccole, tuttavia, non saranno mai piccole come quelle del polo animale. È
proprio questo a determinare le differenze tra il polo animale e il polo vegetativo.

La sezione sagittale della blastula di anfibio (figura 8.1 d), passante dal polo animale al polo vegetativo, mostra:
- cellule piccole al polo animale;
- cavità blastocelica a livello del polo animale;
- cellule sempre più grandi man mano che ci si sposta al polo vegetativo (macromeri ricchi di vitello).

149
In questa figura osserviamo una blastula di riccio di mare e una blastula di rana messe a confronto. La blastula
di riccio di mare presenta una cavità blastocelica ampia. Nella blastula di rana la cavità blastocelica è
nettamente spostata verso il polo animale.

Segmentazione a spirale
Finora sono state descritte delle tipiche
segmentazioni radiali. Sia nel caso del riccio di
mare sia nel caso degli anfibi esistono infiniti
piani di simmetria passanti lungo l’asse animale-
vegetativo che, in tutti i casi, dividono la blastula
in due parti speculari. La situazione cambia se,
invece, parliamo di segmentazione a spirale e
bilaterale (tunicati). Nella segmentazione radiale
allo stadio di 8 blastomeri quest’ultimi sono
perfettamente allineati l’uno sull’altro. Queste 8
cellule possono essere identiche per dimensioni
(riccio di mare) oppure di dimensioni differenti
(anfibi); in ogni caso, ciò non toglie che siano
allineati gli uni sugli altri (si osservino le figure
a lato).
Nel caso, invece, della segmentazione a spirale
allo stadio di 8 blastomeri le cellule non sono
allineate tra loro ma sono organizzate secondo
una posizione angolare. Cioè, i piani di
segmentazione sono diretti obliquamente
all’asse animale-vegetativo, per cui i blastomeri
che ne derivano sono disposti in modo obliquo.
Il solco di segmentazione praticamente si pone in
maniera angolare (un angolo tipo di 45°) e ciò fa
sì che le cellule siano disposte a spirale.

150
La segmentazione a spirale è tipica dei molluschi. Infatti, se si osservano dall’alto i molluschi con conchiglia
singola - ad esempio i gasteropodi, sia quelli di terra (lumache di terra) sia quelli di mare (maruzze) - si nota
chiaramente una chiocciola (figura in alto). Le lumache vengono dette anche chiocciole proprio perché la
conchiglia ricorda la struttura di una scala a chiocciola. L’aspetto morfologico “scala a chiocciola” di queste
conchiglie può avere un andamento destrorso o sinistrorso (cioè la spirale può seguire un andamento
sinistrorso o destrorso); ciò dipende dal tipo di segmentazione ed avviene nel momento in cui avviene il
passaggio dallo stadio a 8 cellule allo stadio a 16 cellule.
Come vedremo in seguito, a questa segmentazione di tipo spirale segue uno sviluppo a mosaico, un tipo di
sviluppo in cui ciascuna cellula rappresenta, appunto, un tassello del mosaico. Se solamente una di queste
cellule venisse distrutta, il “puzzle” finale presenterà un tassello mancante che nessun’altra cellula potrà
occuparne il posto; se tale tassello mancante (ovvero blastomero mancante) rappresenta un elemento vitale per
l’organismo lo sviluppo non può andare avanti.
Diversamente succede nel caso dello sviluppo regolativo. Infatti, in questo tipo di sviluppo, se in un
determinato momento viene a mancare una cellula (blastomero) lo sviluppo riesce comunque ad andare avanti
e a completarsi; in questo caso il “quadro” finale non presenterà alcun tassello mancante. Quindi, le altre
cellule, cioè gli altri blastomeri, riescono in qualche modo a porre rimedio a questa situazione di mancanza
(dunque, avviene una regolazione dello sviluppo). Da come si può intuire, lo sviluppo di tipo regolativo
presenta un vantaggio rispetto allo sviluppo di tipo a mosaico.
Lo sviluppo a mosaico segue la segmentazione di tipo spirale in quanto la distribuzione del materiale presente
nei blastomeri, disposti a spirale, avviene in un determinato modo; ciò fa sì che i blastomeri stessi siano diversi
tra loro.

151
Segmentazione totale rotazionale (mammiferi)

Nei mammiferi troviamo una segmentazione rotazionale. Il primo piano di segmentazione è longitudinale e
darà origine a due blastomeri identici. Per quanto riguarda il secondo piano di segmentazione, a differenza
degli echinodermi e degli anfibi in cui questo è sempre longitudinale ma perpendicolare al primo e che porta
alla formazione di 4 blastomeri uguali tra loro, nei mammiferi la situazione è diversa. Allo stadio di due cellule
un blastomero viene diviso secondo un piano di segmentazione longitudinale mentre l’altro viene diviso
secondo un piano di segmentazione equatoriale (figura in alto) portando alla formazione 4 blastomeri * [uguali
a due a due].
Questo particolare tipo di segmentazione persiste anche negli stadi successivi determinando la formazione
della cosiddetta morula.

Nella fase di morula i blastomeri sporgono all’esterno in maniera disordinata a causa della mancanza di
un’organizzazione vista, invece, nei casi precedenti (nei mammiferi la simmetria radiale viene persa già con il
secondo piano di segmentazione). Successivamente si avrà la compattazione della morula con conseguente
formazione della blastocisti tipica dei mammiferi.

152
Con la compattazione della morula viene a
determinarsi una sorta di divisione tra
quelli che sono i blastomeri esterni e i
blastomeri interni (figura a lato). I
blastomeri esterni sono quei blastomeri che
vanno a formare il trofoblasto (o
trofoectoderma), ovvero quella parte
dell’embrione che dà origine alle strutture
extraembrionali. Queste strutture sono
essenziali per l’impianto della blastocisti
nell’utero e per la formazione del corion e
della placenta.
I blastomeri interni, invece, rappresentano
il vero e proprio nodo embrionale dal
momento che danno origine all’embrione;
tali blastomeri interni si compattano e si
organizzano in maniera tale da formare una
porzione di cellule detta massa cellulare
interna o nodo embrionale o bottone
embrionale.
In questa struttura è presenta la cavità
blastocelica.
Nella specie umana questa intera struttura
prende il nome di blastocisti in cui si
riconosce il trofoectoderma esterno, il
blastocele e il nodo embrionale.

Segmentazione parziale o meroblastica

Fino a questo punto sono state descritte delle segmentazioni di tipo oloblastiche dove i blastomeri che ne
derivavano risultavano essere completamente separati gli uni dagli altri. La segmentazione meroblastica è,
invece, una divisione “incompleta” ed è tipica delle uova telolecitiche (uova ricche di vitello) e centrolecitiche.

153
La segmentazione meroblastica nelle uova telolecitiche può essere bilaterale o discoidale.
• Bilaterale: avviene nei molluschi cefalopodi (polpi, seppie e calamari).
• Discoidale: avviene nel resto dei vertebrati come pesci, rettili e uccelli (esclusi gli anfibi dal momento che
presentano un tipo di segmentazione oloblastica).

Nella segmentazione meroblastica i solchi di segmentazione hanno origine a livello del polo animale (si osservi
la figura a pagina 153 in cui c’è una visione dall’alto del polo animale) ma non si completano, il che significa
che questi solchi non arrivano fino al polo vegetativo. Ciò accade sia nella segmentazione meroblastica
bilaterale sia nella segmentazione meroblastica discoidale; l’unica differenza è il tipo di simmetria presente.
Come detto pocanzi, la segmentazione meroblastica avviene anche nelle uova centrolecitiche, uova tipiche
degli insetti, dove però è di tipo superficiale. In questo caso ad essere segmentato è solamente lo strato esterno
dell’embrione il quale sarà costituito da blastomeri, appunto, superficiali.

La segmentazione meroblastica discoidale è tipica di alcuni vertebrati come i rettili, gli uccelli e i pesci. In
questa immagine osserviamo la segmentazione meroblastica discoidale nello zebrafish (Danio rerio, pesce
zebra), uno degli organismi modello utilizzato per la ricerca nel campo della biologia dello sviluppo. La figura
mostra una visione del polo animale dell’uovo. Si osserva il primo solco di segmentazione longitudinale, il
secondo solco anch’esso longitudinale ma perpendicolare al primo; dunque, la distribuzione dei piani di
segmentazione è la stessa vista in precedenza. Ciò che risulta molto chiaro dall’immagine è la formazione di
un ammasso di cellule al di sopra del vitello; quindi, le segmentazioni non interessano il vitello dal momento
che non riescono a tagliarlo. Fino a quando le divisioni avverranno secondo piani di segmentazione
longitudinali la separazione dei blastomeri sarà sempre parziale; queste cellule saranno divise le une dalle altre
(blastomeri completi) non appena inizieranno ad esserci solchi di divisioni equatoriali. In questo modo, si
avranno cellule più esterne, a livello del polo animale, complete e divise le une dalle altre, e poi uno strato più
profondo che, invece, sarà costituito da blastomeri “aperti” a formare un sincizio sul tuorlo.

154
La figura 7.1 illustra le prime tappe della segmentazione nei pesci. È chiaramente visibile la differenza tra il
polo animale e il polo vegetativo ricco di vitello.
Passiamo ora alla descrizione dei vari passaggi (figura 7.8b):
- il primo solco di segmentazione ha origine al polo animale e si dirige verso il polo vegetativo. Iniziano a
formarsi i primi due blastomeri però non sono completamente divisi a causa dal vitello;
- il secondo piano di segmentazione è sempre longitudinale ma perpendicolare al primo e formerà 4
blastomeri i quali risulteranno sempre indivisi per via del vitello;
- Lo stadio a 8 blastomeri, disposti in due file da 4, si ottiene * [con un altro piano] di segmentazione
longitudinale. Questi blastomeri sono ancora poggiati sul vitello;
- A questo punto i blastomeri vengono divisi secondo un piano di segmentazione equatoriale. È bene tenere
presente che tale solco di divisione non avviene nella precisa posizione equatoriale dell’intera struttura
dell’uovo in quanto in quella regione è presente il vitello, una massa al momento praticamente inerte. Le
cellule che si formano durante le rapide segmentazioni, in cui ricordiamo sono assenti le fasi di
accrescimento, non hanno bisogno di vitello o materiale nutritivo. La segmentazione avviene senza alcun
aiuto da parte del vitello all’embrione, ne consegue che il vitello stesso al momento non è necessario; anzi,
in queste fasi il vitello rappresenta addirittura un ostacolo per queste divisioni. Quando si parla di divisione
equatoriale, dunque, ci si riferisce a quella divisione che avviene al polo animale perché tale piano di
segmentazione, che a questo punto sarebbe più corretto chiamare “trasversale”, non avviene a livello della
regione centrale dell’uovo.
Da questo momento inizieranno a formarsi al polo animale cellule completamente divise tra loro.

155
Blastocele primario e secondario

Nella fig. 9.2 (a) abbiamo, ancora una volta, una visione dall’alto che ritrae vari solchi di segmentazione.
La fig. 9.2 (b), invece, mostra una sezione longitudinale di un disco germinativo.
- Nello stadio a 8 cellule i blastomeri si stanno formando e sono aperti sul tuorlo.
- Man mano che le divisioni proseguono si avranno: cellule completamente divise e staccate dal tuorlo, il
blastocele primario e altre cellule che, invece, sono aperte sul tuorlo (i cerchietti neri presenti in figura
rappresentano i nuclei di queste cellule). Quando le cellule non sono completamente divise si parla di
sincizio.

Alla fine della segmentazione, nel caso di organismi con uova telolecitiche, ci si trova dinanzi ad una situazione
schematizzata basso.

156
Da come si può notare dalla figura a pagina 156, al di sopra della cavità blastocelica vi è uno strato di cellule
che va a costituire il vero e proprio blastoderma; al di sotto, invece, sono presenti delle cellule che sono ancora
aperte sul tuorlo. Questa apertura sul tuorlo è un qualcosa che persiste nel corso dell’organogenesi; come
vedremo in seguito, negli embrioni di pesci, uccelli e rettili i blastomeri si sviluppano aperti sul tuorlo.
Come ben sappiamo, durante l’organogenesi il tuorlo, ovviamente, è necessario e molto importante. Dalla
scissione della vitellogenina si ottengono gli amminoacidi, gli zuccheri e i lipidi necessari per la formazione
di tutte le strutture del nuovo organismo. Con la scissione del vitello da parte di enzimi proteolitici, che via via
si formano nell’embrione, si ha anche la liberazione di zinco, di calcio, praticamente di tutto il materiale di
partenza (il calcio è importante per le ossa, lo zinco è un cofattore di enzimi, gli amminoacidi costituiscono i
mattoni delle proteine, etc.). Man mano che il vitello viene consumato l’embrione si chiude e l’intestino
ingloberà il residuo di vitello fino a riassorbirlo del tutto. Dunque, “l’apertura” dell’embrione sul vitello è un
qualcosa che perdura durante il corso dell’organogenesi.

In questa figura possiamo osservare come, man mano che le divisioni continuano, vengono a formarsi delle
cellule che si staccano dal vitello sottostante; queste cellule, poi, continueranno a dividersi. Alla fine verrà a
formarsi il cosiddetto blastocele secondario, una cavità separata dal tuorlo e delimitata da blastomeri.
Il blastocele deve avere la sua caratteristica, ovvero l’essere una cavità delimitata da blastomeri. Osservando
attentamente il blastocele primario (figura a pagina 156) si nota che esso è sì una cavità ma è delimitato
solamente da blastomeri del polo animale. Con il susseguirsi delle divisioni si ha uno spostamento in avanti di
queste cellule (migrazione). Questa è una fase che avviene tra fine segmentazione e inizio gastrulazione; con
la segmentazione si ha solamente la divisione cellulare mentre con il processo di gastrulazione si hanno i
movimenti delle cellule e la formazione di più foglietti. Quindi, il blastocele secondario, ovvero il blastocele
vero e proprio, verrà a formarsi con l’inizio della gastrulazione dal momento che prevede la migrazione delle
cellule che si sono divise.

157
In seguito alla migrazione, ai movimenti, dei blastomeri si avrà una struttura costituita da (figura a pagina 157):
- una serie di blastomeri più esterni che vanno a costituire l’epiblasto;
- una cavità blastocelica secondaria (blastocele vero e proprio) delimitata al di sotto dall’ipoblasto (altro
strato di blastomeri);
- il tuorlo (colore giallo) con ancora cellule aperte.

La fase di formazione dell’embrione dipende da una parte molto piccola dell’uovo. Nell’uovo di gallina, ad
esempio, un uovo piuttosto grande in cui è presente il guscio e l’albume, la parte che darà origine all’embrione
è piccolissima.

Uovo di gallina

L’uovo di gallina (figura 9.1) presenta un guscio esterno, membrane testacee esterne e interne, una camera
d’aria, l’albume (soluzione acquosa ricca di albumina), le calaze (che servono a mantenere il tutto) e infine il
vero e proprio ovocita, divenuto oramai cellula uovo. A livello della cellula uovo è presente la membrana
vitellina, la membrana plasmatica vera e propria e il tuorlo. La parte in grigiastro rappresenta il citoplasma,
quindi, quella parte che dividendosi darà epiblasto e ipoblasto, la parte che formerà il vero e proprio embrione.
La localizzazione del polo animale, porzione che contiene il citoplasma, dipende dalla rotazione che l’uovo
effettua mentre percorre l’ovidotto (dotto di Muller). La rotazione è importante affinché avvenga la discesa
dell’uovo; in base al tipo di rotazione si ha l’attorcigliamento delle calaze (importanti per mantenere la
posizione), attorcigliamento che determina lo spostamento del citoplasma rispetto alla massa del tuorlo.
Laddove è presente il citoplasma quella regione rappresenta il polo animale ed anche il disco embrionale da
cui si sviluppa l’embrione.

158
In questa immagine possiamo notare sia cellule separate tra loro sia il famoso strato sinciziale, ovvero lo strato
di cellule che si aprono sul tuorlo

La segmentazione negli anfibi e negli uccelli: confronto

In figura sono schematizzati i processi di segmentazione negli anfibi e negli uccelli.


Negli anfibi risulta chiaro il coinvolgimento totale dell’uovo, di tutto lo zigote, e di come quest’ultimo sia
inglobato in blastomeri nonostante la presenza di una certa quota di vitello. * [Per quanto riguarda gli uccelli],
solo una piccola parte andrà incontro a divisioni, la grande massa di tuorlo, invece, non verrà coinvolta nella
formazione dei blastomeri. I blastomeri si organizzeranno in due strati formando epiblasto e ipoblasto con il
blastocele all’interno.

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Sviluppo in Drosophila melanogaster

Durante il corso di biologia dello sviluppo non ci occuperemo particolarmente dello sviluppo in D.
melanogaster (moscerino della frutta) e degli insetti in generale. Negli insetti, e in moltissimi artropodi, lo
zigote presenta una parte marginale di citoplasma e tanto vitello al centro (nelle lezioni scorse abbiamo visto
che il vitello si forma a partire dai corpi grassi sotto il controllo dei corpora allata * [che rappresentano
l’ipotalamo e l’ipofisi in qualche modo]).
Nonostante la presenza di uno sviluppo larvale, la quantità di vitello è alta in quanto la larva si nutre del vitello
stesso; successivamente diventerà un insetto adulto. Il vitello si trova al centro mentre il citoplasma, a
differenza di quanto accade nelle uova telolecitiche, si stratifica superficialmente.
Al momento della segmentazione il nucleo si divide rapidamente più volte formando il cosiddetto blastoderma
sinciziale, con questi nuclei sparsi un po’ ovunque. Successivamente tali nuclei andranno a posizionarsi nella
regione superficiale e ciascuno di essi occuperà una certa quantità di citoplasma (figura in alto); la divisione si
completa con il distacco delle cellule del blastoderma dal vitello. In questo caso ci sarà il blastoderma tutto
intorno e il vitello al centro.
In questi organismi manca, come si può notare dalla figura, la cavità blastocelica in quanto la gastrulazione e
l’organogenesi procedono in maniera diversa.

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Segmentazione parziale superficiale

I nuclei dello zigote di Drosophila melanogaster possono essere marcati al fine di poter osservare il loro
aumento di numero (figura in alto). Inizialmente questi sono posizionati centralmente, dopodiché si spostano
verso la regione marginale andando ad organizzare la struttura finale dell’embrione, ovvero una serie di
blastomeri disposti tutti intorno e * [alcune cellule del tuorlo all’interno].
La blastula degli insetti non è una struttura che presenta una cavità come quella, più o meno ampia, del riccio
di mare, dell’anfiosso, dei molluschi e tutti i vertebrati (cavità di piccole dimensioni si trovano nelle uova
telolecitiche mentre cavità più ampie si trovano nel riccio di mare e nell’anfiosso).

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