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IL SOLDINO VENEZIANO

Alessio Conte

Emissione
Autorità emittente: Serenissima Repubblica di Venezia.
Zecca: Venezia.
Valore nominale: Soldino, 1/20 di lira.
Datazione: 1329-1339.
Produzione
Materia: Ag 0,670
Forma: tondello
Dimensioni: 18,2 mm/ 1,82 cm
Peso: 0,62 g
Asse dei coni: alla francese
Impronta
Descrizione dritto e rovescio:
D: +. FRA· DAN DVLO· DVX· Il Doge con berretto ducale e manto,
inginocchiato a sinistra, tiene con entrambe le mani il vessillo, la cui
banderuola, svolazzante sopra il capo, è volta a destra.
R: + S · MARCVS · VENETI · Leone nimbato rampante a sinistra, tenente
nelle zampe anteriori un vessillo con la banderuola volta a destra, entro un
circolo liscio che lo separa dalla legenda.

Bibliografia
- Corpus Nummorum Italicorum, Vol.VII, Veneto, Venezia: dalle origini a
Marino Grimani, p.65.
- Nicolò Papadopoli, Le Monete di Venezia, descritte e illustrate da […],
Venezia, Ferdinando Ogania Editore, 1893; p.167-175.

Note: Il tondello si presenta in buona parte usurato, con un segno,


probabilmente, di tosatura nella parte inferiore del dritto. Presenta
monogrammi incompleti: sul dritto della moneta si riescono a notare le
lettere FRA· DAN … DVX; le restanti lettere DVLO sono lievemente
percepibili e vagamente intuibili. Sul rovescio, S MARCVS V…E…, di cui
le lettere R V sul lato destro ed E sul lato sinistro non immediatamente
leggibili.
Il contorno e il bordo, in entrambe le facce, sono presenti solo in
determinati punti: sul dritto sopra il monogramma FRA e DVX, sul
rovescio alla destra di MARCVS.
Nel dritto il giro e la legenda non sono separati dal campo. Viceversa nel
rovescio vi è questa separazione tramite un circolo liscio.

Contesto e storia della moneta


Grazie alla riforma monetaria del doge Enrico Dandolo, a partire dal 1192
venne introdotto il grosso, altrimenti detto matapan o ducato d’argento.
Possedendo un titolo di metallo prezioso pari a 0,965, il suo valore
sostituiva grandemente quello del precedente denaro, il quale diventava
sottomultiplo (un grosso, per la quantità di metallo prezioso contenuta,
equivaleva a 26 denari, poi 32). Il motivo di questa emissione era
probabilmente dovuto al contrasto di mercato che Venezia aveva nei
confronti di Verona: inizialmente zecca veronese produceva denari di
valore equivalente a quelli veneziani, il che contribuì al benessere
economico di entrambe le città. Ciò finché, verso la fine del XII secolo,
non si assistette a un’incrinatura di tale rapporto, in cui la moneta
veneziana si trovò a essere in svantaggio. Successivamente alla scoperta di
nuovi giacimenti d’argento nelle Alpi nord-orientali, il doge Dandolo
decise di coniare una nuova moneta che fosse più forte del denaro
veronese: quest’ultimo, già diffuso nell’Europa centrale, finì con
l’integrarsi al grosso veneziano, accettato nell’Europa orientale grazie ai
commerci e all’influenza della Serenissima. In seguito altre zecche
concorrenti, tra cui Merano, imitarono il matapan, il che comportò la
graduale scomparsa del denaro veronese. Venezia, invece seppe resistere
alla concorrenza: durante il dogado di Lorenzo Tiepolo (1268-1275), per
sopperire alla perdita veronese, venne dapprima coniato il denaro piccolo
svalutato (corrispondente a 1/32 del grosso) e in seguito il ducato d’oro (18
grossi)1. Questa manovra permise a Venezia di poter continuare la
coniazione del matapan fino all’inizio del XIV secolo2.

Denaro veronese (1259-1329) Grosso veneziano (1329-1339)

Con Francesco Dandolo si assiste alla vera e propria rivoluzione del


sistema monetario: le nuove emissioni di moneta meranese, possedenti un
valore intrinseco minore rispetto a prima, avevano costretto la Serenissima,
le cui riserve di metallo prezioso erano contate, a maggiori controlli sulle
sue emissioni d’argento, al punto che gli affari inerenti alla moneta
dovettero passare sotto la giurisdizione del Senato. Venezia, la cui
monetazione variava dal ducato al grosso, al denaro scodellato ed al bianco,
si trovò ad avere monete il cui valore intrinseco era superiore al valore
nominale. Occorreva quindi ridurre la produzione del grosso, ed emettere
una moneta che fosse maggiormente competitiva rispetto a quelle dell’area
veneta, che godesse di maggiore fiduciarietà e che fosse conveniente alla
produzione.
Durante il 1332 vennero quindi coniate due monete differenti, sottomultipli
del grosso: il mezzanino e il soldino. Il primo aveva valore di mezzo
grosso, circa 16 denari, mentre il secondo 12. Secondo Nicolò Papadopoli,
1
Nicolò Papadopoli, Il Bimetallismo a Venezia nel Medioevo, in Rivista italiana di Numismatica, 1892,
p.202.
2
Luigi Feruglio, Il Grosso veneziano nella storia dell’economia medievale (1194-1400), in Panorama
Numismatico, 74, 1994; p.4-7.
il soldino aveva un titolo d’argento pari a 0,670, il che dava un maggior
vantaggio alla zecca circa la produzione e al contempo aveva un valore
intrinseco più basso3. Ciononostante, queste monete erano un’autentica
novità, non essendo coniate con l’argento quasi puro del grosso, né con
leghe più basse di valore come i denari del resto d’Italia.
Il significato rivoluzionario di questa emissione è triplice: innanzitutto
uniformava nel titolo di due monete affini i diversi sistemi di conto
veneziani; in tal modo svincolava il valore del grosso e del ducato dal
sistema monetario circolante di base, poiché era negli interessi della
Repubblica mantenere una moneta forte per i commerci internazionali con
l’Oriente. In secondo luogo, oltre a introdurre un nuovo taglio in generale,
per la prima volta il nome di una moneta di conto (il soldo di carolingia
memoria), quale appunto il soldino, veniva riferito a una moneta fisica.
Infine la stessa raffigurazione era portatrice di novità: se già il mezzanino si
distanziava dal ducato dividendo le figure del doge e di San Marco e
ponendole rispettivamente sul dritto e sul rovescio, nel soldino il doge
veniva raffigurato nel dritto solo e inginocchiato, similmente al ducato,
mentre sul rovescio, anziché essere presente il santo patrono, vi era
raffigurato il leone marciano rampante4.

Soldino (1329-1339) Mezzanino (1329-1339)


D: +. FRA· DAN DVLO· DVX· D: FRA· DAN DVLO· DVX·

R: + S · MARCVS · VENETI · R: S · MARC · VENETI ·

Inoltre la proporzione tra mezzanino e soldino fece lievitare il prezzo del


grosso, il quale, diventato più costoso alla produzione, cominciò a essere
gradatamente sostituito, tesaurizzato e lasciato fluttuare, assieme al ducato
d’oro, indipendentemente dal circolante veneziano. A provarlo è il fatto che

3
Nicolò Papadopoli, Le Monete di Venezia, descritte e illustrate da […], Venezia, Ferdinando Ogania
Editore, 1893, p.160.
4
Alan M. Sthal, Zecca, La zecca di Venezia nell’età medioevale, Il Veltro Editrice; p.88.
a partire dal 1335 i funzionari veneziani erano obbligati a riscuotere la paga
unicamente in ducati o soldini; se per pagamento ricevevano dei grossi,
erano obbligati a venderli o a trasferire il ricavato allo stato5. Il risultato
finale fu un notevole incremento delle entrate del fisco, dovuto anche in
parte al maggiore controllo sull’argento d’importazione.
Differentemente dal mezzanino, il soldino ebbe una grandissima diffusione:
usando l’assunto “la moneta cattiva scaccia quella buona” di Thomas
Gresham, quando più tipologie di monete corrono contemporaneamente e
dove talune abbiano un'elevata percentuale di metallo prezioso (moneta
buona) ed altre una bassa percentuale di metallo prezioso (moneta cattiva),
queste ultime verranno preferite per l'utilizzo dei pagamenti, mentre le
prime si tenderà a tesaurizzarle. Il soldino, con il suo scarso valore
intrinseco, fu esempio di questa legge, in quanto, già intermedio tra il
tornese franco e il grosso, ebbe maggiore diffusione nei pagamenti,
sostituendo del tutto il mezzanino.
Circa la diffusione, il soldino in brevissimo tempo era diventato moneta
circolante in Grecia, a Creta, nelle colonie veneziane e persino nelle terre
franche, dove sostituì il tornese, la produzione del quale era stata da poco
interrotta. Il soldino divenne così popolare da essere quindi oggetto di
falsificazione: nel 1339 è noto che Venezia inviò un ambasciatore in
Slavonia, dove i conti Frangipani, feudatari dell’isola veneziana di Veglia e
dell’ungherese Segna, stampavano moneta falsa de soldinis, mala e falsa in
quanto imitazione di quella veneziana. Scoperto il fatto, la Repubblica
scacciò i conti da Veglia, maggiore centro di produzione di monete false, e
riprese il governo diretto dell’isola6.

5
Ibid.
6
Alvise Zorzi, La Grande storia illustrata della Serenissima, Mercanti e monete della Serenissima, vol.1,
Biblos; p.114.
Approfondimento: il nuovo mezzanino, soldino e il tornesello
La diffusione del soldino a Venezia come nel resto del suo dominio fu
grandissima, dovuta in parte grazie alla grande quantità d’oro posseduta
dalla Repubblica, proveniente dall’Ungheria. La conseguente e intensa
produzione di monete d’oro abbassò il valore del ducato rispetto alle
monete d’argento. Intorno alla metà del XIV secolo, la svalutazione era tale
da far preferire i pagamenti sotto forma di soldini, sintomo questo di una
maggior preferenza per le transazioni in argento: infatti, già nel 1345, le
monete d’argento puro scarseggiavano, essendo diffusissime monete di
mistura o soldini cattivi, e sul mercato il prezzo del metallo era cresciuto.
Occorreva quindi una nuova riforma: intorno al 1346, durante il dogado di
Andrea Dandolo, il Consiglio dei Quaranta discusse sulla possibilità di
coniare una nuova moneta argentea che fosse alla base del sistema
monetario. Questa, il mezzanino, dal valore di 16 denari piccoli, si rifaceva
al tentativo omonimo di più di un decennio prima ma per quantità di
metallo e per grafica divergeva nettamente, in quanto come impostazione
più simile al grosso.

Grosso veneziano (1329-1339) Mezzanino di secondo tipo (1343-1354)

Segno di un maggiore interessamento per la coniatura in argento era


l’iniziale del nome di battesimo del massaro di zecca. Tale marchio era già
presente, sotto forma di segno segreto, anche sul grosso ma non sul soldino
o sul precedente mezzanino, in quanto, dato il poco metallo prezioso
contenuto, non dovevano essere soggetti a un rigido controllo di garanzia7.
Nel 1353, per agevolare i traffici con la Ròmania8, venne decretata la
coniazione di un nuovo soldino, dal valore di 12 denari piccoli, che avesse
le stesse caratteristiche grafiche del precedente ma contenente solo argento
puro. Era esplicito interesse della Repubblica occupare il posto dello
sterlino, ormai solo moneta di conto da circa un secolo, nel commercio con
le colonie. Questo soldino era parte integrante di una manovra di
svalutazione tesa ad aumentare le entrate dalla zecca, a pagare i lavoratori

7
Alan M. Sthal, Ivi pp. 96-106.
8
Nicolò Papadopoli, Ivi p.175.
della stessa e a sostenere le spese dello stato, anche militari. Di fatto,
inoltre, esso pose fine in maniera definitiva alla coniazione del mezzanino9.
Al disegno, come per il mezzanino, si aggiungeva sul dritto la lettera del
massaro. La raffigurazione del soldino varierà successivamente e in più
occasioni: a partire dall’inizio del dogado di Andrea Contarini e
proseguendo con i dogi successivi, fino a Tommaso Mocenigo, dal 1365 al
1423, la moneta presenta sul rovescio non più il leone nimbato rampante
ma il leone nimbato visto frontalmente, detto in soldo, un’immagine già
presente nel rovescio del tornesello. Con il dogado di Nicolò Tron e di
Nicolò Marcello (1471-1473), sempre sul rovescio, il leone nimbato è
ancora in soldo ma all’interno di un cerchio quadrilobato accantonato da
quattro anelli. Infine, dopo una pausa di produzione di dodici anni, il
soldino riappare durante il dogado di Agostino Barbarigo, dapprima in
duplice forma: una secondo la raffigurazione tipica del soldino del 1365-
1423, con sul dritto il doge con berretto ducale e manto inginocchiato a
sinistra e sul rovescio il leone nimbato in soldo; l’altra radicalmente
diversa, recante sul dritto San Marco che pone al doge inginocchiato il
vessillo, e sul rovescio il Redentore stante su piedistallo su cui le iniziali
del massaro. Questo secondo tipo di soldino rimarrà l’unico nei successivi
dogadi, fino al 1538.

Soldino I tipo, 1353-1365

D: doge con berretto ducale e manto inginocchiato a sinistra tiene con entrambe le mani il
vessillo.
R: Leone nimbato rampante a sinistra, tenente nelle zampe anteriori un vessillo con la
banderuola volta a destra

9
Alan M. Sthal, Ivi p.108.
Soldino II tipo, 1365-1423
D: doge con berretto ducale e manto inginocchiato a sinistra tiene con entrambe le mani il
vessillo. Sulla sinistra vi è incisa l’iniziale del massaro alla coniatura.
R: Leone nimbato in soldo.

Soldino III tipo, 1471-1473


D: doge con berretto ducale e manto inginocchiato a sinistra tiene con entrambe le mani il
vessillo. Sulla destra sono incise le iniziali del massaro alla coniatura.
R: Leone nimbato in soldo entro un cerchio quadrilobato.

Soldino IV tipo, 1486-1538


D: San Marco che pone al doge inginocchiato il vessillo.
R: Redentore stante su piedistallo su cui sono impresse le iniziali del massaro alla coniatura.

L’esigenza di base della riforma del 1353 era recuperare quante più entrate
possibili, specie dalle colonie dell’Egeo. Quattro mesi dopo l’istituzione del
soldino, venne decretata la coniazione del tornesello: questa moneta,
equivalente a un quarto di soldino (tre denari piccoli) e contenente una
quantità d’argento pari all’11%, era stata emanata per sostituire il franco
tornese, una moneta analoga di origine francese, molto diffusa nelle terre
greche e presente in quelle zone fin dalla IV Crociata (anche se la
circolazione non era ufficiale, dato il riconoscimento di cui godevano il
grosso e il soldino nelle colonie greche10). Sul dritto il tornesello era simile
al tornese, recando una croce con il nome del doge scritto su un circolo
esterno, mentre sul rovescio, al posto della tipica torre, da cui appunto il
nome tournois, appariva il Leone marciano in soldo; quest’ultimo, già
presente in alcuni sigilli del funzionariato veneziano, appariva per la prima
volta su una moneta, analogamente all’insolita legenda VEXILIFER
VENETIARUM, in quanto riferimento indiretto a San Marco e a Venezia11.

Antonio Venier, Tornesello, 1382-1400

Il valore nominale del tornesello era di ¼ di soldino veneziano, ma se paragoniamo il


fino contenuto in quattro torneselli (4x 0,08 = 0,33 g. circa d’argento) con quello di un
soldino del 1354 (ca. 0,53 g), scopriamo che i primi erano sopravvalutati del 38,4%.
Come sempre accade per effetto della cosiddetta Legge di Gresham, il cattivo tornesello
scacciò il buon soldino dalla circolazione in Grecia.12

Analogamente al primo soldino, il tornesello era una “moneta cattiva”:


seguendo la legge di Gresham, nonostante le iniziali perplessità dei
mercanti greci, esso ebbe una grande diffusione al punto da eliminare la
concorrenza e da restare come unica moneta fino e oltre alle conquiste
turche (ultimo esemplare a noi noto risale al dogado di Francesco Donà
(1545-1553). Va però accennato che il tornesello, in quanto moneta
coloniale, non era per nulla accettato a Venezia: essendo esclusivamente
dedicato all’area monetaria del tornese franco, esso era valido unicamente
nelle colonie; la sua valutazione artificialmente alta di un quarto di soldino,
al fine di evitare un colpo di coda in patria della stessa legge di Gresham a
danno dello stesso soldino, lo rendeva totalmente inappetibile.

10
Ivi p.109.
11
Ibid.
12
Cit. Roberto Cecchinato, Il denaro tornese della Grecia franca, p.110
Bibliografia
Roberto Cecchinato, Il denaro tornese della Grecia franca, testo pdf
reperibile all’indirizzo web: http://numismatica-
italiana.lamoneta.it/docs/201112/Il_denaro_tornese_della_Grecia_franca.p
df
Luigi Feruglio, Il Grosso veneziano nella storia dell’economia medievale
(1194-1400), in Panorama Numismatico, 74, 1994; p.4-7.
Nicolò Papadopoli, Il Bimetallismo a Venezia nel Medioevo, in Rivista
italiana di Numismatica, 1892; pp.199-214.
Nicolò Papadopoli, Le Monete di Venezia, descritte e illustrate da […],
Venezia, Ferdinando Ogania Editore, 1893.
Alan M. Sthal, Zecca, La zecca di Venezia nell’età medioevale, Roma, Il
Veltro Editrice, 2008.
Alvise Zorzi, La Grande storia illustrata della Serenissima, Mercanti e
monete della Serenissima, vol.1, Biblos.

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