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Sbobinatore 1: Bonvicini Elena 15/10/21

Sbobinatore 2: Eleonora Al Toum Immunologia, lezione 3


Revisore: Valentina Ferri Degrandis Prof. Salvioli

Modalità d’esame aggiornata (visualizzabile anche sulla pagina di Alma Esami):


 Se la situazione è normale: l’esame è scritto, in presenta
 Se torniamo in lockdown: l’esame è orale (su Teams)

Esame suddiviso in due parti:


1. 2 domande aperte (ogni domanda vale max. 10 punti)
Bisogna avere la sufficienza nella prima parte per andare avanti, ed essere valutati anche nella
successiva
2. 40 domande a quiz vero/falso su argomenti del programma (5 gruppi di domande vero/falso su 8
argomenti del corso) e ogni domanda vale 3/10 di punto se la risposta è corretta, se è sbagliata si
perde 1/10 di punto, mentre se la risposta è omessa non da penalità né aggiunge punti.
Se si ottiene il massimo punteggio sia dalla prima parte (20 punti) che dalla seconda (12 punti) si arriva
a un massimo di 32; quindi si ha un margine per arrivare al 30 e lode.

Le date dell’esame sono ancora da definirsi, ma avremo 7 appelli a partire da gennaio fino a dicembre, nel
corso di tutto l’anno solare del 2022:
 Fine gennaio
 Fine febbraio
 Finestra di Pasqua (intorno ad aprile)
 Metà giugno
 Metà luglio
 Dopo la metà di settembre
 Prima di Natale (19/20 dicembre)

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CONTINUAZIONE DELLA LEZIONE SCORSA:
LINFONODI

Sono piccoli organi che hanno un’elevata complessità anatomica per le loro dimensioni e danno una buona
idea sul movimento delle cellule immunocompetenti (linfociti e cellule dendritiche). Queste sono cellule
mobili provenienti dal sangue, che passano per le aree B o T; in particolare i linfociti B andranno nelle aree
B e i linfociti T andranno nelle aree T, e qui, se troveranno una cellula ( APC) che mostra l’antigene per il
quale hanno un recettore specifico, si attiveranno e inizieranno una risposta immunitaria; in caso contrario,
lasceranno queste aree e ritorneranno fuori prendendo la via dei vasi linfatici, per poi rientrare nel circolo
generale e ricominciare il giro.
Questo fa capire che le cellule del sistema immunitario, a differenza di tutte le altre cellule, sono mobili;
infatti, non vengono trascinate da una corrente ematica data dalla propulsione del cuore, ma si spostano
attivamente scegliendo la propria meta.

Nella fotografia a microscopio a fluorescenza ( vd. immagine a capo pg.) si vede come, marcando con degli
anticorpi monoclonali (usati come strumento di indagine) specifici linfociti T e B, a cui si legano fluorocromi
di colori diversi, si ottiene una colorazione di un certo tipo per i T e di un altro per i B. Sono presenti aree
precisamente separate da un punto di vista anatomico, difatti non c’è mescolanza tra rosso e verde. Quindi
c’è un’area prettamente popolata da linfociti T (paracorticale) e un’area prettamente popolata da linfociti B
(follicoli linfonodali).

MILZA
È un organo “misto”, importante sia per la risposta immunitaria, che per l’emocateresi (distruzione dei
globuli rossi invecchiati).
Si divide in polpa rossa e polpa
bianca; in quest’ultima abbiamo
degli ammassi di cellule bianche,
quindi linfociti e macrofagi. Le aree
di polpa bianca si possono
suddividere meglio nel topo,
nell’uomo è più complicato e le zone
T e B sono meno chiare.
Le zone T sono dei manicotti
periarteriolari (blu scuro), che
circondano i rami dell’arteria

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splenica, la quale si suddivide in tante piccole arteriole trabecolari (ripetendo: queste branche sono circondate
da zone di tessuto ricco di linfociti T).
Invece, intorno alle zone dei seni, ci sono strutture simili ai follicoli linfonodali, dette ZONE B.
Vicino ai seni venosi c’è una zona di confine, chiamata “marginale”, dove si ritrova un altro tipo di linfociti
B, che non sono gli stessi delle zone follicolari, per cui vengono chiamati linfociti della zona marginale
(MZB = marginal zone B lymphocytes). Sono linfociti B particolari, differenti da quelli dei follicoli, e
corrispondono, in generale, ad antigeni diversi. Insieme a questi linfociti peculiari, la zona marginale
presenta molti macrofagi, con attività di eliminazione delle cellule che vi arrivano (attività di tipo
macrofagico).

La milza è un grande deposito di linfociti B: mentre nel sangue non ci sono molti linfociti B (la maggior
parte dei linfociti circolanti sono T), nella milza circa la metà dei linfociti sono di tipo B.

Nella milza arriva il sangue, quindi si ha risposta prevalentemente nei confronti di antigeni che si trovano a
livello ematico.
Nel linfonodo, invece, si ha una risposta prevalentemente rivolta verso antigeni che viaggiano con la linfa.

TESSUTO LINFOIDE ASSOCIATO ALLE MUCOSE

Sono presenti, molto spesso, ammassi di tessuto linfoide associati alle mucose. La struttura più nota è la
placca di Peyer, nell’intestino tenue, a ridosso dell’epitelio mucosale. Questa è morfologicamente
riconoscibile e simile a quella di un linfonodo, ed è organizzata in follicoli (aree B) e aree T. Assomiglia
funzionalmente a un linfonodo, con la differenza, in questo caso, che gli antigeni arrivano dal lume
dell’intestino, tramite cellule situate sul tetto di questa struttura, che sono chiamate M (microfold).

Esiste poi un’altra parte del sistema immunitario (macrofagi, plasmacellule, linfociti T), non riconoscibile in
un’organizzazione morfologica (o anatomica) ben distinta; si tratta di cellule separate, singole, immerse nel
parenchima circostante, distribuite nella lamina propria, ma anche all’interno della stessa mucosa. In
quest’ultima, inframmezzate alle
cellule epiteliali e caliciformi
mucipare, si trovano dei linfociti in
gran numero, molti dei quali sono
linfociti T di tipo particolare (T γδ).
Questo discorso vale per tutte le
mucose, sia per quanto riguarda

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l’apparato respiratorio, che per il cutaneo, infatti, tutti gli epiteli hanno una rete di cellule
immunocompetenti.
È inoltre importante citare la presenza di cellule dendritiche, che hanno lo scopo di monitorare ( vd.
immagine a dx) la composizione della flora batterica presente verso il lume intestinale. Queste sono raffigurate
con la presenza di un’estroflessione, uno pseudopodio, che rompe le giunzioni fra le cellule epiteliali
componenti lo strato della mucosa e si estroflette nel lume. Le cellule dendritiche utilizzano la loro
estroflessione per catturare qualche batterio, presente nella flora batterica, interiorizzarlo, processarlo e
mostrare gli antigeni, derivanti dal vaglio di questi batteri, alle cellule del sistema immunitario qui presenti.

Dettaglio sulle cellule M, Microfold, (chiamate così perché la loro superficie non è villosa, come quella
delle cellule epiteliali di fianco): esse non fanno estroflessioni molto lunghe, quindi non formano i microvilli,
ma sono pari.
Sono l’equivalente delle cellule dendritiche (hanno anche loro la capacità di fagocitare i batteri che stanno al
di là dell’epitelio della mucosa e di portarli dentro, fenomeno noto come transcitosi), solo che si trovano in
questa posizione particolare:
- Mentre la cellula dendritica prende i batteri, li fagocita e li processa, la cellula M fa semplicemente
da tornello, li fagocita (“mangia”) e li espelle (“risputa”) fuori come tali dalla parte opposta (ovvero
li fa entrare).
- A livello del tetto della placca di Peyer, dove sono localizzate le cellule M, vi è una tasca dove sono
presenti cellule dendritiche, macrofagi e linfociti (cellule tondeggianti). Le cellule M fanno entrare
nella tasca dei batteri che vengono inglobati e presentati ai linfociti.
- La cellula M esegue un’azione complessa, compie un movimento orientato, direzionale, cioè una
transcitosi, che è una fagocitosi equivalente ad un transito ( ndr: da lume a tessuto).

CELLULE DEL SISTEMA IMMUNITARIO INNATO

A questo gruppo appartengono:


- cellule polimorfonucleate (neutrofili, eosinofili, basofili)
- cellule mastocitarie o mastociti, simili ai basofili ma tissutali
- monociti (circolanti)
- macrofagi (nei tessuti)
- cellule dendritiche
- cellule NK
- altre cellule appartenenti all’immunità innata con caratteristiche intermedie tra i linfociti e i NK e
con attività varie.

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L’immagine B rappresenta un
mastocita. A sinistra del riquadro si
può notare un vaso tagliato
trasversalmente, che contiene
un’emazia, e a destra c’è il mastocita,
con tanti granuli, colorabili con
colorazione basica, contenenti
sostanze vasoattive.
Quando queste cellule, o anche i
basofili circolanti (contengono gli
stessi tipi di granuli e hanno la stessa
azione), si degranulano, vi è
un’azione immediata sulla
vascolatura; infatti, essi servono per
regolare il calibro e la permeabilità dei vasi.

Basofili e mastociti non sono coinvolti in risposte immunitarie propriamente dette, ma sono cellule
accessorie, che aiutano l’arrivo, nel luogo dell’infezione, di più sangue, quindi più proteine per
l’infiammazione/coagulazione, proteine del complemento e cellule del sistema immunitario. Se l’attivazione
di queste cellule è eccessiva possiamo avere dei problemi anche gravi.

Altre cellule granulocitiche, più numerose, sono rappresentate nell’immagine A e sono i polimorfonucleati
neutrofili. I granuli in queste cellule non sono ben visibili, poiché sono neutri, quindi non si colorano o
assumono colorazioni blande.
La caratteristica che viene risaltata di più nei neutrofili è la forma del nucleo, davvero bizzarra, per la quale
vengono chiamati “polimorfonucleati”.
Tutte le altre cellule hanno un nucleo molto più regolare, tendenzialmente più tondeggiante, mentre le
polimorfonucleate si muovono ed entrano nei tessuti, tra una cellula e l’altra, tra le maglie della matrice
connettivale (fibre di proteine, acidi ialuronici, collagene), e modificano la loro forma per adattarsi in
maniera ameboide.
Generalmente la parte più rigida di una cellula è il nucleo, mentre le polimorfonucleate non hanno un nucleo
indeformabile, ma malleabile, per cui si muovono più velocemente di altre e, in effetti, sono le prime che
arrivano sul luogo dell’infezione.

MONOCITI/MACROFAGI
In seguito, si annoverano i monociti, i quali, quando si recano nei tessuti, diventano macrofagi. Questi
hanno una forma di nucleo intermedia: non è perfettamente regolare, tonda, sferica, ma neanche così
“bizzarra” come quella dei granulociti
neutrofili; i loro nuclei hanno una
morfologia reniforme, o a “fagiolo”.
I monociti sono le seconde cellule che
arrivano nel luogo d’infezione e per
questo sono leggermente più lente dei
granulociti. Essi presentano dei granuli,
poco apprezzabili, e hanno una quantità
maggiore di citoplasma, inoltre, sono
cellule che possono avere una vita
lunga, addirittura fino a diversi anni,
come il macrofago tissutale.
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Diversamente, i granulociti neutrofili, sono CELLULE TERMINALMENTE DIFFERENZIATE, infatti,
hanno una vita brevissima, che può durare solo pochi giorni.

Per la sua lunga aspettativa di vita, il monocita si può definire una “cellula saggia”, con un’esperienza tale da
dare più informazioni del neutrofilo, quest’ultimo, infatti, è considerato solamente come uno “spazzino”,
cioè una linea di difesa molto generica. Il macrofago non adempie solamente il compito di “pulitore”, ma
può informare i suoi successori, grazie alla sua vita più lunga, e inoltre possiede organelli (mitocondri,
vacuoli) e estroflessioni, per cui è sicuramente una cellula più complessa del neutrofilo.

Il macrofago nasce da uno stipite mieloide, circola come monocita e poi, se necessario, entra nei tessuti,
diventando macrofago propriamente detto (con forma più allungata) e poi può subire un’attivazione in senso
classico, M1, o alternativo, M2.

L’attivazione dipende dai segnali ricevuti:


 Macrofagi M1: deputati alla fase
distruttiva; fagocitano e guidano
l’infiammazione
 Macrofagi M2: deputati alla fase
ricostruttiva e riparativa del
tessuto, quando l’infiammazione si
è risolta

Ci sono diversi i segnali che definiscono


l’attivazione della tipologia di macrofago.

Di monociti/macrofagi sono presenti almeno due tipi principali:


 monociti classici (più diffusi): hanno un’alta espressione di un marcatore CD14, in grado di dare
una forte risposta infiammatoria
 monociti non classici (meno numerosi): hanno una bassa espressione del CD14, sono meno pro-
infiammatori

Il CD14 è una molecola che ha una sua funzione, poi siamo noi che lo utilizziamo come marcatore, e fa parte
dei recettori dell’LPS (lipopolisaccaride), una tossina batterica (tossina batterica = enterotossina).
Tutti i batteri Gram negativi possiedono l’LPS, perché è un componente della loro membrana.

Finora si sono trattati i monociti che


provengono dai precursori midollari, però
esistono anche cellule macrofagiche, parenti
di questi monociti, di derivazione
embrionale, che vanno a colonizzare gli
organi come macrofagi residenti.
Esempi di queste cellule, che hanno il
compito di ripulire l’organo, sono:
 cellule microgliali nel cervello
 cellule di Kupffer nel fegato
 macrofagi alveolari nei polmoni.

Quei monociti che derivano dal precursore


midollare mieloide, di origine emopoietica, e si portano nel tessuto quando c’è bisogno, sono un aiuto
quando le cellule residenti da sole non riescono ad affrontare la situazione. Bisogna immaginarli come dei
“poliziotti di quartiere, con delle volanti che girano nelle strade”. Se il poliziotto (macrofago residente che

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funge da sentinella) vede che sta succedendo qualcosa che non riesce ad affrontare da solo, manda dei
segnali per richiamare le volanti (monociti circolanti).

Questa tabella mette in luce le differenze tra granulociti neutrofili e macrofagi, che hanno funzioni simili, ma
modalità e gradi diversi.

Fagocitosi:
 i neutrofili la fanno molto
velocemente e una sola volta,
poi muoiono
 i macrofagi hanno una vita
lunga, quindi possono
inglobare sostanze più volte e
lo fanno anche su cellule locali
morte (in necrosi o apoptosi)

Quando è presente un’infezione da
batteri piogeni, si nota un accumulo di
pus bianco, che corrisponde ai
neutrofili morti.

Produzione di radicali dell’ossigeno:


 Neutrofili: indotta rapidamente (burst respiratorio)
 Macrofagi: è meno veloce; se è assente è possibile che sia un caso di immunodeficienza

La produzione di radicali dell’ossigeno e di ossido nitrico (specie reattive) è importante perché sono dei
veleni per i batteri. Le cellule, una volta fagocitato il batterio, lo devono uccidere (la sola fagocitosi permette
al batterio di continuare la sua vita all’interno della cellula immunitaria, perché il patogeno viene protetto dal
suo strato esterno, di cui fanno parte anche gli antigeni).
Per annientare il batterio le cellule producono i radicali dell’ossigeno in grandi quantità (si parla di
respiratory burst = scoppio respiratorio). Viene quindi consumata una grande quantità di ossigeno per
produrre i radicali fondamentali per uccidere il materiale fagocitato. L’ossido nitrico invece viene prodotto
da enzimi che si trovano principalmente nei macrofagi.

Degranulazione: caratteristica più importante per i neutrofili rispetto ai macrofagi (il professore dice che
questo aspetto non è importante).

Produzione citochine: produzione di messaggeri


 Neutrofili: bassi livelli.
 Macrofagi: è una delle funzioni principali (major functional activity). I macrofagi sono infatti
“cellule saggie”, ossia trasmettono messaggi alle cellule che arrivano dopo di loro, i linfociti.

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Produzione NET (neutrofile extracellular traps): cioè di trappole extracellulari formate da DNA.
 Neutrofili: emettono il loro nucleo, che è frammentato, c’è quindi un’espulsione attiva del DNA, che
va a formare delle reti (net) che intrappolano i batteri. Si tratta quindi di un’ulteriore difesa.
I neutrofili sono utili anche una volta morti proprio per il NET, grazie all’emissione del loro DNA
che va a costituire delle trappole per i batteri.
 Macrofagi: non hanno questa funzione perché, a differenza dei neutrofili, hanno una vita lunga.

Secrezione enzimi lisosomiali: rilascio di lisosomi fuori dalla cellula.


 Neutrofili: attività prominente, una vasta presenza di queste cellule, infatti, può portare a un danno
tissutale perché i lisosomi contengono enzimi litici.
 Macrofagi: presente in misura minore.

Durata della vita:


 Neutrofili: circa 1-2 giorni, sono cellule differenziate a vita breve.
 Macrofagi: possono sopravvivere per diverse settimane, i macrofagi residenti nei tessuti anche anni.
Non ci sono prove sulla durata effettiva della vita dei macrofagi ma, verosimilmente, i macrofagi
durano più a lungo dei neutrofili.

BASOFILI ED EOSINOFILI
In questa immagine si vede come i basofili assomiglino ai mastociti: hanno lo stesso contenuto con la
differenza di essere circolanti.
Gli eosinofili invece hanno granuli diversi che si colorano diversamente, il cui contenuto ha attività
anti-patogena nei confronti di patogeni multicellulari, come i metazoi. Gli eosinofili, infatti, sono convolti
nella risposta contro i parassiti (vermi).

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Viene affrontato ora un altro gruppo di cellule:

CELLULE DENDRITICHE
Sono cellule importanti per il
sistema immunitario ma non è
chiara la loro funzione.
Sono parenti dei monociti
macrofagi, infatti derivano da un
precursore comune di tipo
mieloide.
Hanno funzioni simili ai
monociti ma si differenziano
leggermente.

Dal precursore comune derivano


i monociti che raggiungono i
tessuti e, sotto stimoli
infiammatori, alcuni di questi si
possono differenziare in cellule
dendritiche (anche chiamate DC).

La maggior parte delle cellule dendritiche, però, non deriva dai monociti, ma è già presente nei tessuti e
deriva sempre dallo stesso progenitore ma con una linea differenziata diversa.

Questo tipo di cellule dendritiche può essere di due tipologie diverse:


 Cellule plasmacitoidi:
circolanti nel sangue,
chiamate così perché
assomigliano alle
plasmacellule (infatti sono
parenti).
 Cellule dendritiche
classiche: nei tessuti,
formano una rete di
sorveglianza.

Le cellule dendritiche plasmacitoidi hanno invece la funzione di produrre particolari citochine: esse sono la
sorgente principale di interferoni (IFN) di tipo I.

Questo tipo di interferoni va ad interagire con l’infezione virale ostacolandola, sono quindi degli antivirali.

Gli IFN-I sono il motivo per cui il 90% di pazienti COVID contrae il virus in maniera leggera, perché ha una
buona produzione di interferoni di tipo I. Chi va in terapia intensiva invece ha una produzione di interferoni
I bassa.

Potenzialmente tutte le cellule possono produrre interferoni di tipo I, però i principali produttori sono le
cellule dendritiche plasmacitoidi.

Le cellule dendritiche classiche hanno la funzione di captare gli antigeni, processarli, e quindi di presentarli
ad altre cellule del sistema immunitario (i linfociti), per poi distruggerli. ( ndr: dovrebbero essere i linfociti a
distruggere il patogeno).

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Esistono due famiglie di dendritiche classiche:
 Cellule che presentano l’antigene ai linfociti T-helper
 Cellule che presentano l’antigene ai linfociti T-citotossici (compiono cross presentation).

Entrambe presentano l’antigene, ma in maniera diversa: la presentazione ai linfociti CD8 (= citotossici)


viene chiamata appunto cross presentation.

Una rete di cellule dendritiche sono le cellule di


Langerhans nella cute. Sono la prima rete di
captazione degli antigeni, servono per
sorvegliare l’entrata di antigeni dall’esterno.

Quando arriva un antigene estraneo (es. taglio


sulla cute), esso viene catturato da questa rete di
cellule che lo processa e lo porta al linfonodo
più vicino. Queste cellule normalmente sono
ferme, ma, quando captano l’antigene, ritirano i
loro prolungamenti, si staccano dal substrato ed
entrano nel circolo linfatico, arrivando al
linfonodo più vicino, dove presentano l’antigene ai linfociti che stanno circolando.

Dal sangue, i linfociti passano nei linfonodi e cercano l‘antigene sulle cellule dendritiche. Se non trovano
l’antigene nel linfonodo, escono e tornano nel circolo ematico.

Questo è un sistema economico per tenere sotto controllo una superficie vastissima (superficie corporea
della pelle, superficie delle mucose, superficie organi interni, etc.) e per proteggerla da antigeni esterni.

I linfociti da soli non riuscirebbero a controllare efficacemente la presenza di diversi antigeni, in questo
modo, invece, vengono creati degli HUB di linfonodi, dove vengono concentrati gli antigeni e i linfociti
sanno dove cercarli.

RICIRCOLAZIONE E MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI NEI TESSUTI


Una delle caratteristiche più distintive delle cellule della serie bianca è quella di potersi muovere in maniera
attiva: questo movimento si chiama ricircolazione e porta le cellule ad andare o nei tessuti linfoidi o a
migrare in quelli periferici dove devono svolgere la loro azione.

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La capacità di ricircolazione è propria di tutti i leucociti, ma in particolare dei linfociti che possono, appunto,
spostarsi tra diversi organi linfoidi attraverso sangue o linfa e possono così andare nei tessuti e tornare
indietro (=definizione di ricircolo).
I leucociti sono attirati da un danno tissutale che può essere chimico, fisico, meccanico o dovuto ad
un’azione patogena di virus, batteri o altri agenti biologici.
Viene provocata una reazione stereotipata iniziale, un’infiammazione. Inizialmente questa infiammazione
possiede le stesse caratteristiche di una acuta (caratteristiche che verranno analizzate durante il corso di
Patologia).

I segni di alterazione a livello del microcircolo locale vengono attivati da segnali di allarme, che sono
prodotti del danno cellulare stesso, i quali mettono in movimento meccanismi stereotipati che portano
all’infiammazione acuta.

I prodotti del danno cellulare vengono visti in prima battuta dalle cellule residenti che sono in grado di
presentare l’antigene (APC= antigen presenting cells).
Queste APC sono le cellule dendritiche e i macrofagi residenti nei tessuti che cominciano a funzionare
perché riconoscono una produzione di materiale da fagocitare, oppure perché sono presenti patogeni esterni.

Le APC cominciano a produrre molecole di segnale che fanno parte delle citochine: le CHEMOCHINE.
Queste ultime sono un sottogruppo delle citochine con azione chemiotattica, ossia attraggono altre cellule.

Quindi le cellule residenti nei tessuti cominciano ad eliminare ciò che deve essere rimosso e si preparano a
presentarlo alle cellule che verranno dopo di loro, chiamandole con segnali costituti appunto dalle
chemochine.

Le cellule APC residenti si trovano dentro i tessuti e sono separate dalle cellule che circolano nel sangue,
come i neutrofili, monociti e linfociti, grazie a una barriera endoteliale.
Le cellule che stanno circolando nel sangue vengono avvisate che è in corso un’infiammazione proprio
dall’endotelio che comunica loro di doversi fermare.

L'endotelio è il primo bersaglio delle citochine e delle chemochine; infatti esso deve diventare “appiccicoso”
per le cellule bianche che circolano nel sangue: questa attivazione permette il reclutamento dei leucociti.

Successivamente vengono richiamate anche altre componenti plasmatiche solubili, che arrivano però in
maniera passiva perché nel frattempo l’endotelio è diventato lasso, le sue cellule si sono attivate, diventando
più appiccicose, e distaccate tra loro. Sono presenti giunzioni più lasse, il vaso è diventato più permeabile e
quindi le componenti solubili escono più facilmente in maniera passiva.

I leucociti, invece, si devono muovere in maniera attiva e si forma così il nucleo dell’infiammazione acuta.

Questa situazione sopra descritta, si crea nelle venule post capillari, dove la corrente sanguigna è più lenta,
nelle arterie la pressione è molto forte e le cellule non riescono a fermarsi.

In quest’immagine sono rappresentati


dei generici batteri. Sono presenti dei
macrofagi residenti che danno una
segnalazione all’endotelio che
richiama prima di tutti i neutrofili.
Sono presenti poi cellule dendritiche
che fagocitano i batteri, li processano
e nel frattempo si staccano e
raggiungono i linfonodi. I linfociti
stanno circolando e raggiungono il

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linfonodo tramite il circolo ematico (si trovano nelle arteriole → passano nel letto capillare → arrivano a
livello della venula).
La venula degli organi linfatici è particolare perché ha un endotelio alto che è appiccicoso e permette ai
linfociti naïve di uscire.
Se il linfocita B riesce a riconosce l’antigene, produce anticorpi, diventa una plasmacellula e resta nel
linfonodo o torna nel midollo osseo.
Il linfocita T, invece, esce dal linfonodo, torna nel flusso ematico e trova il punto esatto da cui è partita la
segnalazione.

Il linfocita T come fa a sapere dove andare?


Grazie ai segnali di localizzazione, molecole di segnale che sono di 3 categorie (una delle quali è
rappresentata dalle chemochine).

- CHEMOCHINE: sono citochine (=piccoli ormoni proteici con attività chemiotattica) di richiamo.
Agiscono su due famiglie di proteine, le selectine e le integrine. Queste proteine servono per
fermare le cellule del sistema immunitario e farle entrare all’interno di un tessuto periferico o di un
organo linfoide secondario.

 SELECTINE rallentano il flusso dei leucociti.


Hanno interazione debole con il ligando e rendono appiccicoso l’endotelio.
Il leucocita rotola sull’endotelio del vaso ma non si ferma.
Queste interazioni non sono abbastanza forti da fermare il leucocita, ma sono comunque
necessarie.
Esistono 3 tipi di selectine, che possono essere espresse dall’endotelio o dalle cellule della serie
bianca: P, E e L.

L’endotelio viene
attivato da istamina e
trombina, quindi da
prodotti vaso- attivi, che
vengono secreti quando
c’è un inizio di
infiammazione.
L’attivazione può
avvenire anche per conto
di citochine, come
TNF-alfa o
interleuchina 1 (IL1),
che sono due fra le
classiche citochine pro-
infiammatorie.

Quando i macrofagi residenti sono attivati da un patogeno, producono questi materiali che vanno ad attivare
l’endotelio, che quindi esprime 2 tipi di selectine:
1. P selectine
2. E selectine

Il terzo tipo di selectina:


3. L selectina: viene espressa sulla superficie di neutrofili, monociti e linfociti T e B.

Queste 3 selectine legano proteine diverse, che sono però tutte glicoproteine, con componente glucidica data
da un tetrasaccaride, il Syalil Lewis X, formato da N-acetilglucosammina (componente legata alla proteina)
e residui di glucosio, galattosio e acido sialico (NANA: acido N-Acetil-Neuro-Amminico, ossia acido
sialico).
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Di fatto, tutte le proteine che hanno il tetrasaccaride sono in grado di interagire con le selectine.
Queste proteine sono di diverso tipo e vengono prodotte dal leucocita o dal tessuto periferico.
Quando avviene l’interazione selectina-tetrasaccaride, il leucocita rallenta perché si forma attrito.
A questo punto il leucocita rotola (rolling) sull’endotelio che esprime le suddette proteine, o le selectine, a
seconda di come sia avvenuta l’interazione. ESEMPIO: Potrebbe esserci un linfocita T con una L selectina che
vede una proteina (addressina) che esprime il Syalil Lewis X.
Una volta che il linfocita ha rallentato il suo movimento, permette l’interazione con altre proteine, le
timochine e le integrine.
Queste ultime danno
un’interazione più forte con il
ligando, sono più di 30 tipi
diversi.
Sono dimeri formati da una
catena α e una catena β.
Si conoscono 15 tipi catene α e
7 di catene β.
L’accoppiamento di catene
diverse forma differenti
integrine con nomi distinti.
Ad esempio, LFA-1, Mac-1,
VLA-4, α4β7.
Le integrine possono essere
indicate con la classificazione
CD.
Es: CD11aCD18, dove CD11a è la catena α e CD18 la catena β. Da questa classificazione si vede come
LFA-1 e Mac-1 abbiano la stessa catena β (il professore specifica che non è importante ricordarsi questi particolari).

 Le INTEGRINE si trovano su neutrofili, monociti, linfociti T con diversi fenotipi (naïve o di


memoria) e linfociti B. Si legano a molecole espresse sull’endotelio (es. ICAM-1, VCAM-1), ogni
tessuto endoteliale può esprimere le sue e quindi indirizzare a richiamare determinati linfociti e a
fare andare in un determinato posto quello specifico linfocita. Ad esempio, un linfocita che
esprima α4β7, si legherà a MadCAM-1, espressa nell’intestino. Quindi un linfocita che arrivi ad
esprimere questa integrina andrà a localizzarsi nell’intestino perché possiede l’integrina che lo
porterà a legarsi a uno specifico ligando che è espresso sull’endotelio intestinale.

Le integrine vengono anche dette “molecole di Fuming” (=molecole che indirizzano).

Al contrario delle selectine, le integrine danno un’interazione stabile con il ligando, che permette
al linfocita (o monocita) di fermarsi sull’endotelio e di poter extravasare, cioè uscire dal corrente
circolatorio.

Le integrine hanno una testa globulare, normalmente ripiegata. In questa conformazione esse hanno bassa
affinità di legame con il ligando, che risulta quindi debole. Ma, se il linfocita (o monocita) viene attivato, le

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teste globulari vengono estroflesse, esposte e, con questa conformazione, l’integrina ottiene alta affinità, il
legame con il ligando è molto più forte e il linfocita si ferma.
Descrizione del procedimento:
 Il linfocita sta rotolando grazie all’azione delle selectine.
 Le integrine sono nella forma a bassa affinità.
 I linfociti hanno il recettore per le chemochine, se mentre sta rotolando incontrano la chemochina si
attivano.
 A questo punto l’integrina cambia conformazione e aumenta l’affinità integrine-linfocita.
 Il linfocita si ferma.

(Il professore rispiega:


L’endotelio è appiccicoso perché le chemochine hanno agito su di esso facendogli esprimere le selectine e le
molecole proteiche tipo ICAM-1. Grazie alla presenza delle selectine, il linfocita rotola sull’endotelio senza
fermarsi perché l’interazione è debole. Il linfocita, però, ha il recettore per le chemochine, quindi, se incontra
queste molecole, si attiva ed emette fuori le teste globulari delle integrine, che cambiano conformazione,
diventando ad alta affinità per il ligando proteico presente sull’endotelio. Il linfocita quindi si ferma.)

Riprendendo il discorso sulle chemochine…


Le chemochine vengono prodotte dalle cellule dendritiche e dai macrofagi tissutali, quindi, si trovano
all’interno del tessuto. Questo tipo di citochine agisce con due modalità: una parte agisce sull’endotelio
facendolo diventare appiccicoso e una parte esce
dal tessuto senza entrare nel flusso sanguigno, resta
ancorata sulla superficie dell’endotelio in modo che
il linfocita possa vederla.
Infatti, se la chemochina fosse una molecola
solubile, scorrerebbe nel torrente ematico e il
linfocita non riuscirebbe a riconoscerla.
La chemochina è legata all’endotelio grazie a
residui glucidici o glicolipidici, che sono
componenti della membrana (es. Eparansolfato). In
questo caso particolare delle chemochine, quindi,
l’ormone non circola libero fino a quando non incontra il suo recettore.
Il segnale deve essere fermo sull’endotelio perché è fondamentale che il linfocita si fermi proprio in quel
determinato punto.
Ci sono circa 50 tipi di chemochine classificate sulla base della loro struttura (esistono anche altri tipi di
classificazioni).
La catalogazione in 4 gruppi a seconda della struttura è data dalla posizione di cisteine conservate che danno
un ripiegamento del polipeptide.
Le 4 classi sono:
1. c-chemochine, presenza di una cisteina conservata;
2. cc-chemochine, con 2 cisteine con posizione conservata
3. cxc-chemochine con 2 cisteine non affiancate, in mezzo è presente un altro residuo amminoacidico
4. cx3c-chemochine con 2 cisteine separate da 3 aminoacidi.

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Tutte queste chemochine danno segnali chemiotattici, agiscono facendo sì che la cellula (il linfocita) si
muova seguendo il gradiente della chemochina.

I recettori delle chemochine sono recettori a serpentina o a 7 alfa eliche, del tipo che attraversa la
membrana 7 volte. A questi si lega la chemochina, permettendo la trasduzione di un segnale mediante un
complicato complesso proteico che attiva la cellula.
I segnali di attivazione del linfocita sono l’esposizione delle integrine, la cui testa globulare viene
raddrizzata. Inoltre, viene modificato il citoscheletro, che cambia forma, cominciando a muoversi con
movimento ameboide.
I recettori per le chemochine sono diversi. Le chemochine e i loro recettori vengono indicati con le stesse
sigle ma le prime vengono identificate con la lettera L, mentre i secondi con la lettera R.
Quindi esiste un vero proprio linguaggio, in modo tale che le cellule sappiano dove andare in base al
recettore per le chemochine che posseggono.

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