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DOMANDE SUL SISTEMA LINFATICO

1. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DEL TIMO

Il timo è un organo linfoepiteliale impari e mediano, che deriva dalla fusione di due lobi, chiamati lobi timici.
L’unione dei due lobi dona al timo una forma di piramide quadrangolare, con la base localizzata nel mediastino
anteriore e l’apice che risale nel collo. L’apice spesso risulta bifido, pertanto vengono definiti due corni timici. La
base della piramide si pone a livello della IV cartilagine costale, mentre l’altezza dell’apice può variare per la
presenza dei corni timici; se questi sono molto sviluppati il timo può raggiungere il margine inferiore della tiroide.

È l’organo superiore di controllo per lo sviluppo del sistema immunitario, particolarmente sviluppato nel feto e nei
primi anni di vita (fino alla pubertà) raggiunge il peso massimo di 30 g a circa 15 anni, dopo di che tende ad una
lenta involuzione fino ai 50 anni, per poi accelerare ulteriormente. Per quanto riguarda il colore presenta un
cambiamento coerente allo sviluppo: inizialmente rosa, poi grigio-biancastro e infine, giallo a causa
dell’infiltrazione adiposa.

Il timo non presenta mezzi di fissità sviluppati, esso è a contatto con il pericardio per la maggior parte
dell’estensione, e in alto con le struttura vicine mediante i corni. Si rapporta:

- Anteriormente:
o Nel collo: con la fascia cervicale media e con i muscoli sottoioidei;
o Nel mediastino anteriore: con il manubrio e con la parte superiore dello sterno, oltre ai vasi toracici
interni e le estremità sternali dei primi 5-6 spazi intercostali, separati dal timo tramite la fascia
endotoracica, le inserzioni sternali dei muscoli sternotiroidei e trasverso del torace, seni costo-
mediastinici e i margini anteriori dei polmoni.
- Posteriormente:
o Nel collo: con le arterie carotidi comuni, ricoprendo la trachea;
o All’apertura superiore del torace: con il TvBC che lo separa dal TaBC e l’arteria carotide comune;
o Nel mediastino anteriore, con la VCS ed il segmento superiore dell’arco aortico e, mediante
l’interposizione del pericardio, con l’origine dell’aorta e del tronco polmonare.

Per quanto riguarda la sua struttura microscopica, il timo è un organo a costituzione lobulare, presenta
un’impalcatura di tipo epiteliale, delimitato da una capsula connettivale che si infiltra anche all’interno dell’organo
determinando la suddivisione in lobuli. Al di sotto della capsula connettivale, le cellule epiteliali e connettivali
costituiscono lo stroma, l’impalcatura dell’organo stesso, che definisce la suddivisione nei vari lobuli. In mezzo a
tutti questi lobuli si andranno a disporre tutte le cellule specifiche di tipo T.

In ogni lobulo, dal punto di vista istologico, si distinguono una parte più periferica, la corticale, e una parte più
interna, la midollare; in entrambe sono presenti gli stessi tipi di cellule, ma in diversa quantità; questa
caratteristica, insieme alle caratteristiche funzionali delle cellule stesse, conferiscono una diversa colorazione delle
due regioni.

È interessante notare che il timo non presenta un ilo: i vasi sanguigni, linfatici efferenti e i nervi escono ed entrano
bucando in diversi punti la capsula connettivale che circonda l’organo. Attraversata la capsula, i vasi principali
viaggiano seguendo le trabecole connettivali (arterie trabecolari) e, a livello della giunzione cortico-midollare
(arterie cortico-midollari), si ramificano e lasciano le trabecole per immergersi nel parenchima, formando dei vasi
a minor calibro e ad andamento trasversale. Da questi si diparte una rete di vasi che raggiunge sia la regione
corticale che quella midollare. Oltre ai capillari, si trovano le caratteristiche vene ad alto endotelio (HEV), tipiche
degli organi linfoidi, che sono delle vene post-capillari con endotelio cuboidale specializzato, alto e fenestrato e,
proprio grazie a quest’ultima caratteristica, garantiscono il passaggio dei linfociti dal parenchima timico al circolo
ematico e viceversa.

Lo stroma è costituito da una ricca presenza di cellule endoteliali e connettivali. Il parenchima occupa gli spazi
creati dallo stroma ed è costituito da linfociti, macrofagi e cellule epiteliali.
Ø Le cellule epiteliali timiche (TEC) possiedono caratteristiche funzionali importanti che le rendono parte del
parenchima. Sono cellule piuttosto voluminose, con un nucleo ovale, dotate di giunzioni di tipo desmosomico
e di prolungamenti ramificati che formano una struttura reticolare tridimensionale nel parenchima timico.

Delle TEC si riconoscono sei tipologie:

- TIPO 1: cellule epiteliali sottocapsularià funzionano da cellule separatrici tra i vasi che entrano ed
il parenchima, formando una barriera emato-timica che impedisce che si scatenino accidentali
presentazioni dell’antigene a cui il timo, essendo organo primario (privo di linfociti maturi) non è in
grado di rispondere.
- TIPO 2-3-4: cellule epiteliali nella regione corticale o al confine tra corticale e midollare. Si tratta di
grandi epiteliociti stellati, detti anche nurse cells o cellule nutrici, in quanto rilasciano dei fattori
paracrini per la maturazione dei linfociti.
- TIPO 5-6: a livello della regione midollare si trova una popolazione epiteliale disomogenea con
elevata capacità mitotica e differenziativa, in grado di autorinnovarsi e di generare fenotipi epiteliali
differenti che nel complesso hanno il ruolo di garantire i processi di selezione dei linfociti T. Fra queste
cellule, vi sono dei gruppi di cellule organizzati concentricamente (a guscio di cipolla) chiamati corpi
timici (o di Hassal) in cui le cellule più centrali sono necrotiche (cheratinizzate).

Ø Tra le maglie del reticolo formato dalle TEC sono accolti i timociti secondo una distribuzione che rispecchia il
loro grado di maturazione e selezione. Questi processi prevedono una migrazione regolata dei timociti dalla
giunzione cortico-midollare alla zona sotto-capsulare, da qui di nuovo alla giunzione per giungere infine alla
zona midollare dalla quale i linfociti maturi saranno immessi nel circolo per raggiungere gli organi linfoidi
secondari.
Ø I macrofagi sono particolarmente numerosi in tutte le parti del lobulo timico, ma in particolar modo nella
midollare, in quanto hanno il ruolo di eliminare i linfociti T non competenti.

2. MIDOLLO OSSEO ROSSO

Il midollo osseo è considerato un organo linfatico primario, assieme al timo, che svolge le proprie funzioni a partire
dal IV mese della vita intrauterina, promuovendo la proliferazione e la maturazione degli eritrociti, granulociti,
monociti, piastrine e linfociti e rimuovendo i cloni autoreattivi di linfociti B. Esso occupa tutte le cavità interne delle
diafisi delle ossa lunghe e le cellette di osso spugnoso nelle epifisi delle ossa lunghe, brevi e piatte (ossa craniche,
sterno, colonna vertebrale, pelvi, alcune estremità distali di alcune ossa lunghe).

Alla nascita si parla di midollo osseo rosso, costituito da un parenchima emopoietico di aggregati di cellule
emopoietiche a vari stadi di sviluppo: questi formano dei nidi o isolotti uniti da cordoni tra i quali si dispongono i
seni venosi. Lo stroma è, invece, composto da cellule stromali immerse nella matrice extracellulare (cellule adipose,
fibroblasti, macrofagi e mastociti circondate da fibre reticolari), in connessione con l’endostio.

Le cellule emopoietiche sono di fondamentale importanza in quanto sono in grado di compiere l’emopoiesi,
processo che porta alla maturazione di tutte le cellule del sangue a partire da una cellula staminale totipotente. Nel
midollo osseo rosso, a partire da una cellula staminale pluripotente, si generano cellule staminali multipotenti
linfoidi che a loro volta si possono differenziare in linfociti T, in linfociti B o in cellule NK. I linfociti T vengono
prodotti come linfociti T immaturi che migreranno nel timo dove potranno differenziare e maturare. Il linfocita T
maturo potrà quindi essere trasportato attraverso la circolazione sanguigna nei tessuti periferici, per poter svolgere
la sua funzione.

Con l’avanzare dell’età si avrà un rallentamento della produttività emopoietica del midollo osseo rosso, e, in alcune
ossa, aumenterà progressivamente la componente adiposa, che gli farà assumere un colore bianco-giallastro
diventando midollo osseo giallo.

La vascolarizzazione del midollo osseo è a carico delle arterie nutritizie dell’osso, che si dividono in arterie
midollari che avvolgono a spirale la vena longitudinale del midollo osseo che costituisce il punto di scarico di tutti
i seni venosi.
3. FRP DELLA MILZA

La milza è un organo linfoide secondario anche se solo il 25% è tessuto linfoide dedicato alla risposta immunitaria.
Il restante 75% del tessuto ha la funzione di emocateresi, la rimozione dal sangue di eritrociti invecchiati e piastrine,
oltre alla funzione emopoietica svolta durante la vita fetale.

Si tratta di un organo abbastanza voluminoso che riceve il 5% della gittata cardiaca, principalmente mediante il
ramo maggiore del tronco celiaco (l’arteria splenica), pur non avendo un elevato consumo di ossigeno. L’elevato
volume di perfusione è giustificato dall’azione di filtro che essa esercita.

La milza è accolta nella loggia splenica, localizzata nel piano sovra mesocolico della cavità addominale e si proietta
nella regione dell’ipocondrio sinistro, completamente addossata alla parte addominale sinistra e delimitata
superiormente, posteriormente e lateralmente dal diaframma. Ha una lunghezza di circa 12 cm, larghezza 7 cm e
spessore 3-4 cm. Il peso medio è di 180-250 grammi e ha una forma ad ovoide schiacciato; l’asse maggiore è
orientato obliquamente da una zona supero-postero-destra verso una zona infero-antero-sinistra.

Nella milza si distinguono:

§ La faccia diaframmatica (o posteriore) che entra in rapporto con la parete addominale sinistra e
con la cupola del diaframma, da cui il nome;
§ La faccia viscerale (o mediale), dalla consistenza molle, che tende a modellarsi alla forma delle
strutture vicine, che vi lasciano delle impronte, in base alle quali viene divisa in tre facce
principali:
Faccia renale, in rapporto con la faccia anteriore del rene e surrene sinistro;
Faccia gastrica, in rapporto con il fondo e la faccia posteriore del corpo dello stomaco;
Faccia colica, in rapporto con la flessura colica sinistra.
Tra queste impronte si trova l’ilo splenico, di forma allungata, in cui si ha l’immissione dell’arteria splenica e da
cui fuoriesce la vena splenica.

La milza è completamente ricoperta dal peritoneo, che la abbandona lungo certe linee per portarsi allo stomaco, al
pancreas ed al diaframma, costituendo così tre legamenti che la rapportano con i rispettivi organi circostanti:

- Legamento gastro-lienale o gastro-splenico;


- Legamento lieno-renale o pancreatico-lienale;
- Legamento freno-lienale;
- Legamento freno-colico, che costituisce un’eccezione, in quanto non si rapporta direttamente
con la milza ma connette i pilastri costale del diaframma alla flessura splenica (colica sinistra),
contribuendo alla stabilizzazione della milza.

4. MICROSCOPICA DELLA MILZA

Per quanto riguarda la struttura microscopica, la milza è un organo delimitato da una capsula connettivale fibrosa,
ricca di fibre collagene e fibre reticolari, e particolarmente ispessita a livello dell’ilo splenico, dal quale si dipartono
setti connettivali (trabecole spleniche) che si irradiano all’interno del parenchima, seguite dalle formazioni
vascolari. La milza è organizzata in:

o polpa rossa (circa il 75%), che svolge la funzione di emocateresi e riciclo del ferro;
o polpa bianca (circa il 25%), costituita da tessuto linfoide che svolge la funzione di risposta immunitaria
diretta.
La divisione tra la polpa bianca e rossa è dovuta alle ramificazioni dei vasi sanguigni che entrano ed escono dalla
milza. Tra polpa rossa e polpa bianca è presente una zona di transizione discontinua, chiamata marginale, formata
da due strati, separati da una zona centrale dove i fibroblasti reticolari e le fibre reticolari organizzano uno spazio
permeato di sangue, non rivestito da cellule endoteliali. Essa rappresenta il punto di entrata degli antigeni e linfociti
circolanti; qui si trova, infatti, una distribuzione regolare di cellule presentanti l’antigene (APC), tra cui i macrofagi
metallofori (che esprimono la sialoadesina, sialic acid binding Ig-like lectin I) e cellule dendritiche, oltre ai linfociti
B della memoria.

Le arterie che si trovano nella milza derivano dall’arteria splenica. Dall’ilo, queste arterie entrano nel parenchima
dell’organo decorrendo all’interno delle trabecole col nome di arterie trabecolari (diametro >0,2 mm). Da queste
emergono le arterie centrali che, abbandonate le trabecole, vengono avvolte da un manicotto di tessuto linfoide
(PALS, PeriArteriolar Lymphoid Sheat), formato principalmente da linfociti T (sia CD4+, sia CD8+). Dalle arterie
centrali si staccano altri vasi più piccoli, le arterie penicillari, circondate da tessuto linfoide diffuso costituito da
linfociti T e da follicoli o noduli linfatici costituiti, invece, dai linfociti B. Questo tessuto linfoide costituisce la
polpa bianca.

Le arteriole, circondate da PALS che forma i cosiddetti corpuscoli lienali, si susseguono nei capillari, che si
trovano, invece, a livello della polpa rossa, organizzata in cordoni splenici o di Billroth. I capillari della polpa
rossa sono definiti a guscio, essendo fenestrati e circondati da macrofagi, il cui ruolo è di eliminare i globuli rossi
invecchiati. Gli stessi capillari continuano poi nei seni venosi, avvolti da fibre reticolari, la cui funzione è di dare
passaggio agli eritrociti che non sono stati eliminati e che devono rientrare nel circolo sanguigno. Questi poi
confluiscono nelle vene trabecolari che a loro volta andranno a formare la vena splenica che fuoriuscirà dall’ilo
per confluire con la mesenterica superiore nella vena porta. Il 90% del sangue segue questo circolo aperto e si riversa
nei cordoni della polpa rossa; il 10 %, invece, è drenato nella vena splenica da una circolazione chiusa.

5. STRUTTURA DELLA POLPA BIANCA DELLA MILZA

La milza è un organo delimitato da una capsula connettivale fibrosa, ricca di fibre collagene e fibre reticolari, e
particolarmente ispessita a livello dell’ilo splenico, dal quale si dipartono setti connettivali (trabecole spleniche) che
si irradiano all’interno del parenchima, seguite dalle formazioni vascolari. Il suo parenchima è organizzato in:

o polpa rossa (circa il 75%), che svolge la funzione di emocateresi e riciclo del ferro;
o polpa bianca (circa il 25%), costituita da tessuto linfoide che svolge la funzione di risposta immunitaria
diretta.
La divisione tra la polpa bianca e rossa è dovuta alle ramificazioni dei vasi sanguigni all’interno della cosiddetta
zona marginale, formata da due strati, separati da una zona centrale dove i fibroblasti reticolari e le fibre reticolari
organizzano uno spazio permeato di sangue, non rivestito da cellule endoteliali. Essa rappresenta il punto di entrata
degli antigeni e linfociti circolanti; qui si trova, infatti, una distribuzione regolare di cellule presentanti l’antigene
(APC), tra cui i macrofagi metallofori e cellule dendritiche, oltre ai linfociti B della memoria.

Le arterie che si trovano nella milza derivano dall’arteria splenica. Dall’ilo, queste arterie entrano nel parenchima
dell’organo decorrendo all’interno delle trabecole col nome di arterie trabecolari (diametro >0,2 mm). Da queste
emergono le arterie centrali che, abbandonate le trabecole, vengono avvolte da un manicotto di tessuto linfoide
(PALS, PeriArteriolar Lymphoid Sheat), formato principalmente da linfociti T (sia CD4+, sia CD8+). Dalle arterie
centrali si staccano altri vasi più piccoli, le arterie penicillari, circondate da tessuto linfoide diffuso costituito da
linfociti T e da follicoli o noduli linfatici costituiti, invece, dai linfociti B. Questo tessuto linfoide costituisce la
polpa bianca. In caso di risposta immunitaria nel centro dei follicoli linfoidi si formano i centri germinativi, che si
allargano accogliendo linfociti B dalla zona marginale.

6. STRUTTURA DELLA POLPA ROSSA DELLA MILZA

La polpa rossa è caratterizzata da una particolare organizzazione del tessuto connettivo formato da fibre reticolari e
fibroblasti (cordoni splenici della polpa rossa, o di Billroth). L’arteriola centrale, lasciata la PALS, si sfiocca in
numerosi rami (arteriole penicillari) cui seguono capillari circondati da guaine di macrofagi (capillari con guscio).
I capillari con guscio si aprono liberamente nei cordoni splenici, scaricando sangue nel tessuto reticolare che li
forma; questa organizzazione vascolare viene detta circolo aperto e il 90% del sangue segue questo circolo.
Una parte dei capillari con guscio continua direttamente nei seni splenici (sinusoidi: circa il 10% del sangue viene
così drenato nella vena splenica da una circolazione chiusa (circolo chiuso), sfuggendo al controllo della polpa
rossa. Nel circolo aperto gli eritrociti sparsi nella trama reticolare dei cordoni splenici, per rientrare in circolo,
devono attraversare dall’esterno all’interno la parete dei seni splenici della polpa rossa. Questi sono rivestiti da
cellule endoteliali e continuano con le vene della polparossa, che a loro volta drenano nelle vene trabecolari e quindi
nella vena splenica che si scarica nella vena porta, pertanto il sangue refluo dalla milza giunge al fegato.

Le pareti dei seni splenici sono simili a botti: le cellule endoteliali, allungate, connesse tramite giunzioni
all’estremità e appoggiate su una membrana basale discontinua, corrispondono alle doghe; il vaso è tenuto insieme
da fibre reticolari avvolgenti, perpendicolari all’asse del seno splenico, che rappresentano i cerchi della botte.
Fasci di actina decorrono parallelamente all’asse maggiore della cellula, dotandola di capacità contrattile.

7. LEGAMENTI MILZA: DECORSO, CONTENUTO E RAPPORTI CON BORSA OMENTALE

La milza è completamente ricoperta dal peritoneo, che la abbandona lungo certe linee per portarsi allo stomaco, al
pancreas ed al diaframma, costituendo così tre legamenti che la rapportano con i rispettivi organi circostanti:

- Legamento gastro-lienale o gastro-splenico, teso dal labbro anteriore dell’ilo splenico al fondo
dello stomaco e si presenta come un setto verticale, diretto postero-anteriormente e
dall’esterno verso l’interno, che contiene nel suo spessore i vasi gastrici brevi, rami dell’arteria
splenica e affluenti della vena splenica;
- Legamento lieno-renale o pancreatico-lienale, che contiene nel suo spessore il peduncolo
vascolo-nervoso della milza, che va verso il tronco celiaco, e la coda del pancreas. Si estende
dal labbro posteriore dell’ilo splenico alla parete posteriore dell’addome. Il tratto compreso tra
l’ilo splenico e la coda del pancreas costituisce il foglietto anteriore del legamento pancreaticosplenico,
mentre il foglietto posteriore, dopo aver rivestito la faccia diaframmatica della milza si riflette
posteriormente andando a rivestire la parte della faccia anteriore del rene sinistro che prospetta sopra il
mesocolon trasverso, la faccia anteriore della ghiandola surrenale e il diaframma.

Dal passaggio del foglietto posteriore del legamento gastro-splenico al foglietto anteriore del legamento
pancreatico-splenico, si viene a formare il recesso splenico della cavità omentale, localizzato in corrispondenza del
margine sinistro della borsa omentale (o retrocavità degli epiploon).

- Legamento freno-lienale, una piega formata dalla parte superiore del legamento pancreatico-
splenico, che si porta dal polo superiore della milza e dal tratto superiore dell’ilo splenico al
diaframma;
- Legamento freno-colico (o sustentaculum lienis), che costituisce un’eccezione, in quanto non
si rapporta direttamente con la milza ma connette i pilastri costale del diaframma alla flessura
splenica (colica sinistra), contribuendo alla stabilizzazione della milza.

8. STRUTTURA MICROSCOPICA DEL LINFONODO

I linfonodi sono organi linfoidi secondari, a livello dei quali avviene l’incontro dei linfociti B e T maturi con i
rispettivi antigeni e la loro attivazione per scatenare la risposta immunitaria. Si tratta di piccoli organi (diametro da
2 mm a 1 cm circa) di forma ovoidale con una parte più schiacciata e rientrante, dove si forma l’ilo del linfonodo,
un ispessimento del connettivo in corrispondenza di una depressione della capsula. A livello di quest’ultimo entra
l’arteria ilare, ed escono la vena ilare ed il vaso linfatico efferente post-linfonodale.

Dal punto di vista strutturale, il linfonodo è un organo pieno delimitato da una sua capsula connettivale densa,
che riveste completamente l’organo e si porta verso l’interno con dei tralci di connettivo che vanno a formare lo
stroma. Sono presenti una serie di vasi afferenti (tra cui i vasi linfatici afferenti pre-linfonodali) che attraversano
la superficie della capsula e sboccano nel seno linfatico sottocapsulare, il quale crea uno stacco tra la capsula ed il
parenchima sottostante. Nello spazio compreso tra le trabecole capsulari, si ha la presenza di fibre reticolari, sottili
fibre di collagene III, IV, elastina e laminina, sintetizzate da fibroblasti reticolari (FRC) che si associano alle fibre
stesse formando l’impalcatura, ovvero lo stroma reticolare, in tutto il linfonodo.

Il parenchima linfonodale è organizzato in tre regioni, che dalla più esterna alla più interna sono:

1. zona corticale, nella quale si possono osservare i follicoli (o noduli) linfoidi costituiti da aggregati di piccoli
linfociti B naive, i quali possono essere attivati in seguito al contatto con un determinato antigene;
2. zona paracorticale, di difficile distinzione istologica dalle altre zone, contiene disperse le cellule del sistema
immunitario (macrofagi, cellule APC..) e in particolar modo i linfociti T.
3. zona midollare, la zona specifica in cui si raggruppano tutti i tipi di linfociti, tra cui plasmacellule, cellule
della memoria ma anche macrofagi. Tale zona è organizzata in cordoni midollari (CO) separati da ampi seni
linfatici midollari (SL); sono presenti trabecole di tipo connettivale in cui sono presenti le fibre reticolari.

Il linfonodo è inoltre caratterizzato dalla presenza di seni in cui si va a riversare la linfa, ossia vasi linfatici che si
formano dentro il linfonodo: trasportano la linfa all’interno dell’organo linfoide. Più vasi afferenti vasi linfatici
pre-linfonodali prendono rapporto con il linfonodo a livello della capsula, immettendosi nel linfonodo, dove la linfa
verrà poi elaborata, modificata ed emessa a livello dell’ilo mediante un unico vaso efferente.

9. MICROSCOPICA DELLA ZONA CORTICALE DEL LINFONODO

Il parenchima linfonodale è organizzato in tre regioni, che dalla più esterna alla più interna sono: zona corticale,
zona paracorticale e zona midollare.

Nella regione corticale del linfonodo si possono osservare i follicoli (o noduli) linfoidi costituiti da aggregati di
piccoli linfociti B naive, i quali possono essere attivati in seguito al contatto con un determinato antigene.

Strutturalmente si possono distinguere:

§ Follicoli primari: sono costituiti da linfociti B naive fortemente addensati. Hanno una colorazione uniforme
e intensa se colorati con ematossilina-eosina, che evidenzia il nucleo piccolo e la cromatina addensata (a volte
sono un po’ difficili da individuare nei tessuti). In seguito al contatto con l’antigene, i linfociti B attivati
inizieranno a duplicarsi e a maturare in plasmacellule e delle cellule della memoria;
§ Follicoli secondari, formati da:
Centro germinativo: è la zona centrale, costituita da elementi linfoidi più voluminosi, macrofagi, linfociti
T CD4+ e cellule follicolari dendritiche; Le cellule attivate nel centro germinativo sono centroblasti (che
occupano la zona scura del centro germinativo, caratterizzata da un’elevata concentrazione di nuclei), che
maturano in centrociti (che occupano la zona chiara del centro germinativo) che poi formeranno le
plasmacellule. Dal centro germinativo queste cellule (tra cui anche le cellule della memoria) si spostano
verso la parte periferica del mantello.
Zona mantellare: involucro di piccoli linfociti B naive che circonda il centro germinativo. Tali linfociti
non sono stabili, ma ricircolano attivamente.

A livello del centro germinativo si avranno, quindi, cellule attivate con cromatina dispersa, che conferisce loro una
colorazione più chiara rispetto alla zona mantellare, in cui sono presenti invece cellule non ancora attivate e con
cromatina addensata.

Le cellule dendritiche follicolari (Follicular Dendritic Cell, FDC) presentano numerosi dendriti che si uniscono a
quelli delle cellule vicine mediante desmosomi formando un reticolo particolarmente sviluppato a livello della zona
chiara; sulla loro superficie sono presenti degli immunocomplessi formati da antigene, anticorpo e complemento e
hanno, pertanto, un ruolo importante nell’attivare la proliferazione dei linfociti B, nel permettere la differenziazioni
nei centri germinativi, nel stimolare le cellule della memoria.

10. GENERALITÀ SUL SISTEMA LINFATICO

Il sistema linfatico è, insieme a quello sanguifero, uno dei due sistemi circolatori del nostro organismo, ma si
differenzia da esso in quanto privo di pompa e composto da vasi a fondo cieco che originano nell’ambiente
interstiziale in periferia.
Da qui, unidirezionalmente, la linfa scorre nei vasi fino ad essere reimmessa nella circolazione sanguigna a livello
dell’angolo venoso, ovvero alla confluenza tra vene succlavia e giugulare interna.

Il sistema linfatico è costituito principalmente dai vasi linfatici e dagli organi linfoidi (distinti in primari: timo e
midollo osseo rosso, e secondari: milza e linfonodi); si considerano appartenenti al sistema linfatico anche:

• Gli aggregati linfoidi (come le adenoidi o le tonsille tubariche che si trovano in prossimità del
collegamento tra orecchio medio e faringe). Queste non possono essere considerate organi veri e propri
poiché non presentano strutture specifiche che le separino interamente dall’ambiente circostante; nelle
tonsille, ad esempio, una porzione risulta essere avvolta da una capsula mentre la restante parte è immersa
nella mucosa di rivestimento della cavità orale;
• Il tessuto linfatico associato ai diversi organi (nell’intestino, ad esempio), ovvero delle aree ben
delimitate in cui si ha un’elevata concentrazione di tessuto linfoide e linfociti; anche queste, però, non sono
separate dai tessuti circonstanti e, quindi, non possono essere definite organi veri e propri.

I vasi formano una rete che si estende in tutti i distretti corporei e trasportano un liquido proveniente dal sistema
interstiziale che circonda i capillari (sanguigni e linfatici) e che a sua volta deriva dalla filtrazione del plasma
sanguigno; tale liquido, una volta entrato nei vasi linfatici, prende il nome di linfa. Essa si compone, quindi, di
acqua, sali minerali, proteine, prodotti del catabolismo, ormoni e cellule (sia immunitarie che provenienti da
particolari distretti).

Le principali funzioni che svolge il sistema linfatico sono:

• Funzione di drenaggio: il linfatico è responsabile del riassorbimento dei liquidi che si formano
nell’ambiente interstiziale;
• Funzione di difesa: gli organi linfoidi sono le strutture in cui sono prodotte, mantenute e distribuite le
cellule immunocompetenti del sistema immunitario.
• Metabolismo dei lipidi: trasporta i chilomicroni prodotti dagli enterociti al circolo sanguigno.

A livello tissutale, dalla filtrazione del plasma si riversano nell’ambiente interstiziale i vari nutrienti per gli scambi
gassosi e tutte quelle sostanze che possono essere utilizzati dalle cellule per sopravvivere e svolgere le loro funzioni.
In seguito, tutto ciò che non è stato utilizzato dalle cellule e i prodotti del catabolismo delle stesse vengono rimossi
sia dalla circolazione venosa che da quella linfatica; nel dettaglio si è calcolato che l’85% di ciò che rimane a
livello interstiziale è riassorbito dai capillari sanguigni, mentre del restante 15% si fa carico la circolazione
linfatica, che assorbe questa percentuale a livello dei capillari linfatici che via via confluiscono in vasi sempre più
grandi, fino a immettersi nella circolazione venosa.

Durante il suo percorso la linfa che scorre in vasi afferenti passa attraverso i linfonodi, e da quest’ultimo si diparte
un unico vaso linfatico efferente che continua il processo di trasporto della linfa dalla periferia al centro. Va
sottolineato, inoltre, come la linfa che esce dal linfonodo può avere una composizione diversa da quella portata dai
vasi afferenti, proprio perché, all’interno del linfonodo, essa viene filtrata e si possono avviare delle risposte
immunitarie con attivazione delle cellule immunocompetenti.

11. VIE LINFATICHE

Il sistema linfatico si compone di una ricca rete di vasi che si distinguono, in ordine di calibro crescente, in:

- Vasi capillari;
- Vasi pre-collettori;
- Vasi collettori, che si dividono a loro volta in vasi pre-linfonodali e post-linfonodali. Questi
rispettivamente entrano ed escono dai linfonodi;
- Tronchi linfatici;
- Dotti linfatici.

In generale, il calibro di questi vasi non è mai elevato e raggiunge al massimo le dimensioni delle vene di medio
calibro.
I vasi possono anche essere distinti da un punto di vista funzionale: i capillari sono vasi di assorbimento e sono gli
unici in grado di drenare il liquido interstiziale; gli altri tipi sono, invece, vasi di conduzione e hanno la funzione
di trasportare la linfa. Inoltre, i tronchi e i dotti non incontrano linfonodi lungo il loro percorso. Soltanto a livello
dei vasi pre-collettori è rilevabile anche una minima funzione di assorbimento del liquido interstiziale, che rimane
comunque da considerarsi come una prerogativa dei capillari.

I capillari originano a fondo cieco a livello dei tessuti periferici, dove le cellule vanno a disporsi creando uno spazio
chiuso, adatto ad accogliere lo spazio interstiziale. I vasi capillari, tuttavia NON sono condotti passivi, ma
producono anche dei fattori che hanno varie funzioni:

- VEGF-3 e VEGF-Cà regolano processi infiammatori;


- Chemochina CCL21à reclutano cellule CCR7 positive;
- Fattore di trascrizione PROX1à regolano il differenziamento dei vasi linfatici;
- LYVE-1 e plodoplanina à funzionano da marcatori specifici dei vasi linfatici.

I vasi pre-collettori sono formati da uno strato continuo di cellule endoteliali che poggiano sulla membrana basale;
sono dotati di rare valvole semilunari, che impediscono l’inversione di flusso della linfa. I vasi pre-collettori
confluiscono tra loro a formare i collettori pre-linfonodali.

I vasi collettori sono caratterizzati dalle tre tonache-intima, media e avventizia-tipiche delle piccole vene con lume
ampio. La presenza più numerosa di valvole crea lungo i collettori pre e post-linfonodali delle regioni definite
linfangioni, tratti di vaso delimitati da due valvole che permettono il riempimento e il passaggio graduale di linfa
attraverso gli stessi; la contrazione di ciascun linfangione, determina la propulsione della linfa.

I tronchi sono dei vasi la cui caratteristica principale è l’assenza di linfonodi lungo il loro decorso. Da un punto di
vista strutturale, essi si compongono di 3 tonache-intima, media e avventizia. I tronchi linfatici principali sono:

- Tronco lombare;
- Tronco intestinale;
- Tronco giugulare;
- Tronco succlavio;
- Tronco broncomediastinico.

I dotti linfatici sono, invece, i vasi più grandi che si immettono nella circolazione venosa. Essi sono:

- Dotto toracico: raccoglie la linfa di tutta la regione sottodiaframmatica. È la principale via di scarico
della linfa nel nostro corpo ed ha una lunghezza di circa 45 cm;
- Dotto linfatico destro: ha dimensioni minori (10-12 mm) e raccoglie la linfa dalla metà destra del corpo
superiore al diaframma, ovvero l’arto superiore destro e la metà superiore di testa e collo.

12. DOTTO TORACICO: ORIGINE, DECORSO, TERMINAZIONE, RAPPORTI

Il dotto toracico raccoglie la linfa di tutta la regione sottodiaframmatica. È la principale via di scarico della linfa
nel nostro corpo ed ha una lunghezza di circa 45 cm; si origina al di sotto del diaframma, a livello di L2, dalla
confluenza dei tronchi linfatici intestinale, lombare destro e lombare sinistro. In una minoranza di soggetti, in
prossimità della sua origine, è presente un’area slargata definita cisterna del chilo o del Pequet.

Nell’addome decorre antero-lateralmente alla colonna vertebrale (in particolare, alle vertebre lombari e alle ultime
toraciche), a ridosso del legamento longitudinale anteriore, e posteriormente a destra dell’aorta addominale.

Il dotto passa poi nella regione toracica attraverso lo iato aortico del diaframma, dove decorre nel mediastino
posteriore, dapprima al davanti dei corpi vertebrali tra l’aorta toracica (a sinistra) e la vena azigos (a destra) e
posteriormente all’esofago, poi (T5) si fa gradatamente obliquo verso l’alto e a sinistra e contrae rapporto:

- Anteriormente con l’ilo del polmone sinistro, con la parete posteriore dell’aorta e con l’origine
dell’arteria succlavia sinistra;
- Lateralmente con la pleura mediastinica (a sinistra) e con l’esofago (a destra).
Alla base del collo, supera l’apertura toracica superiore e a livello di C7 si inflette in avanti e verso sinistra
passando ad arco sopra la cupola pleurica sinistra e superiormente all’arteria succlavia sinistra fino all’angolo
venoso, dove si immette.

Durante il suo decorso, il dotto toracico riceve vasi tributari o afferenti: nella regione toracica riceve la linfa da vasi
bilaterali, i quali provengono dai linfonodi del 6° e 7° spazi intercostali inferiori, e da tronchi linfatici discendenti,
i quali prima di immettersi scendono dalla regione toracica superando il diaframma.

Il dotto riceve anche la linfa del tronco broncomediastinico e, in prossimità dell’angolo venoso, dai tronchi
succlavio e giugulare.

Nel caso del dotto toracico possono esistere delle varianti: il tronco broncomedistinico può, ad esempio, immettersi
nella circolazione venosa in modo indipendente; in prossimità dello sbocco possono crearsi due (o più) distinti vasi
che si immettono separatamente nella circolazione venosa; il dotto toracico può passare davanti alla vena giugulare
prima di immettersi nell’angolo venoso (e non girarci all’indietro); nel suo tratto toracico, possono crearsi per
separazione due distinti dotti che si riuniscono prima di confluire congiuntamente nell’angolo venoso.

13. LINFONODO DI CLOQUET

Si tratta di un linfonodo inguinale profondo, localizzato superiormente rispetto agli altri.

I linfonodi inguinali profondi sono in numero (1 – 3) e si trovano all’interno del triangolo femorale, sotto la fascia
cribrosa, una porzione della fascia lata perforata da numerosi fori di cui il più importante è lo iato safeno, che dà
passaggio alla vena safena, e medialmente alla vena femorale.

Il più importante di questi linfonodi è il linfonodo superiore (o di Cloquet), il quale si trova nella lacuna dei vasi
(nell’anello femorale) e drena la linfa proveniente dai vasi linfatici che decorrono lungo i vasi femorali per poi
scaricarla ai linfonodi iliaci esterni. Viene identificato come il linfonodo terminale sia del drenaggio superficiale
che di quello profondo.

14. LINFOCENTRO ASCELLARE

Il linfocentro ascellare è responsabile della maggior parte del drenaggio dell’arto superiore. Per una minor parte,
invece, il drenaggio è affidato ad altri linfonodi minori, distribuiti lungo il decorso dei collettori che dalla mano,
dall’avambraccio e dal braccio, raggiungono i linfonodi ascellari. Esso consiste in un insieme di cinque
raggruppamenti linfonodali, i quali convergono verso l’apice della piramide ascellare quadrangolare (il cui apice
è limitato dalla prima costa medialmente, dalla clavicola antero - superiormente e dal muscolo sottoscapolare
posteriormente. La parete anteriore è costituita dai muscoli grande e piccolo pettorale e dalle rispettive fasce; quella
posteriore dalla faccia anteriore del muscolo sottoscapolare, dal muscolo grande rotondo e dal muscolo grande dorsale.
La parete mediale è costituita dalla parete toracica laterale rivestita dal muscolo dentato anteriore.)

I cinque gruppi componenti il linfocentro ascellare sono:

1) Gruppo brachiale o laterale: è un insieme di vasi linfatici e linfonodi (4 – 7), in rapporto con la vena
ascellare, che ricevono la linfa dai collettori linfatici dell’arto superiore e la scaricano mediante i dotti
efferenti ai linfonodi dei gruppi centrale ed apicale;
2) Gruppo toracico o pettorale, è un insieme di vasi linfatici e linfonodi (3 – 6) distribuiti dal secondo al sesto
spazio intercostale, tra i muscoli dentato anteriore e grande pettorale e lungo il decorso dell’arteria toracica
laterale. Drenano la linfa dalla parete antero-laterale del torace e dell’addome (a livello sopraombelicale) e
dalla mammella e la riversano ai linfonodi dei gruppi centrale ed apicale;
3) Gruppo posteriore o sottoscapolare, è un insieme di vasi linfatici e linfonodi (2 – 6) in prossimità del
muscolo sottoscapolare e satelliti dell’arteria sottoscapolare. Drenano la linfa dalle regioni posteriori della
parete toracica, dalla regione scapolare e postero-inferiore del collo;
4) Gruppo centrale: è un insieme di vasi linfatici e linfonodi (3 – 5) in una posizione della regione ascellare
ricca di tessuto adiposo, è il gruppo intermedio prima del gruppo apicale;
5) Gruppo apicale o sottoclavicolare: è un insieme di vasi linfatici e linfonodi (6 – 12) nella parte superiore
dell’ascella, dietro al piccolo pettorale e medialmente alla vena ascellare.
15. LINFONODO SENTINELLA

Le catene linfatiche hanno nomi che richiamano l’organo o la parte anatomica a cui sono associati, ovvero il loro
territorio di drenaggio. In generale, la linfa procede lungo la catena linfatica passando, prima di tutto, attraverso il
cosiddetto linfonodo primario o sentinella, il linfonodo più vicino al territorio di drenaggio.

Il linfonodo sentinella è considerato un elemento predittivo dello stato patologico linfonodale, in quanto il primo
linfonodo a ricevere la linfa direttamente dall'area tumorale, la cui biopsia è una valida alternativa alla dissezione
completa del cavo ascellare nel cancro mammario infiltrante al I° e II° stadio. Questo concetto ha acquisito
importanza in seguito ai primi studi sul modo con cui le cellule cancerose vengono trasferite dalla zona di origine
attraverso la circolazione linfatica per essere poi immesse in circolo. (il numero di cellule metastatiche in circolo e
stazionanti nei linfonodi è infatti proporzionale allo stato di espansione del tumore).

La biopsia del linfonodo sentinella prevede:

1. Iniezione di un colloide radiomarcato in prossimità dell'area malata, che passa lentamente in corrispondenza
dei linfonodi del cavo ascellare, attraverso una sonda per chirurgia radioguidata.
2. Individuazione della zona in cui viene emesso un segnale particolare di radioattività, ovvero il primo linfonodo
intorno all'area neoplastica e, per definizione, il linfonodo sentinella;
3. Asportazione ed indagine istologica del linfonodo, per verficare al suo interno l'eventuale presenza di possibili
focolai tumorali metastatici. Da qui:
a. Il test è positivo: significa che le cellule tumorali sono già entrate in circolo e si si procede con l’esame
di altri linfonodi vicini per capire il livello di stadiazione. A seconda del grado di diffusione, cambia la
tipologia di intervento chirugico.
b. Il test è negativo: verosimilmente, l'area neoplastica è già circoscritta e quindi l'asportazione del tessuto
tumorale si limita a questa.

La scoperta della possibilità dello studio del linfonodo sentinella è diventata importante per riuscire a limitare la
chirurgia in caso soprattutto di tumori alla mammella, in quanto tempo fa si andava a rimuovere in ogni caso gran
parte del linfocentro ascellare; oggi invece si interviene in maniera specifica e, grazie alla prevenzione, in tempi
molto precoci.

16. DESCRIVERE SCHEMATICAMENTE IL DRENAGGIO DELLA MAMMELLA

Nella ghiandola mammaria si crea una ricca rete di vasi linfatici intorno all'area del capezzolo, che drenano la
linfa principalmente in direzione dei gruppi linfonodali pettorali del linfocentro ascellare. (un insieme di vasi
linfatici e linfonodi (3 – 6) distribuiti dal secondo al sesto spazio intercostale, tra i muscoli dentato anteriore e grande
pettorale e lungo il decorso dell’arteria toracica laterale).

In un importante studio realizzato sulla circolazione linfatica nella ghiandola mammaria per l'analisi di tumori di
quest'area, si è visto che:

o il 75% del drenaggio linfatico della ghiandola mammaria [in particolare, i vasi che si originano da una
rete perilobulare e dalla parete dei dotti galattofori, in comunicazione con la rete subareolare cutanea intorno
al capezzolo] segue la via dei vasi linfatici dal gruppo pettorale verso il gruppo centrale e, quindi, verso
il gruppo apicale;
o mentre un 25% si porta, attraverso dei linfonodi che si trovano nella parte profonda della ghiandola [e
che provengono dai lobuli della ghiandola stessa], o direttamente verso i linfonodi apicali o verso i
linfonodi sternali e parasternali.

È possibile, inoltre, individuare una via di drenaggio linfatico retrosternale verso i linfonodi parasternali
controlaterali ed è emerso anche come una parte di questa linfa venga trasportata nella ghiandola mammaria
controlaterale.

17. LINFONODI CERVICALI

I linfonodi cervicali fanno parte dei linfonodi della testa e del collo e si possono suddividere in:
§ LINFONODI SUPERFICIALI, tra cui sono presenti:
I linfonodi superficiali anteriori, i quali risiedono nei pressi della vena giugulare anteriore e che
raccolgono la linfa proveniente dalle regioni superficiali della regione anteriore del collo.
I linfonodi superficiali latero-posteriori che raccolgono la linfa in arrivo dalle regioni più superficiali
della porzione latero-posteriore del collo.
§ LINFONODI PROFONDI, che si dividono, invece, in:
Linfonodi cervicali profondi anteriori, organizzati in: infraioidei, tiroidei, pretracheali,
paratracheali e retrofaringei.
Linfonodi cervicali profondi superiori, a cui appartengono: linfonodo giugulo-digastrico, giugulo-
laterale e giugulo-anteriore.
Linfonodi cervicali profondi inferiori, tra cui si distinguono il linfonodo giugulo-omoioideo e
linfonodo sopraclavicolare.

18. RAGGRUPPAMENTO LINFONODI LOMBO-AORTICI E VIE DI DRENAGGIO

I linfonodi lombo-aortici sono da 20 a 30, di vario volume, rientrano tra i linfonodi dell'addome e della pelvi ed
entrano nella costituzione del plesso lomboaortico, le cui catene vengono descritte in base ai loro rapporti con
l’aorta. Vi appartengono:

1. I linfonodi aortici laterali o paraortici, che, in virtù del loro stretto rapporto con la vena cava inferiore,
vengono anche detti cavali; appartengono a catene linfatiche che viaggiano lateralmente all’aorta. La linfa
drenata lungo le catene linfatiche laterali proviene dagli organi pari della cavità addominopelvica; le catene
linfatiche laterali drenano dunque la linfa proveniente da: rene, surreni, porzione addominale dell’uretere,
parete addominale posteriore, testicoli, ovaio, tube uterine, dal fondo e dalla parte superiore del corpo
dell’utero.
2. I linfonodi preaortici, che appartengono ad una catena linfatica che si dispone e viaggia anteriormente
all’aorta; ricevono la linfa da diversi distretti corporei dell’apparato digerente e si suddividono a loro volta
in: mesenterici superiori, inferiori e celiaci. La linfa scorre in tale catena dal basso verso l’alto,
incontrando vari linfonodi per giungere infine al gruppo linfonodale terminale, celiaco, che drena,
direttamente o indirettamente, tutta la linfa del tratto digerente sottodiaframmatico, della milza, del
pancreas e del fegato a livello del tronco linfatico intestinale e, quindi, nel dotto toracico.
3. Alcuni testi nominano anche la presenza dei linfonodi retroaortici: c’è chi però li considera di derivazione
dei linfonodi laterali.

19. LINFONODI INGUINALI E TERRITORI DI DRENAGGIO

A livello dell’arto inferiore, come a livello della parete addominale, possono essere individuate una circolazione
linfatica superficiale e una circolazione linfatica profonda.

- I vasi linfatici superficiali sono localizzati a livello sottocutaneo, al di sotto della circolazione venosa
superficiale; drenano la linfa superficiale e la convogliano verso catene linfatiche costituite dai linfonodi
inguinali superficiali; questi si presentano in numero maggiore rispetto a quelli profondi, sono
localizzati nel triangolo femorale e sono organizzati in gruppi o catene, inoltre, sono responsabili del
drenaggio della maggior parte della linfa proveniente dall’arto inferiore, oltre che del drenaggio di parte
della linfa della parete addominale.

- I vasi linfatici profondi dell’arto si trovano in profondità, a livello dei muscoli e dei vasi sanguigni di
cui sono satelliti; fanno capo ai collettori poplitei e femorali e scaricano la linfa nei linfonodi inguinali
profondi. Questi sono localizzati nel triangolo femorale sotto la fascia cribrosa. La parte più profonda
dell’arto (ossa, articolazioni, muscoli) presenta vasi linfatici che seguono il decorso dei vasi sanguigni
più profondi; essi convogliano la linfa proprio verso i linfonodi inguinali profondi.
DOMANDE SULL’APPARATO RESPIRATORIO
1) MICROSCOPICA DELLE CAVITÀ NASALI

Nelle cavità nasali si possono distinguere tre porzioni:

a. Il vestibolo nasale, situato anteriormente, rappresenta l’ingresso alle cavità nasali; è situato all’interno delle
narici ed è rivestito dalla cute più spessa congiunta allo scheletro cartilagineo da uno strato di connettivo
elastico.
b. La porzione respiratoria, separata dal vestibolo dal limen nasi, ricopre i rilievi ossei della parete nasale laterale
ed è costituita da:
§ La tonaca mucosa della porzione respiratoria si compone di un epitelio cilindrico pseudo stratificato
ciliato, dotato di cellule caliciformi mucipare e da piccole ghiandole nasali, tubulo-acinose ramificate di
tipo misto, il cui secreto ha azione antibatterica, nel cui spessore si trovano, inoltre, vene che formano dei
plessi cavernosi. La mucosa respiratoria è rivestita da un epitelio vibratile bistratificato, le cui ciglia si
muovono nella direzione della faringe distribuendo sulla superficie della mucosa il muco prodotto da cellule
caliciformi e dalle ghiandole nasali.
§ La lamina propria di tessuto connettivo povero di fibre elastiche, ma ricca di strutture linfonodali.
c. La porzione olfattoria, limitata alla volta delle cavità nasali, sulla lamina cribrosa dell’etmoide, la cui mucosa
è costituita dall’epitelio cilindrico pseudostratificato formato da:
o Cellule olfattive o neuroni sensoriali olfattivi, costituite da un corpo, situato nello spessore dell’epitelio, un
prolungamento esterno che si porta sulla superficie dell’epitelio dove si dilata nel bulbo dendritico, la
struttura che di fatto percepisce gli stimoli olfattivi) ed un assone si continua nei filamenti del nervo
olfattivo;
o Cellule epiteliali di sostegno;
o Cellule basali, che avvolgono gli assoni delle cellule olfattive.

La mucosa olfattoria poggia sulla lamina propria accoglie il tessuto linfoide associato al naso, i filamenti olfattivi
e le ghiandole olfattive o di Bowman, tubulo-acinose semplici a secrezione mista il cui secreto contiene sia il muco
antibatterico col lisozima, sia le odorant binding proteins, che si lega ai recettori sulle ciglia olfattive stimolandoli.

2) MEMBRANE LARINGEE: MEMBRANA QUADRANGOLARE E CONO ELASTICO

La laringe è un condotto impari 4cmx4cm (forma assimilabile ad un tronco di piramide con base maggiore rivolta
superiormente in rapporto con l’osso ioide e base minore in continuità con la trachea) situato in posizione anteriore,
superficiale e mediale nel collo, rappresentante l’ultimo tratto delle vie aeree superiori; è formata da un complesso
di cartilagini articolate tra loro (rinforzate da legamenti intrinseci ed estrinseci ed unite tra loro dai muscoli laringei
che ne controllano i movimenti funzionali alla respirazione e alla fonazione) che ne costituisce lo scheletro
strutturale, e da una serie di membrane elastiche, estese tra i margini delle cartilagini laringee.

Le membrane fibroelastiche si estendono al di sotto della tonaca mucosa e delimitano la cavità laringea. In dettaglio:

I. la membrana quadrangolare, meno sviluppata, delimita il segmento superiore della cavità laringea, detto
vestibolo e si configura come un’apia struttura bidimensionale che presenta quattro margini:

1. margine anteriore, il più esteso, che si inserisce a livello del margine laterale della cartilagine epiglottide;
2. margine posteriore si inserisce in corrispondenza della faccia anteromediale dell’aritenoide e in
corrispondenza della cartilagine corniculata;
3. margine inferiore è pressochè libero, e corrisponde al legamento vestibolare;
4. margine superiore è libero e presenta un rivestimento mucoso a livello dell’adito laringeo, che corrisponde
alla piega ariepiglottica, estesa dall’aritenoide all’epiglottide.

II. il cono elastico, la membrana più sviluppata e più ricca in fibre elastiche che delimita il segmento inferiore
della cavità laringea. Esso origina in corrispondenza della superficie interna del margine superiore della
cartilagine cricoidea per continuare fino alla plica vocale, dove forma con la sua estremità superiore ispessita,
su entrambi i lati, un legamento vocale, teso tra l’apice del processo vocale dell’aritenoide e l’angolo posteriore
della cartilagine tiroidea. La porzione anteriore del cono elastico è robusta e forma il legamento crico-tiroideo
mediano situato tra le corrispettive cartilagini.

La porzione intermedia tra le due membrane, infine, prende nome di segmento medio della cavità laringea e si
estende dalle corde vocali false – il cui asse centrale è il legamento vestibolare – alle corde vocali vere – il cui asse
è dato dai legamenti vocali.

3) MICROSCOPICA DELLA LARINGE

La tonaca mucosa della laringe è costituita da un epitelio di rivestimento di tipo respiratorio, cilindrico pseudo
stratificato ciliato, dotato di cellule caliciformi mucipare e di una lamina propria ricca di fibre elastiche e di strutture
linfonodali, che in prossimità del ventricolo si organizzano in tonsilla laringea. Il rivestimento dell’epiglottide e
delle corde vocali vere è caratterizzato da un epitelio di tipo pavimentoso composto, più adatto a supportare le
sollecitazioni meccaniche, di colore madreperlaceo, termine di distinzione dalle corde vocali false.

4) MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELLA FARINGE

La faringe è una struttura cava (canale) muscolo-membranosa, lunga 12-15 cm, che si inserisce alla base del cranio
e continua a livello della cartilagine cricoidea (laringea) nell’esofago; essa è localizzata a metà tra gli apparati
respiratorio e digerente, attraverso cui transitano l’aria – durante l’inspirazione e l’espirazione – e il bolo alimentare
durante la deglutizione. In rapporto alle strutture rispetto alle quali si colloca posteriormente, la faringe viene
suddivisa in senso cranio-caudale, in tre porzioni:

1. Rinofaringe (o epilaringe), porzione nasofaringea collegata con le cavità nasali attraverso le coane nasali;
2. Orofaringe (o mesolaringe), porzione orofaringea, dove si intersecano le vie respiratoria e alimentare, che
comunica con la cavità orale attraverso l’istmo delle fauci;
3. Laringofaringe (o ipolaringe), porzione laringofaringea che si apre nella laringe mediante l’adito laringeo.

RAPPORTI: La parete anteriore della faringe è discontinua a causa della presenza delle comunicazioni con le
strutture citate precedentemente, mentre quella posteriore è continua ed è in stretto rapporto con il piano vertebrale;
in particolare, contatta la fascia cervicale profonda, dalla quale è separata tramite uno spazio retrofaringeo virtuale,
riempito di tessuto adiposo.

Tra la parete laterale nella sua porzione craniale e la faccia mediale della mandibola, si individuano gli spazi
faringomandibolari occupati da muscoli stiliani, pterigoidei interni e il ventre posteriore del digastrico; qui decorre
anche il fascio vascolo-nervoso del collo ed il rapporto topografico laterale è dato dai nervi glossofaringei, vaghi,
accessori, ipoglossi e dalla catena dell’ortosimpatico, con il ganglio cervicale superiore.

L’organizzazione strutturale della faringe prevede, come struttura più interna, uno strato di tonaca mucosa, mentre
manca dello strato sottomucoso, scarsamente rappresentato e confinato in specifiche porzioni del viscere. Più
esternamente, la fascia faringobasilare separa gli strati più interni da uno strato muscolare esterno costituito in
parte dai muscoli costrittori della faringe, a loro volta ricoperti esternamente dalla fascia faringo-buccale,
costituente la tonaca avventizia.

La composizione microscopica della tonaca mucosa varia in base alla porzione faringea considerata:

- Nella rinofaringe si trova un epitelio vibratile di tipo respiratorio (colonnare/cilindrico pseudo


stratificato ciliato con cellule caliciformi mucipare) con una lamina propria che accoglie a livello
dell’orifizio faringeo e della volta, rispettivamente, le tonsille tubarica e faringea (adenoide) che rientrano
nel contesto dell’anello linfatico di Waldeyer.
- Nell’orofaringe e nell’ipofaringe si trova un epitelio analogo a quello della cavità orale e dell’esofago
(pavimentoso, stratificato e non cheratinizzato), nel cui spessore si trovano gli adenomeri delle
ghiandole faringee tubulo-acinose secernenti la saliva lubrificante.

Lo strato connettivo sotto-epiteliale è ricco di fibre elastiche e permette la dilatazione reversibile della parete
faringea.
La mucosa faringea è caratterizzata da diversi rilievi:

- La rinofaringe è caratterizzata principalmente dagli orifizi faringei delle tube uditive, di forma triangolare
con un labbro posteriore particolarmente rilevato per la presenza della componente cartilaginea, chiamata
torus tubaris (o protuberanza della tuba). Tale rilievo si estende verso il basso nella piega salpingofaringea,
più rilevata, nel cui spessore si trova l’omonimo muscolo, e in avanti nella piega salpingo-palatina, meno
rilevata in quanto costituita esclusivamente da tonaca mucosa. Inferiormente all’orifizio si trova un altro
rilievo importante dato dalla protuberanza del muscolo elevatore del velo palatino.
- L’orofaringe è delimitata anteriormente dal pavimento della lingua e lateralmente dagli archi palatini e
dalla fossetta tonsillare, cioè dalle strutture dell’istmo delle fauci.
- L’ipofaringe presenta su entrambi i lati della laringe un solco, detto recesso piriforme.

5) MUSCOLI COSTRITTORI DELLA FARINGE

La tonaca muscolare della parte faringea è costituita dalla muscolatura striata che comprende i muscoli costrittori
ed elevatori della faringe, tutti innervati dal plesso faringeo, nella cui composizione rientrano i nervi glossofaringeo,
vago, accessorio e rami del ganglio cervicale superiore.

I muscoli costrittori della faringe sono tre (superiore, intermedio e inferiore) la cui disposizione anatomica è tale da
permettere di avere più origini anteriori da cui i fasci muscolari, con un decorso più o meno curvilineo, si portano
posteriormente ed in alto per confluire sulla linea mediana in un’unica solida struttura connettivale, il rafe faringeo,
inserito sul tubercolo faringeo della superficie esterna dell’osso occipitale mediante una robusta membrana
connettivale, la membrana faringo-basilare. La disposizione delle fibre muscolari ha una ripercussione funzionale
in quanto garantisce un miglior coordinamento meccanico tra le varie componenti.

Il muscolo costrittore superiore, come suggerisce il nome, costringe la epifaringe, ed eleva la parte posteriore
della stessa, generando un’onda peristaltica che porta inferiormente il bolo alimentare, collaborando, pertanto, nella
deglutizione. Esso si divide in quattro componenti, in base alle diverse origini che ciascuna di esse presenta:

a. Componente pterigo-faringea: dalla parte più caudale del margine posteriore della lamina mediale del
processo pterigoideo fino all’uncino;
b. Componente bucco-faringea (più estesa): dal rafe pterigo-mandibolare;
c. Componente milo-faringea: dalla linea mieloidea della mandibola;
d. Componente glossofaringea: dalla radice della lingua, attraversa il m. genioglosso.

Il costrittore medio della faringe costringe l’orofaringe ed è costituito da due componenti, non sempre nettamente
distinguibili:

a. Componente condro-faringea, più craniale, che origina dal piccolo corno dell’osso ioide e dalla porzione
inferiore del legamento stiloioideo.
b. Componente cerato-faringea, più caudale, che origina dalla superficie superiore del grande corno dell’osso
ioide.

Il costrittore inferiore costringe la laringofaringe ed eleva la laringe ed anch’esso è costituito da due componenti,
questa volta ben separate tra loro, tanto da essere definiti talvolta due muscoli a sé stanti:

a. Componente tiro-faringea: maggioritaria ad estensione muscolare, origina dalla linea obliqua della
cartilagine tiroidea e, più inferiormente, anche da un arco fibroso che passa al di sopra del muscolo
cricotiroideo (intrinseco della laringe);
b. Componente crico-faringea: origina dal versante laterale della cartilagine cricoidea, dalla quale i fasci in
modo più o meno orizzontale arrivano fino al rafe.

I muscoli elevatori della faringe, a differenza dei costrittori, sono meno sviluppati e vi appartengono i mm.
stilofaringeo, palatofaringeo e salpingofaringeo.
6) TONSILLA FARINGEA

La tonsilla faringea (o adenoide) è un aggregato linfoide che sporge nella volta della faringe, posteriormente alle
coane nasali, inferiormente al corpo dello sfenoide e alla porzione basilare dell’occipitale. Si tratta di un agglomerato
di tessuto linfatico disposto in follicoli secondari densamente stipati che si trovano immediatamente sotto l’epitelio,
la cui superficie risulta irregolare a causa delle introflessioni poco profonde (ad eccezione della borsa faringea,
situata più centralmente) nel caso della tonsilla faringea, cripte vere e proprie, per esempio, nel caso della tonsilla
palatina. Essendo parte della rinofaringe, è rivestita da un epitelio respiratorio colonnare pseudostratificato
ciliato contenente le cellule caliciformi mucipare, la cui lamina propria è caratterizzata dalla presenza dei follicoli
primari e secondari.

La tonsilla faringea può costituire un ostacolo alla funzione fisiologia della tuba uditiva, ostruendo direttamente la
tuba stessa a causa del suo volume o dell’eccessiva secrezione di muco, causando infezioni che possono trasmettersi
alla cavità del timpano, come otite media. Questo accade più spesso nei bambini, a causa della predisposizione
anatomica per cui il lume della rinofaringe risulta più ridotto, facendo sì che un’ipertrofia della tonsilla costituisca
un pericolo maggiore per l’ostruzione della tuba. Spesso la tonsilla tubarica viene considerata un prolungamento
della tonsilla faringea in corrispondenza dello sbocco interno della tuba uditiva.

7) MACROSCOPICA DELLA TRACHEA

La trachea è un condotto elastico (struttura tubulare cava) di lunghezza 10-12 cm che si estende dalla cartilagine
cricoidea della laringe, decorre dapprima nel collo e poi nella cavità toracica, portandosi progressivamente cranio-
caudalmente dall’avanti all’indietro e leggermente verso destra fino alla sua biforcazione (livello T4-T5) che dà
origine a un bronco principale destro ed un bronco principale sinistro. Sono presenti delle variazioni anatomiche nei
bambini e negli anziani, tali per cui la trachea si localizza, rispettivamente, in posizione più craniale e più caudale.

Il condotto presenta un diametro di 16-19 mm e si compone per un totale di 15-20 anelli cartilaginei ialini a forma
di ferro di cavallo, incompleti posteriormente, che rinforzano la parete anteriore e laterale e unite da legamenti
anulari. In corrispondenza della parete posteriore gli anelli sono completati da una parete membranacea contenente
muscolatura liscia.

La trachea è vascolarizzata da rami delle arterie tiroidee superiori ed inferiori, dai rami timici dell’a. toracica interna
e dai rami bronchiali destri dell’aorta toracica e drenata dalle vene esofagee e tiroidee inferiori.

8) PORZIONE CERVICALE DELLA TRACHEA

La trachea è un condotto elastico (struttura tubulare cava) di lunghezza 10-12 cm che si estende dalla cartilagine
cricoidea della laringe, decorre dapprima nel collo e poi nella cavità toracica, portandosi progressivamente cranio-
caudalmente dall’avanti all’indietro e leggermente verso destra fino alla sua biforcazione (livello T4-T5) che dà
origine a un bronco principale destro ed un bronco principale sinistro.

La porzione cervicale della trachea ha una lunghezza di circa 4 cm e corrisponde circa a 5-6 anelli.

- Anteriormente è a diretto contatto con l’istmo tiroideo, che ricopre i primi 3 anelli tracheali; i due lobi della
tiroide invece sono in rapporto antero-lateralmente con la laringe ma anche con la trachea. Sul versante più
inferiore, si trovano le vene tiroidee inferiori e una serie di linfonodi che accompagnano poi la trachea anche
nella porzione intratoracica fino ai bronchi. Subito superficialmente a queste strutture sono visibili le
estensioni cervicali del timo, individuabili nei bambini; ancora più superficialmente si trovano le strutture
muscolo-fasciali: i muscoli sotto-ioidei (in particolare solo gli sterno-ioidei e la porzione inferiore degli
sterno-tiroidei), avvolti dalla fascia cervicale media, e i muscoli sternocleidomastoidei, avvolti dalla fascia
cervicale superficiale.
- Lateralmente sono visibili i fasci vascolo-nervosi del collo (carotide interna, giugulare interna e il nervo vago)
- Posteriormente è in rapporto con l’esofago che, deviando verso sinistra, forma con la trachea un angolo diedro
in cui decorre il nervo laringeo ricorrente sinistro, mentre il destro tende a localizzarsi nella faccia posteriore
della trachea.
9) PORZIONE TORACICA DELLA TRACHEA

La porzione toracica della trachea è la porzione più lunga ed occupa il mediastino anteriore.

- Anteriormente prende rapporto con il tronco brachiocefalico venoso di sinistra che la incrocia nel suo decorso
obliquo, e con l’arteria anonima ma su un piano più profondo, a livello del quale è presente anche l’arco aortico
che, prima di raggiungere il piano vertebrale, è a diretto contatto con la faccia anterolaterale sinistra della trachea
(motivo per cui essa risulta in un decorso leggermente verso destra).
- Posteriormente la pars membranacea della trachea è in diretto rapporto con la faccia anteriore dell’esofago
connesse tra loro tramite i fascetti muscolari che costituiscono il muscolo tracheo-esofageo.
- Lateralmente è in rapporto con le pleure mediastiniche di destra e di sinistra. La parete laterale di destra è
costeggiata dalla vena cava superiore ed incrociata dalla vena azygos, e si trova in evidente rapporto col nervo
vago (X), mentre a sinistra questo rapporto viene meno per l’interposizione dell’arco aortico.

La biforcazione della trachea avviene all’incirca a livello delle vertebre T4-T5, a livello delle auricole e dei grandi
vasi del cuore: infero-anteriormente, a destra si colloca la biforcazione del tronco polmonare. In questa regione
attorno alla trachea si dispongono numerosi vasi del nervo vago e del tronco simpatico che costituiscono il plesso
polmonare, aldilà del quali si trovano i linfonodi tracheo-bronchiali inferiori.

10) MICROSCOPICA DELLA TRACHEA

La trachea e i bronchi principali possiedono una parete molto simile, costituita da seguenti strati:

a. la tonaca mucosa rivestita dall’epitelio respiratorio cilindrico pseudostratificato ciliato con vari tipi cellulari
intercalati (cellule caliciformi mucipare, cellule basali, cellule a spazzola, cellule appartenenti al sistema
neuroendocrino diffuso o di Kulchitsky) sostenuto da una lamina propria costituita dal connettivo lasso
molto vascolarizzato che diventa via via più denso.
b. al di sotto della lamina propria c’è uno strato di sottomucosa costituita da connettivo lasso con lobuli adiposi
e corpi di ghiandole tubulo-acinose composte miste che si riducono di numero nelle porzioni più inferiori
della trachea.
c. la tonaca fibromuscolocartilaginea formata:
- anteriormente e lateralmente dagli elementi di cartilagine ialina, il cui pericondrio è in continuità
con la sottomucosa; la cartilagine dei semianelli ha solitamente un’altezza di 4mm e uno spessore
di 1 mm, ad eccezione della prima più spessa e dell’ultima che ha la forma di uno sprone o carena);
- posteriormente da tessuto connettivo contenente fasci di muscolatura liscia trasversale (muscolo
tracheale), al di dietro dei quali si localizzano altri fasci che si uniscono a quelli della muscolatura
esofagea (muscolo tracheo-esofageo);
d. la tonaca avventizia fibroelastica che forma i legamenti anulari che mantengono uniti ciascun semianello
tracheale con l’altro.

11) RAPPORTI, MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DEI BRONCHI PRINCIPALI

La biforcazione della trachea (T4-T5) è leggermente spostata verso destra rispetto alla linea mediana e dà origina a:

§ Un bronco principale destro, più breve (2 cm) con un calibro maggiore (15 mm) e con l’angolo di
deviazione rispetto all’asse tracheale minore (20°); è in stretto rapporto con l’arteria e la vena bronchiale.
Quest’ultima sbocca nella vena azygos, da cui è sorpassato il bronco, che decorre prima posteriormente e
poi sopra il bronco, per sboccare a livello della VCS (che si trova anteriormente al bronco stesso);

§ Un bronco principale sinistro, più lungo (5 cm) con un calibro minore (11 mm) e con l’angolo di deviazione
rispetto all’asse tracheale maggiore (45°); in rapporto con le arterie e le vene bronchiali (che sboccano nella
emiazygos) e, posteriormente e superiormente, con l’aorta toracica.

I due bronchi arrivano agli ili polmonari accompagnati dalle rispettive arteria e vene polmonari. L’innervazione è a
carico dei plessi polmonari. In prossimità della biforcazione, i bronchi sono in rapporto con i linfonodi bronchiali,
mentre in prossimità dell’ilo con i linfonodi ilari.
La differenza in calibro tra i due bronchi è dovuta ai maggiori volume e capacità respiratoria del bronco di destra,
che risulta perciò maggiormente ventilato del bronco di sinistra.

La struttura della parete di un bronco primario (extrapolmonare) è simile a quella della trachea. {Dall’esterno verso
l’interno della parete bronchiale si riconoscono:

a. la tonaca fibromuscolocartilaginea, il cui scheletro è formato:


- in avanti piuttosto che semianelli distinti di cartilagine, da lamine appiattite interconnesse:
- all’indietro da una parete muscolare.
b. lo strato di sottomucosa, anche se con meno ghiandole sieromucose;
c. la tonaca mucosa:
- rivestita dall’epitelio respiratorio, sempre pseudostratificato, ma meno alto e in cui non tutte le
cellule raggiungono la superficie luminale, e con meno cellule mucipare caliciformi;
- con una lamina propria che contiene più elastina nei suoi strati superiori ed è separata dalla
sottomucosa da uno strato di muscolatura liscia che diviene prominente nei bronchi distali. }

12) ORIGINE, DECORSO E TERMINAZIONE DEI BRONCHI/BRONCHIOLI

I due bronchi principali destro e sinistro (extra polmonari) si dividono (in base al numero dei lobi polmonari
presenti) a destra in tre e a sinistra in due bronchi lobari (intrapolmonari) del diametro di 8-12 mm.

§ A destra il bronco lobare superiore si dirama dal bronco principale a 1-2,5 cm dalla biforcazione della
trachea, il bronco lobare medio e quello inferiore a circa 5 cm.
§ A sinistra il bronco principale si suddivide a circa 5 cm dalla biforcazione della trachea in bronco lobare
superiore e inferiore.

I bronchi lobari rappresentano delle entità anatomiche indipendenti, contrariamente ai segmenti bronco-polmonari
(o bronchi segmentali), 10 per polmone, che vengono considerati delle unità broncoarteriose, poiché al centro
di ogni segmento ogni bronco segmentale è accompagnato da un ramo dell’arteria polmonare, ma rimangono
comunque connessi per mezzo del connettivo interstiziale.

Ciascun segmento (0,7 cm di diametro) si divide ripetutamente dando luogo a bronchi medi e piccoli
intrasegmentali fino al bronco terminale (o lobulare) che fa capo ad un lobulo polmonare (subunità dei segmenti
polmonari). All’interno di ciascun lobulo polmonare, il bronco terminale dà origine al bronchiolo, detto anche
lobulare o intralobulare (0,5 mm di diametro).

All’interno di un lobulo polmonare il bronchiolo si suddivide altre 3-4 volte prima di dare i bronchioli terminali,
rami dal diametro di 0,2 mm in numero variabile di 3-5, ciascuno dei quali alimenta un acino polmonare (unità
funzionale polmonare principale) con ulteriori ramificazioni.

Ciascun bronchiolo terminale si divide, infine, in due bronchioli respiratori che si dividono a loro volta in due
dotti alveolari che terminano con dilatazioni a fondo cieco, definite sacchi alveolari e nelle cui pareti si trovano
gli alveoli polmonari che provvedono agli scambi gassosi.

L’insieme fino ai bronchioli terminali costituisce la parete intrapolmonare dell’albero bronchiale, mentre le
ramificazioni minori costituiscono il parenchima polmonare.

La ramificazione dei bronchi avviene secondo il seguente schema: i rami collaterali secondari si ramificano in
maniera monopodica fino ai bronchi terminali, si staccano, cioè, ad angolo acuto mentre il bronco principale
mantiene la propria individualità diminuendo di calibro. Dai bronchi terminali in poi subentra la ramificazione
dicotomica, ovvero i bronchi si sdoppiano in rami di calibro uguale ad angolo ottuso o retto.

13) MICROSCOPICA DEI BRONCHI INTRAPOLMONARI

Una volta che il bronco entra nei polmoni, si verificano alcuni importanti cambiamenti nella sua struttura:

1. La cartilagine di sostegno non forma più i semianelli ma si dispone in placche interconnesse;


2. La tonaca mucosa diventa gradualmente più sottile e l’altezza dell’epitelio diminuisce fino ai bronchi con
calibro inferiore a 2 mm, dove è presente un unico strato di cellule cilindriche ciliate e cellule mucipare
caliciformi intercalate.
3. La tonaca sottomucosa presenta ancora le ghiandole tubulo-acinose a secrezione mista;
4. La muscolatura liscia, invece di essere limitata alla parete posteriore, circonda l’intera sezione
bronchiale, dapprima in una serie di fascetti discontinui, per poi acquisire man mano maggiore continuità
e spessore. La loro contrazione spiega l’aspetto festonato del lume bronchiale nei preparati istologici.

14. MICROSCOPICA E RAMIFICAZIONI DEI BRONCHIOLI E BRONCHIOLI TERMINALI

A livello del lobulo polmonare, ciascun bronchiolo (0,5 mm di diametro) si divide in rami dal diametro di 0,2 mm
in numero variabile di 3-5, detti bronchioli terminali, ciascuno dei quali alimenta un acino polmonare (unità
funzionale polmonare principale) con ulteriori ramificazioni. Ogni lobulo polmonare è formato da circa 10-15 acini
polmonari. Ciascun bronchiolo terminale si divide, infine, in due bronchioli respiratori (ramificazione dicotomica)
che si dividono a loro volta in due dotti alveolari che terminano con dilatazioni a fondo cieco, definite sacchi
alveolari. Lungo il loro decorso, i bronchioli respiratori presentano delle estroflessioni emisferiche, gli alveoli
polmonari, deputate agli scambi gassosi.

I bronchioli e i bronchioli terminali hanno una parete costituita da un epitelio cilindrico (che può diventa più cubico)
semplice, dotato di ciglia e di cellule mucipare caliciformi intercalate che si fanno via via più rare. Sono assenti le
placche cartilaginee e le ghiandole.

Nei bronchioli terminali, inframmezzate all’epitelio, si trovano le cellule di Clara (bronchiolari) cilindriche, prive
di ciglia, col nucleo centrale, con apice arrotondato ed espanso che ospita i granuli secretori elettrondensi.

Queste cellule:

a) secernono un elemento sieroso con funzione surfattante e tensioattiva: questo abbassa la pressione
superficiale del bronchiolo, impedendone il collasso durante l’espirazione;
b) sono coinvolte nel trasporto e negli scambi degli ioni cloro, il cui equilibrio con i trasportatori degli ioni
sodio è essenziale per una corretta idratazione mucosa della superficie dei bronchioli.

Al di sotto dell’epitelio, si trova una tonaca fibromuscolare formata da tessuto connettivo denso che accoglie fasci
di tessuto muscolare liscio a decorso elicoidale frammisti a fasci fibro-elastici con orientamento longitudinale.

15. RAMIFICAZIONI E MICROSCOPICA DEI BRONCHIOLI RESPIRATORI

L’insieme fino ai bronchioli terminali costituisce la parete intrapolmonare dell’albero bronchiale, mentre le
ramificazioni successive costituiscono il parenchima polmonare.

Ciascun bronchiolo terminale si divide in due bronchioli respiratori che si dividono a loro volta in due dotti
alveolari che terminano con dilatazioni a fondo cieco, definite sacchi alveolari e nelle cui pareti si trovano gli alveoli
polmonari che provvedono agli scambi gassosi.

- La parete dei bronchioli respiratori è costituita da un epitelio cubico privo di ciglia e di cellule caliciformi
mucipare, e da un’esigua tonaca fibromuscolare. I fascetti muscolari ed elastici circondano il punto di attacco
dell’alveolo polmonare alla parete del bronchiolo, formando un manicotto che regola l’ingresso dell’aria.
- La parete dei dotti alveolari è discontinua, data la ricchezza di alveoli polmonari, ma strutturalmente simile a
quella dei bronchioli respiratori.
- La parete alveolare è costituita dall’epitelio alveolare pavimentoso semplice circondato da uno strato
connettivo vascolare accolto in uno stroma di fibre di collagene ed elastiche.

16. MICROSCOPICA DEGLI ALVEOLI POLMONARI (PARETE DELL’ALVEOLO)

Gli alveoli polmonari sono delle estroflessioni sacciformi dei bronchioli respiratori circondate da una rete capillare
e da fibre elastiche che ne consentono la distensione e il mantenimento in posizione; essi presentano una parete
alveolare (il cui spessore varia da 0,2 a 2 µm), funzionalmente chiamata barriera ematogassosa, costituita da:
1. Epitelio alveolare pavimentoso semplice spesso 0,05 µm, che presenta oltre a due tipi principali di cellule,
pneumociti di tipo 1 e di tipo 2, anche le cellule con l’orletto a spazzola e i macrofagi alveolari.
2. Strato connettivo vascolare: rete di capillari accolta in uno stroma di fibre di collagene ed elastiche;

Al di sotto dell’epitelio alveolare si distingue una membrana basale continua, posta a sua volta al di sopra di uno
strato sottoepiteliale, la membrana basale dell’endotelio capillare, che si fa molto sottile nei punti in cui sono
presenti i capillari alveolari. Attorno a questi si dispongono i setti interalveolari, particolarmente ricchi di collagene
reticolare e fibre elastiche.

Quando gli alveoli sono contigui si osservano delle aperture nei setti interalveolari, pori alveolari di Kohn, che
mettono in comunicazione le cavità di due alveoli vicini. Il loro numero varia da 2 a 7 per alveolo e il loro diametro
da 2 a 10 µm; la loro parete è costituita principalmente dai pneumociti di tipo 2.

Le cellule dell’epitelio alveolare sono:

§ Pneumociti di tipo 1, particolarmente sottili e appiattite, nonostante siano il tipo cellulare meno numeroso,
costituiscono la gran parte della superficie alveolare (che distesa occuperebbe 70-100 m2); presentano il
citoplasma povero di organelli, e si sollevano soltanto in corrispondenza del nucleo che sporge nella cavità
alveolare. Si uniscono alle cellule adiacenti mediante le tight junctions e, nei punti di giunzioni, i lembi
cellulari spesso si embricano tra loro. Non sono in grado di dividersi, perciò in caso di danno vengono
sostituiti dai pneumociti di tipo 2 che differenziano in tipo 1;
§ Pneumociti di tipo 2: i più numerosi, più piccoli e con forma tondeggiante, dotati di microvilli sporgenti
nella cavità alveolare. Nel citoplasma presentano numerosi organelli e inclusioni citoplasmatiche delimitate
da membrana, tra cui i corpi multilamellari contenenti sistemi di lamelle parallele o concentriche, che si
trovano in vicinanza della membrana plasmatica, con la quale si fondono riversando il contenuto
(surfattante) all’esterno, che mantiene dilatati gli alveoli riducendo la tensione superficiale ed evitandone
il collasso durante la fase di espirazione e l’eccessiva distensione in ispirazione.
§ Cellule con orletto a spazzola;
§ Macrofagi alveolari (dust cells) appartenenti al sistema dei fagociti mononucleati, presentano un
citoplasma ricco di lisosomi e fagolisosomi che permettono loro di fagocitare le particelle del pulviscolo
atmosferico, sfuggite ai filtri superiori, che si accumulano al loro intero sotto forma di corpi catramosi.

17. MACROSCOPICA E CARATTERISTICHE DEI POLMONI

I polmoni si trovano all’interno delle logge pleuro-polmonari della cavità toracica, separati dal mediastino,
delimitate:

- Lateralmente dalle coste e dai muscoli intercostali;


- Inferiormente dal diaframma;
- Superiormente dai vasi succlavi, dal plesso brachiale e dal muscolo scaleno anteriore.

Nel mediastino si trovano i bronchi (extrapolmonari), i vasi e i nervi che vanno a costituire la radice o peduncolo
del polmone che penetra poi nel polmone stesso attraverso l’ilo.

Entrambi i polmoni hanno la forma a tronco di cono in cui si distinguono: una base o faccia diaframmatica, una
faccia mediastinica; una faccia laterale o costo-vertebrale; un apice e tre margini:

1) Posteriore;
2) Inferiore;
3) Anteriore, che si continua nel posteriore formando una sporgenza, detta lingula del polmone
sinistro, che ricopre l’apice del cuore e delimita l’incisura cardiaca del polmone sx.

La superficie polmonare presenta delle scissure che si portano fino all’ilo dividendolo in lobi.

- Il polmone destro presenta due scissure che lo suddividono in tre lobi: superiore, medio ed inferiore:
1) Scissura principale o obliqua;
2) Scissura secondaria o orizzontale;
- Il polmone sinistro presenta un’unica scissura obliqua che lo divide in due lobi: superiore ed inferiore.

In un adulto i polmoni hanno un’altezza massima di 25-26 cm, un diametro sagittale a livello della base di 16 cm e
un diametro trasversale che varia nei due polmoni (a dx 10-11 cm; a sx 7-8 cm), per un volume totale di 1600 cm3
(e peso di 680 g) nel maschio, e 1300 cm3 (e peso di 620 g) nella femmina. La capacità polmonare vale 3400-3700
cm3 ma arriva anche a 5000 cm3 in un’inspirazione forzata. Nel feto a termine che non ha respirato il polmone pesa
60-65 g, nel neonato 80-100 g.

La presenza delle pleure conferisce ai polmoni un aspetto lucente, mentre il colore è grigio ardesia nell’anziano,
grigiastro nell’adulto, roseo pallido nel bambino e rosso bruno prima della nascita, in quanto non ancora contaminato
dalle impurità atmosferiche.

14. PLEURA E COSTITUZIONE DEI SENI

I polmoni sono avvolti da una tonaca sierosa, la pleura, formata da due foglietti:

1) Il foglietto viscerale, che aderisce alla superficie dell’organo (grazie ad un sottile strato di tessuto
sottopleurico che si continua negli spazi interlobulari) circondando il polmone in tutta la sua estensione, ad
eccezione dell’ilo, penetra nelle scissure separando i lobi contigui.
2) Il foglietto parietale, separato dalla viscerale da una cavità pleurica, contenente il liquido pleurico che
agevola lo scorrimento tra i due foglietti durante i movimenti respiratori; essa presenta una lieve pressione
negativa che consente ai polmoni di espandersi durante l’inspirazione.

A livello dell’ilo polmonare (faccia mediastinica) avviene la riflessione della pleura parietale nella viscerale, al di
sotto dell’ilo i due foglietti si prolungano fino al diaframma costituendo il legamento polmonare, che suddivide la
faccia mediastinica in due zone: pre-ilare e retro-ilare.

La pleura parietale assume nomi diversi in base alla regione considerata.

o Pleura costale si estende dalla faccia posteriore dello sterno alla faccia laterale dei corpi vertebrali.
Proseguendo antero-posteriormente, essa aderisce al muscolo trasverso del torace, ai vasi toracici interni,
alle cartilagini costali, ai muscoli intercostali, al tronco simpatico e ai legamenti anteriori costo-vertebrali.
Si salda poi alla fascia endotoracica e in corrispondenza dell’apice del polmone, aderendo ad esso, risale di
1-3 cm al di sopra della prima costa/clavicola (raggiungendo il corpo della C7) formando, la cosiddetta
cupola pleurica. Questa è a sua volta rinforzata da una serie di legamenti che nel complesso costituiscono
la membrana sovrapleurica (ossia la fascia endotoracica irrobustita fissata alla cupola);
o Pleura mediastinica, destra e sinistra, che si continua anteriormente con la pleura costale, originando il
seno costo-mediastinico; essa riveste in senso dorso-ventrale:
• a destra, la parte toracica dell’esofago, il TBCV, la trachea, la VCS, la vena azygos con il suo arco
ed il pericardio dal quale è separata per mezzo del nervo frenico, dell’arteria e delle vene freniche
superiori, formando seno interazygos-esofageo;
• a sinistra, il lato sinistro dell’esofago, il lato sinistro dell’arco aortico, l’aorta ascendente, l’arteria
succlavia sx ed il lato sinistro del pericardio, dal quale è separata per interposizione del nervo
frenico e dei vasi frenici superiori, formando il seno intraaortico-esofageo.
o Pleura diaframmatica è la più sottile e aderisce strettamente al diaframma, continua superiormente e
lateralmente con la pleura costo-vertebrale, originando il recesso costo-diaframmatico, e medialmente con
la pleura mediastinica a livello dell’inserzione del pericardio e sopra di esso.

I seni pleurali sono dei recessi all’interno della cavità pleurica che rappresentano uno spazio virtuale utile per
l’espansione dei polmoni e corrispondono a punti di riflessione delle varie pleure parietali:

§ Seno costo-diaframmatico: a livello dell’angolo tra il diaframma e la parete toracica, la cui proiezione
corrisponde a una linea che unisce la VI cartilagine intercostale, l’VIII spazio intercostale sulla linea
emiclaveare, incrocia la X costa a livello della linea ascellare media e termina su T12.
§ Seno costo-mediastinico che si estende dalle articolazioni sterno-clavicolari al punto di passaggio tra corpo
e processo xifoideo.
§ Triangolo extrapleurico (o clinico di Garland), privo di pleura, presenta l’apice sull’estremità sternale
della quarta cartilagine costale sinistra e la base sulla linea basisternale.

La parete della pleura è costituita, come tutte le sierose, da mesotelio (epitelio pavimentoso semplice che poggia su
una lamina propria) e da un connettivo sottomesoteliale, lasso e ricco di vasi sanguigni, linfatici e cellule muscolari
lisce. Nella pleura viscerale è presente anche uno strato sottosieroso, anch’esso ricco in fibre elastiche.

La pleura viscerale è irrorata dai rami delle arterie bronchiali, la costale da rami delle arterie intercostali e la
diaframmatica dalle arterie freniche superiori, la mediastinica dai rami mediastinici dell’aorta toracica. Entrambi i
foglietti sono drenati nella vena azygos.

15. RAPPORTI DEI POLMONI


- La base dei polmoni si modella sulla convessità del diaframma, e, mediante l’interposizione di esso, entra in
rapporto:
a. A destra con il lobo destro del fegato;
b. A sinistra con il lobo sinistro del fegato, lo stomaco e la milza;
c. In posizione più posteriore, con l’interposizione del seno costo-frenico, entra in rapporto anche con
la ghiandola surrenale e il polo superiore del rene;

- La faccia costale si estende dalla linea mediana fino ai corpi delle vertebre toraciche (faccia vertebrale);
posterolateralmente è coperta dalla scapola e portandosi sul davanti è separata dalle coste e dal piano muscolare
dalla fascia endotoracica.
- La superficie mediastinica presenta l’ilo del polmone, che dà passaggio al bronco principale, ai vasi polmonari
e bronchiali, alle strutture linfonodali bronco-polmonari e ai nervi del plesso polmonare in entrata.
- L’apice del polmone si trova a livello della seconda costa, è in rapporto con le arterie intercostale suprema e
toracica interna, i vasi succlavi e il tendine del muscolo scaleno anteriore, mentre posteriormente con il ganglio
cervicale inferiore e con le radici inferiori del plesso brachiale.

A livello dell’ilo polmonare (faccia mediastinica) avviene la riflessione della pleura parietale nella viscerale, al di
sotto dell’ilo i due foglietti si prolungano fino al diaframma costituendo il legamento polmonare, che suddivide la
faccia mediastinica in due zone: pre-ilare e retro-ilare.

Su questa faccia si riconoscono una serie di impronte lasciate dalle strutture in rapporto col polmone.

§ Antero-inferiormente all’ilo: impronta cardiaca (più pronunciata a sinistra);


§ Al limite col margine posteriore:
a. A destra: solco per la VCS (seguita da quello per il TVBC) e per la vena azygos;
b. A sinistra: solco per il TVBC e l’arco dell’aorta (seguito da quello per l’aorta discendente)
§ Antero-superiormente: timo e tessuto adiposo mediastinico;
§ In prossimità dell’apice: prima costa e l’arteria succlavia;
§ Supero-posteriormente: trachea;
§ Al confine con la superficie costale: esofago, nervo frenico e catena dell’ortosimpatico.

16. RAPPORTI DELL’APICE POLMONARE DESTRO E SINISTRO

L’apice del polmone è la regione del polmone che si trova al di sopra di un piano orizzontale passante per il margine
superiore della seconda costa ed ha la forma di cono arrotondato. A seconda della fase respiratoria l’apice del
polmone si affaccia più o meno nell’apertura superiore della gabbia toracica.

Entrambi gli apici sono in rapporto:

- Anteriormente con l’arteria succlavia (che vi lascia un’impronta), l’arteria toracica interna, l’arteria
intercostale suprema e il ganglio cervicale inferiore del simpatico.
- Lateralmente con il muscolo scaleno medio;
- Superiormente con le radici inferiori del plesso brachiale;
- Medialmente:
§ l’apice del polmone destro con l’arteria anonima, il tronco venoso brachiocefalico dx e la trachea;
§ l’apice del polmone sinistro con l’arteria succlavia sx e il tronco venoso brachiocefalico sx.

17. RAPPORTI E MACROSCOPICA DELLA SUPERFICIE MEDIASTINICA DEL POLMONE (ILO


POLMONARE) destro e sinistro

La superficie mediastinica presenta l’ilo del polmone che dà passaggio al bronco principale, ai vasi polmonari (vv.
polmonari e a. polmonare) e bronchiali, alle strutture linfonodali bronco-polmonari e ai nervi del plesso polmonare
in entrata. La forma dell’ilo e la disposizione delle strutture che lo costituiscono variano nei due polmoni:

§ A sinistra, esso presenta la forma di una racchetta da tennis con il manico rivolto verso il basso; il bronco
si trova in posizione posteriore e centrale rispetto al piano sagittale; superiormente ad esso si trova
l’arteria polmonare, postero-superiormente la vena polmonare superiore ed inferiormente la vena
polmonare inferiore.
§ A destra, ha una forma rettangolare e presenta la VPS, l’AP e il bronco disposti in sequenza antero-
posteriormente, mentre la VPI è localizzata inferiormente.

Le strutture in entrata ed in uscita dall’ilo sono completamente avvolte da una piega di riflessione della pleura che
si estende in direzione caudale prima dell’impronta cardiaca, cossichè le pieghe di riflessione anteriore e posteriore
si trovano praticamente accostate l’una all’altra, formando il legamento polmonare). Grazie alla piega di riflessione
le strutture dell’ilo polmonare vengono escluse dalla cavità pleurica. L’ilo polmonare situato in sede extrapleurica
e i suoi componenti risultano direttamente connessi con il tessuto connettivo mediastinico.

18. LOBO INFERIORE DEL POLMONE SINISTRO

La superficie polmonare presenta delle scissure che si portano fino all’ilo dividendolo in lobi.

- Il polmone destro presenta due scissure che lo suddividono in tre lobi: superiore, medio ed inferiore:
3) Scissura principale o obliqua;
4) Scissura secondaria o orizzontale;
- Il polmone sinistro presenta un’unica scissura obliqua che lo divide in due lobi: superiore ed inferiore.

Quest’ultimo, situato al di sotto della suddetta scissura, occupa la faccia diaframmatica (o base) sinistra del polmone,
mettendosi in rapporto con l’emidiaframma sinistro, dunque in prossimità del fondo dello stomaco e della milza, e
una parte delle facce costali e mediastiniche.

Il foglietto viscerale, che aderisce alla superficie dell’organo (grazie ad un sottile strato di tessuto sottopleurico che
si continua negli spazi interlobulari) circonda il polmone in tutta la sua estensione, ad eccezione dell’ilo. A livello
delle scissure interlobari, discende su uno dei due labbri della scissura e, dopo aver raggiunto il fondo, risale sul
labro opposto. Ciascun lobo polmonare è dunque separato dal contiguo da un doppio foglietto sieroso.

Dalla trachea originano due bronchi principali, destro e sinistro (extra polmonari) che si dividono successivamente
in bronchi lobari in base al numero dei lobi polmonari presenti.

A sinistra il bronco principale si suddivide in due bronchi lobari (intrapolmonari) a circa 5 cm dalla biforcazione
della trachea in bronco lobare superiore e inferiore, ciascuno dei quali rappresenta un’entità anatomica indipendente.

Il lobo inferiore sinistro è suddiviso a sua volta in cinque segmenti bronco-polmonari: superiore, basale anteriore,
basale posteriore, basale laterale e basale mediale. Ognuno di questi segmenti possiede un bronco segmentale
proprio (ramificazione monopodale multipla del bronco lobare) seguito da un ramo dell’arteria polmonare proprio.
DOMANDE SULL’APPARATO DIGERENTE

1. MACROSCOPICA DELLA LINGUA

La lingua è un organo impari e mediano situato tra le due arcate dentali in cui si distinguono una radice, che si
estende dalla mandibola all’osso ioide, e da un corpo, costituito da:

• Dorso della lingua (o superficie posteriore), che presenta nella sua parte media le papille vallate, disposte
sul solco terminale della lingua (o V linguale) che segna il confine tra corpo e radice. Le sue estremità si
connettono agli archi palato-glossi (o glossopalatini), mentre al suo apice è presente una depressione (forame
cieco), punto di origine durante lo sviluppo dell’abbozzo tiroideo;
• Superficie inferiore, che poggia sul pavimento della bocca e su cui è presente un solco mediano a cui fa
seguito una piega mucosa: il frenulo della lingua che limita i movimenti della stessa.
• Base, unita posteriormente all’epiglottide dalle pieghe mucose glosso-epiglottiche, tra le quali si trovano le
bivallecole. Lateralmente, è in continuità con la faccia mediale degli archi palatini;
• Apice.

La struttura della lingua comprende uno scheletro fibroso, al quale si inseriscono le porzioni muscolari, e un
rivestimento di tonaca mucosa e sottomucosa.

Lo scheletro fibroso è costituito da due componenti connettivali con orientamenti diversi nei loro piani spaziali:

1) Membrana ioglossa, lamina fibrosa costituita da fibre di tessuto connettivo intrecciate e inframmezzate
alle fibre elastica; si estende dal margine superiore dell’osso ioide e si dirige verso l’alto e in avanti circa
fino al solco terminale (V linguale).
2) Setto linguale, disposto sul piano sagittale mediano tra i due muscoli genioglossi, e divide il corpo della
lingua in una metà dx e sx.

La porzione muscolare della lingua è costituita da una serie di muscoli intrinseci, se originano e si inseriscono nel
contesto della lingua, ed estrinseci, se originano in altra sede (elementi scheletrici) e si inseriscono nel contesto della
lingua. Si tratta di muscoli sempre pari la cui innervazione è quasi del tutto a carico dei nervi ipoglossi (XII),
unicamente motorio, e in piccolissima parte del plesso faringeo, che innerva alcune componenti palatine e faringee.

I muscoli estrinseci sono: genioglosso, ioglosso, stiloglosso, glosso-faringeo, palatoglosso, amigdaloglosso.

I muscoli intrinseci sono: longitudinale superiore ed inferiore, verticale e trasverso.

2. MICROSCOPICA DELLA LINGUA

La struttura della lingua comprende uno scheletro fibroso, al quale si inseriscono le porzioni muscolari, e un
rivestimento di tonaca mucosa e sottomucosa.

o La tonaca mucosa della lingua è costituita da un epitelio pavimentoso pluristratificato non


cheratinizzato e da una lamina propria, ricca di fibre collagene ed elastiche; essa ricopre tutte le porzioni
della lingua, ad eccezione della base, dove si riflette nella tonaca mucosa delle strutture vicine:
§ Posteriormente con quella della faringe e della laringe (cilindrico pseudostratificato ciliato con
cellule mucipare caliciformi), dove si creano le pieghe glosso-epiglottiche mediana e laterale;
§ Lateralmente con quella del palato molle (pavimentoso pluristratificato non cheratinizzato);
§ In avanti e in basso con quella del pavimento della bocca (pavimentoso pluristratificato sottile).
o In alcuni punti è presente anche una tonaca sottomucosa di tessuto connettivo lasso, con uno scarso
contingente di fibre elastiche.

A livello della tonaca mucosa sono presenti:

- Le papille linguali: piccole sporgenze disseminate su tutta la superficie della lingua che le conferiscono
un aspetto vellutato e che, in base alla loro forma, vengono suddivise in quattro tipi:
1) Papille filiformi: le più numerose, presenti soprattutto sul dorso della lingua, di forma allungata che
tende a restringersi verso l’apice terminando con una parte ristretta a filo in cui l’epitelio aumenta di
spessore e può essere cheratinizzato; si tratta di meccanosensori in quanto si occupano di percepire la
sensazione e la consistenza del bolo alimentare e di impedirne lo scivolamento durante la masticazione
(sono prive di calici gustativi);
2) Papille fungiformi: ristrette in corrispondenza sia della testa sia del peduncolo, ricordano le cappelle
dei funghi; numerose soprattutto sull’apice della lingua, riccamente vascolarizzate e dotate di calici
gustativi, oltre ad essere anche dei meccano- e termo-cettori;
3) Papille foliate: rilievi estesi in senso trasversale formati da numerose pieghe addossate le une alle altre,
sono disposti in file lungo i margini laterali della lingua e possono essere dotati di calici gustativi;

4) Papille circumvallate (o caliciformi): le più grandi e le più complesse, si localizzano soprattutto al


davanti del solco terminale; hanno un asse connettivale centrale di forma fungina rivestito dall’epitelio
di rivestimento (in cui sono intercalati i calici gustativi) e circondato da un orletto di mucosa dalla quale
è separato dal solco perimetrale.

In corrispondenza del solco perimetrale vi è, inoltre, lo sbocco delle ghiandole sierose di Von Ebner (o linguali
posteriori profonde), i cui adenomeri si trovano a livello della lamina propria della mucosa o in posizione più
profonda. Queste ghiandole permettono di mantenere pulito il solco dai residui di cibo.

I calici (o bottoni) gustativi sono costituiti da cellule allungate e chiare che ne consentono una semplice
identificazione all’interno dell’epitelio di rivestimento della lingua (che riveste i solchi delle papille vallate, foliate
e fungiformi, dalla membrana basale fino alla superficie).

All’apice del calice, le cellule delimitano il canale gustativo, che si apre in superficie e in profondità.

§ Le cellule epiteliali gustative si trovano in posizione centrale nel canale e terminano a livello del
loro versante apicale con dei lunghi microvilli che presentano nella membrana plasmatica delle
strutture recettoriali del gusto.
§ Le cellule epiteliali di sostegno fungono invece da mediatori tra l’epitelio e le cellule gustative;
§ Le cellule basali (staminali) si trovano solitamente più in basso e non arrivano a livello superficiale.

La mucosa della base della lingua sul versante posteriore è costituita da un epitelio di rivestimento pavimentoso
stratificato non cheratinizzato che in alcuni punti si approfonda in cripte. In profondità rispetto all’epitelio è
presente una lamina propria quasi totalmente occupata da follicoli linfatici primari e secondari. A questo livello
si trovano anche delle ghiandole mucose con dotti che si aprono a livello delle cripte.

- Le ghiandole linguali sierose minori (o follicoli linguali), sono distinte in tre gruppi:

1) Gruppo posteriore: ghiandole di Von Ebner e ghiandole della radice della lingua, che giacciono sul
muscolo longitudinale superiore ed il cui dotto si apre nella superficie libera della tonaca mucosa;

2) Gruppo laterale: ghiandole del Weber che si trovano nello spessore del muscolo longitudinale
superiore e i cui dotti si aprono nella superficie inferiore del corpo della lingua;

3) Gruppo antero-inferiore: ghiandole del Blandin che si trovano nello spessore dei muscoli ioglosso e
longitudinale inferiore, ai lati della linea mediana, e i cui dotti si aprono sul versante inferiore.

- La tonsilla linguale, agglomerato di tessuto linfoide situato dietro e alla base della lingua.

3. MACROSCOPICA, RAPPORTI E MICROSCOPICA DELLA GHIANDOLA PAROTIDE

La parotide è la più grande ghiandola salivare maggiore, pari, tubulo-acinosa composta divisa in lobi, i cui
adenomeri (o acini parotidei) producono secreto principalmente sieroso contenente zimogeno.
La parte secernente della ghiandola è connessa con i dotti escretori costituiti da varie porzioni: all’adenomero
segue inizialmente un dotto intercalare o preterminale (sottili segmenti formati dall’epitelio cubico semplice) che
drena all’interno del singolo lobulo attraverso il dotto salivare o intralobulare (epitelio monostratificato
cilindrico o cubico alto con una striatura longitudinale dovuta alle estroflessioni della porzione basale della
membrana plasmatica, in cui si allineano i mitocondri funzionali al riassorbimento dell’acqua ed elettroliti, che
poggia su una membrana fibroelastica). Questi si raccolgono, infine, nei dotti interlobulari e da qui nel dotto
interlobare (epitelio cilindrico con cellule basali che si fanno via via più numerose) che drena ogni lobo ed è una
diramazione del DOTTO PAROTIDEO DI STENONE (diametro di 3-4 mm) che emerge a sua volta dal margine
anteriore della ghiandola e si dirige in avanti decorrendo sulla superficie esterna del muscolo massetere prima, e sul
muscolo buccinatore poi; perfora infine, il piano muscolare del buccinatore e la tonaca della bocca, aprendosi nel
vestibolo della bocca, al davanti del secondo dente molare superiore.

La ghiandola è situata nella loggia parotidea circoscritta da una sottile lamina aponeurotica, la fascia parotidea.
Profondamente, la fascia parotidea è meno adesa alla ghiandola e in alcuni casi invia un prolungamento faringeo.

L’apice della parotide è in rapporto con la loggia sottomandibolare, dalla quale è separata dal legamento
stilomandibolare, e con la regione carotidea per mezzo dell’interposizione del connettivo lasso.

Ha una forma assimilabile ad una piramide triangolare, in cui si identificano:

- tre margini: anteriore, posteriore, mediale (o profondo);


- una base di forma più o meno triangolare diretta verso l’alto, in rapporto con il meato acustico esterno, con
l’a.t.m. e in parte con l’arcata zigomatica;
- tre facce che convergono tra loro a livello dell’apice (all’estremità inferiore):
1. superficiale/esterna/laterale, in rapporto con la cute e le strutture sottocutanee, dalle quali è
separata dalla fascia parotidea;
2. postero-mediale, in rapporto in alto col processo mastoideo, più in basso con i mm.
sternocleidomastoideo (più lateralmente) e il digastrico (più medialmente) e in profondità, al
confine con il margine profondo, con i mm. stiliani e con il F.V.N. del collo.
3. antero-mediale, in rapporto con il margine posteriore del ramo della mandibola, con il muscolo
pterigoideo interno e con i mm. stiliani.

A volte si osserva un prolungamento della ghiandola tra il ramo della mandibola ed il muscolo pterigoideo, che
costituisce la ghiandola parotidea accessoria.
Il parenchima della parotide è attraversato da una serie di strutture, tra cui:

- Il nervo facciale (VII) che costituisce un piano nervoso che divide la parotide superficiale e la parotide profonda e
che si dirama in rami temporali (muscoli mimici), rami zigomatici, rami buccali, ramo marginale della mandibola e ramo
del collo (platysma).
- Il nervo auricolo-temporale (dal ramo mandibolare del trigemino) penetra nella ghiandola attraversando di sbieco la
capsula, dando rami parotidei responsabili dell’innervazione parasimpatica della parotide e dell’innervazione sensitiva della
cute della regione del meato acustico esterno e del padiglione auricolare.
- La carotide esterna che nel contesto della parotide si divide nei suoi rami terminali: temporale superficiale e mascellare
interna.
- La vena retromandibolare, che nasce poco sotto il collo della mandibola in seguito all’unione delle vene temporale
superficiale e mascellare e si dirige in basso, decorrendo nel parenchima ghiandolare, fino all’angolo della mandibola,
emergendo dietro all’apice della parotide, dove si divide in un ramo anteriore che si porta in avanti per congiungersi con la
vena facciale, e un ramo posteriore che si unisce con la vena auricolare posteriore per formare la giugulare esterna.
- Linfonodi parotidei superficiali e profondi che dividono la ghiandola nelle corrispettive porzioni.

4. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELLA GHIANDOLA SOTTOMANDIBOLARE

La ghiandola sottomandibolare è una ghiandola mista (merocrina), con adenomeri acinosi a secrezione sierosa
(amilasi, lactoferrina, perossidasi) che presentano un citoplasma colorato, il nucleo centrale e un lume poco visibile,
e adenomeri tubulari a secrezione mucosa allungati, chiari e con un lume bel definito, le cui cellule presentano un
citoplasma vacuolizzato con RER e Golgi molto sviluppati per la produzione di mucina.
Spesso gli adenomeri misti sono formati da unità secernenti mucose incappucciate da cellule sierose disposte a
formare una specie di semiluna: le cosiddette semilune di Giannuzzi.

La ghiandola presenta una forma semplificata di un prisma a base triangolare con asse maggiore diretto in senso
antero-posteriore e lateromedialmente (7-8 g), avvolto da una capsula propria, che alloggia nel trigono
sottomandibolare formato dalla mandibola, dal ventre anteriore e quello posteriore del m. digastrico.

Il dotto sottomandibolare di Wharton, che costituisce la confluenza di tutti i dotti escretori intraghiandolari, è il
dotto escretore propriamente detto della ghiandola sottomandibolare ed origina dal suo corpo centrale, si dirige
in avanti e medialmente tra i mm. ioglosso e mioloideo e poi tra quest’ultimo ed i mm. longitudinale inferiore della
lingua e genioglosso, fino a sboccare a livello della caruncola sottolinguale.

In sezione è possibile identificare:

a. Una faccia inferiore/superficiale rivestita dalle fibre del m. platysma, dalla fascia cervicale superficiale e
dalla cute. Sono presenti linfonodi di superficie, linfonodi sottomandibolari e la vena facciale anteriore.
b. Una faccia supero-laterale, in rapporto con la mandibola nella fossa sottomandibolare. Questo rapporto si
estende anche posteriormente con il m. pterigoideo interno. Solitamente sono presenti l’arteria facciale e i
vasi mentali (dall’art. facciale).
c. Una faccia supero-mediale in rapporto con il m. miloioideo, ioglosso, il tendine intermedio del digastrico,
e in parte con il m. stiloideo.

La faccia supero- mediale corrisponde posteriormente al triangolo di Beclard (delimitato in alto dal ventre posteriore
del digastrico, in basso dall’osso ioide e indietro da m. ioglosso) e anteriormente al triangolo di Pirogoff (delimitato
dal tendine intermedio del muscolo digastrico, dal margine posteriore del muscolo miloioideo e dal nervo
ipoglosso superiormente. Dà passaggio, in prossimità della sua origine dalla carotide esterna, all'arteria linguale che, al
di sotto di quest'area, cede il ramo dorsale della lingua.)

5. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELLA TONSILLA PALATINA

La tonsilla palatina (o amigdala) è un organo linfoide pari a forma di mandorla annesso alla tonaca mucosa del
palato molle, a livello dell’istmo delle fauci; le due tonsille alloggiano all’interno delle fosse tonsillari (delimitate
da arco archi palatoglosso e palatofaringeo) e hanno: l’altezza e larghezza di 20-25 mm e lo spessore di 10 mm.

La tonsilla presenta:

a. La faccia laterale, leggermente convessa, rivestita da un connettivo denso che forma la capsula tonsillare.

La fossa tonsillare, a questo livello, è costituita da diversi piani che formano la parete laterale della faringe, che,
dalla superficie allo strato più profondo, presenta i mm. costrittore superiore della faringe, stiloglosso, la fascia
faringo-basilare (aponeurosi faringea), il muscolo amigdaloglosso (o tonsilloglosso) e la capsula tonsillare.

Mediante l’interposizione della parete laterale della faringe, la tonsilla palatina è in rapporto con lo spazio
maxillofaringeo (o prestiloideo) ed è situata poco al di sopra dell’angolo della mandibola e separata dal m.
pterigoideo interno da uno strato di connettivo lasso, che forma uno strato scollabile noto come spazio
paratonsillare di Calas. Postero-lateralmente, a circa 2 cm di distanza, decorrono l’arteria carotide interna, la vena
giugulare interna, i nervi accessorio, vago e ipoglosso.

b. La faccia mediale è ricoperta dalla tonaca mucosa dell’orofaringe, che presenta degli orifizi in
comunicazione con delle cripte tonsillari che si spingono in profondità al centro dell’organo. La tonaca
mucosa riveste l’arco palatoglosso, si prolunga indietro e in basso formando la piega triangolare di His,
che ricopre una parte della tonsilla stessa.

In corrispondenza dell’estremità superiore della tonsilla è presente una depressione invasa da tessuto linfoide,
ovvero la fossetta sopratonsillare, che spesso si continua con la fessura tonsillare, un canalicolo a fondo cieco.
La ghiandola è rivestita dalla mucosa della cavità orale, epitelio squamoso (pavimentoso) pluristratificato non
cheratinizzato, mentre la lamina propria sottostante è costituita da tessuto linfatico, disposto in follicoli aggregati,
primari e secondari, questi ultimi con i centri germinativi.

La ghiandola è vascolarizzata:

dall’arteria tonsillare (dalla palatina ascendente, dalla facciale/mascellare esterna, della CE);
dall’arteria palatina minore;
dall’arteria faringea ascendente (CE);
dall’arteria dorsale della lingua (dall’a. linguale della CE).

e drenata:

dal plesso tonsillare, sulla faccia laterale della tonsilla, che si scarica nella vena palatina
ascendente;
e innervata:

dal plesso tonsillare costituito dai nervi linguale (TP del n. mandibolare) e glossofaringeo (IX).

6. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELLA FARINGE

La faringe è una struttura cava (canale) muscolo-membranosa, lunga 12-15 cm, che si inserisce alla base del
cranio e continua a livello della cartilagine cricoidea (laringea) nell’esofago; essa è localizzata a metà tra gli
apparati respiratorio e digerente, attraverso cui transitano l’aria – durante l’inspirazione e l’espirazione – e il bolo
alimentare durante la deglutizione. In rapporto alle strutture rispetto alle quali si colloca posteriormente, la faringe
viene suddivisa in senso cranio-caudale, in tre porzioni:

1. Rinofaringe (o epilaringe), porzione nasofaringea collegata con le cavità nasali attraverso le coane nasali;
2. Orofaringe (o mesolaringe), porzione orofaringea, dove si intersecano le vie respiratoria e alimentare, che
comunica con la cavità orale attraverso l’istmo delle fauci;
3. Laringofaringe (o ipolaringe), porzione laringofaringea che si apre nella laringe mediante l’adito laringeo.

RAPPORTI: La parete anteriore della faringe è discontinua a causa della presenza delle comunicazioni con le
strutture citate precedentemente, mentre quella posteriore è continua ed è in stretto rapporto con il piano
vertebrale; in particolare, contatta la fascia cervicale profonda, dalla quale è separata tramite uno spazio
retrofaringeo virtuale, riempito di tessuto adiposo.

Tra la parete laterale nella sua porzione craniale e la faccia mediale della mandibola, si individuano gli spazi
faringomandibolari occupati da muscoli stiliani, pterigoidei interni e il ventre posteriore del digastrico; qui decorre
anche il fascio vascolo-nervoso del collo ed il rapporto topografico laterale è dato dai nervi glossofaringei, vaghi,
accessori, ipoglossi e con il ganglio cervicale superiore.

L’organizzazione strutturale della faringe prevede, come struttura più interna, uno strato di tonaca mucosa, mentre
manca dello strato sottomucoso, scarsamente rappresentato e confinato in specifiche porzioni del viscere. Più
esternamente, la fascia faringobasilare separa gli strati muscolari più interni da uno strato muscolare esterno,
costituito in parte dai muscoli costrittori della faringe, a loro volta ricoperti esternamente dalla fascia faringo-
buccale, costituente la tonaca avventizia.

La composizione microscopica della tonaca mucosa varia in base alla porzione faringea considerata:

- Nella rinofaringe si trova un epitelio vibratile di tipo respiratorio (colonnare/cilindrico pseudo


stratificato ciliato con cellule caliciformi mucipare) con una lamina propria che accoglie a livello
dell’orifizio faringeo e della volta, rispettivamente, le tonsille tubarica e faringea (adenoide) che rientrano
nel contesto dell’anello linfatico di Waldeyer.
- Nell’orofaringe e nell’ipofaringe si trova un epitelio analogo a quello della cavità orale e dell’esofago
(pavimentoso, stratificato non cheratinizzato), nel cui spessore si trovano gli adenomeri delle ghiandole
faringee tubulo-acinose secernenti la saliva lubrificante.
Lo strato connettivo sotto-epiteliale è ricco di fibre elastiche e permette la dilatazione reversibile della parete
faringea.

La mucosa faringea è caratterizzata da diversi rilievi:

- La rinofaringe è caratterizzata principalmente dagli orifizi faringei delle tube uditive, di forma triangolare
con un labbro posteriore particolarmente rilevato per la presenza della componente cartilaginea, chiamata
torus tubarius (o protuberanza della tuba). Tale rilievo si estende verso il basso nella piega
salpingofaringea, più rilevata, nel cui spessore si trova l’omonimo muscolo, e in avanti nella piega salpingo-
palatina, meno rilevata in quanto costituita esclusivamente da tonaca mucosa. Inferiormente all’orifizio si
trova un altro rilievo importante dato dalla protuberanza del muscolo elevatore del velo palatino.
- L’orofaringe è delimitata anteriormente dal pavimento della lingua e lateralmente dagli archi palatini e
dalla fossetta tonsillare, cioè dalle strutture dell’istmo delle fauci.
- L’ipofaringe presenta su entrambi i lati della laringe un solco, detto recesso piriforme (o laringofaringeo).

7. MUSCOLI COSTRITTORI DELLA FARINGE

La tonaca muscolare della parte faringea è costituita dalla muscolatura striata volontaria che comprende i muscoli
costrittori ed elevatori della faringe, tutti innervati dal plesso faringeo, nella cui composizione rientrano i nervi
glossofaringeo, vago, accessorio e rami del ganglio cervicale superiore.

I muscoli costrittori della faringe sono tre (superiore, intermedio e inferiore) la cui disposizione anatomica è tale da
permettere di avere più origini anteriori da cui i fasci muscolari, con un decorso più o meno curvilineo, si portano
posteriormente ed in alto per confluire sulla linea mediana in un’unica solida struttura connettivale, il rafe
faringeo, inserito sul tubercolo faringeo della superficie esterna dell’osso occipitale mediante una robusta
membrana connettivale, la membrana faringo-basilare. La disposizione delle fibre muscolari ha una ripercussione
funzionale in quanto garantisce un miglior coordinamento meccanico tra le varie componenti.

Il muscolo costrittore superiore, come suggerisce il nome, costringe la epifaringe, ed eleva la parte posteriore
della stessa, generando un’onda peristaltica che porta inferiormente il bolo alimentare, collaborando, pertanto, nella
deglutizione. Esso si divide in quattro componenti, in base alle diverse origini che ciascuna di esse presenta:

a. Componente pterigo-faringea: dalla parte più caudale del margine posteriore della lamina mediale del
processo pterigoideo fino all’uncino;
b. Componente bucco-faringea (più estesa): dal rafe pterigo-mandibolare;
c. Componente milo-faringea: dalla linea mieloidea della mandibola;
d. Componente glossofaringea: dalla radice della lingua, attraversa il m. genioglosso.

Il costrittore medio della faringe costringe l’orofaringe ed è costituito da due componenti, non sempre nettamente
distinguibili:

a. Componente condro-faringea, più craniale, che origina dal piccolo corno dell’osso ioide e dalla porzione
inferiore del legamento stiloioideo.
b. Componente cerato-faringea, più caudale, che origina dalla superficie superiore del grande corno
dell’osso ioide.

Il costrittore inferiore costringe la laringofaringe ed eleva la laringe; anch’esso è costituito da due componenti,
questa volta ben separate tra loro, tanto da essere definiti talvolta due muscoli a sé stanti:

a. Componente tiro-faringea: maggioritaria ad estensione muscolare, origina dalla linea obliqua della
cartilagine tiroidea e, più inferiormente, anche da un arco fibroso che passa al di sopra del muscolo
cricotiroideo (intrinseco della laringe);
b. Componente crico-faringea: origina dal versante laterale della cartilagine cricoidea, dalla quale i fasci in
modo più o meno orizzontale arrivano fino al rafe.

I muscoli elevatori della faringe, a differenza dei costrittori, sono meno sviluppati e vi appartengono i mm.
stilofaringeo, palatofaringeo e salpingofaringeo.
8. ELEMENTI DI FISSITA’ DELL’ESOFAGO

L’esofago è un viscere cavo, impari, di lunghezza di 25 cm, diviso in quattro porzioni diverse, ciascuna con dei
mezzi di fissità diversi.

1. La porzione cervicale (4 cm) presenta anteriormente una continuità con la parte membranosa della
trachea tramite dei fasci di tessuto connettivo denso e muscolari lisci che nell’insieme costituiscono il
muscolo tracheo-esofageo.
2. Nella porzione toracica mediastinica (16 cm) fino alla biforcazione della trachea (T4) anteriormente,
l’esofago mantiene la fissità con la trachea, a destra e a sinistra si pone in rapporto con la pleura parietale
mediastinica, e al di sotto della biforcazione con il bronco sinistro, mediante il muscolo bronco-esofageo
e con il pericardio;
3. Nella porzione diaframmatica (2 cm), breve tratto che si impegna nello iato esofageo del diaframma,
l’esofago instaura il rapporto con le fasce diaframmatiche che lo rivestono ai lati impedendone il distacco
dallo iato. In particolare, la fascia sottodiaframmatica forma il legamento freno-esofageo (da alcuni
definito muscolo freno-esofageo) che accompagna l’esofago attraverso lo iato, stabilizzandolo.
4. La porzione addominale (3 cm) dell’esofago non presenta dei mezzi di fissità propri ma è ricoperta dal
peritoneo, ad eccezione della sua faccia posteriore, ed è in stretto rapporto:
- anteriormente con la faccia inferiore del lobo sinistro del fegato,
- posteriormente con i pilastri mediali del diaframma e con l’aorta addominale;
- a destra con il lobo caudato del fegato,
- a sinistra con il fondo dello stomaco.

9. RESTRINGIMENTI DELL’ESOFAGO

L’esofago presenta alcuni restringimenti dovuti alla compressione da parte di alcune strutture esterne:

§ Restringimento cricofaringeo (o superiore), in prossimità dell’origine (per questo chiamato bocca


dell’esofago) è dovuto al rapporto con la componente cricofaringea del costrittore inferiore della faringe. Il
lume è ridotto a una fessura trasversale che non supera un diametro di 14 mm e rappresenta il punto più stretto
dell’esofago.
§ Restringimento aortico (o intermedio) si trova sul lato sinistro dell’esofago, a circa 10 cm dal primo
restringimento, ed è dovuto all’impronta lasciata dall’arco aortico che scavalca l’esofago;
§ Restringimento bronchiale, si trova subito al di sotto dell’arco aortico ed è dato dall’impronta lasciata dal
bronco sinistro.

Per la vicinanza anatomica delle strutture, possono essere considerati come un unico restringimento aortico-
bronchiale.

§ Restringimento diaframmatico (o inferiore), si trova in corrispondenza dell’orifizio esofageo del diaframma


(T10). In tale sede la parete dell’esofago è formata da fasci muscolari disposti a spirale e da plessi venosi situati
sotto la mucosa.

10. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELL’ESOFAGO

L’esofago è un viscere cavo impari, attraverso cui il bolo alimentare si porta dalla faringe allo stomaco. Questo
canale muscolo-muscoloso è deformabile e ha una lunghezza di circa 25 cm che si divide in:

• Una parte cervicale (tra C6 e T2) lunga 4 cm, poggia sulla colonna vertebrale posteriormente e confina con
la trachea anteriormente.
• Una parte toracica mediastinica, porzione lunga 16 cm che decorre profondamente nel mediastino posteriore.
• Una parte toracica diaframmatica, lunga 2 cm, che attraversa lo iato esofageo (T10);
• Una parte addominale (3 cm), che termina nello stomaco (cardias) a livello di T11.

L’esofago inizia in corrispondenza del margine inferiore della cartilagine cricoidea (C6-C7) presenta un decorso
verticale, lungo il quale si evidenziano delle curvature:
- Sul piano sagittale:
o Curva a concavità anteriore, dovuta al rapporto tra la porzione cervicale con la trachea
(anteriormente) e con la colonna vertebrale (posteriormente); e tra la porzione toracica con l’arco
aortico che passa a sinistra dell’esofago scavalcando la biforcazione tracheale e discendendo poi
posteriormente ad esso;
- Sul piano frontale:
o Curva con convessità a sinistra sopra l’arco aortico;
o Curva con convessità a destra, al di sotto dell’arco.

La struttura della parete dell’esofago è simile a quelle delle altre porzioni del tratto gastro-intestinale. Il lume
esofageo normalmente presenta un profilo a stella, che si distende al passaggio del cibo diventando circolare.

A partire dal lume, la parete è così costituita:

§ Una tonaca mucosa formata da:


o un epitelio pavimentoso stratificato non cheratinizzato;
o una lamina propria connettivale,
o una muscolaris mucosae, un sottile strato di muscolatura longitudinale nella porzione prossimale,
ben sviluppata in quella distale;
§ Una tonaca sottomucosa di tessuto connettivale lasso occupata dagli adenomeri delle ghiandole esofagee di
tipo tubulare ramificato a secrezione mucosa.
§ Una tonaca muscolare che nella porzione più craniale (1/3 superiore), in continuazione con la faringe, è di tipo
scheletrico, mentre nei 2/3 distali è di tipo liscio ed è costituita da due strati:
Circolare interno;
Longitudinale esterno.
§ Una tonaca sierosa limitata alla porzione addominale, che altro non è che il rivestimento peritoneale.
§ Una tonaca avventizia, rivestimento di tutte le altre porzioni esofagee, che provvede all’ancoraggio
dell’esofago alle strutture circostanti (anche se nella porzione toracica ci possono essere dei rapporti con le
pleure parietali e mediastiniche).

11. FPR DELLO STOMACO

Lo stomaco è un viscere cavo appartenente all’apparato digerente, di forma allungata (29-30 cm) che si colloca tra
l’esofago e l’intestino tenue (duodeno), nella loggia sovramesocolica, occupando dunque, la maggior parte della
regione epigastrica e parte dell’ipocondrio di sinistra.

Si presenta come un sacco ricurvo con concavità rivolta verso destra, con l’estremità rostrale, posta più a sinistra,
dilatata e l’estremità caudale che si flette verso il basso con un decorso circa orizzontale.

A seconda del grado di riempimento assume una posizione e dimensione diverse, influenzati anche dall’età, dalle
abitudini alimentari e dal sesso. A stomaco pieno si presenta disteso e tubulare con un asse maggiore di 25 cm,
orientato da sinistra a destra e da T10/11 a L2, seppur con qualche variabilità anatomica.

Lo stomaco viene suddiviso in quattro porzioni distinte:

I. Cardias: porta di accesso allo stomaco, si colloca a livello dell’estremità superiore del margine destro dello
stomaco, in corrispondenza di T10-T11, dalle quali è separato dall’interposizione dell’aorta addominale. In
sezione sagittale dista circa 10 cm dalla parete addominale anteriore;
II. Fondo: porzione più alta dello stomaco che, come una cupola, si adatta alla concavità dell’emidiaframma
sinistro e si colloca superiormente ad una linea trasversale passante per il cardias;
III. Corpo: porzione più estesa e senza un netto confine con il fondo; si dirige in basso restringendosi
progressivamente;
IV. Parte pilorica: forma con il corpo un’incisura o piega angolare di circa 90°; si tratta di una porzione di
aspetto conico, diretta in alto, a destra e lievemente indietro, divisa ulteriormente in antro, lievemente
dilatato, e canale cilindrico lungo circa 3 cm che termina con il piloro e continua con il duodeno, da cui è
separata dal solco pilorico.
Nello stomaco si riconoscono la parete anteriore e posteriore, separate da due margini:

1) Piccola curvatura (o margine destro), lunga 15 cm, presenta una forma a L, con la concavità rivolta in
alto e a destra. Lungo questo margine sono presenti due pieghe longitudinali permanenti che collegano
direttamente il cardias, da cui origina, al piloro, costituendo la cosiddetta magenstrasse (o via gastrica
breve); questa curvatura abbraccia con la sua concavità l’aorta, i pilastri mediali del diaframma, il tronco
celiaco e la colonna vertebrale ed è coperta dal lobo sinistro del fegato;
2) Grande curvatura (o margine sinistro), lunga 40 cm, aperta e convessa inferiormente; è in rapporto con
il diaframma, il m. trasverso dell’addome, con la flessura colica sinistra e con il colon trasverso; da essa si
stacca il grande omento.

All’apertura della cavità addominale, è visibile solo la porzione pilorica e la porzione inferiore del corpo, essendo
la maggior parte dello stomaco coperta in avanti dall’arcata costale sinistra e in parte dal fegato.

La faccia anteriore guarda verso la cavità peritoneale ed è in rapporto diretto con:

§ La parete toracica, a livello dello spazio semilunare di Traube (delimitato inferiormente dall’arco costale,
superiormente dalla VI costa sx, lateralmente da una linea verticale che congiunge la VI e la IX coste
sinistre circa sulla linea emiclaveare) che corrisponde alla bolla gastrica, apprezzabile tramite
auscultazione e percussione.
§ La parete addominale, soltanto in corrispondenza del triangolo di Labbé, (area delimitata, inferiormente
da una linea orizzontale tangente alla IX cartilagine costale sinistra, a destra dal fegato, e a sinistra dall’arco
costale) che corrisponde al piloro ed alla regione inferiore del corpo, situati nell’epigastrio e coperti in
alto e per breve estensione dal fegato.

La faccia posteriore dello stomaco costituisce il limite anteriore della borsa omentale ed è in rapporto con il
diaframma, il pancreas, il rene ed il surrene di sinistra e la milza. Con l’interposizione del mesocolon trasverso,
risulta in rapporto con la parte ascendente del duodeno, la flessura duodeno-digiunale e le anse del digiuno.

Il CARDIAS, posto posteriormente alla VII cartilagine costale, è in rapporto:

- Posteriormente con il pilastro sinistro del diaframma a livello del corpo di T10 e con il nervo vago destro;
- Anteriormente con il lobo sinistro del fegato;
- A sinistra con il nervo vago sinistro;

Il FONDO è in rapporto con la cupola diaframmatica, per cui lo stomaco stesso modifica la sua posizione in base
alla fase espiratoria.

Il PILORO si trova a destra della linea mediana, a livello di L1, ed è in rapporto:

- Anteriormente con il lobo quadrato del fegato;


- Posteriormente con la testa del pancreas.

12. LEGAMENTI DELLO STOMACO

Lo stomaco si trova in sede intraperitoneale, pertanto risulta essere coperto dal peritoneo viscerale su entrambe le
facce, ad eccezione di un’area nuda a livello del corpo dello stomaco. I due foglietti sierosi formano nell’insieme
il cosiddetto mesogastrio, un’unica plicatura peritoneale formata da due mesi, che si attaccano alle due curvature
dello stomaco, come conseguenza della particolare allocazione dello stomaco nel feto, dove è stato effettivamente
presente un doppio meso: ventrale e dorsale.

In corrispondenza delle curvature viene a mancare la stretta aderenza delle lamine peritoneali: ciò è funzionale
all’aumento del volume dello stomaco. Qui subentrano una serie di legamenti che fungono da mezzi di fissità con
le strutture circostanti:

o LEGAMENTO GASTRO-FRENICO: riflessione posteriormente al fondo dello stomaco delle due


lamine peritoneali: anteriore verso l’alto, sulla faccia inferiore del diaframma, e posteriore in basso, lungo
la parete posteriore dell’addome,
o LEGAMENTO GASTRO-SPLENICO: teso tra la parete posteriore dello stomaco e l’ilo della milza, è
dato dall’unione delle due lamine peritoneali, anteriore e posteriore, in corrispondenza della grande
curvatura dello stomaco, vicino al fondo; nel suo spessore scorrono i vasi gastrici brevi.
o LEGAMENTO GASTRO-COLICO: teso dalla grande curvatura alle flessure coliche sinistra e destra, al
colon trasverso e al duodeno; costituisce la radice anteriore del grande omento e si trova inferiormente
al legamento gastro-splenico.
o LEGAMENTO EPATO-GASTRICO: teso dalla piccola curvatura dello stomaco all’ilo del fegato;
costituisce il piccolo omento assieme al leg. epatoduodenale.

13. VASCOLARIZZAZIONE E INNERVAZIONE DELLO STOMACO

La vascolarizzazione dello stomaco è data da cinque peduncoli vascolari principali:

o Arteria e vena gastriche (o piloriche) destre:


Arteria gastrica dx, diramazione dell’a. epatica propria (dal TC);
Vena gastrica dx, una delle tributarie della vena porta;
o Arteria e vena gastroepiploiche (o gastro-omentali) destre:
Arteria gastroepiploica dx, dell’a. gastroduodenale (dall’a. epatica propria, TC);
Vena gastroepiploica dx, tributaria della vena mesenterica superiore;
o Arteria e vena gastriche sinistre (o coronarie dello stomaco):
Arteria gastrica sx, uno dei tre tronchi del tripode celiaco;
Vena gastrica sx, una delle tributarie della vena porta;
o Arteria e vena gastroepiploiche (o gastro-omentali) sinistre:
Arteria gastroepiploica sx, diramazione dell’arteria splenica (TC);
Vena gastroepiploica sx, tributaria della vena splenica;
o Arterie e vene gastriche brevi, un gruppo di esili arterie che originano dalla porzione terminale dell’arteria
splenica (o lienale) e irrorano il fondo dello stomaco;

Queste arterie e vene si anastomizzano lungo le due curvature e, a partire da queste, danno vita a rami vascolari che
si portano lungo le facce anteriore e posteriore dello stomaco formano un ricco plesso nella tonaca sottomucosa.

L’innervazione dello stomaco è data da due componenti:

1) La componente parasimpatica, fornita dai nervi vaghi (X), che, in prossimità della piccola curvatura,
formano plessi gastrici anteriore e posteriore;
2) La componente ortosimpatica data dalle fibre pre-gangliari provenienti dai segmenti T5-T8 del midollo,
che attraverso i nervi splancnici, si portano al plesso celiaco, da cui originano delle fibre post-gangliari
che, a loro volta, formano i plessi gastrici superiori e inferiori.

I plessi citati, “si anastomizzano” tra loro formando il plesso nervoso enterico, diviso in plesso mioenterico di
Auerbach e plesso sottomucoso di Meissner.

Le fibre sensitive viscerali della parete dello stomaco si portano ai segmenti T7-T8 del midollo.

14. MICROSCOPICA DELLA MUCOSA GASTRICA E GHIANDOLE ANNESSE

La configurazione interna dello stomaco varia in base al momento della digestione: quando è vuoto, esso presenta
internamente le pliche gastriche, delle pieghe disposte principalmente lungo l’asse longitudinale che tendono a
scomparire a stomaco pieno. Lungo la piccola curvatura si osservano anche delle pieghe permanenti che creano
una via preferenziale, una specie di scivolo, per la discesa del contenuto gastrico in direzione del piloro, definita via
gastrica breve. In una visione microscopica, si osservano, su tutta la superficie interna dell’organo (anche in
distensione), dei solchi permanenti molto ravvicinati che delimitano le areole gastriche, delle aree rilevate di circa
2-4 mm di diametro, sulla superficie di ciascuna delle quali si apprezzano le fossette gastriche, degli infossamenti
della tonaca mucosa, alternate alle porzioni più rilevate della superficie, le creste gastriche. In ciascuna fossetta
(3,5 milioni totali sulla mucosa gastrica) si aprono più ghiandole gastriche tubulari (15 milioni circa).
Nell’insieme, la parete gastrica presenta:

1) La tonaca mucosa, contraddistinta da una lamina propria di tessuto connettivo quasi impercettibile, infiltrata
da numerose ghiandole gastriche e noduli linfatici, su cui poggia un epitelio cilindrico semplice di tipo
secretorio, le cui cellule producono muco, particolarmente ricco di proteoglicani neutri, che stratifica la
mucosa proteggendola contro l’acidità del contenuto gastrico e ioni bicarbonato che tamponano l’elevata
acidità gastrica.

A livello della giunzione gastro-esofagea, tra le due mucose si viene a formare l’orlo anulare, una linea di confine
a zig zag, in cui si osserva un repentino e brusco cambiamento di epitelio che da pavimentoso stratificato non
cheratinizzato diventa cilindrico semplice secernente.

La parte superficiale della lamina propria forma l’asse delle creste gastriche.

2) Muscolaris mucosae: un sottile strato di muscolatura liscia costante divisa in due strati, circolare interno e
longitudinale esterno; essa invia inoltre alcuni fascetti muscolari tra gli adenomeri ghiandolari della lamina
propria, con la funzione di agevolare il loro svuotamento.
3) La tonaca sottomucosa: uno strato di connettivo variabile tra lasso e denso, che contiene, oltre ai vasi e nervi,
anche il plesso sottomucoso di Meissner, che va a regolare la secrezione ghiandolare degli strati soprastanti.
4) La tonaca muscolare di muscolatura liscia, divisa anch’essa in uno strato circolare interno ed uno
longitudinale esterno, contenente il plesso mioenterico di Auerbach che regola i movimenti peristaltici a
livello gastrico, utili al rimescolamento e all’adattamento del contenuto.

Quest’organizzazione presenta una variabilità in alcuni punti, ad esempio, a partire dall’incisura cardiale e
portandosi verso la grande curvatura, persiste il cosiddetto collare di Helvetius, struttura muscolare a tre strati,
con uno strato intermedio obliquo, assente lungo la piccola curvatura e a livello del piloro, dove invece lo strato
circolare è più sviluppato tanto da formare un muscolo sfintere pilorico che solleva le tonache.

5) La tonaca avventizia o sierosa a seconda che si tratti, rispettivamente, delle curvature, dove i foglietti
peritoneali si staccano per formare i legamenti, o del resto della superficie dello stomaco, rivestita dal
peritoneo viscerale (mesotelio pavimentoso semplice che poggia sul connettivo sottomesoteliale).

Le ghiandole gastriche sono diverse a seconda delle zone:

§ GHIANDOLE PROPRIAMENTE DETTE: nel corpo e nel fondo, sono ghiandole tubulari semplici a
cui manca un vero e proprio condotto escretore, ma tutto il tubulo funge da adenomero; esse sono suddivise
in tre diverse regioni: istmo, collo, base o fondo; lungo le quali si trovano diversi tipi di cellule: staminali
indifferenziate, mucose del colletto, parietali (o delomorfe/ossintiche), principali (o
adelomorfe/zimogeniche), endocrine (o enteroendocrine);
§ GHIANDOLE CARDIALI: ghiandole tubulari composte, distribuite nella regione del cardias (di cui
occupano una porzione di tessuto di circa 3-5 cm) in cui si trovano principalmente cellule di tipo mucoso.
§ GHIANDOLE PILORICHE: tubulari ramificate a secrezione mucosa (muco costituito da glicoproteine
neutre), distribuite nella regione del piloro, in cui sono presenti, oltre alle cellule sopracitate, anche le
cellule G che appartengono al sistema neuroendocrino diffuso e producono la gastrina.

15. MICROSCOPICA INTESTINO TENUE

La parete dell’intestino tenue è così strutturata:

• Tonaca mucosa, distinta in tre strati:


o Epitelio di rivestimento, cilindrico semplice di tipo assorbente, costituito da due tipi cellulari principali:
§ gli enterociti, cellule alte e prismatiche, col nucleo basale e organelli membranosi apicali, e la
superficie apicale, sporgente nel lume, dotata di microvilli.
§ le caliciformi mucipare (goblet cells), intervallate da una banda continua di enterociti (orletto striato),
con la base ristretta e la porzione apicale espansa per la presenza di granuli di mucinogeno e la
superficie dotata di microvilli, seppur più corti e meno numerosi rispetto agli enterociti.
Si trovano, inoltre, cellule endocrine, cellule chemosensoriali (brush cells) e un numero variabile di linfociti
intraepiteliali (che producono soprattutto le IgA).

o Lamina propria di connettivo lasso, distinta in una porzione superficiale che forma l’asse dei villi
intestinali, riccamente vascolarizzata, e una porzione profonda che contiene i tubuli ghiandolari delle
cripte di Galeazzi-Liberkuhn e numerosi noduli linfatici.
o Muscolaris mucosae: sottile strato di muscolatura liscia, divisa a sua volta in uno strato circolare interno
e longitudinale esterno.
• Tonaca sottomucosa di connettivo lasso, che si solleva in pieghe circolari (o valvole conniventi di
Kerckring), presenti nei ¾ della circonferenza della parete intestinale, a partire dalla porzione discendente del
duodeno, numerose nel digiuno, dove sono particolarmente ravvicinate (6-8 mm), e meno rilevate e più
distanziate nell’ileo. Qui si trova intercalato il plesso sottomucoso di Meissner, che regola la contrazione della
muscolaris mucosae e degli adenomeri ghiandolari della mucosa.
• Tonaca muscolare caratterizzata da due strati di muscolatura liscia: uno circolare interno ed uno
longitudinale esterno, tra i quali, come al livello dell’esofago e dello stomaco, si trova intercalato il plesso
mioenterico di Auerbach, del quali sono visibili, in sezione, i gangli intercalati tra i due strati.
• Tonaca sierosa nelle porzioni intraperitoneali /avventizia nelle porzioni retroperitoneali.

16. MICROSCOPICA DEL VILLO INTESTINALE

I villi intestinali sono delle estroflessioni digitiformi della tonaca mucosa, a cui forniscono un aspetto vellutato, che
aumentano la superficie intestinale e quindi le sue capacità di assorbimento di circa 10 volte. Essi rappresentano la
struttura tipica dell’intestino, essendo presenti lungo tutto il suo decorso, seppur presentando alcune caratteristiche
diverse nei singoli tratti: in generale, hanno un aspetto conoide, ma a livello del duodeno e del digiuno hanno una
conformazione più appiattita e laminare. Possono raggiungere delle dimensioni piuttosto rilevanti, con una
lunghezza che va da 0,5 mm fio ad arrivare a 1,5 mm. L’epitelio dei villi e delle cripte, che prende il nome di epitelio
a orletto ospita diversi tipi cellulari che derivano dalle medesime cellule staminali.

Il principale tipo cellulare sono gli enterociti prismatici, che svolgono una funzione prevalentemente assorbente
(il cui polo apicale è rivestito da un tappeto di microvilli, orletto a spazzola, che aumenta enormemente la superficie)
intercalati dalle cellule mucipare caliciformi. Oltre a queste cellule sono presenti:

§ le cellule di Paneth, localizzate sul fondo della ghiandola intestinale, a secrezione sierosa (granuli acidofili
in posizione apicale, basofili in posizione basale, lisozima, defensine..);
§ le cellule chemosensoriali a spazzola (brush cells) che presentano un ciuffo di lunghi e rigidi microvilli.
§ le cellule del sistema APUD.

L’interno dei villi è costituito dal tessuto connettivo della lamina propria della mucosa, che contiene cellule
muscolari lisce per la cosiddetta pompa dei villi e un vaso sanguigno, vaso chilifero che origina a fondo cieco a
livello dell’apice del villo, percorre poi l’asse portandosi al plesso linfatico situato nella sottomucosa.

Nei villi conoidi, i vasi chiliferi hanno un aspetto rettilineo, mentre nei villi laminari tendono ad anastomizzarsi a
rete. All’interno dei vasi transita la gran parte degli acidi grassi a lunga catena e dei trigliceridi assorbiti dagli
enterociti; al loro interno, questi metaboliti sono complessati in chilomicroni che, mediante la circolazione linfatica,
raggiungono la cisterna del chilo, da cui origina il dotto toracico che poi riversa nell’angolo del tronco
brachiocefalico. Tale percorso evita che tali grassi siano portati dal circolo portale direttamente al fegato, dove un
loro accumulo potrebbe risultare pericoloso.

Tra i villi intestinali si aprono le cripte di Galeazzi-Liberkuhn, delle ghiandole intestinali tubulari semplici che
occupano la lamina propria della mucosa.

17. MACROSCOPICA E FRP DEL DUODENO

Il duodeno è la prima delle tre porzioni dell’intestino tenue, ha una lunghezza di 20-25 cm ed è, a differenza del
restante intestino tenue, per la maggior parte retroperitoneale. Si proietta a livello di L1-L3, prevalentemente a
destra della colonna vertebrale e presenta una forma a C disposta a circondare completamente la testa del pancreas.
Del duodeno si possono distinguere quattro porzioni:

I. BULBO DUODENALE (prima parte o parte superiore del duodeno), l’unica porzione intraperitoneale
del duodeno, e perciò anche la più mobile, lunga 5 cm; dal piloro si porta indietro, verso l’alto e a destra
fino ad arrivare al di sotto del fegato, in corrispondenza della colecisti, dove piega bruscamente formando
la flessura duodenale superiore (FDS); si rapporta:
- Anteriormente con la faccia viscerale del fegato,
- Posteriormente con il coledoco e la vena porta,
- Inferiormente con la testa del pancreas.

In corrispondenza del suo margine superiore, le due lamine peritoneali che hanno rivestito le facce anteriore e
posteriore dello stomaco, si accollano per formare la porzione epatoduodenale del piccolo omento. Il suo margine
destro, libero, delimita anteriormente il forame epiploico, che dà accesso alla borsa omentale.

II. PARTE DISCENDENTE (o seconda parte) del duodeno, retroperitoneale, di lunghezza 8-10 cm si porta
dalla FDS a livello di L3, dove forma una seconda curvatura, la flessura duodenale inferiore (FDI), a
destra della colonna vertebrale e anteriormente al rene dx.

Si rapporta:

- Anteriormente con il colon trasverso a cui è connessa dal legamento duodenocolico, con la cistifellea
e le anse del digiuno; è inoltre, incrociata dal mesocolon trasverso;
- Posteriormente con la loggia renale destra, a cui è connessa tramite il legamento duodenorenale, con
i rispettivi rene, vasi renali e l’uretere dx;
- Lateralmente con la faccia viscerale (lobo destro) del fegato, con la flessura colica destra (epatica) e
con il colon ascendente;
- Medialmente con il pancreas ed il coledoco.

Il coledoco e il condotto pancreatico principale si uniscono per sfociare a livello della parete mediale della seconda
porzione duodenale (formando un rilievo della tonaca mucosa, la papilla duodenale maggiore), confluendo prima
in una cavità comune, l’ampolla epato-pancreatica. Il condotto pancreatico accessorio (del Santorini) sfocia,
invece, più in alto, sempre nella parete mediale del duodeno, in corrispondenza della papilla duodenale minore.

III. PARTE ORIZZONTALE (o terza parte) del duodeno, retroperitoneale, ad eccezione della porzione che
corrisponde alla radice del mesentere e al passaggio dei vasi mesenterici, presenta un decorso di 10 cm da
destra verso sinistra, passa davanti alla colonna vertebrale (L3-L4), alla VCI e all’aorta, poi piega verso
l’alto, terminando, medialmente all’uretere destro, nella IV parte del duodeno.

È in rapporto:

- Anteriormente con la testa del pancreas ed il mesocolon trasverso;


- Inferiormente con le anse digiunali;
- Posteriormente con la VCI, l’uretere e il grande psoas dx;

IV. PARTE ASCENDENTE (o quarta parte) del duodeno, retroperitoneale, risale a sinistra della colonna
vertebrale e dell’aorta per 2,5 cm, fino al di sotto della radice del mesocolon trasverso. All’altezza di L2
piega bruscamente in avanti e in basso nella flessura duodeno-digiunale, fissata alla parete posteriore
dell’addome tramite il muscolo sospensore del duodeno (o legamento di Treitz) costituito, a seconda
dell’interpretazione, da muscolatura liscia della mucosa del duodeno o striata del diaframma.

È in rapporto:

- Medialmente con la testa del pancreas, vasi mesenterici superiori e l’aorta;


- Lateralmente con il margine mediale del rene sx e con l’arteria colica sx;
- Superiormente con il corpo del pancreas;
- Anteriormente con le anse intestinali e il mesocolon trasverso, che la separa dalla parete posteriore
dello stomaco.
18. MICROSCOPICA DEL DUODENO

La parete del duodeno è così strutturata:

• Tonaca mucosa, distinta in tre strati:


o Epitelio di rivestimento, cilindrico semplice di tipo assorbente, costituito, da due tipi cellulari principali:

§ gli enterociti, cellule alte e prismatiche, col nucleo basale e organelli membranosi concentrati nella
regione apicale, e la superficie apicale, sporgente nel lume, dotata di microvilli che nell’insieme
formano l’orletto striato (brush border)
§ le caliciformi mucipare (goblet cells), intervallate da una banda continua di enterociti (orletto striato),
con la base ristretta e la porzione apicale espansa per la presenza di granuli di mucinogeno e la
superficie dotata di microvilli, seppur più corti e meno numerosi rispetto agli enterociti.

Si trovano inoltre, cellule endocrine, cellule chemosensoriali (brush cells) e un numero variabile di linfociti
intraepiteliali (che producono soprattutto le IgA mucosali).

o Lamina propria di connettivo lasso, distinta in una porzione superficiale riccamente vascolarizzata che
forma l’asse dei villi intestinali, estroflessioni digitiformi della tonaca mucosa, e una porzione profonda
che contiene i tubuli ghiandolari delle cripte di Galeazzi-Liberkuhn e numerosi noduli linfatici
organizzati in centri germinativi.
o Muscolaris mucosae: sottile strato di muscolatura liscia, divisa a sua volta in uno strato circolare interno
e longitudinale esterno.
• Tonaca sottomucosa di connettivo lasso, che si solleva in pieghe circolari (o valvole conniventi di
Kerckring), presenti nei ¾ della circonferenza della parete intestinale, a partire dalla II porzione del duodeno;
qui si trova intercalato il plesso sottomucoso di Meissner, che regola la contrazione della muscolaris mucosae
e degli adenomeri ghiandolari della mucosa. A livello della sottomucosa sono presenti le ghiandole duodenali
(o sottomucose) di Brunner, tubulari composte a secrezione mucosa, che si aprono sul fondo delle ghiandole
intestinali di Galeazzi-Lieberkuhn.

La presenza di queste ghiandole esclusivamente a livello duodenale è funzionale:

o il muco da esse prodotto è particolarmente ricco di bicarbonato, utile per tamponare l’acidità del
chimo proveniente dallo stomaco;
o la loro presenza permette la distinzione tra il versante duodenale dal versante gastrico del piloro,
impercettibile se ci si basa sulle caratteristiche dei villi intestinali, facilmente confondibili con le
pliche gastriche, particolarmente alte e caratterizzate da un unico tipo cellulare costituente le
ghiandole piloriche.

• Tonaca muscolare caratterizzata da due strati di muscolatura liscia: uno circolare interno ed uno
longitudinale esterno, tra i quali, come al livello dell’esofago e dello stomaco, si trova intercalato il plesso
mioenterico di Auerbach, del quali sono visibili, in sezione, i gangli intercalati tra i due strati.
• Il duodeno è un organo prevalentemente retroperitoneale che presenta dunque, la tonaca avventizia; l’unica
porzione che risulta rivestito dalla tonaca sierosa peritoneale è il bulbo duodenale.

Il duodeno presenta però delle specificità rispetto alla struttura interna del resto dell’intestino tenue:

Ø il bulbo duodenale (I porzione) si caratterizza per la parete liscia priva di pliche circolari (o valvole
conniventi di Kerckring), che iniziano ad essere presenti a circa 5 cm dall’orifizio pilorico, distribuite nei ¾
della circonferenza della parete, numerose e molto ravvicinate tra loro. Si formano per ripiegamento della
tonaca mucosa e della sottomucosa, aumentando così la superficie di circa 1,5.
Ø la presenza delle cellule enterocromaffini, tra cui di maggiore rilevanza si evidenziano:

• le cellule S: che producono la secretina stimolante la secrezione esocrina del pancreas;


• le cellule I: che producono la colecistochinina (o pancreozinina), che a sua volta stimola la motilità
della cistifellea e delle vie biliari, e induce la secrezione delle cellule centroacinose del pancreas.
19. MICROSCOPICA DEL DIGIUNO E ILEO

Specificità del digiuno:

§ Nel cadavere è sempre vuoto (digiuno);


§ Parete interna tappezzata da numerose pliche circolari di Kerckring molto ravvicinate tra loro.
§ Villi intestinali laminari.

Specificità dell’ileo:

§ Pliche circolari molto basse e distanziate;


§ Villi intestinali conoidi più bassi;
§ Vasi linfatici del villo organizzati a rete anastomotica;
§ Maggior numero di cellule caliciformi mucipare in senso prossimo-distale.

Nella lamina propria dell’ileo, sul versante opposto rispetto all’inserzione del mesentere, si trovano le placche di
Peyer, gruppi di voluminosi noduli linfatici, in cui il tessuto linfoide è organizzato in follicoli con centri germinativi.

Le placche sono rivestite dalle cellule M (microfolds cells) riconoscibili per la presenza di micropieghe sul versante
apicale, dotate di invaginazioni citoplasmatiche profonde che creano degli incavi extracitoplasmatici, al cui interno
si posizionano le cellule immunitarie, a diretto contatto col lume intestinale.

20. CIECO E RAPPORTI CON IL PERITONEO

Il cieco costituisce la porzione sacciforme iniziale dell’intestino crasso, ha una lunghezza di 6 cm e un diametro di
7,5 cm circa. E’ situato nella fossa iliaca destra e la sua proiezione superficiale descrive una superficie triangolare
delimitata dal piano laterale destro, dal piano trans-tubercolare e dal legamento inguinale.

L’ileo terminale è separato dal cieco tramite la valvola (o sfintere del Busi) ileocecale, che, da un punto di vista
strutturale, appare in vivo come un’invaginazione dell’ileo nel cieco, da cui il nome di papilla ileale, di cui ciascun
labbro è formato da un adoppia tonaca mucosa con all’interno uno strato di sottomucosa e due strati muscolari, uno
di pertinenza dell’ileo e l’altro del cieco. Post mortem i due labbri si distinguono chiaramente e appaiono separati
dall’orifizio o fessura che si riuniscono alle estremità formando le due commissure della valvola che si continuano
in due frenuli (o lamine) dell’orificio ileale.

Dopo aver ricevuto lo sbocco dell’ileo in corrispondenza della sua parete mediale, termina inferiormente a fondo
cieco, da cui il nome, e continua in alto con il colon ascendente, dal quale è separato da due solchi superficiali che
dalle facce anteriore e posteriore dell’ileo si portano, rispettivamente alle tenie libera (o anteriore) ed epiploica
(omentale o postero-laterale) del colon.

Dal fondo del cieco protende una sporgenza diverticolare di forma tubulare e lunghezza variabile (2-20 cm) che
termina a fondo cieco.

I rapporti del cieco col peritoneo sono molto variabili:

a) in alcuni casi ne è completamente rivestito: cieco libero. In questi casi si vengono a creare dei recessi
peritoneali retrocecali tra la fossa iliaca e la faccia posteriore del cieco rivestito da peritoneo;
b) in altri casi il cieco si trova in sede retroperitoneale: cieco fisso in quanto risulta fissato alla parete
addominale posteriore; la sua faccia posteriore poggia direttamente sulla fossa iliaca destra, sui muscoli
iliaco e grande psoas.
c) a volte la situazione è intermedia: il peritoneo viscerale si riflette in quello parietale in corrispondenza della
faccia posteriore del cieco ad altezza variabile.

Sopra e sotto lo sbocco dell’ileo, dietro alle due pieghe peritoneali, plica vascolare del cieco e plica ileocecale, si
trovano rispettivamente: recesso ileo-cecale superiore e recesso ileo-cecale inferiore.

Sul versante anteriore il cieco è in contatto con la parete addominale anteriore tramite l’interposizione del grande
omento o delle anse intestinali.
21. MACROSCOPICA E VASCOLARIZZAZIONE DEL COLON E IL SUO RAPPORTO COL
PERITONEO

Sopra lo sbocco dell’ileo, il cieco continua con la porzione ascendente del colon (lunghezza di 12-15 cm) che si
dirige in alto, nell’ipocondrio destro raggiunge la faccia inferiore del fegato (su cui lascia un’impronta) e piega
verso sinistra formando la flessura colica destra (o epatica). Si trova in sede retroperitoneale ed è in rapporto:

- Anteriormente con le anse intestinali e il grande omento; è incrociato dai nn. ileoipogastrico e ileoinguinale;
- Posteriormente con il mm iliaco, quadrato dei lombi e trasverso dell’addome e con la faccia inferiore della
faccia anteriore del rene destro;
- Lateralmente con la parete addominale laterale, insieme alla quale delimita il recesso paracolico destro;
- Medialmente con il muscolo grande psoas, con le anse dell’intestino tenue, con l’uretere e i vasi
testicolari/ovarici destri; la faccia mediale racchiude, inoltre, lo spazio mesenteriocolico destro.

Il colon ascendente è avvolto dal peritoneo nelle sue facce anteriore, laterale e mediale (si trova, dunque, in sede
retroperitoneale), ma risulta sprovvisto di rivestimento sieroso nella sua faccia posteriore, con cui aderisce
direttamente al tessuto connettivo che ricopre la parete addominale posteriore.

Il peritoneo viscerale abbandona le facce laterale e mediale del colon ascendente continuando nel peritoneo parietale
tappezzando le pareti posteriore e laterale dell’addome.

La vascolarizzazione arteriosa del colon fa capo alle due arterie mesenteriche, i cui rami formano una serie di arcate
anastomotiche che vanno a irrorare la maggior parte dell’intestino crasso.

L’arteria colica sx (ramo della mesenterica inferiore) con il suo ramo ascendente, percorre la
flessura splenica e lungo il colon trasverso va ad anastomizzarsi con l’altro ramo, sinistro, della
colica media. Si crea così, un’anastomosi fra la mesenterica superiore e la mesenterica inferiore,
chiamata arcata di Riolano:
L’a. colica dx si anastomizza tramite il suo ramo ascendente con un ramo destro della colica
media. Si crea così un’anastomosi tra i rami dell’arteria mesenterica superiore.

Nella vascolarizzazione del colon si trova anche l’arcata di Drummond (o arteria marginale), che indica l’ultima
arcata derivante dalle modalità di ramificazione della mesenterica superiore e mesenterica inferiore, da cui poi
dipartono le arterie rette che vascolarizzano la parete del colon, il cieco e l’appendice.

Il drenaggio venoso fa capo al circolo portale mediante un disordinato plesso venoso, localizzato in sede
retroperitoneale, che scarica nelle vene mesenteriche superiore e inferiore, rami diretti della VP.

22. FLESSURA COLICA DX O FLESSURA EPATICA

La flessura colica destra è un segmento del colon situato nell’ipocondrio destro, compreso fra il colon ascendente e
il colon trasverso. Appare come un angolo acuto che si apre medialmente, in avanti e in basso. Si rapporta:

- Anteriormente con la cistifellea e con la faccia viscerale o inferiore del lobo destro del fegato, sulla quale lascia
l’impronta colica;
- Posteriormente con la parte inferiore della faccia anteriore dl rede destro e con la parte discendente del duodeno.

Il peritoneo riveste completamente la flessura epatica e, tramite un corto meso che corrisponde all’estremità destra
del mesocolon trasverso, raggiunge la parete posteriore dell’addome dove continua nella tonaca sierosa parietale.

La flessura risoluta, inoltre, ben fissata alle strutture vicine grazie alla presenza di alcuni legamenti che la uniscono:

• Alla faccia inferiore del fegato (legamento epatocolico);


• Alla faccia inferiore della cistifellea (legamento colecistocolico);
• Al diaframma (legamento frenocolico destro).
23. MACROSCOPICA DEL COLON TRASVERSO

Il tratto di intestino crasso compreso tra la flessura colica destra e la flessura colica sinistra (splenica) è il colon
trasverso, il cui decorso (50 cm) curvilineo presenta una concavità posteriore verso l’alto. Dall’ipocondrio destro,
questa porzione del colon, intraperitoneale, discende nella parte superiore del mesogastrio, risalendo infine
nell’ipocondrio sinistro. Anche in questa porzione si distinguono le tenie libera, mesocolica ed epiploica.

Il colon trasverso:

- Anteriormente è ricoperto dal grande omento che vi prende l’inserzione a livello della tenia epiploica;
- Posteriormente prende rapporto con la faccia anteriore del rene destro, con la parte ascendente del duodeno,
con la testa del pancreas e con la faccia anteriore del rene sinistro;
- Superiormente è in rapporto con la faccia viscerale o inferiore del lobo destro del fegato, con la cistifellea
e con lo stomaco; Tra la grande curvatura dello stomaco e il colon trasverso è teso il legamento
gastrocolico, nel cui spessore rientrano i vasi gastroepiploici.
- Inferiormente è in rapporto con le anse intestinali.

Il colon trasverso è completamente rivestito dal peritoneo e connesso alla parete posteriore dell’addome da un’ampia
piega della sierosa, il mesocolon trasverso, che, dalla parete posteriore de colon trasverso raggiunge la parete
posteriore dell’addome secondo una linea obliqua da sinistra a destra e dall’alto in basso (radice del mesocolon),
ovvero la zona in cui le due lamine del mesocolon trasverso continuano nel peritoneo parietale.

24. FRP DEL COLON SIGMOIDEO

Il colon sigmoideo, detto anche ileopelvico, deve il suo nome alla forma che ricorda la lettera S.

In base al suo decorso (38 cm), in sede intraperitoneale, viene generalmente diviso in tre porzioni:

1) Tratto iliaco, corrispondente del cieco, situato nella fossa iliaca sinistra;
2) Tratto che attraversa la cavità pelvica, portandosi dalla cresta iliaca sinistra fino al margine mediale del m.
grande psoas, forma una curva con concavità rivolta in alto e medialmente. Si rapporta posteriormente con il
m. ileopsoas e sugli altri versanti con le anse intestinali che quasi lo avvolgono.
3) Tratto pelvico, decorre con direzione latero-mediale nella piccola pelvi; addossandosi alla parete posteriore, si
dirige verso il basso, raggiunge il diaframma pelvico applicandosi dapprima alla parete sinistra della piccola
pelvi, portandosi poi in alto con un’ampia curva rivolta in alto e all’indietro. Giunto così alla parete destra della
piccola pelvi, ripiega indietro e in dentro raggiungendo la linea mediana e discendendo fino alla terza vertebra
sacrale, dove termina nel retto.

Alcuni rapporti del colon variano in base al sesso.

Nella femmina il colon, in particolare il tratto pelvico, contrae rapporto con l’utero e i legamenti larghi
dell’utero, raggiungendo il cavo rettouterino.
Nel maschio il tratto pelvico è in rapporto: con la vescica e si porta inferiormente nel cavo rettovescicale.

In entrambi i sessi, il colon si rapporta con l’uretere sinistro e i vasi iliaci comuni (arteria e vena sinistre), oltre a
poggiare, posteriormente, sulla faccia ventrale dell’osso sacro.

Il colon sigmoideo è completamente rivestito dal peritoneo: la prima parte è fissata alla parete posteriore
dell’addome, come il colon discendente, mentre la porzione restante risulta più mobile in quando connessa alle
pareti pelviche dal mesosigma (mesocolon sigmoideo o ileopelvico), nel cui spessore decorre l’ultimo tratto dell’a.
mesenterica inferiore che provvede all’irrorazione del sigma stesso.

25. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA INTESTINO CRASSO

L’intestino crasso è lungo circa 1,5-1,8 m e si estende dalla zona terminale dell’ileo, a livello della valvola ileo-
cecale, fino al canale anale. Si trova in sede intraperitoneale e, nella porzione infracolica, circonda le anse
dell’intestino tenue. Viene suddiviso in quattro porzioni, ciascuna delle quali presenta una struttura della parete che
segue uno schema generale, seppur con alcune caratteristiche individuali:
1) CIECO, con l’appendice vermiforme;
2) COLON (ascendente-trasverso-discendente-sigmoideo): tutta la lunghezza del colon è percorsa da fascetti
di muscolatura longitudinale, le TENIE, frammentate esternamente da dei solchi che, sulla superficie
interna, corrispondono a dei rilievi detti pieghe semilunari del colon. Attorno alle tenie si osservano dei
piccoli depositi adiposi, le appendici epiploiche, con funzione ancora sconosciuta.

Ai solchi esterni, corrispondono delle bombature (o gibbosità) del canale che, internamente, determinano le
haustre, delle evaginazioni o tasche nella parete. Le pieghe semilunari e le haustre si formano perchè le tenie sono
più brevi della lunghezza del colon. (il colon in tensione si ripiega a guisa di fisarmonica).

3) RETTO;
4) CANALE ANALE.

La parete interna dell’intestino crasso è così strutturata:

• Tonaca mucosa, mostra notevoli differenze rispetto a quella dell’intestino tenue: in primo luogo, è liscia, non
presentando villi intestinali; è distinta in:
o Epitelio di rivestimento, cilindrico semplice, costituito da due tipi principali:
1) Le cellule assorbenti non presentano l’orletto striato tipico degli enterociti dell’intestino tenue,
ma solo corti e radi microvilli.
2) Le cellule caliciformi mucipare, molto più numerose rispetto all’intestino tenue, possono essere
l’elemento prevalente.
3) poche cellule di Paneth, localizzate al fondo dei tubuli ghiandolari;
o Lamina propria di connettivo lasso che accoglie i tubuli ghiandolari e numerosi noduli linfatici.
o Muscolaris mucosae: sottile strato di muscolatura liscia, divisa a sua volta in uno strato circolare interno
e longitudinale esterno.
• Tonaca sottomucosa di connettivo lasso, in cui si trova intercalato il plesso sottomucoso di Meissner, che
regola la contrazione della muscolaris mucosae e degli adenomeri ghiandolari della mucosa. Presenta caratteri
analoghi alla sottomucosa dell’intestino tenue.
• Tonaca muscolare caratterizzata da due strati di muscolatura liscia: uno strato circolare interno di spessore
cospiquo ed uno longitudinale esterno sottile, che non si dispone in una lamina continua come nel tenue, ma
si raggruppa (si ispessisce) a livello delle tenie coli (TC); qui si trova intercalato il plesso mioenterico di
Auerbach.
• Tonaca sierosa incompleta in alcune parti del crasso, dove viene sostituita dalla tonaca avventizia. Lungo le
tenie sono presenti delle appendici epiploiche, da considerarsi sdoppiamenti della lamina peritoneale ripieni
di tessuto adiposo.

26. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA APPENDICE

L’appendice vermiforme (cecale) è un tratto del canale digerente (di lunghezza variabile 2-20 cm) che origina dalla
porzione terminale postero-mediale del cieco, terminando con un’estremità libera a fondo cieco. Si tratta di una
sporgenza diverticolare cava con un lume sottile (6-8 mm), la cui posizione è soggetta a una certa variabilità
anatomica:

- Nel 64% dei casi si trova in sede retroperitoneale, dietro al cieco;


- Nel 32% dei casi si trova in sede intraperitoneale, sporgente verso il basso nella piccola pelvi;
- Nel 0,5% dei casi si porta al di dietro dell’ultima ansa ileale.

Qualunque posizione e orientamento assuma, il suo orifizio generalmente proietta sulla parete anteriore dell’addome
nel punto di McBurney (tra l’1/3 laterale e i 2/3 mediali della linea che congiunge l’ombelico alla SIAS dell’anca)
o nel punto di Lanz (tra l’1/3 laterale e i 2/3 mediali della linea che congiunge le due SIAS).

Differisce dal resto del crasso:

- per la presenza di moltissimi noduli linfatici (tipici delle tonsille) nella lamina propria, che possono
sprofondare nella sottomucosa (soprattutto durante l’infiammazione acuta dell’appendicite);
L’appendicite è dovuta all’occlusione del lume, di per sé molto sottile, a cui segue l’accumulo di materiale
mucopurulento all’interno del viscere. In questo caso la perforazione della parete dell’appendicite è molto comune
e determina un quadro di peritonite acuta.

- per la continuità e uno spessore rilevante dello strato di muscolatura longitudinale, non essendo
organizzato a formare le tenie.

Per quanto riguarda le altre caratteristiche delle tonache, queste non si discostano dallo schema generale delle
tonache del crasso:

• Tonaca mucosa, mostra notevoli differenze rispetto a quella dell’intestino tenue: in primo luogo, è liscia, non
presentando villi intestinali; è distinta in:
o Epitelio di rivestimento, cilindrico semplice, costituito da due tipi principali:
4) Le cellule assorbenti non presentano l’orletto striato tipico degli enterociti dell’intestino tenue,
ma solo corti e radi microvilli.
5) Le cellule caliciformi mucipare, molto più numerose rispetto all’intestino tenue, possono essere
l’elemento prevalente.
6) poche cellule di Paneth, localizzate al fondo dei tubuli ghiandolari;
o Lamina propria di connettivo lasso che accoglie i tubuli ghiandolari e numerosi noduli linfatici.
o Muscolaris mucosae: sottile strato di muscolatura liscia, divisa a sua volta in uno strato circolare interno
e longitudinale esterno.
• Tonaca sottomucosa di connettivo lasso, in cui si trova intercalato il plesso sottomucoso di Meissner, che
regola la contrazione della muscolaris mucosae e degli adenomeri ghiandolari della mucosa. Presenta caratteri
analoghi alla sottomucosa dell’intestino tenue.
• Tonaca muscolare caratterizzata da due strati di muscolatura liscia: uno strato circolare interno di spessore
cospiquo ed uno longitudinale esterno sottile, una lamina continua come nel tenue, a differenza del resto del
crasso in cui si si raggruppa (si ispessisce) a livello delle tenie coli (TC); qui si trova intercalato il plesso
mioenterico di Auerbach.
• Tonaca sierosa se in sede intraperitoneale, avventizia se retroperitoneale.

27. FRP RETTO E ANO

Il retto inizia a livello di S3 e discende sulla faccia anteriore dell’osso sacro. Nel suo decorso (di circa 15-17 cm) presenta
un andamento serpeggiante, effettuando curve sia sul piano sagittale che su quello frontale. Nell’intestino retto si
distinguono:

I. la prima PORZIONE del retto, in continuità col sigma, definita PELVICA, che attraversa la cavità omonima
da S3 fino all’inserzione della parte pubo-rettale del muscolo elevatore dell’ano sulla sua parete. Ha una sezione
di 4 cm ed è più dilatata rispetto alla seconda porzione. In questa porzione si distingue la flessura sacrale
convessa posteriormente.
II. AMPOLLA RETTALE: seconda porzione, più ristretta, della prima, localizzata in sede perineale (triangolo
anale) e denominata perciò porzione perineale che si restringe a formare il canale anale, lungo circa 4 cm. In
questa porzione si distingue la flessura ano-rettale o perineale.

Il punto di giunzione tra le due curvature corrisponde alla GIUNZIONE ANORETTALE, localizzata inferiormente ad
una distanza di 3-4 cm in avanti all’apice del coccige.

Nel maschio posteriormente all’apice della prostata;


Nella femmina a livello di 1/3 medio della parete vaginale.

Lo sbocco esterno del canale si chiama ano (od orifizio anale) e si trova nel perineo posteriore, circa 3 cm davanti al
coccige. Quanto è dilatato presenta un contorno circolare, mentre normalmente si distinguono due labbra, destro e sinistro,
che formano una commessura anteriore e una posteriore. La cute che circonda l’ano forma piccole pieghe radiate che
scompaiono con la dilatazione. Tale area è pigmentata e vi si riscontrano formazioni pilifere (peli perianali) più
abbondanti nel sesso maschile. Qui si aprono, inoltre, gli sbocchi delle ghiandole sudoripare apocrine deputate alla
produzione di feromoni.
28. MICROSCOPICA RETTO

Il retto rappresenta l’ultimo tratto dell’intestino crasso e inizia a livello di S3 e discende sulla faccia anteriore
dell’osso sacro. Nel suo decorso (di circa 15-17 cm) presenta un andamento serpeggiante, effettuando curve sia sul
piano sagittale che su quello frontale. Il retto è privo di haustre, delle appendici epiploiche e delle tenie che
caratterizzano l’intestino crasso. Oltre allo strato muscolare longitudinale continuo, non organizzato in tenie, e una
maggiore presenza di cellule caliciformi mucipare nell’epitelio superficiale la struttura interna della parete del
retto per il resto corrisponde a quella delle restanti porzioni dell’intestino crasso:

• Tonaca mucosa, distinta in tre strati:


o Epitelio di rivestimento, cilindrico semplice di tipo assorbente;
o Lamina propria di connettivo lasso, riccamente vascolarizzata che contiene i tubuli ghiandolari e
numerosi noduli linfatici.
o Muscolaris mucosae: sottile strato di muscolatura liscia, divisa a sua volta in uno strato circolare interno
e longitudinale esterno.
• Tonaca sottomucosa di connettivo lasso, in cui si trova intercalato il plesso sottomucoso di Meissner, che
regola la contrazione della muscolaris mucosae e degli adenomeri ghiandolari della mucosa.

Nella porzione prossimale del retto, fino alla zona di transizione anale, la tonaca muscolare, più spessa rispetto al
resto del colon, caratterizzata da due strati di muscolatura liscia: uno strato circolare interno di spessore cospiquo
ed uno longitudinale esterno in cui si trova intercalato il plesso mioenterico di Auerbach.

Più distalmente, si trova il muscolo sfintere interno (liscio-involontario) dell’ano, un vero e proprio sfintere
anatomico, caratterizzato da un’intima compenetrazione di fasci muscolari dei due strati. In particolare, fasci
provenienti dallo strato longitudinale attraversano lo strato circolare ispessitosi, portandosi sotto il piano della
tonaca sottomucosa, verso il lume dell’organo. Ciò si verifica a partire dai seni anali e perciò, a livello dell’anello
emorroidario, la muscolatura liscia risulta disposta in tre strati. Nella stessa zona, allo strato longitudinale
esterno, pervengono fasci di fibre muscolari striate del muscolo elevatore dell’ano che si frammettono ai fasci di
fibre muscolari lisce.

Inferiormente, la tonaca muscolare si mette in rapporto con il muscolo sfintere esterno dell’ano (striato-volontario),
in cui si distinguono una parte superficiale, una parte profonda e una parte sottocutanea.

• Tonaca sierosa nella porzione più prossimale/avventizia nella porzione più distale.

29. CONFIGURAZIONE INTERNA DEL RETTO E ANO

La superficie esterna dell’ampolla rettale presenta, lateralmente, dei solchi ai quali, internamente, corrispondono
delle pieghe trasversali di forma semilunare (superiore, intermedia di Kohlrausch ed inferiore) sporgenti nel
lume, alla cui costituzione prendono parte la tonaca mucosa, la sottomucosa e la muscolare. La piega intermedia
di Kohlrausch, in particolare, è la più grande e proviene da destra, si trova ad una distanza di circa 6 cm dall’ano e
corrisponde nella donna al punto più basso della cavità peritoneale (cavo retto-uterino). Sono presenti anche delle
pieghe longitudinali, che però scompaiono a causa della distensione della mucosa quando il retto si riempie.

Il canale anale ha una configurazione più complessa: presenta 6-12 rilievi longitudinali che si trovano al di sopra
dell’ano, chiamati colonne anali del Morgagni, che iniziano in basso con una base slargata e terminano in alto
assottigliandosi, dopo un decorso di circa 1 cm. La linea pettinata (o dentata) è formata da pieghe trasversali che si
trovano tra le basi delle colonne anali e presentano un margine libero concavo, volto in alto, una faccia parietale
concava e una faccia assiale convessa. Queste formazioni, valvole anali, delimitano i seni anali che appaiono come
delle tasche in cui sboccano le ghiandole anali.

In corrispondenza e al di sotto della linea pettinata, si trova l’anello emorroidario, che appare come una zona
caratterizzata da rilievi arrotondati, dati dalla presenza del plesso venoso rettale o emorroidario situato nella
sottomucosa, il quale può dilatarsi e sporgere nel lume (emorroidi).
L’1/3 medio del canale anale è detto pettine anale (zona di transizione o pecten) e si estende dalla linea pettinata
al solco intersfinterico (linea bianca di Hilton), che segna il passaggio dal margine inferiore del muscolo sfintere
interno dell’ano alla parte sottocutanea del muscolo sfintere esterno dell’ano, a cui corrisponde la linea anocutanea,
in cui l’epitelio pavimentoso stratificato cambia da quello dell’anoderma, privo di peli, a quello proprio della cute.

Lo sbocco esterno del canale anale è chiamato ano e si trova nel perineo posteriore, circa 3 cm davanti al coccige.
Quando è dilatato ha un contorno circolare, mentre in condizioni normali presenta un labbro destro e un labbro
sinistro che formano una commessura anteriore e una posteriore. La cute che circonda l’ano (cute anale) forma
piccole pieghe radiate che scompaiono con la dilatazione. Tale area è pigmentata e vi si riscontrano formazioni
pilifere (peli perianali), più abbondanti nel sesso maschile. In tale area si aprono gli sbocchi delle ghiandole della
cute anale (o circumanali) che presentano la struttura delle ghiandole sudoripare apocrine, deputate alla
produzione di feromoni.

30. MICROSCOPICA DELLA GIUNZIONE ANO-RETTALE

La giunzione anorettale segna il passaggio del retto al canale anale, ed è situata in corrispondenza della porzione
superiore delle colonne anali di Morgagni, dove la mucosa del retto, organizzata in strati (mucosa con l’epitelio
cilindrico semplice assorbente, sottomucosa, muscolare e avventizia/sierosa) viene sostituita dalla mucosa irregolare
del canale anale.

Nella regione delle colonne anali, la mucosa del canale anale risulta rivestita in parte da un epitelio cilindrico
semplice e in parte da un epitelio pavimentoso non cheratinizzato. In direzione anale si trova una zona di
transizione, che assume un colore biancastro ed è rivestita esclusivamente da un epitelio pavimentoso stratificato
non cheratinizzato.

La zona di transizione termina in corrispondenza della linea anocutanea (solco intersfinterico o linea bianca di
Hilton), dove l’epitelio inizia a mostrare segni di cheratinizzazione, passando poi all’epitelio pavimentoso
pluristratificato cheratinizzato e infine alla cute vera e propria, epidermide corneificata con i relativi annessi
cutanei, quali peli, ghiandole sebacee e ghiandole sudoripare circumanali.

31. SUPERFICIE VISCERALE DEL FEGATO E RAPPORTO DELLA STESSA COL PERITONEO

La superficie viscerale (o postero-laterale) deve il suo nome al suo rapporto con i visceri della cavità addominale;
si porta obliquamente verso sinistra da dietro in avanti e dall’alto in basso (la direzione è complementare a quella
della piccola curvatura dello stomaco) e contrae i rapporti con gli organi adiacenti. E’ una superficie concava che
nel fegato fissato è percorsa da numerosi solchi ed impronte a testimonianza di questi rapporti. (nel fegato in vivo,
la superficie è liscia).

In questa superficie sono riconoscibili tutti i lobi del fegato: sinistro, destro, caudato e quadrato, che risultano
suddivisi da:

- Solco sagittale destro, diviso, anteriormente, in fossa cistica, che accoglie la cistifellea, e, posteriormente,
nella fossa della vena cava, che accoglie la VCI, e che arriva fino al margine posteriore del fegato. Le due
fosse sono separate dal processo (o tubercolo) caudato, una porzione del parenchima epatico che
rappresenta l’estensione del lobo omonimo.
- Solco sagittale sinistro, la cui porzione anteriore è occupata dal legamento rotondo del fegato, mentre la
posteriore dal legamento venoso.
- Solco trasverso, che corrisponde all’ilo del fegato, zona di entrata del peduncolo epatico (vena porta, arteria
epatica, coledoco, dotto epatico comune e dotto cistico).

In ciascun lobo, si riconoscono le seguenti impronte:

Sul lobo destro:


§ Impronta colica, disposta anteriormente, dovuta al rapporto con la flessura colica destra (epatica)
§ Impronte renale e surrenale, poste posteriormente, formate da rene e ghiandola surrenali destri
§ Impronta duodenale, in posizione intermedia, lasciata dalla porzione discendente del duodeno.
Sul lobo sinistro:
§ Impronta gastrica, dovuta allo stretto rapporto con un’ampia porzione dello stomaco;
posteriormente alla quale è visibile il tubercolo omentale.
§ Impronta esofagea, posta posteriormente alla gastrica, dovuta alla porzione addominale
dell’esofago.
Lobo quadrato:
§ Impronta pilorica, dovuta al contatto con la parte pilorica dello stomaco e con il bulbo duodenale.
§ Fossa cistica, che accoglie la colecisti.
Lobo caudato non presenta delle impronte rilevanti, ma, situato nella borsa omentale, contrae rapporto con
la vena cava inferiore e col pilastro destro del diaframma e presenta due processi, papillare e caudato.

Il fegato è quasi completamente rivestito dal peritoneo, ad eccezione dell’area nuda sul margine posteriore e della
fossa cistica della superficie viscerale. Dopo aver rivestito la faccia viscerale del fegato, il peritoneo sotto il margine
inferiore del legamento coronario, si riflette sulla parete addominale posteriore, in corrispondenza del rene e surrene
di destra, creando così il legamento epatorenale e la tasca di Morrison (o recesso epatorenale della cavità
peritoneale) i cui si può accumulare del liquido provocando l’ascite.

32. ANATOMIA MACROSCOPICA DELLE VIE EXTRAEPATICHE

Le vie biliari extraepatiche si scaricano nella via biliare principale, il cui asse è formato dai dotti epatici destro e
sinistro, risultanti dalla fusione di due o tre dotti biliari intraepatici maggiori, che emergono in corrispondenza
del solco trasverso della faccia viscerale del parenchima epatico, e si uniscono nel dotto epatico comune a livello
dell’ilo del fegato, a 1,5 cm dal solco trasverso, in prossimità e anteriormente al margine destro della vena porta
quando questa entra nell’ilo epatico.

§ Il dotto epatico comune, di lunghezza 2-3 cm e un calibro medio di 5 mm, è compreso all’interno del
legamento epatoduodenale, e si estende sino al punto di unione con il dotto cistico, proveniente dalla
cistifellea (via biliare accessoria), originando così il dotto coledoco che si porta, infine, al duodeno.

Nell’ilo del fegato, il dotto epatico comune è situato a destra e anteriormente rispetto all’arteria epatica propria e al
davanti della vena porta. Posteriormente, la sua origine è incrociata dal ramo destro dell’arteria epatica propria,
mentre sul lato destro è affiancato dal dotto cistico per un tratto di circa 1,5-2 cm. Anteriormente è in rapporto con
il lobo quadrato ed è spesso circondato da linfonodi satelliti.

§ Il dotto coledoco, lungo circa 6-8 cm e di calibro medio di 4-6 mm, è diviso in quattro porzioni:
1. Sopraduodenale (1-1,5 cm), che decorre all’interno del legamento epatoduodenale, unitamente
agli altri elementi del peduncolo epatico, dall’alto in basso e in senso latero-mediale,
successivamente, fino alla faccia posteriore della parte superiore del duodeno. In questo tratto si
trova in posizione antero-laterale rispetto alla vena porta, costeggiato dall’arteria epatica e
circondato da un plesso vascolare epicoledocidico, da linfonodi e rami nervosi.
2. Retroduodenale (2,5 cm), che si porta in avanti e verso destra fino al limite superiore della testa
del pancreas, decorrendo dietro alla prima parte del duodeno. In tale tratto il dotto coledoco perde
il rapporto con la vena porta, sostituito dalla VCI, ed è incrociato dall’arteria gastroduodenale.
3. Pancreatico (2,5 cm), situato in una doccia sulla faccia posteriore della testa del pancreas, che
descrive una curva a concavità postero-mediale per raggiungere la parte discendente del duodeno.
In questa porzione, è incrociato, anteriormente dall’arteria pancreatica superiore posteriore e
posteriormente dal dotto pancreatico accessorio (di Santorini);
4. Intramurale (1,5 cm), che attraversa la parete mediale della parte discendente del duodeno, dove
si unisce al dotto pancreatico maggiore (di Wirsung) nell’AMPOLLA EPATOPANCREATICA
(o duodenale di Vater) e sbocca nella papilla duodenale maggiore (sfintere di Oddi).

§ Il dotto cistico, di lunghezza 3-4 cm, decorre all’interno della pars tensa del piccolo omento (leg.
epatoduodenale) e si estende dal collo della cistifellea sino alla confluenza con il dotto epatico comune,
dando origine al coledoco.
33. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELLA COLECISTI

La colecisti (o cistifellea) è un organo muscolo-membranoso cavo piriforme, lungo da 8 a 12 cm e largo da 3 a 4


cm, che può contenere fino a 40-70 mL di bile. E’ collocata nella fossa cistica sulla faccia viscerale del fegato ed è
connessa all’apparato escretore biliare, la cui funzione consiste nell’accumulo, contenimento e concentrazione della
bile. Della cistifellea si riconoscono:

• FONDO, rivestito completamente dal peritoneo viscerale, in rapporto:


o Postero-inferiormente con il colon trasverso;
o Anteriormente con la parete anteriore dell’addome all’altezza del punto di Murphy (punto di incontro
del margine laterale del muscolo retto dell’addome e della X costa.

• CORPO, la cui faccia superiore è in rapporto con la fossa cistica e con il parenchima epatico tramite
l’interposizione di uno strato di connettivo lasso contenete il gruppo cistico delle vene porte accessorie; la faccia
inferiore libera e convessa risulta, invece, coperta interamente dal peritoneo, poggiando sulla seconda porzione
duodenale o sulla metà destra del colon trasverso.

In alcuni casi, il peritoneo può estendersi a formare il mesocisto, in altri dare luogo al legamento
colecistoduodenocolico, che collega la cistifellea al duodeno ed alla flessura epatica.

• Infundibolo o TASCA DI HARTMANN, porzione affusolata del corpo che continua con il collo della colecisti;
• COLLO, che forma con il corpo un angolo acuto in cui si trova il linfonodo cistico. Il collo della colecisti
presenta un decorso sinusoidale e termina nel dotto cistico (che decorre per 3-4 cm all’interno del legamento
epatoduodenale e si estende dal collo della cistifellea sino alla confluenza con il dotto epatico comune, dove
prende origine il dotto coledoco); inoltre, è in rapporto:
o Medialmente con gli elementi del peduncolo epatico;
o Inferoposteriormente con la parete superiore del duodeno.

Dal punto di vista della struttura della parete, la colecisti presenta:

§ La tonaca mucosa sollevata in pliche (o rughe) che determinano recessi e diverticoli irrregolari che le
conferiscono un aspetto labirintico, soprattutto quando l’organo è vuoto. Quando si riempie tendono ad
appiattirsi e rimanere solamente a livello del collo. Le rughe sono caratterizzate da:
un epitelio colonnare semplice, con cellule strettamente connesse da giunzioni occludenti e ricche di
microvilli nella porzione apicale, adibite all’assorbimento di acqua e di soluti contenuti nella bile.
una lamina propria che costituisce l’asse connettivo delle stesse.

A livello della mucosa si riscontrano, inoltre, delle invaginazioni, i seni di Rokitansky-Ashoff, che possono
invadere anche la tonaca muscolare sottostante, rappresentando un potenziale luogo di accumulo di batteri che
provocano un’infiammazione cronica e che potrebbero essere responsabili della formazione dei calcoli biliari.

§ Tonaca muscolare costituita dalla muscolatura liscia, le cui fibrocellule sono intervallate da fibre elastiche,
organizzata in tre strati, dall’interno verso l’esterno: circolare-spirale; obliquo, longitudinale.
§ Tonaca avventizia, costituita da tessuto connettivo, che poggia in parte sul connettivo sottosieroso del
peritoneo viscerale che riveste una parte della cistifellea, e in parte sulla superficie inferiore del fegato.

34. FPR FEGATO

Il fegato è la più voluminosa ghiandola extraparietale ed il più grande organo parenchimatoso del corpo umano. La
forma ricorda quella di un ovoide al quale è stata asportata la porzione inferiore sinistra, con un piano di sezione
obliquo orientato inferioposteriormente e a destra. Presenta un diametro trasverso di 26-28 cm, anteroposteriore
di 16-17 cm e verticale di circa 8 cm nel punto di massima altezza, nel lobo destro.

Presenta un peso che varia in base al sesso e va dai 1900-2300g nel maschio a 1800-2100g nella femmina, di cui
400-800g sono rappresentati dal sangue perfuso. Presenta una colorazione rosso-brunastra a causa dell’importante
apporto sanguigno, ha consistenza parenchimatosa facilmente comprimibile alla pressione digitale e dagli organi
vicini, che lasciano delle impronte sulla superficie epatica.

È situato nella loggia subfrenica destra (o sottodiaframmatica) in posizione intraperitoenale, inferiormente al


diaframma, superiormente a stomaco e colon trasverso e anteriormente ai corpi vertebrali delle ultime vertebre
toraciche. La superficie del fegato è rivestita da una capsula connettivale, la capsula fibrosa di Glisson e in gran
parte dal peritoneo viscerale.

La proiezione epatica sulla parete addominale anteriore, detta aia epatica, è grossolanamente triangolare e
corrisponde all’ipocondrio destro e parte dell’epigastrio e ipocondrio sinistro.

Il fegato può essere distinto in:

• Faccia diaframmatica (anterosuperiore): si presenta liscia e convessa, rivolta in alto e anteriormente,


delimitata anteriormente dal margine inferiore del fegato e posteriormente dalla riflessione peritoneale sul
diaframma. Presenta il solco sagittale superiore, che si diparte dal margine inferiore e raggiunge il margine
posteriore, procedendo in senso caudocraniale ed una leggera inclinazione verso destra: tale solco ci consente
di individuare il lobo destro ed il lobo sinistro sulla faccia diaframmatica. In corrispondenza del solco sagittale
superiore ha origine il legamento falciforme, che si dirige antero-superiormente per inserirsi sulla superficie
interna della parete addominale anteriore e sul diaframma, esso deriva dall’unione dei foglietti del peritoneo
viscerale, che rivestono i lobi destro e sinistro.
o La faccia diaframmatica del lobo destro è segnata da alcuni solchi lasciati dal diaframma, le
impressioni diaframmatiche, lunghe 4-6 cm e orientate in senso anteroposteriore, e dal margine libero
dell’arco costale, generando impronte delle singole coste.
o La faccia diaframmatica del lobo sinistro è meno estesa e convessa di quella del lobo destro e
presenta l’impressione data dall’apice del cuore, l’impronta cardiaca. La faccia diaframmatica
contrae rapporti con la cupola diaframmatica, che interponendosi, media il rapporto con la superficie
pleurica del polmone destro, con il pericardio e l’apice del cuore. È in diretto rapporto con la parete
anteriore del tronco e con l’arco costale, il contatto è diretto nel punto di concavità delle due arcate
costali, a livello dell’epigastrio, dove il fegato è apprezzabile alla palpazione.

• Faccia viscerale (posteroinferiore): è rivolta inferiormente, posteriormente e verso sinistra, presenta una
superficie irregolare con tre solchi:

o Il solco sagittale destro: si presenta ampio e largo, suddivisibile in una parte anteriore ed una posteriore.
La porzione anteriore, chiamata anche fossa cistica, accoglie la cistifellea e forma l’incisura cistica sul
margine inferiore del fegato. La porzione posteriore, detta fossa della vena cava, accoglie la vena cava
inferiore e si estende fino al margine posteriore. Le due fosse sono separate da una porzione parenchimale
chiamata processo caudato, estensione del lobo caudato.
o Il solco sagittale sinistro: è profondo e più sottile, può anch’esso essere diviso in una porzione anteriore ed
una posteriore, La porzione anteriore contiene il legamento rotondo del fegato, residuo della vena
ombelicale della circolazione fetale, che si estende fino al margine inferiore del fegato, dove determina
un’incisura. La porzione posteriore è occupata dal legamento venoso, residuo del dotto venoso di Aranzio.
o Il solco trasverso: corrisponde all’ilo del fegato, posto in prossimità del margine posteriore, lungo 6-7cm
e largo circa 1cm. Accoglie le formazioni del peduncolo epatico, anteroposteriormente: i dotti epatici
destro e sinistro, i vasi linfatici del fegato e i rami nervosi dei plessi epatico e biliare, i rami di divisione
dell’arteria epatica propria e della vena porta.

Complessivamente, i solchi sagittali ed il trasverso individuano quattro lobi: i lobi destro e sinistro, a destra e
sinistra dei solchi sagittali corrispondenti, e i lobi quadrato e caudato, compresi tra i due solchi sagittali e disposti
anteriormente (per il lobo quadrato) e posteriormente (per il caudato) al solco trasverso. La faccia viscerale del
lobo destro presenta diverse depressioni date dal rapporto con gli organi sottostanti della cavità addominale: vi è
l’impronta colica, data dalla flessura colica destra, l’impronta renale e surrenale, date da rene e surrene destro e
l’impronta duodenale, data dalla parte discendente del duodeno.
La faccia viscerale del lobo sinistro presenta un’importante impronta gastrica per lo stretto rapporto con la
piccola curvatura gastrica e l’impronta esofagea, tra le due vi è un tubercolo detto omentale. Il lobo quadrato
presenta una superfice pianeggiante con impronte dovute al rapporto con la porzione pilorica dello stomaco e
superiore del duodeno. Il lobo caudato, invece, situato all’interno della borsa omentale, ha rapporti con il pilastro
destro del diaframma e con la vena cava inferiore, presentando inoltre due processi allungati, il processo
papillare e il processo caudato.

• Margine inferiore (o acuto): sottile e ad angolo acuto, presenta decorso da sinistra a destra e craniocaudale,
lungo il quale sono presenti due incisure, corrispondenti alle estremità anteriore del solco sagittale destro
(incisura cistica) e sinistro (incisura del legamento rotondo o ombelicale).

• Margine posteriore (o ottuso): slargato e convesso, considerato da alcuni come faccia posteriore del fegato.
Entra in rapporto con il diaframma e presenta una profonda incisura vertebrale, data alla nona o decima e
undicesima vertebra toracica, contrae rapporto anche con tutte le formazioni che attraversano il diaframma ed
è compreso tra le riflessioni dei due foglietti peritoneali che costituiscono il legamento coronario. Il margine
posteriore presenta l’area nuda, non ricoperta dal peritoneo e in diretto rapporto con il diaframma. I due foglietti,
lateralmente, convergono nella formazione dei legamenti triangolari destro e sinistro.

35. DESCRIVERE ILO EPATICO

Il fegato può essere distinto in: faccia diaframmatica (anterosuperiore) e faccia viscerale (posteroinferiore) rivolta
inferiormente, posteriormente e verso sinistra. Quest’ultima presenta una superficie irregolare con tre solchi:

a. Il solco sagittale destro


b. Il solco sagittale sinistro
c. Il solco trasverso: corrisponde all’ilo del fegato (porta hepatis), posto in prossimità del margine
posteriore, lungo 6-7cm e largo circa 1cm.

L’ilo epatico rappresenta la zona di entrata del peduncolo vascolare epatico e di uscita delle strutture biliari dal
fegato. Accoglie, inoltre, i vasi linfatici del fegato e i rami nervosi dei plessi epatico e biliare.

I tre elementi che costituiscono la triade portale sono l’arteria epatica propria, la vena porta e la via biliare;
questi sono contenuti nel legamento epatoduodenale del piccolo omento (teso tra il solco trasverso del fegato e il
margine superiore della prima porzione duodenale).

L'unico dotto che esce dall'ilo del fegato è il dotto biliare che origina dai canalicoli biliari, dentro al fegato, e porta
la bile prodotta dal fegato nell'intestino.

36. DESCRIVERE IL LOBULO EPATICO CLASSICO

Per lobulo epatico classico s’intende il territorio parenchimale, visibile in microscopia, di forma poligonale
irregolare (in sezione) e prismatica (tridimensionalmente), ottenuto unendo con delle linee virtuali gli spazi
portali situati in periferia e circondanti la vena centrale o centrolobulare. Esso rappresenta l’unità morfo-
funzionale del fegato ed ha diametro di circa 1 mm e, se visto tridimensionalmente, altezza di 1,5-2 mm.

Gli epatociti sono organizzati in lamine epatocitiche o cordoni, delimitanti gli spazi di Mall occupati dalla rete
microvascolare dei sinusoidi.

Il lobulo può essere distinto, a seconda della disposizione dei cordoni e dalla distanza dal settore portale, in zone:

• Zona 1 o periportale (o periferica): i cordoni ed i sinusoidi sono disposti radialmente attorno allo
spazio portale;
• Zona 2 o mediolobulare (o intermedia): i cordoni convergono verso la zona 3;
• Zona 3 o centrolobulare (o centrale): i cordoni convergono attorno alla vena centrolobulare.

La vena centrale accoglie lo sbocco dei sinusoidi compresi nel lobulo epatico, presenta parete sottile e cribrata ma
discretamente resistente grazie allo stretto rapporto tra connettivo e stroma del lobulo.
Quando tre lobuli adiacenti entrano in contatto si formano gli spazi portali (o portobiliari di Kiernan), punti in
cui il connettivo perilobulare forma un involucro che riveste la triade portale (rami della vena porta, rami
dell’arteria epatica propria e dei dotti biliari) ed i vasi linfatici.

Il sangue nel lobulo fluisce in maniera centripeta dalla periferia del lobulo classico (triade portale), portato dai rami
interlobulari della vena porta e arteria epatica propria, e tramite la rete capillare sinusoidale giunge alla vena
centrolobulare, che si continuerà nelle sottolobulari che, dopo successive affluenze, fluiranno nella vena epatica,
costituendo una rete mirabile venosa.

La circolazione biliare, invece, è centrifuga e parte dagli epatociti che secernono la bile nei canalicoli biliari, spazi
intercellulari di epatociti adiacenti (accostamento di poli biliari) che realizzano una rete intralobulare, e poi nei
duttuli biliari di Hering, costituiti da colangiociti, che raggiungono i dotti biliari interlobulari negli spazi portali.

37. STRUTTURA ACINO EPATICO DI RAPPAPORT

L’acino epatico di Rappaport è un’unità morfo-funzionale del fegato proposta da Rappaport nel 1954, che vede il
fegato organizzato in acini anziché in lobuli: vi sono, infatti, acini semplici, acini complessi e agglomerati di
acini. L’acino è individuato a livello microcircolatorio da una porzione parenchimale di forma quadrangolare
(a losanga), con l’asse maggiore che corrisponde ad una linea che unisce due vene centro-lobulari adiacenti e l’asse
minore disposto lungo le ramificazioni laterali delle strutture della triade portale.

Sono acini semplici quelle aree di parenchima che sono irrorate e drenate dai rami terminali dell’arteria epatica
e della vena porta, sono acini complessi le aree vascolarizzate dallo stesso ramo pre-terminale della vena porta.

Nell’acino epatico, è possibile, inoltre, determinare una zonazione del tessuto epatico:

• Zona 1 o periportale (o periferica): i cordoni ed i sinusoidi sono disposti radialmente attorno allo
spazio portale;
• Zona 2 o mediolobulare (o intermedia): i cordoni convergono verso la zona 3;
• Zona 3 o centrolobulare (o centrale): i cordoni convergono attorno alla vena centrolobulare.

38. LEGAMENTI DEL FEGATO

Ad eccezione dell’area nuda sulla faccia posteriore del fegato, esso è rivestito dal peritoneo viscerale e possiede dei
legamenti che lo collegano ad altri organi:

Mediante il legamento falciforme è connesso con il peritoneo parietale della parete anteriore dell’addome;
Mediante il legamento epatoduodenale, il solco trasverso della faccia viscerale del fegato è connesso con
il margine superiore della prima porzione del duodeno;
Mediante il legamento epatogastico, il solco per il legamento venoso sulla faccia diaframmatica del fegato
con la porzione superiore della piccola curvatura dello stomaco.

Questi ultimi costituiscono il foglietto anteriore del piccolo omento che si riflette indietro, formando il foglietto
posteriore del piccolo omento, che riveste, a sua volta, il lobo caudato del fegato (continuandosi fino al margine
posteriore dove si viene a creare il legamento coronario) e la faccia posteriore dello stomaco.

In corrispondenza del margine posteriore del fegato avviene la riflessione del peritoneo, che da parietale diventa
viscerale, dopo aver rivestito le facce anteriore e viscerale del fegato, e, tornato in corrispondenza del margine
posteriore, si riflette nuovamente sul diaframma.

Una delle due conseguenze di tale comportamento peritoneale è la costituzione del legamento coronario del fegato,
in cui si distinguono un foglietto superiore ed uno inferiore che corrispondono ai due punti di riflessione.
Lateralmente, questi due foglietti, si fondono per formare i legamenti triangolari destro e sinistro. Quest’ultimo
termina con una lamina di tessuto connettivo, l’appendice fibrosa del fegato.

I foglietti del legamento coronario si uniscono a formare il legamento falciforme che accompagna a sua volta il
legamento rotondo del fegato, un residuo della circolazione fetale (vena ombelicale obliterata).
Il foglietto inferiore del legamento coronario, continuandosi come peritoneo parietale, va a rivestire anche la VCI,
formando il legamento della vena cava inferiore (o di Makugi).

Tra i legamenti minori si ricordano:

Legamento epatoduodenale, mediante il quale, il solco trasverso della faccia viscerale del fegato è
connesso con il margine superiore della prima porzione del duodeno;
Legamento epatocolico, disposto tra la faccia viscerale del fegato e la flessura colica di destra.

39. LEGAMENTI SUPERFICIE VISCERALE DEL FEGATO

Il peritoneo viscerale riveste gran parte della superficie dell’organo, ad eccezione dell’area nuda sul margine
posteriore e della fossa cistica sulla faccia viscerale. In alcuni punti, il peritoneo si solleva a formare pieghe che
vanno a costituire i legamenti tra il fegato e i visceri vicini o tra il fegato e le pareti della cavità addominale. In
particolare, in corrispondenza della faccia viscerale (o posteriore) del fegato, si distinguono:

§ Legamento epatoduodenale, mediante il quale, il solco trasverso della faccia viscerale del fegato è
connesso con il margine superiore della prima porzione del duodeno;
§ Legamento rotondo del fegato, un cordone fibroso che rappresenta un residuo della vena ombelicale della
circolazione fetale. Contenuto nella base del legamento falciforme, si estende fino al margine inferiore del
fegato, dove determina un’incisura; decorre poi sulla faccia viscerale in corrispondenza della porzione
anteriore del solco sagittale sinistro, e infine, termina in corrispondenza dell’ilo epatico.
§ Dopo aver rivestito la faccia viscerale del fegato, il peritoneo sotto il margine inferiore del legamento
coronario, si riflette sulla parete addominale posteriore, in corrispondenza del rene e surrene di destra,
creando così il legamento epatorenale e la tasca di Morrison (o recesso epatorenale della cavità
peritoneale) in cui si può accumulare del liquido provocando l’ascite.
§ Il foglietto inferiore del legamento coronario, continuandosi come peritoneo parietale, va a rivestire anche
la VCI, formando il legamento della vena cava inferiore (o di Makugi).
§ Legamento epatocolico, disposto tra la faccia viscerale del fegato e la flessura colica di destra.

40. STRUTTURA VIA ESCRETRICE BILIARE INTRAEPATICA

La via escretrice biliare intraepatica è il sistema di dotti intraepatici che consente di convogliare la bile prodotta
dagli epatociti, raggruppati in cordoni, e di trasportarla all’esterno del fegato mediante condotti di calibro sempre
maggiore che sboccheranno nel duodeno tramite il coledoco.

Questa via comincia con capillari privi di parete, i canalicoli biliari (0,5-2,5 micron di diametro), scavati ai lati
degli epatociti e sigillati da giunzioni strette; questi formano una rete tridimensionale che convoglia la bile
proveniente dal flusso epatico attorno alla vena centrolobulare viene direzionata allo spazio portale di pertinenza.

Il flusso della bile, infatti, nel modello del lobulo epatico classico proposto da Kiernan, scorre in direzione
centrifuga, verso la periferia. In prossimità dello spazio portale, i canalicoli si continuano nei duttuli biliari di
Hering (o colangioli), piccoli condotti dotati di una parete propria con epitelio cubico semplice e lume di circa
15µm, queste cellule epiteliali sono dette colangiociti, mentre il punto d’incontro tra colangiociti e epatociti è detto
giunzione duttulo-canalicolare.

I duttuli, usciti dal lobulo, si riversano nello spazio portale, confluendo nei dotti interlobulari (il cui diametro è
in media 15-40 µm ma può arrivare anche a 100 µm con l’endotelio più spesso e una tonaca fibromuscolare molto
sviluppata), aventi parete continua con epitelio cilindrico semplice. In ultima istanza, i dotti interlobulari
confluiranno a formare i dotti epatici, appartenenti alla via biliare extraepatica.

41. FPR PANCREAS

Il pancreas è una ghiandola formata da due componenti, una esocrina e una endocrina (cellule di Langerhans);
presenta un aspetto lobulato in superficie, ha un peso di 70g e, negli adulti soprattutto, un colore giallastro dovuto
all’infiltrazione del tessuto adiposo, mentre nel bambino è più rossastro.
Ad eccezione della coda, è situato nello spazio retroperitoneale della parte superiore della cavità addominale, in
particolare nelle regioni dell’epigastrio e dell’ipocondrio di sinistra, anteriormente ai corpi delle vertebre L1 ed L2.

La forma del pancreas è irregolare, allungata trasversalmente, con l’estremità destra più voluminosa della sinistra,
e asse maggiore di 12-15 che si porta dal basso in alto, da destra verso sinistra dalla C duodenale alla milza. Ha
un’altezza di 4-5 cm e uno spessore di 2-3 cm. Nel pancreas si possono distinguere:

§ una testa, inglobata dalla C duodenale dalla quale non c’è un piano di scollamento ma si presenta come un
complesso duodenopancreatico (chirurgicamente per la rimozione si procede ad una duodeno-
cefalopancreasectomia).

E’ in rapporto:

- Anteriormente con la radice del mesocolon trasverso, che la divide in due parti trasversali,
sopramesocolica e sottomesocolica, e si continua lungo il margine inferiore del corpo del pancreas,
con le arcate anastomotiche tra le arterie pancreatico-duodenali anteriori, superiore ed inferiore,
L’1/3 inferiore è in rapporto con le anse dell’intestino tenue e presenta, inferiormente e medialmente
un prolungamento rivolto a sinistra, il processo uncinato (o uncino o piccolo pancreas di
Winslow), situato sulla faccia superiore della porzione orizzontale del duodeno, posteriormente
all’arteria mesenterica superiore ed anteriormente all’aorta;

- Posteriormente con il dotto coledoco, per cui si forma un solco e a volte un canale lungo circa 3 cm,
con l’arcata l’anastomotica formata dalle arcate pancreatico-duodenali posteriore, superiore ed
inferiore, con le vene corrispondenti e con i numerosi linfonodi associati ai vasi; con la fascia retro-
duodeno-pancreatica (lamina del Treitz), tramite l’interposizione della quale entra in rapporto con
il pilastro destro del diaframma, e tramite questo con il corpo vertebrale di L2 ed L3.

o In sede pre-fasciale, a sinistra del dotto coledoco e a destra dell’arteria mesenterica


superiore, al limite tra il collo (o istmo) del pancreas, si osserva la confluenza delle vene
splenica e mesenterica superiore dalla quale ha origine il tronco della vena porta che risale
lungo il margine superiore del pancreas.
o In sede retrofasciale, entra in rapporto con l’aorta addominale, con la vena renale di sinistra
e con la VCI, mediante l’interposizione della quale si rapporta con il peduncolo renale
destro e con l’origine dell’arteria testicolare/ovarica destre.
§ un istmo (o collo), porzione ristretta, tra la testa ed il corpo, anteriormente separata dalla porzione pilorica
dello stomaco mediante l’interposizione del peritoneo.

§ un corpo porzione slargata concava posteriormente, coincidente con il corpo vertebrale di L1-L2. Esso
presenta un profilo triangolare in sezione sagittale in cui si distinguono:
o faccia anteriore, distinta in antero-superiore e antero-inferiore; ricoperta dal peritoneo,
costituisce il limite posteriore della borsa omentale che separa il pancreas dallo stomaco. Al
confine col margine inferiore, la faccia anteriore è incrociata, rispettivamente a destra e a
sinistra, dalla flessura epatica e dalla flessura duodeno-digiunale.
o faccia posteriore, priva di rivestimento peritoneale, che si rapporta da destra a sinistra con:
§ pilastro diaframmatico dx;
§ aorta addominale;
§ vena splenica, che riceve la vena mesenterica superiore;
§ arterie splenica;
§ rene e surrene sx.

§ una coda, intraperitoneale, costituisce l’estremità sinistra della ghiandola, di fora smussa o appiattita, cui
rapporti sono principalmente con la milza, dal cui ilo dista circa 1-4 cm. In corrispondenza della punta i
due foglietti peritoneali che la rivestono, si accollano formando il legamento pancreatico splenico che
collega il pancreas all’ilo splenico.
42. RAPPORTI TESTA DEL PANCREAS

La testa del pancreas risulta inglobata dalla C duodenale, dalla quale non c’è un piano di scollamento ma si presenta
come un complesso duodenopancreatico (chirurgicamente per la rimozione si procede ad una duodeno-
cefalopancreasectomia).

E’ in rapporto:

§ Anteriormente con la radice del mesocolon trasverso, che la divide in due parti trasversali, sopramesocolica e
sottomesocolica, e si continua lungo il margine inferiore del corpo del pancreas, con le arcate anastomotiche
tra le arterie pancreatico-duodenali anteriori, superiore ed inferiore, L’1/3 inferiore è in rapporto con le anse
dell’intestino tenue e presenta, inferiormente e medialmente un prolungamento rivolto a sinistra, il processo
uncinato (o uncino o piccolo pancreas di Winslow), situato sulla faccia superiore della porzione orizzontale
del duodeno, posteriormente all’arteria mesenterica superiore ed anteriormente all’aorta;

§ Posteriormente con il dotto coledoco, per cui si forma un solco e a volte un canale lungo circa 3 cm, con
l’arcata l’anastomotica formata dalle arcate pancreatico-duodenali posteriore, superiore ed inferiore, con le
vene corrispondenti e con i numerosi linfonodi associati ai vasi; con la fascia retro-duodeno-pancreatica
(lamina del Treitz), tramite l’interposizione della quale entra in rapporto con il pilastro destro del diaframma,
e tramite questo con il corpo vertebrale di L2 ed L3.

- In sede pre-fasciale, a sinistra del dotto coledoco e a destra dell’arteria mesenterica superiore, al limite
tra il collo (o istmo) del pancreas, si osserva la confluenza delle vene splenica e mesenterica superiore
dalla quale ha origine il tronco della vena porta che risale lungo il margine superiore del pancreas.
- In sede retrofasciale, entra in rapporto con l’aorta addominale, con la vena renale di sinistra e con la
VCI, mediante l’interposizione della quale si rapporta con il peduncolo renale destro e con l’origine
dell’arteria testicolare/ovarica destre.

43. MICRO PANCREAS ESOCRINO

Il pancreas è una ghiandola formata da due componenti distinte in base a morfologia e funzioni:

§ una endocrina, circa l’1-2% del volume dell’organo, costituita da isole pancreatiche di Langerhans;
§ una esocrina, circa l’85% del volume dell’organo, costituita da acini (o adenomeri) pancreatici.

Quest’ultima, in particolare, presenta la struttura tipica di una ghiandola tubulo-acinosa composta a secrezione
sierosa (molto simile alla parotide, da cui spesso deriva il nome di ghiandola salivare addominale di Siebold)
organizzata in raggruppamenti sferici o acinosi.

Nel pancreas esocrino risiedono:

§ cellule acinose (o zimogeniche o pancreociti esocrini): presentano dimensioni ridotte e forma


piramidale, con una porzione basale espansa, in cui sono presenti grandi quantità di RER e ribosomi
liberi, e una parte apicale ristretta che immagazzina i granuli di zimogeno (contenenti proenzimi,
lipasi, proteasi, desossiribo- e ribo-nucleasi) e che si solleva in microvilli che sporgono nel lume
dell’acino, dove vengono rilasciati i granuli. Le regioni apicali adiacenti sono connesse da giunzioni
occludenti che prevengono il passaggio di macromolecole e da giunzioni comunicanti che permettono
l’accoppiamento funzionale delle cellule acinose).

Ciascun acino secernente presenta al proprio interno un sottile dotto intercalare. Questi formano una fitta rete
anastomotica che può decorrere sia all’interno degli acini che tra gli acini adiacenti.

§ cellule centro-acinose, di forma globosa (rotondeggiante), situate in prossimità del lume degli acini
in quanto vanno a rivestire la porzione dei dotti intercalari che penetra all’interno degli acini; sono
caratterizzate da citoplasma chiaro e scarsa presenza di organelli. Tali cellule aggiungono acqua,
bicarbonato ed elettroliti al secreto delle cellule acinose, reso di conseguenza più basico, che. Servirà
a tamponare l’acidità del chimo di provenienza gastrica.
§ cellule stellate del pancreas (simili alle cellule di ito epatiche): presentano una conformazione a
stella con lunghi prolungamenti citoplasmatici, e si localizzano in prossimità dei dotti e dei vasi
sanguigni, intorno alle isole di Langerhans e alla base dell’acino, che circondano con i suoi
prolungamenti. Possono trovarsi in due strati:
- forma quiescente, con numerose goccioline lipidiche, che si occupano dell’organizzazione
della membrana basale attorno all’acino;
- forma attiva che assume le caratteristiche di un miofibroblasto producente collagene,
macromolecole della MEC, citochine pro-infiammatorie e fattori di crescita, causando un
processo fibrotico procarcinogenetico.

44. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DOTTI PANCREATICI

Il succo pancreatico, elaborato dal pancreas esocrino, viene prodotto dalle cellule acinose del pancreas, riversato
nel lume dei dotti intercalari, in cui viene integrato con il secreto delle cellule centroacinose. I dotti intercalari
sboccano nei dotti intralobulari e, successivamente, quelli interlobulari, contenuti nei setti connettivali della
capsula, che sboccano nei dotti lobari. Infine, il succo pancreatico raggiunge la parte discendente del duodeno
tramite due dotti escretori: il dotto pancreatico principale di Wirsung e il dotto pancreatico accessorio di
Santorini, che dopo il loro decorso all’interno del parenchima ghiandolare pancreatico, raggiungono,
rispettivamente, la papilla duodenale maggiore e quella minore.

Dal punto di vista microscopico:

§ i dotti intercalari sono costituiti da un epitelio pavimentoso semplice, con la porzione penetrante nell’acino
rivestita internamente da cellule centro-acinose, che contribuiscono alla formazione del succo pancreatico;
§ i dotti intralobulari hanno un epitelio cubico semplice,
§ i dotti interlobulari presentano lo stesso epitelio cubico semplice che, man mano aumenta di spessore;
§ i dotti lobari diventano di tipo cilindrico basso e poi cilindrico alto;
§ i dotti principali hanno un epitelio di tipo cilindrico semplice in cui possono essere intercalate le cellule
caliciformi mucipare.

In tutti i casi, l’epitelio poggia su una membrana basale di connettivo, e, nei casi dei dotti escretori, può esserci
presente una tonaca fibromuscolare con ghiandole mucose.

45. MESOCOLON TRASVERSO

Il colon trasverso si trova in sede intraperitoneale ed è connesso alla parete posteriore dell’addome tramite un
meso. Quest’ultimo è una formazione anatomica formata da due lamine peritoneali che si dispongono tra un
viscere cavo e il peritoneo parietale, e che contiene all’interno vasi e nervi destinati all’organo.

Il mesocolon trasverso è, dunque, un’ampia ripiegatura della tonaca sierosa che unisce il tratto trasverso
dell’intestino crasso alla parete posteriore dell’addome secondo la radice del mesocolon trasverso (una linea
obliqua da sinistra a destra e dall’alto in basso di circa 15-17 cm), che rappresenta una zona in cui le due lamine del
mesocolon trasverso continuano nel peritoneo parietale. In particolare, la radice del mesocolon trasverso inizia in
corrispondenza del margine laterale del rene destro (1/3 inferiore), si porta a sinistra con un decorso obliquo dal
basso verso l’alto, incrociando la parte discendente del duodeno e percorrendo il margine inferiore della coda del
pancreas, infine raggiunge il rene sinistro (tra il suo 1/3 medio e 1/3 superiore).

§ Alle sue estremità piega inferiormente continuandosi con il peritoneo che riveste il colon ascendente a
destra ed il colon discendente a sinistra.
§ Posteriormente, i due foglietti si riflettono nel peritoneo parietale posteriore che riveste la superficie
anteriore della testa del pancreas e la faccia anteriore delle parti ascendente e discendente del duodeno. In
avanti, le due lamine si aprono per rivestire, come peritoneo viscerale, il colon trasverso.
§ Anteriormente, il mesocolon trasverso aderisce, pur essendone separato, al grande omento.
All’interno del mesocolon trasverso si trovano le arcate anastomotiche, che corrispondono all’arteria marginale o
di Drummond, derivante dall’arteria colica media e dai rami ascendenti della colica destra (della mesenterica
superiore) e colica di sinistra (della mesenterica inferiore).

Il mesocolon trasverso divide la cavità peritoneale in due logge:

- Loggia sopramesocolica, più piccola, che ospita il fegato, lo stomaco e la milza;


- Loggia sottomesocolica, di maggiori dimensioni, che ospita gli altri visceri della cavità peritoneale.

46. PICCOLO OMENTO

In corrispondenza dell’ilo del fegato, il peritoneo viscerale ha un comportamento peculiare: abbandona la superficie
dell’organo e si porta in basso a destra fino al margine superiore del duodeno e in basso a sinistra fino alla piccola
curvatura dello stomaco.

Si crea così il foglietto anteriore dei due legamenti che costituiscono il piccolo omento:

§ Il legamento epatoduodenale (o pars tensa), formato da due foglietti peritoneali, tra i quali si trovano le
formazioni del peduncolo epatico, nella cui costituzione rientrano: vena porta, arteria epatica, coledoco,
dotto epatico comune e dotto cistico; esso delimita anteriormente il forame epiploico attraverso il quale si
accede alla retrocavità degli epiploon (borsa omentale). È teso fra il solco trasverso del fegato e il margine
superiore della prima porzione duodenale. Il suo margine destro, nella metà dei casi, si può prolungare
verso destra e in basso andando a confondersi con il peritoneo che riveste la faccia libera della colecisti e
con il peritoneo del duodeno e del colon trasverso; si osserva in questa evenienza un legamento
colecistoduodenocolico.
§ Il legamento epatogastrico (o pars flaccida) va dal solco trasverso per il legamento venoso sulla faccia
diaframmatica del fegato alla porzione superiore della piccola curvatura dello stomaco; rappresenta la
diretta continuazione verso sinistra del legamento epatoduodenale. I due foglietti che lo costituiscono sono
completamente accollati; fra essi decorrono l’arteria gastrica sinistra (dal TC) e l’arteria gastrica destra
(dall’epatica comune), che si anastomizzano lungo la curvatura, le vie linfatiche e i rami nervosi.

47. GRANDE OMENTO

Si tratta di una formazione sierosa che ricopre la massa intestinale a guisa di grembiule. In corrispondenza della
grande curvatura dello stomaco, il peritoneo che ne aveva rivestito le facce anteriore e posteriore ne abbandona la
superficie, costituendo una lamina peritoneale (rispettivamente i foglietti anteriore e posteriore del leg. gastrocolico)
che si porta alla faccia anteriore del colon trasverso e lo supera, discendendo con altezza variabile al davanti delle
anse dell’intestino tenue e ripiegando poi in alto per raggiungere nuovamente il colon trasverso, superiormente alla
radice del mesocolon trasverso, con il quale si fonde.

Si forma così il grande omento, distinto in:

o Legamento gastrocolico, teso tra la grande curvatura dello stomaco e la faccia anteriore del colon trasverso,
nel cui spessore si trovano le arterie gastroepiploiche destra e sinistra.
o Grembiule omentale, costituito dalla coalescenza di quattro lamine, corrisponde alla porzione inferiore
disposta al davanti delle anse dell’intestino tenue mesenteriale.

48. MACROSCOPICA, POSIZIONE, LIMITI E RAPPORTI DELLA BORSA OMENTALE

La borsa omentale (o piccola cavità peritoneale o retrocavità degli epiploon) rappresenta un recesso della cavità
peritoneale, con la quale rimane in comunicazione per messo del forame omentale (di Winslow), orientata sul piano
sagittale, a 5-6 cm dalla linea mediana. Essa risulta delimitata:

- Anteriormente, dal margine destro del legamento epatoduodenale e dagli elementi del peduncolo epatico
in esso contenuti;
- Posteriormente, dalla vena cava inferiore, rivestita dal peritoneo parietale;
- Inferiormente, dal foglietto posteriore del legamento epatoduodenale, nel punto in cui esso comincia a
portarsi posteriormente;
- In alto, dalla riflessione del foglietto posteriore del legamento epatoduodenale che si continua nel peritoneo
viscerale che va a rivestire il lobo caudato del fegato;

Superato il forame epiploico, si accede al vestibolo della borsa omentale, spazio che appare più ristretto
misurando 8-10 cm in altezza e 8 cm sul piano trasversale, posto tra il legamento epatogastrico (in avanti), il
lobo caudato del fegato (indietro) e la parte superiore del duodeno (in basso). Procedendo verso sinistra, si
incontra l’istmo della borsa omentale, un restringimento determinato dalla tuberosità omentale del pancreas e
dalla piega gastropancreatica, determinata dai vasi gastrici di sinistra.

Dall’istmo si accede alla borsa omentale vera e propria, nella quale è possibile riconoscere:

§ Faccia anteriore: che corrisponde alla faccia posteriore dello stomaco;


§ Faccia posteriore: costituita dal peritoneo parietale posteriore che riveste il pancreas, il rene e surrene
sx, l’aorta addominale e una porzione del diaframma;
§ Margine superiore: si colloca nel punto di riflessione del foglietto posteriore del piccolo omento nel
peritoneo parietale posteriore; risulta molto stretto;
§ Margine inferiore: corrisponde al mesocolon trasverso;
§ Margine destro: si colloca nel punto di riflessione del peritoneo parietale, che dal pancreas si porta al
duodeno (in basso) e dal diaframma si porta al lobo caudato del fegato (in alto);
§ Margine sinistro: in corrispondenza del quale si trova il recesso splenico della cavità omentale, che si
viene a formare dal passaggio tra il foglietto posteriore del legamento gastrosplenico al foglietto
anteriore del legamento pancreaticosplenico.

49. MESENTERE

Mesentere è un’ampia plica peritoneale che fissa le anse del digiuno e dell’ileo al peritoneo parietale posteriore,
motivo per cui questi due visceri vengono riuniti sotto la denominazione comune di intestino tenue mesenteriale.

Come tutti i mesi dell’addome, il mesentere è costituito da due lamine peritoneali di tonaca sierosa nella quale è
situato tessuto connettivo adiposo in cui scorrono tutte le ramificazioni vascolari, nervose e linfatiche, destinate
all’intestino tenue mesenteriale.

- Isolato e disteso su un piano, il mesentere ha una forma a ventaglio, con un corto margine posteriore
(15-17 cm) e un lungo margine anteriore (5-6 m).
- Nel vivente, il margine posteriore si inserisce sulla parete posteriore dell’addome, formando la radice
del mesentere, mentre il margine anteriore si inserisce sul digiuno e sull’ileo a livello del margine
mesenterico di questi visceri.

La radice del mesentere sul peritoneo parietale posteriore ha una direzione obliqua: si porta dalla flessura duodeno-
digiunale (altezza L2) alla giunzione ileocecale, a livello dell’articolazione sacroiliaca destra, incrociando nel suo
decorso: la parte orizzontale del duodeno, l’aorta addominale (in corrispondenza della sua origine), la vena cava
inferiore prima.

Poi, una volta giunto alla fossa iliaca destra il muscolo grande psoas destro, l’uretere destro, l’arteria iliaca comune
destra e i vasi testicolari/ovarici, per un totale di 15-17 cm, raggiungendo infine l’angolo ileo-cecale.

L’arteria mesenterica superiore (inizialmente retroperitoneale), lateralmente alla flessura duodeno-digiunale,


penetra all’interno della radice del mesentere e fornisce una serie di rami digiunali ed ileali che creano delle arcate
anastomotiche destinate alla vascolarizzazione dell’intestino tenue mesenteriale.

Considerando la disposizione del mesentere rispetto alla parete addominale posteriore, si vengono a creare, sia a
destra che a sinistra, gli spazi mesenteriocolici, di forma triangolare, i cui lati sono: la faccia mediale del colon
ascendente o discendente, la lamina inferiore del mesocolon trasverso, la lamina destra o sinistra del mesentere.
DOMANDE SULL’APPARATO URINARIO

1. FRP RENI

I reni hanno una forma assimilabile ad un fagiolo, schiacciato in senso anteroposteriore, in cui si possono distinguere
due superfici, anteriore (convessa) e posteriore (piana), due margini, uno laterale convesso in direzione laterale e
uno mediale concavo in direzione mediale, e due apici, polo superiore (più arrotondato) e polo inferiore (più
appuntito). Circa a metà del margine mediale è presente l’ilo renale, una fessura d’entrata ed uscita delle strutture
vascolari, linfatiche, nervose e della prima porzione della pelvi renale (che poi proseguirà con l’uretere), che dà
accesso ad una cavità appiattita posta subito di seguito, che prende il nome di seno renale, completamente
circondato dal parenchima renale. Quest’ultimo ospita, oltre alle strutture in entrata dall’ilo, le prime componenti
delle vie urinarie: la pelvi, i calici renali maggiori e minori circondati da tessuto adiposo, dipendenza della capsula
adiposa del rene.

Nell’adulto la superficie renale è quasi totalmente liscia e uniforme, anche se attraversata da alcuni solchi di minore
importanza, a differenza del rene fetale, i cui solchi profondi delimitano una serie di lobi, per questo chiamato
lobato. Il rene presenta una colorazione che può variare dal rosso cupo al grigio rossastro, in rapporto con
l’intensità della vascolarizzazione. La sua consistenza è dura e offre resistenza alle azioni traumatiche.

Per quanto riguarda le dimensioni dei due reni, hanno un diametro cranio-caudale pari a circa 12 cm, un diametro
antero-posteriore di 3 cm, una larghezza di 6 cm, e un peso che si aggira, nel maschio intorno ai 150-160 g e nella
femmina intorno ai 130 g circa.

In relazione ai rapporti che contraggono, i due reni presentano le due superfici che discostano leggermente dal piano
frontale, per questo spesso definite antero-laterale e posteromediale. Inoltre, sempre a causa dei rapporti topografici,
il rene sinistro tende a essere più voluminoso e posizionarsi 1-1,5 cm più in alto rispetto a quello destro che risente
molto del rapporto con il fegato. L’asse cranio-caudale risulta deviato in direzione laterale, per cui il polo superiore
dei reni dista circa 4-4,5 cm dal piano sagittale mediano, rispetto al polo inferiore, che dista circa 6 cm.

I reni si posizionano in sede retroperitoneale, proiettando circa a livello di T12-L2, e occupano la loggia renale,
una capsula fibro-adiposa che comprende la fascia renale e la capsula adiposa, che, oltre a mediarne i rapporti,
conferiscono loro una certa mobilità: nell’inspirazione possono abbassarsi di 2-3 cm, viceversa, nell’espirazione
possono risalire di 2-3 cm. Entrambi i reni raggiungono superiormente l’ultimo spazio intercostale, il rene di sinistra
anche l’undicesima costa.

2. RAPPORTI SUPERFICIE ANTERIORE DEI RENI


- Anteriormente, i reni, trovandosi all’interno della loggia renale, dipendenza dello strato sottosieroso
peritoneale, sono ricoperti dal peritoneo. In particolare:
§ La faccia anteriore del rene destro presenta due piani di copertura peritoneale, uno superiore e
l’altro inferiore. Supero-lateralmente, il peritoneo parietale si riflette sul fegato, medialmente sul
duodeno e inferiormente sul colon. In corrispondenza del polo inferiore, l’1/3 inferiore della faccia
anteriore del rene destro non è quasi mai coperto dal peritoneo ed è in rapporto diretto con la flessura
colica destra (epatica) e, in vicinanza del polo inferiore, con le anse del digiuno. Il fegato ricopre i
¾ superiori del rene destro attraverso l’interposizione di un doppio foglietto peritoneale che, tra i due
organi, può dare luogo al legamento epatorenale. La parte discendente del duodeno ricopre, la parte
più mediale della faccia anteriore del rene destro, da cui è separata tramite la fascia retro-
pancreatica (o lamina di Treitz). Tra i due organi si costituisce una piega, il legamento duodeno-
renale, e il duodeno contrae rapporti anche con le strutture vascolari che attraversano l’ilo renale.

§ La faccia anteriore del rene sinistro è in rapporto, in alto e lateralmente, attraverso il peritoneo
parietale posteriore, con parte della faccia viscerale della milza; nella porzione intermedia,
direttamente con la coda del pancreas e i vasi splenici; in basso e lateralmente, con la flessura
colica sinistra e la parte iniziale del colon discendente; attraverso il peritoneo parietale
sottomesocolico con la flessura duodenodigiunale e le anse digiunali; tramite l’interposizione della
borsa omentale, con la parete posteriore dello stomaco.
3. RAPPORTI SUPERFICIE POSTERIORE DEI RENI

- Posteriormente i rapporti dei due reni sono quasi del tutto sovrapponibili: circa a metà altezza nel rene destro
e al limite tra i 2/3 superiori e l’1/3 inferiore in quello sinistro, la faccia posteriore è incrociata dalla dodicesima
costa, rapporto mediato dai pilastri lombari e costali del diaframma, nonché i seni pleurali costo-diaframmatici.

o Superiormente alla XII costa, la faccia posteriore del rene è a contatto con la pleura diaframmatica,
direttamente oppure mediante il trigono lombocostale (o fessura di Bochdalek), ovvero un’interruzione del
piano muscolare tra i fasci costali e lombari del diaframma. Più superficialmente, il rene entra in rapporto
con: i muscoli obliquo interno, dentato posteriore e gli erettori vertebrali, tra i quali può essere presente il
triangolo lombare superiore (di Grynfeltt); ancora più in superficie vi sono i muscoli gran dorsale, obliquo
esterno e la cresta iliaca, tra i quali può essere presente il triangolo lombare inferiore (di Petit); i trigoni
rappresentano le vie d’accesso al rene in ambito chirurgico.

o Inferiormente alla XII costa, la faccia posteriore del rene, in senso medio-laterale, contrae rapporto con i
muscoli grande psoas, quadrato dei lombi e l’aponeurosi del muscolo trasverso dell’addome.

Gli altri rapporti sono con le arterie e le vene intercostali posteriori, con le arterie e vene lombari e con il nervo
sottocostale (dal segmento T12) e i nervi ileoipogastrico e ileoinguinale (dal plesso lombare).

4. RAPPORTI DEL RENE CON IL PERITONEO

I reni si trovano all’interno della cavità retroperitoneale, addossati alla parete posteriore della cavità addominale e
in stretto rapporto coi surreni (superiormente), sono, quindi, rivestiti sul versante anteriore dal peritoneo parietale,
che in alcuni punti è a diretto contatto col rene, in altri tale contatto è mediato tramite alcuni visceri.

I rapporti dei reni sono mediati dall’interposizione della capsula fibroadiposa che comprende:

§ La fascia renale, una dipendenza della fascia trasversale (lamina connettivale densa) che a livello del margine
laterale del rene, si sdoppia in due foglietti:

Foglietto anteriore o fascia pre-renale di Gerota: si porta medialmente al davanti dei grossi vasi
addominali e si unisce alla controlaterale; le due logge renali risultano così in comunicazione.
Foglietto posteriore o fascia post-renale di Zuckerkandl: si inserisce inferiormente sul versante
antero-laterale dei corpi vertebrali, fondendosi con le strutture fasciali profonde del muscolo
grande psoas;

Superiormente i due foglietti si uniscono e continuano con la fascia diaframmatica; inferiormente si perdono nel
tessuto adiposo senza fondersi, facendo sì che la loggia risulti aperta inferiormente.

§ La capsula adiposa del rene, un importante mezzo di fissità il cui volume varia in base allo stato nutrizionale
dell’individuo; aderisce alla capsula fibrosa renale rivestendolo su tutti i lati e continuandosi, in prossimità
dell’ilo, con il tessuto adiposo contenuto nel seno renale.

5. CAPSULA ADIPOSA DEL RENE

La capsula adiposa del rene fa parte della capsula fibroadiposa che ricopre il rene, mediante l’interposizione della
quale, esso prende i rapporti con le strutture circostanti. Si tratta di un importante mezzo di fissità che si forma
dopo la pubertà e il cui volume varia in base allo stato nutrizionale dell’individuo, risulta più abbondante nelle
donne e nei soggetti obesi. È maggiormente sviluppata attorno alle strutture vascolari che attraversano l’ilo renale
e in minor misura sulla faccia anteriore del rene. Essa aderisce alla capsula fibrosa renale (un rivestimento
connettivale denso e fibroso aderente alla superficie renale, che invia dei tralci connettivali all’interno del parenchima
renale e, in corrispondenza dell’ilo si approfonda per rivestire il seno renale) rivestendola su tutti i lati e continuandosi,
in prossimità dell’ilo, con il tessuto adiposo contenuto nel seno renale. La capsula adiposa ricopre, oltre al rene e
alla ghiandola surrenale, un arco arterioso perirenale, costituito da piccoli vasi perforanti la capsula adiposa, e un
arco venoso perirenale, che costituisce un importante sistema di connessione con le reti venose vicine contigue.
6. CONFIGURAZIONE INTERNA DEL RENE, VASCOLARIZZAZIONE E INNERVAZIONE

Se si seziona il rene in senso trasversale o longitudinale, è possibile riconoscere l’organizzazione del parenchima in
una porzione midollare interna (più profonda) ed in una porzione corticale esterna (periferica, più chiara). Questo
aspetto macroscopico del rene sezionato si basa su un’organizzazione ben definita dei tubuli renali e dei vasi.

• La PORZIONE MIDOLLARE è costituita dalle piramidi renali di Malpighi (12-15), che in sezione hanno
un aspetto pallido e striato, di forma triangolare, con la base diretta verso la superficie dell’organo e l’apice
o papilla renale diretta verso il seno renale e sporgente nei calici della pelvi renale. Ciascuna papilla è
avvolta da un calice minore, più papille sono avvolte da un calice maggiore.

L’apice della papilla prende il nome di lamina cribrosa e ha un aspetto poroso, presenta infatti 15-30 piccoli forami
papillari (del Bellini) che rappresentano gli sbocchi dei dotti papillari, attraverso cui l’urina formata nel
parenchima viene versata nel lume dei calici per raggiungere la pelvi, da cui poi verrà trasportata dagli ureteri alla
vescica.

La zona midollare può essere suddivisa in midollare interna più chiara e midollare esterna, rossastra, quest’ultima
è, a sua volta, divisibile in banda interna e banda esterna, a seconda della visibilità delle striature che le sono
proprie. Le zone e le bande della midollare interna ed esterna sono distinguibili in base alla diversa costituzione in
tratti, spessi e sottili, dei nefroni della zona corticale:

§ nefroni corticali, caratterizzati da un corpuscolo più piccolo, situato nella parte più periferica della zona
corticale e da un tubulo più breve.

La midollare interna contiene solamente segmenti sottili dell’ansa di Henle dei neuroni corticali.

§ nefroni iuxtamidollari, forniti di un corpuscolo più voluminoso e profondo, localizzato vicino alla zona
midollare e di un tubulo assai più lungo (TRP si continua in una lunga ansa di Henle costituita da due tratti
spessi (prossimale e distale) e due tratti sottili.

La midollare esterna è suddivisa in due bande:

Ø banda interna più scura, che contiene sia i segmenti spessi sia segmenti sottili dell’ansa di Henle dei
neuroni corticali e iuxtamidollari;
Ø banda esterna più chiara, che contiene soltanto i segmenti spessi dell’ansa di Henle dei neuroni corticali
e iuxtamidollari.

• La PORZIONE CORTICALE si estende superficialmente rispetto alla base delle piramidi renali, ma si
spinge anche in profondità al seno renale, andando a circondare le piramidi come una capsula, portando le
loro superfici laterali fino all’interno dell’organo (colonne renali del Bertin).

La corticale comprende:

o I raggi midollari di Ferrein, formazioni coniche di aspetto striato, costituite prevalentemente da


tubuli rettilinei, che si dipartono da ciascuna piramide renale e si portano radialmente quasi fino
alla capsula renale superficiale.
o I labirinti corticali (o parte convoluta della corticale), di aspetto granuloso, occupano gli spazi tra
i raggi midollari e comprendono le colonne renali del Bertin, la cortex corticis (sottile strato
periferico di corticale tra l’apice dei raggi midollari e la superficie renale) e i corpuscoli del
Malpighi assieme ai tubuli contorti.

Dal punto di vista strutturale, ogni piramide midollare forma con la porzione corticale circostante un lobo del
parenchima renale, delimitato dalle linee immaginarie passanti per le colonne renali del Bertin. Ogni raggio
midollare con la componente corticale prende, invece, il nome di lobulo.

Le porzioni del parenchima renale che possono essere distinte macroscopicamente si basano sulla caratteristica
disposizione spaziale dei singoli componenti del rene. A queste unità strutturali appartengono anche i canalicoli
urinari (nefrone + dotto collettore), i vasi sanguigni, e il tessuto connettivo contenente nervi e vasi linfatici.
Vascolarizzazione

I due reni sono irrorati dalle due arterie renali, che originano dalla parete laterale dell’aorta addominale, allo stesso
livello dell’arteria mesenterica superiore (L1). L’arteria renale di destra compie un tragitto più lungo rispetto a
quella di sinistra per giungere all’ilo renale, passando posteriormente alla vena cava inferiore. Entrambe sono poste
posteriormente al piano delle rispettive vene renali. L’arteria renale cede dei rami pelvici (per irrorare la pelvi
renale), rami capsulari, rami ureterali (per l’uretere) e l’arteria surrenale inferiore.

L’arteria renale, giunta all’ilo, entra nel seno renale, dividendosi in un ramo anteriore e in un ramo posteriore, che
si pongono, rispettivamente, al davanti e dietro alla pelvi renale.

Per quanto riguarda l’irrorazione di un segmento renale, definito come una porzione volumetrica specifica del rene,
si parla di vascolarizzazione segmentale, in cui si può osservare una netta divisione tra territori vascolari diversi ed
indipendenti tra loro, con importanti implicazioni anche in ambito clinico: un’eventuale occlusione di un’arteria
segmentale causa un’ischemia solo nel segmento irrorato dalla stessa, in quanto non sono presenti reti collaterali
che garantiscano un apporto ematico sufficiente a mantenere il tessuto sano.

• Il ramo posteriore andrà a formare l’arteria segmentale posteriore, che irrora il segmento posteriore del rene.

• Il ramo anteriore solitamente si divide in quattro diverse arterie segmentali che, in senso cranio-caudale, sono:

o Arteria segmentale superiore o apicale


o Arteria segmentale supero-anteriore
o Arteria segmentale infero-anteriore
o Arteria segmentale inferiore

Le arterie segmentali, nel seno renale, si dividono in varie arterie interlobari, le quali penetrano nelle colonne
renali e si biforcano in rami che decorrono lungo la superficie laterale, dal versante apicale fino a quello basale,
delle piramidi renali. A livello della base della piramide, l’arteria interlobare cambia la propria direzione,
curvandosi e percorrendo la base della piramide stessa, assumendo la denominazione di arteria arciforme o
arcuata, dalla quale, a sua volta, originano ad angolo retto le arterie interlobulari o corticali radiali, le quali
decorrono nel labirinto corticale (o parte convoluta) della zona corticale renale, fra i raggi midollari, dove delimitano
il confine tra un lobulo e l’altro. Giunte alla cortex corticis, queste arterie terminano come piccoli rami, le arterie
stellate, collocate nella superficie renale e destinate all’irrorazione della capsula fibrosa e, mediante rami perforanti,
della capsula adiposa.

Lungo tutto il loro decorso, le arterie interlobulari cedono dei rami collaterali, le arteriole glomerulari afferenti,
che daranno origine alla rete capillare o glomeruli dei corpuscoli renali. Dal glomerulo renale, emerge poi
l’arteriola efferente, dalla quale si conforma il plesso capillare corticale (una rete capillare corticale), disposto
attorno alle strutture tubulari del nefrone.

I corpuscoli renali prossimi alla midollare, appartenenti ai nefroni iuxtamidollari, presentano un’arteriola efferente,
detta arteriola retta spuria, che si continua nella piramide renale della midollare e, con un decorso rettilineo,
prosegue in direzione della papilla renale. Le arteriole rette spurie cambiano la direzione del loro decorso (creando
una “U”) e si continuano con le venule rette, che si immettono nelle vene arcuate.

Le arteriole rette vere sono arteriole che originano direttamente dall’arteria arcuata e si dirigono, in modo analogo
alle corrispondenti spurie, verso la papilla renale, cambiando poi il loro decorso e continuandosi con le venule rette.

Drenaggio venoso

Dal plesso capillare corticale, il sangue confluisce in piccole venule stellate, le quali conformano l’asse venoso
della vena interlobulare. Quest’ultima giunge alla vena arcuata, che raccoglie anche il sangue dalle vene corticali
profonde e dalle venule rette e che si continua con la vena interlobare. Le varie vene interlobari formeranno, infine,
la vena renale.
- La vena renale destra sfocia direttamente nella vena cava inferiore senza presentare tributarie significative,
può contenere una valvola ed essere duplice nel 15-20% dei casi.

- La vena renale sinistra, al contrario, riceve le vene surrenale e gonadica di sinistra e la vena frenica inferiore
e, in 1/3 dei casi, le prime due vene lombari e le vene paravertebrali.

Innervazione

L’innervazione è a carico del plesso renale, che è a dipendenza del plesso celiaco e dei nervi splancnici.
le efferenze vasomotorie derivano dai gangli del tronco simpatico da T12 a L1, mentre la via efferente simpatica
raggiunge il midollo spinale con le radici posteriori dei nervi dal dodicesimo toracico al primo lombare.

La disposizione vascolare della midollare del rene, conformata con una serie di anse vascolari, è fondamentale per la
fisiologia renale, in quanto assicura il mantenimento del gradiente di osmolarità, presente nell’interstizio della piramide
renale e fondamentale per concentrare l’urina.

Drenaggio linfatico

La denominazione dei vasi linfatici è quella corrispondente ai vasi sanguigni. I capillari linfatici compaiono nei
lobuli della zona corticale, compresi fra le diverse parti del nefrone e convergono successivamente in vasi linfatici
interlobulari diretti verso la giunzione corticomidollare; arcuati, lungo la base delle piramidi renali; interlobari,
che convergono infine nel seno renale, che abbandonano in 4-5 tronchi attraverso l’ilo renale.

Parallelamente a questo sistema di drenaggio parenchimale, è presente un sistema di vasi linfatici subcapsulari
superficiali che convergono all’ilo renale con vasi linfatici profondi. Sono tributari dei linfonodi aortici laterali.

7. STRUTTURA E ULTRASTRUTTURA DEL NEFRONE

Il nefrone è l’unità morfo-funzionale del parenchima renale; è una struttura complessa costituita da:

• un CORPUSCOLO RENALE (o di Malpighi), costituito dall’insieme di:

o Glomerulo renale, un insieme di anse capillari originate da un’arteriola afferente che confluiscono poi
in un’arteriola efferente (formando una specie di rete mirabile), i cui punti di origine costituiscono il
polo vascolare del corpuscolo;
o Capsula di Bowmann, che deriva dall’invaginazione dell’estremità a fondo cieco del tubulo renale,
che forma così due foglietti (parietale, epitelio pavimentoso semplice che poggia su una lamina basale
che lo separa dallo stroma circostante, e viscerale, formato dai podociti) che inglobano all’interno il
glomerulo, a guisa di coppa, e tra i quali permane uno spazio luminale in continuità con il tubulo
renale: spazio urinario.
• un TUBULO RENALE, sua volta suddiviso in tre porzioni: il tubulo contorto prossimale (TCP), l’ansa di
Henle ed il tubulo contorto distale (TCD).

o Il tubulo contorto prossimale segue il foglietto parietale della capsula glomerulare e occupa il
labirinto corticale.
o L’ansa di Henle, un tubulo intermedio costituito da due tratti spessi (prossimale e distale) e due sottili
(discendente e ascendente, contraddistinti da permeabilità differenti all’acqua e al NaCl).
o Il tubulo contorto distale ha origine dalla porzione ascendente dell’ansa di Henle. Il suo calibro è
inferiore rispetto a quello del tubulo contorto prossimale, ma, poiché la parete ha un epitelio più sottile,
il lume risulta più ampio.

Nella zona midollare del parenchima renale si distinguono due zone, interna ed esterna, distinguibili in base alla
diversa costituzione in tratti, spessi e sottili, dei nefroni della zona corticale:

§ nefroni corticali, caratterizzati da un corpuscolo più piccolo, situato nella parte più periferica della zona
corticale e da un tubulo più breve.
La midollare interna contiene solamente segmenti sottili dell’ansa di Henle dei neuroni corticali.

§ nefroni iuxtamidollari, forniti di un corpuscolo più voluminoso e profondo, localizzato vicino alla zona
midollare e di un tubulo assai più lungo (TRP si continua in una lunga ansa di Henle costituita da due tratti
spessi (prossimale e distale) e due tratti sottili.

La midollare esterna è suddivisa a sua volta in due bande, a seconda della visibilità delle striature che le sono proprie:

Ø banda interna più scura, che contiene sia i segmenti spessi sia segmenti sottili dell’ansa di Henle dei
neuroni corticali e iuxtamidollari;
Ø banda esterna più chiara, che contiene soltanto i segmenti spessi dell’ansa di Henle dei neuroni
corticali e iuxtamidollari.

8. MICROSCOPICA E ULTRASTRUTTURA TUBULO RENALE

Il tubulo renale è costituito da tre porzioni:

1. Il tubulo contorto prossimale segue il foglietto parietale della capsula glomerulare e occupa il labirinto
corticale. La parete di questo tratto del tubulo renale è costituita da cellule a forma di piramide tronca
(epitelio cubico semplice), con la base rivolta verso l’esterno e l’apice verso il lume. L’estremità apicale
presenta un orletto a spazzola, formato da microvilli, che aumentano enormemente la superficie cellulare,
in rapporto all’enorme parte assorbente di questa parte del tubulo. La base ha una struttura bacillare, dovuta
alla presenza di numerosi mitocondri a forma di bastoncino, che sono posizionati tra invaginazioni della
membrana plasmatica, da cui deriva la definizione di epitelio bacillare; la presenza dei numerosi
mitocondri consente il passaggio di ioni sodio attraverso la parete del tubulo per trasporto attivo. Le cellule
del tubulo convoluto prossimale, dopo colorazione, appaiono contenere granuli della sostanza colorante,
espressione della presenza di un ricco corredo enzimatico, in particolare la fosfatasi che è responsabile
dei fenomeni di riassorbimento del glucosio.

2. L’ansa di Henle possiede una parete il cui epitelio è pavimentoso semplice, le cui cellule sono dotate di
corti e radi microvilli nella porzione apicale, e un nucleo sporgente nel lume.

3. Il tubulo contorto distale ha origine dalla porzione ascendente dell’ansa del nefrone. Il suo calibro è
inferiore rispetto a quello del tubulo contorto prossimale, ma, poiché la parete ha un epitelio più sottile, il
lume più ampio. Le cellule dell’epitelio sono prive di orletto a spazzola, ma presentano solo rari ed
irregolare microvilli; la porzione basale è sempre caratterizzata da profonde invaginazioni della membrana
plasmatica che dividono il citoplasma in compartimenti dove si trovano i mitocondri (epitelio bacillare).

9. MICROSCOPICA E ASPETTI ULTRASTRUTTURALI DEL CORPUSCOLO RENALE

Il corpuscolo renale (o di Malpighi) risulta costituito dall’insieme di:

• Glomerulo renale, un gomitolo di vasi originati da un’arteriola afferente che confluiscono poi in
un’arteriola efferente (formando una specie di rete mirabile), i cui punti di origine costituiscono il
polo vascolare del corpuscolo;
• Capsula glomerulare di Bowmann, che avvolge a coppa il glomerulo.

La parete dei capillari glomerulari è costituita da un endotelio fenestrato, con pori (di diametro 0,1 micron) che
favoriscono il passaggio di acqua e di sostanze dal torrente circolatorio verso lo spazio capsulare. L’endotelio poggia
su una membrana basale, spessa circa 0,1-0,25 micrometri e finemente fibrillare, che ha una notevole importanza
nel processo di filtrazione; essa presenta una zona centrale più opaca agli elettroni (lamina densa) interposta tra i
due strati più chiari (lamine rare, esterna ed interna).

La membrana basale glomerulare non circonda l’intera circonferenza della parete capillare, ma solo i 3/4 e risulta
interposta tra l’endotelio e il foglietto viscerale della capsula glomerulare. Essa è costituita da collagene, laminina,
proteoglicani, fibronectina; la struttura microfibrillare di supporto, costituita da collagene di tipo IV, è il principale
componente della lamina densa, che funge da filtro capace di impedire il passaggio di macromolecole.
Inframmezzate tra le anse capillari dei glomeruli sono presenti le cellule del mesangio, più numerose in vicinanza
del polo vascolare del corpuscolo renale, sono localizzate in ordine sparso intorno all’endotelio prevalentemente nei
punti di ramificazione delle anse capillari, immerse in una matrice amorfa, chiamata matrice mesangiale, prodotta
dalle stesse cellule mesangiali, a costituire il mesangio intraglomerulare. Le cellule mesangiali hanno forma
irregolarmente stellata, con lunghi prolungamenti che si spingono nella lamina basale dei capillari e si connettono
mediante giunzioni serrate con i prolungamenti degli elementi mesangiali adiacenti.

9.1 MICROSCOPICA E STRUTTURA DELLA CAPSULA DI BOWMANN

La capsula di Bowmann deriva dall’invaginazione dell’estremità a fondo cieco del tubulo renale, che forma così
due foglietti che inglobano all’interno il glomerulo e tra i quali permane uno spazio luminale in continuità con il
tubulo renale: spazio urinario.

§ Il foglietto parietale è costituito da un epitelio pavimentoso semplice, che, sul versante esterno, poggia su
una lamina basale spessa che lo separa dallo stroma circostante; sul versante interno, la superficie
dell’epitelio del foglietto parietale delimita lo spazio capsulare. Le cellule epiteliali risultano povere di
organelli citoplasmatici e più spesse in corrispondenza del nucleo; in corrispondenza del polo urinario
diventano più alte e assumono gradualmente i caratteri delle cellule dell’epitelio della parete del tubulo
convoluto prossimale, mentre in prossimità del polo vascolare il citoplasma diventa ricco di granuli (cellule
epiteliali peripolari).
§ Il foglietto viscerale interno della capsula glomerulare si adagia sui capillari glomerulari ed è costituito da
un epitelio che presenta podociti. Queste cellule sono altamente specializzate e appaiono come elementi di
forma stellata con un corpo voluminoso e rigonfio, dal quale originano numerosi prolungamenti che
avvolgono le anse dei capillari glomerulari (trabecole o processi primari). I processi primari, a loro volta,
si ramificano dando origine a numerosi processi secondari (o pedicelli). Questi ultimi sono prolungamenti
sottili e brevi, leggermente dilatati alla loro estremità, che aderiscono alla superficie esterna della lamina
basale dei capillari glomerulari. Fra i pedicelli contigui si trovano fessure larghe 20-30 nm e profonde 30-
50 nm, che comunicano con lo spazio sub-podocitico (fessure di filtrazione), il quale, attraverso la
discontinuità esistente fra i processi dei podociti, è in continuità con lo spazio capsulare. Le fessure di
filtrazione sono chiuse da diaframmi dello spessore di 4 nm (diaframmi delle fessure o membrane di
filtrazione) che si estendono tra le membrane cellulari di pedicelli adiacenti e che permettono il passaggio
di acqua, ioni ma non di cellule e proteine ad elevato PM presenti nel sangue.

La membrana plasmatica dei podociti sul versante dello spazio capsulare è rivestita da uno spesso glicocalice, in
cui è presente una sostanza cationica ricca di acido sialico denominata podocalicina, che ha la funzione di impedire
il riassorbimento dell’ultrafiltrato raccolto nella camera di filtrazione.

10. MACROSCOPICA, MICROSCOPICA, FUNZIONE E ASPETTI ULTRASTRUTTURALI


DELL’APPARATO IUXTAGLOMERULARE (AJG)

Il complesso iuxtaglomerulare è un sistema di elementi cellulari che svolgono una funzione regolatrice sulla
filtrazione glomerulare, producendo un ormone, la renina, che ha un’azione sulla pressione sanguigna.

È costituito:

§ dalle cellule iuxtaglomerulari (o mioepiteliali granulari iuxtaglomerulari), delle cellule muscolari lisce
modificate che si trovano nella parete dell’arteriola glomerulare afferente, e, più raramente in quella
dell’arteriola efferente, dove si dispongono in uno o più strati intorno all’endotelio, sostituendo le cellule
muscolari lisce della tonaca media. L’insieme di tali cellule situate nella parete della porzione preglomerulare
dell’arteriola afferente si indica come cuscinetto polare. Sono cellule PAS-positive e presentano nel loro
citoplasma granuli contenenti renina. All’esame ultrastrutturale, appaiono separate dall’endotelio da una
membrana basale che si approfonda tra di esse e che continua con le lamine basali che si trovano fra le cellule
del mesangio extraglomerulare. Tali cellule sono in grado di rilasciare la renina e agire come recettori di volume,
capaci di risentire delle modificazioni emodinamiche che avvengono a livello dell’arteriola glomerulare
afferente.
§ dalla macula densa, punto di contatto tra il tubulo retto distale e il polo vascolare del corpuscolo renale; è
formata dalle cellule specializzate, quasi cilindriche, più strette e alte rispetto a quelle del tubulo distale,
tanto da dare l’impressione che vi sia una maggior densità (da cui il nome). Le cellule sono caratterizzate da
uno scarso citoplasma e da una disposizione diffusa dei mitocondri, più presenti sul versante apicale rispetto a
quello basale (tipico invece dell’epitelio bacillare delle altre porzioni del tubulo distale). La macula densa è in
stretto rapporto con le altre strutture del complesso iuxtaglomerulare attraverso un sistema di membrane; svolge
un ruolo di chemorecettore in grado di valutare la concentrazione ionica della pre-urina, nella quale una
diminuzione degli ioni sodio e cloro induce la secrezione di renina.

§ dalle cellule del mesangio extraglomerulare, che si trovano in numero di 4-5 nel piccolo spazio triangolare
tra le arteriole glomerulari afferente ed efferente e la macula densa, a livello dell’ilo del corpuscolo renale
(motivo per cui vengono chiamate anche cellule ilari o di Goormaghtigh); hanno forma fusata e contengono
un nucleo allungato in posizione centrale. Si trovano all’interno di un complesso sistema di membrane basali
in continuazione con quelle della macula densa e quelle delle cellule iuxtaglomerulari, tra cui svolgono una
funzione di mediatori.

11. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELLE VIE URINARIE

SISTEMA COLLETTORE A VALLE DEL NEFRONE

In un rene di un adulto ci sono circa 0,6 -1,2 milioni di nefroni; tramite i loro dotti riunenti, più nefroni defluiscono
nei dotti collettori (epitelio cubico semplice costituito da due tipi di cellule: cellule chiare o principali e cellule
scure o intercalari) che dai raggi midollari penetrano nelle piramidi renali, confluendo nei dotti papillari (epitelio
cilindrico semplice) delle papille renali, al cui apice diventa un epitelio di transizione che caratterizzerà la mucosa
delle vie urinarie a seguire.

Tra le vie urinarie vere e proprie si distinguono:

• Calici renali minori: strutture cilindriche cave, di lunghezza 10 mm e larghezza 12-16 mm, con
un’estremità slargata che si fissano alla base di una papilla renale, (in rapporto 1:1, raramente 1:2) ricevendo
l’urina dai dotti papillari.
• Calici renali maggiori: sono tre (superiore, medio ed inferiore) e si formano dalla confluenza dei calici
renali minori e hanno lunghezza variabile tra 3-26 mm.
• Pelvi renale: bacinetto renale a forma di cono, leggermente schiacciato antero-posteriormente e con
concavità rivolta inferiormente, che nasce dalla confluenza dei calici maggiori. Può presentarsi come pelvi
ampollare (calici minori confluiscono direttamente nella pelvi per assenza dei calici maggiori) pelvi
dendritica (calici maggiori particolarmente estesi e allungati) e generalmente ha un’altezza di 3 cm e una
larghezza di 1,5 cm. Si localizza posteriormente alla maggior parte delle strutture vascolari renali (vena
renale e ramo anteriore dell’arteria renale) e anteriormente al ramo posteriore dell’a. renale.

Nella sua porzione extrarenale è in rapporto:

- Posteriormente con il muscolo grande psoas;


- Anteriormente:
o La pelvi renale destra con la II porzione del duodeno, la VCI ed il coledoco;
o La pelvi renale sinistra con la flessura duodeno-digiunale e con una porzione della coda del pancreas.

La pre-urina che si forma nei corpuscoli renali, una volta trasformata in urina, gocciola, infatti, dai forami papillari
nei calici minori che confluiscono nei calici maggiori e successivamente nella pelvi renale. I calici renali maggiori
e minori e la pelvi sono alloggiati nel tessuto adiposo del seno renale, in continuità col tessuto adiposo extrarenale
del grasso peritoneale. Alla fuoriuscita dall’ilo renale, la pelvi si continua con l’uretere che trasporterà l’urina
formata nella direzione della vescica.

Dal punto di vista microscopico, la parete della prima porzione delle vie urinarie si compone di:

Tonaca mucosa, costituita da:


§ l’urotelio: epitelio di transizione estendibile ed impermeabile, costituito da tre tipi di strati:
o una fila di cellule basali,
o più file di cellule clavate (o intermedie) con un’estremità rigonfia rivolta verso la superficie e
l’estremità sottile insinuata fra le cellule basali, che si modificano in relazione al grado di
distensione dell’epitelio;
o una fila di cellule superficiali “a ombrello” molto numerose e talvolta binucleate, fra le cui
membrane plasmatiche sono presenti: una zona occludente, una zona aderente, e un desmosoma
(il cui compito è impedire il transito intercellulare di liquidi e sangue verso l’urina);
§ una lamina propria su cui poggia l’urotelio.

Tonaca muscolare: costituita da uno strato discontinuo di fascetti di cellule muscolari a disposizione
plessiforme immersi in un’abbondante trama connettivale. Sono presenti degli ispessimenti della tonaca che
formano il muscolo sfintere della papilla renale (in prossimità dell’attacco dei calici minori alle papille) ed
il muscolo sfintere dei calici (in prossimità dell’attacco dei calici maggiori alla pelvi renale).
Tonaca avventizia: connettivo lasso in continuità con la capsula fibrosa del seno renale.

12. MACROSCOPICA URETERE

L’uretere è un organo canalicolare pari e simmetrico, di calibro non uniforme (4-7 mm) e con una lunghezza di 27-
30 cm a sinistra e 10-15 cm a destra, che collega la pelvi renale alla vescica urinaria, dove sbocca in
corrispondenza dell’orifizio uretrale. L’uretere, nel complesso, discende portandosi in basso e medialmente, ma nel
punto di passaggio tra la parte addominale e quella pelvica, in corrispondenza dell’apertura superiore della piccola
pelvi, si realizza un cambiamento di direzione; a questo livello l’uretere scavalca i vasi iliaci, esterni a destra e
comuni a sinistra, formando un distinto ripiegamento, la flessura marginale.

In esso si possono distinguere tre porzioni:

I. Primo tratto, parte addominale retroperitoneale, decorre dietro al peritoneo parietale posteriore delle
fosse lombare e iliaca;
II. Secondo tratto, parte pelvica, si estende all’interno della cavità pelvica, decorrendo dapprima in
posizione retroperitoneale e poi sottoperitoneale, descrivendo una curva concava antero-medialmente;
III. L’ultimo tratto, più breve, parte intramurale o vescicale, è compreso nello spessore della parete
vescicale, che l’uretere attraversa con decorso obliquo.

Il calibro dell’uretere non è uniforme in tutta la sua lunghezza in quanto è contraddistinto da tre punti di
restringimento rilevanti:

1. Tra la sua prima porzione ad imbuto e l’inizio del canale si trova il colletto dell’uretere, a cui fa seguito una
porzione dilatata.
2. L’uretere diminuisce progressivamente di diametro fino ai vasi iliaci, che incrocia e scavalca formando il
restringimento iliaco.
3. Prosegue fino alla vescica urinaria, dove percorre con una piccola parte intramurale la vescica, presentando
un terzo istmo, detto restringimento vescicale. Attraversata la vescica urinaria, presenta una dilatazione
ampollare che termina con l’orifizio ureterale, dove le mucose ureterale e vescicale continuano l’una nell’altra.

Colica renale è la tipica situazione patologica che si manifesta a livello degli ureteri ed è causata da un blocco di un
calcolo renale in corrispondenza di uno dei tre punti di restringimento dell’uretere, che stimola la contrazione della
muscolatura liscia di quest’ultimo, provocando fasi di dolore acuto intervallato a fasi di rilassamento.

13. TOPOGRAFIA E RAPPORTI PORZIONE ADDOMINALE DELL’URETERE

La prima porzione addominale retroperitoneale scorre in direzione infero-mediale e presenta i seguenti rapporti:

- Posteriormente con la superficie anteriore del muscolo grande psoas ed è incrociato dal nervo cutaneo laterale
della coscia e dal nervo genito-femorale.
- Anteriormente, l’uretere destro (più corto) si rapporta con la seconda porzione del duodeno, mascherato dalla
fascia retropancreatica (o di Treitz), mentre l’uretere sinistro con la flessura duodeno-digiunale. Tramite
l’interposizione del peritoneo parietale posteriore, si rapporta con alcune anse del tenue. Gli ureteri sono,
inoltre, entrambi incrociati dai vasi gonadici, che si portano medio-lateralmente rispetto agli ureteri stessi;
l’uretere sx dai vasi colici sinistri e dai rami sigmoidei; l’uretere dx dai vasi colici dx e dai rami ileo-colici.
- Medialmente, l’uretere di destra si trova in rapporto con la VCI, mentre l’uretere di sinistro con la porzione
discendente addominale dell’aorta. Entrambi prendono rapporto con le strutture linfatiche e nervose associate
ai grossi vasi (linfonodi lombo-aortici e i gangli para-vertebrali della catena dell’ortosimpatico);
- Lateralmente, l’uretere è in rapporto con il polo inferiore del rene omolaterale, e, più distalmente, con il colon
(ascendente a destra e discendente a sinistra).

Dato che gli ureteri sono simmetrici e che la biforcazione dell’aorta è più spostata a sinistra, l’uretere destro passa
al davanti dell’origine dell’arteria iliaca esterna, mentre l’uretere sinistro incrocia la parte terminale dell’arteria
iliaca comune.

14. MICROSCOPICA URETERE

L’uretere è un organo cavo a tonache sovrapposte che possiede un lume stellato quando è vuoto. Si distinguono:

Tonaca mucosa, costituita da:


• un epitelio di transizione, urotelio, con numerosi strati cellulari che aumentano vicino all’immissione
in vescica. Tra le cellule principali si distinugono:
o cellule superficiali “a ombrello” con parte apicale molto espansa (aspetto cupoliforme);
o cellule clavate (o intermedie), col tipico aspetto dato da una base molto stretta e una superficie
apicale più ampia;
o cellule basali poste a contatto con la lamina basale;
• una lamina propria di tessuto connettivo che solleva l’urotelio in pieghe longitudinali, che danno
l’aspetto stellato al lume, e delle fibre di muscolatura liscia.
Tonaca muscolare: costituita da strati non ben definiti e distinti di muscolatura liscia, ma si possono
schematizzare in uno strato circolare interno e uno longitudinale esterno. Nell’1/3 distale dell’uretere,
esternamente allo strato circolare compare un terzo strato di muscolatura liscia.
Tonaca avventizia: connettivo lasso che contiene vasi e nervi destinati all’organo. Nell’1/3 distale
dell’uretere compare la guaina dell’uretere (o del Waldeyer), ovvero uno strato irregolare esterno di
muscolatura longitudinale, che si continua con lo strato muscolare del trigono vescicale.

15. FRP VESCICA URINARIA IN ENTRAMBI I SESSI

La vescica urinaria è un organo cavo muscolo-membranoso impari che costituisce il serbatoio per l’urina
proveniente dagli ureteri prima di venire espulsa durante la minzione attraverso l’uretra. Nell’adulto la vescica è
posta nella piccola pelvi, immediatamente dietro la sinfisi pubica, in sede sottoperitoneale.

La forma, le dimensioni e la posizione precisa dell’organo variano in relazione a una serie di fattori:

§ la replezione urinaria (grado di riempimento della vescica) che in condizioni fisiologiche è di circa 250-350
ml, anche se la vescica è molto estensibile e può raggiungere dimensioni maggiori.
§ il sesso: per i diversi rapporti topografici con le strutture adiacenti.

Nella femmina la vescica urinaria si trova un po’ più in basso e un po’più spostata in avanti rispetto a quella del
maschio. Difatti nel maschio la prostata solleva la vescica urinaria, mentre nella femmina la presenza dell’utero, fra
il retto e la vescica urinaria, spinge quest’ultimo organo in avanti; inoltre, sempre nella femmina, la maggiore
obliquità della grande pelvi porta i visceri a spostarsi in avanti.
§ l’età: nel bambino tende ad assumere una forma ovoidale estesa maggiormente lungo l’asse longitudinale,
trovandosi cranialmente rispetto al margine superiore della sinfisi pubica.
Nell’adulto la vescica ha la forma di una piramide a base triangolare in cui si possono riconoscere:

• un FONDO (o base vescicale) infero-posteriormente,


• un CORPO a forma di cupola che presenta una faccia anteriore, una faccia posteriore e due facce laterali;
• l’APICE DELLA VESCICA, che si forma nel punto di convergenza delle due facce laterali
anteriormente, e che fornisce l’attacco del legamento ombelicale mediano;
• il COLLO della vescica, da cui origina l’uretra, formato dalla convergenza delle due facce laterali e quella
posteriore, inferiormente.
o Nella femmina si trova appena sopra il pavimento pelvico ed è posizionato 3-4 cm dietro alla
porzione inferiore della sinfisi pubica; questa porzione viene tenuta in sede attraverso i legamenti
pubo-vescicali, la fascia pelvica e il muscolo elevatore dell’ano che si contrae quando aumenta
la pressione endoaddominale e, poiché riveste il collo vescicale, contribuisce alla sua continenza.
o Nel maschio si posiziona superiormente rispetto alla femmina, dista, infatti, 3 cm dal pavimento
pelvico, dato il suo rapporto con la prostata. Questa regione acquisisce particolare importanza per
la presenza dello sfintere pre-prostatico, fasci di muscolatura raggiunti dalle fibre nervose
adrenergiche simpatiche che si contraggono durante l’eiaculazione, in modo da impedire
l’eiaculazione retrograda, ovvero che lo sperma finisca nella vescica.

Le tre facce del corpo presentano i seguenti rapporti:

- La faccia anteriore della vescica urinaria presenta rapporti simili tra maschio e femmina: quando la
vescica è vuota si trova subito dietro la sinfisi pubica e le branche ischio-pubiche, con l’interposizione
dello spazio retropubico (o prevescicale o di Retzius) occupato da tessuto fibroadiposo in cui sono
immersi i rami dell’arteria pudenda interna ed il plesso venoso pre-vescicale (o dello spazio di
Retzius); quando la vescica è piena, la faccia anteriore risulta distesa sporgendo di almeno 2 cm dal
livello della sinfisi pubica. Lateralmente, la faccia anteriore della vescica è vicina alla regione
otturatoria e alle strutture vascolo-nervose che vi decorrono.

- La faccia posteriore guarda verso la cavità addominale ed è completamente rivestita dal peritoneo,
attraverso cui si mette in rapporto:
nel maschio, con le anse intestinali (soprattutto del tenue e a volte colon pelvico).
nella femmina, il peritoneo si riflette prima rispetto al maschio, ed è in rapporto con la cervice
sopravaginale e con la faccia anteriore del corpo dell’utero, con l’interposizione del cavo
vescico-uterino. Nella porzione più anteriore entra in contatto con le anse dell’intestino tenue.
- Le due facce laterali, osservabili solo a vescica urinaria distesa, corrispondono alle pareti della
piccola pelvi (cranialmente si rapportano con il m. otturatore interno e caudalmente con il m. elevatore
dell’ano) dalle quali sono separate, nella porzione superiore, dalla fossa paravescicale della cavità
peritoneale e, nella porzione inferiore, dallo spazio perivescicale; quest’ultimo contiene tessuto
fibroadiposo, in cui si trovano i plessi venosi paravescicali (vescicale e prostatico nel maschio, e
vescicale e vaginale nella femmina). Le facce laterali sono, inoltre, in rapporto con i vasi iliaci esterni,
con le strutture vascolo-nervose della regione otturatoria, con la parte obliterata dell’arteria ombelicale,
l’uretere ed i corrispondenti linfonodi, e con il dotto deferente nel maschio e con il legamento rotondo
dell’utero nella femmina.

16. FRP BASE (O FONDO) DELLA VESCICA IN ENTRAMBI I SESSI

La vescica urinaria è un organo cavo muscolo-membranoso impari, che funziona come serbatoio, con il compito
di raccogliere l’urina che arriva dagli ureteri, conservarla e poi espellerla sotto lo stimolo della minzione quando le
pareti si contraggono. Essa ha una capacità fisiologica di circa 250-350 ml. Nell’adulto la vescica è contenuta a
livello della piccola pelvi, immediatamente dietro il pube. Nella femmina la vescica si trova un po’ più in basso e
un po’ più spostata in avanti rispetto al maschio.

Per quanto concerne i rapporti della vescica, questi variano in rapporto allo stato o meno di riempimento.
Nel maschio, la porzione più anteriore del fondo vescicale (corrispondente al collo della vescica) è in
diretto rapporto con la prostata. Allo stesso livello è presente anche il meato uretrale interno che si
continua con l’uretra procedendo verso il basso. La porzione posteriore del fondo vescicale è in rapporto
con il retto, con l’intermediazione del cavo retto-vescicale di Douglas, suddivisibile a sua volta in una
componente pre-rettale e due componenti anteriori, retro-vescicale e retro-prostatica. Sotto al cavo,
sono presenti le vescicole seminali, separate dalla vescica mediante la lamina anteriore della fascia
vescicale, le quali presentano, medialmente, le corrispondenti ampolle dei dotti deferenti. Tra tutte le
strutture sopracitate e il retto si trova un addensamento della componente fibroadiposa che riempie lo
spazio sottoperitoneale che a questo livello costituisce una lamina disposta quasi su un piano frontale: la
fascia retto-vescicale di Denonvilliers, tesa tra i due muscoli elevatori dell’ano (termina in alto in
corrispondenza del cavo retto-vescicale e in basso si continua con la fascia pelvica parietale).
Nella femmina alla base vescicale è presente l’orifizio uretrale interno. Posteriormente il fondo della
vescica si pone in rapporto, dall’avanti in dietro, con 1/3 superiore della parete anteriore della vagina,
con la parte anteriore del fornice vaginale e con la porzione extra-vaginale della cervice uterina.
Analogamente a quanto detto nel maschio, tra la parete anteriore della vagina e il fondo vescicale, vi un
addensamento della componente fibroadiposa: il setto vescico-vaginale (simile alla fascia retto-
vescicale di Denonvilliers) setto connettivale ricco di vasi venosi nel quale si pone anche il tratto
terminale degli ureteri. Il trigono della vescica, attraverso il setto vescico-vaginale, corrisponde ad una
porzione liscia della mucosa vaginale (trigono vaginale).
.
17. RAPPORTI DELLA VESCICA NEL MASCHIO

§ La faccia anteriore della vescica urinaria presenta rapporti simili tra maschio e femmina: quando la vescica è
vuota si trova subito dietro la sinfisi pubica e le branche ischio-pubiche, con l’interposizione dello spazio
retropubico (o prevescicale o di Retzius) occupato da tessuto fibroadiposo in cui sono immersi i rami
dell’arteria pudenda interna ed il plesso venoso pre-vescicale (o dello spazio di Retzius); quando la vescica è
piena, la faccia anteriore risulta distesa sporgendo di almeno 2 cm dal livello della sinfisi pubica. Lateralmente,
la faccia anteriore della vescica è vicina alla regione otturatoria e alle strutture vascolo-nervose che vi
decorrono.
§ La faccia posteriore guarda verso la cavità addominale ed è completamente rivestita dal peritoneo attraverso
cui si mette in rapporto con le anse intestinali (soprattutto del tenue e a volte colon pelvico);
§ Le due facce laterali, osservabili solo a vescica urinaria distesa, corrispondono alle pareti della piccola pelvi
(cranialmente si rapportano con il m. otturatore interno e caudalmente con il m. elevatore dell’ano) dalle quali
sono separate, nella porzione superiore, dalla fossa paravescicale della cavità peritoneale e, nella porzione
inferiore, dallo spazio perivescicale; quest’ultimo contiene tessuto fibroadiposo, in cui si trovano i plessi venosi
vescicale e prostatico. In questa porzione, le pareti laterali della vescica prendono rapporto con la parte
obliterata dell’arteria ombelicale e con il dotto deferente nel maschio.

Per quanto riguarda il fondo vescicale:

§ la sua porzione più anteriore (corrispondente al collo della vescica) è in diretto rapporto con la prostata. Allo
stesso livello è presente anche il meato uretrale interno che si continua con l’uretra procedendo verso il basso.
§ la porzione posteriore è in rapporto con il retto, con l’intermediazione del cavo retto-vescicale di Douglas,
suddivisibile a sua volta in una componente pre-rettale e due componenti anteriori, retro-vescicale e retro-
prostatica. Sotto al cavo, sono presenti le vescicole seminali, separate dalla vescica mediante la lamina anteriore
della fascia vescicale, le quali presentano, medialmente, le corrispondenti ampolle dei dotti deferenti. Tra tutte
le strutture sopracitate e il retto si trova un addensamento della componente fibroadiposa che riempie lo
spazio sottoperitoneale che a questo livello costituisce una lamina disposta quasi su un piano frontale: la fascia
retto-vescicale di Denonvilliers, tesa tra i due muscoli elevatori dell’ano (termina in alto in corrispondenza del
cavo retto-vescicale e in basso si continua con la fascia pelvica parietale).

Internamente, il fondo della vescica corrisponde al trigono vescicale di Lieutaud, una regione triangolare equilatera in
cui ciascun lato misura 2,5 cm e i cui vertici sono i due meati ureterali localizzati posterosuperiormente ed il meato
uretrale interno, posto anteroinferiormente all’apice del suddetto triangolo.
Si tratta di una zona liscia la cui tonaca mucosa, essendo molto sottile e fortemente adesa alla tonaca muscolare, si
mantiene sempre distesa anche in condizione di vacuità, a differenza delle altre porzioni in cui si sollevano le pieghe.

18. MICROSCOPICA DELLA VESCICA

La vescica urinaria è un organo muscolare cavo, in cui la parete è più consistente di quella dei precedenti tratti delle
vie urinarie e il suo spessore varia da 0,5 a 1,5 cm. La parete vescicale è formata dalle tonache: mucosa, sottomucosa,
muscolare e avventizia; quest’ultima in alcune regioni è costituita da tonaca sierosa.

• La tonaca mucosa si solleva in pieghe quando è vuota; mentre queste tendono a sparire quando la vescica si
distende. Nella regione del trigono vescicale (o di Lietaud), invece, la tonaca mucosa, essendo molto sottile e
fortemente adesa alla tonaca muscolare, si mantiene sempre distesa anche in condizione di vacuità.
o L’epitelio della parete interna (urotelio) della vescica, ha i caratteri tipici dell’epitelio di
transizione che conta da 4 a 7 strati ed ha uno spessore molto consistente. Dallo strato più profondo
allo strato più superficiale si riconoscono:
§ Cellule basali di tipo cubico;
§ Cellule a clava di forma poliedrica;
§ Cellule a ombrello (o cupoliformi), a volte binucleate.

Al microscopio elettronico, la membrana plasmatica apicale delle cellule superficiali presenta un aspetto festonato
irregolare in cui si alternano delle regioni concave (placche uroteliali) e regioni a cerniera (o interplacca) ovvero
degli ispessimenti segmentari (giunzioni aderenti) sui quali si ancorano microfilamenti sparsi nel citoplasma.
Appena al di sotto della membrana, sono presenti le vescicole fusiformi che costituiscono delle riserve della
membrana apicale stessa. Le placche uroteliali presentano la particolarità di avere una membrana plasmatica unitaria
asimmetrica, lo strato lipidico esterno è il doppio di quello interno ed è caratterizzato dalla presenza di glicoproteine
particolari: le uroplachine (dalla struttura cristallina di forma esagonale, con diametro di circa 16 nm) che
contribuiscono a conferire maggiore impermeabilità alla membrana plasmatica.

o La lamina propria non appare sollevata in papille ed è formata da tessuto connettivo denso e
ricco di fibre elastiche. Lo strato profondo della lamina propria è costituito da tessuto connettivo
lasso e contiene: gruppetti di cellule adipose, esili fascetti di cellule muscolari variamente
orientati, noduli linfatici isolati e ricco corredo di vasi arteriosi e venosi in relazione con il plesso
di sottili capillari fenestrati sottoepiteliali.
• La tonaca muscolare è formata da muscolatura liscia piuttosto irregolare, schematizzabile in tre strati:
o Lo strato interno: fascetti a disposizione plessiforme o longitudinale;
o Lo strato intermedio: fascetti a disposizione circolare;
o Lo strato esterno: fascetti prevalentemente ad andamento longitudinale.

Si tratta di fasci variamente intrecciati a rete, con fibrocellule muscolari circondate da abbondante stroma
connettivale ricco di fibre elastiche, che costituisce nell’insieme il muscolo detrusore della vescica che,
contraendosi, determina lo svuotamento della stessa.

Nella regione del trigono, la mucosa aderisce tenacemente alla muscolatura sottostante, dalle caratteristiche
leggermente diverse: uno strato profondo, simile al muscolo detrusore, e uno strato superficiale, formato da fibre
muscolari più sottili con andamento trasversale ed immerse in un tessuto connettivo povero di fibre elastiche.
Nell’insieme questi fasci costituiscono il muscolo del trigono. Lo strato più superficiale è in continuità con la
muscolatura intraureterica dell’ultima porzione dell’uretere.

Nella regione del collo, lo strato circolare del muscolo detrusore della vescica forma delle vere e proprie arcate che
lo circondano, formando il muscolo sfintere interno dell’uretra.

• La tonaca avventizia è costituita da tessuto connettivo fibroso, spesso sulla faccia anteriore del corpo della
vescica e sul fondo, mentre è esiguo sulla faccia posteriore.
• La tonaca sierosa è data dal rivestimento peritoneale ed è limitata solo all’apice e a parte del corpo.
19. MEZZI DI FISSITÀ DELLA VESCICA MASCHILE

La vescica urinaria è mantenuta nella sua posizione, fra il peritoneo e il diaframma pelvico, da formazioni peritoneali
e sottoperitoneali, ispessimenti muscolo-connettivali o connettivali.

Il tessuto connettivo che avvolge la vescica all’interno della cavità pelvica si organizza in:

o I legamenti pubovescicali anteriori, ispessimenti della fascia vescicale, che fissano la porzione più bassa del
versante anteriore della vescica alla faccia posteriore del pube, in particolare alla sinfisi pubica.

Nel maschio si continuano nei legamenti puboprostatici fissando alla sinfisi anche il margine della prostata. Questi
legamenti decorrono nelle pieghe peritoneali rettovescicali che delimitano da ciascun lato il cavo retto-vescicale.

o I legamenti pubovescicali posteriori sono formazioni presenti solo nel maschio e stabiliscono un collegamento
fibromuscolare del fondo della vescica e della prostata con le superfici laterali del retto.
o Il legamento ombelicale mediano è un sottile cordone fibroso che si diparte dall’apice della vescica e si dirige,
in posizione mediana, verso l’ombelico, applicato alla faccia posteriore della parete addominale anteriore; esso
è ricoperto dal peritoneo parietale che, qui, si solleva nella piega ombelicale mediana. Esso rappresenta il
residuo fibroso dell’uraco.
o I legamenti ombelicali mediali, di destra e sinistra, sono due cordoncini fibrosi, che, a destra e a sinistra,
derivano dall’obliterazione delle arterie ombelicali e che si fissano alle facce laterali della vescica urinaria.

20. MACROSCOPICA, DECORSO E MICROSCOPICA DELL’ URETRA MASCHILE

L’uretra maschile è un condotto di circa 18-20 cm di lunghezza, che ha origine a livello dell’apice del trigono della
vescica (orifizio uretrale interno) e termina alla sommità del glande del pene (orifizio uretrale esterno).

Nella porzione iniziale è percorsa solamente dall’urina, mentre, a partire dall’altezza del collicolo seminale, l’uretra
dà passaggio tanto ai liquidi del sistema genitale quanto all’urina. Perciò, da un punto di vista funzionale, la prima
porzione può essere denominata uretra urinaria, la seconda uretra comune, in quanto interessa sia il sistema
urinario, sia il sistema genitale maschile. In base alla regione attraversata può essere suddivisa in porzione pelvica,
perineale e peniena (mobile), invece in base ai rapporti circostanti si distingue in:

I. L’uretra prostatica (3-4 cm) ha inizio subito dopo la sua origine, in corrispondenza dell’orifizio uretrale
interno, e fa seguito al collo della vescica. Essa penetra all’interno della prostata, attraversandola dalla base
all’apice; I rapporti dell’uretra in questo tratto sono:
- indietro con la fascia rettoprostatica, che la separa dal retto;
- in avanti con il legamento pubo-vescicale, con lo sfintere striato dell’uretra, con il plesso venoso
prostatico e con la sinfisi pubica;
- lateralmente con i legamenti puboprostatici e con il muscolo elevatore dell’ano.

II. L’uretra membranosa (1 cm) si trova a circa 2,5 cm postero-inferiormente alla sinfisi pubica, dove l’uretra
lascia la prostata e attraversa, con decorso obliquo in basso e in avanti, il diaframma urogenitale a cui
aderisce intimamente. In questo tratto l’uretra è circondata da un anello di fibre muscolari striate che
costituiscono il muscolo sfintere esterno dell’uretra. In questa regione essa è in rapporto:
- in avanti con il legamento trasverso del perineo, con i vasi dorsali profondi del pene e con il
legamento inferiore del pube,
- sui lati e posteriormente con le ghiandole bulbouretrali;
- indietro con il retto, dal quale è separata da un setto triangolare a base inferiore, il cosiddetto
triangolo rettouretrale.
III. L’uretra spongiosa, o cavernosa (15 cm), penetra nel corpo spongioso, poco al davanti del bulbo
dell’uretra, obliquamente dall’alto in basso e da dietro in avanti, si porta a incrociare la radice dello scroto
e penetra nella parte libera del pene ponendosi nella doccia creata dai due corpi cavernosi. Una volta giunta
all’estremità del pene, sbocca all’esterno in corrispondenza dell’apice del glande mediante un orifizio, detto
orifizio uretrale esterno.
21. CONFIGURAZIONE INTERNA DELL’URETRA MASCHILE

Per quanto riguarda la configurazione interna dell’uretra, e in particolare il lume dell’uretra:

§ a livello del meato uretrale interno, il diametro è di 8 mm ed ha forma semilunare a convessità anteriore.
§ a livello della porzione prostatica, il diametro è di 13 mm;
§ a livello della porzione membranosa è presente un restringimento a 7 mm ed ha una forma di T rovesciata.
§ nella regione peniena il diametro è costante e misura 8 mm;
§ a livello del meato uretrale esterno il diametro si restringe ulteriormente a 6,5 mm.

Lungo il suo decorso l’uretra presenta due dilatazioni:

1. fossa del bulbo: nella porzione iniziale dell’uretra cavernosa (diametro di 12 mm)
2. fossa navicolare: sulla sommità del glande (diametro di 10 mm) a circa 6 mm dal meato uretrale esterno.

L’aspetto interno dell’uretra è piuttosto regolare.

A livello della superficie posteriore della porzione prostatica vi è il collicolo seminale (o verumontanum), sulla cui
sommità è presente un diverticolo a fondo cieco, l’utricolo prostatico, residuo dei dotti paramesonefrici di Muller,
poco sotto al quale vi sono le aperture dei condotti eiaculatori. Ai lati del collicolo seminale vengono a crearsi due
solchi, seni prostatici, nei quali vanno ad aprirsi i dotti escretori delle numerose ghiandole utricolari e prostatiche
(orifizi dei condottini prostatici).

Sempre a livello della parete posteriore vi è una piega longitudinale della mucosa, la cresta uretrale, che si biforca
anteriormente, a livello della porzione membranosa, a formare i frenuli della cresta uretrale che raggiungono a
loro volta ai due orifizi delle ghiandole bulbo-uretrali di Cowper (tubulo acinose composte che producono un
secreto mucoso lubrificante che precede l’eiaculazione) localizzate nello spessore del muscolo trasverso profondo
del perineo. Lungo il decorso dell’uretra cavernosa, soprattutto lungo la parete superiore, si trovano gli infossamenti
di mucosa, le lacune uretrali di Morgagni, a cui spesso si associano le ghiandole uretrali profonde (di Littré), tubulari
ramificate a secrezione mucosa. Nella parte più rostrale della fossa navicolare, a circa 2 cm dal meato uretrale
esterno, è presente una piega mucosa semilunare chiamata valvola della fossa navicolare di Guérin.

22. MICROSCOPICA DELL’URETRA MASCHILE

Per quanto concerne l’anatomia microscopica, la parete dell’uretra maschile è costituita da:

a) una tonaca mucosa e una tonaca muscolare in corrispondenza del tratto prostatico e di quello membranoso,
b) una tonaca mucosa circondata da tessuto erettile (o cavernoso), che costituisce il corpo spongioso del pene,
nel tratto spongioso, ed è riccamente vascolarizzato.

§ La tonaca mucosa è estensibile ed è formata:


o da un epitelio di rivestimento che:
a) Tra l’orifizio uretrale interno e lo sbocco delle vescicole seminali è un epitelio di transizione,
simile a quello della vescica urinaria.
b) Dallo sbocco dei due condotti eiaculatori alla fossa navicolare è un epitelio cilindrico
pseudostratificato o, più frequentemente, cilindrico composto.
c) Dalla fossa navicolare al meato uretrale esterno, l’epitelio diventa pavimentoso composto
non cheratinizzato.
o da una lamina propria che accoglie un ricco corredo di ghiandole uretrali (o di Littré) e accumuli
di linfociti, talora aggregati in noduli privi di centri germinativi. Nel tratto prostatico si riscontrano
anche le ghiandole prostatiche aberranti, simili a quelle della prostata.

§ La tonaca muscolare è costituita da muscolatura liscia e striata;


o la componente liscia è composta da uno strato longitudinale interno e uno strato longitudinale esterno;
in particolare, quest’ultimo risulta essere particolarmente sviluppato nella porzione iniziale dove
costituisce il muscolo sfintere interno dell’uretra.
o la componente striata è costituita dal muscolo sfintere esterno dell’uretra, che inizia nel tratto
prostatico e prosegue fino al bulbo dell’uretra per continuare con i muscoli cavernosi.

23. FRP URETRA FEMMINILE

L’uretra femminile appare come un cordone cilindrico, molto più corto rispetto all’uretra maschile (circa 4 cm),
suddivisibile in una regione pelvica e una regione perineale.

Essa decorre, in sede sottoperitoneale, dietro alla sinfisi pubica, dall’alto in basso e da dietro in avanti, descrivendo
un arco concavo anteriormente e rimanendo in contiguità con la parete anteriore della vagina, per aprirsi, attraverso
il meato uretrale esterno, a livello del tetto del vestibolo, ossia la regione dei genitali esterni compresa tra le piccole
labbra, 2,5 cm posteriormente al glande del clitoride [a cui può essere collegata da una piega mucosa (briglia
uretrale)], e al davanti dell’orifizio vaginale.

In sezione ha una forma piuttosto fusata e un diametro di 6 mm, ad eccezione della parte intermedia dove, per la
presenza di una dilatazione, il diametro raggiunge gli 8 mm. Essa prende rapporto:

- Anteriormente con il plesso pudendo, il muscolo pubo-vaginale e con il plesso venoso che la separa dalla vagina.
- Posteriormente con la vagina, a cui risulta collegata (per i suoi 2/3 inferiori) con il setto fibroso uretrovaginale.
- Lateralmente con il plesso pudendo, coi margini mediali dei muscoli elevatori, con la fascia perineale, con il
muscolo pubo-vaginale e con la radice dei corpi cavernosi del clitoride.

24. MICROSCOPICA DELL’URETRA FEMMINILE

La parete dell’uretra femminile è spessa circa 5-6 mm ed è formata da due strati:

1. Tonaca mucosa, strato più interno della parete, delimita il lume stellato del condotto e si compone di:

o un rivestimento epiteliale, inizialmente di transizione, tipico del resto delle vie urinarie, che cambia
repentinamente a metà del condotto, diventando pavimentoso composto nel suo tratto inferiore, lo
stesso che riveste le piccole labbra.
o una tonaca propria connettivale riccamente vascolarizzata, (tonaca spongiosa) caratterizzata da un
connettivo denso ricco di fibre elastiche e di piccole ghiandole uretrali di tipo acinoso composto a
secrezione mucosa, e piccoli noduli linfatici (in prossimità dell’orifizio vaginale esterno.

Più inferiormente, la lamina è composta da un connettivo lasso in cui è intercalato un ricco plesso venoso che,
spingendosi in profondità nella tonaca muscolare, va a formare il corpo spongioso dell’uretra.

La mucosa dell’uretra è caratterizzata da un colorito bianco roseo e presenta alcune pieghe longitudinali non
permanenti che tendono a scomparire quando l’organo viene disteso dal passaggio dell’urina. Lungo la parete
posteriore, invece, è presente una piega permanente di maggiori dimensioni, chiamata cresta uretrale.

Nel versante interno, sia anteriormente che posteriormente, nella parete sono presenti degli infossamenti della
mucosa, chiamate lacune uretrali (molto simili alle lacune del Morgagni tipiche dell’uretra maschile)
maggiormente sviluppate e rappresentate a livello del meato uretrale esterno. In prossimità di quest’ultimo, si
individuano i due orifizi delle ghiandole parauretrali (di Skene), disposte parallelamente al decorso dell’organo
e producenti un secreto alcalino molto simile a quello prodotto dalla prostata nel maschio. Lungo la parete uretrale
vi sono anche gli orifizi di sbocco delle ghiandole uretrali (di Littré).

2. Tonaca muscolare, in continuità con la muscolatura liscia del collo vescicale, è caratterizzata da fasci di
muscolatura liscia organizzati in:
o uno strato longitudinale interno;
o uno strato circolare esterno, definito muscolo sfintere interno dell’uretra.

Al passaggio attraverso il diaframma urogenitale, alla muscolatura liscia si aggiunge la muscolatura striata del
muscolo sfintere esterno dell’uretra, il quale permette l’emissione controllata e volontaria dell’urina.
DOMANDE SULL’APPARATO ENDOCRINO

1) CONNESSIONI VASCOLO-NERVOSE/SISTEMA PORTALE IPOTALAMO-IPOFISARIO

Il sistema portale ipotalamo-ipofisario ha un significato prettamente funzionale, e permette all’ipotalamo di


controllare l’ipofisi anteriore senza un collegamento diretto di tipo neuronale: le arterie del peduncolo ipofisario
formano un sistema di capillari, sui quali terminano gli assoni dei neuroni neurosecernenti dell’ipotalamo, che
scaricano i propri fattori ormonali nei suddetti vasi. Dalle venule del peduncolo ipofisario, il sangue passa alle
venule dell’adenoipofisi, le cui cellule ricevono i fattori appena immessi nel sangue; il sangue infine raggiunge le
vene dei seni cavernosi.

Più nello specifico, la ghiandola ipofisaria è irrorata da:

- Le arterie ipofisarie superiori, rami della porzione sopraclinoidea della carotide interna; esse si portano verso
il peduncolo ipofisario dove danno origine ad un’ampia anastomosi. In particolare, nell’eminenza mediana, le
arterie ipofisarie superiori si riducono a capillari fenestrati, che vanno a formare il plesso capillare primario.
Da questo plesso si formano le vene portali ipofisarie, che scendono lungo la pars tuberalis e, raggiunta la pars
distalis adenoipofisaria, vi costituiscono il plesso capillare secondario.
- Le arterie ipofisarie inferiore, rami della porzione cavernosa dalla carotide interna, formano un letto di
capillari a livello della neuroipofisi: a questo livello i neuroni dell’ipotalamo rilasciano i loro secreti. Dalla
suddetta rete capillare (plesso capillare del processo infundibolare) che irrora la pars nervosa della
neuroipofisi, originano le vene ipofisarie inferiori che drenano nei seni cavernosi circostanti.

Gli assoni dei neuroni dei nuclei parvocellulari ipotalamici liberano nel primo letto capillare dell’eminenza mediana
i loro neurosecreti (RH o IH), i quali attraverso i vasi portali (lunghi e brevi) e il letto capillare secondario
raggiungono l’adenoipofisi.

La pars distalis adenoipofisaria risulta perciò priva di vascolarizzazione diretta di sangue arterioso, ma grazie a
questa particolare vascolarizzazione, che ricorda la rete mirabile venosa del sistema portale epatico, l’attività
secernente dell’adenoipofisi è sotto il controllo neuroendocrino dell’ipotalamo e, per questa ragione, si parla di
sistema portale ipotalamoipofisario.

Più nello specifico, la ghiandola ipofisaria è irrorata da:

• le arterie ipofisarie superiori, fino a un massimo di quattro, che originano dalla porzione intracranica
dell’arteria carotide interna nel decorso sopracavernoso (qualcuna può originare anche direttamente
dall’arteria comunicante posteriore del circolo arterioso cerebrale) e provvedono alla vascolarizzazione del
l’eminenza mediana e, solo in parte, dell’adenoipofisi;
• le due arterie ipofisarie inferiori derivano dalla parte cavernosa (o intracavernosa) dell’arteria carotide
interna e provvedono a vascolarizzare la neuroipofisi. Dopo aver emesso un collaterale superiore e uno
inferiore, ciascuna arteria ipofisaria inferiore si risolve in rami terminali (superiori e inferiori) che si
capillarizzano a livello della neuroipofisi e, solo in minima parte, dell’adenoipofisi. Nella rete capillare
sinusoidale formata da questi vasi le terminazioni nervose dei neuroni magnocellulari dei nuclei
neurovegetativi sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo liberano il loro neurosecreto (ormone
antidiuretico e ossitocina).

Molto più particolare è la vascolarizzazione dell’adenoipofisi. Le arterie ipofisarie superiori si portano verso
l’eminenza mediana del tuber cinereum e la base del peduncolo ipofisario, dove si anastomizzano ampiamente tra
loro, per poi penetrare nella sostanza nervosa dell’eminenza mediana e dare origine a un ricco gomitolo di capillari.
In particolare, si formano due plessi capillari venosi (plessi capillari primari), uno esterno e uno interno, da cui
originano vene di diversa lunghezza: vene portali ipofisarie lunghe, che provengono da entrambi i plessi primari,
esterno e interno, e vene portali ipofisarie brevi, che provengono dalla parte inferiore dell’infundibolo. Le vene
portali discendono lungo il peduncolo ipofisario per raggiungere l’adenoipofisi, dove si capillarizzano formando
una rete sinusoidale nello stroma ghiandolare (plesso capillare secondario). Questa seconda rete capillare è,
dunque, una rete mirabile venosa. Le vene che originano da questa seconda capillarizzazione si portano alla capsula
della ghiandola, raggiungono il diaframma della sella e si immettono nei seni durali.
2) STRUTTURA E MICRO ADENOIPOFISI, CON ULTRASTRUTTURA CELLULE ACIDOFILE

L’ipofisi (o ghiandola pituitaria) è una ghiandola impari, mediana e costituita da due parti, distinte per origine,
posizione, dimensione, struttura e funzione: adenoipofisi e neuroipofisi.

L’adenoipofisi, ghiandola endocrina di tipo cordonale, è di origine ectodermica, ha una forma ovoidale, un volume
maggiore e presenta posteriormente una concavità che accoglie la retrostante neuroipofisi.

Essa è suddivisibile in tre parti:

• la parte distale, la più voluminosa e posta anteriormente,


• la parte intermedia, che prende anche il nome di lamina iuxtanervosa;
• la parte tuberale, posta superiormente alle altre due, abbraccia antero-lateralmente l’infundibolo della
neuroipofisi e contribuisce alla formazione del peduncolo ipofisario.

In tutte e tre le parti della ghiandola i cordoni cellulari sono circondati da una trama di connettivo lasso reticolare,
e fra i quali decorrono ampi capillari sinusoidali. Le cellule endoteliali di questi ultimi, provviste di pori chiusi da
un diaframma, poggiano su una sottile membrana basale che le separa dagli elementi epiteliali ghiandolari.

La popolazione cellulare presente in questi cordoni è eterogenea per morfologia e produzione ormonale. Gli ormoni
adenoipofisari sono di fondamentale importanza per la regolazione della crescita, della riproduzione e del
metabolismo. In base alle affinità tintoriali, ovvero in base al contenuto dei granuli all’’interno del citoplasma, si
distinguono tre gruppi principali di cellule secernenti:

1. Le cellule basofile, tra cui si distinguono:

a. cellule corticotrope (20%), che producono ACTH, MSH e LH, sono situate prevalentemente nella
porzione anteriore della ghiandola;
b. cellule gonadotrope (5%), che producono prevalentemente gonadotropine FSH e LH, sono
localizzate nella porzione infundibolare (tuberale);
c. cellule tireotrope (5%), che sintetizzano il TSH, si trovano nella zona centrale anteriore della
porzione distale;
2. Le cellule cromofobe, in parte di supporto (tra cui le cellule follicolostellate provviste di prolungamenti che si
insinuano tra le cellule dei cordoni), in parte staminali, non possiedono una posizione preferenziale.
3. Le cellule acidofile (il cui citoplasma si colora in rosa in Em-Eo) si trovano prevalentemente nelle zone laterali
della porzione distale e sono le cellule somatotrope (50%) e mammotrope (20%), le quali producono secreti
di natura proteica, rispettivamente l’ormone della crescita (STH op GH) e la prolattina (PRL).

Nello specifico:

a. Le cellule somatotrope (o cellule α) producono l’ormone della crescita (GH, o somatotropina, STH); hanno
forma per lo più ovale, diametro massimo di 14-20 µm e presentano granulazioni piuttosto voluminose, di
natura proteica, PAS-negative, colorabili con l’azocarminio. Al microscopio elettronico vi si osservano
granuli di circa 300-400 nm di diametro, molto elettrondensi, sparsi in tutto il citoplasma, numerosi
mitocondri con scarse creste laminari, un esteso apparato di Golgi e un ricco corredo di ribosomi sia liberi
che aggregati a cisterne del reticolo endoplasmatico.
b. Le cellule mammotrope (o cellule ε), producono prolattina (PRL, o ormone lattogenico); quando non
stimolate il RER è poco rappresentato e il complesso di Golgi è poco sviluppato, le vescicole di secrezione
hanno un diametro di circa 150 nm., appaiono piccole e di forma poliedrica, non raggruppate in cordoni
cellulari ma sparse e isolate. Durante la gravidanza e l’allattamento al seno, queste cellule mammotrope
aumentano notevolmente di numero e dimensione, fino a rappresentare il 50% della popolazione
adenoipofisaria. Anche i granuli, PAS-negativi, ben colorabili con l’orange G della miscela di Azan-
Mallory. aumentano di dimensioni (600-900 nm). Al microscopio elettronico si riconoscono per il volume
dei granuli e per il loro polimorfismo. Il citoplasma contiene inoltre uno sviluppato apparato di Golgi e un
notevole reticolo endoplasmatico granulare.
Le cellule secernenti non sono raggruppate in base al tipo cellulare, né, come si è visto, sono distribuite
uniformemente in tutta la ghiandola: circa il 50% delle cellule è cromofobo, il 10% è basofilo ed il 40% è acidofilo.

3) ULTRASTRUTTURA DELL’ADENOIPOFISI

In base al tipo di ormone prodotto, si distinguono:

o Le cellule somatotrope (o cellule α) producono l’ormone della crescita (GH, o somatotropina, STH); hanno
forma per lo più ovale, diametro massimo di 14-20 µm e presentano granulazioni piuttosto voluminose, di
natura proteica, PAS-negative, colorabili con l’azocarminio. Al microscopio elettronico vi si osservano granuli
di circa 300-400 nm di diametro, molto elettrondensi, sparsi in tutto il citoplasma, numerosi mitocondri con
scarse creste laminari, un esteso apparato di Golgi e un ricco corredo di ribosomi sia liberi che aggregati a
cisterne del reticolo endoplasmatico.
o Le cellule mammotrope (o cellule ε), producono prolattina (PRL, o ormone lattogenico); quando non stimolate
il RER è poco rappresentato e il complesso di Golgi è poco sviluppato, le vescicole di secrezione hanno un
diametro di circa 150 nm., appaiono piccole e di forma poliedrica, non raggruppate in cordoni cellulari ma
sparse e isolate. Durante la gravidanza e l’allattamento al seno, queste cellule aumentano notevolmente di
numero e dimensione, fino a rappresentare il 50% della popolazione adenoipofisaria. Anche i granuli, PAS-
negativi, ben colorabili con l’orange G della miscela di Azan-Mallory. aumentano di dimensioni (600-900 nm).
Al microscopio elettronico si riconoscono per il volume dei granuli e per il loro polimorfismo. Il citoplasma
contiene inoltre uno sviluppato apparato di Golgi e un notevole reticolo endoplasmatico granulare.
o Le cellule corticotrope, producenti il precursore dell’ormone proteico adenocorticotropo (corticotropina o
ACTH), la propriomelanocortina. Sono piccole cellule rotondeggianti (di diametro 8-10 micron) dotate di
numerosi granuli di secrezione (diametro 200-300 nm) e di prolungamenti citoplasmatici o processi dendritici
che si insinuano tra le cellule circostanti.
o Le cellule tireotrope, producenti l’ormone tireotropo (TSH), hanno forma irregolare per la presenza di
prolungamenti e sono concentrate soprattutto nella parte anteromediale della ghiandola. Gli organelli
citoplasmatici sono poco sviluppati e i piccoli ed elettrondensi granuli di secrezione possono raggiungere il
diametro di 100-150 nm, disponendosi nella parte periferica della cellula. L’ormone tireotropo ha come organo
bersaglio la ghiandola tiroide.
o Le cellule gonadotrope producenti l’ormone follicolostimolante (o FSH) e l’ormone luteinizzante (o LH),
nella femmina, e l’ormone stimolante le cellule interstiziali (o ICSH), nel maschio.

• Le cellule che producono FSH sono rotondeggianti con un diametro di circa 17 micrometri, e sono
localizzate prevalentemente nelle parti latero-dorsali della ghiandola. Hanno un abbondante RER
con cisterne spesso dilatate che contengono una sostanza non omogenea. Presentano due tipi di
vescicole secretorie (di diametro rispettivamente 200 nm e 400 nm), associate alle fasi del ciclo
ovarico nella donna.
• Le cellule che producono LH hanno forma sferoidale e sono più piccole di quelle che producono
l’FSH. Occupano prevalentemente la parte centrale della ghiandola. Hanno un RER ben sviluppato,
ma con cisterne appiattite, mentre nel complesso il Golgi non è molto evidente.

o Le cellule basofile della pars intermedia producono l’ormone melanotropo (MSH), sotto forma di pro-ormone
proopiomelanocortina, successivamente clivata.

o Le cellule cromofobe sono poliedriche dotate di lunghi prolungamenti e disposte in cordoni regolari senza una
posizione preferenziale. Sono cellule in parte di supporto, in parte staminali. In quest’ultimo caso si ricordano
le cellule follicolostellate, provviste con lunghi prolungamenti che si insinuano tra le cellule dei cordoni.

4) STRUTTURA E MICROSCOPICA DELLA NEUROIPOFISI

La neuroipofisi è costituita da tre componenti in stretta relazione dinamica fra loro:

1. La componente nervosa è la parte specifica e più importante della ghiandola; rappresenta il parenchima
ghiandolare ed è costituita dai terminali assonici amielinici dei neuroni, il cui corpo è situato nell’ipotalamo;
Si possono distinguere due tipologie di proiezioni assoniche:

I. Fibre di primo tipo sono rappresentate da fibre nervose del tratto ipotalamo-ipofisario che
trasportano neurormoni:
§ ADH (o vasopressina), prodotta dai neuroni dei nuclei sopraottici dell’ipotalamo;
§ ossitocina, prodotta dai neuroni dei nuclei paraventricolari dell’ipotalamo;

Lungo il loro decorso possono essere presenti dei rigonfiamenti che conferiscono loro un aspetto a corona di rosario,
dovuti alla presenza delle vescicole, dette corpi di Herring, un deposito locale di granuli contenenti i due ormoni,
il cui rilascio nel letto capillare avviene attraverso i capillari più piccoli.

II. Fibre di secondo tipo è rappresentato da fibre nervose centrali che originano da diversi nuclei
dell’encefalo e servono a regolare la neuroipofisi.

2. La componente vascolare rappresenta la porzione trofica rappresentata da una classica rete di capillari
sinusoidali fenestrati, che deriva dalla ramificazione delle arterie ipofisarie inferiori. L’endotelio fenestrato
poggia su una membrana basale ben evidenziabile. Spesso i capillari si raggruppano a gomitolo,
costituendo i cosiddetti corpi di Grewing.

3. La componente gliale rappresenta l’impalcatura connettivale della neuroipofisi (stroma della ghiandola);
è molto plastica e adattativa, rappresenta la porzione che media e regola i delicati rapporti anatomo-
funzionali fra le altre due componenti.

- Nella regione dell’infundibolo sono presenti caratteristici astrociti, che avvolgono le fibre nervose.
- Nel lobo nervoso, invece, sono presenti le cellule più caratteristiche, i pituiciti, che rappresentano il
citotipo non nervoso più abbondante.

Queste cellule neurogliali sono caratterizzate da prolungamenti citoplasmatici che possono assumere forma e
lunghezza diverse in base alle quali si possono suddividere in quattro gruppi diversi:

a) Reticolopituiciti, che si dispongono a formare una rete;


b) Micropituiciti, di dimensioni minori;
c) Fibropituiciti, di aspetto più fusiforme;
d) Adenopituiciti, di aspetto poliedrico con scarsi prolungamenti.

I prolungamenti di queste cellule sono in rapporto con la parete dei capillari sinusoidali che decorrono fra le
terminazioni nervose. Il ruolo di queste cellule gliali nei confronti delle terminazioni nervose è importantissimo:
rappresentano elementi di sostegno, svolgono una funzione trofica e, soprattutto, partecipano alla regolazione dei
processi di neurosecrezione in maniera paracrina.

5) MACROSCOPICA TIROIDE ED FRP IN RELAZIONE ALLA FASCIA CERVICALE

La tiroide è una ghiandola impari e mediana, a forma di farfalla, costituita da due lobi laterali voluminosi, uniti
centralmente ed anteriormente da una porzione ristretta, detta istmo, applicato al davanti delle prime due cartilagini
tracheali. È situata in posizione superficiale nella zona viscerale del collo, tra le due arterie carotidi comuni e al
davanti del dotto laringotracheale, a un livello compreso tra C5 e T1.

La tiroide presenta una superficie liscia avvolta da una capsula connettivale, detta capsula tiroidea vera e propria
da cui dipartono dei setti connettivali, in cui sono contenuti i vasi sanguigni, che penetrano nella ghiandola
suddividendola in aree di forma e dimensioni diverse, impropriamente definite lobuli.

La ghiandola presenta una consistenza molle ed un colorito grigio rossastro, che varia a seconda del grado di
vascolarizzazione, dipendente a sua volta dallo stato funzionale della ghiandola.

I lobi della ghiandola presentano una forma conica, con base inferiore posta all’altezza del III-IV semianello
tracheale e l’apice che raggiunge in alto la linea obliqua della cartilagine tiroidea. Ogni lobo misura: circa 5 cm in
altezza, la distanza massima tra i margini laterali dei due lobi è di circa 7 cm e lo spessore è di circa 15-20 mm in
corrispondenza dei lobi e 4-6 mm a livello dell’istmo.
Il peso della ghiandola tiroide, così come il suo volume, è molto variabile e nell’adulto si aggira intorno ai 25 g (di
solito più grande nella donna, in cui può ingrandirsi ulteriormente in condizioni fisiologiche come le mestruazioni
o gravidanza).

In ciascun lobo si possono descrivere tre superfici: una faccia anterolaterale, una faccia mediale e una faccia
posteriore. Dal margine postero-laterale di ciascun lobo sporge una protuberanza parenchimale, detta corno
posteriore della ghiandola tiroide, che contrae rapporto con la parotide superiore e il nervo laringeo ricorrente.
[il nervo laringeo ricorrente, raggiunta la tiroide, si posiziona in stretto rapporto con l’arteria tiroidea inferiore, in posizione
variabile, fattore di grande rilevanza clinica in quanto il nervo è fondamentale per l’attività fonatoria della laringe. Esso può
trovarsi sia a livello dello spazio paratracheale, tra tiroide e trachea, oppure più posteriormente nello spazio tracheo-esofageo;
in altri casi decorre all’interno del tessuto tiroideo oppure molto posteriormente tra esofago e tiroide stessa.]

Al di sopra della capsula tiroidea interna vi è un altro strato di connettivo denso, la guaina peritiroidea, considerata
una dipendenza della fascia cervicale media, anche se di fatto costituisce un’entità anatomica distinta. Tra la
capsula e la guaina si trova lo spazio pericoloso dal punto di vista medico, in quanto fittamente percorso e riempito
di vasi, oltre ad ospitare le ghiandole paratiroidi.

La guaina è, inoltre, il sito di inserzione di alcuni importanti mezzi di fissità della tiroide:

o Legamento sospensore della tiroide che collega la guaina alla cartilagine tiroidea;
o Legamento laterale interno che collega la guaina alla cartilagine cricoidea;
o Legamento laterale esterno che collega la guaina ai primi anelli tracheali;

Per quanto riguarda i rapporti:

- La faccia anterolaterale dei lobi continua con la faccia anteriore dell’istmo ed è in rapporto con i muscoli
sottoioidei, compresi nella guaina peritiroidea. Più esternamente, la ghiandola tiroide entra in rapporto con la
fascia cervicale superficiale che avvolge i muscoli sternocleidomastoidei, il tessuto sottocutaneo (nel quale
decorrono le vene giugulari interne), il platysma e infine, la cute.
- La faccia mediale dei lobi appare concava e continua con la faccia posteriore dell’istmo; complessivamente
si adatta alle facce anterolaterali del dotto laringo-tracheale, posteriormente al quale si trovano le superfici
anteriore e laterale dell’esofago.
- La faccia posteriore dell’istmo rappresenta la porzione della ghiandola a più stretto contatto con la trachea.
- La faccia posteriore dei lobi è in rapporto posterolaterale con il fascio vascolo-nervoso del collo e, in
particolare, con l’arteria carotide comune, che spesso determina sulla ghiandola un piccolo solco. Lungo questa
faccia, accolte all’interno della guaina che avvolge la ghiandola tiroide, si trovano le ghiandole paratiroidi.

6) MICROSCOPICA DELLA TIROIDE E DEL FOLLICOLO

La tiroide è una ghiandola endocrina follicolare, rivestita da una capsula connettivale dalla quale originano dei
setti che determinano una divisione irregolare del parenchima in lobuli poco definiti. Il parenchima è costituito
da formazioni vescicolari, i follicoli, di forma ovale o rotondeggiante e di diverse dimensioni (comprese tra 50 e 90
nm). L’epitelio follicolare delimita una cavità occupata da una sostanza gelatinosa eosinofila, la colloide, costituita
da una glicoproteina iodata, la tireoglobulina (che rappresenta il precursore di T3 e T4). La parete dei follicoli è
costituita da un singolo strato di cellule epiteliali cubiche (tireociti) che appaiono diversi a seconda che vi sia
l’accumulo di ormoni o che questi vengano liberati nel sangue. Nello specifico, si possono distinguere:

a. MACROfollicoli, che caratterizzano la ghiandola tiroide in condizioni di ipofunzionalità (fase di


accumulo); presentano una cavità molto dilatata per l’accumulo del colloide e un rivestimento
epiteliale molto appiattito;
b. Microfollicoli che caratterizzano la ghiandola tiroide in fase secretiva; presentano un epitelio
cilindrico o cubico e una cavità con scarso contenuto di colloide.

Intorno alla lamina basale dell’epitelio è presente una delicata trama di fibre reticolari stromali derivanti dai setti
connettivali e si riscontrano plessi di capillari sinusoidali fenestrati, vasi linfatici e nervi.
Tra i follicoli, nello stroma interstiziale, oppure nell’epitelio follicolare stesso, sono intercalate le cellule
parafollicolari (o cellule C) che secernono la calcitonina, ormone responsabile della riduzione dei livelli ematici
di calcio e del rimodellamento osseo. Tali cellule risultano più basse rispetto alle follicolari ed essendo relegate
nella porzione basale dell’epitelio non raggiungono il lume del follicolo.

7) FPR PARATIROIDI

Le ghiandole paratiroidi si presentano come corpiccioli ovoidali o lentiformi, di piccole dimensioni, disposte due
per lato (superiori ed inferiori di destra e di sinistra) sulla superficie posteriore della tiroide, tra questa e la guaina
peritiroidea, e quindi anche la capsula tiroidea propriamente detta. Hanno una lunghezza media di 6-9 mm, essendo
le superiori più piccole, e una larghezza di 3-4 mm.

Nel vivente, presentano un caratteristico colorito bruno camoscio, che ne consente l’immediata identificazione
nella chirurgia della regione tiroidea, tendente al giallo nell’età avanzata e di consistenza molle.

La posizione precisa delle ghiandole paratiroidi è soggetta a variazioni anatomiche:

§ Le ghiandole paratiroidi superiori, che aderiscono più o meno strettamente alla capsula tiroidea,
presentano una localizzazione maggiormente costante, essendo situate generalmente in corrispondenza
dell’1/3 medio del lobo tiroideo, superiormente al corno posteriore della ghiandola tiroide (o tubercolo di
Zuckerland) ed esternamente al nervo laringeo ricorrente e all’arteria tiroidea inferiore;
§ In relazione al loro sviluppo embriologico, le ghiandole paratiroidi inferiori, più vicine alla base della
ghiandola tiroide, si trovano inferiormente al suddetto corno ed esternamente al nervo laringeo ricorrente e
all’arteria tiroidea inferiore, ma sono soggette a maggior variabilità, potendosi trovare all’interno della
guaina paratiroidea, ma anche al suo esterno, subito al di sopra dell’arteria tiroidea inferiore, accollate alla
faccia posteriore dell’esofago.

Le suddette variazioni rivestono una certa importanza in ambito chirurgico, dal momento che le paratiropidi sono
per lo più contenute nella capsula tiroidea, esiste un’elevata probabilità che vengano asportate inavvertitamente
durante un intervento sulla tiroide, instaurando una condizione di ipoparatiroidismo. Nell’organismo viene prodotto
troppo poco paratormone, il livello di calcio ematico si abbassa ed insorge un’ipocalcemia, che può indurre crampi
di tipo tetanico della muscolatura scheletrica.

8) MICROSCOPICA DELLE PARATIROIDI

Le ghiandole paratiroidi si presentano come corpiccioli ovoidali o lentiformi, di piccole dimensioni, (lunghezza
media di 6-9 mm, essendo le superiori più piccole, e una larghezza di 3-4 mm) disposte due per lato (superiori ed
inferiori di destra e di sinistra) sulla superficie posteriore della tiroide, tra questa e la guaina peritiroidea, e quindi
anche la capsula tiroidea propriamente detta. Nel vivente, presentano un caratteristico colorito bruno camoscio,
che ne consente l’immediata identificazione nella chirurgia della regione tiroidea, tendente al giallo nell’età
avanzata e di consistenza molle.

Ciascuna ghiandola è rivestita da una sottile capsula connettivale da cui dipartono dei sottili setti, percorsi da vasi
e nervi, che penetrano nel parenchima. Durante l’infanzia, la ghiandola è costituita da cordoni irregolari e
interconnessi di cellule principali, associati a capillari sinusoidali fenestrati con scarso stroma interposto. Dopo la
pubertà il tessuto adiposo invade lo stroma, relegando i cordoni in piccoli nidi cellulari.

Tra le cellule delle paratiroidi, si distinguono:

• Le cellule principali, tipo cellulare più diffuso, sono presenti per tutta la vita e sono responsabili della
produzione del paratormone, che stimola l’attivazione degli osteoclasti preposti al riassorbimento
osseo, aumentando pertanto il livello del calcio ematico, e costituendo così, l’antagonista della
calcitonina prodotta dalla tiroide.

Queste cellule si differenziano, dal punto di vista ultrastrutturale, in base alla propria attività funzionale, in:

o Le cellule principali attive (cellule scure) sono piccole e con citoplasma debolmente basofilo.
o Le cellule chiare (o cellule principali inattive) hanno dimensioni maggiori e sono
quantitativamente più rappresentate rispetto alle cellule attive nelle ghiandole paratiroidi umane.

• Le cellule ossifile sono meno numerose delle principali, compaiono nella pubertà e aumentano
progressivamente con l’avanzare dell’età, trovandosi principalmente isolate o in piccoli gruppi. Sono
cellule molto voluminose, presentano un nucleo piccolo e intensamente colorabile e un citoplasma di
aspetto granulare e fortemente eosinofilo che, all’osservazione ultrastrutturale, risulta fittamente stipato
di mitocondri.

9) STRUTTURA PANCREAS ENDOCRINO (MICROSCOPICA ISOLE DI LANGERHANS)

Il 5% del parenchima pancreatico è costituito dalle isole pancreatiche (di Langerhans), che rappresentano la parte
endocrina del pancreas e che si presentano come aggregati cellulari di forma sferoidale o ellissoidale, della
grandezza di 0,3-0,7 mm, disseminati nella componente esocrina. Il loro numero può variare da 200.000 a 2 milioni
e sono localizzati in prevalenza nella coda del pancreas.

Ciascuna isola pancreatica è delimitata dalla circostante componente esocrina per mezzo di un’esile capsula
connettivale ed è costituita da cordoni di cellule endocrine anastomizzati a rete tra cui si trovano intercalati un
fine stroma reticolare, dipendenza del tessuto connettivo capsulare stesso, ed i capillari sinusoidali.

Lo stroma si accompagna altresì ad una ricca innervazione effettrice viscerale, data da fibre parasimpatiche
provenienti dal nervo vago, da fibre ortosimpatiche post-gangliari provenienti dal ganglio celiaco e da una serie di
gangli localizzati nello stroma insulare a formare dei complessi neuroinsulari.

Al microscopio elettronico, tutte le cellule insulari presentano caratteristiche strutture atte alla sintesi proteica: un
modesto RE rugoso, anche se meno sviluppato rispetto alle cellule acinose del pancreas esocrino, un complesso di
Golgi ben evidente, dei granuli di secreto, mitocondri, lisosomi e microfilamenti.

Per quanto riguarda la composizione cellulare, sono stati individuati tre citotipi principali, denominati: cellule a,
cellule b e cellule d, responsabili della secrezione, rispettivamente, di tre diversi prodotti ormonali: il glucagone,
l’insulina e la somatostatina.

• Le cellule b rappresentano il 75-80% della popolazione cellulare insulare e, nell’uomo, occupano


prevalentemente la porzione più centrale dell’isola. I granuli di tali cellule contengono l’insulina, un
ormone ipoglicemizzante che favorisce l’uptake del glucosio/FA/chetoacidi/aa ramificati da parte delle
cellule, diminuendone la concentrazione ematica;

• Le cellule a costituiscono il 15-20% dell’intera popolazione insulare. Nell’uomo si ritrovano


prevalentemente alla periferia dell’isola pancreatica. Hanno una forma poliedrica e sono ricche di
granuli citoplasmatici, insolubili in alcol, contenenti il glucagone, un ormone polipeptidico ad azione
iperglicemizzante, antagonista dell’insulina.

• Le cellule d, pur essendo presenti in tutte le isole pancreatiche, sono molto meno rappresentate rispetto
ai due citotipi precedenti, costituendo non più del 5% dell’intera popolazione insulare e, come le
cellule a, tendono a localizzarsi alla periferia. I granuli di tali cellule contengono l’ormone
somatostatina il cui ruolo è di inibire la secrezione dei granuli da parte delle cellule a e b adiacenti, in
maniera paracrina.

Le isole di Langerhans situate nel lobo duodenale del pancreas presentano, al posto delle cellule a, le cellule F (o
PP) che producono e rilasciano polipeptide pancreatico che modula la produzione degli enzimi pancreatici da
parte delle cellule esocrine del pancreas.

Altri tipi di cellule endocrine presenti, seppur in minor quantità, all’interno delle isole pancreatiche sono presenti le
cellule e, che producono grelina, le cellule G, che producono gastrina, e le cellule 𝐃𝟏 , respondabili della secrezione
di un prodotto simile al VIP, polipeptide intestinale vasoattivo.
10) FPR GHIANDOLE SURRENALI

La ghiandola surrenale è un organo pari, primitivamente retro-peritoneale, situato nella parte postero-superiore della
cavità addominale, a livello dei corpi delle prime vertebre lombari, al di sopra del rispettivo rene.

In particolare, la ghiandola surrenale occupa un’area quadrangolare, i cui limiti sono dati:

- lateralmente, dal margine mediale del rene;


- medialmente, dalla colonna vertebrale e dai grossi vasi;
- inferiormente, dal peduncolo renale;
- superiormente, a destra, dalla faccia posteriore del fegato a livello dell’area nuda, mentre, a sinistra, dal
pilastro laterale del diaframma.

La base delle due ghiandole poggia sul polo superiore del rene sottostante, dal quale è separata mediante un setto
fibroso derivato dalla fascia renale. La ghiandola surrenale sinistra appare tuttavia più inclinata rispetto alla destra.

La ghiandola surrenale ha una localizzazione profonda entro la cavità addominale e, per tale motivo, i rapporti con
i visceri interessano quasi esclusivamente la faccia anteriore della ghiandola.

La ghiandola surrenale destra, procedendo in senso medio-laterale, è in rapporto:

Ø anteriormente con la faccia viscerale del fegato e con la faccia posteriore del duodeno, nel punto in cui esso
diviene retroperitoneale;
Ø medialmente con la vena cava inferiore, con il duodeno, con i rami del plesso celiaco, con l’arteria frenica
inferiore destra;
Ø posteriormente poggia sul pilastro laterale destro del diaframma, con l’interposizione della fascia renale,
del grasso perirenale e dei tessuti connettivali, che la separa da T10-L1 e dal seno pleurale costo-
diaframmatico con la dodicesima costa.

La ghiandola surrenale sinistra è in rapporto:

Ø anteriormente: in alto, con il foglietto peritoneale posteriore della borsa omentale, che la separa dal cardias dello
stomaco e, più in basso, con la coda del pancreas e con i vasi splenici.
Ø posteriormente, con il pilastro laterale sinistro del diaframma, che la separa dai corpi della dodicesima vertebra
toracica e della prima vertebra lombare e dal seno pleurale costodiaframmatico sinistro.
Ø medialmente con i rami del plesso celiaco, con il nervo grande splancnico sinistro e con l’aorta (dalla quale
dista circa 5 mm), con l’arteria diaframmatica inferiore sinistra e con l’arteria gastrica sinistra.

11) VASCOLARIZZAZIONE DELLA CORTECCIA SURRENALE

Le ghiandole surrenali sono delle ghiandole endocrine a cordoni, costituite da due parti:

1) la zona corticale, periferica, di colore giallastro e più voluminosa (80% del parenchima) e di consistenza
maggiore della midollare;
2) la zona midollare, centrale, che rappresenta il restante 20% del parenchima; si presenta di colorito bruno
rossastro, di consistenza molle e con un peso pari a circa 1/10 del peso totale.

Le ghiandole surrenali, pur essendo organi di piccole dimensioni, hanno una vascolarizzazione ricchissima, infatti,
ciascuna ghiandola è irrorata da tre principali arterie, i cui rami possono essere doppi o multipli:

1. le arterie surrenali superiori, rami dell’arteria frenica inferiore, ramo parietale dell’aorta addominale;
2. l’arteria surrenale media, ramo viscerale pari dell’aorta addominale;
3. l’arteria surrenale inferiore, che può nascere dal tronco principale dell’arteria renale, o da un suo ramo,
e si distribuisce principalmente alla regione basale della ghiandola.

Le tre arterie iniziano a ramificarsi prima di raggiungere la ghiandola; i loro rami perforano la capsula formando un
plesso sotto-capsulare dal quale poi originano due tipi di arterie: le arterie brevi e le arterie lunghe.
Le arterie brevi, destinate alla zona corticale; sono molto sottili e danno luogo a capillari fenestrati già
visibili sotto l’involucro fibroso. Questi capillari sinusoidali decorrono tra i cordoni cellulari di tutte e tre
le zone della corticale, per poi confluire nella rete capillare della zona midollare.
Le arterie lunghe, di calibro maggiore delle precedenti, che si portano direttamente dal plesso sotto-
capsulare verso la zona midollare, dando luogo a capillari sinusoidi fenestrati.

Per quanto riguarda il ritorno venoso, nella ghiandola surrenale si distingue una circolazione venosa superficiale e
una profonda.

Le vene superficiali originano dai capillari della zona glomerulare e della parte più esterna della zona
fascicolata.
Le vene profonde originano dalle venule che nascono dai capillari della parte più interna della zona
fascicolata, che drenano una parte della rete capillare della zona reticolare e tutta la rete capillare della
zona midollare.

12) MICROSCOPICA DELLE GHIANDOLE SURRENALI

La ghiandola surrenale è avvolta da una capsula di tessuto connettivo denso che racchiude il parenchima e da cui si
originano sottili setti connettivali che vanno a costituire lo stroma dell’organo.

Il parenchima ghiandolare delle ghiandole surrenali è costituito da una zona corticale (80%) di colore giallastro e
una zona midollare (20%) di colore rosso bruno.

• Il PARENCHIMA CORTICALE è costituito da cordoni cellulari separati da sottili tralci connettivali


orientati con andamento radiale verso il centro dell’organo. Secondo la particolare disposizione di tali
cordoni si possono distinguere tre zone diverse che, andando dall’esterno verso l’interno, sono:

o La zona glomerulare, che si trova nella parte più periferica subito al di sotto della capsula, e
corrisponde a circa il 15% dello spessore di tutta la zona corticale. Le cellule si organizzano in
cordoni che si avvolgono su sé stessi e intorno ai sinusoidi fenestrati a formare dei glomeruli.

Gli ormoni prodotti dalle cellule della zona glomerulare appartengono alla classe dei mineralcorticoidi, che
comprende l’aldosterone e il desossicorticosterone.

o La zona fascicolata occupa circa il 78% della zona corticale. Le sue cellule si organizzano in
cordoni paralleli tra di loro, ad andamento radiale, tangente alla superficie; tra i cordoni si trovano
interposti capillari sinusoidi fenestrati. Le cellule della zona fascicolata, distinte in cellule chiare e
scure, sono più voluminose rispetto a quelle della glomerulare, hanno una forma poliedrica e sono
ricche di acido ascorbico.

o La zona reticolare è la parte più profonda della zona corticale e ne occupa il 7%-10% dello
spessore. I cordoni cellulari che la costituiscono si organizzano a formare una rete irregolare, tra cui
sono presenti i vasi sanguigni. Le cellule di questa zona sono poliedriche, non presentano molte
gocce lipidiche, ma contengono grossi inclusi di pigmento lipofuscinico.

• Il PARENCHIMA MIDOLLARE, occupa la parte centrale della ghiandola surrenale, sebbene non risulti
ben delimitata rispetto alla zona reticolare. Le cellule che la costituiscono sono voluminose e si aggregano
in cordoni di breve estensione, circondati da una ricca rete di capillari sinusoidali fenestrati e da venule.
In particolare, la popolazione cellulare della zona midollare è costituita da due tipi di cellule cromaffini
(o feocromociti) che producono due tipi diversi di catecolammine:

o cellule contenenti granuli di adrenalina (80%) che si distinguono per via del nucleo scuro circondato
da aloni più chiari;
o cellule contenenti granuli di noradrenalina (20%) localizzate alla periferia della midollare, i cui
granuli sono particolarmente elettrondensi e conferiscono una colorazione scura e omogenea.
13) MICROSCOPICA DELLA CORTICALE DEL SURRENE

La ghiandola surrenale è avvolta da una capsula di tessuto connettivo denso che racchiude il parenchima e da cui si
originano sottili setti connettivali che vanno a costituire lo stroma dell’organo.

Le due parti in cui è possibile suddividere il parenchima ghiandolare sono: la zona corticale e la zona midollare.

• Il PARENCHIMA CORTICALE è costituito da cordoni cellulari separati da sottili tralci connettivali


orientati con andamento radiale verso il centro dell’organo. Secondo la particolare disposizione di tali
cordoni si possono distinguere tre zone diverse che, andando dall’esterno verso l’interno, sono:

o La zona glomerulare, che si trova nella parte più periferica subito al di sotto della capsula, e
corrisponde a circa il 15% dello spessore di tutta la zona corticale. Le cellule si organizzano in
cordoni che si avvolgono su sé stessi e intorno ai sinusoidi fenestrati a formare dei glomeruli.
o La zona fascicolata occupa circa il 78% della zona corticale. Le sue cellule si organizzano in
cordoni paralleli tra di loro, ad andamento radiale, tangente alla superficie; tra i cordoni si trovano
interposti capillari sinusoidi fenestrati. Le cellule della zona fascicolata, distinte in cellule chiare e
scure, sono più voluminose rispetto a quelle della glomerulare, hanno una forma poliedrica e sono
ricche di acido ascorbico.
o La zona reticolare è la parte più profonda della zona corticale e ne occupa il 7%-10% dello
spessore. I cordoni cellulari che la costituiscono si organizzano a formare una rete irregolare, tra cui
sono presenti i vasi sanguigni. Le cellule di questa zona sono poliedriche, non presentano molte
gocce lipidiche, ma contengono grossi inclusi di pigmento lipofuscinico.

Ognuna di queste zone possiede un diverso patrimonio enzimatico che, a partire dallo stesso precursore comune,
il colesterolo, consente la sintesi di tre distinte classi di ormoni steroidei: i mineralcorticoidi, sintetizzati nella
zona glomerulare, i glucocorticoidi, sintetizzati nella zona fascicolata, e gli ormoni sessuali, prodotti nella zona
reticolare.

Il colesterolo viene captato dal sangue tramite uno specifico recettore di membrana per le lipoproteine a bassa
densità. La maggior parte delle reazioni di sintesi degli ormoni steroidei è catalizzata da enzimi del gruppo
citocromo P450 localizzati sulle membrane mitocondriali e sul reticolo endoplasmatico liscio che, per tale motivo,
sono gli organelli più rappresentati all’interno delle cellule della zona corticale.

14) ULTRASTRUTTURA DELLA ZONA FASCICOLATA

Per quanto riguarda la zona fascicolata, questa occupa circa il 78% dello spessore della corticale del surrene. Le sue
cellule si organizzano in cordoni paralleli tra di loro, ad andamento radiale, tangente alla superficie, tra i quali si
trovano interposti capillari sinusoidi fenestrati.

Le cellule della zona fascicolata sono più voluminose rispetto a quelle della zona glomerulare, hanno una forma
poliedrica e sono ricche di acido ascorbico (vitamina C).

Sono distinte in:

§ cellule chiare, che occupano la parte più periferica della zona fascicolata, la cui analisi ultrastrutturale
evidenzia:
o un REL molto esteso, le cui cisterne appaiono in sezione trasversale come vescicole
rotondeggianti, dette “a nido d’ape”;
o un RER, così come i ribosomi, scarsi;
o un apparato di Golgi esteso in posizione perinucleare;
o microperossisomi e lisosomi;
o mitocondri di forma rotondeggiante con creste vescicolari.
§ cellule scure, poste nella parte più profonda della zona fascicolata, che hanno i granuli intracitoplasmatici
indicati come corpi siderofili.
15) MICROSCOPICA DELLA MIDOLLARE DEL SURRENE

La zona midollare occupa la parte centrale della ghiandola surrenale, sebbene non risulti ben delimitata dalla parte
più profonda della zona corticale, la zona reticolata. Le cellule che la costituiscono sono voluminose e si aggregano
in cordoni di breve estensione, circondati da una ricca rete di capillari sinusoidali fenestrati e da venule.

Al microscopio ottico, dopo colorazione istologica con bicromato di potassio, che determina l’ossidazione degli
ormoni catecolaminergici contenuti nei granuli citoplasmatici, le cellule della zona midollare appaiono di colorito
brunastro e per questo motivo furono denominate cellule cromaffini (o feocromociti), che vengono distinti in:

§ Cellule che secernono noradrenalina (20%), localizzate alla periferia della midollare; i cui granuli, al
microscopio elettronico, sono estremamente variabili per forma, dimensioni e numero per cellula:
o presentano un diametro di 100-200;
o sono caratterizzati da un core elettrondenso disposto eccentricamente;
o il RER è poco sviluppato;
o l’apparato di Golgi presenta cisterne il cui contenuto, granulare e lievemente elettrondenso,
potrebbe rappresentare il precursore della NorAdr.
o Sono presenti ribosomi liberi e pochi mitocondri.

Queste cellule hanno scarsa affinità per l’azocarminio, sono autofluorescenti e argentaffini, cioè si colorano in
maniera omogenea in nero o marrone scuro con i sali d’argento.

§ Cellule che secernono adrenalina (80%) che si distinguono per via del nucleo scuro circondato da aloni
più chiari e possiedono elevata affinità per azocarminio e fosfatasi acida.

La secrezione di catecolamine avviene per esocitosi dei granuli citoplasmatici e non avviene in maniera continua,
ma in seguito a stimoli che, partendo dal sistema nervoso centrale, in particolare dall’ipotalamo, vengono trasmessi
alle cellule della zona midollare dalle fibre pre-gangliari simpatiche, che si pongono in contatto con le cellule
cromaffini.

16) STRUTTURA E ORMONI SECRETI DALL’EPIFISI

L’epifisi (o ghiandola pineale) è una piccola ghiandola endocrina, impari e mediana, appartenente all’epitalamo, di
forma conoide, appiattita dall’alto in basso, di colore grigio-rossastro, con superficie irregolare.

Si localizza sotto lo splenio del corpo calloso, dal quale è separata dalla tela corioidea del terzo ventricolo, e tra i
tubercoli quadrigemini superiori, nella parte dorsale del diencefalo. Nella visione d’insieme dell’epifisi, si
riconoscono: all’estremità craniale la commissura abenulare, e in posizione caudale la commissura posteriore
(epitalamica), tra le quali si trova il recesso epifisario del III ventricolo con cui l’epifisi contrae rapporto.

Si tratta di una ghiandola di tipo cordonale il cui parenchima è organizzato in nidi cellulari formati sia da cellule
specializzate, i pinealociti, sia da cellule gliali interstiziali, come astrociti. Il suo asse maggiore è inclinato in basso
e indietro ed ha un’altezza di circa 1 cm, un diametro di circa 6-10 mm e pesa circa 500 mg.

La ghiandola è, inoltre, ricoperta dalla pia madre da cui origina la trama connettivale che si addentra, accompagnato
dai vasi e nervi, nella ghiandola, suddividendo il parenchima in lobuli. Nella ghiandola sono presenti anche i fagociti
perivascolari, che condividono con le cellule microgliali alcune proprietà antigeniche, e cellule similneuronali
peptidergiche. I pinealociti sono dei neuroni specializzati con aspetto epitelioide, che producono la melatonina,
un’amina biogena, sintetizzata direttamente a partire dal triptofano presente nel circolo e dalla serotonina, per mezzo
di due enzimi specializzati (NAT e HIOMT) che presentano ritmi circadiani, in relazione al ciclo luce-buio, con un
picco di sintesi di serotonina durante il periodo di luce e un picco di melatonina durante il periodo di buio.

La funzione della ghiandola riguarda principalmente la regolazione del ritmo sonno-veglia, ma influenza anche le
secrezioni endocrine di ipofisi, ghiandola surrenale e gonadi. La ghiandola riceve una ricca innervazione ed essendo
strutturalmente organizzata come un organo circumventricolare, può essere modulata da ormoni circolanti.
DOMANDE SULL’APPARATO GENITALE FEMMINILE

1. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELLA MAMMELLA

La mammella è una ghiandola pari e simmetrica, annessa all’apparato riproduttore femminile in quanto necessaria
all’allattamento del neonato.

Le mammelle sono poste nella regione anteriore del torace, ai lati dello sterno e fra la 3ª e la 7ª costa, al davanti dei
muscoli grande e piccolo pettorale; il loro margine infero-laterale è in rapporto anche coi muscoli dentato anteriore
ed obliquo esterno dell’addome. Le mammelle sono separate dal piano muscolare dalle relative fasce (ad esempio,
la fascia pettorale) e da uno spazio retromammario, che funge da piano di scollamento rispetto alla ghiandola vera
e propria. Hanno la forma di una mezza sfera e i loro volume e forma della mammella dipendono da soggetto a
soggetto e da fattori come l’età e lo stato del soggetto in questione (gravidanza, menopausa ect.).

Il tessuto mammario è organizzato nei seguenti strati:

Ø Cute, caratterizzata da ghiandole sebacee e sudoripare, più pigmentata all’altezza dell’areola, una struttura
posta circa al centro della mammella stessa. L’areola ospita le cosiddette ghiandole areolari o tubercoli di
Montgomery, indicate anche come ghiandole mammarie rudimentali, il cui secreto durante l’allattamento
è oleoso con funzione lubrificante. Al centro dell’areola è presente il capezzolo: un rilievo del diametro di
1-1,5 cm dall’aspetto irregolare per la presenza sulla sua superficie di fossette e papille. A livello del
capezzolo si aprono i condotti escretori delle unità funzionali della ghiandola mammaria, ossia i dotti
galattofori, che, prima dell’orifizio di uscita, presentano una dilatazione chiamata seno.

Ø Tessuto adiposo superficiale con la componente ghiandolare ed intermezzato da fasci fibrosi che vanno
ad individuare, in maniera approssimativa, 15-20 lobi all’interno della mammella. I fasci fibrosi, che
prendono origine dal derma e che si portano in profondità, costituiscono il legamento sospensore o di
Cowper. All’interno di ogni lobo sono presenti i lobuli, che contengono a loro volta l’unità funzionale
della mammella: l’unità terminale duttulo-lobulare (TDLU), costituita da duttuli che vanno a delimitare un
piccolo lume e che fanno capo ad un condotto intralobulare che a sua volta si apre nel dotto galattoforo.
L’epitelio dei duttuli è cubico e tra le cellule epiteliali e la membrana basale si notano cellule mioepiteliali
dotate di una struttura tridimensionale a canestro. Durante la gravidanza e per il periodo di allattamento, i
duttuli terminali aumentano le loro dimensioni assumendo un aspetto ad alveolo; i duttuli rimangono
delimitati da epitelio cubico, ciò che cambia è solo il lume del dotto, che risulta ampliato.

Ø Fascia superficiale;

Ø Tessuto adiposo profondo.

Nei primi giorni dopo il parto la ghiandola mammaria secerne il colostro, una sostanza giallognola costituita da:
acqua, proteine, sostanze ad azione lassativa che servono a far liberare l’intestino del neonato e a dare avvio ai primi
processi digestivi, anticorpi IgA. A seguire, una volta terminata la produzione di colostro, la ghiandola inizia la
secrezione di latte che contiene, sempre acqua, proteine e le IgA, e si aggiungono gli ioni, i lipidi e le vitamine.

La modalità di secrezione del latte è diversa a seconda delle sostanze escrete:

– le proteine verranno secrete mediante modalità merocrina (secrezione di piccoli granuli);


– i lipidi verranno secreti mediante modalità apocrina.

2. FPR VAGINA

La vagina è un canale muscolo-membranoso collocato fra l’utero e l’ostio vaginale. Essa è un organo impari e
mediano situato dapprima nella cavità pelvica e poi nella regione urogenitale, dopo aver attraversato il diaframma
pelvico. Si colloca tra la vescica e l’uretra, che la separano dalla sinfisi pubica, e il retto, che la separa dalla colonna
sacro-coccigea. Ha la forma di un cilindro appiattitto antero-posteriomente, con una direzione obliqua dall’alto
verso il basso e da dietro in avanti (forma, quindi, un angolo aperto posteriormente di 65 – 70°).

Nella vagina si possono, quindi, distinguere: una parete anteriore, una parete posteriore e due margini laterali.

La parete anteriore ha una lunghezza di 7,5 cm, mentre la parete posteriore di 9 cm: ciò è dovuto all’angolo (90 –
110°) che la vagina forma col collo dell’utero, detto di antiversione fisiologica e conferisce una diversa profondità
alle zone anteriore (0,5 cm) e posteriore (1 – 2,5 cm) del fornice vaginale. In sezione trasversale, poiché le pareti
anteriore e posteriore sono addossate l’una all’altra, ha la forma di una H.

Nella vagina si distinguono:

1. Fondo, che circonda la cervice uterina. Tra la superficie esterna della porzione intravaginale della cervice
uterina e la superficie interna della vagina si crea una fessura che prende il nome di fornice vaginale;
2. Corpo;
3. Orifizio vaginale, situato nel vestibolo della vagina tra le piccole labbra e parzialmente chiuso da una
piega cutaneomembranosa, l’imene.

La superficie interna della vagina presenta diverse pieghe, dette rughe vaginali, dei rilievi della tonaca mucosa
orientati più o meno trasversalmente. Vi sono, inoltre, due rilievi longitudinali, uno anteriore e uno posteriore, dette
colonne delle rughe vaginali, che sono determinate dalla presenza di tessuto cavernoso nella parete vaginale. La
colonna anteriore termina in corrispondenza del vestibolo formando un rilievo tondeggiante, detto carena uretrale
o tubercolo vaginale o cresta uretrale della vagina.

A livello della parete anteriore della vagina, nella parte superiore, è presente una superficie più o meno triangolare
e pianeggiante, il trigono vaginale o triangolo del Pawlick, che corrisponde al trigono vescicale.

Per quanto riguarda i rapporti:

- La parete anteriore, nella sua metà superiore, è in rapporto con la vescica (trigono) tramite l’interposizione
del setto vescicovaginale, mentre nella metà inferiore è in rapporto con l’uretra per mezzo del setto
uretro-vaginale e con la quale attraversa il diaframma urogenitale.
- La parete posteriore è ricoperta nella sua porzione superiore dal peritoneo, il quale si riflette poi sulla
parete anteriore del retto formando il cavo retto-vaginale. Inferiormente, la parete posteriore della vagina
è in rapporto con la parete anteriore del retto tramite l’interposizione del setto retto-vaginale; in questa
zona, si trovano anche i fasci mediali dell’elevatore dell’ano che su di essa prendono attacco costituendo il
muscolo pubovaginale. Portandosi ancora più in basso, il retto si porta nel perineo posteriore e il setto
retto vaginale si inspessisce formando il trigono rettovaginale.
- I margini laterali sono in rapporto dall’alto in basso con la base del legamento largo dell’utero, gli ureteri,
il tessuto fibroadiposo extraperitoneale (ovvero la fascia pelvica, che in questa zona prende anche il nome
di paracolpo, nella quale sono immerse varie strutture vascolari), i muscoli elevatori dell’ano, il diaframma
pelvico (in particolare, il muscolo trasverso profondo del perineo), i bulbi del vesticolo (ricoperti dai
muscoli bulbospogiosi) e le ghiandole vestibolari maggiori.

3. FPR DELL’UTERO

L’utero è un organo cavo, con pareti spesse e contrattili, deputato alla gestazione e al parto, che occupa la parte
mediana del cavo pelvico; in particolare, è collocato sopra la vagina, con la quale si continua, e riceve lo sbocco
delle tube uterine in corrispondenza di una porzione della base che prende il nome di fondo.

Ha una forma piriforme, grossolanamente conica, appiattita antero-posteriormente, con una base superiore e un
apice inferiore che si impianta nell’apertura superiore della vagina; è costituito per

- i 2/3 superiori, dal corpo dell’utero, di forma triangolare con due facce, anteriore e posteriore, e tre
margini, due laterali e uno superiore smusso, detto fondo.
- l’1/3 inferiore dal collo o cervice uterina, che forma col corpo dell’utero un angolo aperto anteriormente,
detto di antiflessione, pari a 100-170˚, e con la vagina un angolo di antiversione di circa 90-100˚.
Le due parti sono separate da un restringimento detto istmo, a livello del quale si trova l’orifizio interno dell’utero,
mentre in corrispondenza dell’estremità vaginale della cervice vi è l’orifizio esterno dell’utero.

La lunghezza totale dell’utero, nella nullipara, è di circa 6,5-7,5 cm, con una larghezza nella parte superiore di 3,5-
5 cm e uno spessore di 2,5-4 cm. Deve però essere notato come questi diametri siano soggetti a notevoli variazioni
nel corso della vita della donna, particolarmente in relazione alla gravidanza.

I rapporti dell’utero devono essere considerati distinguendo:

§ Il CORPO DELL’UTERO:
La faccia anteriore o vescicale, leggermente convessa, è ricoperta da peritoneo, che conferisce l’aspetto
liscio e lucente, ed è separata dalla vescica dal cavo vescico-uterino. Quando la vescica è distesa i due
organi sono a stretto contatto, mentre quando è vuota possono andare a interporsi delle anse intestinali.
La faccia posteriore o intestinale è più convessa, liscia e ricoperta dal peritoneo che forma il cavo retto-
uterino di Douglas, separandola dal retto. Anche a questo livello possono esserci delle anse intestinali.
Il fondo è, in realtà, è la porzione della base del cono che è l’utero compresa tra gli bocchi delle tube;
sul piano sagittale è lievemente convessa, anche se la sua conformazione cambia con l’età.
I margini laterali, destro e sinistro, sono leggermente concavi dall’alto verso il basso e convessi
dall’avanti all’indietro, e corrispondono all’inserzione del legamento largo. Sono in rapporto con le
strutture vascolari, in particolare l’arteria uterina e i plessi venosi.
§ La CERVICE UTERINA:
La porzione sopravaginale della cervice (di lunghezza di circa 1,5-2 cm) che si rapporta anteriormente
con la vescica, dalla quale è separata tramite l’interposizione di tessuto fibroadiposo; rappresenta la
porzione superiore della cervice stessa ed è la diretta continuazione del corpo.
La porzione vaginale della cervice ha la forma di un cono tronco con apice arrotondato; al centro
presenta l’orifizio esterno dell’utero, collocato all’altezza della sinfisi pubica e delle prime due vertebre
coccigee, la cui forma varia in funzione dell’avvenuta gravidanza: nella nullipara ha forma
rotondeggiante (a foro), mentre nella pluripara assume forma ad H con un labbro anteriore più spesso e
prominente e un labbro posteriore più breve (per tale forma, è anche definito “muso di tinca”).

Nell’utero si possono distinguere:

- mezzi di fissità craniali, rappresentati dal legamento rotondo dell’utero,


- mezzi di fissità laterali, costituiti dai legamenti larghi dell’utero,
- mezzi di fissità caudali, tra i quali si possono identificare:
o legamenti cardinali (o di Mackenrodt), degli addensamenti a direzione trasversale;
o legamenti rettouterini, sacrouterini e vescicouterini, a direzione sagittale.

4. MEZZI DI FISSITA’ DELL’UTERO

L’utero è quasi completamente rivestito da peritoneo, che prende il nome specifico di perimetrio. Nel rivestire
l’utero, gli fornisce alcuni elementi di fissità:

1. Legamento largo dell’utero: è una plica peritoneale formatasi dai foglietti peritoneali che hanno rivestito le
facce anteriore e posteriore del corpo dell’utero si riuniscono lateralmente e si portano fino alle pareti laterali
della piccola pelvi. In esso si possono individuare:
§ Una porzione superiore o mesosalpinge, che contiene la tuba uterina (a questo livello i due foglietti
si continuano l’uno nell’altro, costituendone il margine libero o ala media o superiore);
§ Una porzione posteriore o mesovario, che si porta fino all’ilo dell’ovaio e qui si interrompe: si
ricorda, infatti, che l’ovaio è l’unico organo propriamente “all’interno della cavità peritoneale”, che
nella donna è aperta a questo livello. In questa porzione decorrono i vasi destinati all’ovaio;
§ Una porzione inferiore o mesometrio, in cui decorrono i vasi per l’utero e l’ultimo tratto dell’uretere.
All’interno del legamento largo sono compresi anche il legamento rotondo dell’utero (nella porzione definita ala
anteriore o funicolare) e il legamento uterovarico o proprio dell’ovaio (nell’ala posteriore od ovarica).

2. Il legamento rotondo dell'utero è un cordone fibroso, lungo 12 – 15 cm e con un diametro di 5-6 mm, che
origina dall’angolo superolaterale dell’utero, davanti allo sbocco della tuba uterina, e si porta obliquamente
verso le pareti laterali della pelvi, in corrispondenza dell’anello inguinale profondo del canale inguinale, che in
seguito percorre raggiungendo l’orifizio superficiale e sfioccandosi nel corpo adiposo del grande labbro.

Il peritoneo, nel portarsi dall’utero alle strutture vicine, forma delle pieghe che possono contenere al loro interno
degli addensamenti di fasci connettivali o muscolari lisci, tra i quali si possono identificare:

o legamenti cardinali (o di Mackenrodt), degli addensamenti a direzione trasversale, che


accompagnano e circondano i vasi uterini e vescicovaginali, formando un robusto sepimento
trasversale che collega il margine laterale dell’utero e della vagina alla parete laterale della pelvi. In
ciascuno di essi si distinguono una porzione mediale, più robusta e contente il plesso uterovaginale,
e una porzione laterale, più sottile e contenente i vasi uterini e la vena rettale media. Il limite tra le
due porzioni è dato dall’incrocio tra l’uretere e l’arteria uterina.
o legamenti (o pieghe) rettouterini, utero-vescicali e utero-sacrali, a direzione sagittale:
- legamenti retto-uterini, che si portano dalla parete posteriore della porzione sopravaginale
della cervice al retto e delimitano lateralmente il cavo di Douglas;
- legamenti utero-vescicali, che si continuano in avanti coi legamenti pubovescicali,
- legamenti utero-sacrali, che si portano dai margini laterali della porzione sopravaginale della
cervice al sacro (tra S2 e S3).

Il muscolo elevatore dell'ano è connesso estremamente tramite i suoi fasci pubovaginali con le pareti pelviche,
facendo sì che anche l'utero, tramite l'interposizione della vagina, venga a connettersi con il pavimento pelvico. Si
ricordi che la fascia pelvica è un insieme di tessuto connettivo di riempimento interposto fra peritoneo, organi
pelvici e pareti pelviche. A seconda delle strutture che riveste è definita:

§ Fascia membranosa, distinta in parietale (nominata in base alle strutture muscolari che riveste: otturatore
interno, piriforme, coccigeo, elevatore dell'ano e parte dello sfintere dell'uretra) e in viscerale. Quest’ultima
corrisponde alla tonaca avventizia che riveste i vari organi pelvici (vescicale ed uterina);
§ Fascia areolare lassa, che riempie gli spazi pelvici (ad esempio, a livello della fossa ischio rettale);
§ Fascia fibroareolare, nella quale la componente adiposa si riduce a favore di quella fibrosa; essa forma
“legamenti” fasciali endopelvici che accompagnano le strutture neurovascolari (lamine neurovascolari).

5. LEGAMENTO ROTONDO

L’utero è quasi completamente rivestito da peritoneo, che prende il nome specifico di perimetrio. Nel rivestire
l’utero, gli fornisce alcuni elementi di fissità, tra cui si possono distinguere:

- mezzi di fissità craniali, rappresentati dal legamento rotondo dell’utero,


- mezzi di fissità laterali, costituiti dal legamento largo dell’utero,
- mezzi di fissità caudali, tra i quali si possono identificare:
o legamenti cardinali (o di Mackenrodt), degli addensamenti a direzione trasversale;
o legamenti (o pieghe) rettouterini, utero-vescicali e utero-sacrali, a direzione sagittale

In particolare, il legamento rotondo dell’utero è un cordone fibroso, lungo 12-15 cm e con un diametro di 3-5 mm;
esso origina, su ciascun lato, dall’angolo supero-laterale dell’utero, davanti allo sbocco della tuba uterina. Si porta
lateralmente, all’interno dell’ala anteriore del legamento largo dell’utero, raggiunge la parete antero-laterale della
pelvi e incrocia l’apertura superiore con i vasi iliaci esterni; si dirige poi verso l’anello inguinale profondo del canale
inguinale, incrociando i vasi epigastrici inferiori. Il legamento percorre il canale inguinale, contornato da una guaina
connettivale che deriva dalla fascia trasversale, uscendone attraverso l’anello inguinale superficiale del canale
inguinale e sfioccandosi nel corpo adiposo del grande labbro.
6. LEGAMENTO LARGO DELL’UTERO

Lateralmente all’utero, il peritoneo assume una morfologia particolare per la presenza delle tube uterine, dei
legamenti rotondi e dei vasi che, in profondità, dalla parete pelvica si portano verso l’utero e la vagina.

In particolare, i due foglietti peritoneali che hanno rivestito la faccia anteriore e posteriore dell’utero si riuniscono
lungo i suoi margini laterali, formando, per ciascun lato, una plica peritoneale, chiamata legamento largo
dell’utero, disposto su un piano obliquo dall’avanti all’indietro e dall’alto in basso, in relazione con l’antiflessione
dell’utero; questa plica, lateralmente, raggiunge la parete laterale della pelvi e si risolve di nuovo nei due foglietti
da cui ha avuto origine.

Il foglietto anteriore continua con il peritoneo che riveste la porzione anteriore della parete laterale della pelvi,
mentre il foglietto posteriore continua con il peritoneo della porzione posteriore della parete laterale della pelvi.

Inferiormente all’utero, le due lamine peritoneali che formano il legamento largo si separano; in tal modo, se
osservato in sezione sagittale, il legamento largo ha forma triangolare, con base verso il basso, che, ampia, riposa
sul diaframma pelvico lungo la linea basischiatica. Attraverso la base, penetrano nel legamento largo dell’utero, dal
di dietro e lateralmente, i vasi uterini e vaginali e inoltre l’uretere, accompagnati da robuste guaine fibrose.

Nel legamento largo si possono individuare:

§ Una porzione superiore o mesosalpinge, che contiene la tuba uterina (a questo livello i due foglietti
si continuano l’uno nell’altro, costituendone il margine libero o ala media o superiore);
§ Una porzione posteriore o mesovario, che si porta fino all’ilo dell’ovaio e qui si interrompe: si
ricorda, infatti, che l’ovaio è l’unico organo propriamente “all’interno della cavità peritoneale”, che
nella donna è aperta a questo livello. In questa porzione decorrono i vasi destinati all’ovaio;
§ Una porzione inferiore o mesometrio, in cui decorrono i vasi per l’utero e l’ultimo tratto dell’uretere.

7. RAPPORTI E SIEROSA DELL’UTERO

I rapporti dell’utero devono essere considerati distinguendo:

§ Il CORPO DELL’UTERO:
La faccia anteriore o vescicale, leggermente convessa, è ricoperta da peritoneo, che conferisce l’aspetto
liscio e lucente, ed è separata dalla vescica dal cavo vescico-uterino. Quando la vescica è distesa i due
organi sono a stretto contatto, mentre quando è vuota possono andare a interporsi delle anse intestinali.
La faccia posteriore o intestinale è più convessa, liscia e ricoperta dal peritoneo che forma il cavo retto-
uterino di Douglas, separandola dal retto. Anche a questo livello possono esserci delle anse intestinali.
Il fondo è, in realtà, è la porzione della base del cono che è l’utero compresa tra gli bocchi delle tube;
sul piano sagittale è lievemente convessa, anche se la sua conformazione cambia con l’età.
I margini laterali, destro e sinistro, sono leggermente concavi dall’alto verso il basso e convessi
dall’avanti all’indietro, e corrispondono all’inserzione del legamento largo. Sono in rapporto con le
strutture vascolari, in particolare l’arteria uterina e i plessi venosi.
§ La CERVICE UTERINA:
La porzione sopravaginale della cervice (di lunghezza di circa 1,5-2 cm) che si rapporta anteriormente
con la vescica, dalla quale è separata tramite l’interposizione di tessuto fibroadiposo; rappresenta la
porzione superiore della cervice stessa ed è la diretta continuazione del corpo.

La porzione vaginale della cervice ha la forma di un cono tronco con apice arrotondato; al centro
presenta l’orifizio esterno dell’utero, collocato all’altezza della sinfisi pubica e delle prime due vertebre
coccigee, la cui forma varia in funzione dell’avvenuta gravidanza: nella nullipara ha forma
rotondeggiante (a foro), mentre nella pluripara assume forma ad H con un labbro anteriore più spesso e
prominente e un labbro posteriore più breve (per tale forma, è anche definito “muso di tinca”).
Per quanto riguarda la tonaca sierosa, l’utero è quasi completamente rivestito da peritoneo, che prende il nome
specifico di perimetrio, che ha la struttura tipica del peritoneo ed è unita alla sottostante muscolare (miometrio) per
mezzo di un sottile strato sottosieroso, più sviluppato in prossimità del collo dell’utero.

Nel rivestire l’utero, gli fornisce alcuni elementi di fissità:

- mezzi di fissità craniali, rappresentati dal legamento rotondo dell’utero,


- mezzi di fissità laterali, costituiti dai legamento largo dell’utero,
- mezzi di fissità caudali, tra i quali si possono identificare:
o legamenti cardinali (o di Mackenrodt), degli addensamenti a direzione trasversale;
o legamenti (o pieghe) rettouterini, utero-vescicali e utero-sacrali, a direzione sagittale:

8. VASCOLARIZZAZIONE DELL’UTERO

L’utero è vascolarizzato dall’arteria uterina, che origina dal tronco anteriore dell’arteria iliaca interna, scende
lungo le pareti laterali della pelvi e si porta medialmente percorrendo all’interno del legamento largo dell’utero.
Durante il suo decorso all’interno del legamento largo dell’utero, l’arteria uterina può fornire rami alla vescica
urinaria e all’uretere.

Raggiunta la cervice dell’utero, in corrispondenza della porzione sopravaginale della cervice, l’arteria si divide in:

§ un ramo discendente (o cervicovaginale), più piccolo, che provvede a irrorare il collo dell’utero e la parete
anteriore della vagina;
§ un ramo ascendente (o elicino), più voluminoso, che si dirige con un decorso molto flessuoso verso l’alto,
a circa 1 cm dal margine laterale del corpo dell’utero, che irrora per mezzo di rami collaterali che
contraggono numerose anastomosi con i rami controlaterali. Giunta a circa 2 cm dall’angolo supero-laterale
dell’utero, l’arteria elicina si divide nei suoi rami terminali (arterie del fondo dell’utero); questi sono:

ramo ovarico, che decorre al davanti del legamento utero-ovarico e termina inosculandosi a pieno
canale con l’arteria ovarica (ramo viscerale pari dell’aorta addominale, L2);
ramo tubarico che irrora la porzione mediale della tuba uterina e si anastomizza con il ramo tubarico
dell’arteria ovarica.

I rami dell’arteria uterina che si distribuiscono al corpo dell’utero si anastomizzano abbondantemente fra loro, a
livello dello strato medio del miometrio, lo strato vascolare, dalla cui rete arteriosa originano i rami diretti verso
l’endometrio.

Per quanto riguarda il drenaggio venoso, le vene hanno origine dalla parete uterina e formano una fitta rete a livello
dello strato vascolare del miometrio; a questo livello presentano una parete molto sottile e sono denominate seni
uterini; si raccolgono successivamente lungo il margine laterale dell’utero, al di sotto del peritoneo, formando una
serie di plessi venosi: uterino, cervicale e vaginale. I suddetti plessi, nel complesso, costituiscono il plesso
uterovaginale che si scarica principalmente nella vena iliaca interna.

Altre vene del plesso uterino si uniscono poi alle vene ovariche e, insieme a queste, fanno capo al plesso vascolare,
tributario a destra della vena cava inferiore e a sinistra della vena renale.

9. MICROSCOPICA UTERO

Dal punto di vista microscopico, la parete dell’utero, circondata dal parametrio (tessuto connettivo che circonda
l’utero al di sotto del peritoneo, nella base del legamento largo dell’utero), è costituita, dall’esterno verso l’interno:

• dalla tonaca sierosa, dove presente, denominata perimetrio, che ha la struttura tipica del peritoneo ed è unita
alla sottostante muscolare (miometrio) per mezzo di un sottile strato sottosieroso, più sviluppato in
prossimità del collo dell’utero.
• dalla tonaca muscolare (o miometrio): ha lo spessore di circa 1 cm ed è costituita da fasci di cellule muscolari
lisce, immerse all’interno di uno stroma fibroso, che contribuisce ad accrescerne la consistenza.
Nel miometrio si possono distinguere tre strati:
- strato sottomucoso, costituito da una rete tridimensionale di cellule muscolari lisce e vasi,
- strato vascolare, particolarmente spesso e costituito da fasci ad andamento circolare od obliquo, che
circondano i numerosi vasi sanguigni,
- strato sopravascolare, costituito da fasci circolari e longitudinali, è la porzione più esterna.
• dalla tonaca mucosa o endometrio, che presenta delle differenze rilevanti tra il corpo e la cervice uterina.
La tonaca mucosa del corpo dell’utero è costituita da:
- un epitelio di rivestimento cilindrico semplice ed è formato da due tipi di cellule prevalenti, le
cellule ciliate e le cellule secernenti, la cui proporzione varia nelle fasi del ciclo.
- una lamina propria formata da tessuto connettivo ricco di cellule e povero di fibre collagene;
oltre a fibroblasti, nella lamina propria si trovano: macrofagi, granulociti e linfociti. Qui sono
presenti numerose ghiandole tubulari semplici, le ghiandole uterine (o endometriali), che ne
occupano l’intero spessore raggiungendo il miometrio.

La tonaca mucosa della cervice dell’utero può invece essere distinta in:
§ una porzione endocervicale, che riveste il canale cervicale, costituita da un epitelio cilindrico
semplice in cui sono presenti cellule secernenti muco e rare cellule ciliate, che poggia su una
lamina propria contenente ghiandole tubulari ramificate (o cripte cervicali) il cui secreto
mucoso occupa il lume del canale cervicale e varia in funzione della fase del ciclo mestruale.
§ una porzione esocervicale, che riveste la superficie del muso di tinca (o ectocervice) e che fa
seguito a quella endocervicale a livello dell’orifizio esterno dell’utero e riveste quindi la porzione
intravaginale del canale cervicale. È caratterizzata dalla presenza di un epitelio pavimentoso
composto, ricco di glicogeno e in continuità con quello vaginale, e da una lamina propria, priva
di ghiandole, ma ricca di leucociti e fittamente vascolarizzata, che si solleva in papille.

10. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA COLLO DELL’UTERO

L’utero è un organo cavo, con pareti spesse e contrattili, deputato alla gestazione e al parto. Occupa la parte mediana
del cavo pelvico: è collocato sopra la vagina, con la quale si continua, e riceve lo sbocco delle tube uterine. I 2/3
superiori costituiscono il corpo dell’utero, mentre l’1/3 inferiore è il collo o cervice; le due parti sono separate da
un restringimento detto istmo.

La cervice o collo dell’utero, ha una forma cilindrica e prima della pubertà è notevolmente sviluppata rispetto al
corpo e corrisponde a circa metà della lunghezza totale dell’utero, mentre in seguito, corrisponde ad un terzo circa
dell’organo, dato il notevole sviluppo del corpo.

La cervice ha una lunghezza compresa tra 2,5 e 3 cm; vi si considerano due margini laterali, una faccia anteriore,
volta in basso e in avanti, e una faccia posteriore, che volge in basso e indietro; si distinguono due porzioni:

§ La porzione sopravaginale della cervice (di lunghezza di circa 1,5-2 cm) che si rapporta anteriormente
con la vescica, dalla quale è separata tramite l’interposizione di tessuto fibroadiposo; rappresenta la
porzione superiore della cervice stessa ed è la diretta continuazione del corpo.
§ La porzione vaginale della cervice ha la forma di un cono tronco con apice arrotondato; al centro
presenta l’orifizio esterno dell’utero, collocato all’altezza della sinfisi pubica e delle prime due vertebre
coccigee, la cui forma varia in funzione dell’avvenuta gravidanza: nella nullipara ha forma
rotondeggiante (a foro), mentre nella pluripara assume forma ad H con un labbro anteriore più spesso
e prominente e un labbro posteriore più breve (per tale forma, è anche definito “muso di tinca”).

Dal punto di vista microscopico, la parete dell’utero, circondata dal parametrio (tessuto connettivo che circonda
l’utero al di sotto del peritoneo, nella base del legamento largo dell’utero), è costituita, dall’esterno verso l’interno:

- dalla tonaca sierosa, dove presente, denominata perimetrio.


- dalla tonaca muscolare o miometrio,
- dalla tonaca mucosa o endometrio,

In particolare, la tonaca mucosa della cervice dell’utero può essere distinta in:

a. una porzione endocervicale, che riveste il canale cervicale, costituita da un epitelio cilindrico
semplice in cui sono presenti cellule secernenti muco e rare cellule ciliate, che poggia su una
lamina propria contenente ghiandole tubulari ramificate (o cripte cervicali) il cui secreto
mucoso occupa il lume del canale cervicale e varia in funzione della fase del ciclo mestruale.
b. una porzione esocervicale, che riveste la superficie del muso di tinca (o ectocervice) e che fa
seguito a quella endocervicale a livello dell’orifizio esterno dell’utero e riveste quindi la porzione
intravaginale del canale cervicale. È caratterizzata dalla presenza di un epitelio pavimentoso
composto, ricco di glicogeno e in continuità con quello vaginale, e da una lamina propria, priva di
ghiandole, ma ricca di leucociti e fittamente vascolarizzata, che si solleva in papille.

A livello dell’orifizio esterno dell’utero, si nota un brusco passaggio tra l’epitelio cilindrico semplice
dell’endocervice e quello pavimentoso composto dell’ectocervice; questo passaggio è denominato giunzione
squamocolonnare, che varia nel corso della vita della donna: nella pubertà e nella menopausa, essa si sposta nella
porzione esocervicale, determinando la formazione (a livello dell’epitelio endocervicale) di una zona di erosione
(ectropion) dovuta all’ambiente acido vaginale.

11. STRUTTURA E MICROSCOPICA DELL’UTERO DURANTE LA FASE PROLIFERATIVA

L’utero è un organo cavo, con pareti spesse e contrattili, deputato alla gestazione e al parto, che occupa la parte
mediana del cavo pelvico; in particolare riceve lo sbocco delle tube uterine in corrispondenza di una porzione della
base, che prende il nome di fondo, ed è collocato sopra la vagina, nell’apertura superiore della quale si impianta
con il suo apice inferiore. Ha, infatti, una forma piriforme, grossolanamente conica, appiattita antero-posteriormente
ed è costituito per i 2/3 superiori, dal corpo dell’utero e per 1/3 inferiore dal collo o cervice uterina.

La lunghezza totale dell’utero, nella nullipara, è di circa 6,5-7,5 cm, con una larghezza nella parte superiore di 3,5-
5 cm e uno spessore di 2,5-4 cm. Deve però essere notato come questi diametri siano soggetti a notevoli variazioni
nel corso della vita della donna, particolarmente in relazione alla gravidanza.

Dal punto di vista microscopico, la parete dell’utero, circondata dal parametrio (tessuto connettivo che circonda
l’utero al di sotto del peritoneo, nella base del legamento largo dell’utero), è costituita, dall’esterno verso l’interno:

- dalla tonaca sierosa, dove presente, denominata perimetrio.


- dalla tonaca muscolare o miometrio,
- dalla tonaca mucosa o endometrio.

Quest’ultimo, nell’età fertile, va incontro a modificazioni cicliche che caratterizzano le fasi del ciclo mestruale.

In particolare, la fase proliferativa, che segue quella mestruale (caratterizzata dalla perdita dello strato funzionale
dell’endometrio), e precede quella secretiva (o progestinica, caratterizzata dal rallentamento della proliferazione
epiteliale e della ricostruzione dello stroma e dei vasi), ha una durata di circa 9 giorni e corrisponde alla fase
estrogenica o follicolare del ciclo ovarico.

All’inizio di questa fase, dell’endometrio rimangono solo circa 0,5-1 mm di strato basale, nel cui stroma si trovano
le porzioni profonde delle ghiandole uterine. Sotto l’azione degli estrogeni prodotti dall’ovaio, si ha un notevole
aumento di spessore dell’endometrio, grazie a una spiccata attività proliferativa sia dell’epitelio sia della lamina
propria. Cellule dell’epitelio ghiandolare migrano verso la superficie, le ghiandole si fanno lunghe e sottili, mentre
i vasi hanno un processo di rigenerazione e si dispongono parallelamente alle ghiandole, ricostruendo lo strato
funzionale. Questa prima parte della fase estrogenica è denominata fase riparativa (o proliferativa precoce).

In seguito, subentra la fase proliferativa tardiva in cui le ghiandole diventano più tortuose, lo stroma più lasso ed
edematoso, in quanto ricco di liquido a livello della matrice extracellulare, mentre i vasi della porzione più
superficiale dell’endometrio cominciano ad assumere un decorso a spirale, divengono più ampi e con pareti più
spesse. Alla fine di questa fase, l’endometrio può raggiungere o 5-7 mm di spessore.
12. MICROSCOPICA ENDOMETRIO DURANTE LA FASE SECRETORIA (PROGESTINICA)

Dopo circa 14 giorni dall’inizio della fase desquamativa, determinata da un picco di LH, nell’ovaio si ha
l’ovulazione e quindi la formazione del corpo luteo, con la produzione di maggiori quantità di progesterone.

Nell’endometrio inizia quindi la fase secretiva o progestinica, che ha una durata di circa 13-14 giorni. Questa fase
è caratterizzata da una serie di modificazioni che rendono la tonaca mucosa stessa idonea all’annidamento
dell’embrione. In questa fase, che segue le fasi mestruale e proliferativa, all’interno della tonaca mucosa diminuisce
nettamente l’attività mitotica, sia epiteliale sia stromale:

- le cellule epiteliali secernenti accumulano granuli di glicogeno nella porzione basale del citoplasma, i lumi
ghiandolari appaiono ripieni di secreto, mentre le ghiandole assumono un aspetto ancora più tortuoso.
- lo stroma della lamina propria appare maggiormente edematoso. Dal 21° al 23° giorno del ciclo mestruale,
i fibroblasti dello stroma si ipertrofizzano, assumono un aspetto epitelioide e accumulano glicogeno e lipidi:
queste modificazioni prendono il nome di reazione pseudodeciduale.

Le arterie dello strato più superficiale dell’endometrio hanno un andamento chiaramente spiraliforme.

Durante la fase secretiva, dopo una settimana dal picco dell’LH, l’endometrio può raggiungere uno spessore di
circa 10-14 mm e vi si possono distinguere uno strato spongioso, vicino allo strato basale, caratterizzato dai tubuli
ghiandolari maggiormente tortuosi e ravvicinati, e uno strato compatto, più vicino al lume, al quale le numerose
cellule pseudodeciduali danno un aspetto maggiormente uniforme.

Nei giorni finali del ciclo mestruale, l’attività secretoria delle ghiandole diminuisce e le arterie spirali vanno incontro
a contrazioni ritmiche, in relazione alla diminuzione dei livelli di progesterone ed estrogeni; in tal modo si riduce il
flusso ematico allo strato funzionale dell’endometrio, che va pertanto incontro ad ischemia, riducendo il suo
spessore a 3-4 mm.

13. MACROSCOPICA E MICROSCOPICA TUBA UTERINA

Le tube uterine (o salpingi o tube di Falloppio, od ovidotti) sono due canali, uno a destra e uno a sinistra, localizzati
nella piccola pelvi, comprese e sospese tra il corno uterino e il legamento sospensore dell’ovaio; si portano
dall’estremità tubarica dell’ovaio, posto lateralmente, fino all’angolo superiore dell’utero, situato centralmente,
all’interno del margine della porzione superiore del legamento largo dell’utero, al quale è connessa dalla
mesosalpinge.

Sono gli organi in cui avvengono la fecondazione e la prima segmentazione dell’embrione. Pertanto, danno
passaggio agli spermatozoi, che sono risaliti attraverso le vie genitali per raggiungere l’oocita, che deve raggiungere
la cavità uterina per impiantarsi.

Dal punto di vista della loro estensione, svolgendo le sue piegature, si raggiunge una lunghezza intorno ai 10-12 cm
con un diametro di circa 2-4 mm. In ogni tuba si distinguono:

o Estremità tubarica o infundibolo: ha un aspetto ad imbuto frangiato. L’orifizio addominale si trova,


quindi, circondato da circa 12 – 15 fimbrie, delle quali la più lunga (2 – 3 cm) è la fimbria ovarica: essa
decorre nel margine libero del mesosalpinge seguendo il decorso del legamento utero-ovarico.
o Ampolla: è il tratto più lungo (fino a 7-8 cm) ed ha un diametro che diminuisce da 10 mm a 4 mm;
o Istmo: è lungo 3-4 cm ed ha un diametro di 3-4 mm;
o Porzione intramurale: percorre la parete dell’utero, con un decorso leggermente ascendente, e si apre
all’interno della cavità uterina per mezzo dell’orifizio uterino.

Nelle porzioni dell’infundibolo, dell’ampolla e dell’istmo è rivestita da peritoneo; quest’ultimo costituisce l’ala
superiore o media del legamento largo dell’utero, il mesosalpinge, una piega peritoneale all’interno della quale
decorrono i vasi e i nervi che raggiungono la tuba stessa.

La superficie interna della tuba ha un colorito grigio-rossastro. Il suo aspetto interno è estremamente irregolare per
la presenza di pieghe della tonaca mucosa con un decorso parallelo a quello dell’asse maggiore dell’organo.
La parete tubarica è costituita, dall’interno verso l’esterno, da:
• una tonaca mucosa, costituita, a sua volta, da:
o l’epitelio di rivestimento cilindrico semplice, in cui si distinguono:
§ cellule ciliate, più numerose nella fase pre-ovulatoria del ciclo ovarico e presentano, in
corrispondenza del polo apicale, numerose ciglia;
§ cellule secernenti, meno numerose di quelle ciliate, producono un secreto che ha una
funzione trofica e protettiva nei confronti del complesso oocito-cumulo ooforo e
dell’embrione durante lo spostamento verso l’utero ed è in grado, inoltre, di promuovere la
capacitazione degli spermatozoi.
o la lamina propria di connettivo denso che costituisce l’asse delle pieghe e connette le tonache
mucosa e muscolare.
• La tonaca muscolare di muscolatura liscia, con un’architettura molto complessa, caratterizzata da due
strati con fibrocellule muscolari lisce ad andamento spiraliforme, con un passo di spira più stretto nella
parte interna e più lasso nello strato esterno, tale per cui, nelle sezioni trasversali della tuba uterina, possono
apparire, rispettivamente, come uno strato interno pressochè circolare e strato esterno longitudinale;
essa accompagna anche i vasi formando la muscolatura perivascolare;
• La tonaca sierosa, costituita dal peritoneo e separata dalla muscolare da un sottile strato di connettivo
lasso sottosieroso.

14. FPR OVAIO CON LEGAMENTI

Le ovaie sono organi pari, localizzate all’interno della piccola pelvi, addossate alle sue pareti laterali, davanti al
retto e dietro ai legamenti larghi dell’utero e alle tube uterine in essi contenute. Sono poste circa 1,5-2 cm davanti
all’articolazione sacroiliaca e circa 1 cm sotto l’apertura superiore della pelvi, in corrispondenza della cosiddetta
fossa ovarica, un leggero infossamento della parete laterale della piccola pelvi che le accoglie nei due lati. Questa
posizione è pero variabile, in relazione al fatto che l’ovaio segue l’utero nei suoi spostamenti durante la gravidanza
e può quindi modificarsi nella donna multipara, divenendo più bassa all’interno della piccola pelvi, in paragone alla
donna nullipara.

La forma dell’ovaio può essere paragonata ad una mandorla, le cui dimensioni variano in funzione dell’età (alla
nascita, nella bambina, nella pubertà e nella donna adulta), ma anche in base alla fase del ciclo mestruale o allo stato
di gravidanza; medialmente, l’ovaia misura: 4 cm in lunghezza, 2 cm in larghezza ed è spessa 1 cm ed ha un peso
medio di 6–8 g. Ha un colore di bianco-rosaceo ed un aspetto liscio nella bambina, mentre nella donna ha un colore
rossastro ed una superficie irregolare per la presenza di follicoli, corpi lutei e cicatrici. Nella menopausa, si atrofizza,
è più consistente per la presenza di corpi fibrosi e assume un colorito giallastro.

Essendo connesso con la tuba uterina e con l’utero, l’ovaio ne segue i movimenti fisiologici, per cui può risultare
difficile stabilire l’orientamento del suo asse maggiore: questo potrebbe trovarsi su un piano sagittale obliquo.

Si possono distinguere:

- Due facce:
§ una faccia superiore (o mediale), convessa, rivolta in avanti, in alto e medialmente e ricoperta in parte
dall’ala superiore del legamento largo.
§ una faccia inferiore (o laterale), anch’essa convessa e poggia nella fossa ovarica (o fossetta o borsa
ovarica, una depressione nella parete pelvica laterale rivestita da peritoneo, profondamente alla quale
decorrono il nervo e i vasi otturatori). Nello specifico, essa è delimitata:
o Posteriormente, dai vasi ipogastrici e dall’uretere [Nella multipara, a causa dello spostamento
verso il basso dell’ovaio, l’uretere si localizza anterosuperiormente ad esso];
o Anteriormente, dalla plica ombelicale mediale e dall’inserzione pelvica del legamento largo;
o Superiormente, dai vasi iliaci esterni;
o Inferiormente, dall’arteria ombelicale.
- Due margini:
§ Un margine anteriore (o mesovarico), rettilineo, corrisponde all’ilo, poichè riceve le strutture
vascolari e nervose, e dà attacco al mesovario (che corrisponde all’ala posteriore del legamento largo
dell’utero e si porta fino all’ilo dell’ovaio, arrestandosi a livello della linea di Farre Waldeyer, il
limite tra rivestimento peritoneale ed epitelio di rivestimento dell’ovaio.)
§ Un margine posteriore (o libero), convesso, che entra in contatto con le anse intestinali.

- Due estremità:

§ un’estremità mediale (o inferiore o polo uterino dell’ovaio), connessa all’utero tramite il legamento
proprio dell’ovaio (o utero-ovarico, un cordone fibroso lungo circa 3 cm che si estende
trasversalmente fino all’angolo superiore dell’utero, occupando il margine libero dell’ala posteriore del
legamento largo o mesovario);
§ un’estremità laterale (o superiore o polo tubarico dell’ovaio), ricoperta dall’infundibolo della tuba,
alla quale è connesso tramite la fimbria ovarica, e dà attacco al legamento sospensore dell’ovaio,
una piegatura di peritoneo a livello della fossa iliaca creata dalla discesa verso l’ovaio dei vasi ovarici.

Questi legamenti non impediscono lo spostamento dell’ovaio, che può anche essere di notevole entità. Il legamento
sospensore dell’ovaio è funzionale per mantenere l’ovaio applicato alla parete laterale della piccola pelvi. Il
mesovario consente movimenti di lateralità, mentre il legamento uterovarico mantiene la contiguità tra utero e ovaio
stesso, obbligando l’ovaio agli spostamenti dell’utero.

Le ovaie sono le gonadi femminili, ovvero gli organi destinati alla produzione degli ovuli. Si formano a livello
lombare, ai lati della colonna vertebrale e medialmente ai condotti di Wolff, e raggiungono la loro posizione
definitiva (nella piccola pelvi) tra il 3° e il 9° mese di vita intrauterina.

15. COMPORTAMENTO DEL PERITONEO RISPETTO ALL’OVAIO

Per quanto riguarda il comportamento della cavità peritoneale in relazione all’ovaio, è necessario fare una
precisazione: nella femmina la cavità peritoneale comunica con l’esterno attraverso l’ostio della tuba uterina, a
differenza del maschio in cui è chiusa. L’ovaio, infatti, può essere definito come l’unico organo veramente dentro
la cavità peritoneale, al contrario del resto dei visceri intraperitoneali che vi sporgono soltanto, e la cui
denominazione, è, pertanto fuorviante. L’ovaio manca del rivestimento sieroso e ciò risulta funzionale alla periodica
rottura della corticale a cui va incontro per rilasciare l’ovocita. Quest’ultimo è, quindi, rilasciato a livello della cavità
peritoneale, ma non vi cade in quanto la parte infundibolare della tuba uterina si posiziona per riceverlo
correttamente.

Per quanto riguarda i mezzi di fissità dell’ovaio, questi sono:

1. Legamento sospensore dell’ovaio: costituito da una lamina connettivale nastriforme, contenente fibroblasti
e cellule muscolari lisce, che avvolge i vasi e i nervi dell’ovaio che formeranno il peduncolo principale
dell’organo. Questo legamento forma un rilievo nel peritoneo della fossa iliaca e, portandosi in avanti e
medialmente, incrocia l’apertura superiore della pelvi e i vasi iliaci esterni, per raggiungere l’estremità
superiore del margine anteriore dell’ovaio.
2. Legamento uterovarico: è un cordoncino fibroso, lungo 3-4 cm, caratterizzato anch’esso dalla presenza di
fibroblasti e cellule muscolari lisce. Esso è diretto dal polo inferiore dell’ovaio all’angolo superiore
dell’utero, dove si inserisce al di sotto e posteriormente allo sbocco della tuba uterina. Nel suo decorso
solleva il foglietto posteriore del legamento largo dell’utero, determinando una piega denominata ala
posteriore, rappresentata per lo più dal mesovario.
3. Mesovario: deriva dal foglietto posteriore del legamento largo dell’utero, ove si staccano due foglietti i
quali, dopo un breve decorso, si separano dirigendosi verso le due facce dell’ovaio per arrestarsi dopo poco
in corrispondenza della linea di Ferre-Waldeyer, che segna il limite tra il rivestimento peritoneale e
l’epitelio di rivestimento dell’ovaio.

Questi legamenti non impediscono lo spostamento dell’ovaio, che può anche essere di notevole entità.
Il legamento sospensore dell’ovaio è funzionale per mantenere l’ovaio applicato alla parete laterale della piccola
pelvi. Il mesovario consente movimenti di lateralità, mentre il legamento uterovarico mantiene la contiguità tra utero
e ovaio stesso, obbligando l’ovaio agli spostamenti dell’utero.

16. MICROSCOPICA DELL’OVAIO (MODIFICAZIONI POST-OVULATORIE)

L’ovaio è un organo pieno, che presenta importanti differenze nella sua struttura e dimensioni in relazione alle
diverse età della vita e in base alla fase del ciclo mestruale o allo stato di gravidanza. Ha un colore di bianco-rosaceo
ed un aspetto liscio nella bambina, mentre nella donna ha un colore rossastro ed una superficie irregolare per la
presenza di follicoli, corpi lutei e cicatrici. Nella menopausa, si atrofizza, è più consistente per la presenza di corpi
fibrosi e assume un colorito giallastro.

L’ovaio è rivestito da un epitelio cubico semplice, in continuità col mesotelio peritoneale. È stato impropriamente
definito epitelio germinativo, in quanto si riteneva che le cellule germinali femminili, gli oociti, originassero da
esso, mentre in realtà, queste derivano dall’endoderma del sacco vitellino. L’epitelio poggia su uno strato sottile di
connettivo denso che, per analogia con quello descritto nel testicolo, è chiamato tonaca albuginea (o falsa
albuginea): nel complesso, questi due strati costituiscono la zona corticale, che possiede anche una ricca
componente stromale e comprende i follicoli ovarici, quiescenti o in via di sviluppo, e i corpi lutei.

Lo stroma è ricco di fibroblasti fittamente stipati, ricchi di ribosomi, microfilamenti e goccioline lipidiche, disposti
a costituire spirali irregolari. Nella porzione più esterna della zona corticale sono molto abbondanti le fibre
collagene; questa zona va incontro a una fibrosi progressiva, che si fa particolarmente marcata dopo la menopausa.
La cellularità dello stroma, nonché il suo contenuto lipidico, sono legati a stimoli ormonali, ad esempio nel corso
della gravidanza si assiste a un notevole aumento dei lipidi (luteinizzazione dello stroma).

Lo stroma ovarico svolge importanti funzioni:

ü Garantisce un’impalcatura di sostegno strutturale e funzionale ai follicoli ovarici;


ü Forma le guaine tecali (interna ed esterna) intorno ai follicoli evolutivi;
ü È in grado di produrre ormoni steroidei.

La zona midollare è più profonda e si superficializza solo a livello dell’ilo. È riccamente vascolarizzata da vasi con
un caratteristico andamento a spirale (vasi a cavaturacciolo). In prossimità dell’ilo, si trovano anche delle cellule
dette interstiziali, contenenti pigmenti lipofuscini e cristalloidi, che sono responsabili della produzione di
androgeni. Si riscontrano, infine, dei tubuli irregolari rivestiti da un epitelio appiattito, che rappresentano i residui
embrionali del dotto mesonefrico del Wolff; questi tubuli, sempre per analogia con il testicolo del maschio, sono
definiti rete ovarii.

(MICROSCOPICA, ULTRASTRUTTURALE E FORMAZIONE DEL CORPO LUTEO)

Per quanto riguarda le modificazioni post-ovulatorie, dopo l’ovulazione, il follicolo collassa e assume un aspetto
pieghettato; quindi, sotto l’azione continua dell’ormone LH prodotto dall’adenoipofisi, va incontro ad una serie di
modificazioni strutturali e funzionali le quali, nel giro di 24-48 ore, portano alla formazione del corpo luteo. Esso,
nelle fasi iniziali, è costituito da una zona periferica di aspetto festonato, colore grigio-rosato, con uno spessore di
circa 1-3 mm, che circonda una parete centrale di consistenza gelatinosa, di aspetto ialino e colorito rosato.

Le modificazioni strutturali maggiori riguardano le cellule della granulosa parietale e della teca interna.

• Le cellule luteiniche della granulosa aumentano di volume fino a un diametro di circa 15-30 micrometri;
esse acquisiscono gli organelli tipici delle cellule steroidogeniche, quali il reticolo endoplasmatico liscio, i
mitocondri con creste tubulari e le gocce lipidiche, e divengono cellule luteiniche di origine granulosa,
voluminose ed eosinofile, che secernono progesterone ed estrogeni.
• Le cellule luteiniche della teca interna (o paraluteiniche) aumentano ugualmente il loro volume,
accumulano gocce lipidiche nel citoplasma e si trasformano in cellule luteiniche di origine tecale, piccole
e vacuolizzate, e principalmente localizzate nella periferia del corpo luteo e nei setti connettivali che si
affondano tra i cordoni di cellule luteiniche di origine granulosa. Sono meno numerose di queste ultime e
secernono progesterone e androstenedione in risposta all’ormone LH.
Il progesterone agisce a livello dell’endometrio uterino, predisponendolo ad accogliere la cellula uovo
eventualmente fecondata.

a. Se non vi è fecondazione, il corpo luteo permane nella seconda metà del ciclo ovarico e si definisce corpo
luteo mestruale, poiché al suo centro è presente ancora sangue. Infine, il corpo luteo mestruale si trasforma
nel corpo albicans, in cui le cellule luteiniche vengono sostituite da tessuto connettivo cicatriziale
(soprattutto collagene) e che in seguito sarà riassorbito dallo stroma ovarico.

b. Se, invece, a livello dell’ampolla della tuba di Falloppio avviene la fecondazione, il corpo luteo diventa
gravidico (raggiunge i 3 cm) e permane per i primi tre mesi della gravidanza, sostenuto dalla gonaotropina
hCG (Human chorionic gonadotropin) prodotta dal trofoblasto embrionale dopo l’impianto. Dopo i 3 mesi,
il corpo luteo verrà sostituito, nella produzione di estrogeni, dalla placenta.

17. MICROSCOPICA FOLLICOLO DI VAN DER GRAAF

I follicoli vanno incontro a diverse tappe di maturazione: queste vanno a definire il ciclo ovarico che è sotto il
controllo degli ormoni ipofisari. Il ciclo ovarico dura circa 28/30 giorni e prevede 3 fasi: una pre-ovulatoria, una
ovulatoria ed una post-ovulatoria. La fase pre-ovulatoria è quella in cui il follicolo dominante, quello che ha
prevalso durante il reclutamento dei vari follicoli ovarici primordiali, matura fino a diventare follicolo maturo.

Nello stadio del follicolo di Graaf (o terziario), esso presenta dimensioni elevate: si sviluppa sia verso la midollare
che verso la corticale ed ha un diametro di circa 1,2-2 mm. L’antro è molto ampio e contiene moltissimo liquor
follicoli. L’oocita primario è ancora contenuto all’interno del cumulo ooforo, nel quale si crea un abbondante
deposito di acido ialuronico, un proteoglicano molto idrofilico che riesce a trattenere molta acqua. Depositandosi
tra le cellule della granulosa, l’acido ialuronico ne provoca la disgregazione: infatti, spesso nei follicoli maturi di
Graaf le cellule uovo sono libere all’interno dell’antro circondate dalla corona radiata.

Le cellule della granulosa acquisiscono i recettori per l’LH, che si aggiungono a quelli per l’FSH già presenti.

Dei 10-15 follicoli primordiali che entrano nella follicologenesi, solo 5-7 diventano follicoli di Graaf. Questa
selezione avviene circa all’inizio del 3° ciclo mestruale in corrispondenza di un aumento dei livelli ematici di FSH,
in una finestra di tempo di 5 giorni. Dopo il reclutamento, avviene un’ulteriore selezione, i follicoli di Graaf entrano
in competizione per l’FSH e solo 1 diventerà un follicolo ovulatorio.

I follicoli di Graff subiscono l’azione di due ormoni antagonisti: il testosterone, che inibisce la maturazione del
follicolo di Graff, e gli estrogeni, che invece promuovono la maturazione del follicolo. I follicoli differiscono tra
di loro per la quantità di recettori per l’FSH presenti nelle cellule della granulosa, per motivi puramente stocastici.
Conseguentemente, i follicoli con un’alta densità di recettori per l’FSH risponderanno più facilmente all’ormone
producendo quindi più estrogeni necessari per la maturazione. Allo stesso tempo, in risposta all’ FSH le cellule della
granulosa producono anche inibina che va a inibire il rilascio di FSH da parte dell’ipofisi.

Contemporaneamente al processo di selezione dei follicoli si ha un incremento dei livelli di inibina e quindi un lento
calo dell’FSH. Quindi, solo i follicoli con elevate quantità di recettore per l’FSH sulle cellule della granulosa sono
in grado di rispondere efficacemente ai diminuiti livelli ematici di FSH continuando a produrre estrogeni. Negli altri
follicoli, la produzione di estrogeni cessa e dunque i follicoli andranno in atresia. Nella stragrande maggioranza dei
casi, viene selezionato solo 1 follicolo maturo, uno per ovario.
DOMANDE DI NEUROANATOMIA

1) SVILUPPO EMBRIOLOGICO DEL TUBO NEURALE CON PARTICOLARE RIFERIMENTO


ALLO SVILUPPO DELLE PARETI LATERALI

Al 16° giorno di sviluppo, l’embrione appare come un disco trilaminare costituito da:

1) epiblasto, che darà origine all’ectoderma;


2) ipoblasto che darà origine all’endoderma;
3) mesoderma, foglietto intermedio che inizierà a differenziarsi per primo formando la primitiva corda dorsale
(o notocorda) che indurrà a sua volta la neurulazione, processo di differenziamento dell’ectoderma che
inizia circa al 20° giorno di sviluppo.

L’ectoderma, guidato dai fattori di proliferazione e differenziamento prodotti dall’organizzatore notocordale, inizia
a ispessirsi sulla linea mediana, dando origine alla placca neurale. Quest’ultima successivamente va incontro ad
un’invaginazione formando la doccia neurale, i cui margini segnano il confine con l’ectoderma somatico. Tali
regioni di confine, chiamate pieghe neurali, sono costituite da una popolazione cellulare caratterizzata da
multipotenza e capacità migratoria, che porteranno alla formazione di due propaggini, le creste neurali che
andranno incontro alla segmentazione tipica di tutto il tronco. La doccia neurale con le pieghe neurali appare come
una sorta di canale allungato aperto dorsalmente.

La fase successiva è la saldatura delle due estremità della doccia e la formazione del tubo neurale, (circa 24°
giorno) che si presenta come una struttura cilindrica chiusa, le cui pareti laterali risultano più sviluppate, mentre le
pareti ventrale e dorsale più limitate. Ciò è dovuto alla proliferazione mitotica del neuroepitelio primitivo,
delimitante la cavità del tubo neurale, che provoca una migrazione centrifuga delle cellule neoformate, portando
così, ad un ispessimento delle pareti laterali.

Le pareti dorsale e ventrale risulteranno più sottili, perciò si delineerà un solco sulla superficie interna della parete
laterale, che prenderà il nome di solco limitante. In questo modo, nelle due pareti laterali spesse, si distingueranno:

§ una porzione davanti al solco limitante, che prende il nome di lamina basale, a significato motorio;
§ una porzione posteriore, che prende il nome di lamina alare, a significato sensitivo.

Le due pareti laterali, invece, saranno unite tra di loro da una lamina del pavimento, ventralmente, e da una lamina
del tegmento, dorsalmente.

Dopo il 27esimo giorno di sviluppo, si assiste ad una crescita differenziale della struttura, per cui la parte più
rostrale cresce maggiormente rispetto al resto, dando luogo alla vescicola encefalica; questo stadio di sviluppo è
detto monovescicolare. La vescicola va incontro ad un ulteriore sviluppo differenziale e da uno stadio
monovescicolare si passa ad uno stadio trivescicolare: vescicola romboencefalica, mesencefalica e prosencefalica,
che daranno origine rispettivamente ad: encefalo posteriore, medio e anteriore.

Mentre la vescicola mesencefalica non subisce altre divisioni, sia la vescicola romboencefalica che quella
prosencefalica, si dividono ulteriormente in due vescicole ciascuna: la vescicola romboencefalica darà luogo
caudalmente ad una vescicola mielencefalica e rostralmente alla vescicola metencefalica; la vescicola prosencefalica
si dividerà in una vescicola diencefalica e in una telencefalica. Si realizza così lo stadio a cinque vescicole, che
rappresenta l’organizzazione definitiva del primitivo encefalo.

2) RELAZIONE TRA SNC E SEGMENTI DEL TUBO NEURONALE

La relazione tra le principali regioni del SNC maturo e i sei segmenti (le 5 vescicole e la rimanente parte cilindrica)
in cui si organizza il tubo neurale è:

§ Regione caudale cilindricaà midollo spinale.


§ Vescicola mielencefalicaà bulbo (o midollo allungato o mielencefalo).
§ Vescicola metencefalica:
dalla cui parte rostrale e ventrale origina il Ponte di Varolio;
dalla cui parte dorsale origina il Cervelletto.
§ Vescicola mesencefalicaà Mesencefalo (o encefalo intermedio o medio).
§ Vescicola diencefalicaà Diencefalo, costituito da due masse di sostanza grigia, simmetriche, che prendono
il nome di Ipotalamo e Talamo. Sulla linea mediana origina, come prolungamento discendente del
pavimento del III ventricolo, la neuroipofisi;
§ Vescicola telencefalicaà telencefalo pari, da cui originano i due emisferi cerebrali e telencefalo impari
originano le strutture della linea mediana: corpo calloso, setto pellucido, fornice, commessura anteriore.

3) MACROSCOPICA E MICROSCOPICA DELLE MENINGI

Le meningi sono tre lamine connettivali membranose che avvolgono l’encefalo, il midollo spinale e il primo tratto
dei nervi cranici o encefalici e dei nervi spinali a partire dalla loro origine dal nevrasse. Si presentano come tre
involucri concentrici che dall’esterno all’interno prendono il nome di:

§ Dura madre (o pachimeninge), una membrana di spessore di circa 1,5-2 mm, molto robusta di colore
bianco madreperlaceo, lucente nel versante esterno, costituita da un doppio foglietto (periostale e meningeo
propriamente detto) di tessuto connettivo fibroso denso irregolare, ricco di fibre elastiche, che non lascia
intravvedere il midollo spinale e l’encefalo.
§ Leptomeningi, o meningi nascoste, delle membrane di tessuto connettivo più lasso, sottilissime,
velamentose e trasparenti che, a differenza della dura madre, lasciano intravvedere il tessuto nervoso
sottostante; si distinguono in:
Aracnoide (o meninge interposta), pressochè avascolare, caratterizzata da una struttura reticolare
che manda dei sepimenti che raggiungono la pia madre sottostante, assumendo l’aspetto di una
ragnatela, da cui il nome.
Pia madre, la più interna delle meningi che avvolge intimamente tutta la superficie del tessuto
nervoso, seguendo tutte le sue irregolarità di superficie lungo le quali porta i vasi sanguigni e il
nutrimento al tessuto nervoso, verso cui svolge dunque un ruolo trofico, da cui il termine “pia”.

Essendo la dura madre costituita da due foglietti, periostale e meningeo propriamente detto, in alcuni punti si
formano degli ispessimenti dovuti allo sdoppiamento dei foglietti, che danno luogo ai seni venosi: seni della volta
(longitudinale superiore ed inferiore ed il retto) e seni della base (trasversi, sigmoidei, occipitale, cavernosi, petrosi,
sfeno-parietali). La dura madre, inoltre, forma quattro sepimenti che si dirigono verso l’interno della cavità cranica
e dividono tra di loro, parzialmente, gli spazi intracranici; questi sono:

- Falce cerebrale (o grande falce);


- Tentorio del cervelletto;
- Falce cerebellare (o piccola falce);
- Diaframma della sella.

4) SPAZI TRA LE MENINGI E RUOLO FUNZIONALE

Fra le tre meningi, dura madre, aracnoide e pia madre, sono presenti gli spazi intermeningei, che dall’esterno
all’interno, sono:

§ Lo spazio extradurale o epidurale, situato tra la dura madre e l’osso, che presenta un’importante differenza a
seconda delle porzioni del nevrasse considerate:
a) a livello della cavità cranica, virtuale/potenziale, in quanto la dura madre aderisce tenacemente alla
superficie interna delle ossa della volta e della base cranica. Nel caso della lacerazione dell’arteria
meningea media in seguito ad una frattura ossea, lo spazio acquista volume per la fuoriuscita del sangue
a forte pressione. In seguito, l’emorragia fluida scolla la dura madre dal periostio portando ad una
raccolta ematica, ovvero un ematoma extradurale.

b) a livello del canale vertebrale, reale, a causa dell’interposizione del tessuto adiposo con ramificazioni
vascolari e nervose (plesso venoso intravertebrale di Batson);
§ Lo spazio subdurale o sottodurale, virtuale, tra la dura madre e l’aracnoide, attraversato soltanto dalle
bridging veins, corte vene di connessione tra vene encefaliche e vene della dura madre he portano il sangue
dalla superficie esterna ai seni della dura madre. La rottura di questi vasi genera l’emorragia subdurale, in
cui il sangue a bassa pressione fuoriesce lentamente e si va a raccogliere lentamente nello spazio subdurale,
che da virtuale diventa reale.
§ Lo spazio subaracnoideo, reale in quanto sede del liquor, tra l’aracnoide e la pia madre.

In particolare, nei punti di stretto contatto tra la pia madre e l’ependima del sistema di cavità ventricolari, si formano
le tele corioidee del III e IV ventricoli, le cui invaginazioni danno origine ai plessi corioidei, dei gomitoli di vasi
con ricca rete capillare deputati alla filtrazione continua del plasma sanguigno.

Più in dettaglio, nei ventricoli laterali il liquor viene filtrato dai plessi corioidei locali, che, attraverso i forami
interventricolari di Monroe, passa nel terzo ventricolo dove si aggiunge al liquor prodotto localmente.
Successivamente, attraverso l’acquedotto di Silvio passa al quarto ventricolo. Da qui, attraverso tre aperture della
volta del IV ventricolo: il forame mediano di Magendie e i due forami laterali di Luschka, si porta nello spazio
subaracnoideo. Qui, il liquor viene riassorbito dalle granulazioni aracnoidee del Pacchioni nel sistema circolatorio.

5) SEDE DI PRODUZIONE, ASSORBIMENTO E CIRCOLAZIONE DEL LIQUOR

Il liquor (o liquido cefalorachidiano o cerebrospinale) è prodotto in gran parte dai plessi corioidei, e in minima parte
anche dallo stesso tessuto nervoso, dai quali si sposta poi verso i ventricoli.

I plessi corioidei sono delle formazioni vascolari che si trovano all’interno dei ventricoli cerebrali e che si formano
per invaginazione della tela corioidea, costituiti da gomitoli di vasi sanguigni rivestiti da epitelio corioideo, derivato
dal neuroepitelio primitivo. Il liquor si forma continuamente per filtrazione del plasma sanguigno che scorre
all’interno dei vasi dei plessi corioidei. Più in dettaglio, il liquor viene filtrato dai plessi corioidei dei ventricoli
laterali e, attraverso i forami interventricolari di Monroe, passa nel terzo ventricolo dove si aggiunge al liquor
prodotto localmente. Successivamente, attraverso l’acquedotto di Silvio passa al quarto ventricolo. Da qui,
attraverso tre aperture della volta del IV ventricolo: il forame mediano di Magendie e i due forami laterali di
Luschka, si porta nello spazio subaracnoideo. Qui, il liquor viene riassorbito dalle granulazioni aracnoidee del
Pacchioni nel sistema circolatorio.

La produzione quotidiana di liquor ammonta a circa 500 ml. Tuttavia, essendo questo, continuamente prodotto e
riassorbito, il suo volume normale si mantiene attorno ai 140 ml, di cui solo 26-28 ml sono contenuti all’interno del
sistema ventricolare, mentre i restanti 110 ml circa si trovano nello spazio subaracnoideo e nelle sue cisterne, in
particolare nella cisterna spinale, localizzata nell’1/3 inferiore del canale vertebrale.

6) CISTERNE LIQUORALI

Le cisterne liquorali sono delle dilatazioni dello spazio subaracnoideo. La maggior parte delle cisterne è localizzata
a livello della superficie inferiore dell’encefalo (cisterne della base). L’encefalo, poggia, dunque, su una falda fluida
che riduce l’effetto meccanico del rapporto diretto con la struttura rigida costituita dal neurocranio.

Le cisterne sono divise in:

§ Cisterne intracraniche:
- Cisterna magna (cerebello-midollare), tra la superficie inferiore del cervelletto e quella dorsale del bulbo;
qui arriva il liquor fuoriuscito dai forami di Magendie e di Luschka, da cui scende nello spazio
subaracnoideo del canale vertebrale e risale nello spazio subaracnoideo della convessità encefalica;
- Cisterna ambiens (della grande vena cerebrale di Galeno), tra la superficie superiore del cervelletto e la
superficie posteriore del mesencefalo.
- Cisterna pontina/pre-pontina, situata davanti al ponte, dove decorre l’arteria basilare;
- Cisterna interpeduncolare, situata anteriormente al mesencefalo e al di sopra della pontina, tra i due
peduncoli cerebrali.

Altre cisterne della base: cisterna chiasmatica, cisterna pericallosa..


§ Cisterne del canale vertebrale:
- Cisterna spinale, localizzata tra L2 ed S3, a livello dell’1/3 inferiore del canale vertebrale, è la più grande
cisterna di tutto il sistema liquorale. Si tratta di una regione in cui avviene lo scollamento dell’aracnoide
dalla pia madre ed il suo addossamento alla dura madre, che provoca la formazione di un ampio spazio
subaracnoideo contenente in assoluto la maggior quantità di liquido, motivo per cui a questo livello viene
effettuata la rachicentesi.

A livello di L2 termina il midollo spinale, lungo in tutto 44cm, a cui segue il filo terminale, lungo circa 20 cm, un
cordoncino di pia madre che presenta una prima parte lunga 15 cm, intradurale, fino a S3 (limite inferiore della
cisterna spinale) e una parte epidurale, lunga 5 cm circa, che decorre nel canale sacrale.

Il filum terminale nel suo decorso è circondato dalla cauda equina, costituita dalle lunghe radici nervose anteriori e
posteriori del 5 nervi lombari, 5 nervi sacrali e 1 coccigeo.

7) CISTERNA SPINALE

La cisterna spinale è la più grande cisterna di tutto il sistema liquorale ed è localizzata tra L2 ed S3, a livello
dell’1/3 inferiore del canale vertebrale (lungo 75 cm).

Il midollo spinale, lungo in tutto 44cm occupa circa i 2/3 superiori del canale, in cui l’aracnoide aderisce strettamente
alla pia madre. A livello di L2 termina il midollo spinale, a cui segue il filo terminale, lungo circa 20 cm, un
cordoncino di pia madre che presenta una prima parte lunga 15 cm, intradurale, fino a S3 (limite inferiore della
cisterna spinale) e una parte epidurale, lunga 5 cm circa, che decorre nel canale sacrale. Si tratta di una regione in
cui avviene lo scollamento dell’aracnoide dalla pia madre ed il suo addossamento alla dura madre, che provoca la
formazione di un ampio spazio subaracnoideo contenente in assoluto la maggior quantità di liquido, motivo per
cui a questo livello viene effettuata la rachicentesi.

Il filum terminale nel suo decorso è circondato dalla cauda equina, costituita dalle lunghe radici nervose anteriori e
posteriori del 5 nervi lombari, 5 nervi sacrali e 1 coccigeo.

8) FALCE CEREBRALE

La falce cerebrale (o grande falce) è uno dei quattro sepimenti dalla dura madre, localizzato sulla linea mediana
della cavità cranica, in posizione interemisferica, tra la parte alta e la parte posteriore dei due emisferi cerebrali.

Essa di estende dalla crista galli dell’etmoide, rostralmente, corrisponde poi alla cresta frontale, fino alla
protuberanza occipitale interna ed al tentorio del cervelletto. Ha un aspetto di lamina con una concavità inferiore,
un’estremità anteriore e una base:

§ Un margine convesso superiore, in rapporto con la linea mediana della volta cranica;
§ Un margine concavo libero inferiore, che poggia sul corpo calloso, struttura di connessione assonale dei due
emisferi cerebrali.
§ Una base attaccata al tentorio del cervelletto.

All’interno dello spessore della grande falce, nel punto in cui questa si allarga e aderisce alla volta interna del cranio,
corre il seno venoso che raccoglie il sangue che defluisce dalla circolazione cerebrale. La grande falce tende a subire
un processo di calcificazione con l’avanzare dell’età.

9) TENTORIO DEL CERVELLETTO

Il tentorio del cervelletto è uno dei quattro sepimenti della dura madre, che si presenta come una lamina orizzontale
che separa il cervelletto dai lobi occipitali del cervello. È formato da due spioventi che si incontrano sul piano
sagittale mediano con un angolo smusso su cui prende inserzione lo sdoppiamento della base di un’altra piega della
dura madre, la grande falce cerebrale. Tra l’angolo smusso e i due lembi decorre, dall’avanti all’indietro, un
importante seno venoso, il seno retto. Nel tentorio si distinguono: due facce e due margini:

§ la faccia superiore, che guarda verso il rispettivo lobo occipitale,


§ la faccia inferiore, che guarda verso il rispettivo emisfero cerebellare.
§ Il margine aderente, convesso, che prende inserzione a livello della squama dell’osso occipitale, al confine
tra le fosse occipitali e le fosse cerebellari;
§ Il margine anteriore, libero, che prende inserzione in corrispondenza dei processi clinoidei anteriori e
insieme al clivus dell’occipitale delimita il forame ovale di Pacchioni, orifizio di comunicazione tra la fossa
cranica posteriore e la fossa cranica media, attraverso cui prende rapporto con il tronco encefalico, in
particolare con il mesencefalo.

Nello spazio formato dallo sdoppiamento della dura madre e dallo spigolo posterosuperiore della piramide del
temporale decorrerà il seno petroso superiore. Nello spazio formato dallo sdoppiamento della dura madre e del solco
del seno trasverso decorrerà invece, il seno trasverso.

10) VENTRICOLI LATERALI

I ventricoli laterali, chiamati anche I e II, sono il risultato dello sviluppo della cavità delle due vescicole
telencefaliche. Da un punto di vista morfologico, i ventricoli laterali presentano forma di lettera “C”, dovuta alla
rotazione, filogeneticamente determinata, del primitivo polo caudale, che portandosi in basso ed in avanti, andrà a
costituire il futuro polo temporale.

Ciascun ventricolo laterale è costituito da una parte centrale (cella media), occupante il lobo parietale, che si
estende dal foro interventricolare allo splenio del corpo calloso, separato dal ventricolo controlaterale dal setto
pellucido. Da questa parte dipartono tre prolungamenti:

- Un corno anteriore o frontale, il cui limite posteriore corrisponde fino al foro interventricolare di Monro. I
due corni anteriori dei ventricoli laterali sono separati tra loro dal setto pellucido, passante per la linea mediana.
- Un corno inferiore o temporale, il segmento più voluminoso del ventricolo laterale, orientato in basso, in
avanti e medialmente;
- Un corno posteriore o occipitale, che, in un secondo momento rispetto agli altri due, si porta all’indietro nel
lobo occipitale, assumendo una forma a piramide a base triangolare il cui apice guarda all’indietro.

I due ventricoli laterali comunicano con il III ventricolo attraverso i due forami interventricolari di Monro.

Dal punto di vista microscopico, il sistema ventricolare è rivestito dall’ependima, uno singolo strato di cellule
cubiche alte o cilindriche che deriva dalla stabilizzazione del neuroepitelio primitivo. In particolare, nei punti di
stretto contatto tra la pia madre e l’ependima del sistema di cavità ventricolari, si formano le tele corioidee del III e
IV ventricoli, le cui invaginazioni danno origine ai plessi corioidei, dei gomitoli di vasi con ricca rete capillare
deputati alla filtrazione continua del plasma sanguigno.

11) QUARTO VENTRICOLO: MORFOGENESI, CONFORMAZIONE E VIE DI COMUNICAZIONE

Il quarto ventricolo è il derivato della vescicola romboencefalica e metencefalica ed è la cavità ventricolare più
sviluppata tra i quattro ventricoli. In un piano frontale si presenta come una fessura mediana, mentre in sezione
sagittale come uno spazio compreso tra la superficie dorsale del bulbo e del ponte e la superficie ventrale del
cervelletto, che ne vanno a costituire rispettivamente: il pavimento, detto fossa romboidale e la volta o tetto, detto
fastigium. Il IV ventricolo comunica:

- Superiormente con il III ventricolo attraverso l’acquedotto mesencefalico di Silvio,


- Inferiormente presenta due prolungamenti, separati da un setto di sostanza gelatinosa, l’obex:
§ uno in avanti che conduce al canale centrale del midollo;
§ uno posteriore a fondo cieco.
- Lateralmente e in avanti presenta due recessi sul fondo dei quali si aprono i due forami laterali o di Luschka,
destro e sinistro, che si aprono nello spazio subaracnoideo, a livello dell’angolo ponto cerebellare;
- Posteriormente a livello mediano, si trova un altro recesso, orientato inferiormente, che si apre mediante il foro
mediano o di Magendie nello spazio subaracnoideo.

Tramite queste aperture il liquor passa dalla volta del quarto ventricolo allo spazio subaracnoideo da cui verrà
riassorbito a livello delle granulazioni del Pacchioni nel circolo vascolare.
12) PAVIMENTO DEL 4° VENTRICOLO

Il pavimento del IV ventricolo, o fossa romboidale costituisce la superficie dorsale di un distretto nella cui
profondità si trovano i nuclei importanti per le funzioni vegetative.

- L’asse maggiore della fossa romboidale misura circa 3 cm, di cui 2 cm spettano al ponte, e 1 cm al bulbo.
- L’asse trasversale è caratterizzato da piccoli fascetti di fibre che prendono il nome di strie midollari (o acustiche,
di Piccolomini), utilizzate come limite convenzionale tra il trigono bulbare o inferiore ed il trigono pontino,
o superiore, del pavimento del IV ventricolo.

Sulla linea mediana dell’asse maggiore del pavimento, inoltre, è presente un solco di simmetria, chiamato solco
mediano dorsale, e un solco laterale, estensione del solco limitante delle pareti laterali del tubo neurale, che
delimitano l’eminenza mediana.

Le strie di Piccolomini dividono l’eminenza mediana in:

- una parte superiore (nel triangolo pontino), in cui è presente un rilievo, chiamato collicolo faciale in quanto
generato dal VII nervo cranico, i cui assoni prima di emergere, girano posteriormente ai neuroni del nucleo
del VI nervo cranico (abducente);
- una parte inferiore, di pertinenza bulbare, che presenta una nomenclatura precisa, in quanto presenta dei
rilievi triangolari, di colori diversi, chiamati ali, determinati dai pirenofori dei neuroni sottostanti:
• Ala bianca interna, bianca: riveste i neuroni del XII nervo cranico, perciò prende anche il nome
di trigono dell’ipoglosso;
• Ala cinerea, grigia, inferiore: prende anche il nome di trigono del nervo vago poiché riveste i
pirenofori dei neuroni del X nervo cranico, sia quelli motori che sensitivi degli stessi visceri.
Al di sotto delle strie del Piccolomini e lateralmente all’area cinerea e al solco limitante, si trova una piccola regione
triangolare a base superiore, detta ala bianca esterna, che continua, al di sopra delle strie del Piccolomini, nell’area
acustica. Nel triangolo pontino, al di sopra dell’area acustica, è evidenziabile una zona di colore grigio-azzurro che
corrisponde, in profondità, ad un gruppo di neuroni ricchi di rame, chiamato locus coeruleus, implicato nel controllo
della ritmicità del respiro.
Subito lateralmente all’area cinerea, è presente una piccola struttura chiamata area postrema, la quale appartiene
ai così detti organi circumventricolari, ossia aree specializzate in particolari punti delle cavità ventricolari del III
e IV ventricolo e dell’acquedotto del Silvio, in cui non è presente la barriera emato-encefalica e dove sarebbero
agevolati gli scambi tra liquor, sangue e tessuto nervoso.

13) ORGANI CIRCUMVENTRICOLARI

Gli organi circumventricolari (o finestre encefaliche) sono delle aree specializzate, localizzate in particolari punti
delle cavità ventricolari del III e IV ventricolo e dell’acquedotto del Silvio, in cui non è presente la barriera emato-
encefalica e dove sarebbero agevolati gli scambi tra liquor, sangue e tessuto nervoso. Tra questi organi si
distinguono:

§ Organo vascoloso della lamina terminale, localizzato al davanti del chiasma ottico, a livello della linea
mediana a ridosso della lamina terminale che chiude anteriormente il III ventricolo; è altamente
vascolarizzata e contiene neuroni con recettori per l’angiotensina II e connessioni con i nuclei
magnicellulari ipotalamici. Sembra essere implicata come chemocettore e osmoregolatore.
§ Organo subfornicale, in posizione impari e mediana, interposto tra le due colonne del fornice a ridosso
del forame magno di Monro; presenta le stesse caratteristiche e funzioni dell’organo vascoloso.
§ Eminenza mediana, localizzata a livello del pavimento del IV ventricolo, caratterizzata da una ricca rete
neurovascolare, dove gli assoni dei neuroni parvicellulari ipotalamici sono addossati alla prima rete
capillare del sistema ipotalamo-ipofisario;
§ Neuroipofisi, che contiene una rete neurovascolare ove le terminazioni dei neuroni magnicellulari
ipotalamici riversano il loro contenuto;
§ Ghiandola pineale (o epifisi), in cui le cellule parenchimali, pinealociti, contraggono stretti rapporti con
la rete vascolare ove riversano il prodotto della propria secrezione;
§ Organo subcommissurale, situato sulla linea mediana presso la parete posteriore dell’acquedotto
mesencefalico, immediatamente al di sotto della commessura posteriore; non possiede neuroni ma cellule
ependimali e neuroglia circondati da una rete di capillari sanguigni.
§ Area postrema, l’unica formazione pari situata in posizione simmetrica ai lati della linea mediana
posteriore dell’angolo inferiore della fossa romboidale, subito lateralmente all’area cinerea; contiene
piccoli neuroni, astrociti e una ricca rete di capillari fenestrati. E’ in connessione con il nucleo del tratto
solitario e i nuclei ipotalamici ed è chiaramente responsabile del riflesso del vomito.

14) MEZZI DI FISSITÀ DEL MIDOLLO SPINALE

Il midollo spinale è mantenuto in sede, anzitutto, dalla sua continuità con il bulbo, il confine con il quale è stabilito
da un piano teorico equidistante dai punti di emergenza dell’ultima radicola del XII n.c. e della prima radicola del
nervo spinale cervicale. Il midollo spinale segue il decorso del canale vertebrale, senza mai entrare in contatto con
le pareti ossee, in quanto, oltre ad essere avvolto dalle tre meningi, si trova sospeso al suo interno occupando i 3/5
della cavità ossea formata dalle vertebre contigue.

Il sistema di sospensione del midollo all’interno del canale consiste in:

- Tessuto fibroadiposo epidurale, contenente il plesso venoso di Batson;


- Liquido cefalorachidiano nello spazio subaracnoideo che bagna il midollo lungo tutta la sua lunghezza
svolgendo il ruolo di ammortizzatore per evitare i traumi da contatto con le pareti ossee;
- Radici anteriori e posteriori dei nervi spinali che, dal midollo, si portano ai fori intervertebrali;
- Filum terminale, che costituisce il prolungamento fibroso della pia madre che si ancora all’apice del
coccige, fissando il midollo inferiormente;
- legamenti denticolati, delle “laminette” festonate che si estendono dalla pia madre all’aracnoide e alla
superficie interna della dura madre e si collocano nello spazio tra le radici di un nervo spinale, ovvero
nell’incavo tra la radice anteriore e la radice posteriore che convergono per formare il nervo spinale.

15) SOMATOTOPIA NEURONI E NUCLEI CORNO ANTERIORE

Il termine somatotopia (da soma, corpo neuronale e topos, localizzazione) indica la disposizione dei neuroni in
gruppi funzionali denominati “nuclei” le cui fibre andranno a formare la parte del nervo destinata ad uno specifico
effettore o che riceve assoni che veicolano una specifica funzione sensitiva. Tali nuclei, che in sezione trasversa
appaiono come gruppi di neuroni, hanno una loro estensione verticale: si tratta, cioè, di colonnine di neuroni, la cui
caratteristica comune è quella di contribuire con i loro assoni alla formazione delle radici anteriori o di ricevere la
porzione laterale delle radici posteriori dei vari nervi spinali.

Nel corno anteriore vengono distinti gruppi di neuroni localizzati medialmente e lateralmente.

I neuroni mediali, presenti essenzialmente a livello del midollo toracico, sono deputati all’innervazione della
muscolatura del tronco, e sono suddivisi in:

§ neuroni del nucleo ventro-mediale (NVM) che innervano la muscolatura flessoria del tronco,
§ neuroni del nucleo dorso-mediale (NDM) che innervano la muscolatura estensoria.

A livello cervicale, lombare e sacrale, a questi gruppi si affiancano gruppi di neuroni laterali, responsabili
dell’innervazione dell’arto superiore e dell’arto inferiore rispettivamente, e suddivisi in:

§ Il nucleo ventro-laterale (NVL), destinato all’innervazione della porzione prossimale dell’arto,


ovvero della muscolatura del cingolo scapolare e del braccio a livello cervicale, e della muscolatura
del cingolo pelvico e della coscia a livello lombo-sacrale.
§ Il nucleo dorso-laterale (NDM), destinato all’innervazione della muscolatura dell’avambraccio ed
estrinseca della mano a livello cervicale, e della muscolatura della gamba ed estrinseca del piede a
livello lombo-sacrale.
Esiste un ulteriore gruppo di neuroni molto specializzato, che prende il nome di nucleo retro-dorso-laterale
(NRDL), il quale si occupa dell’innervazione dei muscoli intrinseci della mano ed intrinseci del piede, muscolatura
molto raffinata, che permette movimenti molto precisi.

Infine, un altro gruppo di neuroni motori somatici è localizzato in posizione centrale nel corno anteriore ed è
denominato nucleo centrale. Esso è localizzato in tre distretti, dando luogo alla formazione di tre nuclei:

§ Il nucleo dell’accessorio spinale (C1-C2-C3-C4), che dà origine alla radice spinale del XI nervo cranico ed
è destinato all’innervazione dei muscoli sternocleidomastoideo e trapezio;
§ Il nucleo frenico (C2-C3-C4), per il muscolo diaframma;
§ Il nucleo lombosacrale (L1-S1), per i muscoli del diaframma pelvico, ovvero del distretto urogenitale e
perineale superficiale.

16) SOMATOTOPIA NEURONI REGIONE INTERMEDIA

Il termine somatotopia (da soma, corpo neuronale e topos, localizzazione) indica la disposizione dei neuroni in
gruppi funzionali denominati “nuclei” le cui fibre andranno a formare la parte del nervo destinata ad uno specifico
effettore o che riceve assoni che veicolano una specifica funzione sensitiva. Tali nuclei, che in sezione trasversa
appaiono come gruppi di neuroni, hanno una loro estensione verticale: si tratta, cioè, di colonnine di neuroni, la cui
caratteristica comune è quella di contribuire con i loro assoni alla formazione delle radici anteriori o di ricevere la
porzione laterale delle radici posteriori dei vari nervi spinali.

La regione intermedia (o laterale) della sostanza grigia del midollo spinale è localizzata tra la base del corno
anteriore e la base del corno posteriore.

- Nel distretto toracico, specificatamente nei mielomeri da C8 a L2, la regione intermedia comprende il corno
laterale, che rappresenta la sede dei primi neuroni per l’innervazione ortosimpatica dei visceri, da cui si
dipartono gli assoni che fanno sinapsi a livello dei gangli para-vertebrali della catena dell’ortosimpatico, sede
dei secondi neuroni.

Nel corno laterale vi sono riconoscibili:

§ il nucleo intermedio mediale, gruppo di neuroni sensitivi viscerali, che occupa la base del corno anteriore;
§ il nucleo intermedio laterale, sede del primo motoneurone pre-gangliare viscerale dell’ortosimpatico, che
si proietta nella sostanza bianca del cordone laterale a formare il corno laterale.

I visceri risultano avere il primo neurone dell’ortosimpatico nel corno laterale del midollo, mentre il secondo
neurone nel ganglio della catena dell’ortosimpatico.

Nei mielomeri T1-T5 è presente il primo neurone ortosimpatico cardioacceleratore.

Un altro piccolo nucleo con funzione viscerale ortosimpatica è il nucleo di Takahashi, che occupa la porzione
laterale della base del corno posteriore; è costituito da neuroni molto piccoli, simili a quelli della sostanza gelatinosa
di Rolando ed è riconoscibile sicuramente a livello dei mielomeri C8 e L2-L3.

- Nei mielomeri S2-S3-S4, è assente il corno laterale, ma al confine tra il corno anteriore e posteriore, è presente
il primo neurone del parasimpatico sacrale, destinato all’innervazione dei visceri della pelvi e della metà
sinistra dell’intestino crasso;

17) SOMATOTOPIA NEURONI CORNO POSTERIORE

Il termine somatotopia (da soma, corpo neuronale e topos, localizzazione) indica la disposizione dei neuroni in
gruppi funzionali denominati “nuclei” le cui fibre andranno a formare la parte del nervo che riceve assoni che
veicolano una specifica funzione sensitiva.

Tali nuclei, che in sezione trasversa appaiono come gruppi di neuroni, hanno una loro estensione verticale: si tratta,
cioè, di colonnine di neuroni, la cui caratteristica comune è quella di ricevere la porzione laterale delle radici
posteriori dei vari nervi spinali.
I neuroni sensitivi primari, caratterizzati da una forma a “T”, sono le cellule pseudounipolari dei gangli spinali,
dal cui soma origina un unico prolungamento che in vicinanza del soma stesso si divide in:
§ un ramo centrifugo (più spesso), che tramite il nervo spinale misto si porta alla periferia del corpo
prendendo rapporto con un recettore;
§ un ramo centripeto (più sottile), che tramite le radici posteriori penetra nel midollo spinale, attraverso il
solco laterale posteriore, entrando in sinapsi con i neuroni sensitivi secondari.
I neuroni sensitivi primari sono suddivisi in:
q Neuroni somatici;
q Neuroni esterocettivi (tattili, termici e dolorifici);
q Neuroni propriocettivi;
q Neuroni viscerali
I neuroni secondi sensitivi sono localizzati a livello del corno posteriore, in cui si individuano la testa, rivolta
posteriormente, il collo, più ristretto, e la base rivolta verso il corno anteriore. I neuroni sensitivi secondari,
chiamati anche funicolari, emettono fibre che entrano nella costituzione della sostanza bianca e possono dare
origine a:
Ä fibre che portano ad altri mielomeri (neuroni funicolari dell’apparato elementare);
Ä fibre che raggiungono i centri di controllo (neuroni funicolari dell’apparato di integrazione).

Nel corno posteriore la sostanza grigia presenta dei raggruppamenti di neuroni che formano i nuclei del corno
posteriore, tra cui si distinguono:
• il NUCLEO PROPRIO DEL CORNO POSTERIORE (o nucleo della testa del corno posteriore),
presente a livello di tutti i mielomeri e facente parte delle lamine 3 e 4 della classificazione di Rexed.
Quest’ultimo è la sede del secondo neurone sensitivo per la maggioranza delle vie sensitive destinate ad
inoltrare, tramite gli assoni di questo nucleo, le informazioni sensitive ai centri superiori. Sfuggono a questo
distretto le forme di sensibilità neoencefaliche (più recenti), che non fanno sinapsi, ma vanno direttamente con i
loro assoni al bulbo, al nucleo gracile cuneato.
o Dorsalmente al nucleo proprio, si evidenzia il NUCLEO DELLA SOSTANZA GELATINOSA
DI ROLANDO, che lo incappuccia. Essa costituisce il filtro per quasi tutte le afferenze della
sensibilità dolorifica. Essa, infatti, filtra l’ingresso di questa sensibilità, facendo passare
l’informazione utile all’organismo e bloccando l’afferenza di piccole sensibilità dolorifiche (che
rappresenterebbero solo un elemento confondente ai fini dell’individuazione di uno specifico
stimolo dolorifico) per poter determinare una risposta.
o Esternamente alla sostanza di Rolando, si nota un NUCLEO MARGINALE POSTERIORE (o
colonna delle cellule postero-marginali), molto sottile.
• Alla base mediale del corno posteriore si osserva il NUCLEO DORSALE o COLONNA DI CLARKE
(da T1 a L3), sede dei secondi neuroni per l’informazione dell’apparato muscolo-scheletrico: qui avviene
l’integrazione dell’informazione motoria che deriva dai meccanocettori dell’apparato locomotore: la
ricezione e ritrasmissione degli stimoli sensitivi propriocettivi (informazione motoria) che derivano dai
meccanocettori dell’apparato locomotore; infatti, da questi neuroni partono proiezioni dirette al cervelletto.
• stesso tipo di nucleo con la stessa funzione si individua anche a livello cervicale, dove prende il nome di
NUCLEO DI STILLING.
Nel nucleo dorsale o colonna di Clarke il termine “dorsale” fa riferimento ai mielomeri dorsali o toracici e non al fatto
che il nucleo sia posto dorsalmente. Inoltre, per equivoco si potrebbe pensare che questo nucleo sia presente soltanto nei
mielomeri toracici (da T1 a T12), invece si trova anche nei primi lombari (da T1 a L3).
o Per garantire che il sistema sia protetto da danni locali, c’è un altro piccolo raggruppamento di
neuroni, che si trova tra testa e collo, quindi un nucleo al confine tra il nucleo proprio e il nucleo di
Clarke, che si chiama BORDER CELLS o CELLULE DI CONFINE (da T1 a L3).
Sia il nucleo di Clarke che le border cells lavorano per la propriocettività: raccolgono le informazioni dai
meccanocettori, che le hanno inviate tramite i primi neuroni sensitivi del ganglio, e le inoltrano al cervelletto.
- Il nucleo di Clarke invia le informazioni omolateralmente (® fascio diretto di Flechsig);
- Le border cells le inviano passando con gli assoni attraverso la commissura bianca e facendole salire nella parte
superficiale anteriore del cordone laterale controlaterale, raggiungendo il mesencefalo. Una volta giunte in prossimità
del cervelletto, le fibre delle border cells incrociano di nuovo, a livello delle decussazioni dei peduncoli cerebellari
superiori, per ritornare dallo stesso lato dal quale provengono. (® fascio crociato di Gowers).

Una caratteristica importante dei neuroni sensitivi è proprio la decussazione: alcuni neuroni risalgono verso i centri
nervosi superiori tramite il loro assone mediante l’antimero opposto (la metà opposta del mielomero) che raggiungono
superando la linea mediana, tramite la commessura bianca.

In superficie a livello del corno posteriore, si individua lo strato di Lissauer, l’insieme dello strato marginale e di
nevroglia. È costituito da collaterali assoniche, che invece di entrare direttamente nella sostanza grigia del corno
posteriore per fare sinapsi con il secondo neurone, si estendono verticalmente; in questo modo, quando l’assone
raggiunge, con il ramo posteriore, il midollo spinale, da origine ad un ramo ascendente e un ramo discendente, dai
quali partono collaterali che entrano nella sostanza grigia dei mielomeri contigui, tre mielomeri sovrastanti e due
sottostanti, con perdita del rapporto 1:1 tra neurone gangliare e secondo neurone sensitivo e quindi conseguente
minore specificità.

18) SOSTANZA GELATINOSA DI ROLANDO

A livello del corno posteriore (lamine I e II secondo la classificazione di Rexed) si evidenzia il nucleo della sostanza
gelatinosa di Rolando, una lamina che incappuccia il nucleo proprio e funge da filtro per quasi tutte le afferenze
della sensibilità dolorifica. Gli assoni che arrivano dal primo neurone sensitivo attraversano questo filtro, chiamato
cancello (gate control) che filtra l’ingresso di questa sensibilità, facendo passare l’informazione utile all’organismo
e bloccando l’afferenza di piccole sensibilità dolorifiche (che rappresenterebbero solo un elemento confondente ai
fini dell’individuazione di uno specifico stimolo dolorifico) per poter determinare una risposta.

La sostanza gelatinosa di Rolando appare costituita da neuroni stellati di piccola e media taglia, chiamati neuroni
guardiani, a significato inibitorio. L’aspetto gelatinoso è dovuto alla bassissima concentrazione di fibre mieliniche.
Essa si estende per l’intera lunghezza del midollo spinale e nel midollo allungato, dove diventa il nucleo spinale del
nervo trigemino.

Gli assoni che arrivano alla sostanza gelatinosa di Rolando possono essere distinti in:

1) fibre di grande diametro Aβ non nocicettive, che trasportano informazioni sensitive a bassa intensità;
2) fibre di piccolo diametro Aδ o C, che hanno un livello di stimolazione più alto, vengono, quindi, attivate
quando lo stimolo è particolarmente intenso.
Ä quando si percepisce uno stimolo nocicettivo d’intensità molto bassa, l’informazione viene veicolata
dalle fibre propriocettive e cinestesiche Aβ che, con le loro collaterali spesse, vanno ad attivare la
sostanza gelatinosa di Rolando dove sono presenti piccoli neuroni stellati, chiamati neuroni guardiani.
Questi neuroni, a loro volta, operano un’inibizione su entrambi i tipi di fibre, sia sugli assoni spessi (che
raccolgono facilmente qualsiasi tipo d’informazione), che sugli assoni sottili (che raccolgono solo stimoli
più intensi), per impedire che la sensibilità con poca significatività venga inoltrata ai centri superiori (il
cancello è chiuso e non si percepisce dolore);
Ä quando si percepisce uno stimolo nocicettivo di alta intensità vengono attivate anche le fibre algiche
Aδ o C, che, con le loro collaterali sottili svolgono indirettamente un’azione di inibizione sui neuroni
della sostanza gelatinosa di Rolando; attivano cioè, un interneurone inibitorio, localizzato sempre a
livello della sostanza gelatinosa ma a monte del neurone guardiano, rimuovendo l’inibizione che questo
svolge nei loro confronti e nei confronti delle fibre Aβ. Entrambe le fibre, quindi, possono a questo punto
inoltrare il loro messaggio al secondo neurone nel nucleo proprio, al talamo e infine all’area sensitiva
primaria della corteccia (il cancello è aperto e il dolore viene percepito).

L’obbiettivo è quello di trasmettere ai centri superiori informazioni sensitive utili, che permettono di preservare
l’integrità dell’organismo. Tale sistema impedisce l’inoltro di stimoli minori che creerebbero confusione, ed è
chiamato “controllo all’ingresso” (o teoria del gate control, teorizzata da Melzack e Wall).
19) SUPERFICIE VENTRALE DEL BULBO

Il bulbo encefalico ha l’aspetto di un cono con l’apice tronco rivolto verso il basso, alto 2,5 cm, largo 2 cm e spesso
2 cm. L’osservazione della superficie ventrale del bulbo consente innanzitutto, di definirne i confini, costituiti:
• Superiormente dal solco bulbo-pontino;
• Inferiormente dalla decussazione delle piramidi, così definita perché circa l’80% della via piramidale di un
lato si incrocia con quella controlaterale per proseguire dal lato opposto (fascio cortico-spinale laterale).
Osservando il bulbo ventralmente, si ha la sensazione che i due solchi laterale-anteriore e laterale-posteriore
continuino il solco laterale-anteriore ed il solco laterale-posteriore del midollo spinale, dai quali emergono,
rispettivamente, le radicole anteriori e posteriori dei nervi spinali. Questa continuità è solamente apparente, anche
se estremamente utile per individuare solchi di superficie fondamentali per descrivere ulteriori strutture anatomiche
e per descrivere l’emergenza dei nervi cranici. Tali solchi delimitano le due principali strutture della superficie
ventrale del bulbo:
o Le piramidi bulbari, estese per tutta la lunghezza del bulbo, alla cui base emerge il VI n.c. (abducente);
o Le olive bulbari, poste lateralmente, che interessano i 2/3 superiori del bulbo e corrispondono ad un gruppo
di neuroni (nucleo olivare inferiore) implicato nel raccordo delle connessioni con il cervelletto e con il
midollo spinale, e quindi nel controllo della motilità.
Dal solco tra oliva e piramide emergono le radicole del XII n.c. (ipoglosso), nervo motore per la muscolatura
volontaria della lingua.
Dietro l’oliva si trovano le radici di altri tre nervi cranici, che in ordine cranio-caudale sono:
1. Nervo accessorio (XI), esclusivamente motore: origina dal solco laterale posteriore;
2. Nervo vago o pneumogastrico (X), è un nervo misto che presenta il decorso più lungo e svolge le due
funzioni (motoria e sensitiva) sia per le attività somatiche che per quelle vegetative;
3. Nervo glossofaringeo (IX), misto.
Infine, a livello della fossetta retro-olivare, troviamo altri due nervi cranici, che emergono dalla parte più laterale
del solco bulbo-pontino:
- L’ VIII nervo cranico (nervo stato-acustico o vestibolo-cocleare);
- Il VII nervo cranico (nervo faciale), si tratta di un nervo motore somatico.

20. SUPERFICIE DORSALE DEL BULBO

L’osservazione della superficie dorsale del bulbo è nascosta dalla presenza del cervelletto ed è possibile soltanto
dopo resezione delle tre paia di peduncoli cerebellari (speriori, medi, inferiori) che connettono il cervelletto alle tre
porzioni del tronco encefalico. Dopo l’asportazione del cervelletto è possibile distinguere:

- una porzione rostrale, o intraventricolare, che costituisce il trigono bulbare (o inferiore) del pavimento del
IV ventricolo, il cui limite superiore è rappresentato da una striscia di fibre trasversali molto mielinizzate
che prendono il nome di strie acustiche o di Piccolomini;
- una porzione caudale, o extraventricolare, liberamente visibile, cilindrica, ed in diretta continuità con il
midollo spinale, compresi i solchi che la caratterizzano, ovvero il solco mediano posteriore e i solchi
intermedi posteriori.

Questi ultimi, come anche i solchi posterolaterali, sono divergenti rostralmente, portando così ad un allargamento
rostrale del bulbo e alla separazione, in continuità con il midollo spinale, dei fascicoli gracile, situato medialmente,
e cuneato, posto lateralmente. Questi fascicoli terminano, rostralmente, con due rigonfiamenti, denominati
rispettivamente tubercolo gracile (o clava) e tubercolo cuneato, corrispondenti a raggruppamenti neuronali del
bulbo caudale interposti lungo la via sensitiva dei cordoni posteriori, rappresentati dai nuclei gracile e cuneato.

I tubercoli gracile e cuneato sono di sviluppo neuroencefalico (compaiono più tardivamente) e rappresentano le
vie della sensibilità più raffinata, definita epicritica, come la sensibilità vibratoria o pallestesica (verificabile
attraverso l’utilizzo del diapason) e la sensibilità propriocettiva cosciente.
20) ANATOMIA DI SUPERFICIE DEL MESENCEFALO

Il mesencefalo è la parte più craniale del tronco encefalico; ha un’altezza di 2 cm e un diametro trasverso che
raggiunge i 2,5 cm.
Ä La superficie ventrale del mesencefalo ha un aspetto a “V” dato dalla presenza di due grossi fasci di
sostanza bianca, peduncoli cerebrali destro e sinistro, che originano dall’alto sempre come due fasci di
assoni discendenti (alti 2 cm e con un diametro trasverso di 1,5cm), che convergono sulla linea mediana,
caratterizzati da una striatura caratteristica dei fascicoli di assoni a direzione presochè verticale. Si tratta di
sistemi di fibre discendenti motrici appartenenti alle vie piramidale ed extrapiramidale.
Ciascun peduncolo presenta:
§ un confine superiore dato dal punto di incrocio tra i tratti ottici e peduncoli cerebrali;
§ un confine inferiore dato del solco ponto-mesencefalico (pontino);
§ un solco laterale, dato dal margine mediale di ciascun tratto ottico;
§ un solco mediale, dato dal margine laterale della fossa interpeduncolare di pertinenza diencefalica
(sostanza perforata anteriore ed i corpi mammillari)
Dalla superficie ventrale del mesencefalo, in particolare dal solco mediale del peduncolo cerebrale destro e sinistro,
emerge il nervo oculomotore comune (III).
Ä La superficie dorsale del mesencefalo è caratterizzata da quattro rilievi, due per parte, che, nell’insieme,
costituiscono la lamina quadrigemina o tetto del mesencefalo, il primo distretto di integrazione dal punto
di vista filogenetico a comparire.

o due tubercoli quadrigemini superiori (o collicoli ottici, perché prima che ci fosse un completo
sviluppo di un cervelletto e telencefalo, corrispondevano alla sede dell’integrazione
sensoriale della vista);
o due tubercoli quadrigemini inferiori (o collicoli acustici, perché prima che ci fosse un
completo sviluppo di un cervelletto e telencefalo, corrispondevano alla sede
dell’integrazione sensoriale dell’udito);
Queste integrazioni consistevano nell’afferenza di informazioni sensitive, nella loro analisi e nella generazione di
risposte. In stadi di sviluppo evolutivamente successivi, con l’encefalizzazione, queste funzioni sono portate a livelli
più alti: l’udito ai lobi temporali degli emisferi cerebrali e la vista ai lobi occipitali.
Dal punto di vista macroscopico, è presente un solco a croce (solco intercollicolare) che rende evidente il confine
tra i quattro tubercoli quadrigemini. Nella parte alta del solco intercollicolare, tra i due collicoli superiori, è
localizzata l’epifisi o ghiandola pineale, una piccola ghiandola diencefalica che ricorda una pigna sia per la forma
sia per i numerosi solchi presenti sulla sua superficie.
Dalla parte inferiore del solco origina un piccolo prolungamento detto frenulo del velo midollare anteriore (o
superiore) che raggiunge la volta del 4° ventricolo a livello del velo midollare anteriore.
Ai due lati del frenulo emerge il nervo trocleare (IV) che si porta lateralmente ai peduncoli cerebrali per passare
alla superficie ventrale del tronco.
Il nervo trocleare (IV) presenta due caratteristiche tipiche:
- È l’unico nervo cranico ad originare dalla superficie dorsale del tronco encefalico.
- Mentre gli assoni degli altri nervi cranici originano da neuroni omolaterali, gli assoni del nervo trocleare
originano da nuclei controlaterali: è, quindi, l’unico nervo in cui, nella via motoria, è l’assone del secondo
motoneurone a decussare invece che l’assone del primo motoneurone.
Infine, i tubercoli quadrigemini inferiori sono collegati alla parte posteriore del talamo tramite fasci di assoni che
costituiscono il braccio quadrigemino inferiore, mentre i tubercoli quadrigemini superiori attraverso il braccio
quadrigemino mediale (più inferiore) e laterale (più superiore) raggiungono la parte posteriore del talamo, il
metatalamo, dove si trovano dei rilievi analoghi ai quadrigemini detti corpo genicolato mediale e laterale che
riceveranno le proiezioni dei tubercoli quadrigemini.
21) MACRO MESENCEFALO DORSALE

La superficie dorsale del mesencefalo è caratterizzata da quattro rilievi, due per parte, che, nell’insieme,
costituiscono la lamina quadrigemina o tetto del mesencefalo, il primo distretto di integrazione dal punto di vista
filogenetico a comparire.
§ due tubercoli quadrigemini superiori (o collicoli ottici, perché prima che ci fosse un completo sviluppo di
un cervelletto e telencefalo, corrispondevano alla sede dell’integrazione sensoriale della vista);
§ due tubercoli quadrigemini inferiori (o collicoli acustici, perché prima che ci fosse un completo sviluppo
di un cervelletto e telencefalo, corrispondevano alla sede dell’integrazione sensoriale dell’udito);
Queste integrazioni consistevano nell’afferenza di informazioni sensitive, nella loro analisi e nella generazione di
risposte. In stadi di sviluppo evolutivamente successivi, con l’encefalizzazione, queste funzioni sono portate a livelli
più alti: l’udito ai lobi temporali degli emisferi cerebrali e la vista ai lobi occipitali.
Dal punto di vista macroscopico, è presente un solco a croce (solco intercollicolare) che rende evidente il confine
tra i quattro tubercoli quadrigemini. Nella parte alta del solco intercollicolare, tra i due collicoli superiori, è
localizzata l’epifisi o ghiandola pineale, una piccola ghiandola diencefalica che ricorda una pigna sia per la forma
sia per i numerosi solchi presenti sulla sua superficie.
Dalla parte inferiore del solco origina un piccolo prolungamento detto frenulo del velo midollare anteriore (o
superiore) che raggiunge la volta del 4° ventricolo a livello del velo midollare anteriore.
Ai due lati del frenulo emerge il nervo trocleare (IV) che si porta lateralmente ai peduncoli cerebrali per passare
alla superficie ventrale del tronco. Il nervo trocleare (IV) presenta due caratteristiche tipiche:
- È l’unico nervo cranico ad originare dalla superficie dorsale del tronco encefalico.
- Mentre gli assoni degli altri nervi cranici originano da neuroni omolaterali, gli assoni del nervo trocleare
originano da nuclei controlaterali: è, quindi, l’unico nervo in cui, nella via motoria, è l’assone del secondo
motoneurone a decussare invece che l’assone del primo motoneurone.
Infine, i tubercoli quadrigemini inferiori sono collegati alla parte posteriore del talamo tramite fasci di assoni che
costituiscono il braccio quadrigemino inferiore, mentre i tubercoli quadrigemini superiori attraverso il braccio
quadrigemino mediale (più inferiore) e laterale (più superiore) raggiungono la parte posteriore del talamo, il
metatalamo, dove si trovano dei rilievi analoghi ai quadrigemini detti corpo genicolato mediale e laterale che
riceveranno le proiezioni dei tubercoli quadrigemini.

22) ORIGINE APPARENTE DEI NERVI CRANICI DAL III AL XII

Dal III al XII paia di nervi cranici hanno la loro origine “apparente”, ovvero i punti di emergenza e di entrata,
rispettivamente, delle fibre motrici e sensitive, a livello dei solchi bulbo-pontino e pontino-mesencefalico.

L’origine apparente di un nervo encefalico definisce il confine anatomico da cui i fasci di assoni dei neuroni
appartenenti a questo si distaccano dalla superficie dell’encefalo. Quest’area, insieme alle emergenze e origini
apparenti dei nervi spinali, costituisce la “zona di Redlich-Obersteiner” ed è definibile morfologicamente perché
corrisponde ad una zona di transizione in cui inizia ad essere prodotta la mielina dalle cellule di Schwann (glia del
SNP) e non degli oligodendrociti (glia del SNC).

Le origini apparenti dei nervi cranici dal III al XII sono:

Ä Solco mediale della superficie ventrale del mesencefalo, in particolare in corrispondenza dei margini mediali
dei peduncoli cerebrali destro e sinistro, per il nervo oculomotore (III);
Ä Il nervo trocleare (IV) è l’unico nervo cranico che origina dalla superficie dorsale del mesencefalo, ai lati del
frenulo del velo midollare superiore da cui si porta lateralmente passando alla superficie ventrale del tronco
encefalico, per emergere a livello del solco laterale della superficie ventrale del mesencefalo, in particolare in
corrispondenza dei margini laterali dei peduncoli cerebrali destro e sinistro;
Ä Confine tra il peduncolo cerebellare medio e la superficie ventro-laterale del ponte di Varolio, per il nervo
trigemino (V);
Ä Solco bulbo-pontino, in particolare a livello della base delle piramidi bulbari, per il nervo abducente (VI);
Ä Solco bulbo-pontino, in particolare a livello della base delle olive bulbari, in ordine medio-lateralmente, per il
nervo facciale (VII), per il nervo intermedio di Wrisberg e per il nervo vestibolo-cocleare (VIII)
Ä Solco laterale posteriore sulla superficie ventrale del bulbo, lateralmente alle olive bulbari, in ordine dall’alto
verso il basso per il nervo glossofaringeo (IX), per il nervo vago (X) e per il nervo accessorio (XI);
Ä Solco laterale anteriore sulla superficie ventrale del bulbo, in particolare tra le piramidi e le olive bulbari, per
le radicole del nervo ipoglosso (XII).

23) MORFOGENESI E STRUTTURA DELLA COLONNA MOTRICE SOMATICA SOMITICA

Nel tronco encefalico le primitive pareti laterali del tubo neurale vanno incontro a tre processi:

I. La formazione del IV ventricolo che provoca la disposizione nel piano frontale delle pareti laterali, per
cui la lamina basale motoria si colloca medialmente alla lamina alare sensitiva;
II. La segmentazione per crescita differenziale della vescicola rombencefalica (metencefalo+mesenefalo)
in rombomeri, che provoca una frammentazione delle colonne di neuroblasti da cui origineranno i
nuclei dei nervi cranici motori e sensitivi.
III. Il fenomeno della neurobiotassi (introdotto da Ariens Kappers) determina la migrazione dei
neuroblasti in risposta a stimoli di richiamo emessi da altri nuclei e che comporta una parziale
migrazione in senso ventro-laterale di alcuni neuroblasti motori somatici, che raggiungono il piano
sagittale passante per i nuclei sensitivi viscerali. I nuclei motori somatici che mantengono la posizione
primitiva vengono chiamati somitici, a migrare in direzione ventro-laterale sono essenzialmente i
pirenofori dei neuroblasti motori dei muscoli che originano gli archi branchiali che formeranno la
regione del collo e parzialmente della faccia, e ancora più lateralmente i nuclei motori viscerali che
innerveranno la muscolatura liscia dei visceri.

A lato del solco mediano posteriore, nella parte più mediana della lamina basale, i neuroblasti che non migrano
formano la colonna dei nuclei somatici somitici frammentata in direzione cranio-caudale nei seguenti quattro nuclei:

1. Nucleo dell’oculomotore comune (III), localizzato nella callotta del mesencefalo, a livello dei
tubercoli quadrigemini superiori; innerva tutti i muscoli estrinseci degli occhi (retto mediale, retto
superiore, retto inferiore, obliquo inferiore ed elevatore della palpebra) ad eccezione del retto
laterale e obliquo superiore;
2. Nucleo del trocleare (IV) localizzato nella callotta del mesencefalo, a livello dei tubercoli
quadrigemini inferiori; innerva il muscolo obliquo superiore;
3. Nucleo dell’abducente (VI) localizzato a livello del collicolo del faciale, al passaggio tra il bulbo
e il ponte; innerva il muscolo retto laterale dell’occhio;
4. Nucleo dell’ipoglosso (XII) localizzato in profondità all’area bianca interna, percorre
verticalmente il bulbo fino ai primi mielomeri cervicali lungo l’asse che passa per il corno
anteriore del midollo spinale; innerva ai muscoli della lingua.

24) NUCLEI MOTORI SOMATICI BRANCHIALI

Il fenomeno della neurobiotassi (introdotto da Ariens Kappers) determina la migrazione dei neuroblasti in risposta
a stimoli di richiamo emessi da altri nuclei e che comporta una parziale migrazione in senso ventro-laterale di alcuni
neuroblasti motori somatici, che raggiungono il piano sagittale passante per i nuclei sensitivi viscerali.

I nuclei motori somatici che mantengono la posizione primitiva vengono chiamati somitici, mentre a migrare
seguendo la neurobiotassi in direzione ventro-laterale sono essenzialmente i pirenofori dei neuroblasti motori dei
muscoli che originano gli archi branchiali che formeranno la regione del collo e parzialmente della faccia, tracciando
dei percorsi ad ansa intratruncali per cui gli assoni si dirigono medialmente e dorsalmente fino in prossimità al
piano sagittale mediano, poi si inflettono lateralmente e si portano ventralmente fino alla loro emergenza ai vari
livelli del solco bulbare (origine apparente dei nervi cranici).
La colonna dei nuclei motori somatici branchiali si trova subito lateralmente alla colonna dei nuclei motori somatici
somitici ed è frammentata dall’alto in basso in:

1. Nucleo masticatorio (nucleo motore del trigemino, V): è localizzato nella porzione centrale del ponte;
innerva i muscoli masticatori, derivati dal 1° arco faringeo.
2. Nucleo motore del faciale (VII): è localizzato al passaggio tra bulbo e ponte, latero-ventralmente al nucleo
dell’abducente. Innerva i muscoli della faccia, derivati dal 2° arco faringeo.
3. Nucleo ambiguo (o nucleo motore ventrale): è il nucleo motore somatico branchiale di tre nervi cranici
disposto in profondità nel bulbo nel contesto della formazione reticolare; a seconda del livello considerato,
è il nucleo del XI n.c. (accessorio) del X n.c. (vago) e del IX n.c. (glossofaringeo) che innervano i muscoli
faringo-laringei, derivati dal terzo, quarto e quinto arco faringeo.

25) NUCLEI SENSITIVI SOMATICI SPECIALI

I nuclei sensitivi somatici speciali sono rappresentati dall’VIII nervo cranico, statoacustico (o vestibolo-cocleare),
costituito da due componenti: vestibolare, posta lateralmente al solco limitante, e cocleare.
I. L’apparato vestibolare è costituito da tre condotti: i canali semicircolari superiore, posteriore e
laterale. Ogni canale presenta anteriormente una dilatazione nella quale sono localizzate le cellule
capellute, sensibili a variazioni inerziali del liquido contenuto all’interno dei canali semicircolari, il
cui movimento fa muovere le porzioni apicali delle suddette cellule. A questo livello è localizzato il
GANGLIO VESTIBOLARE o di Scarpa, la sede del primo neurone per l’equilibrio, di tipo
omeopodo (forma allungata con il nucleo in posizione centrale e prolungamenti ai poli opposti, di cui
uno centrifugo che si mette in rapporto con le cellule cappellute e uno più lungo centripeto che porta
l’informazione dello stimolo cinetico proveniente dai canali semicircolari e che forma il nervo
vestibolare. Oltre all’informazione relativa al movimento della testa nei tre piani dello spazio, che
proviene dai canali semicircolari, esistono altre due informazioni per codificare il movimento del
nostro corpo: uno è lo spostamento angolare, recepito dai canali semicircolari, l’altro è lo
spostamento lineare, recepito dall’utricolo e dal sacculo.
Queste informazioni propriocettive, tramite il nervo vestibolare vengono trasportate alla colonna somatica
sensitiva speciale, frammentata in quattro nuclei, al confine tra bulbo e ponte:
1. Nucleo vestibolare mediale o triangolare, che è il più voluminoso;
2. Nucleo vestibolare laterale o di Deiters;
3. Nucleo vestibolare superiore;
4. Nucleo vestibolare inferiore, o spinale, perché si estende in basso verso il midollo spinale.
I quattro nuclei vestibolari sono la sede del secondo neurone.
II. Il secondo raggruppamento di nuclei è quello dei NUCLEI COCLEARI per l’udito.
Il recettore è localizzato nella coclea o chiocciola, un canalino avvolto a spirale (due giri e ¾ di spira). Tale
spiralizzazione avviene attorno ad un piccolo asse, detto modiolo, una piccola prominenza ossea all’interno della
quale è localizzato il ganglio spirale del Corti. Quest’ultimo è caratterizzato da una laminetta di neuroni, che
rappresentano il primo neurone sensitivo, con un’estremità che si mette in contatto con il recettore e l’altra
estremità che si dirige verso il tronco, per portare l’informazione dell’onda sonora che viene trasmessa al
rombencefalo.
I nuclei cocleari nella sezione trasversa del ponte basso, cioè al passaggio tra il bulbo e il ponte, sono localizzati
uno più anteriormente e uno più posteriormente, rispettivamente:
§ nucleo cocleare ventrale
§ nucleo cocleare dorsale.
Si tratta di una proiezione ordinata della chiocciola sul complesso nucleare, le fibre provenienti dai giri basali della
coclea terminano nella porzione dorso-mediale del nucleo, mentre quelli dai giri superiori nella ventro-laterale,
realizzando un’organizzazione tonotopica. Da essi origina la via cocleare centrale (la via centrale dell’udito).
26) LEMNISCO LATERALE (ACUSTICO)

Il termine lemnisco è riferito a sistemi di proiezione a nastro le cui fibre conservano la topografia dell’informazione
che veicolano, coerentemente al distretto di origine. Il lemnisco laterale rappresenta la via centrale dell’udito in
quanto raccoglie gli assoni provenienti dai nuclei cocleari (nucleo dorsale, ventrale e corpo trapezoide
controlaterale) diretti in parte ai tubercoli quadrigemini inferiori e in parte al corpo genicolato mediale del
metatalamo, da cui procede verso la corteccia del lobo temporale, in particolare, in corrispondenza delle
circonvoluzioni trasverse di Heschl (superiore, media e inferiore) corrispondenti alle aree uditive primarie (41-42).

27) NUCLEO BULBO-SPINALE DEL TRIGEMINO CON AFFERENZE ED EFFERENZE

Il nucleo del trigemino è sede del secondo neurone sensitivo della via della sensibilità somatica generale, ovvero la
sensibilità corporea, in particolare del distretto facciale, destinata a diventare cosciente.

La sede del primo neurone è il ganglio semilunare di Gasser, situato medialmente all’apice della piramide del
temporale della fossa cranica media, da cui dipartono gli assoni verso tre porzioni distinte del nucleo del trigemino:

1. Nucleo pontino (o principale) che si estende per tutta l’altezza della callotta e riceve gli assoni centripeti
del ganglio semilunare di Gasser portanti sensibilità esterocettiva epicritica (neo-trigeminale) del
distretto facciale (equivalente del nucleo gracile e cuneato del mielomero spinale);
2. Nucleo mesencefalico localizzato antero-lateralmente all’acquedotto di Silvio, estendendosi nell’area
compresa tra il solco pontomesencefalico e i tubercoli quadrigemini superiori. I neuroni di questo nucleo
sono i primi della via propriocettiva per la muscolatura degli archi bronchiali e sono tra i più grossi
neuroni sensitivi pseudounipolari, che presentano:
Ä La componente centrifuga che raggiunge il ganglio semilunare di Gasser continuandosi nelle
tre branche trigeminali arrivando ad innervare gli organi muscolo-tendinei della muscolatura
facciale di origine branchiale;
Ä La componente centripeta che scende lungo il tronco encefalico portandosi dorsalmente al
nucleo principale e raggiungendo il nucleo bulbo-spinale, dove compie sinapsi.
3. Nucleo trigeminale spinale (o bulbo-spinale), situato nel bulbo nel midollo spinale, si estende per tutta la
sua lunghezza fino a raggiungere i primi quattro mielomeri C1-C4; questa porzione, sede dei secondi
neuroni, rappresenta il punto di arrivo degli assoni centripeti del ganglio semilunare di Gasser portanti
la sensibilità esterocettiva, protopatica, termica, dolorifica (o nocicettiva paleo-trigeminale). Per questa
ragione, intorno al nucleo e lungo la sua estensione è presente un fascio di sostanza bianca chiamato tratto
o fascio spinale del trigemino, costituito dagli assoni mielinizzati trigeminali che vanno a fare sinapsi
con i neuroni presenti nel nucleo spino-bulbare. Allo stesso tempo, il suddetto nucleo riceve gli assoni
centripeti dei neuroni a T del nucleo mesencefalico, compiendo sinapsi con quest’ultimi in maniera
analoga a ciò che accade con gli assoni centripeti dei neuroni del ganglio semilunare del trigemino. Di
conseguenza, i neuroni di questo nucleo, sono sede dei secondi neuroni anche della sensibilità
propriocettiva della faccia, oltre a quella esterocettiva protopatica. (si può affermare che questo nucleo
sia l’equivalente bulbare del nucleo proprio e del nucleo dorsale di Clarke, entrambi presenti nel corno
posteriore del mielomero spinale).

Dai secondi neuroni, le fibre proiettano in alto formano un sistema di fibre chiamato lemnisco trigeminale che
porta la sensibilità protopatica ed epicritica.

Il suddetto sistema è diviso a sua volta in:

§ un tratto trigeminale ventrale che si porta dal nucleo bulbo-spinale del trigemino al nucleo ventrale
postero-mediale del talamo (NVPM), dove farà sinapsi con i terzi neuroni, da cui si porterà, infine, alla
corteccia cerebrale sensitiva, sede del quarto neurone.
§ un tratto trigeminale dorsale, che si porta dal nucleo principale (sensibilità somatica generale) al NVPM.
28) LEMNISCO TRIGEMINALE
Il termine lemnisco indica che le fibre che costituiscono il fascio conservano la loro posizione reciproca durante il
decorso portando un’informazione topograficamente coerente con il distretto di origine, non si confondono e non si
mischiano.

Il lemnisco trigeminale è uno dei cinque sistemi di proiezione ascendente, ed è diviso in due tratti:

1) un tratto trigeminale ventrale, veicolante la sensibilità (paleo-trigeminale) esterocettiva protopatica -


(grossolana), termica e dolorifica, nonché la sensibilità propriocettiva dei muscoli del distretto facciale
derivati dagli archi faringei, che si porta dal nucleo bulbo-spinale del trigemino (V nervo cranico) al
nucleo ventrale postero-mediale del talamo (NVPM);
2) un tratto trigeminale dorsale, veicolante la sensibilità (neo-trigeminale) esterocettiva epicritica (raffinata)
del distretto facciale, che si porta dal nucleo principale (pontino) del trigemino al NVPM.

Entrambi i fasci faranno sinapsi a livello del nucleo ventrale dorso-mediale del talamo, sede dei terzi neuroni delle
corrispettive vie sensitive, che proietterà a sua volta alla corteccia sensitiva, sede dei quarti neuroni.

29) LEMNISCO MEDIALE (FASCIO DI REIL)

Il termine lemnisco è riferito a sistemi di proiezione a nastro le cui fibre conservano la topografia dell’informazione
che veicolano, coerentemente al distretto di origine. Il lemnisco mediale, noto anche come fascio bulbo-talamico
(o nastro/fascio di Reil) è uno dei cinque sistemi di proiezione ascendente che rappresenta l’analogo funzionale del
tratto trigeminale dorsale del lemnisco trigeminale, veicolante anch’esso la sensibilità esterocettiva epicritica
(raffinata) ma del distretto spinale.

Il lemnisco si porta da due raggruppamenti neuronali localizzati bel bulbo caudale (nuclei gracile e cuneato), sedi
dei secondi neuroni, al nucleo ventrale postero-laterale (NVPL) del talamo (sede dei terzi neuroni), dal quale si
proietterà successivamente alla corteccia sensitiva (sede dei quarti neuroni).

Le fibre del lemnisco mediale prendono anche il nome di fibre arciformi interne per il loro decorso (differenti
dalle fibre arciformi interne cerebellari) e costituiscono il fascio bulbo-talamico che rientra nella via dei cordoni
posteriori, via spino-bulbo-talamo-corticale. In particolare:

- le fibre che arrivano al nucleo gracile di Goll, posto lateralmente alla linea mediana, costituiscono il
fascicolo gracile di Goll, formato dai prolungamenti centripeti delle cellule gangliari dei nervi spinali da
Co fino a T5 (sede dei primi neuroni), che conduce, dunque, la sensibilità della metà inferiore del corpo.
- le fibre che arrivano al nucleo cuneato di Burdach costituiscono il fascicolo cuneato di Burdach, formato
dai prolungamenti centripeti delle cellule gangliari dei nervi spinali da T5 in su (sede dei primi neuroni),
conducendo la sensibilità della metà superiore del corpo, ad esclusione del distretto facciale (di pertinenza
del lemnisco trigeminale).
Ä Il termine “lemnisco” indica che le fibre che costituiscono il fascio conservano la loro posizione reciproca durante il decorso
portando un’informazione topograficamente coerente con il distretto di origine, non si confondono e non si mischiano. Infatti, la
specificità topografica di provenienza del fascicolo gracile e cuneato viene conservata nelle fibre arciformi interne e raggiungerà
con specificità topografica il nucleo ventrale postero-laterale del talamo.
Ä Il termine “mediale” fa riferimento alla posizione del fascetto, localizzato medialmente rispetto al lemnisco spinale.

30) VIE DEI CORDONI POSTERIORI (VIA SPINO-BULBO-TALAMO-CORTICALE)

La via dei cordoni posteriori (o via spino-bulbo-talamo-corticale) riguarda l’esterocettività epicritica (più
raffinata) del tatto, vibratoria, pressoria e propriocettiva cosciente. La sensibilità epicritica è neoencefalica e
premette di distinguere la distanza tra due punti vicini sottoposti a stimolazione, grazie alla ricchezza di recettori
nello specifico distretto. La sensibilità propriocettiva cosciente proviene dall’apparato locomotore e si arricchisce
delle informazioni esterocettive epicritiche, realizzando un’informazione corticale che prende il nome di
stereognosi, ovvero conoscenza spaziale della posizione delle parti corporee (ad es. informa l’arto superiore destro
che è in abduzione).
A livello della corteccia cerebrale l’informazione propriocettiva diventa cosciente, differenziandosi dalla
propriocettività non cosciente del cervelletto, che regola in tempo reale il meccanismo dell’attività motoria, senza
avere una conoscenza analitica dell’informazione propriocettiva. Inoltre, la sensibilità propriocettiva non cosciente
che arriva al cervelletto omolateralmente deriva dai meccanocettori, mentre la sensibilità propriocettiva cosciente è
un’integrazione di varie sorgenti di informazione sensitiva, tra le quali figurano anche esterocettività raffinate
appartenenti ai cordoni posteriori, come la vibrazione.

Questa via presenta:


I. Il primo neurone a T a livello del ganglio spinale, da cui si distaccano:
q la branca periferica centrifuga, di calibro maggiore, che raccoglie l’informazione sensitiva prendendo
rapporto con i recettori specifici (corpuscoli del Pacini e di Merkel);
q la cui branca centripeta, più sottile, che entra con la divisione mediale (neoencefalica) della radice
posteriore nel midollo spinale, si mette a fianco del septum posterius, per salire nel funicolo posteriore
omolaterale fino al bulbo caudale.
In particolare, vi si distinguono due fascicoli:
§ il fascicolo gracile di Goll, più vicino alla linea mediana, che conduce la sensibilità della metà
inferiore del corpo ed è formato dai prolungamenti centripeti delle cellule gangliari dei nervi
spinali da Co a T5, che raggiunge, nel bulbo caudale, il nucleo gracile di Goll;
§ il fascicolo cuneato di Burdach, più laterale, che conduce la sensibilità della metà superiore del
corpo, formato dai prolungamenti centripeti delle cellule gangliari dei nervi spinali al di sopra di
T5, che raggiunge, nel bulbo caudale, il nucleo cuneato di Burdach;
II. Il secondo neurone a livello dei nuclei gracile e cuneato della callotta del bulbo caudale (porzione del bulbo
che non si è aperta per formare il IV ventricolo);
Da qui gli assoni vengono inviati in direzione centro-mediale, piegano ad L incrociando la linea mediana
(decussazione sensitiva a livello della commissura bianca) e si fanno ascendenti, per costituire il lemnisco mediale
(o fascio bulbo-talamico) che percorre assialmente il tronco encefalico, medialmente al lemnisco spinale, per
raggiungere infine il talamo, dove faranno sinapsi. Il termine “lemnisco” indica che le fibre conservano la loro
posizione reciproca durante il decorso, portando un’informazione topograficamente coerente con il distretto di origine.
Dopo aver incrociato la linea mediale, il fascio si dispone in un piano frontale. Si realizza, pertanto, una rotazione
di 180° delle fibre che hanno decussato: quelle disposte medialmente nel cordone posteriore, che dai mielomeri
sacrali, lombari e toracici veicolano i segnali raccolti dalle porzioni inferiori del corpo diventano laterali, mentre
quelle originate dalle porzioni superiori si pongono medialmente. La rotazione del lemnisco mediale comporta,
dunque, un’inversione della disposizione, che, procedendo latero-medialmente (al di sopra del bulbo), diventa:
fibre del piede (più laterali), dell’arto inferiore, del tronco, dell’arto superiore e del collo (mediali); il cordone
posteriore, invece, aveva (omolateralmente) le fibre del piede medialmente e del collo lateralmente.
III. Il terzo neurone nel nucleo ventrale postero-laterale del talamo (NVPL), i cui assoni proiettano alla
corteccia cerebrale del lobo parietale, in particolare la circonvoluzione parietale ascendente o pre-
rolandica/post-centrale (sensitiva primaria, area 3-1-2), sede del quarto e ultimo neurone.

31) LEMNISCO SPINALE

Il termine lemnisco è riferito a sistemi di proiezione a nastro le cui fibre conservano la topografia dell’informazione
che veicolano, coerentemente al distretto di origine. Il lemnisco laterale, posto di fianco a quello mediale, è uno dei
cinque sistemi di proiezione ascendente che rappresenta l’analogo funzionale del tratto trigeminale ventrale del
lemnisco trigeminale, veicolante anch’esso la sensibilità esterocettiva protopatica (tattile grossolana), termica e
dolorifica, ma del distretto spinale.

Si tratta di una proiezione che si porta:


§ dal midollo spinale al nucleo ventrale postero-laterale del talamo (NVPL) con i fasci spino-talamici
anteriore e laterale. Il decorso delle fibre è quasi sovrapponibile, avendo la stessa origine e destinazione, ma
le informazioni sensitive che veicolano sono di natura diversa:
Ä dal nucleo proprio del corno posteriore (sede dei secondi neuroni) gli assoni si portano in avanti e
medialmente, piegano ad L (decussazione della commessura bianca), dirigendosi verso:
® il corno anteriore controlaterale, si fanno ascendenti costituendo il fascio spino-talamico
anteriore (o ventrale), diretto al NVPL, veicolante la sensibilità esterocettiva protopatica;
® il corno laterale controlaterale e si fanno ascendenti costituendo il fascio spino-talamico
laterale (o neospino-talamico), diretto al NVPL, veicolante la sensibilità esterocettiva
termica e nocicettiva;
§ dal midollo spinale al tetto del mesencefalo, con il fascio spino-tettale, veicolante le stesse informazioni
sensitive (dolorifiche) del fascio spino talamico laterale, a cui è affiancata lateralmente, terminando però,
nei collicoli superiori, dove regola le attività riflesse acustica e visiva.

32) CENTRI DI INTEGRAZIONE DEL TRONCO ENCEFALICO

Il tronco encefalico è composto sia da sostanza grigia sia dalla sostanza bianca, organizzate diversamente rispetto
a come riscontrato nel midollo spinale, non forma cioè una massa compatta centrale, ma tende a dividersi in:

Ä vari gruppi di pirenofori che corrispondono ai nuclei dei nervi cranici raggruppamenti neuronali, tra cui è
possibile evidenziare la presenza di sostanza bianca, che corrisponde ai sistemi di fibre di proiezione
ascendente (o sensitiva), che attraversano il tronco encefalico per raggiungere i centri superiori (principalmente
il talamo), dai quali vengono poi reindirizzati alle varie aree della corteccia degli emisferi cerebrali.
Ä raggruppamenti neuronali che derivano dai neuroblasti provenienti dai labbri romboidali e costituiscono
delle “stazioni sinaptiche” dove l’informazione viene ricevuta e subito ritrasmessa ad altri neuroni, i quali nel
loro insieme vanno a rappresentare dei nuclei di raccordo (o stazioni intermedie).

Tra le stazioni di raccordo si distinguono:

q i nuclei olivari inferiori, dei gruppi di pirenofori migrati nel bulbo, che si dispongono tre per ogni lato in:
§ nuclei olivari inferiori principali (o olive bulbari/inferiori) sono dei raggruppamenti di pirenofori che
si dispongono a formare una lamina sporgente pieghettata a zig zag, con convessità antero-laterale.
§ nuclei olivari inferiori accessori, due piccole strutture, paraoliva ventrale e paraoliva dorsale,
localizzati nei pressi di ciascuna oliva inferiore, rispetto alla quale si posizionano, rispettivamente,
latero-ventralmente e dorso-medialmente.
q i nuclei olivari superiori, detti anche nuclei basilari del ponte o oliva pontina (o superiore), sono dei
piccoli gruppi di pirenofori migrati nella parte ventrale del ponte (piede del ponte) dove ricevono
l'informazione motoria che nasce dalla corteccia degli emisferi cerebrali, in particolare dal lobo frontale (sede
dei primi neuroni), fino al cervelletto, così da regolare il movimento.
q il nucleo arcuato (definito anche arciforme) costituito da neuroblasti migrati fino in prossimità della
superficie ventrale del bulbo, in corrispondenza delle piramidi, dove svolgono il ruolo di chemocettori, adibiti
al monitoraggio del pH del liquor.

Oltre ai sopracitati, il principale punto di relais e integrazione è costituito dalla formazione reticolare, un aggregato
diffuso di neuroni di varia forma e dimensione scarsamente addensati e disseminati tra i nuclei dei nervi cranici,
centri di raccordo e sistemi di proiezione di fibre ascendenti e discendenti.

33) CARATTERISTICHE, AFFERENZE ED EFFERENZE DEI NUCLEI OLIVARI

nuclei olivari fanno parte dei centri di integrazione del tronco e derivano dai labbri romboidali.

I nuclei olivari inferiori fanno parte dei centri di integrazione del tronco encefalico derivanti dai labbri
romboidali, i contorni della fossa romboidale dell’embrione (3cmx2cm). Si tratta dei gruppi di pirenofori migrati
nel bulbo, che si dispongono in:
§ nuclei olivari inferiori principali (o olive bulbari/inferiori) sono dei raggruppamenti di pirenofori che
si dispongono, uno a destra e uno a sinistra, a formare una lamina sporgente pieghettata a zig zag,
con convessità antero-laterale.
§ nuclei olivari inferiori accessori, due piccole strutture, paraoliva ventrale e paraoliva dorsale,
localizzati nei pressi di ciascuna oliva inferiore, rispetto alla quale si posizionano, rispettivamente,
latero-ventralmente e dorso-medialmente.

Le due connessioni più importanti dei nuclei olivari si instaurano:

Ä con il midollo spinale: le proiezioni olivo-spinali dipartono dalla metà posteriore dell’oliva bulbare e dalle
paraolive dorsali (strutture paleo-olivari) e vanno a raggiungere il corno anteriore dei mielomeri, agendo come
regolatori dell’attività dei motoneuroni α e γ.
Ä con il cervelletto: le connessioni olivo-cerebellari che dipartono dalla metà ventrale dell’oliva bulbare e dalle
paraolive ventrali (strutture di più recente formazione, e quindi neo-olivari) che mandano i loro assoni fino alla
corteccia del cervelletto tramite il corpo restiforme (o peduncolo cerebellare inferiore).

Si può dunque affermare che i nuclei olivari siano dei centri di pre-integrazione dell’informazione motoria e
sensitiva (sia di tipo eccitatorio che inibitorio) e che, proprio in virtù dell’esistenza di questa pre-elaborazione, essi
siano gli unici neuroni in grado di trasmettere i segnali direttamente sull’albero dendritico dei neuroni del Purkinje,
situati nella corteccia cerebellare intermedia, fra la corteccia superficiale (strato plessiforme o molecolare) e quella
profonda (strato dei granuli).

Le particolari proiezioni a cui danno luogo i neuroni delle olive inferiori prendono il nome di “fibre rampicanti”,
in quanto decorrono parallelamente all’arborizzazione dendritica dei neuroni del Purkinje (proprio come farebbe
un'edera sul tronco di un albero). In questa maniera, si genera, dunque, una connessione diretta e priva di intermediari,
cosa che invece non vale per tutte le altre afferenze delle cellule del Purkinje, le quali devono prima fare afferenza
a livello dei granuli. Questo significa che i nuclei olivari ritrasmettono al cervelletto tutte le informazioni
ricevute ed elaborate dai centri superiori o inferiori, per cui, oltre alle fibre delle vie rampico-laterali della via
piramidale e ai rami del sistema extra-piramidale (implicati nel controllo motorio), ricevono proiezioni anche dai
mielomeri (midollo spinale).

34) VIA E ORGANIZZAZIONE DELLA FORMAZIONE RETICOLARE

La formazione reticolare è una porzione filogeneticamente antica del tronco encefalico, localizzata profondamente,
che decorre longitudinalmente, estendendosi nel segmento del tronco dal mesencefalo al bulbo, e spingendosi fino
ai primi neuromeri cervicali del midollo spinale.

Si tratta del principale punto di relais e integrazione truncale e diencefalico ed è costituito un aggregato diffuso
di neuroni di varia forma e dimensione scarsamente addensati e disseminati tra i nuclei di sostanza grigia (nuclei
dei nervi cranici, centri di raccordo) e sistemi di proiezione di fibre ascendenti e discendenti.

Vista la sua morfologia si riscontra una certa difficoltà nella loro schematizzazione in gruppi specifici; per
convenzione viene comunque divisa in tre colonne di neuroni, che si estendono lungo: bulbo, ponte e mesencefalo:

Ä Colonna mediana, paleo-encefalica, con neuroni grandi serotoninergici disposti a formare i nuclei del rafe
(dorsale, centrale superiore, pontino, magno e pallido), perchè prossimi alla linea del rafe, mediana di
simmetria.
Ä Colonna mediale, con grandi neuroni disposti a formare i nuclei giganto-cellulari (cuneiformi, subcuneiformi,
reticolare anteriore del ponte, anteriore del tegmento pontino, caudalale del ponte, giganto-cellulare);
Ä Colonna laterale, neo-encefalica, costituita da neuroni di medie e piccole dimensioni. Costituisce la sostanza
grigia reticolare tegmentale pontina laterale. Ha un ruolo importante nel controllo delle funzioni viscerali:
infatti il neurone del corno laterale del midollo spinale, primo neurone dell’ortosimpatico, viene regolato da
proiezioni reticolo-spinali della formazione reticolare ventro-laterale.

La formazione reticolare a sua volta è regolata da fibre provenienti dai centri diencefalici ipotalamici.
Altri elementi caratteristici della formazione reticolare sono:
§ le connessioni diffuse: la recezione di tutti sistemi di proiezione ascendente e discendente e la proiezione
assonale dei neuroni verso altri centri è molto diffusa;
§ l’omolateralità: funziona come un tutt’uno e perciò non risponde a quei caratteri di controlateralità, tipici
dei sistemi di funzionamento sensitivo o motorio per informazioni somatiche molto più semplici;
§ il carattere crociato e non crociato: dà un senso di integrazione totale delle grandi reti neuronali che
caratterizzano bulbo, ponte e mesencefalo;
§ i ruoli di tipo somatico e viscerale: interviene nelle funzioni somatiche, come la regolazione del tono
muscolare, e nelle funzioni viscerali, come nella regolazione dei grandi apparati (apparato respiratorio e
cardiocircolatorio) e di altri visceri meno essenziali.
La denominazione della formazione reticolare deriva dalla tipologia di arborizzazione dendritica alla base dei
circuiti sinaptici; è stata, dunque, proposta una classificazione che distingue i neuroni della formazione reticolare,
in base all’albero dendritico, in isodendritico, idiodendritico e allodendritico.
Inoltre, la formazione reticolare del tronco encefalico ha un’organizzazione chemo-architetturale in relazione ai
mediatori che sintetizzano e usano nelle sinapsi: Gruppo A (noradrenalina e dopamina), Gruppo B (serotonina),
Gruppo C (adrenalina) e Gruppo Ch (acetilcolina).
Alcune parti della formazione reticolare prendono nome dalla posizione che hanno rispetto al peduncolo
cerebellare superiore, indicati, infatti, come nuclei parabrachiale laterale, parabrachiale mediale e
parabrachiale ventrale posti, rispettivamente, lateralmente, medialmente e ventralmente, rispetto al brachium
conjunctivum. Il nucleo parabrachiale ventrale viene anche chiamato nucleo di Kӧlliker-Fuse e rappresenta il
centro pneumotassico. Esso inibisce periodicamente un altro gruppo di neuroni della formazione reticolare,
localizzato ventralmente rispetto al nucleo ambiguo, il nucleo di Botzinger che invece stimola la respirazione,
inviando i suoi assoni al centro inspiratorio bulbare, situato caudalmente.
Dalla formazione reticolare del tronco:
Ä alcune fibre si portano direttamente alla corteccia senza passare per il talamo: proiezioni reticolo-
Ä la maggioranza delle fibre si porta si nuclei intralaminari del talamo, dove contraggono sinapsi, in
quanto centro per il quale devono passare tutte le vie ascendenti che si dirigono alla corteccia. Queste
proiezioni reticolo-talamiche sono ulteriormente proiettate dai neuroni talamici dei nuclei
intralaminari alle varie arie della corteccia cerebrale determinando un’attivazione corticale che
concorre al mantenimento dello stato di veglia.
L’attività della formazione reticolare è indispensabile per mantenere accesa la corteccia cerebrale e per far sì che
sulla corteccia cerebrale arrivino le proiezioni sensitive che provengono dai mielomeri o dai nuclei sensitivi dei
nervi cranici così che possa originare delle risposte motorie.
Tra i fasci di integrazione della formazione reticolare, si segnalano i seguenti due:

q fascicolo longitudinale mediale, le cui fibre hanno:


Ä varia provenienza:
§ Nuclei vestibolari, poiché in base alle variazioni di equilibrio (movimenti della testa) gli occhi si
muovono in automatico per trovare punti di riferimento;
§ Nuclei cocleari, poiché, in base alla provenienza dei suoni, gli occhi si spostano in maniera coordinata
per realizzare l’interazione più utile all’organismo con la sorgente dello stimolo nervoso;
§ Afferenze collaterali da vie sensitive ascendenti;
§ Afferenze collaterali da vie motrici discendenti.
Ä una comune destinazione (nuclei oculomotori, tra cui il fascicolo realizza un collegamento internucleare):
® Nucleo dell’abducente, che innerva il muscolo retto laterale, deviando l’occhio verso l’esterno;
® Nucleo del trocleare, che innerva il muscolo obliquo superiore, facendo ruotare l’occhio verso il
basso e lateralmente;
® Nucleo dell’oculomotore comune, che innerva tutti gli altri muscoli estrinseci dell’occhio.
§ Il fascicolo longitudinale dorsale, che ha significato viscerale e collega gruppi di neuroni con funzioni
vegetative all’ipotalamo. Il riferimento più diretto è il nucleo del tratto solitario (sensitivo viscerale) e la
sua estensione nel ponte, il nucleo gustativo.

35) FASCICOLO LONGITUDINALE MEDIALE

Il fascicolo longitudinale mediale è un fascio di fibre mieliniche che si trova in posizione paramediana, davanti alla
sostanza grigia periacqueduttale (PAG). Cranialmente, giunge al termine dell’acquedotto mesencefalico, per
l’esattezza nella parete laterale del terzo ventricolo, mentre caudalmente percorre il midollo spinale, spostandosi
ventralmente a causa della decussazione del lemnisco mediale e delle piramidi.
Esso è importante perché stabilisce connessioni tra i nuclei somato-motori degli occhi e con il nucleo accessorio
dell’oculomotore, ma anche con la formazione reticolare paramediana pontina e con il nucleo accessorio spinale,
coordinando anche i movimenti del collo.
Il fascicolo longitudinale mediale è costituito da fibre che hanno

Ä varia provenienza:
- Nuclei vestibolari, poiché in base alle variazioni di equilibrio (movimenti della testa) gli occhi si muovono
in automatico per trovare punti di riferimento;
- Nuclei cocleari (corpo trapezoide), poiché, in base alla provenienza dei suoni, gli occhi si spostano in
maniera coordinata per realizzare l’interazione più utile all’organismo con la sorgente dello stimolo nervoso;
- Afferenze collaterali da vie sensitive ascendenti;
- Afferenze collaterali da vie motrici discendenti.
Ä una comune destinazione (nuclei oculomotori, tra cui il fascicolo realizza un collegamento
internucleare):
® Nucleo dell’abducente, che innerva il muscolo retto laterale, deviando l’occhio verso l’esterno;
® Nucleo del trocleare, che innerva il muscolo obliquo superiore, facendo ruotare l’occhio verso il
basso e lateralmente;
® Nucleo dell’oculomotore comune, che innerva tutti gli altri muscoli estrinseci dell’occhio.

36) CERVELLETTO: INQUADRAMENTO GENERALE MACRO/FUNZIONALE

Dal punto di vista macroscopico, il cervelletto è un organo voluminoso che ha forma irregolarmente ovoidale con
asse maggiore disposto trasversalmente di 9-10 cm, di diametro antero-posteriore ed altezza di 5-6 cm; è accolto
inferiormente e posteriormente nelle fosse cerebellari della squama occipitale, all’interno della fossa cranica
posteriore. Il cervelletto deriva dalla porzione dorsale della vescicola metencefalica e alla fine dello sviluppo, si
posiziona posteriormente al tronco encefalico, a cui è collegato da tre paia di peduncoli cerebellari, sei fasci di
assoni, tre per lato:
Ä peduncoli cerebellari inferiori (corpi iuxtarestiformi): collegano il bulbo al cervelletto, portando
informazioni propriocettive;
Ä peduncoli cerebellari medi (brachia pontis): collegano il ponte al cervelletto, portando
informazioni sui comandi motori;
Ä peduncoli cerebellari superiori (brachia conjunctivum): collegano il cervelletto al mesencefalo,
portando la risposta (del cervelletto) alle informazioni sensitive propriocettive e motorie.
Da un punto di vista anatomico-funzionale nel cervelletto si possono distinguere:

I. L’ARCHICEREBELLO è la porzione più antica e costituita anatomicamente dal lobo


flocculonodulare complessivo dei due lobi flocculi laterali e nodulo centrale che corrisponde alla
parte più anteriore del verme inferiore, e la lingula del verme, strutture a sede infero-mediale formate
da lamelle a disposizione verticale, diversa dalle circostanti. L’archicerebello è anche chiamato
vestibolocerebello in quanto è collegato ai nuclei vestibolari e al labirinto dell’orecchio interno. La
sua funzione è quella di regolare l’equilibrio;
II. Il PALEOCEREBELLO situato dietro al tronco, in posizione mediana, costituito dalla metà
anteriore del verme superiore e dalle porzioni adiacenti dei due emisferi cerebellari, che unisce. Qui
arrivano le afferenze propriocettive da tutto il corpo. Il paleocerebello è detto anche spinocerebello
in quanto è collegato ai fasci spinocerebellari che vengono dai mielomeri;
III. Il NEOCEREBELLO è la porzione di dimensioni maggiori e comprende la maggior parte del verme
inferiore, la parte posteriore del verme superiore e la maggior parte degli emisferi cerebellari. Il
neocerebello è chiamato anche pontocerebello in quanto sarà proprio a livello del ponte che le
informazioni che partono dalla corteccia degli emisferi cerebrali per dirigersi al cervelletto vengono
a trovare una stazione intermedia, facendo sinapsi con i neuroni dei nuclei basilari del piede del ponte,
che inviano i loro assoni, tramite il peduncolo cerebellare medio al cervelletto.

37) MACRO SUPERFICIE CERVELLETTO + MACRO PEDUNCOLI CEREBELLARI

Dal punto di vista macroscopico, il cervelletto è un organo voluminoso che ha forma irregolarmente ovoidale con
asse maggiore disposto trasversalmente di 9-10 cm, di diametro antero-posteriore ed altezza di 5-6 cm.
La circonferenza del cervelletto è smussa e arrotondata e corrisponde ad una linea virtuale che delimita la faccia
superiore del cervelletto da quella inferiore e presenta due incisure (o incavi):
- Un’ incisura cerebellare posteriore, che coincide con la protuberanza occipitale interna;
- L’ilo del cervelletto in quanto, a questo livello, entrano gli assoni del peduncolo cerebellare inferiore
e medio (il più voluminoso e laterale), ed escono gli assoni dei due peduncoli cerebellari superiori
diretti al nucleo rosso controlaterale.
Il cervelletto si può dividere in:
§ una porzione centrale, più antica, detta verme cerebellare, una formazione allungata impari mediana,
superficialmente grigia, che a sua volta si distingue in:
q una porzione superiore, detta verme superiore;
q una porzione inferiore, detta verme inferiore.
§ due porzioni laterali, dette emisferi cerebellari.
La superficie esterna del cervelletto è caratterizzata da numerosi solchi o fessure, più o meno profondi, ad andamento
trasversale, tendenzialmente paralleli e concentrici che permettono di contenere l’intera estensione della corteccia
cerebellare in uno spazio ristretto come quello della fossa cerebellare. Le fessure più profonde dividono il cervelletto
in lobi e ciascun lobo è diviso in lobuli da fessure che ugualmente si approfondano fin quasi alla sostanza bianca
centrale. Vi sono poi solchi ancora meno profondi che suddividono ciascun lobulo in lamine.
Lungo la superficie di ciascuna lamina sono presenti, infine, i solchi più superficiali che suddividono quest’ultima
in lamelle. Queste ultime originano un ordine minore di circonvoluzioni, che prendono nome di folia o fogli per la
somiglianza ai fogli di un libro. La presenza di solchi di differente profondità determina un notevole incremento
della superficie della corteccia cerebellare e spiega come mai il cervelletto, sebbene corrisponda solo al 10% del
volume degli emisferi cerebrali, contenga un numero di neuroni che è oltre la metà di quello dei neuroni cerebrali.
Il cervelletto si posiziona posteriormente al tronco encefalico, a cui è collegato da tre paia di peduncoli cerebellari,
sei fasci di assoni, tre per lato:
Ä peduncoli cerebellari inferiori (corpi iuxtarestiformi): collegano il bulbo al cervelletto, portando informazioni
che arrivano dalla periferia del corpo al midollo spinale e le portano al cervelletto (afferenze spino-cerebellari).
Le informazioni veicolate sono di tipo propriocettivo, relative alla posizione del corpo nello spazio, in modo
da permettere al cervelletto di coordinare i comandi motori sulla base di tale posizione;
Ä peduncoli cerebellari medi (brachia pontis): sono i fasci più voluminosi che collegano il ponte al cervelletto,
veicolando informazioni sui comandi motori attraverso i nuclei basilari del ponte (olive pontine), neuroni di
raccordo tra la corteccia degli emisferi cerebrali e la corteccia del cervelletto;
Ä peduncoli cerebellari superiori (brachia conjunctivum): fibre uscenti dal cervelletto che vanno al mesencefalo
e veicolano il risultato dell’azione integrativa svolta dalla corteccia cerebellare (la risposta del cervelletto alle
informazioni sensitive propriocettive e motorie.
Le fessure primaria (o preclivale) e posterolaterale, dividono il cervelletto in tre lobi, anteriore, posteriore e
flocculonodulare, ciascuno dei quali presenta una porzione centrale vermiana e due porzioni laterali appartenenti
agli emisferi cerebellari. I tre lobi sono a loro volta suddivisi da altre fessure del cervelletto in lobuli. Si distinguono
lobuli del verme del cervelletto a cui corrispondono, in ciascun lato, lobuli degli emisferi cerebellari (classificazione
di Reil). Esistono nomi propri per ciascun lobulo. Tutti i lobuli sono apprezzabili nel verme, mentre i lobuli dal III
al X hanno il loro corrispettivo negli emisferi cerebellari (H II-H X).

I. Il lobo anteriore è formato dal I al V lobulo;


II. Il lobulo posteriore è formato dal VI al IX lobulo;
III. Il lobo flocculonodulare corrisponde al X lobulo.

38) ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE DELLA CORTECCIA CEREBELLARE

La corteccia cerebellare consta di tre strati distinti che costituiscono lo strato di sostanza grigia superficiale dallo
spessore di circa 1 mm, uniforme a tutti i livelli della corteccia, ad eccezione del fondo dei solchi tra le
circonvoluzioni dove la corteccia appare più sottile a causa della minor presenza dei neuroni dei granuli.

I tra strati cerebellari, dall’esterno all’interno, sono:

I. Strato molecolare (o plessiforme) che contiene una rete a plesso nella cui composizione rientrano:
Ä le fibre parallele (eccitatorie), ossia gli assoni delle cellule dello strato granulare che decorrono
parallelamente alle fessure che separano i lobuli e terminano nello strato molecolare, dove
contraggono sinapsi con i dendriti dei neuroni di Purkinje (inibitori), localizzati in questa sede;
Ä le fibre rampicanti, ossia gli assoni provenienti dai nuclei olivari inferiori (olive bulbari)
Ä una piccola quantità di interneuroni inibitori:
Ø le cellule stellate, più superficiali, gli assoni delle quali entrano in sinapsi prevalentemente
con le cellule di Purkinje (in rapporto 1:12);
Ø le cellule a canestro, più profonde, i cui assoni si dispongono intorno ai pirenofori e ai
monticoli assonici dei neuroni di Purkinje, a formare i grovigli di terminali assonici (canestri).
II. Strato gangliare (intermedio) dei neuroni di Purkinje, uniche cellule efferenti della corteccia
cerebellare, con azione inibitoria;
III. Strato granulare che contiene:
Ä quasi esclusivamente cellule granulari, interneuroni cerebellari eccitatori, con il corpo cellulare
molto piccolo (<5-10micron) di forma simil-linfocitaria, il cui assone raggiunge lo strato
molecolare dove si divide a T in fibre parallele rispetto all’asse delle lamine, creando delle
connessioni trasversali con numerose cellule di Purkinje;
Ä poche fibre muscoidi e rampicanti;
Ä cellule di Golgi, degli interneuroni inibitori molto voluminosi localizzati nella parte più
superficiale dello strato, che presentano alcune arborizzazioni dendritiche che rimangono nello
strato granulare entrando nelle connessioni sinaptiche dei glomeruli cerebellari e altre estese fino
allo strato plessiforme.

39) SINAPSI DELLE CELLULE DEI GRANULI DEL CERVELLETTO

Le cellule granulari sono gli unici interneuroni cerebellari eccitatori, localizzati nello strato più profondo della
corteccia cerebellare in numero di circa 68 miliardi su 86 miliari di neuroni totali del SNC. Presentano il corpo
cellulare molto piccolo (<5-10 µm) di forma simil-linfocitaria, il cui unico assone, dallo strato granulare, raggiunge
lo strato molecolare (o plessiforme), dove si divide a T in fibre parallele rispetto all’asse delle lamine, creando
delle connessioni trasversali anche con numerose cellule di Purkinje.

I granuli (L-glutammatergici) hanno un’azione eccitatoria e contattano:

Ä con l’assone: le arborizzazioni dei neuroni di Purkinje, eccitandoli;


Ä con i dendriti: le altre cellule inibitorie della corteccia cerebellare, ad esempio, le cellule del canestro e le
cellule stellate che inibiscono (mediante GABA) i neuroni di Purkinje, inibendoli indirettamente.
L’inibizione che si realizza ha un significato di selezione e specificità dell’attivazione, che rende molto
raffinato il comando finale che giunge ai neuroni. Questi circuiti generano potenziali post-sinaptici inibitori
che iperpolarizzano l’arborizzazione dendritica dei neuroni di Purkinje.

Ognuno dei granuli emette, inoltre, da 3 a 5 dendriti che si estendono dalla loro porzione basale verso la profondità,
fino allo strato plessiforme, dove danno luogo alle spine dendritiche, delle espansioni “ad artiglio” che entrano in
sinapsi con le fibre muscoidi. Si tratta di fibre afferenti, mielinizzate, che decorrono dapprima nel corpo midollare,
dove rilasciano rami collaterali indirizzati ai nuclei del cervelletto, e poi risalgono lungo l’arbor vitae verso lo strato
dei granuli, dove perdono la guaina mielinica e si espandono in terminali varicosi appiattiti con piccole e corte
ramificazioni, chiamati muscoidi per la somiglianza al muschio.

Ogni terminale assonico delle fibre muscoidi, all’interno dello strato granulare, contrae sinapsi con più spine
dendritiche (fino a 20) e con i dendriti delle cellule di Golgi, formando il cosiddetto glomerulo cerebellare, un
complesso sinaptico sferoidale, rivestito da un involucro di cellule gliali, da cui ha origine la processazione delle
informazioni contenute nelle afferenze alla corteccia cerebellare (provenienti dai nuclei pontini, dai nuclei
vestibolari e dal midollo spinale). Le cellule di Golgi, a loro volta, tramite i loro terminali assonici, possono
instaurare altre sinapsi con i dendriti dei granuli, inibendoli.

40) GLOMERULO CEREBELLARE

Il glomerulo cerebellare è un complesso dispositivo sinaptico sferoidale, rivestito da un involucro di cellule gliali
(astrociti), da cui ha origine la processazione delle informazioni contenute nelle afferenze alla corteccia cerebellare
(provenienti dai nuclei pontini, dai nuclei vestibolari e dal midollo spinale). Si localizza a livello dello strato
granulare e nella sua composizione rientrano:

q il terminale assonico varicoso di una fibra muscoide (costituita dagli assoni afferenti alla corteccia);
q fino a 20 spine dendritiche delle cellule dei granuli, interneuroni cerebellari eccitatori, con il corpo cellulare
molto piccolo (<5-10 µm) di forma simil-linfocitaria, il cui assone raggiunge lo strato molecolare dove si
divide a T in fibre parallele rispetto all’asse delle lamine, creando delle connessioni trasversali con
numerose cellule di Purkinje;
q qualche dendrite delle cellule di Golgi, degli interneuroni inibitori molto voluminosi che si localizzano
nella parte più superficiale dello strato granulare, che, tramite i loro terminali assonici, possono instaurare
altre sinapsi con dendriti dei granuli.

41) CONNESSIONI SINAPTICHE DEI NEURONI DI PURKINJE

I neuroni del Purkinje sono dei grossi neuroni localizzati “in fila indiana” nello strato intermedio o gangliare, tra
lo strato plessiforme e quello più profondo. Sono caratterizzati dai pirenofori “a pera” orientati ortogonalmente
rispetto alla superficie, da cui originano:

Ä ampie arborizzazioni dendritiche (che ricordano quelle di un albero da frutta a spalliera) che si
estendono nello strato plessiforme;
Ä gli assoni che si dirigono in profondità e attraversano lo strato dei granuli, emettendo un ramo
collaterale ricorrente, per fare sinapsi nei nuclei profondi del cervelletto.

I neuroni del Purkinje rappresentano una stazione importante in quanto ricevono tutte le afferenze e dirigono tutte
le efferenze del cervelletto. Il neurone di Purkinje viene raggiunto dalle afferenze eccitatorie con due modalità:

a) Le afferenze di tipo diretto assumono il nome di fibre rampicanti (climbing fibers, olivo-cerebellari) e
provengono esclusivamente dai nuclei olivari del bulbo (centri di pre-integrazione delle informazioni
sensitive propriocettive e quelle motorie, a livello del tronco encefalico), attraversano i peduncoli
cerebellari inferiori, arrivano alla corteccia cerebellare, allo strato molecolare, per operare la sinapsi
direttamente sui dendriti del neurone del Purkinje, con rapporto 1:1. Quest’ultima rappresenta un tipo
particolare di sinapsi diretta, asso-dendritica, definita anche “en passant”, nel senso che il terminale
assonico dà origine ad una ramificazione che si giustappone e si addossa all’arborizzazione dendritica del
neurone del Purkinje, come piante rampicanti.
b) Le afferenze di tipo indiretto, note come come fibre muscoidi, mielinizzate, che decorrono dapprima nel
corpo midollare, dove rilasciano rami collaterali indirizzati ai nuclei del cervelletto, e poi risalgono lungo
l’arbor vitae verso lo strato dei granuli, dove perdono la guaina mielinica e si espandono in terminali
varicosi appiattiti con piccole e corte ramificazioni, chiamati muscoidi per la somiglianza al muschio, dove
contraggono sinapsi con i dendriti dei granuli nel contesto del glomerulo cerebellare, da cui ha origine la
processazione delle informazioni contenute nelle afferenze alla corteccia cerebellare (provenienti dai
nuclei pontini, dai nuclei vestibolari e dal midollo spinale).
Le fibre afferenti a questo tipo di neurone possono determinare una scarica inibitoria oppure rimuoverla. Per cui, il
risultato della attivazione o meno del neurone del Purkinje deriverà dalla somma spaziale e temporale di tutti gli
imput eccitatori e inibitori che arrivano sulla superficie del pirenoforo, sul monticolo assonico e anche
sull’arborizzazione dendritica.
Delle varie cellule che popolano la corteccia cerebellare, soltanto i neuroni del Purkinje sono in grado di inviare
efferenze, infatti, con i loro assoni fanno sinapsi con i nuclei profondi del cervelletto (dentato, globoso,
emboliforme) esercitando su di essi uno stimolo inibitorio di tipo GABA-ergico.

42) VIE PER IL PEDUNCOLO CEREBELLARE SUPERIORE

I peduncoli cerebellari superiori (brachia conjunctivum) sono costituiti da fibre uscenti dal cervelletto (ad
eccezione del fascio spino-cerebellare ventrale), che vanno al mesencefalo, in particolare al nucleo rosso, al talamo
e alla FR., veicolando il risultato dell’azione integrativa svolta dalla corteccia cerebellare (la risposta del cervelletto
alle informazioni sensitive propriocettive e motorie).
Alla corteccia del cervelletto giungono:
Ä i fasci olivo-cerebellari, che contraggono una sinapsi diretta con i neuroni di Purkinje (fibre rampicanti);
Ä i fasci spino-cerebellari, vestibolo-cerebellari e cortico-ponto-cerebellari. (fibre muscoidi che contraggono
sinapsi con i dendriti dei granuli nel contesto del glomerulo cerebellare, da cui ha origine la processazione
delle informazioni contenute nelle afferenze alla corteccia cerebellare, provenienti dai nuclei pontini, dai
nuclei vestibolari e dal midollo spinale).
Delle varie cellule che popolano la corteccia cerebellare, soltanto i neuroni del Purkinje sono in grado di inviare
efferenze. Infatti, con i loro assoni fanno sinapsi con i nuclei profondi del cervelletto (dentato, globoso,
emboliforme) esercitando su di essi uno stimolo inibitorio di tipo GABA-ergico.
I nuclei profondi inviano a loro volta assoni che percorrono il peduncolo cerebellare superiore e giungono nel
mesencefalo per fare sinapsi nel nucleo rosso controlaterale. Trattandosi anche in questo caso di una sinapsi a
carattere inibitorio, si verifica un’inibizione dell’inibizione, in quanto i neuroni del Purkinje rimuovono l’inibizione
esercitata dai nuclei cerebellari profondi sul nucleo rosso. Il nucleo rosso costituisce, quindi, la stazione d’arrivo
di tutti gli output provenienti dalla corteccia cerebellare attraverso il fascio cerebello-dento-rubro.
A partire dal nucleo rosso si originano fasci in due direzioni: rubro-spinale discendente oppure rubro-talamo-
corticale ascendente.
Ø Il fascio rubro-spinale discende e giunge al mielomero spinale, nella cui sostanza bianca decussa per portarsi
al corno anteriore controlaterale. Dal momento che in corrispondenza del nucleo rosso era già avvenuta una
precedente decussazione, complessivamente il fascio giungerà allo stesso lato da cui sono originati i fasci
spino-cerebellari. Si tratta di una via del sistema extra-piramidale che si occupa del controllo motorio.
Ø Il fascio rubro-talamo-corticale proietta ai nuclei laterali e anteriori del talamo, i quali a loro volta originano
fibre dirette alla corteccia cerebrale. Si tratta di una via regolatrice del comando motorio.

43) NUCLEI DEL CERVELLETTO: AFFERENZE ED EFFERENZE

L’architettura generale del cervelletto è costituita da tre regioni:


Ä sostanza grigia superficiale (o corteccia cerebellare);
Ä sostanza bianca, costituita dal corpo midollare del cervelletto e dall’arbor vitae;
Ä sostanza grigia profonda.
Quest’ultima è costituita dai nuclei profondi del cervelletto; si trova a livello del verme e dei due emisferi
cerebellari; in direzione medio-laterale si individuano:
q nuclei dell’Archicerebello (con funzione vestibolare), posti ai lati della linea mediana, che comprendono:
§ i nuclei del tetto (o del fastigio o mediale del cervelletto), che riceveranno le afferenze più antiche
e proietteranno alle parti più antiche filogeneticamente.
q nuclei del Paleocerebello, più laterali, che comprendono i nuclei intermedi:
§ i nuclei globosi (o interposito posteriore), così chiamati per la forma rotondeggiante;
§ il nucleo emboliforme (o interposito anteriore), a forma di virgola, con una porzione più sottile
in avanti e più voluminosa indietro. Il suo nome deriva alla sua somiglianza con l’embolo.
§ la componente più mediale del nucleo dentato;
q nuclei del Neocerebello, essenzialmente la componente più laterale del nucleo dentato, il nucleo più
voluminoso e posto in posizione più laterale nel cervelletto. Esso corrisponde ad una laminetta di sostanza
grigia con una struttura a zig-zag (pieghettata) che descrive una curva “a U” lateralmente, per poi tornare
su sé stesso più medialmente. L’andamento ricurvo del nucleo non origina però un cerchio chiuso, ma lascia
un’apertura medialmente, detta ilo del nucleo dentato. L’intero nucleo dentato si può suddividere in una
laminetta anteriore, una laterale e una posteriore.
Delle varie cellule che popolano la corteccia cerebellare, soltanto i neuroni del Purkinje sono in grado di inviare
efferenze. Infatti, con i loro assoni fanno sinapsi con i nuclei profondi del cervelletto (dentato, globoso,
emboliforme) esercitando su di essi uno stimolo inibitorio di tipo GABA-ergico.
I nuclei profondi inviano a loro volta assoni che percorrono il peduncolo cerebellare superiore e giungono nel
mesencefalo per fare sinapsi nel nucleo rosso controlaterale. Anche in questo caso si tratta di una sinapsi a carattere
inibitorio. Perciò si verifica un’inibizione dell’inibizione, in quanto i neuroni del Purkinje rimuovono l’inibizione
esercitata dai nuclei cerebellari profondi sul nucleo rosso.
Il nucleo rosso costituisce, quindi, la stazione d’arrivo di tutti gli output provenienti dalla corteccia cerebellare
attraverso il fascio cerebello-dento-rubro. A partire dal nucleo rosso si originano fasci in due direzioni: rubro-
spinale discendente oppure rubro-talamo-corticale ascendente.

44) VIA SPINO-TALAMICA ANTERIORE

Il fascio spino-talamico anteriore o ventrale è chiamato anche paleo-spino-talamico perché compare per primo
nella filogenesi del sistema nervoso; origina dal midollo e veicola le informazioni al talamo mediante il tratto
profondo protopatico, fornendo informazioni sulla sensibilità tattile grossolana, che riguarda forme, dimensioni
e in generale le caratteristiche delle superfici. Essa è definita grossolana perché è una via caratterizzata da elevata
convergenza che riduce la specificità dell’informazione: il rapporto tra i neuroni del ganglio e i neuroni del nucleo
proprio è elevato, tipico delle vie protopatiche, ad esempio 10 neuroni sensitivi convergono in un unico neurone del
nucleo proprio (in altre vie il rapporto è 1:1), tutto ciò per garantire che non avvenga perdita completa di
informazioni.

Questa via presenta:

I. a livello del ganglio, il primo neurone sensitivo, pseudounipolare a T, di cui si può distinguere:
Ä una branca periferica/centrifuga, che prende rapporto con i recettori tattili (corpuscoli di
Meissner e di Merkel);
Ä una branca centrale/centripeta, che si colloca nella divisione laterale della radice posteriore e si
biforca nel fascicolo dorso-laterale di Liussauer (un sistema di integrazione tra mielomeri
adiacenti coinvolti nell’informazione sensitiva) dando un ramo ascendente e uno discendente che
a loro volta emettono dei collaterali “a rastrello” che penetrano nel corno posteriore di almeno 5-
6 mielomeri adiacenti, rispettivamente ai 3 mielomeri superiori e ai 2 mielomeri inferiori.
Il primo neurone veicola, dunque, l’informazione sensoriale dai meccanorecettori cutanei alle lamine III, IV, V
(classificazione di Rexed) dove contrae sinapsi con il secondo neurone.
II. a livello del nucleo proprio del corno posteriore, il secondo neurone, il cui assone si porta in avanti
fino ad arrivare al cordone anteriore della sostanza bianca controlaterale (decussazione nella
commessura bianca, quindi piega ad L (come tutte le vie ascendenti intramidollari) e si fa ascendere
per arrivare al talamo.
III. il nucleo ventrale postero-laterale (NVPL) del talamo, è la sede del terzo neurone, per le vie
sensitive esterocettive, protopatica ed epicritica. Quest’ultimo proietta alla circonvoluzione parietale
ascendente della corteccia, cioè l’area 3, 1 e 2 della mappa di Brodmann.
È importante ricordare che tutto ciò riguarda la via di proiezione, ma a livello del corno posteriore c’è una sorta di
bivio: ci saranno sinapsi con il secondo neurone, ma ogni neurone del nucleo proprio manda anche la sua collaterale
sensitivo-motoria ai neuroni del corno anteriore per continuare a svolgere la sua funzione iniziale, cioè le attività
riflesse. Tutto questo riguarda la raccolta di informazioni dal tronco e gli arti; nel distretto cefalico l’equivalente
di tutto ciò è svolto dal V nervo cranico, cioè il trigemino.
45) VIA SPINO-TALAMICA LATERALE

Il fascio spino-talamico laterale è anche chiamato neospino-talamico, perché compare in un secondo momento
rispetto a quello ventrale. Questa via veicola le informazioni sulla sensibilità esterocettiva protopatica (grossolana):
termica e dolorifica. I segnali termici e dolorifici provengono da tutti i territori corporei, esclusi quelli della faccia
(a carico del lemnisco trigeminale ventrale).

Dal punto di vista topografico:

I. Il primo neurone, di tipo pseudounipolare, è localizzato nel ganglio spinale; da esso si dipartono:
Ä una branca centrifuga che va a raccogliere:
® tramite terminazioni libere la sensibilità dolorifica,
® tramite i corpuscoli di Krause la sensibilità termica.
Ä La branca centripeta che va a costituire la parte più laterale della radice posteriore (e nel fascicolo
dorsolaterale di Lissauer) e raggiunge il midollo spinale, in particolare la sostanza gelatinosa di
Rolando, una lamina a forma di cappuccio che si trova all’apice del corno posteriore, che rappresenta
un dispositivo di filtro che controlla gli stimoli nocicettivi in ingresso nel midollo.
II. Il secondo neurone è localizzato nel nucleo proprio del corno posteriore, sede di inizio della via spino-
talamica laterale (lemnisco laterale).
III. Il terzo neurone è localizzato nel nucleo ventrale postero-laterale del talamo (NVPL);
IV. Il quarto e ultimo neurone è localizzato nella corteccia del lobo parietale, in particolare la circonvoluzione
parietale ascendente o pre-rolandica/post-centrale (area sensitiva primaria, aree 3-1-2).

Gli assoni che arrivano alla sostanza gelatinosa di Rolando possono essere distinti in:

1) fibre di grande diametro Aβ che trasportano informazioni sensitive d’intensità molto bassa;
2) fibre di piccolo diametro Aδ o C, che hanno un livello di stimolazione più alto, vengono, quindi, attivate
quando lo stimolo è particolarmente intenso.
Ä quando si percepisce uno stimolo nocicettivo d’intensità molto bassa, l’informazione viene veicolata
dalle fibre Aβ che, con le loro collaterali spesse, vanno ad attivare la sostanza gelatinosa di Rolando
dove sono presenti piccoli neuroni stellati, chiamati neuroni guardiani. Questi neuroni, a loro volta,
operano un’inibizione su entrambi i tipi di fibre, sia sugli assoni spessi (che raccolgono facilmente
qualsiasi tipo d’informazione), che sugli assoni sottili (che raccolgono solo stimoli più intensi), per
impedire che la sensibilità con poca significatività venga inoltrata ai centri superiori.
Ä quando si percepisce uno stimolo nocicettivo di alta intensità vengono attivate anche le fibre Aδ o C,
che, con le loro collaterali sottili svolgono indirettamente un’azione di inibizione sui neuroni della
sostanza gelatinosa di Rolando; attivano cioè, un interneurone inibitorio a monte del neurone
guardiano, rimuovendo l’inibizione che questo svolge nei loro confronti e nei confronti delle fibre Aβ.
Entrambe le fibre, quindi, possono a questo punto inoltrare il loro messaggio al secondo neurone nel
nucleo proprio, al talamo e infine all’area sensitiva primaria della corteccia.

L’obbiettivo è quello di trasmettere ai centri superiori informazioni sensitive utili, che permettono di preservare
l’integrità dell’organismo. Tale sistema impedisce l’inoltro di stimoli minori che creerebbero confusione, ed è
chiamato “controllo all’ingresso”.
Inoltre, è presente un altro controllo, questa volta non all’ingresso, ma dall’alto, che parte dalla sostanza grigia
periacqueduttale (PAG), un esile strato di sostanza grigia che si trova attorno all’acquedotto mesencefalico di Silvio,
al cui interno si trova un’elevata concentrazione di recettori per gli oppioidi. La PAG è disposta all’incrocio fra il
sistema ascendente, che trasporta la sensibilità dolorifica, e il sistema limbico, che controlla l’emotività.
46) VIA SPINO-CEREBELLARE

I fasci spino-cerebellari, dorsale e ventrale, veicolano le informazioni sulla sensibilità propriocettiva


incosciente, portando le informazioni dai meccanocettori (corpuscoli di Golgi del quadricipite, fusi neuromuscolari
a livello delle giunzioni tendinee) al cervelletto per il controllo dell’equilibrio e per la coordinazione motoria.
Le due vie presentano le fibre con un’elevata velocità di conduzione, costituite da assoni molto mielinizzati e di
grande calibro, che decorrono nello strato più superficiale del cordone laterale della sostanza bianca, localizzandosi
una più ventralmente e l’altra più dorsalmente.
Per quanto riguarda la topografia:
I. il primo neurone pseudounipolare è localizzato nel ganglio spinale, dal cui pirenoforo, rotondeggiante e di
dimensioni considerevoli, origina un prolungamento da cui si dipartono:
Ä la branca centrifuga che prende rapporto con il recettore da stiramento (attivato per effetto
meccanico di trazione e localizzato nei muscoli e tendini, in prossimità delle articolazioni);
Ä la branca centripeta che, assieme alla radice posteriore, passa nella zona intermedia della zona
radicolare posteriore.
II. il secondo neurone è localizzato nel corno posteriore, con due localizzazioni diverse tra le due vie:
1) Per la via spino-cerebellare dorsale (o fascio diretto di Flechsig) i secondi neuroni si trovano nel
nucleo dorsale o colonna di Clarke (o di Stilling a livello cervicale); gli assoni di questi neuroni (i
più grandi neuroni sensitivi dei mielomeri) piegano a L, portandosi nella parte superficiale dorsale
del cordone laterale omolaterale per ascendere al cervelletto.
La via spino-cerebellare dorsale proietta omolateralmente le afferenze propriocettive e tattili, non coscienti,
provenienti dal tronco e dall’arto inferiore, tramite il peduncolo cerebellare inferiore al cervelletto, in particolare
al verme e alle porzioni adiacenti (corteccia paleocerebellare omolaterale).
2) Per la via spino-cerebellare ventrale (o fascio crociato di Gowers) i secondi neuroni sono localizzati
davanti al nucleo proprio, nel nucleo di confine (border cells); gli assoni di questi neuroni piegano
ad L, incrociano la linea mediana (I decussazione, della commissura bianca) e si vanno a collocare,
nella parte superficiale ventrale del cordone laterale controlaterale.
Il fascio risale, superando tutti i mielomeri, percorre il bulbo, il ponte e arriva, infine, nel mesencefalo, a livello del
quale, tramite il peduncolo cerebellare superiore, incrocia la linea mediana (II decussazione, dei peduncoli
cerebellari superiori), portandosi controlateralmente, si dirige agli stessi distretti di destinazione della via spino-
cerebellare diretta.
III. Il terzo ultimo neurone della via spinocerebellare è localizzato a livello della corteccia cerebellare del
verme e le zone subito adiacenti (paleocerebello).

La propriocettività incosciente è l’unica forma di sensibilità che non presenta decussazioni dal punto di vista
funzionale (pur decussando dal punto di vista anatomico), sia che viaggi con il fascio spino-cerebellare diretto di
Flechsig, che sale omolateralmente, sia che viaggi con il fascio spino-cerebellare crociato di Gowers, in quanto,
quest’ultimo, si incrocia due volte, e quindi ritorna omolaterale.
47) VIE DEL SISTEMA EXTRAPIRAMIDALE (NO ESOPIRAMIDALE)

La via o sistema extrapiramidale è una via paleoencefalica data da tutte le fibre motrici che nel loro decorso
scendendo passano nella capsula interna, nel mesencefalo, nel ponte, nel bulbo e raggiungono direttamente il loro
distretto di destinazione senza concorrere alla formazione delle piramidi bulbari.
La via piramidale e quella extrapiramidale coesistono e cooperano per il conseguimento del miglior risultato
motorio. Ogni sinapsi che si interpone nella via, rappresenta un rallentamento della trasmissione del comando, ma
allo stesso tempo, un centro di modulazione, di controllo, di regolazione del comando stesso.
La connessione è stabilita da una catena di due neuroni posti in serie:
I. il primo neurone è rappresentato dal neurone piramidale gigante, anche definito primo motoneurone, o
motoneurone superiore, ed è localizzato nel V strato della corteccia cerebrale.
II. il secondo neurone è rappresentato dal motoneurone α, o secondo motoneurone (o inferiore) ed è
localizzato nella lamina IX del midollo spinale o nei nuclei somatomotori dei nervi cranici.
Questa via cortico-strio-pallido/rubro/reticolo/tegmento/tetto/vestibolo/olivo-spinale origina dalle aree motrici
accessorie e supplementari che si trovano:
§ Soprattutto nell'area 6, localizzata nella circonvoluzione frontale superiore, parte principale di corteccia
che dà origine alla via extrapiramidale;
§ In parte nell'area 4α, l'area motrice primaria;
§ nell'area 3-1-2, l'area sensitiva primaria;
§ nell'area 5 e 7 del lobo parietale, importanti per la sensibilità stereognosica;
§ a livello dell'insula;
§ a livello dell'area 22, area uditiva del lobo temporale;
Questa via paleo-encefalica è multisinaptica (polineuronica/plurisinaptica), ovvero presenta numerose stazioni
intermedie dal neurone corticale al neurone spinale, che rappresentano il percorso a ritroso dell’encefalizzazione
avvenuto durante la filogenesi. Tali stazioni sono:
q nuclei della base: il caudato, il putamen, il globus pallidus;
q alcuni nuclei talamici;
q nuclei del tegmento truncale;
q nuclei della formazione reticolare;
q nuclei principali del mesencefalo: nucleo rosso, tetto, sostanza nera di Sommering;
q nuclei del bulbo: nuclei vestibolari, nucleo olivare inferiore.
Le fibre della via extrapiramidale, di cui fanno parte anche le collaterali del fascio piramidale, sono destinate, infine,
a raggiungere i seguenti distretti:
Ä nuclei somatomotori dei nervi cranici;
Ä corno anteriore dei mielomeri del midollo spinale;
Le vie extra-piramidali sono principalmente tre:
1. Via cortico-strio-pallido-rubro-(reticolo)-spinale;
2. Via cortico-strio-pallido-ipotalamo-olivo-spinale;
3. Via cortico-ponto-cerebello-dento-(rubro) reticolo-spinale.
Le prime due vie hanno il tratto cortico-strio-pallido in comune e prevede l'origine di cellule piramidali dal V strato
della coniocorteccia che si porta attraverso il centro semiovale e la radiazione al corpo striato (caudato e putamen)
e, quindi, al pallido attivando sia il circuito dei nuclei della base che due fasci discendenti: il primo si porta al nucleo
rosso e il secondo all’ipotalamo.
La terza via è quella che dalla corteccia si porta ai nuclei del tronco encefalico (principalmente del ponte e del bulbo)
con il fascio cortico-pontino frontale dell'Arnold e cortico-pontino temporale del Turck, che decorrono,
rispettivamente, medialmente e lateralmente al fascio cortico-spinale, nel piede del peduncolo cerebrale del
mesencefalo, per andare a distribuirsi ai nuclei basilari del ponte (olive pontine).
Da questi nuclei si dipartono fibre trasversali, che determinano la macro-morfologia del ponte, crociate, che si
portano attraverso i peduncoli cerebellari medi, alla corteccia del neocerebello come fibre muscoidi. Dopo aver
contratto sinapsi con le cellule dei granuli, la via prosegue passando per la maggior parte attraverso il nucleo
dentato e attraverso il nucleo emboliforme (o interposito) per correre nei peduncoli cerebellari superiori e decussare
a livello di tegmento nel mesencefalo (decussazione del Wernekinck) per arrivare al nucleo rosso o portarsi
direttamente al nucleo ventrale laterale del talamo, nella parte posteriore (NVPL), o dallo stesso nucleo rosso per
formare il fascio rubro-spinale o quello reticolo-spinale.
Nella via extrapiramidale, via multisinaptica con centri intercalati, si distinguono due circuiti principali che
controllano il movimento:
q il circuito effettore/motore;
q il circuito soppressorio.
A fianco alla via motrice è presente il circuito soppressorio, riverberante, che è il tratto cortico-strio-pallido-
talamo-corticale; è un anello che parte dalla corteccia e ritorna prontamente alla corteccia. Esso origina: dalla
corteccia frontale (Aree S, soppressorie), che proietta sui neuroni della testa del nucleo caudato, che proiettano
sul neurone del putamen, il quale proietta sul neurone del globus pallidus, che proietta sui nuclei talamici
anteriori. I nuclei talamici anteriori del tubercolo anteriore del talamo, o nuclei ventrali anteriori della parte laterale-
ventrale, proiettano sulle aree 4γ, 4α, area 6, area 8, inibendo il neurone che ha “proiettato”.
Ä Quindi, in ogni area motrice è presente una striscia di neuroni che porta l’informazione del comando a
questo circuito di soppressione.
La finalità del circuito è dare una delimitazione o definizione temporale del comando motorio. In questo modo,
ad ogni comando motorio ne può seguire uno diverso. Se non ci fosse il circuito soppressorio non si avrebbe la
possibilità di ulteriori successioni di comandi motori.
Se c’è bisogno che il comando motorio rimanga nella sua efficacia perché è necessaria una contrazione tonica di un
muscolo che tiene sollevato un peso, il circuito soppressorio non entrerà in funzione, ma se ad un’azione precisa
deve seguire il suo arresto, tale circuito dà quella delimitazione temporale del comando motorio.
48) VIA CORTICO-PONTO-CEREBELLARE (ESOPIRAMIDALE)

Il sistema esopiramidale (o via cortico-ponto-cerebellare) è la parte del sistema extrapiramidale che porta
l’informazione del comando motorio al cervelletto.
I. Il primo neurone è localizzato nella corteccia cerebrale, a livello del lobo frontale, parietale,
occipitale e temporale, motivo per cui la via è costituita da più fasci;
II. Il secondo neurone è localizzato a livello delle olive pontine (nuclei basilari del ponte);
Gli assoni dei primi neuroni proiettano sui nuclei basilari del ponte; da qui le fibre incrociano la linea mediana ed,
entrando nel peduncolo cerebellare medio, proiettano (controlateralmente) alla corteccia cerebellare (neopallio).

Tale via ha due porzioni principali, in base all'origine:


A. il fascio fronto-pontino, o fascio di Arnold, che parte dalla corteccia del lobo frontale (aree 9,10,11,12, 6 ecc);
B. il fascio temporo-parieto-occipito-pontino, o fascio di Turck o, che origina sul contorno della scissura
laterale di Silvio, al di sopra (parieto), al di dietro (occipito), al di sotto (temporo).

Nonostante la loro destinazione sia comune, il ponte, questi due fasci vengono considerati distintamente perché, a
livello del mesencefalo, decorrono in una parte diversa del piede del peduncolo cerebrale.
Dal punto di vista funzionale, la via esopiramidale è parallela alle vie piramidale ed extrapiramidale; l’informazione
del comando motorio che origina dalla corteccia viene trasportato lungo la via piramidale ed extrapiramidale,
giungendo al corno anteriore del midollo e, contemporaneamente, al cervelletto. La componente esopiramidale
che passa per il cervelletto ha come obiettivo andare ad influenzare il nucleo rosso del mesencefalo.

Alla corteccia del cervelletto giungono:


Ä l’informazione del movimento, originata dalla corteccia del lobo frontale (sede dell’ideazione motoria);
Ä le informazioni statiche e dinamiche, portate dai fasci spino-cerebellari (dorsale di Flechsig e ventrale di
Gowers) e trigemino-cerebellari, che informano il cervelletto sulla posizione nello spazio;
Ä le informazioni vestibolo-cerebellari dai canali semicircolari e dall’utricolo e sacculo.
Il cervelletto riceve gli stimoli cortico-ponto-cerebellari, confronta la posizione spaziale statico-dinamica del corpo
col comando motorio, che passa quindi, per il nucleo dentato del cervelletto e, successivamente, per il nucleo rosso
del mesencefalo.

La prima parte della via è, quindi, cerebello-dento-rubro e, successivamente, ci sono due destinazioni:

a) una ascendente, di ritorno alla corteccia cerebrale per regolare all’origine il comando motorio cortico-
spinale ed extrapiramidale che sta partendo dalla corteccia (via cerebello-dento-rubro-talamo-corticale);
b) una discendente, per regolare il secondo neurone (via cerebello-dento-rubro-spinale)

49) VIA CENTRALE DELLA CALLOTTA

Nella via extrapiramidale, via multisinaptica con centri intercalati, il circuito effettore/motore è rappresentato dalla
via cortico-strio-pallido-/rubro/reticolo/tegmento/tetto/vestibolo/olivo-spinale.

La via in senso stretto è cortico-strio-pallido: il 1° motoneurone, a partire della corteccia, invia l’assone (fascio
cortico-strio) verso lo (neo)striato, costituito dal putamen e dal nucleo caudato; il quale, a sua volta, proietta l’assone
verso il pallido, che rappresenta un centro essenziale nella regolazione della via motrice extrapiramidale in quanto
da questo in poi gli assoni vengono proiettati sui centri truncali diversi: tetto del mesencefalo, nucleo rosso,
sostanza nera di Sommering, formazione reticolare del tronco, tegmento, nucleo olivare inferiore, nucleo
vestibolare laterale. Queste componenti truncali non rappresentano delle stazioni intermedie ma dei punti di
proiezione dei neuroni del pallido; da ciascuno di essi origineranno le vie discendenti truncali (sistemi discendenti)
che si affiancheranno tra di loro in un fascio localizzato nella porzione dorsale del tronco, chiamata callotta o
tegmento, da cui prende il nome di “via centrale della calotta”, un fascio che comprende tutti i fasci che
costituiscono l’ultimo tratto che parte dalle stazioni del tronco per raggiungere il secondo motoneurone, spinale.

Il fascio “centrale della calotta” ha come suoi principali componenti:

Ä la componente tetto-spinale, che origina dai collicoli superiori della lamina quadrigemina;
Ä la componente rubro-spinale, che origina dal nucleo rosso,
Ä la componente reticolo-spinale, che origina nei nuclei della formazione reticolare del bulbo e ponte;
Ä la componente vestibolo-spinale, dal nucleo vestibolare laterale;
Ä la componente tegmento-spinale, dal tegmento, che è la parte dorsale del bulbo, del ponte, e dei peduncoli
cerebrali mesencefalici.

Il sistema di fibre man mano che scende, si ingrossa e si arrichisce, fino a raggiungere il secondo motoneurone nel
corno anteriore del midollo spinale, dove i fasci si separeranno per collocarsi nel cordone laterale o anteriore
della sostanza bianca.

50) VIA CORTICO-SPINALE (ORIGINE, DECORSO, TERMINAZIONE)

La via cortico-spinale, o piramidale propriamente detta,


- origina:
§ dai ⅔ superiori della circonvoluzione frontale ascendente, in particolare dalle aree 4 γ e 4 α,
§ dalla porzione rostrale del lobulo paracentrale;
§ dall’area 8, oculomotrice.
- raggiunge:
§ il corno anteriore dei mielomeri controlaterali.
La via piramidale rappresenta in senso stretto la via motrice primaria, quella che scende dalle piramidi fino a
raggiungere i vari segmenti del midollo spinale, ed è destinata, dunque, all’innervazione dei muscoli della metà
opposta del corpo, ovvero dei muscoli dell’emisoma controlaterale delle regioni (dall’alto verso il basso) del collo,
arto superiore, tronco e arto inferiore.
Tutto il fascio cortico-spinale è crociato, ma ciò che determina se sarà ventrale o laterale, è il livello dell'incrocio:
Ä Fascio cortico-spinale laterale: la parte preponderante della via, ovvero l’80% che incrocia subito la linea
mediana (decussa) a livello del confine tra il bulbo e il midollo spinale (quella che vinee chiamata decussazione
motoria delle piramidi) e si colloca nel cordone laterale della sostanza bianca del midollo spinale. E’ destinato
ai mielomeri che innervano gli arti superiori e inferiori controlaterali.

Ä Fascio cortico-spinale ventrale o diretto, rappresentato dal 20% della via che si mantiene omolaterale,
scendendo nel cordone anteriore. Dunque, non incrocia a livello del passaggio tra bulbo e midollo spinale,
bensì continuano il loro decorso nel cordone anteriore del midollo spinale, decussando a livello della
commessura bianca del mielomero bersaglio, per terminare direttamente sui motoneuroni controlaterali alle
cellule corticali di origine. Scendendo nei mielomeri cervicali e nei primi 7/8 mielomeri toracici, si va sempre
più assottigliandosi fino a diventare irriconoscibile al di sotto della metà del midollo toracico. Esso, infatti, è
destinato all’innervazione dei muscoli del tronco, ovvero quelli del collo, del torace, dell’addome e del bacino
ed è quindi limitato nella sua estensione verticale.
Un dato molto importante è che questi assoni non hanno un rapporto 1:1 con il secondo motoneurone, sia che si
tratti di un nucleo di un nervo cranico sia di quello del corno anteriore controlaterale.
Ø Solo il 20% delle fibre sono monosinaptiche;
Ø L’80% delle fibre contrae sinapsi con interneuroni, che agiscono su altri neuroni del bersaglio. In questo
modo, si hanno fibre plurisinaptiche che comportano un ampliamento del comando motorio.

51) VIA CORTICO-BULBARE (ORIGINE, DECORSO E TERMINAZIONE)

Alcuni assoni della via piramidale, a livello del tronco encefalico lasciano la via per andare a innervare i nuclei
cranici motori. La via cortico-bulbare viene, infatti, considerata la “seconda” componente della via piramidale,
nonostante la presenza di fibre che terminano a livello del mesencefalo o del ponte, e che a livello del bulbo arrivi
solo la parte deputata all’innervazione dei nuclei motori dei nervi cranici situati a livello bulbare, da cui il nome.
La via cortico-bulbare nasce per lo più dalla porzione laterale della corteccia motoria primaria (area 4), viaggia
attraverso il ginocchio della capsula interna, nel peduncolo cerebrale, nella base del ponte e nelle piramidi del bulbo
sul lato omolaterale. In particolare:
- Nel mesencefalo, le fibre raggiungono i nuclei motori di III e IV nervi cranici;
- Nel ponte, le fibre raggiungono i nuclei motori del V nervo cranico (nucleo masticatore, in quanto
destinato ai muscoli masseteri, temporali e pterigoidei);
Le suddette fibre non raggiungono mai le piramidi bulbari, dunque, dal punto di vista terminologico, rappresentano
porzioni che fanno parte impropriamente della componente cortico-bulbare della via piramidale.
- Nel passaggio tra ponte e bulbo, le fibre raggiungono i nuclei motori di VI e VII nervi cranici;
- Nel bulbo, le fibre raggiungono i nuclei motori di IX (glossofaringeo), X (vago), XI (accessorio), e XII
(ipoglosso) nervi cranici; in questo caso vengono raggiunte le piramidi bulbari e la definizione di fibre
della componente cortico-bulbare della via piramidale, è, dunque, corretta.
Per tale comportamento nell’ambito della via cortico-bulbare, si possono distinguere:

1) una componente destinata ai nuclei oculomotori (III, IV e VI n.c.) ® fascio cortico-mesencefalo-


pontino, che origina dalla corteccia dall'area 8, ovvero dalla circonvoluzione frontale e parzialmente dalla
superiore, ed è destinata a innervare i nuclei motori dei nervi cranici per la motilità del bulbo oculare;
2) una componente destinata ai nuclei implicati nella fonazione ® fascio genicolato o via centrale del
linguaggio, che origina dal 1/3 inferiore della circonvoluzione pre-rolandica ed è destinato a tutti gli
altri nuclei motori dei nervi cranici. Con questa denominazione si valorizza sia la sede del ginocchio della
capsula interna, sia la funzione più elevata che esso realizza, ovvero il coordinamento dei nuclei dei nervi
cranici motori per la produzione del linguaggio.
52) FASCIO GENICOLATO (VIA DEL LINGUAGGIO)

Il fascio genicolato, o via centrale del linguaggio, è una delle due componenti della via cortico-bulbare, ed è destinata
ai nuclei implicati nella fonazione, ovvero tutti i nuclei motori dei nervi cranici, ad eccezione dei nuclei
oculomotori (III, IV e VI n.c.), di pertinenza del fascio cortico-mesencefalo-pontino.
Con questa denominazione, fascio genicolato, o via centrale del linguaggio, si valorizza sia la sede del ginocchio
della capsula interna, sia la funzione più elevata che esso realizza, ovvero il coordinamento dei nuclei dei nervi
cranici motori per la produzione del linguaggio.
In particolare:
§ Il nucleo del V nervo cranico, masticatore;
§ Il nucleo del VII nervo cranico, faciale (labbra e guancia);
§ Il nucleo del IX nervo cranico: faringe e laringe; in particolare, controlla la deglutizione;
§ Il nucleo del X nervo cranico: faringe e laringe; in particolare, controlla le corde vocali;
§ Il nucleo del XI nervo cranico: faringe e laringe co l’accessorio del vago;
§ Il nucleo del XII nervo cranico: lingua.
Il fascio genicolato origina dal 1/3 inferiore della circonvoluzione pre-rolandica, mentre i 2/3 superiori, partendo
dal piede, innervano l’arto inferiore, il tronco e l'arto superiore controlaterale. Esso passa nel ginocchio della capsula
interna, poi nel peduncolo cerebrale dove si mescola alle fibre del fascio di Arnold (fascio fronto-pontino della
via esopiramidale), quindi abbandona il piede del peduncolo ed entra nella callotta dove si addossa al lemnisco
mediale. Termina, infine, sui nuclei motori del V, VII, IX, X, XI e XII nervi cranici.
In realtà anche il fascio oculomotore cortico-mesencefalo-pontino si trova nel ginocchio della capsula interna,
appena al davanti del fascio genicolato, si riserva però il nome di fascio cortico-mesencefalo-pontino alla porzione
che innerva i nuclei dei nervi oculomotori.

53) PROIEZIONI TALAMO-CORTICALI

Da un punto di vista morfo-funzionale, il talamo è il relais (stazione pre-terminale, sede dei terzi neuroni) di quasi
tutte le proiezioni sensitive dirette alla corteccia cerebrale (ad eccezione dell’olfatto, la sensibilità più antica
dell’essere umano, non passante per il talamo, in quanto gli assoni sono direzionati direttamente alla corteccia dei
distretti corticali emisferici, che analizzeranno gli odori). Secondo una reciprocità di connessione, il talamo riceve,
a sua volta, le informazioni di ritorno dalla corteccia stessa. Sussistono, infatti:
a) le proiezioni talamo-corticali;
b) le proiezioni cortico-talamiche.
Le fibre talamo-corticali, nelle loro porzioni iniziali formano delle strutture molto compatte, i peduncoli talamici,
da cui poi nascono delle ramificazioni, chiamate radiazioni talamiche, dirette alla corteccia cerebrale, le quali, nel
loro insieme, costituiscono la corona radiata del talamo.
Le fibre talamo-corticali sono suddivise topograficamente in base all’origine, destinazione e funzione sensoriale in:

1. peduncolo talamico anteriore (o frontale), localizzato nel braccio anteriore, da cui ha origine la
radiazione talamica anteriore (o radiazione anteriore del talamo), raggiera di assoni che raggiunge tutti
i lobi, attraversando il braccio anteriore della capsula interna, diretta al polo frontale;
2. peduncolo talamico superiore (o parietale), localizzato nel braccio posteriore, che contiene alcune
fibre sensitive propriocettive e gran parte delle fibre della sensibilità somatica che provengono dai
nuclei VPL e VPM del talamo e si proiettano all’area somestesica primaria; queste fibre formano la
radiazione talamica superiore (o radiazione centrale del talamo) diretta al lobo parietale;
3. peduncolo talamico posteriore (o occipitale), localizzato nel corpo genicolato laterale, responsabile
dell’informazione visiva. Si ramifica a formare una radiazione di fibre visive, la radiazione talamica
posteriore, che comprende anche le fibre del tratto genicolo-calcarino (o radiazione ottica) e che
attraversa la parte retrolenticolare del braccio posteriore della capsula interna portandosi ai margini
della scissura calcarina nel lobo occipitale alla corteccia del polo occipitale;
4. peduncolo talamico inferiore (o temporale), localizzato a livello del corpo genicolato mediale e
costituito da fibre della sensibilità uditiva, da cui ha origine la radiazione talamica inferiore, che
comprende le fibre del tratto genicolo-temporale o radiazione acustica, insieme alle quali attraversa
la parte sottolenticolare del braccio posteriore della capsula interna raggiungendo la corteccia del lobo
temporale, in particolare le circonvoluzioni temporali trasverse (di Heschl).

54) MACROSCOPICA E SUDDIVISIONE ANATOMO-FUNZIONALE DEI NUCLEI TALAMICI

Il talamo è una formazione grigia ovoidale, pari e simmetrica, posta ai lati del 3° ventricolo e medialmente al braccio
posteriore della capsula interna. Si tratta di un centro esclusivamente sensitivo, costituito da un ampio
raggruppamento di nuclei (circa 30 i più importanti), in particolare di pirenofori (dunque, di sostanza grigia), con
un asse anteroposteriore della lunghezza di circa 4 cm.
La prima suddivisione in raggruppamenti di neuroni fu realizzata da Burdach, in base alla presenza, in ciascun
ovoide di sostanza grigia, di una lamina di sostanza bianca che divide i raggruppamenti laterali da quelli mediali,
detta lamina midollare interna. Quest’ultima si biforca anteriormente a Y e divide i raggruppamenti di neuroni del
talamo in: Nuclei mediali (M), Nuclei laterali (L) e Nuclei anteriori (A).
Da ciascun lato, si individua anche una lamina midollare esterna, sempre di sostanza bianca, sulla cui superficie
esterna e superiore si trova il nucleo reticolare del talamo, che rappresenta un filtro che controlla e regola tutte le
afferenze del talamo (paragonabile alla sostanza gelatinosa di Rolando nel midollo spinale). Questo nucleo riceve
collaterali dalle fibre talamo-corticali e cortico-talamiche, ed è, quindi, una centrale che regola uscita ed entrata dal
talamo. È l’unico nucleo che non proietta alla corteccia cerebrale ed è quasi esclusivamente costituito da neuroni
inibitori GABA-ergici e riceve afferenze principalmente dalla corteccia cerebrale, da collaterali delle efferenze
talamocorticali e dall’amigdala, oltre che dal tronco encefalico, e proietta le sue efferenze inibitorie a tutti i nuclei
del talamo, modulando così le proiezioni efferenti del talamo. È stato definito, recentemente in letteratura, il
“portinaio emozionale” delle informazioni sensitive e motorie.
I nuclei talamici sono stati, inoltre, divisi in base alle loro proiezioni in:
a) Nuclei di proiezione specifica, chiamati nuclei di raccordo specifici, che hanno due destinazioni corticali:
Ä Proiezioni verso aree specifiche della corteccia con funzioni somato-sensitive e somato-motorie precise (gli
assoni portano l’informazione sensitiva destinata a diventare cosciente);
Ä Proiezioni verso aree corticali di associazione; integrano informazioni sensitive e risposte motorie ed
elaborano il messaggio in uscita.
b) Nuclei di proiezione aspecifica o diffusa: proiettano diffusamente alla corteccia cerebrale. Si distinguono:
§ Nuclei intralaminari: situati a livello della lamina midollare interna, tra cui il più voluminoso è il nucleo
centro-mediano.
In generale, i nuclei intralaminari:
- Ricevono afferenze dalla formazione reticolare ascendente, dal compartimento mediale de tratto
spinotalamico laterale, dal collicolo superiore, dal globus pallidus mediale o interno, dalla sostanza
nera e anche dei nuclei profondi del cervelletto.
- Proiettano allo striato (o neostriato) e, diffusamente, alla corteccia cerebrale, partecipando, quindi,
al circuito dei nuclei della base e al controllo del livello di vigilanza della corteccia cerebrale.
§ Nuclei della linea mediana, così definiti perché situati a livello dell’adhesio intertalamica; sono a
proiezione diretta alle superfici mediali dell’emisfero cerebrale, in particolare alla parte anteriore del
lobo temporale, alle porzioni adiacenti del lobo frontale e al distretto che interessa il circuito limbico.
Infatti, partecipano alle funzioni del sistema limbico e svolgono un importante ruolo nel mantenimento
del ritmo sonno-veglia.
In generale, i nuclei della linea mediana:

Ø Ricevono afferenze principalmente dall’ipotalamo, dalla sostanza grigia periacqueduttale, dai nuclei
del rafe magno e dal locus caeruleus;
Ø Proiettano le loro efferenze al lobo limbico, all’amigdala (o corpo o complesso amigdaloideo) e al
nucleus accumbens.

Per quanto riguarda i nuclei di proiezione specifica, si distinguono:

q I nuclei talamici anteriori, che ricevono, mediante il fascio mammilotalamico (di Vicq d’Azyr), le afferenze
dal corpo mammillare e che possiedono sia afferenze che efferenze dalla circonvoluzione del cingolo del lobo
limbico. funzione di regolazione, che mette in relazione funzioni affettive con funzioni viscerali.
q I nuclei mediali, che hanno come principale zona di proiezione la parte anteriore del lobo frontale a livello
delle circonvoluzioni frontale superiore, media ed inferiore nella loro parte anteriore; tra questi si distingue:
§ il nucleo dorso-mediale, che riceve le afferenze dall’amigdala, dalla corteccia olfattiva, compresa la
corteccia piriforme, e dal pallido ventrale. Questo nucleo, con la parte laterale (o parte parvocellulare
laterale), proietta alla corteccia associativa prefrontale e al globus pallidus mediale, mentre la parte
mediale (o parte magnocellulare mediale) invia un importante contingente di fibre alla corteccia
prefrontale del lobo frontale, un’area ideativa molto importante.
q I nuclei laterali, nei quali si individua una parte ventrale e una parte dorsale:
§ La parte laterale dorsale (o superiore) proietta verso la porzione di lobo parietale corrispondente
soprattutto alla circonvoluzione parietale superiore e a quella parte di superficie mediale del lobo parietale
che prende il nome di precuneo. Lungo questa via vengono portate informazioni sensitive verso aree di
associazione della corteccia.
§ La parte laterale ventrale (o inferiore) si divide, a sua volta, in tre raggruppamenti, con proiezioni
diverse:
1. Raggruppamento anteriore, connesso alla corteccia frontale, interviene nel controllo dell’ideazione;
2. Raggruppamento laterale, che riceve afferenze di tipo propriocettivo e manda proiezioni al lobo frontale, in
particolare alla circonvoluzione frontale ascendente o pre-rolandica (motoria);
3. Raggruppamento posteriore, in cui giungono tutti i sistemi lemniscali implicati nell’informazione delle varie
tipologie di sensibilità esterocettiva, tattile, protopatica, epicritica e sensibilità termica dolorifica; tutto il corpo
viene quindi rappresentato con le afferenze dai mielomeri più bassi localizzate più lateralmente (nel nucleo
posterolaterale) e progressivamente (verso quello posteromediale) arto inferiore, tronco, arto superiore e collo.
che riceve tutte le afferenze esterocettive.

Del raggruppamento posteriore si distinguono:


q una parte laterale, definita NUCLEO VENTRALE POSTEROLATERALE, che riceve le fibre della
sensibilità somatica del tronco e degli arti attraverso:
§ il lemnisco spinale (sensibilità termica, dolorifica, tattile protopatica);
§ il lemnisco mediale (sensibilità tattile epicritica e propriocettiva cosciente).
q una parte mediale, definita NUCLEO VENTRALE POSTEROMEDIALE, che riceve le fibre della
sensibilità somatica della testa, compresa la cavità orale, e le fibre della sensibilità gustativa attraverso:
§ il lemnisco trigeminale, o tratto trigemino-talamico (sensibilità della faccia fino al vertice);
§ il lemnisco gustativo, o tratto solitario-talamico (sensibilità gustativa).
Nella parte posteriore dell’ovoide, posta lateralmente alla lamina midollare interna, si individua il PULVINAR, il
nucleo più voluminoso del talamo, che comprende i nuclei pulvinari, appartiene al gruppo dei nuclei dorsali del
talamo e riceve fibre dai nuclei dei corpi genicolati laterale e mediale, dal collicolo superiore e dall’amigdala.

55) STRUTTURE SUBTALAMICHE

Il subtalamo, o talamo ventrale, di dimensioni contenute, rappresenta il prolungamento del tegmento del
mesencefalo. E’ posizionato lateralmente ed è formato da raggruppamenti di neuroni che intervengono nella
regolazione e nel controllo motorio. Nel subtalamo sono compresi il globus pallidus, il nucleo subtalamico di
Luys e il nucleo della zona incerta; sono strutture responsabili del controllo motorio e della regolazione fine della
realizzazione motoria, integrate nel sistema extrapiramidale.
q Il globus pallidus (struttura più voluminosa); si tratta di un raggruppamento di neuroni frammisti a
sostanza bianca che viene diviso dalla lamina midollare interna, in due parti:
§ Il pallido esterno, più laterale;
§ Il pallido interno, più mediale.
- Dal punto di vista funzionale, il globus pallidus costituisce il paleo-striato, in quanto filogeneticamente
più antico, mentre il putamen e il nucleo caudato costituiscono il neo-striato (facente parte del telencefalo).
- Dal punto di vista macroscopico, invece, il globus pallidus insieme al putamen costituiscono il nucleo
lenticolare (uno dei nuclei della base), cioè un raggruppamento di pirenofori che presenta la doppia
convessità, quella mediale costituita dal globus pallidus e quella laterale costituita dal putamen.
Si osserva che tra il nucleo caudato ed il talamo, posti medialmente, e il nucleo lenticolare, posto lateralmente, passa
una spessa lamina di sostanza bianca, ovvero la capsula interna. Il globus pallidus è posto lateralmente a
quest’ultima ed è separato dal putamen da un’altra laminetta di sostanza bianca, la lamina midollare esterna.
Essendo collegato con il putamen ed il caudato, il globus pallidus fa parte dei circuiti del controllo motorio.
q Nucleo subtalamico di Luys, incapsulato tra l’ansa lenticolare (dorsalmente), passante per il campo H2
di Forel, e la capsula interna (ventralmente e lateralmente), che separa dal resto della sostanza bianca posta
sotto il talamo.
Il nucleo subtalamico, interposto tra la superficie inferiore del talamo e la capsula interna, che passa al di sotto, è
un raggruppamento di pirenofori a forma di lente biconvessa quasi orizzontale, caratterizzata da un margine
mediale, un margine laterale, un versante superiore verso il talamo e un versante inferiore verso la capsula interna.
Medialmente, è in rapporto con l’estremità laterale della sostanza nera.
Il nucleo subtalamico rappresenta una delle strutture chiave dei circuiti dei gangli della base, partecipando al
controllo dei movimenti. Inoltre, attraverso le suddivisioni funzionali interne, il nucleo è coinvolto nella regolazione
delle funzioni associative e limbiche.
q Nucleo della zona incerta, posizionata al di sopra del nucleo subtalamico, e inferiormente alla massa
principale del talamo si trova un altro raggruppamento di neuroni, costituito quindi da sostanza grigia,
che prende il nome di nucleo della zona incerta.
Si tratta di un piccolo raggruppamento di neuroni che divide la sostanza bianca fra nucleo subtalamico di Luys e il
talamo, in due parti:
1. H1 di Forel (tra zona incerta e talamo) ® fascicolo talamico;
2. H2 di Forel (tra zona incerta e nucleo subtalamico di Luys) ® fascicolo lenticolare.
Il termine H fa riferimento al termine “cappuccio” che in tedesco è “Haubenfelder”. Questo termine venne usato dal neuroanatomista
Forel per distinguerla dalla capsula interna, esterna ed estrema.

56) GLOBUS PALLIDUS: MACROSCOPIA, RAPPORTI E CONNESSIONI

Il globus pallidus è il raggruppamento più voluminoso del subtalamo, costituito da neuroni frammisti a sostanza
bianca, che viene diviso dalla lamina midollare interna, in due parti:
§ Il pallido esterno, più laterale;
§ Il pallido interno, più mediale.
Dal punto di vista funzionale, il globus pallidus costituisce il paleo-striato, in quanto filogeneticamente più antico,
mentre il putamen e il nucleo caudato costituiscono il neo-striato (facente parte del telencefalo). Essendo collegato
con il putamen ed il caudato, il globus pallidus fa parte dei circuiti del controllo motorio.
Dal punto di vista macroscopico, invece, il globus pallidus insieme al putamen costituiscono il nucleo lenticolare
(uno dei nuclei della base), cioè un raggruppamento di pirenofori che presenta la doppia convessità, quella mediale
costituita dal globus pallidus e quella laterale costituita dal putamen.
Si osserva che tra il nucleo caudato ed il talamo, posti medialmente, e il nucleo lenticolare, posto lateralmente, passa
una spessa lamina di sostanza bianca, ovvero la capsula interna. Il globus pallidus è posto lateralmente a
quest’ultima ed è separato dal putamen da un’altra laminetta di sostanza bianca, la lamina midollare esterna.
Nel subtalamo si distinguono, oltre al globus pallidus, il nucleo subtalamico di Luys e il nucleo della zona
incerta. Nel complesso si tratta di strutture responsabili del controllo motorio e della regolazione fine della
realizzazione motoria, integrate nel sistema extrapiramidale.
Ä Ci sono due fascetti che partono dal globus pallidus, ed in particolare dal pallido interno e solo parzialmente
dal pallido esterno, che costituiscono il fascicolo lenticolare che passano a livello dell’H2 di Forel e si
dirigeranno infine al talamo.
Ä Dal globus pallidus parte anche un altro fascetto che forma una curva anteriore e costituirà l’ansa lenticolare.
Ä È presente una connessione anche fra pallido esterno e nucleo subtalamico di Luys: dal pallido esterno, infatti,
origina un fascio che si dirige al nucleo subtalamico di Luys e da qui proietta sul pallido interno, contiene fibre
bidirezionali e viene indicato con il termine di fascicolo subtalamico. Si creano così dei circuiti che permettono
un raffinato controllo motorio e che fanno parte del sistema extrapiramidale.
Ä È presente un ultimo fascicolo di assoni che hanno varia provenienza e che prende il nome di fascicolo talamico
ed è costituito da fibre che hanno costituito l’H1 di Forel e da fibre che dal pallido interno sono dirette dall’ansa
lenticolare al talamo, si ha infine una riunificazione dei fasci che dal pallido interno vanno al talamo e che erano
stati divisi dal passaggio al di sopra o al di sotto del nucleo subtalamico di Luys. Nel fascicolo talamico si
troveranno anche altre proiezioni che originano dal nucleo rosso ed eventualmente anche dalla sostanza nera e
sono dirette al talamo.
Il sistema piramidale e il sistema extrapiramidale, che formano la capsula interna con i sistemi di proiezione motoria
discendenti, vengono controllati in questo distretto mediante circuiti localizzati che riguardano il globus pallidus, il
nucleo subtalamico di Luys e zona incerta. Questo sistema si realizza mediante fascetti che costituiscono l’H1 e
l’H2 di Forel e che invieranno le loro fibre al talamo, nei suoi nuclei del distretto anteriore in connessione con i
nuclei intralaminari.

57) DESCRIZIONE RAGGRUPPAMENTI NEURONALI DELL’IPOTALAMO

L’ipotalamo propriamente detto, deriva dalla lamina basale diencefalica ed è localizzato al di sotto del solco
ipotalamico di Monroe, con la sua superficie superiore rivolta verso il terzo ventricolo. Nonostante le sue ridotte
dimensioni, l’ipotalamo costituisce il centro di regolazione delle funzioni viscerali ed è collegato alla corteccia
cerebrale attraverso il talamo. E’ costituito da oltre 30 aree nucleari che si trovano nella parete laterale e nel
pavimento del III ventricolo, che possono essere schematizzati in tre raggruppamenti neuronali:

1. NUCLEI INTERMEDI, a livello dei quali si ha la produzione di ormoni che discendono lungo gli assoni per
raggiungere il lobo posteriore dell’ipofisi, la neuroipofisi; di questo gruppo i principali nuclei sono:

Ä Nucleo sopraottico, che produce ADH, ormone che interviene nel bilancio idroelettrolitico, il
neurosecreto discende lungo gli assoni formando i cosiddetti corpi di Herring, dei piccoli rigonfiamenti
a livello del peduncolo ipofisario, che rappresentano forme di depositi per ormoni;
Ä Nucleo paraventricolare, è situato più in alto rispetto al nucleo sopra-ottico ed è la sede di sintesi
dell’ossitocina;
2. NUCLEI MEDIALI, in cui è presente una lamina costituita da colonne verticali di neuroni disposti al di sotto
dell’ependima della parete laterale del 3° ventricolo, che mandano i loro prolungamenti nei distretti nella
regione infundibolare, ovvero nella zona di impianto del peduncolo ipofisario; tra questi, inferiormente al
nucleo sopraottico, vicino all’infundibolo, si evidenzia il nucleo arcuato (o arciforme);

3. NUCLEI LATERALI, suddivisi a loro volta in:


Ä nuclei che costituiscono il centro della sete, distinti in tre nuclei laterali (nucleo laterale anteriore,
nucleo laterale intermedio, nucleo laterale posteriore) che possiedono funzioni essenziali come
regolazione del bilancio idro elettrolitico;
Ä nuclei che costituiscono il centro della fame, un gruppo di neuroni che interviene nella regolazione
del metabolismo;
Ä nuclei che costituiscono il centro della temperatura, un raggruppamento implicato nella
termoregolazione che si realizza influenzando il metabolismo, ovvero stimolando processi catabolici.
DOMANDE DI NEUROANATOMIA
SISTEMA NERVOSO PERIFERICO
1. COSTITUZIONE DEI NERVI SPINALI AI VARI LIVELLI: ORGANIZZAZIONE DELLE FIBRE
DELL’ORTOSIMPATICO E PARASIMPATICO

Ogni nervo spinale è formato dall’unione della radice anteriore con la radice posteriore e si tratta di nervi misti.

§ La radice posteriore è prettamente sensitiva e sul suo decorso è intercalato il ganglio spinale, posto a livello
del foro intervertebrale. Nel ganglio spinale sono contenuti i corpi cellulari dei neuroni che vanno a formare
le fibre sensitive contenute nel nervo.
§ La radice anteriore dei nervi spinali è di natura motoria ed è composta esclusivamente da fibre nervose i
cui corpi cellulari sono contenuti in nuclei presenti nel midollo spinale.

Le radici anteriori e posteriori si riuniscono per formare i nervi spinali in vicinanza del foro intervertebrale. I nervi
spinali sono 31 paia, distinte in base all’origine in:

- 8 paia di nervi cervicali


- 12 paia di nervi toracici
- 5 paia di nervi lombari
- 5 paia di nervi sacrali
- 1 paio di nervi coccigei

Il nervo spinale si divide dopo un breve tratto in quattro rami:

1. Ramo meningeo: ramo ricorrente sensitivo che si distribuisce alle meningi del midollo spinale.
2. Ramo dorsale: è un ramo misto che si porta dorsalmente passando tra i processi trasversi di due vertebre
consecutive. Si divide in due branche (ramo mediale e laterale) e si distribuisce alla muscolatura profonda
del tronco e alle regioni cutanee situate di lato alla colonna vertebrale.
3. Ramo ventrale: ramo misto, innerva la muscolatura anterolaterale del tronco e quella degli arti e si
distribuisce alla cute delle regioni corrispondenti.
4. Rami comunicanti (bianco e grigio): sono presenti entrambi solo nei nervi da T1 a L2;
a) Ramo comunicante grigioà fibre post-gangliari che escono dal ganglio senza essere avvolti da
mielina, dove si è verificata una diffusione e amplificazione del segnale, e rientrano nel nervo spinale
e lo seguono fino alla periferia, andando a distribuirsi al territorio cutaneo, ossia alle ghiandole
sudoripare, ai muscoli erettori del pelo e alla muscolatura delle arterie periferiche (dove l’azione è
prevalentemente vasocostrittoria).
b) Ramo comunicante biancoà fibre pre-gangliari che escono, dal midollo [neuroni pre-gangliari
localizzati nel corno laterale, soltanto a livello toracico (da C8-T1 a L2)], assieme agli assoni delle fibre
motrici somatiche, e vengono immediatamente mielinizzati; penetrano con le radici anteriori nel nervo
spinale corrispondente, lo percorrono per un breve tratto e poi si staccano dal nervo per raggiungere il
ganglio simpatico paravertebrale, dove faranno sinapsi con più neuroni gangliari (da 10 a 40).

I gangli paravertebrali sono connessi ai corrispondenti nervi spinali mediante i rami comunicanti.

Quest’organizzazione è presente soltanto a livello toracico, in quanto non sono presenti i neuroni viscero effettori
(per assenza dei corni laterali nei mielomeri) a livello cervicale, lombare, sacrale e coccigeo. Quindi, sopra T1 e
sotto L2, mancano i rami comunicanti bianchi.

Il sistema nervoso ortosimpatico, però, si distribuisce dappertutto nel corpo in quanto alcuni assoni dei primi
neuroni viscero-effettori (T1-L2) quando arrivano nel ganglio paravertebrale, al posto di contrarre sinapsi, salgono,
dai mielomeri T1-T5, o scendono, da T6 in giù, formando i tronchi intergangliari, privi del rivestimento mielinico.
Questi rami comunicanti grigi, che si distaccano dai rispettivi gangli ortosimpatici, entrano poi nei nervi spinali
corrispondenti, che seguono fino alla periferia; il che spiega la presenza delle fibre ortosimpatiche anche nei nervi
spinali cervicali, lombari e sacrali.
2. CATENA DELL’ORTOSIMPATICO

Lateralmente alla colonna vertebrale si trova, da entrambi i lati, la catena dei gangli paravertebrali o
laterovertebrali che si estende dal livello cervicale a quello sacrale. Il numero dei gangli in ogni catena del
simpatico è inferiore al numero complessivo di mielomeri (31) perché alcuni gangli derivano dalla fusione di più
gangli. A livello cervicale, invece di avere 8 gangli, ce ne sono tre:

1. Il ganglio cervicale superiore (più voluminoso, costituito dalla fusione dei gangli C1-C2-C3-C4)
2. Il ganglio cervicale medio (C5-C6)
3. Il ganglio cervicale inferiore (formato da C7-C8 e a volte T1, in tal caso è detto cervico-toracico o stellato).

Oltre a questi, sono presenti 10-11 gangli toracici, 4 gangli lombari, 4 gangli sacrali e un unico ganglio coccigeo,
detto impari, in quanto costituisce il punto di convergenza delle due catene dell’ortosimpatico, di destra e di sinistra.

I gangli paravertebrali sono connessi ai corrispondenti nervi spinali mediante rami comunicanti, distinti in:

o bianchi, fibre pre-gangliari che escono, dal midollo [neuroni pre-gangliari localizzati nel corno laterale,
soltanto a livello toracico (da C8-T1 a L2)], assieme agli assoni delle fibre motrici somatiche, e vengono
immediatamente mielinizzati; penetrano con le radici anteriori nel nervo spinale corrispondente, lo
percorrono per un breve tratto e poi si staccano dal nervo per raggiungere il ganglio simpatico paravertebrale,
dove faranno sinapsi con più neuroni gangliari (da 10 a 40).

o grigi, fibre post-gangliari che escono dal ganglio, dove si è verificata una diffusione e amplificazione del
segnale, sprovvisti di mielina e rientrano nel nervo spinale seguondolo fino alla periferia, andando a
distribuirsi al territorio cutaneo, ossia alle ghiandole sudoripare, ai muscoli erettori del pelo e alla muscolatura
delle arterie periferiche (dove l’azione è prevalentemente vasocostrittoria).

Quest’organizzazione è presente soltanto a livello toracico, in quanto non sono presenti i neuroni viscero effettori
(per assenza dei corni laterali nei mielomeri) a livello cervicale, lombare, sacrale e coccigeo. Quindi, sopra T1 e
sotto L2, mancano i rami comunicanti bianchi.

Il sistema nervoso ortosimpatico, però, si distribuisce dappertutto nel corpo in quanto alcuni assoni dei primi
neuroni viscero-effettori (T1-L2) quando arrivano nel ganglio paravertebrale, al posto di contrarre sinapsi, salgono,
dai mielomeri T1-T5, o scendono, da T6 in giù, formando i tronchi intergangliari, sprovvisti del rivestimento
mielinico. Questi rami comunicanti grigi, che si distaccano dai rispettivi gangli ortosimpatici, entrano poi nei nervi
spinali corrispondenti, che seguono fino alla periferia; il che spiega la presenza delle fibre ortosimpatiche anche nei
nervi spinali cervicali, lombari e sacrali. Si ricordi che l’azione ortosimpatica a livello muscolare è differente da
quella a livello del letto vascolare cutaneo, dove esercita un’azione vasocostrittoria.

Quando si compie uno sforzo fisico importante, si utilizzano tutti i muscoli, che necessitano, dunque, di un maggiore
apporto dell’ossigeno, questo si realizza mediante la vasodilatazione delle arterie muscolari, effetto
dell’ortosimpatico.

L’innervazione di alcune strutture del capo, collo e torace discostano da entrambi gli schemi appena visti
dell’innervazione ortosimpatica: le fibre ortosimpatiche post-gangliari emergono direttamente dai gangli cervicali
e toracici, senza entrare nei nervi spinali, andando a formare dei plessi che si dispongono attorno alle strutture.

3. NERVO CAROTICO INTERNO

L’innervazione di alcune strutture del capo, collo e torace discostano dallo schema generale dell’innervazione
ortosimpatica: le fibre ortosimpatiche post-gangliari emergono direttamente dai gangli cervicali e toracici, senza
entrare nei nervi spinali.

Il nervo carotico interno origina dall’estremità superiore del ganglio cervicale superiore ed è formato da fibre post-
gangliari che si dispongono attorno all’arteria carotide interna formando un plesso (carotico interno) che seguirà
l’arteria carotide interna, ed i suoi rami di divisione, fino all’interno della cavità cranica. Queste fibre saranno
responsabili, dunque, dell’innervazione ortosimpatica dei vasi cerebrali.
Inoltre, il plesso carotico fornisce la radice simpatica del ganglio ciliare, che lo attraversa senza interrompersi (le
fibre non fanno sinapsi in quanto sono già post-gangliari) andando all’occhio mediante i nervi ciliari brevi per
innervare il muscolo dilatatore della pupilla, producendo midriasi. Il riflesso di MIDRIASI è un esempio di risposta
localizzata dell’ortosimpatico (diffusa e generalizzata in altri casi).

Ø La luce attiva i nuclei tettali del mesencefalo che provocano una propagazione del segnale, per mezzo del
fascio tetto-spinale che scende lungo il tronco encefalico ed il tratto cervicale del midollo, fino al centro
cilio-spinale, formato da neuroni viscero-effettori localizzati nel corno laterale dei mielomeri T1-T2-T3.
Le fibre pre-gangliari risalgono lungo la catena dell’ortosimpatico, mediante i tronchi intergangliari, fino
al ganglio cervicale superiore, dove contraggono sinapsi, dal quale parte la risposta post-gangliare mediante
il plesso carotico interno che cede la radice simpatica al ganglio ciliare, che dà luogo ai nervi ciliari brevi
che vanno ad innervare i muscoli dilatatori della pupilla. Questa via richiede un tempo di esecuzione più
lungo di quello della miosi.

Dal nervo carotico interno originano, inoltre:

§ Fibre che entrano nella cavità orbitaria lungo l’arteria oftalmica o attraverso il nervo naso-ciliare ed i nervi
ciliari lunghi, per arrivare ad innervare i vasi del bulbo oculare;
§ Nervo petroso profondo, che confluisce con il grande petroso superficiale per dare il nervo vidiano,
deputato, una volta attraversato il ganglio pterigo-palatino, all’innervazione delle ghiandole lacrimali,
palatine, nasali e faringee;
§ Nervi carotico-timpanici superiore ed inferiore, che partecipano alla formazione del plesso timpanico.

4. NERVI CARDIACI CERVICALI

Da ognuno dei tre gangli cervicali, origina un nervo diretto al cuore. I nervi cardiaci superiore, medio ed
inferiore dal collo discendono nel torace terminando alla base del cuore, dove contribuiscono alla formazione del
plesso cardiaco, alla cui costituzione partecipano anche rami parasimpatici di origine vagale (superiore, medio e
inferiore), che giungono al cuore assieme a fibre provenienti dai primi mielomeri toracici (T1-T5).

Le fibre ortosimpatiche raccolgono, inoltre, anche la sensibilità viscerale della parete delle arterie coronarie (ciò
implica che, bloccando con un anestetico il ganglio cervicale stellato, si bloccano anche le fibre sensitive viscerali
dolorifiche e si può bloccare l’angina pectoris, letteralmente, dolore al torace causata da un temporaneo scarso
afflusso di sangue al cuore che determina mancanza di ossigeno al tessuto cardiaco. Il fenomeno prende anche il nome
di ischemia, reversibile in quanto non arriva al punto di provocare danno cardiaco permanente. La malattia si manifesta
abitualmente con dolore toracico improvviso, acuto e transitorio).

In assenza di innervazione i nodi seno-atriale e atrio-ventricolare del tessuto di conduzione cardiaco avrebbero una
frequenza costante; l’ortosimpatico aumenta tale frequenza, il parasimpatico la diminuisce.

5. GANGLI CERVICALI MEDIO E INFERIORE CON I RELATIVI RAMI

Il ganglio cervicale medio è uno dei tre gangli del sistema ortosimpatico a livello cervicale; è di piccole dimensioni,
motivo per cui spesso non è visibile macroscopicamente ma si presenta sotto forma di piccole isole cellulari disposte
nel contesto del ramo intergangliare (o cordone intermedio), ed è localizzato al davanti del processo trasverso
della quarta e quinta vertebre cervicali (C4-C5).

Da questo ganglio originano:

• Nervo cardiaco medio,


• Ramo tiroideo,
• Rami tracheali,
• Rami esofagei,
• Rami diretti ai plessi attorno alle arterie succlavia e vertebrale.
Il ganglio cervicale inferiore è frequentemente fuso con il primo ganglio toracico formando il ganglio cervico-
toracico o stellato che si presenta come una formazione fusata di 2 cm di lunghezza e di 1 cm di larghezza,
localizzata anteriormente al collo della prima costa e contrae rapporti in avanti con la cupola pleurica e con
l’arteria succlavia.

Da questo ganglio originano:

• Nervo cardiaco inferiore;


• Rami diretti ai plessi attorno alle arterie succlavia e vertebrale.

6. GANGLI PREVERTEBRALI ADDOMINALI DELL’ORTOSIMPATICO

I visceri addominali ricevono le fibre ortosimpatiche attraverso uno schema organizzativo peculiare, costituito da
fibre pre-gangliari che emergono direttamente dai gangli para-vertebrali da T5 a L2, dai corrispondenti gangli in cui
queste fibre fanno sinapsi (gangli pre-vertebrali) e dai plessi nervosi post-gangliari che emergono da tali gangli.

I gangli ortosimpatici pre-vertebrali sono localizzati nella cavità addominale all’origine dei grossi rami dell’aorta
addominale, da cui prendono nome:

§ Ganglio celiaco, solitamente formato da 3-5 gangli disposti attorno al tronco celiaco;
§ Ganglio mesenterico superiore;
§ Ganglio mesenterico inferiore;
§ Ganglio aortico-renale.

I rami emergenti dai gangli para-vertebrali per raggiungere i suddetti gangli pre-vertebrali, si organizzano nei
seguenti nervi splancnici:

o Nervo grande splancnico, che si forma all’interno della cavità toracica dalla confluenza delle fibre pre-
gangliari che emergono dai gangli para-vertebrali da T5 a T9, attraversa il diaframma e termina
ramificandosi a livello del ganglio celiaco e degli altri gangli pre-vertebrali.
o Nervo piccolo splancnico, che origina da T10 e T11, scende anch’esso attraverso il diaframma nella cavità
addominale e termina in corrispondenza dei gangli celiaco, mesenterico superiore, inferiore e aortico-renale.
o Nervo minimo splancnico, che origina in modo incostante dal ganglio paravertebrale T12 e termina
prevalentemente a livello del ganglio aortico-renale.
o Nervi splancnici lombari, che originano dai gangli para-vertebrali L1 ed L2 e si dirigono ai gangli
mesenterici superiore ed inferiore ed ai gangli aortico-renali, pur con una certa variabilità di origine e
destinazione.

Le fibre post-gangliari che originano dai gangli prevertebrali si ramificano in complesse strutture plessiformi che
giungono ai visceri addominali seguendo prevalentemente i diversi rami arteriosi.

7. POSIZIONE, AFFERENZE ED EFFERENZE DEL GANGLIO CELIACO

Il ganglio celiaco è uno dei gangli pre-vertebrali dell’ortosimpatico, localizzati nella cavità addominale all’origine
dei grossi rami dell’aorta addominale; esso, in particolare, è formato da 3-5 gangli semilunari (di circa 1 cm di
lunghezza e 0,5 cm di larghezza) disposti attorno al tripode celiaco.

Dal punto di vista delle afferenze:

§ Il ganglio celiaco destro, oltre alle afferenze simpatiche, riceve sul margine laterale l’afferenza del grande
nervo splancnico (che si forma all’interno della cavità toracica dalla confluenza delle fibre pre-gangliari
che emergono dai gangli para-vertebrali da T5 a T9, attraversa il diaframma e termina ramificandosi a
livello del ganglio) mentre sul margine mediale si trova il tronco vagale posteriore, terminazione del vago
destro, Questi nervi, formano con il ganglio un’ansa nervosa (ansa memorabile di Wrisberg).

§ Il ganglio celiaco sinistro riceve sul margine laterale solo il nervo grande splancnico sinistro.
Su entrambi i gangli giungono i rami terminali dei nervi frenici e rami terminali dei nervi piccoli splancnici (che
originano dai gangli para-vertebrali T10 e T11, scendono attraverso il diaframma nella cavità addominale,
terminando in corrispondenza dei gangli celiaci).

Dal punto di vista delle efferenze, le fibre del ganglio celiaco, assieme alle fibre provenienti dai rami terminali del
nervo frenico e nervo vago di destra, vanno a costituire il plesso celiaco che si estende al davanti dell’aorta fra il
tripode celiaco e la mesenterica superiore, da cui dipartono le fibre perivascolari che seguono il decorso delle arterie
collaterali dell’aorta addominale e che costituiscono, attorno ad ogni arteria, formazioni plessiformi secondarie.

8. NERVO PICCOLO E GRANDE SPLANCNICO

I nervi splancnici sono frutto di organizzazione dei rami emergenti dai gangli para-vertebrali delle catene
dell’ortosimpatico, per raggiungere i corrispondenti gangli pre-vertebrali, localizzati nella cavità addominale
all’origine dei grossi rami dell’aorta addominale, da cui prendono il nome.

o Nervo piccolo splancnico, che origina dai gangli para-vertebrali di T10 e T11, scende attraverso il
diaframma nella cavità addominale e termina in corrispondenza dei gangli mesenterico superiore,
inferiore e aortico-renale.
o Nervo grande splancnico, che si forma all’interno della cavità toracica dalla confluenza delle fibre pre-
gangliari che emergono dai gangli para-vertebrali da T5 a T9, attraversa il diaframma e termina
ramificandosi a livello del ganglio celiaco e degli altri gangli pre-vertebrali.

9. NERVI SPLANCNICI LOMBARI

I nervi splancnici lombari originano dai gangli para-vertebrali L1 ed L2 e si dirigono ai gangli mesenterici
superiore ed inferiore ed ai gangli aortico-renali, pur con una certa variabilità di origine e destinazione. Le fibre
post-gangliari che originano dai gangli prevertebrali si ramificano in complesse strutture plessiformi che giungono
ai visceri addominali seguendo prevalentemente i diversi rami arteriosi.

§ Dal ganglio celiaco emergono fibre post-gangliari che si distribuiscono ai visceri della loggia
sovramesocolica utilizzando le arterie provenienti dal tronco celiaco (a. splenica, gastroepatica e gastrica
sx) e dirette sia alle pareti arteriose che alle pareti dei visceri;
§ Dal ganglio mesenterico superiore emergono fibre post-gangliari che si distribuiscono, attraverso le
ramificazioni dell’arteria mesenterica superiore, all’intestino tenue e alla metà destra del crasso
(cieco, colon ascendente e metà destra del colon trasverso);
§ Dal ganglio mesenterico inferiore emergono fibre post-gangliari che si distribuiscono alla metà sinistra
dell’intestino crasso (metà sinistra del colon trasverso, colon discendente, sigma e retto).

Nella parete muscolare dei visceri l’ortosimpatico svolge un ruolo antagonista al parasimpatico:

- A livello dello stomaco, per esempio, l’ortosimpatico controlla lo sfintere pilorico e lo mantiene
tonicamente chiuso, mentre il parasimpatico aumenta la peristalsi e determina l’apertura degli sfinteri,
favorendo la progressione degli alimenti lungo il tubo digerente.

Alcune fibre pre-gangliari passano per il ganglio aortico-renale senza contrarre sinapsi, e si dirigono direttamente
alla midollare del surrene dove stimolano la secrezione di Adr e NorAdr.

Nei nervi splancnici non decorrono soltanto fibre ortosimpatiche pre-gangliari ma anche fibre sensitive viscerali
che raccolgono la sensibilità dai visceri vascolarizzati dai rami del tripode celiaco, dalle mesenteriche superiore e
inferiore. La sensibilità viscerale comprende, per esempio, il bruciore di stomaco, il senso di pienezza, di gonfiore,
di distensione, di crampi, dolori provocati da ulcera. I dolori che provengono dai visceri vengono spesso riferiti ad
un territorio cutaneo perché l’afferenza delle fibre viscerali converge sugli stessi gangli che innervano il
territorio cutaneo sede del dolore riferito. A volte, però il segnale dolorifico viene trasmesso da entrambi i
sistemi: un’ulcera gastrica può interessare, oltre alla parete dello stomaco, il peritoneo e la parete posteriore
dell’addome, innervati dai nervi spinali.
10. INNERVAZIONE DEI VISCERI PELVICI

L’innervazione viscerale delle strutture pelviche non innervate dai nervi spinali è mediata da:
• Plesso ipogastrico superiore, impari, costituito da una complessa rete di fibre nervose posta davanti al corpo
della vertebra L5 ed al promontorio sacrale; da esso dipartono, verso il basso e lateralmente, i cosiddetti “nervi
ipogastrici”, delle strutture plessiformi di connessione con i plessi ipogastrici inferiori.
• Plesso ipogastrico inferiore, pari, si trova lateralmente ai visceri pelvici nella fascia pelvica; da esso si staccano
i rami per le singole strutture viscerali.
I plessi ipogastrici presentano:

o una componente sensitiva viscerale, che conduce l’impulso sensitivo al midollo spinale entrando nella
costituzione dei nervi splancnici lombari e sacrali (ortosimpatici) e pelvici (parasimpatici);
o una componente motoria viscerale, sia parasimpatica che ortosimpatica;

In particolare, la componente ortosimpatica del plesso ipogastrico superiore è rappresentata da:

§ fibre ortosimpatiche post-gangliari che scendono dal ganglio mesenterico inferiore e che in parte
andranno a far parte dei nervi ipogastrici e dei plessi ipogastrici inferiori;
§ fibre ortosimpatiche pre-gangliari che emergono direttamente dai gangli para-vertebrali lombari (L3-L4),
di cui una parte minoritaria fa sinapsi con neuroni contenuti in piccoli gangli ortosimpatici localizzati nel
contesto di questo plesso e una parte maggioritaria che scende nel plesso ipogastrico inferiore attraverso i
nervi ipogastrici.

Il plesso ipogastrico inferiore, oltre a ricevere le fibre di cui sopra, riceve un ulteriore contingente di fibre
ortosimpatiche pre-gangliari che emergono direttamente dai gangli paravertebrali sacrali (nervi splancnici sacrali).

Nel contesto del plesso ipogastrico inferiore si trovano dei gangli ortosimpatici peculiari, che si trovano in più
stretto rapporto con la colonna vertebrale rispetto ai gangli pre- e para-vertebrali, e da cui originano fibre post-
gangliari che, assieme alle fibre provenienti dai nervi ipogastrici, vanno ad innervare i visceri della pelvi.

La componente parasimpatica, invece, è costituita da fibre pre-gangliari che emergono direttamente dai nervi spinali
S2-S3-S4, i cosiddetti nervi splancnici pelvici. Le fibre si intrecciano con le altre componenti del plesso ipogastrico
inferiore e fanno sinapsi con i piccoli gangli localizzati in rapporto con le strutture viscerali pelviche.

Una parte di queste fibre pre-gangliari risale attraverso i nervi ipogastrici per andare ad innervare (previa sinapsi
nei piccoli gangli parasimpatici) strutture che si trovano in cavità addominale, quali uretere, vescica, sigma, colon
discendente e metà sinistra del colon trasverso.

11. PLESSO IPOGASTRICO INFERIORE

Il plesso ipogastrico inferiore (o pelvico) rappresenta il plesso del simpatico più esteso ed è costituito da numerosi
gangli e fibre simpatiche intrecciate tra loro. È localizzato ai lati delle pareti posterolaterali della pelvi e decorre
dall’avanti all’indietro, estendendosi, in tal modo, attorno al trigono vescicale e, più indietro, al retto; nella donna
abbraccia anche l’utero e il tratto superiore della vagina. È in rapporto:

- Inferiormente con il muscolo elevatore dell’ano;


- Superiormente con la fascia superiore del diaframma pelvico e con il peritoneo della regione.

Il plesso ipogastrico inferiore è costituito da fibre ortosimpatiche post-gangliari (provenienti dal tronco
dell’ortosimpatico e dal plesso ipogastrico superiore) e da fibre parasimpatiche pre-gangliari che viaggiano
assieme alle fibre viscerali del plesso pudendo.

I rami efferenti sono satelliti delle arterie iliache interne (ipogastriche) e vanno a formare i plessi secondari:
emorroidario medio, vescicale (in entrambi i sessi); prostatico, deferenziale e i nervi cavernosi del pene (nel
maschio); uterovaginale e nervi cavernosi del clitoride (nella femmina).
Il suddetto plesso, tramite le sue fibre simpatiche, esercita, in antagonismo con il parasimpatico sacrale, un’azione
facilitatoria sulla vasocostrizione e sulla stimolazione della contrazione degli sfinteri uretrali e anali, della
muscolatura liscia della prostata e delle vescichette seminali; e stimola la contrazione della muscolatura liscia delle
vie spermatiche facilitando l’eiaculazione, in collaborazione con il parasimpatico sacrale che stimola, invece,
l’erezione.

12. PARASIMPATICO SACRALE

Il sistema nervoso parasimpatico presenta i neuroni centrali in due sedi: a livello del tronco encefalico, in cui si
raggruppano in cinque nuclei separati tra loro, e nel midollo spinale sacrale, tra il corno anteriore ed il corno
posteriore di S2-S3-S4. Quest’ultimo costituisce il parasimpatico sacrale che invia le fibre pregangliari al plesso
ipogastrico inferiore, da cui si distribuiscono a tutti i visceri pelvici ed entrano nella costituzione dei nervi
ipogastrici, attraverso i quali risalgono in cavità addominale per innervare il retto, il sigma, il colon discendente e
la metà sinistra del colon trasverso, nonché gli ureteri e la vescica.

Per quanto riguarda la stimolazione parasimpatica di quest’ultima, essa genera una contrazione riflessa del muscolo
detrusore della vescica e il rilascio dello sfintere uretrale. Il sistema parasimpatico sacrale, inoltre, collabora con
l’ortosimpatico a livello dell’apparato riproduttore maschile, dove determina l’erezione del pene, mentre
l’eiaculazione è mediata dall’ortosimpatico.

13. NUCLEI PARASIMPATICI DEL ROMBENCEFALO

Il sistema parasimpatico encefalico è costituito nuclei separati tra loro, ovvero i nuclei motori viscerali
parasimpatici del tronco encefalico:

1) Nucleo di Edinger-Westphal, componente viscero-motrice del III n.c., situato a livello del collicoli
superiori, nel mesencefalo rostrale, medialmente e dorsalmente al nucleo motore somatico
dell’oculomotore; rappresenta la sede del primo neurone parasimpatico, mentre il secondo è localizzato
a livello del ganglio ciliare, media, previa sinapsi nel quale, media l’innervazione del muscolo costrittore
della pupilla (determinando il restringimento della pupilla, miosi) e del muscolo ciliare (determinando il
rilascio della capsula del cristallino, che aumenta la sua curvatura anteriore e quindi il potere di
convergenza, accomodazione).

2) Nucleo salivatorio superiore, localizzato nel ponte, media l’innervazione:


§ previa sinapsi nel ganglio pterigopalatino, delle ghiandole lacrimali, nasali, palatine e faringee,
§ previa sinapsi nel ganglio sottomandibolare, delle ghiandole salivari sottomandibolari,
sottolinguali e salivari minori.
3) Nucleo salivatorio inferiore, localizzato al passaggio tra ponte e bulbo encefalico; media
l’innervazione, previa sinapsi nel ganglio otico, della parotide.
4) Nucleo motore dorsale del vago, NMDV che si trova a livello bulbare, forma l’ala cinerea o trigono del
vago, subito lateralmente all’ala bianca interna (trigono dell’ipoglosso) e subito medialmente all’ala
bianca esterna (o trigono vestibolare). Previa sinapsi nei gangli parasimpatici localizzati nelle pareti dei
visceri, le fibre entrano nella composizione del nervo vago, che media a sua volta l’innervazione della
maggior parte delle strutture viscerali toraco-addominali (mentre quelle intrapelviche sono di interesse
del parasimpatico sacrale, S2-S3- S4).

Esiste un 5° nucleo parasimpatico rombencefalico, il nucleo ambiguo, NMVV, che, a differenza degli altri quattro,
è un nucleo motore somatico branchiale, ma che ha una componente con significato motorio viscerale
parasimpatico, diretta soprattutto al cuore. E’ un nucleo particolare, costituito da una colonna di nuclei disposti in
profondità del bulbo, nel contesto della formazione reticolare. Si trova allo stesso livello del nucleo motore dorsale
del vago, ma in posizione più ventrale (per questo è detto anche nucleo motore ventrale del vago), dietro al nucleo
accessorio dorsale del complesso olivare inferiore.
14. NUCLEO SALIVATORIO SUPERIORE

Il nucleo salivatorio superiore, localizzato nel ponte, subito al confine con il bulbo, manda le sue fibre
parasimpatiche pre-gangliari al nervo facciale (VII) che, tramite i suoi collaterali intrapetrosi, nervo grande
petroso superficiale che si unisce al nervo petroso profondo (formando il nervo vidiano che si porta attraverso il
canale pterigoideo dello sfenoide nel ganglio pterigopalatino), e corda del timpano che si unisce al nervo linguale
(ramo del mandibolare, VIII), portandosi al ganglio sottomandibolare.

Il ganglio pterigo-palatino (o sfeno palatino o di Meckel) si trova all’interno della fossa pterigo-palatina, al
davanti del canale pterigoideo e sotto al nervo mandibolare. Dal ganglio le fibre post-gangliari si portano:

alla ghiandola lacrimale mediante il nervo zigomatico;


alle ghiandole nasali, palatine e faringee, mediante i rami nasali, nasopalatini e faringei;

Dal ganglio sottomandibolare: le fibre post-gangliari si portano

alle ghiandole salivari sottomandibolare e sottolinguale mediante i rami ghiandolari corrispondenti.

15. NERVO FACCIALE (VII): ORIGINE, DECORSO E TERRITORIO D’INNERVAZIONE

Il nervo facciale è un nervo misto motore somatico e viscerale che presenta la sua origine apparente dal solco bulbo-
pontino della superficie ventrale del tronco, medialmente al punto di emergenza della radice vestibolare del nervo
statoacustico (VIII).

Esso è scomposto nel nervo intermedio (di Wrisberg), più laterale, nel quale si trovano le componenti viscerali,
sia motorie che sensitive speciali e generali, e nel nervo faciale propriamente detto, più mediale, costituito dalle
fibre motorie somatiche.

Le componenti del faciale entrano nel meato acustico interno, nel cui fondo si portano nel canale del facciale.
Quest’ultimo è caratterizzato da un decorso particolare: segue inizialmente la direzione della piramide del
temporale, portandosi lateralmente e in avanti, ma poi piega bruscamente in basso e indietro (formando il ginocchio
del facciale, a livello del quale si colloca il ganglio sensitivo del faciale, il ganglio genicolato) per raggiungere,
infine, il forame stilo-mastoideo, attraverso cui lascia la base cranica. Una volta fuoriuscito, si porta in avanti
entrando nella ghiandola parotide, dove fornisce i suoi rami terminali che formano il plesso parotideo e si
distribuiscono, una volta emersi, ai muscoli mimici.

Nel suo decorso nel canale del facciale, nel contesto della rocca petrosa, il nervo facciale cede dei RAMI
COLLATERALI INTRAPETROSI:

• Nervo grande petroso superficiale, costituito da:


o Fibre parasimpatiche pre-gangliari e da fibre afferenti viscerali speciali e gustative che mediano
l’innervazione del palato molle. Esso si stacca dal facciale in corrispondenza del ganglio genicolato ed
esce dal canale del facciale tramite lo hiatus maior (l’orifizio del grande petroso superficiale), percorrendo
la faccia superiore della piramide del temporale fino al forame lacero, attraversa la cui membrana
fibrocartilaginea lascia la fossa cranica. Al di fuori di questa, confluirà con il nervo petroso profondo per
dare il nervo vidiano che si porta attraverso il canale pterigoideo dello sfenoide nel ganglio pterigopalatino.
Da questo, le fibre post-gangliari si portano alla ghiandola lacrimale mediante il nervo zigomatico, alle
ghiandole nasali, palatine e faringee, mediante rami nasali, nasopalatini e faringei.
o Fibre afferenti viscerali speciali gustative;
o Fibre afferenti viscerali generali dal plesso timpanico, per la mucosa del palato molle e della faringe;
o Fibre motrici somatiche branchiali per i muscoli elevatore del palato ed azygos dell’ugola;

• Corda del timpano: origina dal tratto verticale del faciale, e, con decorso ricorrente, penetra nell’orecchio
medio, decorrendo lungo il margine superiore della membrana timpanica, per poi fuoriuscire mediante la fessura
petro-timpanica di Glaser. Da qui si dirige in avanti e in basso, lungo il margine mediale della spina dello
sfenoide e, in corrispondenza del margine inferiore del muscolo pterigoideo interno, piega ad angolo acuto per
unirsi al nervo linguale (ramo del mandibolare, VIII).
Nella costituzione della corda del timpano rientrano:

o fibre sensitive viscerali speciali gustative per i 2/3 anteriori della lingua, per la mucosa del pavimento orale
e per la gengiva inferiore (originate dal ganglio genicolato del facciale);
o fibre motrici viscerali ortosimpatiche post-gangliari originatesi dal ganglio cervicale superiore e destinate
alle componenti vascolari delle ghiandole sottomandibolare e sottolinguale.
o fibre motrici viscerali parasimpatiche pre-gangliari destinate all’innervazione, previa sinapsi nel ganglio
sottomandibolare, delle ghiandole sottomandibolare, sottolinguale e salivari minori della lingua.
• Nervo per il muscolo stapedio, il più piccolo muscolo del corpo, che, inserito alla base della staffa, rappresenta
un meccanismo di difesa nei confronti dei rumori troppo forti.

Una volta uscito dal foro stilomastoideo, prima di entrare nel contesto della parotide, dà origine a tre RAMI
COLLATERALI: nervo auricolare posteriore, nervo stiloioideo e nervo digastrico.

Entra poi nel contesto della parotide dove si divide nei suoi cinque RAMI TERMINALI: rami temporali,
zigomatici, buccali, ramo marginale della mandibola, ramo del collo per il muscolo platysma.

16. ORIGINE E DECORSO CORDA DEL TIMPANO

La corda del timpano è uno dei tre rami infrapetrosi del nervo facciale (VII) e origina dal tratto verticale del nervo
faciale, circa 5 millimetri al di sopra del forame stilo-mastoideo. Con decorso ricorrente, perfora il canale del faciale
dirigendosi nella cavità del timpano. Penetra nell’orecchio medio, scorre lungo il margine superiore della membrana
timpanica, applicata alla superficie mediale della base del martello dalla mucosa, e fuoriesce dalla cavità timpanica
tramite la fessura petro-timpanica (di Glaser).

Si dirige poi in basso e in avanti sulla faccia mediale della spina dello sfenoide e passa profondamente al muscolo
pterigoideo esterno e postero-lateralmente al muscolo tensore del velo del palato. Passa medialmente alle radici del
nervo auricolo-temporale e del nervo alveolare inferiore e infine piega ad angolo acuto in corrispondenza del
margine inferiore del muscolo pterigoideo esterno e si unisce al nervo linguale.

Nella sua costituzione rientrano:

1. Fibre motrici viscerali parasimpatiche pregangliari, che, previa sinapsi nel ganglio
sottomandibolare, innervano le ghiandole sottomandibolare e sottolinguale, nonché parte delle
ghiandole salivari minori della lingua;
2. Fibre motrici viscerali ortosimpatiche post-gangliari: dal plesso timpanico raggiungono la corda
del timpano e, senza interrompersi nel ganglio sottomandibolare, si distribuiscono alle ghiandole
sottomandibolare e sottolinguale, con particolare riferimento alla loro vascolarizzazione;
3. Fibre sensitive viscerali speciali (gustative), originate dal ganglio genicolato, che, tramite il nervo
linguale, raggiungono la mucosa dei 2/3 anteriori della lingua, escluse le papille vallate, nonché la
mucosa del pavimento della cavità orale e la superficie linguale della gengiva inferiore.

17. GANGLIO PTERIGO-PALATINO E DECORSO DELLE SUE FIBRE

Il ganglio pterigo-palatino (o di Meckel) è un ganglio nervoso di forma triangolare, appiattita, situato nella fossa
pterigo-palatina, al davanti del canale pterigoideo e al di sotto del nervo mandibolare.

Nella sua costituzione rientrano le fibre parasimpatiche pre-gangliari che derivano dal nucleo salivatorio
superiore ed emergono dal tronco encefalico con il nervo faciale (che abbandonano a livello del suo ginocchio
esterno) assieme al nervo grande petroso superficiale; questo si unisce successivamente al nervo petroso
profondo (le cui fibre, ortosimpatiche post-gangliari, derivano dal plesso del nervo carotico interno, proveniente
dal ganglio cervicale superiore) originando così il nervo vidiano (o pterigo-palatino), che arriva nella fossa
pterigo-palatina attraverso il canale omonimo.

- La componente post-gangliare del nervo vidiano (fibre ortosimpatiche, nervo petroso profondo) attraverserà
il ganglio senza contrarre sinapsi, andando ad innervare le strutture a cui sono destinati i suoi rami.
- La componente pre-gangliare del nervo vidiano (fibre parasimpatiche, nervo grande petroso superficiale)
farà sinapsi a livello del suddetto ganglio e darà origine alle fibre parasimpatiche post-gangliari che
daranno a loro volta origine ai nervi nasali, nervi faringei, nervi palatini maggiore e minore per innervare le
rispettive ghiandole nasali, faringee e palatine. Il ganglio pterigo-palatino, grazie alle sue connessioni
nervose con il nervo mascellare, manda fibre post-gangliari anche ad innervare la ghiandola lacrimale.

Il nervo mascellare, infatti, passando per il foro rotondo, va, in stretta vicinanza con il ganglio pterigo-palatino, dalla
fossa cranica media alla fossa pterigo-palatina, qui si divide nei suoi rami terminali, i nervi infraorbitario e
zigomatico, che entrano nella cavità orbitaria tramite la fessura orbitaria inferiore.

Durante il suo decorso nella fossa pterigo-palatina, il nervo mascellare è collegato al ganglio tramite dei rami di
connessione (rami pterigo-palatini) che trasportano fibre di natura e significato diversi:

§ Fibre sensitive, che dal nervo mascellare passano attraverso il ganglio senza interrompersi;
§ Fibre ortosimpatiche trasportate dal nervo petroso profondo;
§ Fibre parasimpatiche post-gangliari che escono dal ganglio ed entrano nel nervo mascellare, in particolare
nel nervo zigomatico che, all’interno della cavità orbitaria, è connesso con il nervo lacrimale mediante un
ramo anastomotico nervoso; attraverso questi, le fibre parasimpatiche post-gangliari giungono ad innervare
la ghiandola lacrimale.

Il ganglio pterigo-palatino è attraversato, inoltre, dalle fibre sensitive viscerali speciali di carattere gustativo (fibre
del nervo grande petroso).

18. GANGLIO OTICO: POSIZIONE, AFFERENZE ED EFFERENZE

Il ganglio otico (chiamato così perché posto vicino all’orecchio) è un piccolo ganglio parasimpatico, di forma
ellissoidale posto subito sotto il forame ovale, nella cui composizione rientrano:

§ la radice parasimpatica, rappresentata dal nervo piccolo petroso superficiale, che porta fibre pre-gangliari
del glossofaringeo, originate dal nucleo salivatorio inferiore, al ganglio dove contraggono sinapsi. Le fibre
post-gangliari corrispondenti si incorporano, attraverso un ramo anastomotico, nel nervo auricolo-
temporale per raggiungere la ghiandola parotide.

§ La radice ortosimpatica, proveniente dal plesso meningeo medio e contenente fibre post-gangliari nate dal
ganglio cervicale superiore che, attraversato il ganglio otico senza interrompersi, raggiungono la parotide
assieme alle fibre parasimpatiche. Sono fibre destinate ai vasi sanguigni della parotide.

19. GANGLIO CILIARE

Il ganglio ciliare è un piccolo rigonfiamento appiattito, di circa 1-2 mm, localizzato nello spessore della massa
adiposa presente nella regione posteriore della cavità orbitaria, in particolare, dietro al bulbo oculare fra il muscolo
retto laterale e il nervo ottico, lateralmente all’arteria oftalmica. Esso è formato da neuroni multipolari ed è una sede
di raccordo solo per le fibre parasimpatiche (tre rami afferenti), mentre le fibre ortosimpatiche e sensitive lo
attraversano semplicemente.

1. La radice parasimpatica motoria (radice breve), che arriva al ganglio attraverso il ramo dell’oculomotore
per il muscolo obliquo inferiore, è formata da fibre pre-gangliari che originano nel nucleo parasimpatico
encefalico di Edinger-Westphal e terminano contraendo sinapsi con i neuroni del ganglio.
2. La radice sensitiva (radice lunga), formata da fibre sensitive che provengono dal bulbo oculare, arrivano
al ganglio con i nervi ciliari brevi, i quali lo attraversano senza interrompersi e, mediante i nervi ciliari
lunghi, raggiungono il nervo naso-ciliare.

Dal polo anteriore del ganglio originano numerosi rami efferenti, da otto a dieci esili filamenti, denominati nervi
ciliari brevi, che contengono fibre sia motorie sia sensitive, le cui fibre parasimpatiche post-gangliari raggiungono
il muscolo ciliare (movimento dell’accomodazione) ed il muscolo costrittore della pupilla (miosi).
3. La radice simpatica, un ramo proveniente dal plesso carotico interno, può raggiungere il ganglio
direttamente, oppure attraverso la radice sensitiva. È costituita da fibre post-gangliari che originano dal
ganglio cervicale superiore, attraversano il ganglio ciliare senza interrompersi e ne escono passando nei
nervi ciliari brevi, distribuendosi ai vasi sanguigni del bulbo oculare. Alcune fibre sono destinate al muscolo
dilatatore della pupilla (riflesso di midriasi), la maggior parte però passano nell’oftalmico, nel naso-ciliare
e nei nervi ciliari lunghi.

20. NERVO OTTICO E VIA VISIVA

Le cellule gangliari della retina convergono nel polo posteriore dell’occhio formando la papilla ottica (punto
cieco della retina), le fibre ottiche perforano la sclera (area cribrosa), si rivestono di guaina mielinica e
costituiscono il nervo ottico. La mielina che avvolge il nervo è fatta di oligodendrociti, non cellule di Schwann
come tutti i nervi del SNP, motivo per cui viene chiamato fascio di sostanza bianca encefalica.

Il decorso del nervo ottico (lungo circa 4 cm) può essere suddiviso in quattro tratti:

I. Un breve tratto bulbare;


II. Un lungo tratto (alcuni cm) che corrisponde alla profondità della cavità orbitaria, dove il nervo ottico
ha tutti e tre gli involucri meningei: la dura madre, l’aracnoide e la pia madre; quest’ultima aderisce
direttamente al tessuto nervoso
III. Un tratto che penetra mediante il forame ottico dello sfenoide e attraversa il canale ottico rivestito
solo di dura madre e aracnoide;
IV. Un tratto nella cavità cranica.

A livello della parte più rostrale dello sfenoide i nervi ottici destro e sinistro si incontrano nel chiasma ottico, in cui
avviene una decussazione al 50% per cui le fibre più mediali passano nel tratto controlaterale, mentre quelle più
laterali rimangono omolaterali; dal chiasma, le fibre proseguono nei due tratti ottici che percorrono le superfici
laterali del diencefalo e la maggior parte delle fibre ottiche prende contatto con i neuroni dei corpi genicolati
laterali (nuclei del metatalamo) dai quali originano le radiazioni ottiche di Gratiolet (o fascicoli genicolo-
calcarini) dirette all’area visiva primaria sensoriale della corteccia cerebrale (area 17 della mappa di Brodmann).

Esiste anche un tratto ottico accessorio, per cui un contingente di fibre di associazione viene inoltrato alle aree
visive interpretative (aree 18-19) che mandano a loro volta le fibre cortico-tettali interne ai tubercoli quadrigemini
(o collicoli) superiori e al nucleo pretettale, da cui si diparte la cosiddetta via ottica riflessa diretta la tronco
encefalico e al midollo spinale.

La via ottica ipotalamica è data, invece, da una minima quantità di fibre ottiche che si dirige al nucleo
sovrachiasmatico dell’ipotalamo.

18. NERVO OCULOMOTORE: DECORSO E TERRITORIO D’INNERVAZIONE

Il nervo oculomotore comune (III) è costituito da:

• Fibre motrici somatiche, che originano dal nucleo proprio dell’oculomotore, un complesso di nuclei
situato nel tegmento del mesencefalo e responsabile dell’innervazione dei muscoli estrinseci degli occhi:
o Muscolo retto inferiore
o Muscolo retto superiore
o Muscolo retto mediale
o Muscolo obliquo inferiore;

Un nucleo disposto dorsalmente e caudalmente rispetto al nucleo proprio dell’oculomotore, nucleo centrale
caudale, è adibito, invece, all’innervazione del muscolo elevatore della palpebra.

• Fibre motrici viscerali pre-gangliari, che originano da uno dei nuclei del sistema parasimpatico
mesencefalico, il nucleo di Edinger-Westpahl, proseguono attraverso il nervo oculomotore fino al
ganglio ciliare dove contraggono sinapsi. Le fibre parasimpatiche post-gangliari, attraverso i nervi ciliari
brevi, vanno ad innervare i muscoli intrinseci degli occhi:
o Muscolo costrittore dell’iride;
o Muscolo ciliare.
• Fibre sensitive propriocettive, che raccolgono la sensibilità dei muscoli innervati dalla componente
motrice somatica e presentano la stessa origine e terminazione dei nervi trocleare (IV) e abducente (VI).

Dopo la loro origine, le fibre attraversano il tegmento mesencefalico ed emergono nella fossa interpeduncolare,
dove si riuniscono in un unico tronco che incrocia il peduncolo cerebrale, passa tra l’arteria cerebellare superiore e
la cerebrale posteriore, dirigendosi lateralmente verso il processo clinoideo posteriore dello sfenoide. Qui, perfora
la dura madre e penetra nella parete laterale del seno cavernoso, che percorre in direzione postero-anteriore fino alla
fessura orbitaria superiore, che attraversa nell’arco tendineo di Zinn.

Decorrendo orizzontalmente in senso postero-anteriore, sopra il nervo trocleare, riceve fibre sensitive della branca
oftalmica del trigemino e simpatiche postgangliari del plesso carotideo interno.

Infine, il nervo oculomotore si divide nei suoi due rami terminali:

o Ramo superiore, più sottile, si dirige in alto, lateralmente al nervo ottico, per innervare il muscolo retto
superiore e l’elevatore della palpebra superiore;
o Ramo inferiore piega in avanti e in basso e si divide in tre tronchi diretti ai muscoli retto mediale, retto
inferiore e obliquo inferiore; con esso alcune fibre si dirigono al ganglio ciliare.

21. NERVO TROCLEARE: ORIGINE, DECORSO E TERRITORIO D’INNERVAZIONE

Il nervo trocleare (IV, o patetico) è un nervo motore somatico somitico per il muscolo obliquo superiore
controlaterale, ma presenta anche una componente propriocettiva proveniente dallo stesso muscolo.

Dalla sua origine nel nucleo mesencefalico (posto nel mesencefalo a livello dei collicoli inferiori vicino al piano mediano e
ventralmente all’acquedotto di Silvio, si localizza in stretta vicinanza con il fascicolo longitudinale mediale e si embrica con il
sovrastante complesso nucleare del nervo oculomotore, rispetto al quale, presenta i neuroni di dimensioni minori che innervano
esclusivamente il m. obliquo superiore) attraversa la callotta del mesencefalo, si incrocia con le fibre controlaterali e,
attraversato il piano mediano, emerge ai lati del frenulo midollare anteriore, al di sotto del tubercolo quadrigemino
inferiore (si ricorda che è l’unico n.c. che emerge dalla superficie dorsale del mesencefalo).

Il nervo poi gira attorno al peduncolo cerebrale, perfora lo strato interno della dura madre, sotto il margine libero
del tentorio del cervelletto, dietro al processo clinoideo posteriore, per attraversare il seno cavernoso nella sua parete
laterale, tra i nervi oculomotore ed oftalmico. Penetra nella cavità orbitaria, attraversando la fessura orbitaria
superiore, esternamente all’arco tendineo di Zinn e medialmente al nervo frontale (uno dei rami terminali della
branca oftalmica del trigemino), dove passa sopra l’origine del muscolo elevatore della palpebra superiore e termina
nel muscolo obliquo superiore controlaterale.

22. MORFOGENESI E STRUTTURA DELLA COLONNA MOTRICE SOMATICA SOMITICA

Nel tronco encefalico le primitive pareti laterali del tubo neurale vanno incontro a tre processi:

1. La formazione del IV ventricolo che provoca la disposizione nel piano frontale delle pareti laterali, per cui la
lamina basale motoria si colloca medialmente alla lamina alare sensitiva;
2. La segmentazione per crescita differenziale della vescicola rombencefalica (metencefalo+mesenefalo) in
rombomeri, che provoca una frammentazione delle colonne di neuroblasti da cui origineranno i nuclei dei
nervi cranici motori e sensitivi.
3. Il fenomeno della neurobiotassi (introdotto da Ariens Kappers) determina la migrazione dei neuroblasti in
risposta a stimoli di richiamo emessi da altri nuclei e che comporta una parziale migrazione in senso ventro-
laterale di alcuni neuroblasti motori somatici, che raggiungono il piano sagittale passante per i nuclei sensitivi
viscerali. I nuclei motori somatici che mantengono la posizione primitiva vengono chiamati somitici, a
migrare in direzione ventro-laterale sono essenzialmente i pirenofori dei neuroblasti motori dei muscoli che
originano gli archi branchiali che formeranno la regione del collo e parzialmente della faccia, e ancora più
lateralmente i nuclei motori viscerali che innerveranno la muscolatura liscia dei visceri.
A lato del solco mediano posteriore, nella parte più mediana della lamina basale, i neuroblasti che non migrano
formano la colonna dei nuclei somatici somitici frammentata in direzione cranio-caudale nei seguenti quattro nuclei:

1. Nucleo dell’oculomotore comune (III), localizzato nella callotta del mesencefalo, a livello dei tubercoli
quadrigemini superiori; innerva tutti i muscoli estrinseci degli occhi (retto mediale, retto superiore, retto
inferiore, obliquo inferiore ed elevatore della palpebra) ad eccezione del retto laterale e obliquo superiore;
2. Nucleo del trocleare (IV) localizzato nella callotta del mesencefalo, a livello dei tubercoli quadrigemini
inferiori; innerva il muscolo obliquo superiore;
3. Nucleo dell’abducente (VI) localizzato a livello del collicolo del faciale, al passaggio tra il bulbo e il ponte;
innerva il muscolo retto laterale dell’occhio;
4. Nucleo dell’ipoglosso (XII) localizzato in profondità all’area bianca interna, percorre verticalmente il bulbo
fino ai primi mielomeri cervicali lungo l’asse che passa per il corno anteriore del midollo spinale; innerva ai
muscoli della lingua.

23. NUCLEI MOTORI SOMATICI BRANCHIALI

Il fenomeno della neurobiotassi (introdotto da Ariens Kappers) determina la migrazione dei neuroblasti in risposta
a stimoli di richiamo emessi da altri nuclei e che comporta una parziale migrazione in senso ventro-laterale di alcuni
neuroblasti motori somatici, che raggiungono il piano sagittale passante per i nuclei sensitivi viscerali.

I nuclei motori somatici che mantengono la posizione primitiva vengono chiamati somitici, mentre a migrare
seguendo la neurobiotassi in direzione ventro-laterale sono essenzialmente i pirenofori dei neuroblasti motori dei
muscoli che originano gli archi branchiali che formeranno la regione del collo e parzialmente della faccia, tracciando
dei percorsi ad ansa intratruncali per cui gli assoni si dirigono medialmente e dorsalmente fino in prossimità al
piano sagittale mediano, poi si inflettono lateralmente e si portano ventralmente fino alla loro emergenza ai vari
livelli del solco bulbare (origine apparente dei nervi cranici).

La colonna dei nuclei motori somatici branchiali si trova subito lateralmente alla colonna dei nuclei motori somatici
somitici ed è frammentata dall’alto in basso in:

1. Nucleo masticatorio (nucleo motore del trigemino, V): è localizzato nella porzione centrale del ponte;
innerva i muscoli masticatori, derivati dal 1° arco faringeo.
2. Nucleo motore del faciale (VII): è localizzato al passaggio tra bulbo e ponte, latero-ventralmente al nucleo
dell’abducente. Innerva i muscoli della faccia, derivati dal 2° arco faringeo.
3. Nucleo ambiguo (o nucleo motore ventrale): è il nucleo motore somatico branchiale di tre nervi cranici
disposto in profondità nel bulbo nel contesto della formazione reticolare; a seconda del livello considerato,
è il nucleo del XI n.c. (accessorio) del X n.c. (vago) e del IX n.c. (glossofaringeo) che innervano i muscoli
faringo-laringei, derivati dal terzo, quarto e quinto arco faringeo.

24. NUCLEI SENSITIVI SOMATICI SPECIALI

I nuclei sensitivi somatici speciali sono rappresentati dall’VIII nervo cranico, statoacustico (o vestibolo-cocleare),
costituito da due componenti: vestibolare, posta lateralmente al solco limitante, e cocleare.

I. L’apparato vestibolare è costituito da tre condotti: i canali semicircolari superiore, posteriore e laterale. Ogni
canale presenta anteriormente una dilatazione nella quale sono localizzate le cellule capellute, sensibili a
variazioni inerziali del liquido contenuto all’interno dei canali semicircolari, il cui movimento fa muovere le
porzioni apicali delle suddette cellule. A questo livello è localizzato il GANGLIO VESTIBOLARE o di
Scarpa, la sede del primo neurone per l’equilibrio, di tipo omeopodo (forma allungata con il nucleo in
posizione centrale e prolungamenti ai poli opposti, di cui uno centrifugo che si mette in rapporto con le cellule
cappellute e uno più lungo centripeto che porta l’informazione dello stimolo cinetico proveniente dai canali
semicircolari e che forma il nervo vestibolare. Oltre all’informazione relativa al movimento della testa nei tre
piani dello spazio, che proviene dai canali semicircolari, esistono altre due informazioni per codificare il
movimento del nostro corpo: uno è lo spostamento angolare, recepito dai canali semicircolari, l’altro è lo
spostamento lineare, recepito dall’utricolo e dal sacculo.
Queste informazioni propriocettive, tramite il nervo vestibolare vengono trasportate alla colonna somatica
sensitiva speciale, frammentata in quattro nuclei, al confine tra bulbo e ponte:

1. Nucleo vestibolare mediale o triangolare, che è il più voluminoso;


2. Nucleo vestibolare laterale o di Deiters;
3. Nucleo vestibolare superiore;
4. Nucleo vestibolare inferiore, o spinale, perché si estende in basso verso il midollo spinale.

I quattro nuclei vestibolari sono la sede del secondo neurone.

II. Il secondo raggruppamento di nuclei è quello dei NUCLEI COCLEARI per l’udito.

Il recettore è localizzato nella coclea o chiocciola, un canalino avvolto a spirale (due giri e ¾ di spira). Tale
spiralizzazione avviene attorno ad un piccolo asse, detto modiolo, una piccola prominenza ossea all’interno della
quale è localizzato il ganglio spirale del Corti. Quest’ultimo è caratterizzato da una laminetta di neuroni, che
rappresentano il primo neurone sensitivo, con un’estremità che si mette in contatto con il recettore e l’altra
estremità che si dirige verso il tronco, per portare l’informazione dell’onda sonora che viene trasmessa al
rombencefalo.

I nuclei cocleari nella sezione trasversa del ponte basso, cioè al passaggio tra il bulbo e il ponte, sono localizzati
uno più anteriormente e uno più posteriormente, rispettivamente:

§ nucleo cocleare ventrale


§ nucleo cocleare dorsale.

Si tratta di una proiezione ordinata della chiocciola sul complesso nucleare, le fibre provenienti dai giri basali della
coclea terminano nella porzione dorso-mediale del nucleo, mentre quelli dai giri superiori nella ventro-laterale,
realizzando un’organizzazione tonotopica. Da essi origina la via cocleare centrale (la via centrale dell’udito).

25. ORIGINE APPARENTE DEI NERVI CRANICI DAL III AL XII

Dal III al XII paia di nervi cranici hanno la loro origine “apparente”, ovvero i punti di emergenza e di entrata,
rispettivamente, delle fibre motrici e sensitive, a livello dei solchi bulbo-pontino e pontino-mesencefalico.

L’origine apparente di un nervo encefalico definisce il confine anatomico da cui i fasci di assoni dei neuroni
appartenenti a questo si distaccano dalla superficie dell’encefalo. Quest’area, insieme alle emergenze e origini
apparenti dei nervi spinali, costituisce la “zona di Redlich-Obersteiner” ed è definibile morfologicamente perché
corrisponde ad una zona di transizione in cui inizia ad essere prodotta la mielina dalle cellule di Schwann (glia del
SNP) e non degli oligodendrociti (glia del SNC).

Le origini apparenti dei nervi cranici dal III al XII sono:

§ Solco mediale della superficie ventrale del mesencefalo, in particolare in corrispondenza dei margini mediali
dei peduncoli cerebrali destro e sinistro, per il nervo oculomotore (III);
§ Il nervo trocleare (IV) è l’unico nervo cranico che origina dalla superficie dorsale del mesencefalo, ai lati
del frenulo del velo midollare superiore da cui si porta lateralmente passando alla superficie ventrale del
tronco encefalico, per emergere a livello del solco laterale della superficie ventrale del mesencefalo, in
particolare in corrispondenza dei margini laterali dei peduncoli cerebrali destro e sinistro;
§ Confine tra il peduncolo cerebellare medio e la superficie ventro-laterale del ponte di Varolio, per il nervo
trigemino (V);
§ Solco bulbo-pontino, in particolare a livello della base delle piramidi bulbari, per il nervo abducente (VI);
§ Solco bulbo-pontino, in particolare a livello della base delle olive bulbari, in ordine medio-lateralmente, per
il nervo facciale (VII), per il nervo intermedio di Wrisberg e per il nervo vestibolo-cocleare (VIII)
§ Solco laterale posteriore sulla superficie ventrale del bulbo, lateralmente alle olive bulbari, in ordine dall’alto
verso il basso per il nervo glossofaringeo (IX), per il nervo vago (X) e per il nervo accessorio (XI);
§ Solco laterale anteriore sulla superficie ventrale del bulbo, in particolare tra le piramidi e le olive bulbari, per
le radicole del nervo ipoglosso (XII).
26. NUCLEO BULBO-SPINALE DEL TRIGEMINO CON AFFERENZE ED EFFERENZE

Il nucleo del trigemino è sede del secondo neurone sensitivo della via della sensibilità somatica generale, ovvero la
sensibilità corporea, in particolare del distretto facciale, destinata a diventare cosciente.

La sede del primo neurone è il ganglio semilunare di Gasser, situato medialmente all’apice della piramide del
temporale della fossa cranica media, da cui dipartono gli assoni verso tre porzioni distinte del nucleo del trigemino:

1. Nucleo pontino (o principale) che si estende per tutta l’altezza della callotta e riceve gli assoni centripeti del
ganglio semilunare di Gasser portanti sensibilità esterocettiva epicritica (neo-trigeminale) del distretto
facciale (equivalente del nucleo gracile e cuneato del mielomero spinale);
2. Nucleo mesencefalico localizzato antero-lateralmente all’acquedotto di Silvio, estendendosi nell’area
compresa tra il solco pontomesencefalico e i tubercoli quadrigemini superiori. I neuroni di questo nucleo sono
i primi della via propriocettiva per la muscolatura degli archi bronchiali e sono tra i più grossi neuroni
sensitivi pseudounipolari, che presentano:
o La componente centrifuga che raggiunge il ganglio semilunare di Gasser continuandosi nelle tre
branche trigeminali arrivando ad innervare gli organi muscolo-tendinei della muscolatura facciale di
origine branchiale;
o La componente centripeta che scende lungo il tronco encefalico portandosi dorsalmente al nucleo
principale e raggiungendo il nucleo bulbo-spinale, dove compie sinapsi.
3. Nucleo trigeminale spinale (o bulbo-spinale), situato nel bulbo nel midollo spinale, si estende per tutta la sua
lunghezza fino a raggiungere i primi quattro mielomeri C1-C4; questa porzione rappresenta il punto di arrivo
(sede dei secondi neuroni) degli assoni centripeti del ganglio semilunare di Gasser portanti la sensibilità
esterocettiva, protopatica, termica, dolorifica (o nocicettiva paleo-trigeminale). Per questa ragione, intorno
al nucleo e lungo la sua estensione è presente un fascio di sostanza bianca chiamato tratto o fascio spinale
del trigemino, costituito dagli assoni mielinizzati trigeminali che vanno a fare sinapsi con i neuroni presenti
nel nucleo spino-bulbare.
Allo stesso tempo, il suddetto nucleo riceve gli assoni centripeti dei neuroni a T del nucleo mesencefalico,
compiendo sinapsi con quest’ultimi in maniera analoga a ciò che accade con gli assoni centripeti dei neuroni
del ganglio semilunare del trigemino. Di conseguenza, i neuroni di questo nucleo, sono sede dei secondi
neuroni anche della sensibilità propriocettiva della faccia, oltre a quella esterocettiva protopatica. (si può
affermare che questo nucleo sia l’equivalente bulbare del nucleo proprio e del nucleo dorsale di Clarke,
entrambi presenti nel corno posteriore del mielomero spinale).

Dai secondi neuroni, le fibre proiettano in alto formano un sistema di fibre chiamato lemnisco trigeminale che
porta la sensibilità protopatica ed epicritica. Il suddetto sistema è diviso a sua volta in:

§ un tratto trigeminale ventrale che si porta dal nucleo bulbo-spinale del trigemino al nucleo ventrale
postero-mediale del talamo (NVPM), dove farà sinapsi con i terzi neuroni, da cui si porterà, infine, alla
corteccia cerebrale sensitiva, sede del quarto neurone.
§ un tratto trigeminale dorsale, che si porta dal nucleo principale (sensibilità somatica generale) al NVPM.

27. NERVO OFTALMICO

Il nervo oftalmico, è la prima e la più piccola branca del V n.c., trigemino. È un nervo esclusivamente sensitivo
destinato all’innervazione di: bulbo oculare, congiuntiva, ghiandola lacrimale, mucosa della cavità nasale, cute del
naso, palbebre, fronte, cuoio capelluto.

Il nervo oftalmico riceve le fibre ortosimpatiche post-gangliari del plesso carotico interno (dal ganglio cervicale
superiore) e si anastomizza con i nervi cranici III, IV e VI da cui riceve le fibre propriocettive. Origina dal versante
antero-mediale del ganglio semilunare di Gasser, attraversa il seno cavernoso e, prima di passare attraverso la
fessura orbitaria superiore, si divide in tre rami: nervo lacrimale e nervo frontale, in un unico tronco laterale e nervo
naso-ciliare, più mediale.
28. NERVO NASO-CILIARE

Il nervo nasociliare è il ramo mediale di divisione della branca oftalmica sensitiva del trigemino (VI); esso entra
nella cavità orbitaria passando per l’anello tendineo di Zinn, tra i due rami di divisione del nervo oculomotore
comune. Nel portarsi verso la parete mediale della cavità orbitaria, incrocia il nervo ottico e si dirige obliquamente
in avanti sotto il muscolo retto superiore e obliquo superiore.

A livello del forame etmoidale, si divide nei suoi due rami terminali:

§ Nervo etmoidale anteriore, che entra nella cavità cranica anteriore attraverso l’omonimo foro, percorre il
solco sulla lamina cribrosa dell’etmoide e, attraverso la fessura nasale, penetra in cavità nasale,
distribuendosi:
Alla dura madre della fossa cranica anteriore;
Alla mucosa della fossa nasale, mediante i rami nasali interni.
Alla cute del naso esterno, mediante il ramo nasale esterno.
§ Nervo infratrocleare, che fuoriesce dalla cavità orbitaria e si distribuisce alla cute delle palpebre, della
radice del naso, alla congiuntiva, al sacco lacrimale e alla carrucola.
Dal nervo naso-ciliare emergono, inoltre:
nervi ciliari lunghi, che costituiscono la radice sensitiva del ganglio ciliare e le cui fibre passeranno ai
nervi ciliari brevi, distribuendosi al corpo ciliare, all’iride e alla cornea;
nervo etmoidale posteriore, ramo collaterale per la mucosa delle cellule etmoidali posteriori e del seno
sfenoidale.

29. NERVO FRONTALE: ORIGINE, DECORSO E TERRITORIO D’INNERVAZIONE

Il nervo frontale origina dalla branca oftalmica del trigemino, prima di passare attraverso la fessura orbitaria
superiore, da un unico tronco mediale che dà origine anche al nervo lacrimale. Esso penetra dunque, nella fessura
orbitaria superiore e si porta in avanti lungo il tetto della cavità orbitaria, tra l’elevatore della palpebra superiore ed
il periostio; a metà circa della cavità orbitaria, si divide in due rami:

1. Nervo sopratrocleare si dirige medialmente in avanti, passa sopra la troclea del muscolo obliquo superiore
ed esce dall’orbita, passando tra la troclea e l’incisura sopra-orbitaria, poi piega in alto sulla fronte mettendo
filamenti per la congiuntiva e la cute della palpebra superiore. Si divide in rami terminali che, dopo aver
attraversato i muscoli frontale ed elevatore del sopracciglio, si distribuiscono alla cute della parte inferiore
della porzione mediana della fronte (compresa la radice del naso e glabella);
2. Nervo sopraorbitario procede in avanti tra muscolo elevatore della palpebra superiore e la volta della cavità
orbitaria, attraversa l’incisura sopra-orbitaria ed emette filamenti per la cute della palpebra superiore e la
congiuntiva e alcuni rami per la mucosa del seno frontale. Termina in alto sulla fronte con due rami che
innervano il cuoio capelluto fino al vertice.

30. NERVO MASCELLARE: ORIGINE, DECORSO E TERRITORIO D’INNERVAZIONE

Il nervo mascellare è la branca intermedia del V n.c. (VII), interamente sensitiva, che si stacca dal ganglio semilunare
di Gasser lateralmente alla branca oftalmica (VI), si dirige orizzontalmente in avanti nella parete del seno cavernoso
e, prima di lasciare la cavità cranica attraverso il forame rotondo, dà un nervo meningeo medio per l’innervazione
delle meningi. Arrivato nella fossa pterigo-palatina, piega lateralmente e, passando per la fessura orbitaria inferiore,
penetra nell’orbita, ove si divide nel nervo infraorbitario e nel nervo zigomatico.

Il nervo zigomatico, penetrato nell’orbita attraverso la fessura orbitaria inferiore, vicino alla sua parete laterale, si
divide a Y in due rami:

1. nervo zigomatico-temporale, che attraversa il canale omonimo ed entra nella fossa temporale per distribuirsi
alla cute della tempia; invia un ramo anastomotico al nervo lacrimale, contenente fibre parasimpatiche post-
gangliari provenienti dal ganglio pterigopalatino (a cui è connesso tramite i rami pterigopalatini) e destinate
alla ghiandola lacrimale.
2. nervo zigomatico facciale, che decorre lungo l’angolo infero-laterale della cavità orbitaria e, attraverso il
foro omonimo, raggiunge la faccia; perforato il muscolo orbicolare dell’occhio, innerva la cute del zigomo.

Il nervo mascellare dà anche il nervo alveolare superiore posteriore che esce dalla fossa pterigopalatina passando
per la fessura pterigomascellare, perfora la faccia infratemporale della mascella, passando sotto la mucosa del seno
mascellare, di cui raccoglie la sensibilità e si divide in sottili filamenti che formano la porzione molare del plesso
dentale superiore. Raccoglie anche la sensibilità della gengiva superiore e della parte contigua della regione geniena.

Percorsi il solco e il canale infraorbitari sul pavimento dell’orbita, il nervo infraorbitario attraversa l’omonimo
foro nel suo decorso dà due importanti rami collaterali:

§ nervo alveolare superiore medio: si dirige in basso e in avanti nella parete laterale del seno mascellare e
termina partecipando al plesso dentale superiore, innervando i premolari superiori;
§ nervo alveolare superiore anteriore, decorre nella parete anteriore del seno mascellare e si divide in rami
che innervano gli incisivi ed i canini; emette anche un ramo nasale che innerva la mucosa della porzione
anteriore della parete laterale e del pavimento delle fosse nasali.

Emergendo dal forame infraorbitario, il nervo infraorbitario termina nella faccia, dove si divide in rami terminali
che raccolgono la sensibilità dell’ala del naso, della palpebra inferiore, della cute e mucosa geniena e del labbro
superiore: nervi palpebrali inferiori, nervi nasali, nervi labiali superiori.

31. NERVO INFRAORBITARIO

Il nervo infraorbitario rappresenta il ramo terminale del nervo mascellare e, prima di abbandonare il canale
infraorbitario, esso rilascia i rami superiore medio e superiori anteriori dei nervi alveolari superiori.

Attraversato il forame infraorbitario, il nervo si viene a trovare nella fossa canina della mascella e qui rilascia
numerosi rami che possono essere distinti in:

- Rami palpebrali inferiori, che assumono subito un decorso ascendente per distribuirsi alla congiuntiva e
alla cute della palpebra inferiore;
- Rami nasali interni ed esterni si dirigono per innervare rispettivamente la tonaca mucosa del vestibolo del
naso e la cute dell’ala del naso;
- Rami labiali superiori, che si dirigono verso il basso per innervare la cute e la tonaca mucosa del labbro
superiore e la corrispondente mucosa gengivale.
32. NERVO MANDIBOLARE: ORIGINE, DECORSO E TERRITORIO D’INNERVAZIONE

Il nervo mandibolare è la più voluminosa branca del trigemino (VIII) formata da due radici, una più grande sensitiva
nasce dal ganglio di Gasser, e una più sottile motoria, che si uniscono subito dopo l’uscita dalla cavità cranica
attraverso il forame ovale.

Dopo l’unione di queste due radici, il nervo mandibolare emette:

§ Il ramo meningeo (o spinoso) che ritorna nella fossa cranica media, penetrando assieme all’arteria
meningea media attraverso il foro spinoso e si divide accompagnando i rami principali dell’arteria per
distribuirsi alla dura madre della fossa cranica media, ad una parte della fossa cranica anteriore e della volta.
Oltre alle fibre sensitive il nervo spinoso contiene anche le fibre ortosimpatiche post-gangliari che
provengono dal plesso dell’a. meningea media.
§ il nervo pterigoideo interno, un sottile ramo che penetra nel muscolo omonimo, innervandolo, attraversa
il ganglio otico senza interrompersi e termina innervando il muscolo tensore del timpano ed il muscolo
tensore del velo del palato.

Il nervo mandibolare si divide poi in due tronchi: uno anteriore e uno posteriore.

• Il TRONCO ANTERIORE, il più sottile, che dà diversi rami collaterali tra cui:
o Rami motori:
- nervi temporali profondi, anteriore e posteriore, che innervano il muscolo temporale.
-nervo pterigoideo esterno, per il muscolo omonimo;
-nervo masseterino, che si porta lateralmente sopra il muscolo pterigoideo esterno davanti
all’ATM; assieme all’arteria omonima attraversa l’incisura della mandibola e, dato un ramo
articolare, termina sulla faccia profonda del muscolo massetere, ove si ramifica.
o Ramo sensitivo:
- nervo buccinatore, si porta in avanti tra i due capi del muscolo pterigoideo esterno ed emerge
nella faccia da sotto il ramo della mandibola per anastomizzarsi con i rami buccali del facciale
(VII). Innerva la cute che copre la parte anteriore del muscolo buccinatore, la mucosa che ne
riveste la faccia interna e la parte posteriore della porzione vestibolare delle gengive.

• Il TRONCO POSTERIORE, il più grande, prevalentemente sensitivo, si divide nei seguenti rami collaterali:
- Nervo auricolotemporale, sensitivo: origina per mezzo di due radici che confluiscono in un unico tronco,
formando un occhiello per l’arteria meningea media, si porta indietro sotto il muscolo pterigoideo esterno per
passare poi tra il legamento sfeno-mandibolare e il collo del condilo della mandibola. Emerge dietro all’ATM
applicato sulla radice posteriore del processo zigomatico dell’osso temporale. I suoi rami collaterali sono:
o Nervi auricolari anteriori;
o Nervi per il meato acustico esterno;
o Rami articolari:
o Rami parotidei costituiti da fibre eccitosecretrici parasimpatiche post-gangliari (provenienti dal nucleo
salivatorio inferiore, da cui le fibre pre-gangliari, prima tramite il glossofaringeo e poi tramite il nervo
timpanico, raggiungono il plesso omonimo, dal quale origina il nervo piccolo petroso superficiale che si
porta al ganglio otico, dove contrae sinapsi; da qui emergono, infine, le fibre post-gangliari che entrano
nella composizione dell’auricolo-temporale per raggiungere la parotide.
o Rami temporali superficiali per la cute della regione temporale.
- Nervo linguale, sensitivo: si dirige tra i muscoli pterigoidei interno ed esterno, dove riceve le fibre motrici
viscerali e sensitive viscerali speciali gustative dalla corda del timpano, passa al di sotto dell’inserzione
mandibolare del costrittore superiore della faringe e si posiziona lungo la faccia mediale dei processi alveolari.
Si allontana dunque dalla gengiva per raggiungere il margine laterale della lingua, dove decorre sulla faccia
laterale del muscolo jo-glosso, profondamente al muscolo milo-joideo, al di sopra della ghiandola
sottomandibolare e del suo dotto escretore. È connesso mediante due rami al ganglio sottomandibolare, che
attraversa senza interrompersi, raggiungendo le ghiandole sottomandibolare, sottolinguale e salivari minori.
Raccoglie, inoltre, la sensibilità gustativa ed esterocettiva dal pavimento della cavità orale, dalla porzione
interna delle gengive inferiori e dai 2/3 anteriori della lingua.
- Nervo alveolare inferiore, prevalentemente sensitivo, decorre più posteriormente rispetto al linguale, si dirige
all’interno del canale mandibolare attraverso il foro mandibolare, dando origine ad un ramo collaterale prima
di entrare nel suddetto canale, il nervo miloioideo, il quale si occupa dell’innervazione motoria del muscolo
miloioideo e del ventre anteriore del muscolo digastrico. Impegnandosi nel canale mandibolare, raccoglie la
sensibilità alveolare fino al foro mentale, dove termina nei:
o Nervo mentale, che si distribuisce alla mucosa e alla cute del mento e del labbro inferiore;
o Nervo incisivo che procede nel canale mandibolare fino alla sinfisi mentale, raccogliendo la
sensibilità dal primo premolare agli incisivi dell’arcata dentaria inferiore.

33. NERVO LINGUALE: ORIGINE, DECORSO E TERRITORIO D’INNERVAZIONE

Il nervo linguale, sensitivo, è destinato alla mucosa della parte orale della lingua, del pavimento della cavità buccale
e della gengiva inferiore. Si dirige tra i muscoli pterigoidei interno ed esterno, dove riceve le fibre motrici viscerali
e sensitive viscerali speciali gustative dalla corda del timpano, passa al di sotto dell’inserzione mandibolare del
costrittore superiore della faringe e si posiziona lungo la faccia mediale dei processi alveolari. Si allontana dunque
dalla gengiva per raggiungere il margine laterale della lingua, dove decorre sulla faccia laterale del muscolo jo-
glosso, profondamente al muscolo milo-joideo, al di sopra della ghiandola sottomandibolare e del suo dotto
escretore.
Il nervo linguale è connesso mediante due rami al ganglio sottomandibolare, che attraversa senza interrompersi,
raggiungendo le ghiandole sottomandibolare, sottolinguale e salivari minori.

Raccoglie, inoltre, la sensibilità gustativa ed esterocettiva dal pavimento della cavità orale, dalla porzione interna
delle gengive inferiori e dai 2/3 anteriori della lingua.

L'innervazione della lingua è fornita da cinque paia di nervi cranici e precisamente dal nervo ipoglosso (XII), dal
nervo linguale (ramo del nervo mandibolare, VIII), dal nervo intermedio di Wrisberg (uno dei due rami che
costituiscono il VII n.c., facciale), dal nervo glossofaringeo (IX) e dal nervo vago (X).

- Il nervo trigemino (V nervo cranico) si occupa della sensibilità esterocettiva e propriocettiva dei 2/3
anteriori della lingua.
- Il nervo facciale (VII nervo cranico) è responsabile della sensibilità gustativa dei 2/3 anteriori della lingua.
- Il nervo glossofaringeo (IX nervo cranico) raccoglie la sensibilità dalle papille gustative poste sul solco
terminale (punto di passaggio tra corpo e radice linguale) e dalla zona posteriore (1/3 posteriore della lingua)
- Il nervo vago (X nervo cranico) trasporta le informazioni della sensibilità gustativa della parte posteriore
della lingua vicina all'epiglottide.
- Il nervo ipoglosso (XII nervo cranico) si occupa dell'innervazione motoria della lingua.

34. NUCLEI TRUNCALI DEL GLOSSOFARINGEO

Il nervo glossofaringeo è un nervo misto e presenta, quindi:


a) Fibre motrici somatiche, per il muscolo stilofaringeo;
b) Fibre motrici viscerali, per la ghiandola parotide;
c) Fibre sensitive, per l’orecchio medio, la faringe, la tonsilla palatina e 1/3 posteriore della lingua.

Le fibre del nervo prendono origine dai seguenti nuclei truncali:


• Nucleo ambiguo: è un nucleo motore somatico branchiale, situato nella porzione profonda del bulbo. Presenta
una forma peculiare, in quanto appare come una colonnina di neuroni con dei rigonfiamenti “a grani di rosario”.
• Nucleo salivatorio inferiore: è un nucleo motore viscerale collocato nella parte alta del bulbo, al di sotto
rispetto al salivatorio superiore. Tramite il IX n. c. tali fibre raggiungono il plesso timpanico, da cui origina il
nervo piccolo petroso superficiale, che si porta al ganglio otico; le fibre post-gangliari sono responsabili
dell’innervazione della parotide, che raggiungono tramite il nervo auricolo-temporale.
• Nucleo del tratto solitario: è l’unico nucleo sensitivo viscerale generale del tronco encefalico e si estende per
tutta l’altezza del bulbo fino ai primi mielomeri cervicali. Ad esso giungono le fibre sensitive viscerali e la
componente speciale gustativa.
• Nucleo del tratto spinale del trigemino: riceve la piccola componente di fibre sensitive somatiche, che
contribuiscono all’innervazione del padiglione auricolare.

Il nervo glossofaringeo emerge dalla porzione superiore del bulbo, tra l’oliva bulbare e il peduncolo cerebellare
inferiore, a livello della fossetta o solco retro-olivare. A questo livello, emergono anche caudalmente il nervo
accessorio (XI) e, in posizione intermedia tra accessorio e glossofaringeo, il nervo vago (X).
Esce poi dalla cavità cranica attraverso il foro giugulare. Qui, sono localizzati due gangli sensitivi: il ganglio
superiore e il ganglio inferiore o petroso. Questi possiedono cellule pseudounipolari, i cui prolungamenti da una
parte formeranno i nervi linguali, e dall’altra si portano ai nuclei del tratto solitario e del tratto spinale del
trigemino, tramite IX n.c.
All’esterno del cranio, passa tra la carotide interna (lateralmente) e la carotide esterna (medialmente) e scende
verso il basso ponendosi in rapporto con il muscolo stilofaringeo, decorrendo sul suo versante postero-laterale e
innervandolo. Giunto in fossa palatina, invia i suoi rami terminali, i nervi linguali.
35. RAMI COLLATERALI DEL GLOSSOFARINGEO

Il nervo glossofaringeo è un nervo misto e presenta, quindi sia fibre sensitive che motrici, che prendono origine da
diversi nuclei truncali e che vanno a innervare le seguenti strutture:
a) Fibre motrici somatiche, per il muscolo stilofaringeo;
b) Fibre motrici viscerali, per la ghiandola parotide;
c) Fibre sensitive, per l’orecchio medio, la faringe, la tonsilla palatina e 1/3 posteriore della lingua.

Per quanto riguarda i rami collaterali, i principali sono:


§ Nervo timpanico (di Jacobson): è costituito da fibre sensitive viscerali generali e parasimpatiche pregangliari,
che originano dal ganglio petroso. Attraverso il canalicolo timpanico inferiore, entra nella cavità del timpano
dove dà luogo al plesso timpanico, che fornisce:
Ramo anastomotico per il nervo grande petroso superficiale;
Rami sensitivi per la mucosa del timpano, della tuba e delle cellule mastoidee;
Nervo piccolo petroso superficiale, che contiene le fibre eccitosecretrici per la ghiandola
parotide.
§ Ramo carotico o nervo del seno carotico: è un nervo sensitivo che innerva il glomo e il seno carotideo,
rispettivamente i principali chemocettore e barocettore arteriosi;
§ Ramo muscolare, per il muscolo stilofaringeo;
§ Rami faringei: si uniscono ai rami faringei del vago per formare il plesso faringeo, che contiene fibre sensitive
per la mucosa della faringe;
§ Rami tonsillari: sensitivi, innervano la tonsilla palatina, formando un plesso, gli archi faringei e il palato molle;
§ Rami linguali, responsabili dell’innervazione gustativa del terzo posteriore della lingua.

36. NERVO ACCESSORIO: ORIGINE, DECORSO E TERRITORIO D’INNERVAZIONE

Il nervo accessorio (XI) è un nervo motore somatico costituito da due componenti distinte:
Ø La radice spinale o nervo accessorio spinale, che origina dal nucleo spinale nel corno anteriore del
midollo spinale (C1 – C4). Le fibre emergono in successone dalla superficie laterale, tra la radice anteriore e
la posteriore, e si uniscono in un tronco comune che si porta in alto ed entra nella cavità cranica mediante il
foro giugulare (o lacero).
Ø La radice bulbare o nervo accessorio del vago, che origina dall’estremità inferiore del nucleo ambiguo,
nel bulbo, e le cui fibre emergono al di sotto di quelle del nervo vago (X), si portano lateralmente verso il
forame giugulare, dove si accollano per un breve tratto e si uniscono a quelle della radice spinale in un unico
tronco che attraversa il forame, subito dopo il quale, le due radici si separano in:
§ L’accessorio bulbare che si distribuisce seguendo i nervi laringei del vago; è destinato ad innervare i
muscoli del palato molle (eccetto il tensore del velo palatino innervato dal mandibolare);
§ L’accessorio spinale che scende nel collo e innerva i muscoli sternocleidomastoideo e trapezio (a cui
componente di origine somitica è innervata dal plesso cervicale).

37. ANSA DELL’IPOGLOSSO: RAPPORTI, COSTITUZIONE E TERRITORIO DI DISTRIBUZIONE

Il nucleo dell’ipoglosso si estende dal trigono dell’ipoglosso del pavimento del IV ventricolo alla regione ventrale
del bulbo. Le sue fibre emergono dal solco antero-laterale, tra la piramide e l’oliva, e si riuniscono attraversando il
canale dell’ipoglosso. Una volta uscito, il nervo discende verticalmente fino all’angolo della mandibola, formando
un’ansa, chiamata l’ansa dell’ipoglosso (o cervicale), che incrocia le arterie carotidi, interna ed esterna.

Quest’ansa decorre tra il muscolo ioglosso e miloioideo prima, e sulla faccia laterale del genioglosso poi, fino
all’apice della lingua. Qui, si divide nei suoi rami terminali:

• Nervi linguali, motori per i muscoli estrinseci ed intrinseci della lingua;


• Nervo meningeo ricorrente, per le diploe dell’occipitale e la fossa cranica posteriore;
• Ramo discendente (le fibre derivano solo da C1), che formerà la radice superiore dell’ansa cervicale o
dell’ipoglosso, unendosi a quella inferiore derivante da C2 – C3. Dalla convessità di quest’ansa derivano
rami (motori e sensitivi) per i muscoli sottoioidei.

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