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Il termine immunità deriva da immunitas che significa esenzione.

In realtà deriva dal fatto che ci si era resi conto che una
volta contratte alcune malattie l’organismo diventa protetto ciò diventava esente dall’avere quella malattia una seconda
volta nella vita. (tipico delle malattie esantematiche). -> una volta che uno fa la varicella può anche toccare le pustole di
un altro individuo varicelloso ma non svilupperà più la malattia. Questo perché in qualche modo abbiamo dei
meccanismi che rientrano nell’immunità che ci proteggono dalla contrazione della malattia per la seconda volta. Questo
vale influenza, corona ecc quindi una prima funzione del sistema immunitario è quella di difesa da microrganismi
patogeni(microrganismi come funghi, batteri o virus che se entrano nel corpo sono in grado di dare malattia)

Sistema immunitario
Il sistema immunitario non uccide tutti i microrganismi presenti nel nostro corpo ma è in grado di capire tra tutti i
microrganismi che incontra quali sono quelli patogeni e quindi li uccude da quelli non patogeni che vanno mantenuti
vitali come il microbiota intestinale.

Oltre dalla funzione di proteggerci dai microorganismi patogeni il nostro sistema immunitario ha altre due importanti
funzioni:

- Ci difende dall’insorgenza di neoplasie: sono delle neoformazioni che originano da una cellula appartenente a uno dei
nostri tessuti, che in seguito ad una mutazione del DNA perde il controllo della sua proliferazione dando origine ad
una massa vera e propria. Il sistema immunitario è in grado di riconoscere la cellula mutata.

- È coinvolto nel rigetto dei trapianti d’organo: riconosce le cellule del trapianto come qualcosa di non nostro e le
distrugge.

Quando un patogeno infetta il nostro organismo segue delle tappe precise:

1. Colonizzazione dell’ospite: il batterio crea una nicchia nella quale replicarsi.

2. Ricercare i nutrienti necessari alla replicazione.

3. Cercare di evitare la risposta immunologica dell’ospite. La risposta può essere di due tipi, immediata o innata e
tardiva o acquisita. La risposta innata non è in grado di debellare del tutto il patogeno, quella acquisita è molto più
lenta ma debella il patogeno.

4. Proliferazione.

5. Colonizzazione di nuovi ospiti.

Nel sistema immunitario rientrano le difese di barriera: servono a contrastare la colonizzazione dell’ospite, non
permettono al patogeno di proliferare .

Esistono tre tipi di barriera:

- Meccaniche: un esempio è la cute: epitelio pluristartificato attraverso il quale non passa nulla a meno che non si
tagli. Sopra la cute è secreta una sostanza che rende inospitale ai patogeni abitare sulla cute. L’altra barriera
meccanica sono le mucose: tutto ciò che e all’interno dell’organismo ma a contatto con l’esterno è tappezzato da
mucosa. Le mucose, essendo un tessuto esposto all’esterno, hanno sviluppato dei meccanismi di difesa. Ad es. le vie
aeree hanno una mucosa cigliata nella quale le ciglia spingono via i microorganismi patogeni.

- Fisiologiche: come il Ph. Ad esempio lo stomaco ha Ph 2, un Ph del tutto inospitale. A certi valori di Ph è impossibile
la crescita batterica. Altre sostanze presenti nelle secrezioni, come il lisozima (nella saliva) ,sono in grado di aggredire
i batteri e di distruggerli

- Microbiologiche: rappresentata dalla flora/microbiota intestinale.

Risposta immunitaria
La nostra risposta immunitaria è bifasica, ovvero vengono individuate due diverse fasi che porteranno alla risoluzione
dell’evento infettivo. Abbiamo la fase infiammatoria seguita dalla fase adattiva.

Se le difese di barriera vengono meno, il patogeno colonizza l’ospite e in questo momento interverranno le due branche
del sistema immunitario: l’immunità innata e l’immunità adattiva.
• Immunità innata
L’immunità innata o aspecifica tiene sotto controllo l’infezione rallentandone la progressione. Non combatte in maniera
super performante ma inizia ad agire dopo pochi minuti/ore che il patogeno ha infettato il nostro organismo scatenando
l’infiammazione.

Sono presenti due componenti:

- La componente umorale: sono tutte le molecole solubili che circolano nel nostro organismo, ovvero nel sangue o
nelle secrezioni. Esistono milioni di molecole che fanno parte della componete umorale, una delle principali è il
complemento: un insieme di proteine presenti nel plasma e nei liquidi interstiziali che nel momento dell’infezione si
attivano a cascata e hanno come obbiettivo principale quello di trovare l’infiammazione.

- La componete cellulare: tutte le cellule del sistema immunitario sono raggruppate sotto il nome di leucociti o globuli
bianchi. Tutti i globuli bianchi fanno parte della componente cellulare dell’immunità innata tranne i linfociti. I leucociti si
dividono in cellule mieloidi e linfoidi, queste sono le cellule mieloidi, ovvero: i granulociti, i monociti macrofagi, le
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cellule dendritiche, le cellule natural killer e i mastociti. Sono tutte cellule che aggrediscono il patogeno non in
modo definitivo ma tengono sotto controllo l’infezione.

I monociti (1-6%) sono cellule circolanti che fanno parte della difesa cellulare. Possono differenziarsi in macrofagi o
cellule dendridiche. Nei tessuti prendono il nome di macrofagi e a seconda del tessuto di cui fanno parte si distinguono
in: macrofagi alveolari, cellule di Kupffer, cellule del mesangio (nel rene), microglia e osteoclasti. Queste cellule hanno un
citoplasma abbondante contenente granuli contenenti i lisozimi utilizzati per eliminare il materiale fagocitato. Presentano
inoltre delle estroflessioni utilizzate per tastare il materiale presente nel microambiente circostante.

Il macrofago oltre al ruolo di fagocita ha anche il ruolo di attivatore della risposta infiammatoria e regolatore della
risposta e questo lo fa conducendo dei piccoli mediatori chiamati citochine che vanno ad attivare le cellule endoteliali
dei vasi rendendole più adesive e premettendo loro di reclutare il compartimento cellulare rappresentato dai neutrofili.

I monociti possono anche differenziarsi in cellula dendritica tramite lo stimolo proveniente dalle citochine. La cellula
dendritica possiede particolari estroflessioni citoplasmatiche chiamate dendriti che servono per succhiare il liquido
interstiziale analizzandone poi il materiale presente, rilevando se sono presenti segnali di pericolo. Quando la cellula
riceve questi segnali matura e acquista una motilità che le permette di uscire dal tessuto e di migrare verso gli organi
linfatici secondari dove presenterà ai linfociti contenuti nei linfonodi il segnale di pericolo attivandoli.

I granulociti si distinguono in neutrofili (50/60%), eosinofili (2/4%) e basofili (0,5%). I granulociti maturano nel midollo

passando poi al sangue dove risiedono fino al momento in cui vengono richiamati da un tessuto infiammato. A seconda
del tessuto infiammato verranno richiamati in prevalenza neutrofili, eosinofili o basofili.

Hanno un’attività simile a quella dei macrofagi: una volta passati nel tessuto, grazie a dei recettori vanno a riconoscere
della particelle che devono essere eliminate; queste vengono fagocitate e distrutte dalle secrezioni dei granuli presenti
all’interno del citoplasma dei granulociti.

I mastociti sono delle cellule residenti nei tessuti che rilasciano istamina quando vengono stimolate e innescano un
processo infiammatorio molto rapidamente. L’istamina svolge un’azione vasodilatativa, ipotensiva e peremeabilizzante
permettendo cosi il migliore afflusso di leucociti nella zona interessata.

• Immunità acquisita
Immunità acquisita o specifica o adattativa interviene più lentamente, ci mette circa una settimana. È estremamente
efficace ed è in grado di debellare il patogeno. Interviene sempre consequenzialmente all’immunità innata.

Ha tre caratteristiche fondamentali che la distinguono dall’immunità innata:

1. La specificità, ovvero la capacità di dirigere una risposta differente e specifica a seconda del patogeno. La
specificità è garantita dalla ricombinazione VDJ.

2. Effettua la discriminazione tra il self e il non self, quindi rientra nel rigetto dei trapianti. Solo i linfociti sono in grado
di fare la discriminazione tra le nostre proteine e quelle che invece sono nostre. Il processo che garantisce che i
nostri linfociti non riconoscano le nostre proteine è la selezione negativa.

3. La memoria: dopo la prima volta che un determinato patogeno ha infettato il nostro organismo, se il patogeno ci
infetterà di nuovo, il nostro sistema immunitario avrà già imparato a combatterlo e quindi avremo una risposta molto
più veloce ed efficace. La memoria è contenuta nei linfociti B della memoria: sono linfociti B che non muoiono
come tutti gli altri linfociti dopo aver combattuto l’infezione. Se nel nostro organismo inserisco un antigene A che il
nostro organismo ha già combattuto, nel giro di pochissimo tempo il nostro organismo produce molti più anticorpi e
in tempi più brevi rispetto al normale. Non si parla più di un singolo linfocita B che deve proliferare, in questo caso i
linfociti B della memoria presenti sono già in numero non indifferente.

Sono presenti due componenti:

- La componete umorale: è rappresentata dagli anticorpi, sono delle proteine ovvero molecole solubili. Si tratta dei
linfociti B che non agiscono come cellule in se, ciò che agisce sono gli anticorpi che essi producono ed in fine
secernono dopo essersi differenziati in plasmacellule. Gli anticorpi vengono rilasciati entro 7 giorni e raggiungono il
loro picco al 14esimo giorno

- La componete cellulare: sono i linfociti T helper che producono citochine, e T citotossici ovvero tossici per
l’agente patogeno.

Per riassumere: il SI è diviso in due branche: immunità innata e specifica che hanno una modalità di difesa dal patogeno
molto diversa ma entrambe sono fondamentali. Quella innata interviene subito e dà il tempo a quella acquisita di
prepararsi. L’immunità innata e quella acquisita tengono a bada e combattono l’infezione grazie ai globuli bianchi. Questi
sono tutti parte dell’immunità innata tranne i linfociti. Quindi granulociti, mastociti, ck ecc sono in grado di tenere a bada
l’infezione mentre i linfociti una volta che hanno capito il tipo di patogeno e quale linfocita deve intervenire subentrano
ponendo fine all’infezione. Morfologicamente i linfociti T e B sono indistinguibili. -> i linfociti B si distinguono solo
quando diventano plasmacellule perché aumentano le dimensioni del citosol. 

NB-> tutte le cellule del sangue derivano da uno stesso progenitore staminale che si trova a livello del midollo osseo.
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Questa cellula staminale a seconda di quale citochina (molecola che le cellule riconoscono come fattori di creascita) è
presente decide di diventare o un precursore mieloide o un precursore linfoide quindi la decisione di quale delle due
branche del SI popolare è molto precoce (avviene a livello del midollo osseo). Quindi se si viene scelti per l’immunità
innata si diventa precursori mieloidi e poi si può differenziare in granulociti o monociti o globuli rossi o piastrine. Si può
anche decidere di diventare linfociti. I linfociti B e quelli T vengono prodotti in siti differenti nel nostro corpo. I B vengono
prodotti nel midollo osseo mentre quelli T maturano nel timo. -> dal midollo osseo il precursore staminale migra nel timo
ce è un organo in posizione retrosternale dove diventa linfocita T.

Come avviene la risposta immunitaria specifica o adattativa?


Viene innescata quando un patogeno infetta l’organismo. Questo patogeno incontrerà un gran numero di linfociti,
localizzati negli organi linfatici secondari, tutti diversi per i recettori per l’antigene che esprimono.

Riconoscimento vuol dire legame dell’antigene il che comporta la trasmissione di un segnale di attivazione al linfocita
stesso. L’innesco di questo segnale di attivazione porta a due eventi che contraddistinguono l’attivazione del linfocita: il
primo evento è l’espansione clonale del linfocita vale a dire il linfocita prolifera generando milioni di cellule figlie tutte
dotate dello stesso recettore. Nello stato iniziale, prima dell’attivazione, i linfociti che riconoscevano quell’antigene erano
molto pochi e non erano in grado di fare nulla per eliminare quel patogeno.

L’espansione clonale si accompagna alla differenziazione a cellula effettrice, cioè cellula in grado di fare qualcosa, in
grado di sviluppare particolari attività funzionali in grado di eliminare l’antigene. Queste attività funzionali saranno diverse
a seconda del tipo di linfocita che è stato attivato. Il linfocita attivato è molto più grande rispetto al linfocita quiescente
che ha pochissimo citoplasma. Una volta avvenuto il riconoscimento la cellula deve diventare effettrice cioè in grado di
fare qualcosa per eliminare il patogeno e questo qualcosa viene fatto grazie a proteine (gli anticorpi) che vengono
prodotte nel citoplasma quindi questa cellula si ingrandisce ulteriormente, aumenta la quantità di citoplasma e aumenta
la sintesi proteica per poter produrre gli effettori della risposta immunitaria. Questi effettori, saranno in grado di eliminare
il patogeno la battaglia è stata vinta.

A questo punto l’espansione clonale non serve più, questi milioni di linfociti effettori che riconoscono il patogeno sono
troppi e devono essere eliminati in gran parte. Avviene lo spegnimento della risposta immunitaria e gran parte di queste
cellule attivate effettrici muoiono per apoptosi. Rimane pero una popolazione espansa di cellule che diventano
quiescenti e che sono cellule memoria.

Funzionamento dei linfociti B


Esistono due tipi di linfociti coinvolti nella immunità specifica: T e B che si differenziano per il recettore per l’antigene che
esprimono. I B esprimono in membrana un recettore per l’antigene che è rappresentato dalle immunoglobuline o
anticorpi. Ciascun linfocita B esprime un certo anticorpo adatto a un certo antigene (per antigene intendiamo qualsiasi
molecola idrofilica).

Quando il B incontra l’antigene per cui è specifico, (1) l’antigene viene legato dall’anticorpo, trasmette un segnale di
attivazione al linfocita B e determina l’attivazione del B. L’attivazione del B comporta due fenomeni: (2) espansione
clonale cioè il B prolifera e genera un clone di milioni di B tutti dotati dello stesso anticorpo quindi in grado di
riconoscere lo stesso antigene. Inoltre i B (3) differenziano a cellule effettrici che sono le plasmacellule, cellule molto
grandi con molto citoplasma e molto REG concentrato in una zona della cellula che spinge il nucleo verso il polo
opposto. Il REG produce un enorme quantità di anticorpi che però vengono prodotti non più nella forma di recettore di
membrana ma in forma solubile. Quindi le plasmacellule rilasciano questi anticorpi in forma solubile nello spazio
extracellulare e questi anticorpi saranno poi portati dal circolo sanguigno in tutto l’organismo e potranno andare a
riconoscere l’antigene ovunque, in qualsiasi a tessuto ed eserciteranno la loro attività effettrice a distanza, vanno a
eliminare l’antigene a distanza. Quindi il linfocita B non ha bisogno di andare a cercare l’antigene in quanto spedisce gli
anticorpi da soli a riconoscere ed eliminare l’antigene.

Gli anticorpi riconoscono l’antigene cosi com’è, nella sua forma nativa, l’antigene non deve essere modificato in alcun
modo. Se noi mettiamo in una soluzione l’antigene e l’anticorpo, l’anticorpo si lega all’antigene senza bisogno di nessun
aiuto. Quello che viene riconosciuto nello specifico dall’anticorpo è l’epitopo dell’antigene: zone di antigene che
sporgono che sono diverse in base all’antigene stesso in questione.

Gli antigeni riconosciuti dagli anticorpi sono qualsiasi molecola idrofilica quindi gli anticorpi potranno riconoscere
proteine, polisaccaridi, fosfolipidi e acidi nucleici. Qui tratta di una qualsiasi macromolecola idrofilica perché l’interazione
tra anticorpo e antigene avviene in un ambiente acquoso.

Di per se il legame anticorpo-batterio non significa che l’anticorpo produce una tossicità diretta sul batterio stesso.
Infatti l’anticorpo per lo più non ha un’azione tossica ne funzionale, ma ha un’azione di bandierina cioè ha la capacità
di segnalare la presenza del batterio a dei sistemi effettori dell’immunità innata, ad esempio il batterio può adesso essere

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riconosciuto da un macrofago che ha dei recettori che riconoscono la coda dell’anticorpo. In questo senso l’anticorpo
funziona da opsonina, ovvero permette al macrofago di riconoscere il batterio in quanto riconosce glia nei corpi legati
sulla superficie del batterio.

L’anticorpo può funzionare da bandierina anche per il sistema del complemento che è un insieme di proteine presente
nel plasma e nei liquidi interstiziali che vengono attivate con un meccanismo a cascata. L’attivazione del complemento
può essere mediata attraverso varie via ma una delle più importanti è proprio quella mediata dagli anticorpi. Quando gli
anticorpi si fissano sulla superficie del batterio questi anticorpi vengono riconosciuti dai fattori del complemento i quali
grazie a questo riconoscimento si attivano. L’attivazione del complemento è mediata in gran parte dalla scissione
proteolitica di pro fattori che diventano fattori attivi. Una parte di questi fattori attivi si fissa, per questo l’attivazione del
complemento viene anche chiamata fissazione, sulla superficie del batterio e porta alla formazione di buchi sulla
superficie del batterio. Questi buchi sono immediati da questo complesso multi proteico che si chiama MAC. Il MAC
perfora il batterio e determina la sua lisi. Alcuni componenti del complemento che si fissano sulla superficie del batterio
funzionano anche da opsonine vale a dire vengono riconosciuti da recettori del complemento espressi sulla superficie
dei macrofagi e grazie al riconoscimento di queste opsonine il macrofago può andare a fagocitare il batterio.
Contemporaneamente l’attivazione del complemento determina la liberazione di alcuni frammenti che rimangono solubili
del complemento che si chiamano anafilotossine che sono dei potenti agenti pro infiammatori vale a dire hanno varie
funzioni che permettono di attivare l’infiammazione e anche di richiamare le cellule infiammatorie. Quindi gli anticorpi
sono dei potenti attivatori del complemento.

Funzionamento dei linfociti T


I T sono i linfociti che hanno come recettore per l’antigene il T cell receptors. Una particolarità dei linfociti T è che non
riconoscono l’antigene come tale, se voi mette e in una provetta un T e l’antigene non avviene nessuna interazione.
Questo perché i T riconoscono l’antigene solo dopo che questo è stato captato e modificato da una cellula
presentante l’antigene, ad esempio un macrofago o una cellula dendritica.

Il T cell receptors è un recettore transmembrana che si trova sulla superficie dei linfociti T, responsabile del
riconoscimento degli antigeni presentati dal complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Il legame tra TCR e il
complesso MHC-antigene, associata ad altri segnali detti co-stimolatori, portano all'attivazione del linfocita T.

Ad esempio, una proteina viene captata e fagocitata dal macrofago, la proteina dentro al macrofago viene spezzettata in
peptidi, la vescicola che contiene i peptidi dentro il macrofago si fonde con una vescicola che proviene dal Golgi che
contiene delle proteine vassoio chiamate molecole del complesso maggiore di isto compatibilità o molecole MHC.

La vescicola che contiene peptidi antigenici si fonde con la vescicola che contiene le molecole MHC, dopo di che i
peptidi antigenici vengono caricati all’interno della molecola vassoio che viene espressa in membrana e va a porgere il
peptide antigenico al linfocita T, più precisamente al suo T cell receptors.

Il T tramite il suo T cell receptors riconoscerà il peptide antigenico e insieme la molecola MHC che lo rappresenta,
il T cell receptors non riconosce la MHC da sola ne riconosce il peptide antigenico da solo ma riconosce il binomio.
Questo riconoscimento comporta l’attivazione del T vale a dire la sua espansione clonale e la sua differenziazione a
cellula effettrice.

Esistono due tipi di linfociti T che si differenziano per l’attività effettrice che svolgono: i T citotossici e i T helper.

I T citotossici sono cellule che riconoscono e legano la cellula bersaglio e la uccidono dopo averla legata. Le cellule
bersaglio dei linfociti T citotossici sono cellule tumorali o cellule infettate da virus. Il riconoscimento del T citotossico è
specifico cioè il T citotossico riconosce una cellula infettata da un certo virus e non da un altro. Quando avviene il
riconoscimento, avviene il legame e il linfocita T citotossico riversa sulla cellula bersaglio delle sostanze tossiche che
determinano la sua morte per apoptosi. Il T citotossico esprime in membrana un recettore che aiuta il T cell receptors a
funzionare e per questo viene chiamato corecettore. Il corecettore particolare dei T citotossici è il CD8. Per questo
motivo sono chiamati anche cellule CD8 positive o cellule CD8.

I T helper sono caratterizzati dalla presenza in membrana di un altro corecettore che si chiama CD4 per cui i T helper
sono detti cellule T CD4 positive o cellule CD4.

Organi del sistema immunitario


Il sistema linfatico è l’insieme di organi che sono coinvolti nello sviluppo della risposta immunitaria. Si distinguono in
organi linfatici primari e secondari.

- Gli organi linfatici primari sono quelli in cui i linfociti differenziano dalla cellula staminale e sono rappresentati dal
midollo osseo contenuto nelle ossa lunghe e nelle ossa piatte, e dal timo. Nel midollo osseo vengono prodotti i
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linfociti B e nel timo maturano i linfociti T. Il timo è un organo che si trova davanti al cuore, tra il cuore e lo sterno. Nel
midollo e in parte anche nel timo si differenziano anche un altro tipo di linfociti che sono i natural killer che
appartengono all’immunità innata. Il timo è un organo estremamente efficiente nel neonato ma nel corso della nostra
vita involve.

- Gli organi linfatici secondari sono i linfonodi, la milza e il MALT. Negli organi linfatici secondari si vengono a
localizzare i linfociti T e B maturi a e livello di essi il linfocita incontra l’antigene e avviene l’attivazione della risposta
immunitaria. I linfociti T e B classici risiedono nei tessuti linfatici secondari e circolano continuamente da una sede
all’altra di essi alla ricerca del proprio antigene. Infatti i linfociti specifici per un certo antigene sono molto pochi per
cui la probabilità dell’incontro con l’antigene deve essere aumentata attraverso un sistema di pattugliamento
continuo.

I tre organi linfatici secondari sono identici dal punto di vista morfologico, si differenziano solamente per il fatto che
pattugliano alla ricerca di anticorpi in diversi distretti corporei.

Il loro elemento comune sono i follicoli linfatici che non sono altro che degli aggregati di linfociti B e T. I follicoli linfatici
sono caratterizzati da una zona chiara detta centro germinativo. Il centro germinativo è la sede in cui i linfociti B
diventano cellule memoria.

È inoltre importaste ricordare che negli organi linfatici primari vengono formati i linfociti, mentre esclusivamente nei
secondari avviene l’incontro con l’antigene

I linfonodi sono dei nodi di tessuto che si trovano a livello delle giunzioni dei vasi linfatici nell’organismo. Essi prendono
la linfa proveniente dai tessuti, trasportano il liquido che contiene il materiale antigenico, le cellule dentritiche ed i
prodotti biochimici infiammatori dai siti dell'infezione. Pertanto i linfonodi campionano soprattutto gli antigeni che
provengono dai tessuti attraverso la linfa. La linfa della parte inferiore del corpo va tutta a confluire nel dotto toracico il
quale poi versa la linfa nel circolo venoso a livello della vena succlavia.

I vasi linfatici costituiscono una rete che va a confluire in vasi linfatici un po’ più grandi ovvero quelli che portano la linfa
ai linfonodi loco regionali. Questi vasi linfatici si chiamano afferenti.

La struttura globale del linfonodo è dei lobuli multipli circondati dai seni riempiti di linfa. Tutto il questo è qui accluso
all'interno di una capsula. Il linfonodo dunque possiede la capsula, il vaso linfatico afferente e quello efferente.

Ci sono vasi che irrorano il linfonodo: un’arteria afferente, un circolo capillare e una vena efferente. Proprio attraverso
questi vasi i linfociti migrano dal sangue per entrare nel linfonodo.

Nel linfonodo si distinguono 3 regioni al di sotto della capsula:

- A livello della corteccia o corticale si trovano i follicoli linfatici: questa zona corticale comprende i linfociti B e T .

- La zona para-corticale o corteccia contiene i linfociti T.

- La zona midollare è la regione a ridosso del vaso efferente e contiene plasmacellule: sono linfociti B che hanno
incontrato l’antigene e hanno rilasciato l’anticorpo.

Un linfocita B quiescente abita in zona corticale ma se incontra l’antigene migra in zona midollare, dunque il
riconoscimento accende in zona corticale. Nello spostamento questo transita per la para-corticale dove sono presenti i
linfociti T che non sono capaci di riconoscere un antigene da soli ma riconoscono solo proteine e solo dopo che la
cellula presentante l’ag ha frammentato le proteine in peptidi e le ha caricate sui vassoietti.
È utile che sia nella midollare perché c’è il vaso efferente che trasporta linfa. La linfa che entra nel linfonodo si porta
l’antigene mentre quella che esce si porta anticorpi.

N.B. ->I linfociti B sono delle cellule presentanti l’antigene quindi succede che mentre i B transitano frammentano le
proteine del patogeno, le caricano sui vassoietti e le presentano ai linfociti T che hanno un recettore che riconosce i
pezzettini o peptidi. Quando arrivano nella midollare tutto si è compiuto. I linfociti B non sanno fare niente se non hanno
un T helper che produce le citochine che danno l’informazione di proliferazione. Quello che succede veramente è che i
linfociti con anticorpi capaci di riconoscere il patogeno lo riconoscono, transitano per la midollare e presentano
l’antigene al linfocita T in modo tale da avere la certezza che si tratti di un patogeno perché se il linfocita T lo riconosce
si attiva iniziando a produrre le giuste citochine necessarie ai linfociti B per la proliferazione e la trasformazione in
plasmacellula con secrezione di anticorpi -> si tratta di una risposta immunitaria piena che prevede sempre l’attivazione
di T helper.
I linfociti che son arrivati nel circolo sanguigno potranno, se non attivati, andare a migrare nel tessuto in cui devono
organizzare la riposta infiammatoria. Se invece sono cellule che non hanno trovato l’antigene, quindi non attivate,
potranno andare a ricircolare in nuovi tessuti linfatici secondari alla ricerca del proprio antigene.

La milza è un altro organo linfatico che si trova all’interno del circolo sanguigno e va ad analizzare e campionare gli
antigeni che sono presenti nel sangue filtrandolo. La milza è irrorata dall’arteria splenica, è circondata da una capsula
sottile e delicata ed è formata da 2 tipi di tessuti: la polpa bianca e la polpa rossa.

La polpa rossa è costituita dai sinusoidi splenici: un tessuto spugnoso che è formato da macrofagi residenti. In questa
polpa rossa il sangue fluisce e i macrofagi fagocitano le particelle del sangue che devono essere eliminate (detriti, cellule
invecchiate). Quindi la polpa rossa non è un organo immunitario in senso stretto ma è un filtro che tiene pulito il sangue.

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All’interno della polpa rossa troviamo la polpa bianca che è la parte linfatica dell’organo. É formata da linfociti,
macrofagi e altre cellule libere nel contesto di un reticolo connettivale che si dispone intorno alle arteriole centrali. Anche
al suo interno distinguiamo i follicoli linfatici (strutture tondeggianti dento le quali abitano i linfociti B). Nella milza si ha il
riconoscimento di ag che sono presenti a livello ematico ossia nel sangue (infezione che noi chiamiamo sepsi). Quando
il patogeno è nel torrente ematico i linfonodi non lo vedono perché il tipo di riconoscimento da parte dei linfociti B e T
prevede che si riconosca l’antigene proveniente dalla linfa. La milza filtra il sangue quindi un patogeno a livello ematico
viene riconosciuto a livello della milza.

Il MALT è il sistema linfatico associato alle mucose ovvero tutti gli epiteli che tappezzano gli organi interni cavi a
contatto con l’esterno. È importante avere una sede dove avviene il riconoscimento dell’antigene anche sulle mucose
perché le mucose sono direttamente a contatto con l’esterno quindi la probabilità che arrivi un agente patogeno
attraverso quella via è molto elevata. L’80% dei linfociti B e T sono disseminati nel MALT. Il motivo per cui l’80% sta nel
MALT è legato al fatto che in questo organo i linfociti B e T vengono educati a riconoscere il self dal non self quindi nel
riconoscere cibo e batteri del microbiota intestinale come cose verso cui essere tolleranti. Questo è il motivo per cui
prima o poi tutti i linfociti transitano dal MALT.

Nel MALT rientrano numerose strutture. Essenzialmente è costituito da follicoli linfatici all’interno dei quali troveremo i
linfociti B e T .

In alcuni distretti come ad esempio il cavo orale, il MALT ha assunto una struttura molto più organizzata ad esempio le
tonsille.

Le Placche dei Peyer sono presenti a livello intestinale e rappresentano la massima organizzazione del MALT. In questa
zona c’è una grandissima quantità di follicoli linfatici (i quali sono aggregazioni di linfociti B e T). È possibile trovarne
tantissimi anche a livello della lamina propria nell’intestino. Il campionamento degli antigeni presenti nel lume della
mucosa avviene grazie a cellule particolari che si chiamano cellule M: hanno il compito di campionare ciò che è
presente nel lume intestinale e di presentarlo ai linfociti B e T presenti nei follicoli linfatici.

Nel lume intestinale il nostro organo linfatico è continuamente messo a dura prova perché è un distretto nel quale c’è
continuo afflusso di microrganismi. La maggioranza di linfociti B e T risiedono nel MALT proprio per questo motivo: in
questo organo i linfociti imparano a discernere tra microrganismi patogeni o non patogeni.

I linfociti t helper producono citochine pro infiammatorie oppure anti infiammatorie e il fatto di avere una risposta pro
infiammatoria mentre riconosco l’antigene suggerisce che sto avendo una risposta adeguata .

Sebbene meno evidente c’è anche un sistema linfatico associato alla cute che è molto ricca di cellule dendritiche, tra
l’altro esiste una particolare tipologia di cellule dendritiche chiamate cellule di Langherans che sono contenute
all’interno dello spessore dell’epitelio multi stratificato e che sono molto importanti per innescare la risposta immunitaria
a livello della cute.

La risposta immunitaria
La risposta immunitaria è costruita da due fasi:

1. Fase infiammatoria: è propria dell’immunità innata. Non è importante l’identità del patogeno, essa si scatena
sempre. Ha come primo obbiettivo quello di contenere l’infezione, se no i batteri proliferando entrerebbero in un
capillare e attraverso il circolo sanguigno andrebbero a disperdersi in tutto l’organismo. Come secondo obbiettivo ha
quello di andare ad avvisare le cellule dell’immunità adattativa che c’è un’infezione in corso. In questa fase non viene
eliminato il patogeno ma è estremamente importante per attivare la seconda fase. L’immunità innata viene attivata
dal legame con il recettore di pericolo con evento finale l’innesco dell’infiammazione ovvero il rilascio di ciotochine e
chemochine che andranno a richiamare altri leucociti.

2. Fase adattiva: è propria dell’immunità acquisita. Ha come primo obbiettivo l’eliminazione del patogeno. Come
secondo obbiettivo questa fase ha quello di creare una memoria. Dopo che un patogeno ha causato una malattia già
una prima volta, la seconda volta che questo patogeno ci infetterà noi non è che saremo immuni, ma lo
combatteremo estremamente velocemente.

La fase infiammatoria
L’infiammazione è la risposta che i tessuti connettivi vascolarizzati hanno nei confronti di un danno. La
vascolarizzazione del tessuto è fondamentale per avere l’infiammazione per permettere ai leucociti di arrivare nel sito
interessato. Inoltre deve esserci un danno che può essere di diversa natura.

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L’infiammazione può essere acuta o cronica. L’infiammazione acuta si verifica in pochissimo tempo rispetto al danno
tessutale e da delle specifiche caratteristiche fenotipiche.

Gli attori in gioco sono:

- Tessuto oggetto del danno vascolarizzato

- Fibroblasti: intervengono nelle fasi tardive dell’infezione, soprattutto per quanto riguarda l’infiammazione cronica.

- Mastociti e macrofagi: intervengono nelle prime fasi dell’infiammazione. I macrofagi dopo aver fagocitato materiale
grazie ai loro recettori, frammentano tutte le proteine e le pongono su dei vassoietti. A questo punto il macrofago
entra nel vaso linfatico e arriva al linfonodo. Se a questo punto esso sui suoi vassoietti possiede materiale patogeno
attiverà i linfociti. Questo processo è di fondamentale importanza per creare un link tra immunità innata e adattiva. I
macrofagi sono cellule presentanti l’antigene.

- Granulociti.

Come fanno questi leucociti a riconoscere il patogeno? I leucociti scatenano un processo infiammatorio grazie a dei
recettori di superficie che possiedono, essi dunque si attivano in risposta a stimoli al sistema recettoriale. I leucociti si
attivano in risposta a stimoli che stimolano un sistema recettoriale e i recettori possono essere classificati in 5 gruppi
funzionali. (disegnati e quadrettati sulla superficie del leucocita). I primi due sono recettori che informano il leucocita che
deve rispondere ad uno stimolo proliferativo o migratorio quindi sono recettori per le chemochine, ossia che legano
fattori chemotattici e che quindi informano i linfociti di qual è il punto dove si ha infiammazione e in cui devono uscire dal
torrente circolatorio.
I recettori sono tantissimi ma possono essere raggruppati in 3 classi:

- Recettore per i microrgansimi: recettore che lega molecole espresse solamente nei patogeni.

- Recettore per i detriti cellulari: i detriti cellulari hanno un recettore specifico. Non c’è un microrganismo patogeno ma
magari un danno alla cute.

- Recettore dei complessi antigene-anticorpo.

Quindi in un processo infiammatorio succede che si innesca un processo per cui il vaso diventa permeabile, permette lo
stravaso delle cellule leucocitarie e di fluidi ossia dell’edema estremamente importante per permettere il trasporto
dell’agente patogeno a livello dei linfonodi ascellari ossia a livello di un organo linfatico secondario. L’edema permette
quindi una lavatura del tessuto che permette di drenare tutto ciò che c’è nel tessuto(detriti/batteri ecc) nel vaso linfatico
che prima o poi arriverà a un linfonodo. Una volta che i macrofagi hanno fagocitato l’agente patogeno, sono arrivati i
linfociti e quindi l’agente patogeno non c’è più allora il processo si risolve perché l’edema che era una cosa buona viene
drenato dal sistema linfatico quindi si risolve anche perché la permeabilità vascolare che aveva permesso a leucociti e
fluidi di stravasare torna alla normalità. Il drenaggio rimuove tutte le cose contenute nel tessuto ma anche tutte le cellule
stravasate per cui al linfonodo ascellare arriveranno oltre detriti/agente patogeno anche per esempio i macrofagi che
durante l’infiammazione acuta hanno fagocitato l’agente patogeno -> l’obbiettivo della fagocitosi non è solo rimuovere
l’agente patogeno e degradarlo ma il macrofago prende anche pezzi di proteine del patogeno ed esporle su vassoietti.
Nella risoluzione dell’infiammazione poi questo macrofago entra nel vaso linfati e arriva al linfonodo quindi se arriva al
linfonodo un macrofago che ha nei vassoietti un pezzetto di una proteina (di un patogeno) ecco che i linfociti T hanno
una cellula presentante l’antigene in grado di presentargli ciò che devono riconoscere.

I macrofagi
Che recettori hanno i macrofagi? I recettori con cui riconoscono i patogeni non sono specifici per esso, questi macrofagi
hanno dei recettori che non sono specifici per ogni tipo di patogeno che esiste in natura ma sono divisi in classi in grado
di riconoscere il patogeno senza fare troppe distinzioni.
Possiamo raggrupparli in due classi:

- DAMP(2*): recettori di pericolo in grado di capire che ciò che viene legato è pericoloso. Ne esistono di due tipi a
seconda della derivazione del pericolo: se il pericolo deriva da particelle di microrganismi patogeni essi vengono
chiamati PAMP (1*); se il pericolo deriva da materiale necrotico (esito di traumi, ustioni,..) essi vengono chiamati
ALLARMINE, le allarme sono sostanze normalmente nucleari o citoplasmatiche, che se si trovano all’esterno significa
che la cellula è andata incontro a lisi ed è quindi morta. La conclusione sarà scatenare un processo infiammatorio in
entrambi i casi.

- ACAMP: recettori che legano molecole prodotte in condizioni non fisiologiche, ma che non innescano un processo
infiammatorio.

(1*)Come fanno i macrofagi a riconoscere i PAMP?

Hanno due modalità:

• Direttamente: i macrofagi li riconoscono tramite dei recettori posti sulla membrana con cui riescono riconoscere delle
molecole sulla superficie dei patogeni. I macrofagi possiedono 10 diversi recettori chiamati Toll-Like receptors. Alcuni
patogeni però non vengono riconosciuti dai Toll-like receptors.

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• Indirettamente: è il meccanismo più utilizzato. Ciò che il macrofago riconosce non è il batterio ma sono gli anticorpi
legati al batterio stesso. L’opsonizzazione è il processo attraverso il quale i macrofagi non riconoscono l’agente
patogeno in se ma molecole presenti sulla superficie batterica. L’opsonizzazione è compiuta da due molecole: il
complemento e un particolare tipo di anticorpo.

Esistono recettori extraxellulari come il Toll-Like receptors, ma anche intracellulari che legano all’interno del
macrofago stesso. Ci sono i rettori nod-like o rig.

L’evento subito conseguente al riconoscimento è la produzione, da parte del macrofago, di citochine pro-
infiammatorie: sono sostanze direttamente tossiche nei confronti del patogeno. Una volta attivati l’esito è lo stesso
ossia viene scatenato un processo infiammatorio e allora quando si intende dire come prima cosa che si ha la
produzione di citochine po- infiammatorie o meglio l’evento conseguente al fatto che si ha avuto un legame con DAMPo
PAMP la prima cosa che il macrofago fa è produrre citochine pro-infiammatorie perché la funzione delle citochine si
sviluppa su tre linee:

1. Le citochine inducono la liberazione di sostanze direttamente tossiche nei confronti del patogeno

2. Produrre altre citochine che richiamino dal circolo altri leucociti (processo importante per amplificazione del segnale).
è fondamentale richiamare altre cellule dal circolo per competere con un batterio che ogni 20 min si replica.
3. Presentazione dell’antigene ossia riconoscono l’antigene e le sue proteine. Le proteine vengono frammentate e le
caricate sui vassoietti -> questo permette di creare il collegamento tra immunità innata ed adattativa.

(2*)Come fanno i macrofagi a riconoscere i DAMP? I recettori che rientrano nei recettori DAMP in grado di riconoscere
sostanze legate ai patogeni rientrano in diversi gruppi infatti abbiamo recettori extracellulari come i toll- like receptor ed
altri intracellulari che legano quindi all’interno del macrofago e sono importanti perché esistono alcuni microrganismi che
per loro natura stanno nella cellula (come i virus) per questo è necessario avere anche un sistema che pattuglia l’interno
della cellula.-> questi possono avere struttura simile a quella dei toll-like receptor oppure possono appartenere a
recettori NOD-like o RID responsabili del riconoscimento gli RNA virali.

Il complemento
I macrofagi hanno sistemi di riconoscimento diretti o indiretti e quindi si attivano fagocitando il batterio, secernendo
citochine e dando il via all’infiammazione acuta. A volte i macrofagi da soli non sono in grado di esplicare le loro funzioni
perché non possiedono il corretto toll-like receptor. Il complemento fa parte dell’immunità innata e interviene a
prescindere dalla risposta.
Il complemento è formato da 9 proteine che circolano nel sangue in forma inattiva. I fattori del complemento sono
denominati da C1 a C9.

Le prime 5 proteine del complemento sono delle proteasi, ovvero enzimi che quando vengono attivati riescono a
riconoscere un’altra proteina o un substrato proteico e a tagliarlo in due.

Le proteine del complemento possono svolgere 4 funzioni, 3 delle quali sono direttamente coinvolte nello scatenare
l’infiammazione acuta.

Queste quattro funzioni sono:

- Lisi della cellula bersaglio: la cellula bersaglio può essere un batterio, una cellula infettata da virus o una cellula
tumorale. Il complemento è in grado di formare dei buchi sulla superficie della cellula bersaglio causando così la
fuoriuscita di tutto ciò che stava al suo interno e portandola alla morte. Sono coinvolti tutti i fattori del complemento.

- Opsonizzazione : è la sua capacità di segnalare a fagociti, come ad es. un macrofago, che c’è qualcosa da
fagocitare. Esistono due tipi di opsonine: gli anticorpi e il complemento, in particolare il C3b.

- Attivazione dell’infiammazione: il complemento produce delle sostanze chemiotattiche per indicare il distretto
preciso delli’infiammazione, scatena un processo infiammatorio che richiama dal circolo i leucociti. I responsabili dello
scatenamento del complesso infiammatorio sono le anafilotossine: C3a, C4a e C5a, presenti in forma solubile e
quindi in grado di circolare.

- Rimozione dal circolo degli immunocomplessi: sono strutture formate da tanti anticorpi e da tanti antigeni legati tra
di loro.

Le vie di attivazione del complemento sono tre:

- Via classica : prevede la presenza di anticorpi (igG, igM) sulla superficie del batterio. L’anticorpo sarà presente o
dopo sette gironi dall’infezione o in caso ci fosse una memoria immunologica.

- Via alternativa o via lectinica: è sufficiente il contatto con la parete batterica affinché si attivino queste due vie.
Sono due vie che funzionano senza che intervenga prima l’immunità adattativa. Sono molto utili per l’innesco
dell’infiammazione ma non per debellare il patogeno.

Nella via classica il complemento si attiva portando alla formazione di numerosi buchi solo se c’è l’anticorpo sul batterio
oppure quando c’è una memoria (l’anticorpo però sarà presente o dopo 7 gg da quando inizia la risposta immunitaria).

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Le altre due vie invece partono per contatto di alcune componenti del complemento con la superficie batterica. Quello
che accade nelle prime fasi dell’infezione quando si ha ancora un singolo batterio sono queste due vie che non sono in
grado di fare tanti danni infatti con queste non si riesce a debellare il patogeno ma questo si tiene sotto controllo. Sarà
solo dopo (quando arrivano anticorpi) che allora il complemento si attiverà attraverso la via classica determinando
l’eliminazione del patogeno. -> Mentre la via classica ha un sistema molto potente e si attiva solo se c’è un anticorpo
sulla superficie del batterio le altre due vie si attivano per contatto (quindi basta che si tocchi la superficie batterica)
inoltre sono molto low level ossia attivano un po’ di complemento MA non tantissimo (non basta per uccidere il batterio).
Queste due vie funzionano anche senza immunità adattativa ossia funzionano da subito ma non debellano il batterio.
Le tre vie di attivazione del complemento partono da punti diversi ma poi convertono in una via sola. La cascata
proteolitica più efficace e completa è quella rappresentata dalla via classica.

C1 è il primo fattore del complemento ed è costituito da 3 subunità: C1q, C1r, C1s. Esiste in due conformazioni, una
inattiva e una aperta.

1. Per innescare la via classica è necessario che almeno due anticorpi siamo legati dal C1. Quando C1 lega un
anticorpo, cambia conformazione e dunque il sito con attività proteica (fattore catalitico in grado di riconoscere il
substrato e di tagliarlo), che è solitamente mascherato, viene mascherato attivando l’enzima e rendendolo capace di
legare il substrato.

2. C1 attivo è una proteasi in grado di riconoscere i substrati C2 e C4 e di scinderli in C2a-C2b e C4a-C4b.

3. I frammenti C2a e C4b si legano tra loro diventando così una proteasi: la C3 convertasi che sarà in grado di legare il
C3 e di scinderlo in C3a e C3b. Il C3 è il punto centrale dell’attivazione del complemento perché permette al c3b di
legarsi covalentemente alla superficie batterica. La C3 convertasi amplifica il segnale perché da 1 C1 avremo 200
C3a e C3b. Il C3 è un dimero formato da una catena alfa e una beta, questo sotto l’azione della C3 convertasi viene
scisso in C3a .

4. Il C3b si lega alla C3 convertasi trasformandola in C5 convertasi che andrà a riconoscere il C5 e a scinderlo in C5a e
C5b.

5. Il C5b è la parte proteica ed esso lega C6, C7 e C8 per costruire una piattaforma di ancoraggio sulla membrana
batterica.

6. Il C9 possiede due porzioni estremamente idrofiliche ai lati e centralmente una idrofobica, ciò lo rende perfetto a
posizionarsi a cavallo della membrana. Tante molecole di C9 entrano nella membrana plasmatica e polimerizzano in
cerchio. Come conseguenza di questa cosa avremo la lisi della cellula batterica.

Le porzioni A dei fattori C3, C4 e C5 rimangono solubili e vengono chiamate collettivamente anafilotossine: importanti
fattori chemiotattici necessari per richiamare altri leucociti dal circolo e per indicare a loro quale è il punto preciso di
dove è avvenuta l’infezione. Il fatto che il complemento si attivi subito è necessario per ottenere la produzione di
anafilotossine.

Per quanto riguarda la via alternativa e la via lectinica, entrambe hanno come punto di partenza il contatto con la
cellula batterica e come traguardo l’attivazione del C3. Il C3b andrà a formare la C5 convertasi, che a sua volta
convertirà la C5 la quale andrà ad indurre la formazione del poro.

Queste due vie esistono in virtù del fatto che la via classica, che è effettivamente in grado di uccidere il batterio, partirà
solo quando avremo l’anticorpo legato al batterio.

In generale -> L’attivazione del complemento avviene attraverso tre vie: quella classica che prevede la presenza di un
anticorpo (quindi si ha in fasi tardive o quando c’è già memoria) e altre due che si attivano in seguito a contatto diretto
con la parete batterica(presenti nelle prime fasi).
La C3 convertasi è un enzima estremamente efficiente per cui ha un turnover di digestione molto efficiente e rapido (nel
momento in cui ho una C3 convertasi questa può convertire convertire 200 C3-> per ogni C1 si formano 200 C3a e 200
C3b). il C3b trasforma la C3 convertasi in C5 convertasi MA è anche la parte del complemento che funziona da
opzonina capace di essere riconosciuta da un macrofago (quindi permette fagocitosi) inoltre è responsabile della
rimozione dal circolo degli immunocomplessi.
Le piccole porzioni ‘a’ (cerchiare in giallo-> C3A, C4a e C5a) generate dal taglio non rientrano nella formazione del poro
ma sono porzioni che rimangono solubili e che sono estremamente importanti-> prendono il nome di anafilotossine
(fattori chemiotattici molto potenti) sufficienti per richiamare dal circolo altri leucociti che servono per aiutare contro
l’infezione.

Il complemento deve attivarsi solo in presenza di patogeni. Un inibitore importante è quello del C1 (inibitore sierico) che
è in grado di impedire l’attivazione del primo fattore del complemento inibendo il cambio conformazionale che determina
l’attivazione e lo smascheramento del sito catalitico. Si tratta di un inibitore importante infatti mutazioni di C1 che
rendono poco attivo o poco espresso questo inibitore sono responsabili di angioedema ereditario che se presente a
livello faringeo può portare anche a morte per soffocamento.

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Esistono dei regolatori del complemento sono anche detti inibitori e si vanno a legare ai fattori del complemento
inibendone la loro attività.

Il fattore sierico è un inibitore in grado di bloccare la C3 convertasi. Questo fattore sierico diventa importante con l’aiuto
di due cofattori che sono sia sierici che di membrana. Questi cofattori aiutando il fattore I a livello di C3 convertasi (una
prima funzione è quella che coinvolge il C4b e che induce la scissione in C4c e C4d che non hanno una funzione
impedendo al C4b di legare C2a; in alternativa il C3b può essere legato dal fattore H che induce l’azione del fattore I a
degradare e rimuovere un pezzo di C3b formando iC3b inattivo). Il C3b inattivo non è più in grado di proseguire la
cascata proteolitica ma funziona ancora come opsonina e può ancora agire sul C3bi trasformandolo in una che non ha
neanche attività opsonina.
Nell’ultimo riquadro si vede CD55 che è un importante regolatore di membrana che presenta una parte proteica
ancorata a fosfatildil inositolo che permette lo spostamento sulla superficie della cellula proprio per intercettare le C3
convertasi formate ma è fondamentale per avere il cofattore completo di poter ancorare la parte proteica al fosfatidil
inositolo. Esistono delle mutazioni nei geni che permettono l’ancoraggio di CD55 e CD59 al fosfatidil-inositolo tali per cui
le cellule dei globuli rossi non hanno questi cofattori ancorati alla membrana. -> Per questa ragione soprattutto di notte
quando si hanno variazioni di PH a livello ematico si ha la lisi complemento mediata dei globuli rossi.
Inibitori del CD59 inibisce il C9 ossia una volta che si viene a formare il C5b,6,7,8 questi impediscono la
polimerizzazione del C9 per dare il complesso completo di attacco alla membrana. Il fattore sierico invece impedisce a
C5b,6,7 di stare ancorato alla membrana e indurre la successiva polimerizzazione dell’8.

Esistono poi per cui vengono prodotti proteine che mimano i fattori di regolazione del complemento per cui inibiscono
pur senza essere gli inibitori del complemento umano per bloccare l’effetto del complemento stesso.
Esistono delle immuno-deficienze causate da difetti in alcuni dei fattori del complemento. Se manca o è poco funzionale
qualcuno dei fattori del complemento ci troviamo in una condizione in cui il SI funziona male o poco: si hanno delle
immuno- deficienze di gravità differenti anche se il deficit più grave è quello dovuto all’assenza di C3. (tutte e tre le vie
convertono su C3). Tutti i fattori del complemento se mutati si associano a condizioni di immuno-deficienza ad
eccezione del C9. Mutazioni/delezioni o alterazioni del C9 non è associato a condizioni di immunodeficienza.

Gli anticorpi
Gli anticorpi o immunoglobuline o gamma-globuline sono la componente umorale dell’immunità adattativa.

Dal punto di vista strutturale, gli anticorpi sono tetrameri, formati da 4 proteine, costituiti da due catene pesanti (H
chain) uguali tra loro, e due catene leggere (L chain) uguali tra loro. Le due catene pesanti sono unite da ponti di solfuro
e le due catene leggere sono unite una ciascuna alle due catene pesanti anch’esse tramite ponti di solfuro, un legame
covalente molto stabile. Oltre a questi legami di solfuro extramolecolari, esistono anche ponti di solfuro intramolecolari.

Un dominio immunoglobulinico è un’insieme di foglietti beta-immunoglobulinici antiparalleli tenuti insieme da ponti di


solfuro. L’obiettivo finale è la formazione di una tasca di legame interna. Il dominio immunoglobulinico è originato dalla
presenza di ponti disolfuro intramolecolari (ciascun semi-tondino dell’immagine è un dominio immunoglobulinico) ed è
formato da beta foglietti antiparalleli tenuti insieme da un ponte disolfuro. Questi foglietti sono molto meno organizzati
nello spazio e la tipologia di beta foglietti e le distanze sono identiche, cambiano solo gli aa che compongono la
sequenza. Si forma una tasca di legame interna che dà vita alla tasca di legame interna intramolecolare che da vita alla
struttura globulare.-> dominio variabile e costante sono entrambi formati da due domini immunoglobulinici.

Esiste una regione cerniera: si tratta di una regione estremamente importante che permette mobilità ai bracci dell’Ig; gli
enzimi qui presenti possono dare un’apertura piuttosto che un’altra ai bracci.

Gli anticorpi in circolo hanno un’emivita in circolo piuttosto varia: vanno dai 23 giorni delle IgG ai 3 delle IgE o IgD.

Dal punto di vista funzionale distinguiamo due porzioni nel tetramero :

- Il frammento costante FV o coda o frammento cristallizzabile Fc, costituito da due catene pesanti (la catena leggera
con Fc non centra nulla). Queso frammento media la funzione effettrice, ovvero sarà responsabile del modo in cui
verrà combattuto il patogeno, si occupa di attivare in un modo piuttosto che un’altro la risposta immunitaria in base al
patogeno che ci sta infettando.

- Il frammento variabile FC o bracci/FAG, che è la parte dell’Ig che svolge la funzione di riconoscimento
dell’antigene. Ciascun anticorpo è in grado di legare allo stesso tempo due antigeni dal momento che abbiamo due
frammenti variabili, si dice che un anticorpo è bivalente. Questi due frammenti appartenenti allo stesso Ig sono
identici e dunque creano lo stesso identico sito di legame e legano lo stesso identico antigene. La caratteristica della

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specificità, propria dell’immunità adattativa, si deve a questo frammento variabile: gli anticorpi sono tutti diversi e
riconoscono antigeni diversi in dipendenza al fatto che questa loro porzione possa variare.

Come sono arrivati a comprendere che gli anticorpi sono dati da 4 proteine legate da ponti disolfuro? Due laboratori
hanno usato come approccio quello di purificare in primis la frazione chiamata gamma-globulina (nel sangue sono
presenti diversi classi di globuline come alfa-globulina,beta-globulina, albumina.. con proprietà elettroforetiche differenti)
che è stata poi separata in 4 frazioni di cui l’ultima è quella delle gamma globuline rappresentata principalmente dagli
anticorpi ossia dalle immunoglobuline. Quindi hanno deciso gli studiosi di purificare la frazione e sottoporla all’azione di
proteasi (enzimi che rompono legami peptidici tra aa). Per farlo hanno usato 3 approcci differenti tra cui due con vere e
proprie proteasi o con un agente riducente: usando pepsina o usando papaina .

Anche Beta mercaptoetanolo (agente riducente) -> sostanza in grado di rompere i ponti disolfuro. Trattando con
questo un tetramero con due catene pesanti e due leggere si vanno a rompere tutti i ponti disolfuro presenti. Dopo aver
trattato il campione con beta-mercaptoetanolo andarono a vedere con un’elettroforesi cosa si era generato e
identificarono due tipologie di proteine differenti una più grande e una più piccola a cui hanno dato il nome di catena
pesante e catena leggera per cui inizialmente si pensava che si trattasse di un dimero in realtà quando hanno digerito
con le due proteasi (pepsina praticava un taglio a livello solo della porzione superiore chiamata FAB mentre poi
abbinando questo processo alla papaina in cui la digestione avviene più a monte venivano ottenuti il frammento
chiamato codina, separati uno dall’altro i due filamenti di FAB (quindi generate come molecole indipendenti). La codina
prende il nome di FC e i due bracci FAB. Mettendo insieme tutte queste informazioni (se digerisco ottengo due FAB e un
FC se poi tolgo tutti i ponti disofuro ho due catene che come peso non assomigliano ne a FC ne a FAB ma a un pezzo di
FAB ed FC) sono riusciti a ricostruire la struttura di un anticorpo prima di cristallizzarlo.

Esistono 2 diverse tipologie di catena leggera: kappa o lambda.

Il frammento costante è formato principalmente dalla catena pesante (due porzioni pesanti affacciate tra loro danno vita
al FC). Ciò che determina quindi la funzione effettrice è dato dalla catena pesante. Esistono 5 diverse tipologie di catena
pesante che vanno a definire 5 diverse tipologie di anticorpo, esistono dunque 5 diverse classi anticorpali: IgM, IgG,
IgA, IgD, IgE. Alcune di queste classi anticorpali però, quali le IgG e le IgA, hanno diverse sottoclassi che si
differenziano a seconda di come svolgono la loro funzione.

IgM è un pentamero e lega 10 molecole di antigene, sono le Ig più potenti. IgA è un dimero e lega 4 molecole di
antigene. IgG, IgD e IgE sono monomeri e legano 2 molecole di antigene.

Ciascuna di queste classi anticorpali ha delle peculiarità, non sono tutte uguali:

- IgG: sono gli anticorpi responsabili della memoria immunologica, vengono prodotti nella prima risposta verso un
determinato patogeno. Sono anticorpi monomerici e sono dunque molto piccoli e proprio per questa caratteristica
essi sono in grado di passare la barriera transplancentale e di trasferire la memoria immunologica della madre al
bambino; si tratta di una prima copertura. Esiste un recettore in grado di legare la catena pesante di questi anticorpi e
di trasferirla, si tratta del recettore FcRn: esso trasporta gli IgG attraverso la barriera trasnplacentale. Le IgG riescono
ad attivare il complemento.. Gli IgG sono gli unici anticorpi di mediare l’opsonizzazione.

- IgD: sono anticorpi sempre presenti sulla superficie dei linfociti B ma non vengono secreti, non vengono dunque
trovati nei liquidi biologici. Non si conosce di preciso la loro funzione ma è sicuramente più recettoriale che effettrice.

- IgE: sono anticorpi estremamente importanti nelle infezioni parassitarie. Sono responsabili delle allergie perché le
allergie sono correlate al fatto che il nostro sistema immunitario secerna proprio questo tipo di anticorpi diretto verso
microrganismi non patogeni.

- IgA: sono l’unica classe anticorpale che troviamo nelle secrezioni come muco e saliva, e ad essere trovata sulla
superficie delle mucose. Sono dimeri costituiti da due monomeri legati dalla catena J o J chain. Un IgA secreto
possiede un altro frammento proteico chiamato componete secretoria legato al dimero. La componete secretoria è
la componete proteica di un recettore fondamentale per la secrezione di questi anticorpi, il poliG receptor. Il fatto che
essi possiedano questo recettore permette il loro passaggio da una parte all’altra della superficie intestinale
permettendo ad esse di esser rilasciate sotto forma di componete secretoria.

- IgM: sono le Ig che meglio attivano il complemento per il fatto che essendo pentamerici abbiamo a disposizione più
code rispetto agli altri anticorpi.

Le principali caratteristiche delle diverse classi di Ig:


- Nella prima riga sono riportate informazioni sul peso molecolare-> vediamo che le molecole monomeriche hanno
peso molecolare inferiore rispetto le molecole dimeriche(a volte possono diventare tetrameriche) e pentameriche.
- Nella seconda riga abbiamo info su qual è la catena pesante -> ad esempio le IgG hanno catena gamma divisa in
altre 4 sottoclassi oppure le IgA hanno catena pesante alfa ecc.
- Nella terza riga abbiamo info sui livelli sierici-> informazione molto importante che di da un’idea di quanti anticorpi si
hanno in condizioni normali. Vediamo che i livelli di IgG sono elevati mentre abbiamo livelli di IgE e IgD molto bassi. (le
IgG sono gli anticorpi della memoria per cui sono in gran numero in quanto vengono accumulati in seguito a infezioni,

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le IgE si trovano in numero bassissimo perché si trovano solo quando si ha un’infezione parassitaria in corso oppure
quando abbiamo reazioni allergiche).
- L’ultima caratteristica su cui ci soffermiamo riguarda l’emivita: ossia si valuta quanto queste molecole riescono a
durare in circolo dal momento in cui queste vengono secerne. vediamo che le durate variano molto e si passa da 23
giorni a pochi giorni perché chi ha un’emivita lunga sono le IgG proprio perché hanno il sistema di riciclo mediato dal
recettore neonatale che permette (una volta che l’anticorpo ha legato l’antigene e viene internalizzato mediante
endocitosi mediata da recettore) all’anticorpo di non essere degradato ma ricircolare per essere ri-secreto
nuovamente.

Ci sono poi una serie di caratteristiche come la capacità di attivare il complemento, di attraversare barriera trans-
placentare, la capacità di opsonizzare e cosi via.. nell’opsonizzazione ricordiamo che i macrofagi possono riconoscere il
patogeno o perché hanno dei recettori di superficie TOLL-LIKE o perché riconoscono altre molecole presenti sulla
superficie del batterio. (processo chiamato opsonizzazione). Queste altre molecole che vengono riconosciute sono o il
C3b del complemento oppure alcuni anticorpi-> solo le IgG mediano l’opsonizzazione. I macrofagi infatti hanno un
recettore capace di legare solo la catena gamma propria delle IgG.
Un’altra caratteristica è quella di vedere l’anticorpo sulla superficie mucosale e vediamo che questa caratteristica
appartiene solo alle IgA.
Abbiamo quindi visto che gli anticorpi sono tetrameri costituiti da 2 catene pesanti e due leggere legate alle pesanti.
Ciascuna catena pesante è uguale all’altra cosi come quelle leggere. In entrambe le catene (pesante e leggera) è
possibile distinguere una porzione definita costante e un dominio variabile. (sono due domini affacciati). Un dominio
funzionale dell’anticorpo è rappresentato dalla FC (codina attraverso la quale possono essere richiamati mediatori del SI
diversi) importante in quanto è in grado di mediare la funzione effettrice e dipende esclusivamente dalla catena pesante
esistente in 5 forme differenti che permettono di distinguere 5 classi anticorpali, mentre l’altro dominio è FV. Le due
porzioni variabili prendono il nome di FV e hanno la funzione di legare l’antigene per cui ogni anticorpo possiede due
domini di legame identici tra loro in grado di legare due molecole di antigene per questo si dice BIVALENTE ossia in
grado di legare simultaneamente due cose (NB. molecole legate dai due braccini ossia gli antigeni sono identiche
proprio per il fatto che le tasche di legame sono identiche-> viene riconosciuto lo stesso epitopo). Quando abbiamo
visto il complemento abbiamo visto che le prime 3 funzioni erano legate al combattere il patogeno mentre l’ultima era
legata alla rimozione dal circolo degli immunocomplessi.

Gli immunocomplessi sono un insieme di antigeni ed anticorpi legati tra loro ed è una struttura macromolecolare che
può crescere a dismisura aggiungendo antigeni e anticorpi alla miscela di reazione. -> il complemento ha quindi la
funzione di rimuovere gli immunocomplessi quando questi diventano troppo grossi. Gli immunocomplessi si formano
proprio in virtù del fatto che l’anticorpo è bivalente e quindi lega due molecole contemporaneamente (una per ogni
braccino) inoltre sappiamo che gli antigeni sono formati da più epitopi quindi uno stesso antigene può essere legato a
livello di diversi epitopi da diversi anticorpi!

Riassumendo -> gli anticorpi hanno struttura tetramerica e in essi si distinguono due porzioni ossia FV(riguarda il modo
che ha l’anticorpo per legare antigene) e FC ossia la codina che media la funzione effettrice ossia il processo che mi dice
come eliminare un patogeno-> le IgM per eliminare un batterio lo legano, si attiva il complemento e si ha la formazione
di fori per cui una delle funzioni effettrici delle IgM è quella di attivare il complemento. La funzione effettrice è mediata
dalla catena pesante che è quella che genera il FC. Abbiamo 5 diverse classi anticorpali poiché abbiamo 5 catene
pesanti identificate con lettere dell’alfabeto greco. Ricordiamo che abbiamo poi in forma monomerica abbiamo le IgG,D
ed E in dimerica le A e in pentamerica le M. ciascuno di questi anticorpi a eccezione delle IgD sono secreti e mediano
funzioni effettrici particolari.

Ricombinazione VDJ
Partendo dal principio, dobbiamo specificare che ci troviamo nel midollo osseo dove i linfociti B stanno andando
incontro ad un processo di maturazione, con lo scopo di crearsi un recettore. I linfociti B si creano un recettore
attraverso la combinazione di VDJ.

La ricombinazione VDJ è quel processo traverso cui un linfocita B, non ancora maturo, costruisce il suo esone che
codifica per la porzione variabile dell’anticorpo. Il processo con cui i linfociti B decidono quale anticorpo produrre si
chiama ricombinazione VDJ.

Esso sceglie tra tutti i V, D e J che ha disposizione, uno per tipo, dal momento che per essere funzionale deve avere tutti
e tre questi domini. Alla fine di questa combinazione avremo un DNA riarrangiato del linfocita B che sta maturando .

Per costruire la catena pesante di un anticorpo noi abbiamo bisogno di due esoni: uno che codifica per la porzione
variabile e uno per la porzione costante; e inoltre ciascun linfocita B fa un riarrangiamento sia per la catena pesante che
per la catena leggera.

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Alcuni anticorpi pur essendo diversi ( ad es un IgG e un IgA) legano lo stesso antigene perché se il loro esone è formato
dagli stessi identici VDJ, la tasca di legame formata dagli stessi identici VDJ è di conseguenza identica.

L’obbiettivo finale è quello di produrre un numerosi anticorpi diversi l’uno dall’altro, in particolare che differiscano nella
regione variabile. Noi abbiamo esoni già determinati per tutto tranne quelli che codificano per la regione variabile.

Questi frammenti V, D e J di per se non codificano nulla ma devono essere combinati.

Il primo step è quello di combinare un D e un J. Il secondo step è quello di aggiungere un V e di legarlo. Questi tre
combinati formeranno la tasca di legame della catena pesante nella porzione variabile dell’anticorpo.

Questo recettore va poi messo in membrana. Tutti i linfociti B appena maturano esprimono alla loro superficie recettori
IgM e IgD che poi differiranno nella tasca di legame che sarà diversa in correlazione alla ricombinazione V, D e J che è
avvenuta . Tutte le prime fasi della risposta saranno IgM mediate.

Il riarrangiamento VDJ non è sempre preciso perché se lo fosse creerei sequenze tutte uguali tra loro. Dunque noi
possiamo scegliere sempre lo stesso V e J, ma li possiamo tagliare o un pochino prima o un pochino dopo e generare
dunque esoni differenti. Il fatto che il riarrangiamento sia impreciso ci permette di creare tasche di legame differenti
anche se lego lo stesso V e J. C’è però un insidia perchè ciò può causare riarrangiamenti non produttivi che
inseriscono un cordone di stop. Se il mio riarrangiamento non è produttivo il processo si interrompe solo se dopo aver
riarrangiato sia l’allele materno che l’allele paterno delle kappa fallisco su entrambi delle lambda. Solo il 20% dei
riarrangiamenti è produttivo e se il riarrangiamento è produttivo il linfocita esprime un anticorpo in membrana.

Inserimento di basi P e N
Dopo che abbiamo scelto un D e un J, prima di unirli, proprio nel loro punto di giunzione, possiamo inserire degli ulteriori
nucleotidi. Il taglio che avviene tra il D e il J scelti genera una sequenza che forma una forcina, si tratta di una sequenza
palindroma, a questo ci sarà una sorta di riparazione del danno generato dal taglio che andrà ad aggiungere nucleotidi
complementari, le basi P: sono dei nucleotidi generati dalla copia delle basi tagliate.

Le basi N sono nucleotidi aggiunti tra le basi P già aggiunte. Sono nucleotidi inseriti a caso dalla terminal-transferasi
che è un’enzima importante per il mantenimento dei telomeri.

Esistono tre regioni, presenti sia nella catena pesante che nella catena leggera, che si chiamano CDR 1, CDR 2 e CDR
3, dove la variabilità degli amminoacidi è più elevata rispetto ad altre regioni. Corrispondono ai siti dove vi è la giunzione
tra V, D e J e dove aggiungo i nucleotidi P e N. Si tratta di regioni iper variabili che reagiscono direttamente con
l’antigene.
Complessivamente il fatto importante è che si parte da una situazione complessa in cui si ha un certo numero di V, D e J
che posso mescolare a caso ottenendo una cornice di lettura casuale che mi permette di generare 2 milioni di anticorpi
ma non mi bastano per il repertorio di cui ho bisogno allora per aumentare ancora di più il repertorio viene fatta scivolare
la cornice di lettura in modo da avere cornici di lettura un po diverse ma non solo infatti posso anche aggiungere
nucleotidi copiando gli ultimi due già presenti o nucleotidi a caso.Se io genero nell’esone una cornice senza codone di
STOP sono in grado di mettere in membrana il mio anticorpo e questo è un segnale importante per la sopravvivenza del
linfocita B (il midollo osseo vede che ha anticorpo quindi questo ha buone possibilità di uscire in periferia)-> in realtà la
probabilità di inserire un codone di STOP è abbastanza elevata per cui se faccio un riarrangiamento non produttivo tutto
si interrompe.

Maturazione dei linfociti B


I linfociti B per maturare vanno incontro a due processi che avvengono nel midollo osseo:

1. Ricombinazione VDJ: ovvero costruiscono l’esone che codifica per la porzione variabile della catena pesante e
della catena leggera. Ciò permette al linfocita di esprimere un anticorpo in membrana. La tasca di legame che ho
creato però potrebbe anche essere dannosa perché non so a cosa andrà a legare, la tasca di legame dell’anticorpo
potrebbe andare a legare anche il nostro self.

2. Selezione negativa: con questo processo si uccidono tutti linfociti B che hanno costruito un anticorpo in grado di
riconoscere il nostro self, vengono dunque o eliminate le Ig autoreattive. Ciò avviene perché i linfociti B sono in
grado di riconoscere gli antigeni in forma nativa quindi se essi legano le nostre proteine già presenti nel midollo
osseo muoiono. Con la selezione negativa si testa la tasca di legame dell’anticorpo contro gli antigeni self.

Una volta che un linfocita ha superato questi due step esce dal midollo osseo e di norma raggiungerà uno degli organi
linfatici secondari perché solo li il nostro linfocita B incontrerà l’antigene. Questo linfocita è un linfocita maturo e naive
perchè non ha mai incontrato l’antigene, questo tipo di maturazione è dunque detta maturazione antigene
indipendente.
Esiste anche una seconda maturazione detta maturazione antigene dipendente che avviene fuori dal midollo osseo, in
un organo linfatico secondario. Un processo importante che avviene in questo momento è lo switch isotipico, ovvero
viene scelta la classe anticorpale adatta da produrre in base la patogeno che il infocata ha riconosciuto. In questo
momento avviene anche un altro processo molto importante, la maturazione per affinità.

La maturazione per affinità è un processo che avviene nell’organo linfatico secondario dopo l’incontro del linfocita con
l’antigene. Essa consiste nell’inserire mutazioni casuali nell’esone VDJ. A volte inserendo queste mutazioni aumenta
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l’affinità per l’antigene, ciò significa che il segnale di attivazione del linfocita B parte in modo molto più forte e gli
permette di svolgere meglio il suo compito.

La classe di anticorpo secreto come prima risposta all’antigene sono le IgM ( N.B. sarebbero disponibili anche le IgD ma
queste non sono secrete), ma non è sempre detto che esse siano sufficienti. La classe anticorpale adatta da produrre
viene scelta attraverso lo switch isotipico: è quel processo attraverso il quale il linfocita B maturo sceglie la classe
anticorpale più adatta da produrre solo dopo che ha incontrato l’antigene. Si tratta di un processo irreversibile ma che
può essere ripetuto due volte e che avviene solamente negli organi linfatici secondari. Si tratta di un riarrangiamento
genico che ci permette di scegliere l’esone da porre dopo VDJ per avere la stessa tasca di legame, ma una coda
diversa.

Dopo che il linfocita B maturo si è trasformato in plasmacellula, non esprime più l’anticorpo in membrana ma lo secerne.
Lo switch isotipico è un processo fondamentale per quanto riguarda la memoria immunologica dal momento che non
tutti i linfociti B si trasformano in plasmacellule, certi diventano cellule della memoria.

Come fa una cellula a capire se deve tenere l’anticorpo ancorato alla membrana o se deve secernerlo? Gli anticorpi
nascono tutti allo stesso modo, ovvero dai ribosomi sul RER, ed il fatto che diventino solubili o di membrana dipende dal
fatto se l’anticorpo nella visciola è già ancorato alla membrana oppure se è solubile al suo interno. Come tutte le
proteine, gli anticorpi per poter rimanere ancorati alla membrana devono essere ricchi di aminoacidi idrofobici che
conferiscono alle proteine la capacità di rimanere ancorati ai lipidi di membrana. Per quanto riguarda gli anticorpi
solubili, questa parte della proteina ricca di aminoacidi idrofobici può essere rimossa da un meccanismo di
poliadenilazione alternativo.

Corecettore dei linfociti B


Anche i linfociti B possiedono il corecettori. Il corecettore dei linfociti b è un trimero costituito da CD19 (come CD4 e
CD8 appartiene alla famiglia delle immunoglobuline ed è un marcatore specifico), CR2 e TAPA-1. CD19 è responsabile
di trasdurre il segnale all’interno della cellula che attiva tiroxina-chinasi sia sul versante anticorpale sia sul versante dl
corecettore che trasducono alla cellula.

L’anticorpo non funziona da solo ma ha bisogno del corecettore per trasdurre il segnale. Quando sull’esterno si lega
qualcosa, all’interno partono una serie di segnali che attivando la tiroxina-chinasi portano il messaggio al nucleo.

Per antigene intendiamo qualcosa di estraneo e di patogeno che viene riconosciuto dal nostro sistema immunitario.

Ciascun antigene possiede delle porzioni particolarmente accessibili dall’esterno che si chiamano epitopi: sequenze di
amminoacidi che determinano un’ansa nello spazio, ciascuno di questi può essere riconosciuto da un linfocita B diverso
a seconda della tasca di legame che alloggia correttamente con l’epitopo.

Gli anticorpi riconoscono gli antigeni in forma nativa, ovvero così come si trovano in natura. Questo è importante perché
se noi cambiamo la conformazione di un determinato antigene è possibile che non venga più riconosciuto dall’anticorpo
o meglio, gli anticorpi riconosceranno l’epitopo dell’antigene anche in forma denaturata solo se gli aminoacidi che lo
compongono sono in forma lineare, ovvero si trovano in sequenza. L’anticorpo lega il suo antigene solo se la superficie
di contatto è perfettamente delineata.

Funzioni degli anticorpi


Gli anticorpi dopo aver legato un batterio o un virus hanno tre meccanismi per debellarlo:

- Neutralizzazione: utilizzata principalmente con le infezioni virali (virus) ma anche con le tossine batteriche. In questo
caso la funzione dell’anticorpo non è quella di uccidere il patogeno ma di renderlo incapace di svolgere le sue funzioni
base. Se noi abbiamo anticorpi diretti verso la cellula bersaglio, essi vanno a ricoprirla su tutti i suoi recettori. È un
processo per il quale anticorpi in grado di riconoscere antigeni virali, ne neutralizzato la capacita infettante coprendo
la parte virale (proteine) necessaria per l'ancoraggio con la cellula.

- Reclutamento di cellule: dopo aver legato la superficie del batterio, gli anticorpi, con la loro coda che sporge,
richiamano altre cellule che grazie ad essi riescono a riconoscere il patogeno. Il reclutamento di cellule può essere di
due tipi: opsonizzazione o citotossicità anticorpo-mediata (ADCC). L’opsonizzazione è un processo attraverso il
quale un anticorpo legato sulla superficie del batterio richiama fagociti che da soli non sarebbero in grado di
riconoscere il batterio. Tutti i nostri macrofagi esprimono un recettore capace di riconoscere il frammento costante
delle IgG, infatti non tutti gli anticorpi riescono a mediare l’opsonizzazione, ma bensì solo le IgG. Il motivo per il quale
sono le cellule della memoria è essenzialmente questo. L’ ADCC è un processo attraverso il quale quando un
anticorpo lega una cellula tumorale, non richiama linfociti ma cellule ad azione citotossica.

- Attivazione del complemento: il frammento costante dell’anticorpo è in grado delegare il C1 e di attivarlo portando
alla via classica di attivazione del complemento. Quando un anticorpo si lega ad un batterio, per poter legare il C1
può essere solo o IgG o IgM. Quando il C1 si attiva va ad attivare in successione tutti i restanti fattori del
complemento. Va ad agire su 2 substrati che sono C2 e C4 tagliandoli entrambi in due frammenti. 2a e 4b poi si
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legando dando vita alla C3 convertasi capace di scindere il C3 in c3a e c3b. il c3b va a legare la C3 convertasi dando
C5 convertasi che a questo punto riconosce il C5 dividendolo in c5a e c5b. Questo è un fenomeno estremamente
importante perché si ottiene un legame di tutta una serie di molecole 6,7 e 8 che danno cosi detto complesso di
attacco alla membrana (non esiste più attività proteolitica a questo livello) che forniscono una piattaforma su cui C9
può polimerizzare in cerchi dando il foro che darà poi conto della prima funzione del complemento ossia la lisi della
cellula bersaglio. Viceversa la formazione di c2a, c4a e c5a ossia di anafilotossine sarà importante per reclutare e
scatenare un processo infiammatorio. Gli anticorpi quindi attraverso il frammento variabile riconoscono l’antigene con
una precisione estrema. L’altra cosa importante da ricordare è che le 5 codine esistenti servono per mediare
importanti funzioni in quanto reclutano le giuste cellule in base all’antigene.

Linfociti T
I linfociti T fanno parte della componete cellulare dell’immunità acquisita. Essi riconoscono gli antigeni grazie al T cell
receptors che dal punto di vista strutturale è un dimero costituito da una subunità alfa e una subunità beta. Esso
possiede una porzione costante che lo tiene ancorato alla membrana citoplasmatica, e una porzione variabile che lega
l’antigene.

Sia gli anticorpi che il T cell receptor mancano del dominio citoplasmatico perché sfrutta il dominio citoplasmatico del
CD3 che possiede delle sequenze tiroxina-chinasi per trasdurre il segnale. Il t cell receptors lega nella sua parte
variabile l’antigene e cambia conformazione. Il cambio di conformazione si trasferisce alla membrana plasmatica che in
maniera laterale informa le catene del CD3 che ha legato qualcosa. A questo punto questi domani recluteranno i
trasduttori del segnale permettendo il passaggio del segnale stesso. I t cell receptors non si trovano mai sulla membrana
da soli, ma insieme ad un gruppo di molecole che vanno tutte sotto il nome di CD3: molecole che servono a trasdurre il
segnale del Vicino al T cell receptors, che è presente su tutti i linfociti, non possiedono la porzione extracellulare per cui
non legano nulla sul versante cellulare ma hanno più domini tirosina-chinasici all’interno della cellula che servono per
trasdurre il segnale del T-cell receptor .
Sono presenti altri due diversi corecettori che non legano l’antigene, ma sono importanti per distinguere il tipo di cellula
che ha in membrana quel T cell receptors, esistono infatti i linfociti T helper o T citotossici.

Possiamo distinguere i vari linfociti tra loro perchè esprimono sulla loro superficie antigeni diversi. Andare a ricercare
delle IgD significa andare a cercare dei linfociti B. Per andare a ricercare un linfocita T helper andiamo a ricercare il
correttore CD4, per andare a ricercare un linfocita T citotossico andiamo a ricercare il corecettore CD8.

Il linfocita T non è in grado di andare a riconoscere l’antigene da solo, necessita di una cellula detta cellula presentante
l’antigene che:
1. Riconosca l’antigene.
2. Prenda le proteine dell’antigene e le frammenti in peptidi.
3. Leghi i peptidi su una molecola vassoio, le molecole MHC.
4. Presenti i peptidi associati ai vassoietti sulla superficie della cellula presentante l’antigene.

5. A questo punto il linfocita T grazie al suo T cell receptor è capace di legare e riconoscere il peptide e il vassoietto
associati.

Questi vassoietti riescono a caricare solo peptidi, dunque i linfociti T riescono a riconoscere solo quelli.

I linfociti T hanno a disposizione due tipologie di vassoietti che nello specifico sono molecole del complesso maggiore
di istocompatibilità o MHC che possono essere di due tipi: molecole MHC di classe 1 o molecole MHC di classe 2. Ne
abbiamo a disposizione due perché abbiamo due tipi di linfociti T (citotossici o helper) a cui l’MHC può presentare
l’antigene. Le molecole MHC sono gli antigeni che vengono riconosciuti dal nostro sistema immunitario nel corso del
rigetto dei trapianti d’organo.

A ogni linfocita T corrisponde una cellula presentante l’antigene o molecola MHC e a seconda di quale si aia patogeno le
molecole verranno caricate su un cassonetto piuttosto che su un altro:

- Sulle molecole di MHC di classe 1 metto i peptidi virali o tumorali che verranno poi riconosciuti e attaccati dai linfociti
T citotossici e uccisi. I T citotossici una volta che hanno riconosciuto l’antigene uccidono la cellula che lo ha
presentato, ciò è importante perché avviene quando questa cellula presentante l’antigene è infettata da un virus o
tumorale.Una risposta T citotossica mediata prevede che il virus sia già dentro la cellula presentante l’antigene.

- Sule molecole di MHC di classe 2 presento i peptidi di molecole batteriche che verranno poi riconosciute dal T cell
receptors dei linfociti T helper. In questo caso la cellula presentante l’antigene non deve morire perché potrebbe
trattarsi di un macrofago e non di una cellula infettata. Una risposta T helper mediata prevede che l’antigene sia
extracellulare e che la cellula presentante l’antigene debba internalizzarlo e poi presentarlo.

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Entrambe le molecole MHC dal punto di vista strutturale sono dei dimeri costituiti da una subunità alfa e da una subunità
beta. Si differenziano per il modo in cui presentano il peptide al T cell receptors.

- La differenza tra le due è che le molecole MHC di classe 2 creano una tasca di legame per l’antigene affacciando la
subunità alfa verso la subunità beta. Il peptide caricato su molecole MHC di classe 2 viene presentato sia dalla
subunità alfa che dalla subunità beta.

- Nelle molecole MHC di classe 1 la subunità beta è molto lontana dal sito di legame, che è invece costituito da un
ripiegamento della subunità alfa. Il peptide caricato su molecole MHC di classe 1 viene presentato esclusivamente
dalla subunità alfa.

Maturazione linfociti T
I linfociti T immaturi vengono chiamati timociti e sono costituiti da tutto nucleo e pochissimo citoplasma.

I linfociti T nascono nel midollo osseo ma maturano nel timo. I linfociti T arrivano nel timo e deve compiere tre processi
per diventare maturo e poter circolare:

1. Ricombinazione VDJ: esattamente come avveniva per la ricombinazione VDJ dei linfociti B, un processo analogo di
riarrangiamento genico avviene anche per i linfociti T. Il T cell receptors è un dimero costituito da una subunità alfa e
da una beta che possiedono entrambe una regione costante e una regione variabile. Abbiamo un gene che codifica
per la subunità alfa e uno per la beta. La variabilità del T cell receptors è garantita da un processo di riarrangiamento
genico volto a creare l’esone che codifica per la parte variabile, esone che non esiste in natura. La ricombinazione
VDJ è quel processo attraverso cui abbiamo la ricombinazione di frammenti di DNA singolarmente privi di valore, che
mescolati generano un esone codificante per la tasca di legame. Avviene una ricombinazione VDJ sia per la regione
variabile della subunità alfa che per la subunità beta. È importante ricordare che oltre a creare un esone VDJ
possiamo creare anche un esone VDDJ: questo dimostra che tra T cell receptors e anticorpi la dimensione del
repertorio è diversa perchè nelle immunoglobuline possiamo generare 10^9 anticorpi, per i T cell receptors saliamo
fino a 10^12/10^13. Per essere sicuri che la ricombinazione sia stata produttiva viene posto in membrana il
precursore della subunità alfa (è la subunità che viene riarrangiata per prima), dopo di che inizia il riarrangiamento
della subunità beta che porterà ad avere in membrana un T cell receptors. Prima di riarrangiare la catena beta, il
linfocita esprime simultaneamente in membrana i corecettori CD4 e CD8, in questo momento i linfociti sono doppi
positivi. Il timocita immaturo è un linfocita che possiede un T cell receptor in membatan ed è doppio positivo. In
membrana a questo punto si trova anche CD3, ovvero quelle molecole che mancano di dominio extracellulare e di
conseguenza non sono in grado di legare ma sono responsabili della traduzione di segnale del T cell receptors.

2. Selezione positiva: durante questa fase farò in modo che sopravvivano solamente i linfociti T che hanno un T cell
receptors in grado di riconoscere le molecole MHC, ovvero che hanno un T cell receptors funzionante. I linfociti che
possiedono un T cell receptors che non è in grado di legare le molecole MHC muore. Se il linfocita non lega il self è
maturo e può uscire in periferia esprimendo sulla sua membrana o il corecettore CD4 o il CD8. Avviene nella zona
corticale.

3. Selezione negativa: durante questo a fase controllo se i linfociti riconoscono il self, se lo legano vengono uccise. In
questo caso particolare testiamo il T cell receptor contro le cellule epiteliali timiche. Durante il processo di selezione
negativa nascono i linfociti T regolatori coinvolti nello spegnimento della risposta immunitaria. In questa fase
muoiono solamente i linfociti T che riconoscono il self in maniera molto forte, se lo riconoscono in maniera blanda
diventano linfociti T regolatori e non muoiono. Avviene nella zona midollare.

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L’evento finale di tutta la maturazione dei linfociti T è ottenere, dal timocita doppio positivo iniziale, un linfocita che
esprima solo CD4 o uno che esprima solo CD8. Il fatto che esprimano un corecettore piuttosto che un altro si pensa che
venga determinato durante la selezione positiva: se riconosce un MHC di classe 1 si pensa sia un CD8 positivo, se
riconosce un MHC di classe 2 si pensa sia un CD4 positivo.

CD4 o CD8?
Stiamo guardando il sinaptosoma ossia quella regione di membrana plasmatica in cui avviene l’incontro con l’antigene.
A sinistra abbiamo un hepler che esprime CD4 e riconosce l’antigene presentato su MHC II. L’antigene in questo caso è
extracellulare quindi deve essere catturato, processato in peptidi e caricato su MHC II. Quella in giallo è la cellula
presentante l'antigene. I T helper sono le cellule più potenti che abbiamo per cui poche cellule sono in grado di
comportarsi da cellule presentanti l’antigene (si tratta di cellule super specializzate) invece chiamiamo cellula bersaglio
qualunque cellula del nostro corpo che sia o infettata da un virus o che si sia trasformata in senso neoplastico. In questo
caso cio che finisce su MHC I sono peptidi virali o tumorali che possono essere riconosciuti dal linfocita T citotossico e
quindi questa cellula il sarà bersaglio del citotossico. Il peptide caricato su MHC I viene presentato solo dalla catena alfa
in quanto la b2microglulina non partecipa mentre classe 2 presenta i peptidi in parte con la subinità alfa e in parte con b.
classe I ha estremità chiuse mentre classe II aperte inoltre la classe I contiene peptide con dimensioni ridotte
La ricombinazione VDJ permette di riconoscere 10^12 peptidi differenti in quanto questa ricombinazione permette di
produrre 10^12 diverse tasche di legame per il T-cell receptor quindi per il T cell receptor non c’è problema ma abbiamo
visto che allora bisogna avere anche 10^12 molecole di MHC in quanto si tratta ingenerale di un complesso unico
(anche se stanno su due cellule differenti). In realtà noi esprimiamo sulle cellule presentanti diversi MHC ma non 10^12
per cui per i vassoietti non esiste una ricombinazione ma ciascuno di noi nasce già con una serie di vassoietti. Mentre
nella tasca di legame del T cell receptor il legame tra il peptide e la tasca di legame deve essere fedelissimo, nel caso
del versante MHC questa fedeltà non è necessaria. In alto si vedono dei peptidi che sono stati estratti dallo stesso
MHC. Quello che mostra la diapositiva è che dei peptidi estratti solo alcune posizioni sono direttamente in contatto con
la tasca MHC mentre altre non vengono a contatto per cui possono essere diverse tra i peptidi. Guardando l’immagine
vediamo che sono 4 peptidi diversi che hanno in comune le posizioni 2,3 e 9-> soprattutto la posizione 2 e 9 sono a
diretto contatto con MHC ciò significa che ciascun vassoietto può alloggiare al suo interno diversi tipi di peptidi. -> si
può avere sul versante T 10^12 t-cell receptor diversi e sul versante MHC molto pochi perché ciascun vassoietto può
alloggiare diversi peptidi(questione che vale per MHC II e analoga per MHC I). quindi abbiamo 10^12 tasche di legame
del T cell receptor ma non abbiamo un altrettanto processo per garantirci tutte le molecole MHC poiché non è
necessario in quanto l’adesione non è fedelissima.

Il sinaptosoma
Il sinaptosoma è quella parte di membrana plasmatica condivisa tra la cellula presentante l’antigene e il linfocita T.
Esistono due sinaptosomi differenti a seconda di quale linfocita consideriamo (helper o citotossico).

I correttori legano il vassoio in un dominio che non è quello dell’antigene, non interagendo così con la presentazione
dell’antigene.

Non esiste la ricombinazione VDJ per le molecole MHC, e come è possibile che avendo a disposizione pochi vassoietti
possiamo presentare a 10^12 T cell receptors?

Il legame tra il peptide e la tasca di legame deve essere completamente fedele, nel caso del versante MHC questa
fedeltà non è necessaria.

Se estraiamo dei peptidi che erano legati all’MHC, solo alcune posizioni sono direttamente in contatto con la tasca di
legame MHC mentre altre posizioni non sono a contatto (posizione 2 e 9 sono quelle a diretto contatto). Ciò significa che
ciascun vassoietto può alloggiare al suo interno diversi peptidi; questo vale per gli MHC sia di classe 2 che di classe 1.

L’adesione del peptide nella tasca di legame non è fedelissima sul versante MHC, è invece fedelissima sul versante T
cell receptor.

Locus genico HLA


Il T cell receptors è codificato da due geni: alfa e beta; possediamo altri due geni, il gene gamma e il gene delta, che
sono piuttosto rari e li possiamo trovare in periferia.

Abbiamo solo due geni ma grazie la processo di riarrangiamento genico e alla ricombinazione VDJ la parte variabile a
contatto con l’antigene (tasca di legame) non esiste in natura, ma ciascun nucleotidi si crea la sua e questo ci permette
di ottenere un repertorio ampissimo di recettori.

Il locus genico in cui sono presenti i recettori che codificano per gli MHC si trova sul cromosoma 6 e si chiama locus
genico HLA. È un locus genico perché i geni che codificano sono tutti concentrati in questa regione cromosomica.

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All’interno del complesso HLA sono presenti tre locus genici che codificano rispettivamente per MHC di classe 1,2 e 3.

In ogni porzione si riconoscono tre regioni che hanno un nome preciso:

- Regioni MHC di classe 2: sono DP, DQ e DR.

- Regione MHC di classe 1: sono A, B e C.

All’interno di ciascuna di queste regioni esistono vari geni: nella regione per le molecole MHC di classe 2 troviamo i geni
alfa e beta, nella regione per le molecole MHC di classe 1 troviamo solo i geni alfa (infatti la teca di legame delle MHC di
classe 1 è formata da un ripiegamento della catena alfa e non beta).

Questo locus genico possiede 4 caratteristiche fondamentali:

- É un complesso poligenico: ovvero all’interno del locus HLA sono presenti più geni che codificano per la stessa
cosa, ovvero per la subunità alfa o beta e nel caso della classe 1 solo per alfa.

- È un complesso polimorfico: ovvero estremamente variabile, questi geni codificano per tasche di legame diverse. I
geni contenuti all’interno di questo locus presentano tantissimi polimorfisimi (-> polimorfismo: più alleli per uno stesso
gene). Il locus genico HLA varia da individuo a individuo, non tutti hanno la stessa sequenza.

- Non subisce mai o quasi crossing-over: il crossing over è quel processo che avviene durante la meiosi dove si ha lo
scambio di materiale genetico tra cromatidi fratelli. Questo fenomeno implica che ciascuno di noi ha il 25% di
possibilità di avere questo stesso identico profilo di molecole MHC del fratello, è il motivo per cui qualcuno di noi
possiede le stesse sequenze. Questo è un concetto importante per il trapianto d’organo .

- È codominante: vengono espressi nello stesso momento e ella stessa cellula tutti i geni che ho a disposizione.
Questo ci permette di ampliare di molto la variabilità. Le cellule traducono in proteina tutti i geni che possiedono
assemblandoli in tutti i modi possibili; questo ci garantisce che sulla superficie della cellula ci si ala possibilità di
presentare 10^12 diversi T cell receptors.

Avere un determinato locus HLA piuttosto che un altro, ovvero determinati polimorfismi piuttosto che altri, sono
caratteristiche che impattano sulla nostra propensione a sviluppare certe malattie. L’HLA è associato alle malattie
perchè la prima cosa che di solito vado a verificare è il rischio relativo: si tratta di un numero che mi da l’idea di quanto
quella determinata variante considerata impatti sullo sviluppo di una determinata malattia. Per calcolarlo vado a fare la
prevalenza dei malati di una determinata patologia e la metto in relazione con la prevalenza di soggetti sani. Più alto è il
numero.

Riassumendo -> stiamo parlando del sistema HLA ossia di quei geni che codificano per i vassoietti. Questi abitano tutti
nella stessa regione di cromosoma 6 . Nell’uomo e si trovano con una certa conformazione ossia ritroviamo prima i geni
che codificano per la classe II che si chiamano DP,DQ e DR e poi quelli che codificano per la classe I che si chiamano
A,B e C. HLA ha caratteristiche uniche che lo rendono unico e molto importante infatti alcuni polimorfismi impattano
sulla nostra propensione a sviluppare certe malattie. Si tratta di un sistema poligenico ossia sono presenti numerosi geni
alfa e beta in grado di codificare per DP,DQ e DR al di sotto di ogni locus. (quindi per esempio più geni alfa e beta per
DP e cosi anche per gli altri due). Si tratta si un sistema polimorfico in quanto i geni che sono presenti nella regione di P
mia sono diversi dai geni che sono presenti nella regione P di qualunque altro organismo. In questo sistema non avviene
crossing over,questo fa si che sia altamente polimorfico ma anche che all’interno della famiglia ci sia un’alta possibilità
di trovare qualcuno con esattamente gli stessi vassoietti. L’ultima caratteriistica che abbiamo visto è la codominanza
ossia il fatto che le cellule che esprimono MHC non esprimono o solo quelli materno o solo quelli paterni bensì li
esprimono entrambi inoltre le catene alfa e beta sia materne che paterne si possono mescolare tra loro garantendo una
numerosità di peptidi uguale al numero di T-cell receptor.

Cellule presentati l’antigene


Le cellule bersaglio sono qualunque cellula del nostro corpo infettata da virus o riconosciuta da un linfocita. Le cellule
presentanti l’antigene non sono qualsiasi tipo di cellula, solo cellule specifiche sono in grado di svolgere questo
compito. Due caratteristiche fondamentali per essere una cellula di questa categoria sono la caratteristica di essere in
grado di degradare in peptidi le proteine antigeniche e di esprimere molecole MHC di classe 1 e 2.

Le cellule che esprimono MHC di classe 1 sono si cellule presentanti l’antigene, ma sono chiamate cellule bersaglio
perchè saranno poi fatte morire. Le molecole MHC di classe 1 sono espresse da tutte e cellule che hanno la possibilità o
di essere infettate da un virus o di essere cellule tumorali, ovvero sono espresse da tutte le cellule nucleate del nostro
corpo (dunque tutte tranne i globuli rossi ). Le molecole MHC di classe 1 sono espresse da tutte e cellule che hanno la
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possibilità o di essere infettate da un virus o di essere cellule tumorali, ovvero sono espresse da tutte le cellule nucleate
del nostro corpo (dunque tutte tranne i globuli rossi ).

Le cellule che presentano MHC di classe 2 sono invece cellule presentanti l’antigene professioniste. Esistono tre
diversi tipi di cellule che esprimono molecole MHC di classe 2: cellule dendritiche che sono le più potenti, macrofagi e
linfociti B; sono quasi sempre loro che attivano i linfociti T helper.

Processazione e presentazione del’antigene


Processazione -> da una proteina intera ne ricaviamo dei peptidi.

Presentazione -> i peptidi devono essere posti nella tasca di legame del vassoietto.

Le vie di processazione dell’antigene sono 2: via citosolica che riguarda antigeni virali o cellule tumorali che si trovano
già nel citosol e che saranno poi caricate su MHC di classe 1; e via endocitica che riguarda antigeni caricati su
molecole MHC di classe 2, si tratta di antigeni che si trovano all’esterno e che devono essere portati nel citosol per
essere processati.

Per quanto riguarda la via endocitica l’antigene sta fuori per cui deve essere portato nel citosol. I macrofagi sono in
grado di riconoscere l’antigene da solo o qualcos’altro (anticorpi,igG ecc) quindi è in grado di fagocitare e portare dentro
la cellula. Questo portare all’interno fa si che questi antigeni non si ritrovino nel citoplasma perché non sono stati
prodotti li ma si ritrovano in compartimenti endocitici perché la fagocitosi permette di inglobare ciò che va fagocitato in
una vescicola. Dentro questa vescicola vengono prodotti i peptidi che dovranno poi incontrare le molecole MHC II
prodotti nel RER.

Per quanto riguarda la via citosolica, le proteine (antigeni) si trovano già all’interno della cellula infettata da virus o
tumorale. Come tutte le altre proteine della cellula vanno incontro a un processo di ubiquitinazione. Esiste un complesso
enzimatico chiamo proteosoma che è in grado di riconoscere la proteina quando l’ubiquitina è legata ad essa. Nel
normale turn-over delle proteine il proteosoma inizia a frammentare la proteina fino ad arrivare ad aminoacidi. Esistono
però varie forme di proteosoma: uno che viene definiti convenzionale, e uno che viene definito immuno-proteosoma
che lega alcune proteine prodotte nel losco genico HLA che lo rendono capace di tagliare le proteine n frammenti di
dimensioni particolari e adatte per la tasca di legame delle molecole MHC di classe 1. Questo processo avviene nel
citoplasma .

L’evento finale di tutti questi processi citoplasmatici è la presentazione: un recettore di membrana non viene prodotto
nel citoplasma ma nel RER. Esiste un trasportatore che utilizza ATP che prenderà i peptidi formati nel citosol e li
trasporterà al reticolo endoplasmatico. A questo punto li può caricare su MHC di classe 1 che poi arriverà in membrana,
ovvero in superficie.

Nel reticolo endoplasmatico vengono prodotte sia molecole MHC di classe 1 che di classe 2 e questo potrebbe essere
un problema perché se metto il peptide sbagliato su un vassoietto sbagliato il nostro sistema immunitario non riesce a
rispondere correttamente.

Nel reticolo endoplasmatico viene prodotta prima la subunità alfa che sarà poi associata alla tapasina: è un proteina
importante per la struttura della tasca di legame. Dopo di che, in prossimità di dove genero gli MHC di classe 1, sono
presenti dei trasportatori chiamati TAP 1 e TAP 2 che hanno la capacità di prendere i peptidi dal versante citosolico e di
spostarli nel reticolo in prossimità dell’MHC. A questo punto l’MHC caricherà i peptidi che si adattano alla sua tasca di
legame

La via citosolica può essere compiuta da tutte le cellule del nostro organismo, la endocitica può essere mediata
solamente dalle cellule presentanti l’antigene professioniste, ovvero quelle che utilizzano MHC di classe 2

Per quanto riguarda la via endocitica esiste il primo step da superare che è quello di internalizzare l’antigene: se si tratta
di un macrofago avverrà la fagocitosi, se si tratta di una cellula dendritica avverrà la pinocitosi e se si tratta di un linfocita
B avverrà endocitosi mediata da recettore. I linfociti B raccolgono dall’esterno solo quello che il loro anticorpo riconosce
in maniera specifica a differenza di macrofagi e cellule dendridiche. L’evento finale di tutte e tre le vie è la formazione di
una visciola o endosoma con dentro la proteina.

L’endosoma all’interno della cellula si fonde con dei lisosomi che acidificheranno la vescicola. A questo livello sono
presenti anche delle proteasi che insieme all’acidificazione porteranno alla formazione di peptidi.

Le molecole MHC di classe 2 vengono prodotte anch’esse all’interno del RER e alla fine della loro maturazione
(passamo nel Golgi), la vescicola contenete l’MHC andrà a fondersi con la vescicola contenente i peptidi. A questo
punto l’MHC lega i peptidi e si trasferisce in membrana.

Nel RER la tasca di legame dell’MHC di classe 2, finche non viene a contatto con i peptidi giusti, ovvero affinché non
leghi cellule infettate da virus o tumorali (peptidi dell’MHC di classe 1) , è occupata da una proteina che si chiama
catena invariante. Man mano che la catena variante verrà poi eliminata per fare spazio ai peptidi giusti, l’ultimo aprite di
essa che rimane attaccata alla tasca di legame si chiama CLIP: deve rimanere li finche non arrivano i peptidi giusti da
caricare. La catena invariante viene eliminato man mano che la molecola MHC di classe 2 va incontro ad un processo di
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maturazione: dal RER passa al Golgi dove pezzo per pezzo viene eliminata la catena invariante fino a lasciare nella tasca
di legame solo il clip che è un peptide molto grande.

Come riesco a caricare i peptidi su questo MHC di classe 2? In aiuto dell’MHC di classe 2 intervengono due molecole
MHC di quelle non coinvolte nella presentazione dell’antigene che si chiamano: HLA-DM e HLA-DO. HLA-DM favorisce
la rimozione di clip dalla molecola di MHC che è stata prodotta, liberando così la tasca di legame; è una molecola
espressa solamente dagli endosomi.

HLA-DO inibisce la funzione di HLA-DM impedendo che venga rilasciato il clip. HLA-DO è espresso dalle cellule timiche
epiteliali.

Le cellule epiteliali timiche esprimono in membrane molecole MHC di classe 2 bloccate dal clip. Se la cellula è in grado
di riconoscere il vassoietto passa dalla corticale alla midollare del timo, se no rimane e muore nella corticale. Nella
midollare la selezione negativa è già avviata.

Attivazione dei linfociti T


I linfociti T si attivano mediante due eventi. Il primo evento che avviene, quando un T cell receptors lega un antigene, è la
traduzione del segnale al linfocita T stesso grazie a CD3. Si tratta del segnale 1 mediato dal T cell receptors che ha
legato un peptide.

Quello che serve realmente per attivare il linfocita T è il segnale 2, mediato dalle così dette molecole costimolatorie
CD28 e B7: indicano al linfocita T stesso che è realmente il momento in cui deve intervenire. Queste molecole
costimolatorie intervengono solo quando l’MHC ha legato qualcosa che deve essere realmente combattuto, non
intervengono nel caso in cui l’MHC si “sbagli”. Esiste anche il segnale 3 di attivazione dei linfociti T mediato dalle
citochine.

Se non avvengono due segnali il linfocita T non si attiva. Questi due segnali trasducono attraverso diverse vie di
traduzione del segnale che però portano collettivamente alla traslocazione nel nucleo di 4 diversi fattori trascrizionali,
servono tutti e 4 per poter attivare a pieno la risposta immunologica. Tra le varie cose che succedono nella cascata di
attivazione del segnale c’è anche la liberazione di calcio intracellulare che è un evento importante per il controllo del
sistema immunitario, infatti esistono dei farmaci immunosoppressori che vengono utilizzati per bloccare il sistema
immunitario che vanno a bloccare proprio la calcineurina e questo fa si che il linfocita non si attivi.

Dopo questi due segnali il linfocita T si attiva, ovvero va a trascrivere dei geni che servono per sintetizzare una citochina
particolare: l’interleuchina 2. L’interleuchina 2 è la citochina che induce la produzione delle cellule del sistema
immunitario. Oltre ai geni per l’interleuchina 2, il linfocita T attiva anche i geni che servono per la codifica di citochine
che aiutano il T cell receptors.

Tra le cellule presentanti l’antigene professioniste le più potenti sono le cellule dendridiche che internalizzano i peptidi
per pinocitosi. Il motivo per il quale sono le più potenti sta nel fatto che in maniera costitutiva, ovvero sempre
indipendentemente che siano attive o no, esprimono in membrana altissimi livelli sia di MHC di classe 2 che di molecole
costimolatorie. Ciò non avviene nei macrofagi che quando sono in uno stato quiescente non esprimono MHC di classe 2
e molecole costimolatrie; viceversa, quando si attivano, diventano pienamente competenti. Per quanto riguarda i linfociti
B essi esprimono costruttivamente MHC di classe 2 e ne aumentano i livelli solo in contesti infiammati; per quanto
riguarda le molecole costimolatorie esse sono espresse pienamente solo quando sono attive.

Esistono essenzialmente tre tipologie di linfociti T attivabili:

- Naive: non hanno mai incontrato l’antigene

- Effettori: hanno già incontrato l’antigene

- Della memoria: hanno incontrato l’antigene nel passato

Queste tre tipologie di linfociti sono tutte attuabili dalle cellule dendridiche. I macrofagi possono solo attivare i linfociti T
effettori e della memoria ma non sono abbastanza potenti per attivare i linfociti naive.

È importante sottolineare che un linfocita T debba essere attivato solo quando è strettamente necessario. Vengono
attivati con un meccanismo che permette la tolleranza periferica, ovvero i linfociti in periferia non si attivano solo per il
fatto che possiedono un T cell receptor, ma si attivano quando il T cell receptor riconosce qualcosa in un contesto
appropriato.

Selezione o differenziamento timico


Esistono due cellule presentanti l’antigene nel timo:

- Cellule epiteliali timiche presenti nella corticale e e che svolgono il ruolo di selezione positiva.

- Cellule presentanti l’antigene professioniste quali cellule dendridiche e macrofagi presenti nella midollare.

Queste due cellule presentanti l’antigene svolgono azioni diverse.

La selezione positiva necessita che si sia espressa una molecola MHC di classe 2 in membrana. Le cellule epiteliali
timiche esprimono in membrana MHC fatte in due modi: alcune mantengono il clip nella tasca di legame, altre hanno
tipologie di peptidi self presenti nella tasca di legame.

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Queste cellule epiteliali hanno inoltre la caratteristica di esprimere (*) peptidi self tessuto-specifici anche di altri distretti
corporei.

I macrofagi e le cellule dendridiche presenti nella midollare esprimono peptidi ubiquitari, ovvero presenti in tutti i tessuti.
In questo modo a livello della midollare riescono ad uccidere tutti i linfociti T che legano questi peptidi, ovvero fanno
selezione negativa.

(*) I peptidi self tessuto-specifici -> la cellula epiteliale tipica ha la caratteristica di avere il fattore trascrizionale AIRE
che è in grado di esprimere qui antigeni tessuto specifici (lo sa fare solo lui e lo fa qui). Produrrà dunque antigeni che
potranno essere caricati su MHC di classe 2 e presentati ai linfociti T helper che stanno nascendo. Questa è la selezione
negativa che avviene in questo modo solo se il T cell receptor di questo linfocita riconosce il peptide, così come
potrebbe succedere in periferia. Se il T cell receptor riconosce il peptide muore, se lo riconosce in parte diventa un
linfocita T regolatore naturale, se non lo riconosce diventa un linfocita T helper.

Il linfocita T regolatore naturale è un linfocita T helper che invece di produrre citochine uccide gli altri linfociti. Esso è
capace di spegnere la risposta immunitaria. Nasce nel timo durante la selezione negativa quando il linfocita T riconosce
in minima parte il peptide self tessuto-specifico.

Coniugato B-T
Lo stimolo a proliferare che ricevono i linfociti B arriva dalla citochine prodotte dai linfociti T helper e lo stimolo a
produrre citochine il linfocita T lo prende dai linfociti B stessi.

Si viene a formare nei linfonodi un coniugato B-T in cui il linfocita B ha riconosciuto da solo l’antigene, lo ha presentato
al linfocita T helper il quale secerne citochine per attivare il B e attiva anche molecole costimolatorie. Le molecole
costomolatorie legano la loro controparte sul linfocita B trasduce il segnale 2. Grazie alle molecole costimolatorie il
linfocita B lega il linfocta T heleopr che spinge la sua risposta.

Tutto ciò avviene negli organi linfatici secondari, questo è importante perché i linfociti B non riconoscono l’antigene nel
punto esatto dell’infezione, l’unico posto dove possono riconoscere l’antigene è un organo linfatico secondario.

Quando l’antigene arriva ai linfonodi le prime cellule che incontra sono i linfociti B che stanno nella parte corticale. Nella
regione corticale troviamo delle strutture tondeggianti chiamate follicoli linfatici, ne esistono di due tipi che si
differenziano perché una tipologia di follicoli contiene linfociti B che non si sono attivati, l’altra tipologia di follicoli
possiede una regione più chiara chiamata centro germinativo dove possiamo trovare linfociti B che si sono attivati. I
linfociti B sono quelli che un ag incontra per primo quando arriva nell’organo secondario linfatico. In questa regione
troviamo delle strutture tondeggianti che prendono il nome di follicoli linfatici. Esistono follicoli di due tipi:
- Follicoli con linfociti B non attivati (follicoli più piccoli)
- Follicoli con linfociti B attivati (follicoli più grandi con centro germinativo chiaro)
Dopo l’incontro con l’antigene il linfocita B migra per portarsi verso la parte midollare dove ci sono le plasmacellule, in
questo passaggio incontra i linfociti T ed è qui che avviene il coniugato B-T che permette l’attivazione completa
dell’anticorpo perché il linfocita B ha riconosciuto ma non è in grado di fare tutto quello che dovrebbe fare infatti è
l’incontro con il Th che attraverso il coniugato B-T gli da una risposta piena e anche le citochine utili per la proliferazione. 


Memoria immunologica
Le risposte immunitarie durano più meno tre settimane, poi la risposta immunitaria si deve spegnere ovvero non
dobbiamo più produrre anticorpi.

Esistono due punti fondamentali per quanto riguarda la memoria immunologica: viene generata nei centri germinativi
dei linfonodi e solamente dopo l’incontro con l’antigene.

Esistono due importanti processi:

- Ipermutazione somatica: la tasca di legame viene modificata in modo da renderla più compatibile, si tratta di una
maturazione per affinità (*).

- Switch-isotipico: cambio la coda dell’anticorpo in modo da renderlo più adatto al patogeno. Avviene solo ed
esclusivamente dopo che è avvenuto il coniugato B-T perché esso necessita di un certo intorno citochinico: a
seconda della citochina che viene incontrata da questi linfociti essi faranno lo switch in un modo piuttosto che in un
altro. L’antigene deve essere proteico affinché possa essere presentato ai linfociti T, i quali in riposta all’antigene
secerneranno determinate citochine che indurranno determinati switch isotipici.

Questi due processi propri dei linfociti B avvengono nel follicolo a livello di porzioni diverse: nella porzione più esterna
avviene l’ipermutazione somatica, nella porzione più interna nel centro germinativo avviene lo switch ispotipico. (vedi
capitolo “Maturazione linfociti B”)

La quantità di anticorpi dell’individuo però non va a zero perchè rimangono alcune cellule della memoria dal momento
che quando una parte dei linfociti B prolifera una parte di cellule si trasforma in plasmacellule che produrranno poi
anticorpi, l’altra parte di linfociti B diventano linfociti B della memoria: linfociti con un’emivita molto lunga che possono
garantirci una certa protezione. Quando un patogeno infetta il nostro organismo una seconda volta riuscirò ad avere una
risposta anticorpale molto più veloce e abbondante. Verrano prodotte immediatamente le IgG e non le IgM. Anche in una

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risposta secondaria (ovvero quando incontro la seconda colta uno stesso patogeno) ci sarà la presenza di IgM che sono
date dal fatto che sono presenti anche nuovi linfociti B navi oltre ai linfociti della memoria.

(*) La maturazione per affinità si intende che vengano inserite varie mutazioni nell’esone VDJ. Partendo da un solo
linfocita è possibile introdurre nel suo esone VDJ più mutazioni in vari momenti fino ad arrivare a una certa variabilità
della tasca di legame. In alto a destra l’immagine mette in relazione la variabilità aminoacidica e vediamo che possono
essere introdotte mutazioni anche a livello del promotore ma la maggior parte avvengono a livello dell’esone VDJ perché
questa è la posizione che può aumentare l’affinità per l’antigene. Questa mutazione somatica avviene ad opera di due
enzimi: AID e UNG che fanno mutare alcune posizioni specifiche e che a caso dove ci sono le posizioni da loro
riconosciute cambiano la conformazione.

Gli antigeni timo-dipendenti sono quelli che abbiamo studiato fino ad esso; sono costituiti da almeno una parte
proteica, sono in grado di fare l’permutazione somatica, lo switch isotipico e di generare una memoria.

Esistono anche degli antigeni timo-indipendenti che non necessitano di attivare i linfociti T. Hanno una capacità molto
limitata di creare una memoria perché non sono in grado di indurre i linfociti B a fare uno switch isotipico.

È importante ricordare che è pur vero che i linfociti B riescono a riconoscere come antigene una qualsiasi molecola, ma
è anche vero che se riconoscono una proteina sono in grado di dare un’attivazione piena del linfocita T che produrrà
citochine che permettono ad entrambi di attivarsi pienamente.

Se viceversa il linfocita B riconosce altre molecole senza componente proteica manca il coinvolgimento dei linfociti T. La
risposta immunitaria avverrà correttamente, verranno prodotte IgM ma non verrà prodotta una memoria.

Spegnimento della risposta immunitaria


I linfociti B e T dopo aver spento l’infezione devono essere per la maggior parte eliminati sia per non avere una
condizione linfo-proliferativa, ma anche perchè se noi abbiamo nel nostro organismo una molecola non patogena ma
che assomiglia al patogeno e dei linfociti in circolo è possibile che essi aggrediscano il self quindi ciò può predisporre
alle malattie autoimmuni.

Esistono tre modi con cui si può spegnere la risposta immunologica:

- Modalità mediata dal recettore per l’antigene: mediata dunque dal T cell receptor dei linfociti T e dall’anticorpo dei
linfociti B. Se il recettore per l’antigene sarà stimolato per un periodo di tempo superiore alle tre settimane questo
segnale non indurrà più il linfocita ad attivarsi ma lo indurrà a morire .

- Modalità mediata da recettori di morte o inibitori: se legano il ligando della cellula la fanno morire. Normalmente il
ligando per questi recettori non è presente sui linfociti ma diventa disponibile dopo le tre settimane, questi recettori
intervengono nelle fasi tardive dell’infezione. Di questi processi fa parte la via di FAS. FAS è il capostipite della
famiglia dei recettori di morte, è presente in poche molecole sulla superficie dei linfociti T non attivati ma dopo circa 5
o 6 giorni dalla sua attivazione troviamo questo recettore in membrana. Inizialmente, una cellula infettata da virus o
una cellula tumorale, non esprimono in membrana il suo ligando che si chiama FAS ligando però successivamente
iniziano a esprimerlo. FAS e FAS ligando si legando e trimerizzando inducendo un segnale che va a finire sulle
caspasi che inducono ad apoptosi. È importante che avvenga apoptosi e non necrosi perchè la necrosi induce un
grosso processo infiammatorio. La sindrome autoimmune linfoproliferativa è una malattia autoimmuno. Ha un
esordio in età pediatrica che induce l’ingrossamento dei linfonodi e della milza. Il problema di questi bambini è il fatto
che posseggano una mutazione nel gene di FAS che rende la via di spegnimento della risposta poco efficace. Un altro
importante recettore è CTLA-4 che fa parte delle famiglia delle molecole costimolatorie di CD28 (secondo segnale di
attivazione), con la differenza che il segnale che trasduce all’interno della cellula è un segnale negativo che dice al
linfocita di spegnersi. CTLA-4 e CD28 legano lo stesso ligando che è B7 ma CTLA-4 lo lega con un affinità molto più
alta; questo significa che in una prima fase attivatoria CTLA-4 non può essere presente se no il linfocita T non si
attiverebbe. Esiste anche il recettore PD1 che è espresso e funziona non nell’organo linfatico, ma a livello periferico
dove è presente l’infezione. Questo recettore viene espresso dai così detti linfociti esausti, ovvero quelli che si sono
attivati tre settimane prima e che quindi ora devono spegnersi. PD1 lega su una cellula in periferia che non è più una
cellula presentante l’antigene ma è per esempio una cellula tumorale o infettata da virus che esprime PD-L1. PD1 lega
il PD-L1 della cellula esausta e la spegne. CTLA-4 e PD-1 sono molto importanti e possono essere usati nel
trattamento di tumori metastatici. Il trattamento è operato dagli inibitori dei ceckpoint (rappresentati da CTLA-4 e
PD-1) che sono anticorpi monoclonali anti CTLA-4 o anti PD-1. L’obiettivo del trattamento in questo caso non è
finalizzato a combattere il tumore ma potenziare la risposta immunitaria contro i tumori.->sono aspecifici quindi si usa
per esempio un anti CTLA-4 che va a legare tutte le molecole di CTLA-4 quindi sia quelle dei linfociti anti- tumorali
(quelli che io voglio) ma anche di tutti gli altri pertanto questo può far scatenare una malattia autoimmune.

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- Modalità mediata dai linfociti T regolatori: sono linfociti che uccidono altri linfociti. Questi linfociti secernono delle
sostanze tossiche che trasducono il segnale di morte ad altri linfociti. Durante il processo di selezione negativa di
maturazione dei linfociti, nascono i linfociti T regolatori coinvolti nello spegnimento della risposta immunitaria.

Citochine
Le citochine sono delle molecole, solitamente delle proteine che hanno la funzione di stimolare le cellule del sistema
immunitario inducendole a fare cose specifiche.

• Azione delle citochine:

- La citochina per funzionare deve legare un recettore sulla superficie della cellula bersaglio, se la cellula non possiede il
recettore l’azione delle citochine non avviene.

- Quando la citochina lega il recettore trasduce un segnale che in qualche modo arriva nel nucleo della cellula e la
induce a trascrivere particolari geni.

Una volta che la cito china è prodotta può avere come bersaglio cellule diverse.

Esistono 3 caratteristiche chiave delle citochine:

- Pleiotropismo: un linfocita T helper attivato secerne interleuchina 4 (è una citotochina) la quale ha un particolare
effetto pleiotropico, ovvero può andare ad agire su diversi tipi cellulari inducendo egli effetti uguali o diversi.
Pleiotropico significa che una stessa molecola stimola cellule diverse e media effetti diversi.

- Ridondanza: le citochine possono essere ridondanti, ciò significa che citochine diverse possono mediare lo steso
effetto. Posso ottenere lo stesso effetto biologico con citochine diverse. In breve esiste la ridondanza perchè la
traduzione del segnale è mediata da una catena uguale mentre il riconoscimento della citochina è mediato da una
catena specifica per quel determinato riconoscimento.

- Sinergia: ovvero se unisco due citochine che singolarmente indurrebbero un effetto in copia ne inducono un altro.

- Antagonismo: queste due citochine entrano in antagonismo e l’antagonista blocca l’azione dell’altra citochina (ad es.
l’interferongamma blocca l’azione dell’interleuchina 4). Nell’antagonismo le due citochine che sono presenti legano
una la propria subunità alfa di riferimento e l’azione finale sul versante cellulare sarà mediata dalla catena che
trasduce il segnale appaiata a una delle due subunità alfa legate. Quando ho due inteleuchine in una miscela, se c’è
un’abbondanza di una delle due, ci sarà anche un’abbondanza di subunità alfa della citochina presente in maggiore
quantità che sequestra le subunità beta presenti che servirebbero anche alla citochian che è presente in quantità
minori.

Siamo al tempo zero, un antigene è legato ad un macrofago e viene presentato ad un linfocita T helper attraverso un
cross-talk. Le proteganosite del cross-talk sono le citochine, sia il macrofago che il linfocita T iniziano a secernere delle
citochine e si attivano a vicenda. Dunque il primo evento dopo il riconoscimento antigienico è un cross-talk citochinico
tra la cellula presentante l’antigene e il t cell receptor del linfocita T.

Il cross-talk citochinico porta ad una serie di conseguenze tra cui l’attivazione del macrofago che inizia a secernere altre
citochine che non sono dirette verso il linfocta T helper, ma vero altri mediatori facenti parte all’immunità innata quali: i
neutrofili, i fibroblasti e le cellule endoteliali, attivazione ipotalamica della febbre,..

Sul versante del linfocita T helper, anch’esso attivato, può produrre varie categorie di cellule che attivano i linfociti B
(dunque secrezione di anticorpi diretti verso il patogeno), oppure induce una risposta da parte dei linfociti T citotossici
che uccidono la cellula, oppure altre cellule dell’immunità innata sempre tossiche.

La specificità della citochina dipende dal recettore, dunque solo le cellule che esprimo il recettore riescono a
rispondere a quella determinata citochina. Esistono 5 tipologie diverse di famiglie recettoriali per le citochine, abbiamo
rettori citochinici diversi anche dal punto di vista strutturale.

Esistono tre forme del recettore. Il recettore completo è un trimero costituito da una subunità alfa, una beta e una
gamma. Ad esempio la specificità di legame con l’interleuchina 2, ovvero la tasca di legame è formata da alfa e da beta;
la gamma non c’entra nel riconscimento dell’interleuchina 2, il suo compito è quello di trasdurre il segnale.

L’interleuchina due arriva, lega alfa e beta facendone cambiare la conformazione , il cambio di conformazione si traduce
a gamma che traduce il segnale.

Esistono altre due varianti: una rappresentata dalla sola subunità alfa e una dalla sola subunità beta associata alla
gamma, entrambe in grado di legare l’interleuchina 2 perché è sufficiente una mezza tasca di legame. Entrambe legano
con un’affinità minore, e nel caso dalla sola subunità beta associata alla gamma il recettore che riesce comunque a
trasdurre il segnale perchè la subunità gamma è presente, nel caso della sola subunità alfa il segnale non si riesce a
trasdurre perché non c’è la subunità gamma.

Il legame della citochina con il recettore induce due effetti importanti:

1. Oligodimerizzazione del recettore: è necessario che almeno due citochine leghino il recettore.

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2. Attivazione delle tirosina chinasi: vengono fosforilate e creano un binding-site. Vi è una dimerizzazione del
recettore che permette la migrazione nel nucleo e la successiva trascrizione genica.

In sostanza il processo di traduzione del segnale dei recettori citochinici procede attraverso l’attivazione di tiroxina-
chinasi le quali attivano la cascata attraverso le STAT che porta all’attivazione di alcuni geni.

Esistono 5 tipi di recettori per le citochine diversi tra loro anche dal punto di vista strutturale.Il fatto che esistano diversi
tipi di recettore è importante in quanto significa che esistono vari tipi di citochine che mediano azioni pro-infiammatorie,
anti-infiammatorie oppure innate importanti.
- Immunoglobuline (di questa famiglia fanno parte gli anticorpi)
- TNF recepor-> TNF è una citochina importante in quanto ha azione sia anti- infiammatoria che pro-infiammatoria ossia
riesce a scatenare l’infiammazione o a spegnere il SI.
- Recettori delle chemochine. Le chemochine sono citochine che trasducono un segnale chemiotattico verso una
determinata sede e loro tendenzialmente legano recettori che attraversano la membrana 7 volte e che sono accoppiati a
G proteins
- Recettori classici di classe I o II per le citochine

Il meccanismo di trasduzione del segnale e dei recettori delle citochine procede attraverso l’attivazione di tirosine
chinasi (JAK) che sono abbinate al recettore. nel momento in cui si ha la oligomerizzazione queste attivano le tirosine
chinasi che attraverso fenomeni di fosforilazione attivano la cascata, attraverso STAT, che porta poi all’attivazione di
alcuni geni. (vedi biochimica JACK/STAT)
Abbiamo nell’esempio il recettore dell’interferone gamma costituito da una subunità a e una b che sono
costituitivamente associate a tirosine/chinasi della famiglia delle JAK. Il legame dell’interferone gamma con il suo
recettore induce 2 fenomeni:
1. Oligomerizzazione o dimerizzazione del recettore-> avere un solo un solo interferone gamma(citochina) che lega non
è sufficiente ma è necessario che due interferoni gamma vicini leghino i recettori e avvicinino i due recettori .
2. Attivazione delle JAK che vengono fosforilate per cui creano un binding site per STAT ossia l’adattatore. STAT a
questo punto viene a sua volta fosforilato, in questo modo si ha una dimerizzazione che permette di migrare nel
nucleo e attivare la trascrizione genica 


Maturazione dei linfociti B


Tutte le cellule del sangue quindi anche i linfociti B maturano a partire da un progenitore nel midollo osseo. La
maturazione per i linfociti B consiste in due fasi:
- ricombinazione VDJ (si costruisce esone che codifica per la tasca di legame)

- selezione negativa (si uccidono tutte le tasche di legame che riconoscerebbero il self)
Quello che sopravvive a questi processi è un linfocita detto naive ossia un linfocita con il recettore per l’antigene MA che
non ha mai incontrato l’antigene. Una volta fatte ricombinazione e selezione il linfocita B può uscire in periferia. (si fanno
circa 5 milioni di linfociti B diversi tra loro ogni giorno questo perché l’emivita del linfocita B naive è di un paio di giorni).-
>Continua produzione di linfociti.
Questa prima fase di maturazione in realtà è definita maturazione antigene indipendente perché l’anticorpo generato
non ha mai incontrato l’antigene. Questo va in periferia o meglio esce dal midollo osseo e si dirige verso un organo
linfatico secondario (linfonodo,milza o malt). Per farlo circola nei fluidi biologici quindi sangue o linfa inoltre è in grado di
circolare tra diversi linfonodi,linfonodo-milza e cosi via...
La maggior parte dei linfociti muoiono dopo pochi giorni in quanto non incontrano alcun antigene. Il 10% che sopravvive
incontra l’antigene, il destino di questo linfocita quando incontra l’antigene è un secondo processo di maturazione
chiamato antigene dipendente. (è solo quando incontra l’antigene che capisce qual è il patogeno)
Un processo importante che viene svolto in questo momento è lo switch isotipico (tutti i linfociti B che non hanno ancora
incontrato l’antigene esprimono in membrana IgM ->dopo che si incontra il patogeno bisogna capire quale grasse di Ig
si vuole ottenere).
Esiste anche un secondo processo a cui il linfocita va in contro chiamato maturazione PER AFFINITA che consiste
nell’inserire errori/mutazioni casuali nell’esone VDJ. (in questo modo si migliora la tasca di legame)
Naturalmente inserire delle mutazioni può portare a diversi destini, potrebbe essere infatti inserito uno stop codon
precoce oppure si potrebbero inserire mutazioni che diminuiscono l’affinità per il ligando. Esiste però una piccola % di
volte in cui l’inserimento di mutazioni che aumentano l’affinità per l’antigene e quindi si da vita ad un segnale migliore.
NB. una parte dei linfociti B che derivano dal precursore che ha riconosciuto l’antigene si trasforma in cellule della
memoria (che hanno emivita abbastanza lunga infatti durano diversi anni). Per cui la maturazione dei linfociti B antigene
dipendente non avviene solo nel midollo osseo infatti dopo l’incontro con l’antigene avvengono altri due processi che
servono a raffinare l’anticorpo che poi vincerà. (quello che viene raffinato dell’anticorpo sono sia il frammento variabile
che il frammento costante grazie a iper-mutazione somatica che cambia la tasca di legame e switch isotipico che
permette di scegliere la tasca giusta)

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Per quanto riguarda la traduzione del segnale anche i linfociti B come i linfociti T hanno un co-recettore che lo aiutano
per trasdurre il segnale; si tratta di un trimero formato da CD19(marcatore dei B quindi permette di distinguerli),
CR2(recettore per alcuni frammenti del complemento) e TAPA-1. Chi trasduce il segnale nella cellula è CD19.

Meccanismo: Il nostro anticorpo riconosce l’antigene ad esempio un batterio che ha legato la tasca di legame, sulla
superficie del batterio il complemento (ossia l’immunità innata) si è attivato (si attiva anche per solo contatto con la
parete batterica) pertanto sulla superficie del batterio ci sono dei pezzi di complemento tra cui C3b. L’anticorpo cambia
conformazione avendo legato l’antigene, lo legherebbe con affinità troppo bassa ma il co-recettore è in grado di
stabilizzare questo legame e l’insieme del legame ora è abbastanza forte da permettere la trasduzione di tale segnale.
(segnale che attiva tirosine chinasi sia sul versante anticorpale che su quello del co-recettore).

Tipologie di linfociti t helper


Esiste anche il segnale 3 di attivazione dei linfociti T mediato dalle citochine. Sulla base di quale citochina viene
prodotta nell’intorno il linfocita T helper capisce cosa deve diventare. Siamo in un organo linfatico secondario e un
linfocita T helper navie, detto Th0, incontra per la prima volta l’antigene, è in questo momento che decide cosa deve
diventare. I linfociti T helper sono realmente i più importanti perché a seconda del Th presente io vado ad attivare
diverse branche del sistema immunitario, ovvero ottengo differenti risposte immunitarie.

Esiste la possibilità almeno in vitro di trasndifferenziare i Th, ovvero possono trasformarli da una tipologia all’altra.
Questo è molto importante perché ciascuno di questi linfociti Th è deregolato in modo diverso in alcune malattie,
quindi se voglio trattare una malattia, per esempio mediata dai linfociti Th2, posso pensare di spostare la risposta da
Th2 a Th1 per avere una risposta più efficace . I linfociti Th2 sostengono la risposta dei linfociti B.

Queste popolazioni di effettori: Th1, Th2, Th9 e Th17, possono essere indotte dall’intorno citochinico a diventare dei
linfociti T regolatori coinvolti nello spegnimento della risposta immunitaria. Questo è importante perché riesco ad
indurre una morte estremamente specifica (la via di FAS non è specifica perché uccide tutte le cellule che possiedono
quel recettore). Questi T regolatori si dicono indotti perchè precedentemente erano effettori (i linfociti T regolatori
naturali invece si generano nel timo durante il processo di selezione negativa).

In sostanza questi linfociti T helper sono diversi per il tipo di citochina che producono e quindi per la branca del sistema
immunitario che vanno ad attivare. È importante sottolineare che questi linfociti Th decidono in quale tipologia
differenziarsi sulla base della citochina prodotta dalla cellula presentante l’antigene.

Questi linfociti sono sicuramente distinguibili della base della citochina che producono, sulla base dei recettori
chemochinici di superficie e sulla base di fattori trascrizonali che servono per far produrre una determinata citochina
al Th.

L’effetto delle citochine nel microambiente prodotte dalle cellule presentanti l’antigene è di fondamentale importanza per
il differenziamento dei linfociti Th. Ad esempio per avere lo sviluppo del linfocita Th2 devo aver presente nel
micorambiente l’interleuchina 4, mentre per avere lo sviluppo del linfocita Th1 deve essere presente
l’interferongamma. Interleuchina 4 e interferongamma sono antagoniste tra loro e questo è importante per avere la
produzione di un tipo di Th piuttosto che di un altro e per spegnere la produzione di quello che non ci serve. Th9 e Th17
sono sintetizzati a partire dallo stesso fattore che è il TGF-beta e l’aggiunta a questo fattore di interferongamma porterà
al differenziamento in Th17, l’aggiunta di interleuchina 4 porterà al differenziamento in Th9.

È importante sottolineare anche che è importante l’intensità di stimolo dell’antigene per il differenziamento dei Th,
ovvero quante molecole gli indirizza per indurlo a differenziarsi.

Una popolazione fondamentale di linfociti t sono i linfociti follicolari che si trovano solamente nei follicoli linfatici
(raggruppamento di linfociti B e T e sede dell’incontro con l’antigene). Quando il linfocita B ha riconosciuto l’antigene, lo
processa e lo carica sugli MHC di classe 2 per fungere d cellula presentante l’antigene ai linfociti T. A questo punto il Th
si attiva, migra nella zona più chiara del follicolo e guida il linfocita B a fare ipermutazione somatica e switch isotipico.
Dunque il linfocita T follicolare è in primis attivato dal linfocita B che ha riconosciuto il patogeno.

Quando noi vogliamo differenziare un linfocita doppiamo farlo diventare ciò che vogliamo e non rischiare di farlo
diventare altro! (se io voglio Th1 non devo produrre Th2 perché fanno cose diverse e sono coinvolti in infezioni opposte)

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-> per questo motivo l’IL-4 e l’ INF-gamma sono antagonisti tra loro ossia se io produco IL-4 questa va a differenziare
dei Th2 e nel contempo a bloccare il differenziamento dei Th1. Lo stesso vale per l’interferon-gamma pertanto la
specificità non risiede solo nel fatto di attivare la risposta che vogliamo ma anche nello spegnimento della risposta
opposta. questo vale anche per il differenziamento dei Th17 e Th9. I Th17 e Th9 hanno entrambi il TGF-beta come
citochina comune ma l’aggiunta a questo di interleuchina 1 induce induce la formazione di Th17 mentre l’aggiunta di
IL-4 porta alla formazione di Th9.

Linfociti T citotossici
I linfociti T citotossici li distinguiamo perché sulla loro superficie esprimono CD8. Riconoscono l’antigene come i T helper
ma invece di riconoscerlo su molecole MHC di classe 2, riconoscono i peptidi su molecole MHC di classe 1. Anche in
questo caso l’incontro con l’antigene avviene negli organi linfatici secondari.

I linfociti T citotossici uccidono le cellule infettate d virus in maniera molto mirata, lo stesso succede per le cellule
tumorali.

Per attivare un linfocita T citotossico che lavori in periferia dobbiamo attivarlo nell’organo linfatico primario

I linfociti T citotossici nei linfonodi si attivano legando molecole MHC di classe uno che carica peptidi solo se si trovano
all’interno della cellula come nelle cellule tumorali o in quelle infettate da virus. Il problema si pone su come faccia a
riconoscere peptidi esterni alla cellula e presenti su classe 2? Lo fa secondo due meccanismi presentati prima. I
citotossici servono in due situazioni:
- Quando si ha un’infezione virale ->il virus dentro la cellula esprime dentro la cellula degli antigeni che possono essere
presentati su classe I e attivare un citotossico (ad esempio il virus dell’epatite B infetta 1 solo epatocita tra tanti altri e
questo epatocita esprime sulla superficie dei vassoietti con pezzetti di virus dell’epatite quindi il T citotossico lo
uccide in modo selettivo).
- In caso di Tumore-> es: epatocarcinoma in cui una sola cellula esprime sulla superficie vassoietti pieni di antigeni
tumorali pertanto questa cellula viene eliminata dai Tc. 


L’antigene deve essere presentato sia ai linfociti T helper che ai citotossici. Come faccio a presentare antigeni extra
cellulari tipici delle molecole MHC di classe2 su molecole MHC di classe 1? Riesco con 2 meccanismi:

- Cross-presentazione: gli antigeni che normalmente sono extracellulari e che normalmente dovrebbero finire su
classe 2 finiscono su classe 1. Un meccanismo è l’endocitosi media da recettore o la presenza di gap junctions
che permettono il passaggio di peptidi dal citoplasma di una cellula all’altra.

- Cross-dressing: succede che il vassoietto con il peptide non arriva direttamente dalla cellula dendritica ma la cellula
viene vestita dall’esterno di questo MHC. Il vassoietto con dentro il peptide non arriva direttamente dalla cellula che lo
ha prodotto, ma la cellula viene rivestita esternamente. Ciò che viene trasferito sono delle microvescicole che portano
con loro le molecole MHC di classe 2 con già dentro l’antigene. In questo caso la cellula presentante l’antigene non fa
niente ma riceve dall’esterno una molecola MHC contenente peptidi.

I linfociti t citotossici vengono attivati insieme ad un T helper dalla stessa cellula presentante l’antigene che presenta in
modo ordinario antigeni su molecole MHC di classe 2 ma li presenta anche su molecole MHC di classe 1 grazie a coss-
presentazione e cross-dressing.

Situazione normale della processazione dell’antigene su classe I: l’antigene presente nel citosol viene frammentato in
pezzettini ad opera dal proteosoma che vengono trasferiti nel RE attraverso TAP1 e TAP2 dove vengono montati gli
MHC I che poi vescicola attraverso il golgi e arriva in membrana.
Il problema si pone quando le cellule non hanno il peptide all’interno ma gli deve arrivare.
Esistono vari meccanismi di cross-presentazione:
- A: esistono gap junction tra cellule contigue per cui dal citoplasma di una cellula può passare a quello di un’altra
cellula .

- B: endocitosi mediata da recettore. i recettori su perficie possono ligare un ligando e vescicolare ed internalizare
recettore+ligando e le vescicole endosomiali possono per linkage o per canali andare nel reticolo e quindi questo
recycling può permettere il passaggio di questo recettore 

Grazie alla cross presentazione il peptide che normalmente dovrebbe finire su MHC II finisce su classe I. 


I linfociti T citotossici inducono l’apoptosi della cellula bersaglio mediante tre meccanismi:

- Recettore di morte FAS: la cellula bersaglio esprime FAS, il linfocita citotossico alti livelli di FAS ligando che lega FAS
il quale attiva le caspasi che indurranno poi l’apoptosi. La cellula bersaglio esprime FAS, il citotossico esprime alti
livelli di FASL che lega FAS che attiva le caspasi che portano ad apoptosi. (via mediata da recettori di morte)

- Sistema perforina-granzimi: si ha la formazione di pori che permettono ai granzimi di entrare i quali attivano le
caspasi che indurranno poi l’apoptosi. I Tc sono ricchi di granuli contenenti perforina e graenzimi che vengono
rilasciati a livello della sinapsi immunologica. La perforina ha alta affinità con il fattore C9 del complemento (che ha
parte idrofilica esterna e idrofobica al centro quindi si mette nella membrana e polimerizza dando il foro). La perforina
permette la formazione di piccoli fori che non ha dimensioni tali da distruggere la cellula (l’obbiettivo non è uccidere la

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cellula per necrosi) ma che servono per consentire l’entrata dei graenzimi nella cellula. I graenzimi attivano le caspasi
quindi si attiva la cascata apoptotica che porte alla morte della cellula.

- Recettore di morte TNF-R: la differenza con FAS è che TNF è una citochina pro-infiammatoria che legando i suoi
recettori induce la morte della cellula

Linfociti natural killer


Le cellule natural killer fanno parte dell’immunità innata, non hanno dunque recettori specifici ma hanno comunque
diversi modi per riconoscere la cellula bersaglio, tra i quali l’ADCC: è una citotossicità anticorpo-dipendente. Le
natural killer riconoscono gli anticorpi, in particolare le IgG che hanno legato cellule infettate, grazie a loro riconoscono le
cellula e successivamente le uccidono.

Le cellule natural killer riconoscono anche molecole specifiche poste sulle cellule bersaglio (espresse solamente dalle
cellule che non sono “normali”), legano il recettore di queste cellule e le uccidono.

Le cellule natural killer hanno sulla loro superficie due recettori: inibitori KIR e attivatori KAR. KAR e KIR legano delle
molecole presenti sulla cellula bersaglio, se sono presenti i ligandi per entrambe le cellule vince il segnale inibitorio KIR e
la cellula non si attiva. Per attivarsi la cellula deve ricevere un segnale dal recettore attivatorio, in assenza del segnale
inibitorio.

I KIR legano delle tutte molecole MHC di classe 1 che possono essere canoniche, ma anche molecole MHC che non
presentano nulla ma il loro ruolo è quello di attivare le cellule natural killer. (((((Se c’è una molecola MHC di classe 1 i
linfociti natural killer non se ne occupano perchè entrano in scena i linfociti t citotossici. )))))) le molecole mHC hanno la
funzione di spegnere i natural killer e di attivare i citotossici.

I KAR legano immunoglobuline di classe G (IgG) perché ci sono i recettori capaci di riconoscere la coda della classe G,
riconoscono inoltre le molecole di stress ovvero molecole che le nostre cellule esprimono durante i contesti per essa
stressanti, i KAR legano anche molecole di origine virale espresse dai patogeni che normalmente le nostre cellule in
condizioni fisiologiche non esprimono ma che possiedono solo in caso fossero infettate da virus o se fossero cellule
tumorali.

Una cellula infettata d virus esprimere sulla sua superficie delle molecole MHC di classe 1 caricate di peptidi e dei KAR,
quando arriva una cellula natural killer possiede entrambi KIR e KAR. Questa cellula riceve il segna dei attivarsi da parte
del KAR presente sulla cellula infettata o tumorali ma riceve anche il segnale di spegnersi perché l’MHC di classe 1
attiva il KIR e segnala alla cellula che non è il momento di attivarsi. Se tolgo le molecole MHC il citotossico non riesce a
riconoscere e la cellula non ha più il segna le inibitorio e si attiva.

L’azione citotossica si svolge con due tipi cellulari: i citotossici affiancati dalle cellule natural killer. Le cellule natura killer
si attivano quando le cellule infettate o tumorali non fanno esprimere le molecole MHC e quindi i citotossici non sono in
grado di attaccarle.

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TECNICHE DI LABORATORIO

Immunità attiva e passiva


Parliamo di immunità attiva quando un determinato agente patogeno attacca l’ospite, il quale nel giro di qualche giorno
lo riconosce e inizia a rispondere prima attraverso una risposta infiammatoria propria dell’immunità innata che a sua
volta andrà ad attivare l’immunità acquisita che interverrà per andare a eliminare il patogeno. L’immunità attiva andrà a
costituire la memoria.

Parliamo di immunità passiva quando il sistema immunitario dell’ospite non è direttamente in grado di eliminare il
patogeno ma gli viene trasferito dentro qualcos’altro che gli conferisce la capacità di eliminarlo. L’immunità passiva non
ha memoria, l’ospite ha una difesa per non morire ma limitata nel tempo.

L’epitopo è una sequenza sporgente di un determinato antigene che viene riconosciuta dal nostro sistema immunitario e
più in particolare dagli anticorpi. Ciascun epitopo viene riconosciuto da un anticorpo diverso, quindi avendo un antigene
si attivano tanti linfociti B diretti contro tutti gli epitopi dell’antigene.

Esistono due classi di epitopi:

- Epitopi lineari: è un epitopo in cui gli amminoacidi che vengono riconosciuti dalla
tasca di legame dell’anticorpo sono in sequenza lineare

- Epitopi conformazionali: sono costituiti da una sequenza non lineare di amminoacidi


ma che si trovano vicini nello spazio quando la proteina è in conformazione nativa.

Alla luce di ciò se denaturiamo una proteina l’epitopo lineare si mantiene e continua ad
essere riconosciuto dall’anticorpo, mente quello confromazionale non viene più
riconosciuto perché gli amminoacidi si troveranno lontani nello spazio.

L’aptene è un antigene molto piccolo che proprio a causa delle sue dimensioni ridotte non è in grado di essere
immunogenico. Se l’aptene viene coniugato con una molecola più grande definita “carrier” -> trasportatore dell’aptene,
che di per sé non ha nessuna funzione attivatoria nei confronti del sistema immunitario, la molecola dell’aptene diventa
visibile e genera un antigene completo che scatenerà una risposta immunitaria. Il sistema immunitario non riconosce la
molecola carrier ma l’aptene.

Per cross-reattività si intende la possibilità che anche verso altri


antigeni, somiglianti a quello virale, gli anticorpi prodotti per un
determinato antigene vadano ad agire. Se ad esempio abbiamo un
antigene A e un antigene B che presentano lo stesso epitopo, un
anticorpo prodotto contro l’antigene A lega anche l’antigene B: parliamo
di anticorpo cross-reattivo che potrebbe evidenziare la presenza di un
antigene anche quando esso non c’è, ma è presenta solo un antigene
che gli assomiglia. Questo processo è anche causa delle malattie
autoimmuni.

Anticorpi mono e poli-clonali


Mono e poli clonali si riferisce al fatto che gli anticorpi possono essere prodotti da un solo tipo cellulare -> mono, o da
più tipi cellulari -> poli.

Un siero policlonale è un siero che contiene al suo interno una miscela di anticorpi diversi, sia nel frammento variabile
FAB che nel frammento costante FC. Gli anticorpi non derivano da un unico linfocita B ma da più cloni di essi.

Un siero monoclonale è un siero che contiene al suo interno anticorpi tutti uguali che sono prodotti da un unico
linfocita B. Questi anticorpi legano tutti lo stesso epitopo.

In generale qualsiasi risposta immunologica è poligonale perchè un antigene ha più epitopi e dunque stimola
l’attivazione di più linfociti B.

La produzione i questi due tipi di anticorpi parte dallo stesso step iniziale ovvero l’immunizzazione di un animale.
Normalmente gli anticorpi monoclonali si fanno a partire dal topo, gli anticorpi policlonali si ottengono dal siero degli
animali (a seconda di quanto siero è necessario si utilizzeranno animali di dimensioni diverse).

Dopo più cicli di immunizzazione si effettua l’analisi per vedere la risposta anticorpale nei confronti di quel determinato
antigene. Quando l’immunizzazione è piena posso usare ogni siringa di sangue che esporto per estrarre anticorpi.

Dunque, per quanto riguarda la produzione di anticorpi monoclonali, a cicli ripetuti immunizzo l’animale, raccolgo il
plasma nel quale sono presenti gli anticorpi e faccio una prima purificazione per estrarre la parte proteica anticorpale .

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Dopo di che faccio una “purificazione per affinità” ovvero seleziono gli anticorpi che attaccano solo l’antigene che ho
iniettato.

In generale la differenza tra un anticorpo monoclonale e un anticorpo policlonale è che quello monoclonale ha sempre lo
stesso Fc e Fab mentre un policlonale contiene al suo interno una miscela di anticorpi che riconoscono si lo stesso
antigene, ma riconoscono epitopi diversi, quindi possono avere Fab diversi e Fc diversi (a causa dello switch isotipico).

Immunizzazione
Per immunizzazione si intende lo stimolo di una memoria immunologica contro l’attacco di un determinato patogeno.

Per immunizzare un animale con un antigene devo inoculare un animale con l’antigene al tempo zero (oggi), aspetto un
certo per periodo di tempo durante il quale controllo che il sistema immunitario abbia risposto all’antigene e dopo due o
tre settimane riinoculerò l’antigene.

Le induzioni verranno fatte per più cicli fino a quando la quantità di anticorpi che trovo mi fa capire che c’è stata una
risposta immunitaria piena ed adeguata.

Posso inoculare in un animale l’antigene da solo? Assolutamente no. Per avere l’attivazione piena di un linfocita B è
necessario che un linfocita T helper, che riconosce lo stesso epitopo del linfocita B, si attivi a sua volta ( il B può
presentarli l’antigene) per indurre con le sue citochine il B a fare switch isotipico. Per formare il coniugato B-T è
fondamentale che un processo infiammatorio risvegli i T.

Per immunizzare un animale devo fornire l’antigene in più richiami per montare una risposta della memoria efficace.
Insieme all’antigene devo fornire anche un adiuvante: è una sostanza che rende le cellule presentanti l’antigene
pienamente performanti perché scatena il processo infiammatorio.l’adiuvante viene aggiunto anche nella produzione di
anticorpi monoclonali.

Produzione di sieri policlonali


Il procedimento è relativamente semplice:

1. Prendo un animale e lo immunizzo, ovvero gli fornisco la combo antigene+adiuvante per 3 o 4 volte, finché esso un
produce una risposta piena.

2. Prelevo il siero dell’animale, ovvero la parte non corpuscolare del sangue, e trovo gli anticorpi di mio interesse
insieme ad altre proteine sieriche.

3. Posso utilizzare il siero così com’è o purifico gli anticorpi liberandomi da tutto il resto.

Una volta che ho immunizzato l’animale posso risomministrare l’antigene al fine di fargli produrre anticorpi e poi
prelevare il siero da questo animale.

L’animale che scelgo è solitamente di grosse dimensioni per avere un prelievo di siero consistente. Si solito si utilizzano i
conigli.

Produzione di anticorpi monoclonali


La produzione di anticorpi monoclonali è una scoperta che dobbiamo a Milstein e Kohler, premio nobel per la medicina
nel 1984. Hanno spiegato come produrre un solo anticorpo capace di riconoscere un determinato epitopo con un certo
FC.

È fondamentale riuscire a produrre anticorpi monoclonali perchè ciò ci permette di andare ad identificare in maniera
estremamente precisa un determinato antigene. Questo è fondamentale per andare ad identificare gli antigeni del
sistema immunitario che si chiamano antigeni CD (cluster differentiation). La realizzazione di anticorpi monoclonali è
molto importante in ambito immunologico. Nell’immagine abbiamo Linfociti T e linfociti B messi a confronto. Questi
strutturalmente non sono distinguibili anche se sono cellule con funzioni completamente diverse. A livello dei linfociti T
non è poi possibile distinguere i Th dai Tc. L’uso di anticorpi monoclonali ha permesso di identificare con estrema
precisione gli antigeni espressi sulla superficie delle cellule cioè se io posso produrre un anticorpo che riconosce con
estrema precisione una determinata proteina posso dire quali cellule esprimono quella proteina e quali no perché vado a
vedere quali cellule esprimono l’anticorpo rispetto a tutte le altre. Questo è stato estremamente importante per
identificare gli antigeni presenti sulle cellule del SI che prendono il nome di antigeni CD. ->produrre anticorpi
monoclonali ha permesso di vedere che i linfociti B esprimo CD19 e CD20 che non è espresso dai linfociti T mentre nel
caso dei linfociti T è possibile distinguere CD4 e CD8 pertanto si può capire quale è Th e quale Tc. ->si producono
quindi anticorpi monoclonali diretti verso contro un certo CD per capire di che cellula si tratta quindi gli anticorpi
monoclonali riconoscono i diversi CD.
Noi riusiamo quindi a distinguere un numero di 371 diversi CD o meglio riusciamo a distinguere le diverse cellule del SI
in quanto queste esprimono sempre più CD.

1. Immunizziamo l’animale: inoculiamo l’antigene in più cicli con l’adiuvante. L’adiuvante ha l’obiettivo di scatenare il
processo infiammatorio e permettere ai linfociti B, che riconoscono l’antigene, di attivarsi in pieno.

2. Prelevo l’organo linfatico secondario dell’animale, in particolare la milza, che è il sito in cui avviene il riconoscimento
dell’antigene. All’interno della milza ci sono di sicuro dei B che hanno reagito all’inoculo dell’antigene. I B
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produrranno anticorpi per periodo limitato, sono mortali. I B però hanno il gene che codifica per l’enzima
l’ipoxantina-guaina-fosfroribosil-transferasi

3. Rendo le B immortalizzate fondendole con delle cellule tumorali di mieloma multiplo: sono delle cellule tumorali
con la capacità di replicarsi indefinitivamnete. Quando ottengo l’ibridoma, ovvero fusione tra la plasmacellula e la
cellula di mieloma (cellule tumorali di derivazione B che non producono anticorpi e trasferiscono ai linfociti
l’immortalità), questa è in grado di produrre anticorpi e di proliferare per sempre perchè gli viene trasferita
l’immortalita.

4. Come faccio ad avere un unico ibridoma (un unico linfocita B) che produce l’anticorpo di mio interesse? Faccio il
clonaggio: ossia si conta quanti ibridomi si hanno a disposizione e si fa una diluizione clonale. Per Es: trovo 10
ibridomi quindi prendo queste 10 cellule e le risospendo in 2 ml e poi metto 100 microL in diversi pozzetti, questo
comporta che in alcuni pozzetti non metto nulla (ho solo 10 cellule) e mi garantisce inoltre di non mettere mai 2
cellule nello stesso pozzetto ma 1 sola. Le cellule crescono sicuramente in quanto sono diventate immortali grazie
alla fusione con la cellula di mieloma
5. Alla fine avrò in ciascun pozzetto un anticorpo diverso. A questo punto presi gli ibridomi formati li separo l’uno
dall’altro facendo culture indipendenti e cerco quale produce l’anticorpo di mio interesse.

Le caratteristiche della cellula di mieloma sono particolari: essa possiede un difetto in un enzima chiave coinvolto nel
metabolismo dei nucleotidi: l’ipoxantina-guaina-fosfroribosil-transferasi, non è in grado di secernere anticorpi ed è
immortale.

Il PEG è una sostanza che rende le membrane plasmatiche molto delicate dunque cellule in presenza di PEG tenendo a
fondersi tra loro. Se mescolo cellule di mieloma e cellule di topo posso ottenere cellule di topo che non si sono fuse con
niente oppure tre diversi tipi di ibrdioma:

- Fusione di due linfociti b

- Fusione di due cellule di mieloma

- Fusione tra un infocata b e una cellula di mieloma che è l’ibridoma misto che interessa a noi.

Come faccio a eliminare tutte le altre cellule per mantenere solo l’ibridoma che serve a noi? Per quanto riguarda i
linfociti B non fusi e l’ibrdoma B questi andranno incontro a selezione naturale e moriranno di vecchiaia perché sono
mortali.

Per l’ibridoma mieloma-mieloma e il mieloma singolo utilizzo l’enzima mutato nelle cellule di mieloma che invece
funziona benissimo nei linfociti B. Questa selezione viene fatta coltivando le cellule in un terreno HAT (hipoxantina-
amminopterina-timidina) che ha il compito di sollecitare l’utilizzo dell’enzima che elimina le cellule di mieloma.

Se metto le cellule in un terreno HAT l’amminopterina blocca la via di sintesi dei nucleotidi canonica e permette solo alle
cellule che possiedono l’enzima ipoxantina-guaina-fosfroribosil-transferasi corretto di sopravvivere. Solo le cellule che
hanno l’enzima che funziona bene sono in grado di produrre nucleotidi, le altre moriranno.

A questo punto solo l’ibrdoma è i grado di crescere e di produrre anticorpi. Ora posso selezionare gli anticorpi
monoclonali di mio interesse in coltura o posso espanderlo in vivo inoculandolo in un animale.

In conclusione posso dire che la produzione di anticorpi monoclonali: fondo i B che hanno risposto ad un determinato
antigene con la cellula mieloide e seleziono l’ibridoma con due tecniche : l’enzima ipoxantina-guaina-fosfroribosil-
transferasi e il fatto che i linfociti B muoiano dopo un certo periodo di tempo.

Uso di anticorpi monoclonali


Nelle tecniche è importante l’interazione antigene-anticorpo, ossia l’essere stati in grado di produrre anticorpi
monoclonali che riconoscono esattamente la porzione di nostro interesse ha reso l’interazione tra questi anticorpi e il
loro antigene estremamente potente e ha dato la possibilità di sviluppare varie tecnologie sfruttando questo legame.
Con gli anticorpi monoclonali si possono fare diversi usi. Si possono usare nella ricerca e nella diagnostica. È possibile

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effettuare dei saggi diagnostici applicando gli anticorpi monoclonali-> se io voglio sapere se sono infettata da un virus
posso sfruttare un anticorpo monoclonale diretto contro l’Antigene di quel virus per sapere se io ho quel virus.
Gli anticorpi monoclonali possono anche essere usati nella cura dei tumori. Noi sappiamo che i tumori sono cellule con
mutazioni nel loro DNA che le rendono NON responsive al controllo della proliferazione. Questo fenotipo è associato con
l’espressione di alcuni antigeni chiamati neo-antigeni (che tutte le normali cellule del tessuto non esprimono ma che
vengono espresse quando la cellula diventa tumorale). Possiamo quindi sfruttare i neo-antigeni tumorali per distinguere
le cellule tumorali pertanto sfruttando gli anticorpi monoclonali possiamo e segnalare al SI che li c’è una cellula tumorale
o bloccare per esempio l’attiva proliferazione della cellula sfruttando la proprietà di neutralizzante degli anticorpi.

Un anticorpo monoclonale in ambito tumorale può essere usato come un farmaco antitumorale. La potenza di un
anticorpo è legata da un lato al frammento FC mentre all’altro al frammento FV. Noi sfruttiamo la funzione effettrice di FC
per riprodurre lo stesso tipo di conseguenza. Sostanzialmente abbiamo due ambiti:
1. Azione dell’Anticorpo per rendere la cellula tumorale visibile al SI: ADCC -> l’ADCC è la citotossicità anticorpo
dipendente: la cellula tumorale esprime un neo-antigene che viene riconosciuto da un anticorpo che può mediare
ADCC, ovvero può richiamare cellule citotossiche (NK,citotossici e neutrofili) che arrivano e riconoscono l’antigene
grazie all’anticorpo pertanto distruggono questa cellula. Gli anticorpi sempre in questo caso possono andare a legare i
recettori di morte e indurre quindi apoptosi, oppure possono andare ad attivare il complemento
2. Azione dell’anticorpo per la neutralizzazione dei fattori di crescita : In questo caso gli anticorpi monoclonali
riconoscono dei fattori di crescita che sono estremamente importanti per la crescita tumorale. (anticorpi monoclonali
riconoscono per esempio il fattore di crescita VEGF che è una citochina). Se io uso degli anticorpi monoclonali che
legano i fattori di crescita che promuoverebbero la proliferazione del tumore, allora il tumore non riceve più quello
stimolo fondamentale per la sua crescita.
In realtà non basta trovare un anticorpo monoclonale diretto verso un antigene tumorale e usarlo nell’uomo. Se noi
abbiamo fatto produrre a un topo gli anticorpi monoclonali che riconoscono il tumore presente nell’uomo, abbiamo il
problema che questi anticorpi se somministrati nell’uomo provocano una reazione del SI dell’uomo che monta una
risposta immunitaria contro di essi riconoscendoli come qualcosa di estraneo. Si può avere un’azione neutralizzante
legando gli anticorpi impedendogli di legare il loro bersaglio, oppure si può avere un’azione distruttiva.

Nel tempo si sono sviluppate delle metodologie che, partendo dalla produzione di anticorpi monoclonali, ci permette di
trasformare l’anticorpo monoclonale prodotto nel topo cercando di renderlo il meno immunogenico possibile nei
confronti dell’uomo.

Per rendere l’anticorpo il meno immunogenico possibile si applicano delle tecnologie di DNA ricombinante. Partendo
da un anticorpo murino (che stimola il SI dell’uomo) si può passare ad un anticorpo chimerico (viene sostituito solo
FC mantenendo il FAB murino) dopodiché si passa all’anticorpo umanizzato (del tipo viene mantenuta solo la parte che
crea la tasca di legame) e infine a quello umano.

L’anticorpo chimerico è un anticorpo che si tiene la porzione variabile del topo mentre ha come porzione costante quella
umana, l’anticorpo umanizzato invece si tiene soltanto il CDR pertanto ha anche come porzione variabile una buona
parte umana mentre del topo mantiene solo la porzione tra VD e VJ che è quella che crea la tasca di legame.

Anticorpi coniugati
In terapia antitumorale si può pensare di usare anticorpi che si legano ad antigeni espressi sulla superficie della cellula
tumorale recando in prossimità sostanze tossiche in grado di provocare l’uccisione selettiva del tumore->anticorpi
‘armati’ bifunzionali.
Normalmente le due tasche di legame dell’anticorpo sono identiche infatti si dice che l’anticorpo è bivalente. Con le
tecnologie del DNA ricombinante è possibile creare degli anticorpi bifunzionali ossia anticorpi con un FC effettore che
richiama la branca del SI ma che però ha due FAB differenti (due tasche di legame differenti) con l’obbiettivo da un lato
di avere una tasca di legame che porta l’anticorpo sulla cellula tumorale (da questo lato quindi la tasca di legame
riconosce l’antigene tumorale) mentre dall’altro permette di legare un antigene differente che permette di avvicinare alla
cellula tumorale riconosciuta un effettore particolare del SI. (ad esempio permette di avvicinare un linfocita T).

Il braccio non tumorale a volte può anche essere coniugato con una tossina quindi funziona da ‘carrier’ per capire dove
deve rilasciare questa tossina che poi andrà ad agire sulla cellula tumorale legata dallo stesso anticorpo mediando la
funzione tossica.

Tecniche che prevedono l’uso di anticorpi monoclonali


Il tipo di tecnica che si deve applicare ovviamente è diversa a seconda del quesito diagnostico che viene posto. Se
io voglio sapere per esempio se il paziente ha prodotto anticorpi contro qualcosa (batterio/virus/tumore...) devo capire
quale tecnica tra tutte è più adatta a tale scopo. Ponendo di voler fare diagnosi sappiamo che esistono due tipi di test:
• TEST Qualitativi-> non mi permette di carpire la concentrazione dell’anticorpo ossia quanto anticorpo/molecola è
presente ma mi permette solo di definire se la molecola o l’anticorpo è presente o meno. (es: test di gravidanza)
Questo diagnostico: sono incinta o no?

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Durante la gravidanza nelle urine della madre si ritrova nelle urine l’ormone beta-HCG. Se io sono incinta ho questo
ormone nelle urine pertanto è possibile fare un test rapido qualitativo per capire se sono incinta. Esiste una regione nel
test dove viene posto l’analita e poi per capillarità le urine diffondono trasportandosi tutti gli analiti. Nella striscia di corsa
è presente una regione test (che mi permette di rispondere si o no al quesito diagnostico) e una regione di controllo
messa più a valle. Su queste regioni sono stati adesi degli anticorpi monoclonali diretti (nel caso della test line) contro
l’analita che io voglio valutare ossia beta-HCG pertanto in questa regione io avrò anticorpi in grado di legare beta-HCG
qualora questo sia presente nelle urine, mentre più a valle ho degli anticorpi che sono in grado di riconoscere proteine
sempre presenti nelle urine. (questo permette di dire che le urine sono diffuse bene).
• TEST Quantitativi-> mi permette di capire quanti anticorpo ho. Questo tipo di test permette di effettuare quindi una
misura precisa che coincide con un numero ossia una vera e propria concentrazione dell’analita. In questo caso il test è
in grado di dosare la beta-HCG ma non dice solo se è presente o meno perché mi dice anche quanta ce n’è. Questo
permette di capire da quanto sono incinta e se la gravidanza sta procedendo bene perché i livelli di questo ormone
durante la gravidanza di alzano.

Definizione di immunocomplesso
Il tipo di interazione tra anticorpo e antigene dipende da quanto anticorpo e quanto antigene ho nella miscela. La
formazione dell’immunocomplesso ossia quanti anticorpi e quanti antigeni sono legati tra loro dipende dal tipo di
legami che si possono instaurare tra Ac e AG. Questi legami sono sempre di tipo non covalente ma possono essere di
varia natura. Tutti questi legami presi singolarmente sono relativamente deboli mentre insieme diventano forti.
Teoria del reticolo: Il numero di anticorpi e di antigeni che possono essere legati insieme è virtualmente molto diverso,
ossia è possibile modulare la quantità di anticorpi e di antigeni legati l’uno all’altro semplicemente cambiando la
concentrazione di Ac e Ag che metto nel sistema. All’aumentare della quantità di antigene il tipo di complesso che si
forma è molto diverso. Ipotizziamo di avere in un tubo una quantità in eccesso di anticorpo ed immaginiamo di
aggiungere goccia a goccia l’antigene: vediamo che nelle prime fasi ci sarà un eccesso di anticorpo e poco antigene
questo significa che la valenza dell’anticorpo è poco impegnata (ciascun anticorpo lega gli antigeni avendo ancora libera
l’altra tasca di legame poiché c’è talmente poco antigene che tutti gli anticorpi competono per legarlo). Man mano che
aumenta la quantità di antigene invece anche gli altri braccini che prima non erano impegnati possono impegnarsi in
quanto ricevono un po’ di antigene quindi si arriva ad un punto in cui è stata aggiunta una quantità di antigene tale da
aver saturato tutto l’anticorpo presente.->questa zona prende il nome di zona di equivalenza.
Se continuo ad aggiungere antigene mi sposto in una parte della curva in cui si ha un’eccesso di antigene per cui tutti gli
anticorpi NON sono legati a formare un grosso complesso ma ognuno di loro ha saturato le sue due tasche di legame
con due molecole pertanto l’intensità di questo legame cambia.
Si possono quindi sfruttare gli immunocomplessi per ricavare la quantità di antigene presente in un campione. la stessa
cosa può essere fatta per l’anticorpo-> basta che metto in un tubo uno dei due in eccesso e in concentrazione NOTA e
vado a vedere poi la zona di equivalenza.

Tecniche
Immunodiffusione radiale: è un saggio quantitativo, posso trovare la quantità sia di antigene che anticorpo è
indifferente quale dei due Questa tecnica è basata sulla teoria del reticolo. Il meccanismo della tecnica prevede che
abbiamo dei dischetti di Agar dentro i quali disperdiamo una quantità nota di anticorpo. Al centro del pozzetto mettiamo
invece la quantità sconosciuta di antigene. Per capillarità l’antigene diffonderà fino al raggiungimento del punto di
equivalenza dove formerà un precipitato e si bloccherà. Per quantizzare l’antigene si fa riferimento ad una curva di
taratura. -> viene misurata la distanza tra punto di partenza ossia il pozzetto iniziale e il punto in cui si è formato il
precipitato. Prendo delle quantità note di antigene di cui conosco la concentrazione e faccio questo test con per
esempio su 3 diverse concentrazioni (1microG/ ml, 4 microG/ml ecc). Naturalmente dove ne ho messo poco l’anello di
precipitazione sarà vicino e poi man mano sempre più grande. A questo punto è possibile misurare la distanza dal
centro di ciascuno di questi per costruire una retta di taratura-> a questo punto posso andare a vedere il campione del
paziente in esame che tipo di tondino ha generato. (in questo modo calcolo la concentrazione ignota)

Immunodiffusione doppia: è un saggio qualitativo. Funziona con lo stesso criterio del test precedente ma in questo
caso ci interessa vedere solo se si forma o meno una banda di precipitato perché questo significherà che nel campione
è presente l’antigene.

Questo stesso fenomeno di formazione del complesso può avvenire anche quando l’antigene che viene legato
dall’anticorpo non è una molecola solubile ma è qualcosa di corpuscolato come un batterio o un aptene in questo caso
si parla di agglutinazione.
Agglutinazione: sfrutta il legame dell’anticorpo con l’antigene che è costituito da una particella oppure è adsorbito ad
una particella. L’interazione tra l’anticorpo corpuscolato (presente su batteri, eritrociti, leucociti, ecc..) e l’antigene
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determina la produzione di aggregati visibili , definita agglutinazione. Gli anticorpi prendono il nome di agglutinine. Gli
antigeni che hanno dimensioni piccole o che sono poco concentrati possono essere legati su delle biglie in modo tale da
rendere più agevole il riconoscimento->in questo caso quello che viene aggregato è la biglia ricoperta dalla molecola e
non la molecola.

Inibizione dell’agglutinazione: Supponiamo che in condizioni normali ci sia agglutinazione, è possibile controllare se
questa può essere inibita. Il quesito diagnostico è: questo soggetto è stato esposto a questo determinato virus?
Esistono dei virus che sono in grado di indurre agglutinazione o meglio indurre il legame di più globuli rossi. Se noi
prendiamo quindi globuli rossi e questi particolari virus i virus sono in grado di formare nel pozzetto un agglutinato
viceversa dove non è presente il virus non si forma il reticolato. Per vedere se il soggetto è stato esposto a un
determinato antigene e quindi per vedere se sono presenti anticorpi della memoria posso allestire un test di
agglutinazione e in un pozzetto parallelo posso mettere globuli rossi/virus e siero del paziente. Se sono presenti gli
anticorpi questi andranno a legare il virus neutralizzandolo, in questo modo il virus non è più in grado di agglutinare i
globuli rossi quindi avrò una reazione negativa- > diciamo che la risposta al quesito diagnostico non è una reazione di
agglutinazione ma è la sua inibizione.

Emoagglutinazione: Valuta il fatto che i globuli rossi possono impaccarsi l’uno sull’altro generando un grosso
complesso. L’emoagglutinazione è usata per la determinazione del gruppo sanguigno. Esistono diversi gruppi: GRUPPO
A: antigene di superficie A, GRUPPO B: antigene di superficie B, GRUPPO AB: antigeni di superficie sia A che B
GRUPPO 0: non ha antigeni di superficie. Gli antigeni A e B sono glicoproteine espresse sui globuli rossi ma anche
espresse da batteri del microbiota intestinale questo è importante per dire che il SI viene a contatto con questi antigeni
molto precocemente perché tutti noi veniamo a contatto sia con il gruppo A che con il B presente sui batteri del
microbiota per cui se andiamo a vedere nel sangue di ciascuno di questi soggetti quali anticorpi sono presenti contro
quali antigeni in teoria ci aspettiamo che i soggetti con gruppo 0 hanno batteri che esprimo sia A che B pertanto
montano una risposta anticorpale contro sia A che B.

Test di Coombs: si basa sull’utilizzo del siero di Coombs, ovvero l’utilizzo di gammaglobuline eterologhe (anti-
immunoglobuline) immunizzando una capra o un coniglio con immunoglobuline umane. È un’applicazione
dell’emoagglutinazione utilizzata in ematologia per evidenziare anticorpi presenti diretti vero antigeni presenti sugli
eritrociti. Può essere un test diretto -> evidenzia gli anticorpi incompleti legati alle emazie del soggetto, quindi se il
paziente ha montato una risposta anti-eritrocitaria. Si può parlare anche di test indiretto -> si esegue per determinare la
presenza autoanticorpi anti-IgG nel siero del paziente preso in esame

Test ELISA ci permette di fare sia un’analisi qualitativa che quantitativa. È un test usato per andare a identificare in un
campione biologico (siero o sangue) la presenza di un determinato anticorpo che ha riconosciuto un determinato
antigene. Questo metodo permette di avere alla fine una rivelazione quantitativa e qualitativa. - > questo si ha grazie al
test indiretto. Oltre al test indiretto ne esistono altri due che sono quello diretto e quello competitivo.
L’ELISA indiretto viene fatto usando una piastra contenente diversi pozzetti. Nella diapositiva è rappresentato un
singolo pozzetto all’interno del quale viene depositato sul fondo l’antigene contro il quale noi vogliamo capire se quella
persa ha sviluppato anticorpi. Dopo questo passaggio vengono fatti dei lavaggi che consentono di aspirare il liquido che
conteneva l’antigene e viene fatta la prima incubazione con antigene). ->noi nel campione dobbiamo ricercare
l’anticorpo che ha riconosciuto l’antigene. Qualora il campione possiede al suo interno l’anticorpo specifico quando noi
lo aggiungiamo nel passaggio successivo l’anticorpo con la sua porzione variabile andrà a legarsi all’antigene che noi
abbiamo attaccato nel pozzetto. Si effettua poi di nuovo un lavaggio importante poiché permette di rimuovere tutti
quegli anticorpi che non hanno a che fare con l’antigene. Per vedere e quantificare se l’anticorpo è contenuto o meno
nel campione biologico si usa un anticorpo SECONDARIO(nero). Questo anticorpo secondario va a riconoscere l’FC del
anticorpo PRIMARIO (legato ai pallini rossi). L’anticorpo secondario è caratterizzato dal fatto che gli è stato coniugato
quindi attaccato un enzima che in presenza del suo substrato è in grado di dare vita a una reazione colorimetrica.
Dopo questo passaggio si lava nuovamente, nella condizione ideale abbiamo gli antigeni rossi legati all’anticorpo 1 con
attaccato quello secondario legato al suo enzima. Il passaggio successivo consiste nell’aggiungere il substrato per
l’enzima coniugato all’anticorpo secondario pertanto si ha il clivaggio del substrato che da come conseguenza la
formazione della reazione colorimetrica->il pozzetto da blu diventa giallo.
Se abbiamo una variazione del colore significa che quel campione conteneva quel determinato anticorpo. L’enzima che
normalmente viene usato è la perossidasi di rafano che degrada i perossidi e l’ossidazione dei diversi substrati
permette di ottenere un composto cromogenico.

È un test che viene fatto per rilevare anticorpi diretti contro un antigene nel siero del paziente. La metodica indiretta
quindi permette di fare una valutazione qualitativa e quantitativa di un anticorpo.

L’ELISA A SANDWITCH-> più colore sviluppo alla fine più antigene ho legato pertanto la colorazione è direttamente
proporzionale alla quantità di antigene presente . Questo tipo di ELISA è il più comune. Noi partiamo nella condizione
in cui nel pozzetto abbiamo attaccato l’anticorpo specifico, anche qua si effettua il lavaggio per rimuovere l’eccesso di
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anticorpo che non si è legato e aggiungiamo poi il campione biologico. Supponiamo anche qui che il siero del paziente
ha l’antigene che noi stiamo cercando. Questo antigene sarà quindi riconosciuto dalla porzione variabile dell’anticorpo
che abbiamo attaccato al fondo del pozzetto. Si effettua nuovamente un lavaggio perché abbiamo aggiunto un
campione biologico contenente anche proteine che non ci interessano. A questo punto la rivelazione richiede anche qui
l’uso di un anticorpo secondario il quale è disegnato in modo tale da riconoscere lo stesso antigene (ma riconosce un
diverso epitopo). L’anticorpo secondario è coniugato anche lui con un enzima pertanto in condizioni ideali l’antigene è
presente e questo viene legato da entrambi gli anticorpi (primario e secondario->struttura a sendwich). Per terminare
anche in questo caso viene aggiunto il substrato cromogenico e se si è formato il sandwich si avrà l’attivazione
dell’enzima e la variazione di colore. (anche qui si può fare analisi qualitativa e quantitativa)
L’ELISA COMPETITIVO -> la colorazione è inversamente proporzionale alla quantità di antigene; quello che mi rimane
nel pozzetto è l’eccesso rispetto quello che ho lavato via. Viene usato quando vogliamo dosare una quantità di antigene
che è abbastanza bassa quindi viene usato quando vogliamo riconoscere qualcosa che è presente in quantità molto
basse. In questo caso partiamo dal campione in cui vogliamo valutare l’antigene e lo pre-incubiamo con l’anticorpo, in
questo modo l’anticorpo riuscirà a riconoscere tra i vari antigeni quello specifico (incubiamo quindi l’antigene
sconosciuto con una quantità di anticorpo nota e in eccesso). Questa miscela poi verrà aggiunta nel micro-pozzetto
riempito con quel determinato antigene che dobbiamo misurare. Si effettua un primo lavaggio che permette di eliminare
la parte di anticorpi che avevano già legato in precedenza l’antigene. Si aggiunge un anticorpo secondario sempre
collegato all’enzima e se siamo in condizioni ideali quando noi aggiungiamo il substrato il bozzetto passa da blu a giallo.
Il giallo in realtà è un giallino in quanto maggiore sarà la quantità di antigene nel campione minore sarà la quantità di
anticorpo libero disponibile per andarsi a legare al pozzetto che avevamo ricoperto con l’antigene.
Dopo aver fatto l’elisa per poter fare un test quantitativo misuriamo l’assorbanza. L’assorbanza viene misurata a 450nm
(nella maggior parte dei kit). Anche in questo caso è necessario costruire una curva di taratura->nei pozzetti (vedi 1) si
vanno a mettere delle concentrazioni note e crescenti di anticorpo o di antigene. Negli altri pozzetti si mettono i
campioni ignoti e si vanno a leggere i valori di assorbanza. Grazie alla curva di taratura attraverso un’interpolazione della
retta è possibile determinare la concentrazione del campione.

Test ELISPOT è una tecnica sia qualitativa che quantitativa. È un test che viene utilizzato per identificare e determinare
quantitativamente una determinata popolazione cellulare che secerne un particolare tipo di citochina.

Per quanto riguarda il meccanismo della tecnica inizialmente abbiamo un pozzetto che andiamo a riempire con
l’anticorpo che riconosce quella specifica citochina. In questo caso aggiungiamo poi il campione biologico che è una
miscela di popolazioni (S che ci aspettiamo riconosca la citochina e NS che rappresenta cellule che per loro natura non
producono quella citochina). Si fa avvenire un’incubazione a 37° e nella condizione ottimale in cui il campione contiene
quella citochina, la cellula produce quella determinata citochina che va a legarsi all’anticorpo specifico presente sul
fondo del pozzetto. Si fanno sempre i lavaggi che servono per rimuovere l’aspecifico ossia ciò che non si è legato
all’anticorpo e si aggiunge anche l’anticorpo secondario marcato. Se avviene il legame con l’antigene legato al primario
si ha una precipitazione che da come risultato finale la presenza di diverse macchie colorate nel micro-pozzetto. -
>questo indica che nella popolazione di partenza esistono delle cellule che stanno producendo una determinata
citochina (analisi qualitativa) e alla fine contando le macchie generate possiamo avere una stima quantitativadelle cellule
contenute nel campione.

WESTERNBLOT è una tecnica qualitativa. La differenza tra i due metodi sta nel modo di lettura o meglio nell’elisa si
analizza la variazione di colore attraverso una misura allo spettrofotometro ma in questo caso potrebbe esserci qualcosa
di aspecifico infatti l’anticorpo potrebbe catturare qualcosa che per mimetismo molecolare assomiglia alla spike protein
ma non lo è (vedo comunque giallo anche se c’è legato qualcosa di sbagliato). Nel western blott invece so che la spike
protein pesa 30kDalton pertanto posso differenziare ciò che è aspecifico dalla mia spike protein.

Permette di identificare delle proteine in un campione. Quello che viene fatto in western blot consiste di tre fasi: corsa
elettroforetica (1*), trasferimento su membrana di nitrocellulosa (2*) e vero e proprio western blot. Noi stiamo
cercando la proteina X ma abbiamo già a disposizione l’anticorpo che la riconosce pertanto la fase successiva dopo il
trasferimento sulla membrana di nitrocellulosa è l’immunoblotting -> avviene usando un’Ac che riconosce la proteina e
che allo stesso tempo è legato a un marcatore enzimatico o attraverso l’uso di un Ac secondario che è marcato. 

(1*) L’elettroforesi permette di separare le proteine in presenza di un campo elettrico. ->Non tutte le proteine hanno la
stessa carica pertanto esiste un escamotage ossia si usa l’elettoforesi SDS chiamata così in quando nel gel viene
aggiunto sodio-dodecil-solfato che ha due ruoli: conferisce a tutte le proteine la carica e permette di denaturare le
proteine. Cosi facendo abbiamo azzerato qualsiasi differenza inerente sia a carica che a struttura pertanto le proteine
migreranno solo in base alle loro dimensioni. 

(2*) trasferimento su membrana di nitrocellulosa: Le proteine che sono migrate nel gel vengono trasferite fisicamente
su un foglio di nitrocellulosa sfruttando una differenza di potenziale elettrico. (noi abbiamo reso tutte le proteine negative
quindi se applichiamo un campo elettrico queste si spostano verso il polo positivo).
Il foglio di nitrocellulosa viene poi incubato con l’anticorpo primario o già marcato con l’enzima o incubato prima con un
primario e poi con un secondario e alla fine anche in questo caso viene aggiunto un substrato che verrà tagliato
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dall’enzima coniugato all’anticorpo e questo permetterà la formazione di una BANDA. Qui per capire la dimensione del
mio campione (proteina) uso una miscela di proteine con dimensione nota.

Immunoprecipitazione: Poniamo di essere nella situazione in cui vogliamo isolare l’antigene, abbiamo bisogno di
prendere questa proteina per fare altro. Una metodica che si può usare è la seguente e questa tecnica permette di
concentrare una miscela iniziale contenente l’antigene. - >concentrando la miscela concentriamo la proteina di interesse
Noi siamo partiti da una cellula che è stata lisata, sono stati estratte tutte le proteine e tra queste noi vogliamo solo la
proteina A. per ottenere solo la proteina A si mette nel campione l’anticorpo che si sa già che riconoscerà la proteina A
che io voglio concentrare. Si aggiunge poi un anticorpo secondario che legherà la porzione costante di quello primario->
in questo caso non lo abbiamo coniugato con un enzima che fa avvenire una reazione colorimetrica ma l’enzima è legato
a biglie magnetiche! Il magnete sostanzialmente viene posto vicino al tubo, questo attira le biglie verso di se pertanto
sarà possibile eliminare tutto quello che non mi interessa e mantenere la proteina A di mio interesse.

Immunofluorescenza: permette di capire che tipo di cellule abbiamo, che tipo di antigeni sono presenti a livello di un
tessuto e permette di studiare la presenza di una determinata proteina sia partendo da una sezione di tessuto sia
partendo da cellule in sospensione ->citofluorimetria : permette di legare ad alcuni anticorpi delle sostanze fluorescenti
senza alterarne la capacità di legarsi agli antigeni. Il citofluorimetro è un grosso strumento che presenta un piccolo
tubo che consente di aspirare il liquido presente all’interno del tubo. Nel tubo abbiamo cellule disposte casualmente
(alcune magari si sono depositate sul fondo) ma grazie alla presenza dell’iniettore (tubicino) le cellule vengono disposte
in fila indiana -> questo sistema prende il nome di sistema fluidico. Oltre al sistema fluidico abbiamo il sistema di
eccitazione nel quale abbiamo un laser che colpirà ciascuna singola cellula e poi c’è un sistema di rivelazione.
Fondamentalmente noi possiamo prendere una sospensione cellulare, non colorarla con nessun anticorpo e guardarla al
citofluorimetro perché la prima analisi che lo strumento ci permette di fare è valutare le dimensioni delle diverse cellule e
la complessità cellulare grazie all’uso di due parametri: FSC per valutare le dimensioni, SSC per valutare la complessità.
Le cellule vengono passate nel tubo, vengono poi colpite dai due laser che vanno a valutare i due parametri. Gli
anticorpi in questo caso centrano perché le cellule del SI esprimono CD (glicoproteine di membrana)->CD4 identifica Th
mentre CD 8 i Tc. È possibile quindi disegnare un anticorpo in grado di riconoscere in modo univoco il CD4 e gli si
attacca nuovamente un fluorocromo. Esistono diversi tipi di fluorocromi che sono in grado di assorbire a una
determinata lunghezza d’onda e di riemettere a lunghezza d’onda superiore. Nel citofluorimetro c’è un sistema di
rilevazione che in base al tipo di fluorocromo usato riesce a catturare la fluorescenza emessa e la converte in un segnale
digitale che permette di capire che tipo di cellula è presente nel campione.

Meccanismo della tecnica: in immunofluorescenza andiamo a prendere l’anticorpo che sappiamo riconoscere quel
determinato antigene e lo coniughiamo con delle molecole fluorescenti (emettono se vengono colpite da una fonte
luminosa). L’immunofluorescenza può essere:
• Diretta-> qui abbiamo un anticorpo che è legato direttamente alla sostanza fluorescente (fluorocromo). Nel metodo
diretto si incuba il vetrino (con le cellule derivanti da tessuto o da sospensione) con l’anticorpo primario che è
direttamente legato al fluorocromo. Il vetrino poi viene posto sotto una fonte luminosa e usano un microscopio apposta
(a fluorescenza) si va a vedere se si è generata la reazione luminosa.(si ha reazione qualora ci sia l’antigene in quel
determinato distretto)
• Indiretta-> qui abbiamo un anticorpo che è legato a un anticorpo secondario al quale è attaccato il fluorocromo.
Nel metodo indiretto il vetrino viene incubato con l’anticorpo primario che non è legato ad un fluorocromo. Solo
l’anticorpo secondario ha legato il fluorocromo pertanto questo va a legare la porzione costante del primario e se si
genera questo complesso si ha una reazione luminosa. Questo metodo ha diversi vantaggi tra cui il fatto che in questo
caso si ha un aumento della fluorescenza perché abbiamo più molecole di anticorpo secondario che possono legarsi al
primario.
La stessa metodica come abbiamo detto può essere applicata anche alla citofluorimetria. La citofluorimetria permette di
fare diagnosi in ambito clinico infatti permette di:
- studiare la presenza di un determinato fenotipo cellulare in una sospensione cellulare

- Valutare se ci sono delle cellule normali o non

- Studi sul ciclo cellulare 


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I trapianti
Il SI è implicato anche nel rigetto dei trapianti d’organo in quanto il SI (soprattutto l’immunità adattativa) impara da subito
prima ancora di andare in circolo a distinguere il self dal non self.(i linfociti B e T escono in periferia solo se NON
riconoscono il self e quindi anche i tessuti appartenenti ad altri soggetti). Se da un punto di vista morfologico gli organi
e i tessuti dei vari soggetti sono identici in realtà da un punto di vista molecolare ci sono delle molecole sicuramente
diverse tra i diversi soggetti e questi sono gli antigeni riconosciuti nei trapianti.
Esistono 4 tipi di trapianto diversi:

1. Autotrapianto -> trasferimento di un tessuto/organo da un punto all’altro dello STESSO soggetto. In un


autotrapianto non ci sarà rigetto perché si tratta sempre di uno dei tessuti del soggetto. (es: midollo osseo, cute e
vasi)

2. Iso-trapianto -> trasferimento di un tessuto da un soggetto all’altro ma i due soggetti ossia il donatore e il
ricevente sono gemelli monozigoti pertanto hanno lo stesso DNA. Anche qui il SI non da rigetto perché da un
punto di vista molecolare le molecole saranno identiche (nell’uomo avviene solo nei gemelli monozigoti mentre
negli animali questo tipo di trapianto può avvenire tra animali singenici ossia animali dello stesso ceppo che
condividono lo stesso DNA)

3. Allotrapianto -> trasferimento di un tessuto da un soggetto ad un altro della stessa specie. (es: uomo-uomo)

4. Xenotrapianto -> trapianto tra individui di diverse specie (es: maiale-uomo) 


Allotrapainto
Se io prendo un anticorpo di topo e lo inietto in un uomo questo viene riconosciuto come un antigene ma vediamo cosa
viene riconosciuto nello specifico cosa può stimolare una risposta del SI. La risposta da parte del SI può essere
determinata da diversi tipi di determinanti (ossia degli epitopi):
- Isotipico: identifica l’isotipo (ossia la codina costante) -> se io metto a confronto due anticorpi diversi (come igM e
IgG) che riconoscono lo stesso antigene (parte che lega antigene identica) avranno solo codina differente quindi se io
metto queste due proteina da un topo e le metto in un uomo sarà montata una risposta verso l’isotipo (porzione che
rende differente l’IgG dall’IgM)

- Idiotipico: identificano la parte variabile che riconosce l’antigene. Nell’esempio si hanno due IgG1 pertanto la codina
è esattamente identica mentre cambia il frammento variabile (uno riconosce l’antigene a e l’altro l’antigene B) questo
perché derivano da ricombinazione VDJ diversa e hanno una tasca di legame diversa.

- Allotipico: sono tante piccole posizioni che sono disperse. L’esempio mostra che abbiamo due IgG1 pertanto il
determinante isotipico è identico inoltre entrambe le IgG1 sono dirette verso lo stesso antigene (tasche di legame
uguali) ma QUELLO CHE CAMMBIA è che derivano da CEPPI DI TOPI DIVERSI ossia uno deriva da topi neri e uno da
topi bianchi. ->vedi asticella e asticella ad Y. (le differenze risiedono per esempio in un aa in una determinata posizione
e queste piccole differenze sono date dai polimorfismi) 


Se noi per esempio andiamo a sequenziare il gene che codifica per albumina in 100 soggetti è possibile che esista in
una posizione dell’albumina uno snip pertanto è possibile che il 70% dei soggetti ha una A mentre l’altro 30% ha una B.
(quindi la popolazione può essere stratificata in due due gruppi quelli con polimorfismo in un modo e uno nell’altro).
Questi polimorfismi possono essere silenti oppure possono avere piccole variazioni. I DETERMINANTI ALLOTIPICI
pertanto sono quelle piccole variazioni polimorfiche ci ci sono all’interno di una popolazione. Il determinante allotipico
importante nel rigetto dei trapianti è rappresentato da quelle variazioni presenti a livello del complesso maggiore di
istocompatibilità o MHC.

Gli MHC sono coinvolti nella presentazione dell’antigene ai linfociti T in modo tale da permetterne l’attivazione. Quando
abbiamo studiato HLA abbiamo visto che è una regione altamente polimorfica per questo motivo se andiamo a
sequenziare l’albumina in questa classe divideremo la classe in due gruppi ossia quelli che hanno la A e quelli che hanno
la B, se poi andiamo a sequenziare i geni in questa regione di ogni individuo vediamo che non c’è nessuno di noi che
condivida con altri gli stessi polimorfismi. Ciò che rende quindi diversi i miei organi da quelli di chiunque altro non è
l’albumina ma all’interno dell’HLA ci sono una serie di geni altamente polimorfici. L’altra caratteristica di HLA è che in
questa regione non si ha lo scambio di materiale tra cromatidi fratelli ossia non avviene il crossing-over pertanto esiste 1
possibilità su 4 che venga ereditato tra fratelli la stessa copia (una da madre e una da padre quindi entrambi possono
prendere quello del padre per esempio).
NB -> L’antigene che viene riconosciuto sono principalmente gli MHC che sono codificati dai geni sul locus genico HLA
che è altamente polimorfico ma che non subisce mai crossing over.

Se guardiamo una cellula presentante l’antigene esiste un'altra caratteristica importate che riguarda MHC ossia che tutte
le cellule esprimono simultaneamente tutti i geni questo perché noi abbiamo bisogno di presentare tantissimi peptidi
quindi questo permette di aumentare il numero di vassoietti.

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Alloreattività
Alloreattività DIRETTA: nell’alloreattività i linfociti T NON riconoscono la tasca di legame con dentro il peptide ma
riconoscono gli MHC da un’altra parte che non è la tasca di legame. Questi quindi riconoscono da soli e fuori dalla
tasca di legame gli MHC del donatore come se fossero antigeni e li riconoscono in maniera DIRETTA. Se è vero che gli
MHC sono ciò che differenziano i tessuti dei vari soggetti e se è vero che nell’alloreattività i linfociti T del ricevente
riconoscono direttamente gli MHC allora significa che per capire se esiste la compatibilità tra donatore e ricevente
bisogna andare a vedere i polimorfismi dei vassoietti. -> in questo caso la cellula presentante l’antigene è quella del
donatore ed è quella che viene riconosciuta direttamente dai linfociti T.

Alloreattività INDIRETTA: viene anche qua riconosciuto l’MHC del donatore ma solo DOPO che è stato processato da
una cellula presentante l’antigene del ricevente e presentato su MHC del ricevente. ->l’MHC del donatore viene
frantumato e un pezzo viene messo sui vassoietti del ricevente per poi essere presentato ai linfociti T.

Alloreattività SEMI-DIRETTA: vengono riconosciuti in maniera diretta gli MHC del donatore ma in questo caso questi
si ritrovano sulla cellula presentante l’antigene del ricevente questo perché attraverso un passaggio di micro-
vescicole le cellule per esempio del rene sono in grado di produrre micro-vescicole che vanno a fondersi con le cellule
presentanti l’antigene del ricevente rivestendole di MHC del donatore.
NB. in quella diretta la cellula presentante l’antigene è quella del donatore mentre in quella indiretta e semidiretta la
cellula presentante l’antigene è quella del ricevente. Nella via indiretta vengono processati gli MHC del donatore mentre
in quella semi- diretta il riconoscimento è diretto.

Alloantigeni
Tutti questi allo-antigeni possono stimolare un rigetto e sulla base di quanto intensamente stimolano il SI il rigetto può
essere acuto,cronico o addirittura iper-acuto.
- Antigeni maggiori di istocompatibilità -> in questo caso si ha un rigetto violento e rapido in quanto sono tanti
vassoietti diversi quindi tutti insieme scatenano molto velocemente una reazione (rigetto acuto che avviene nel giro di
ore)
- Antigeni minori di istocompatibilità -> danno rigetti cronici. Si è visto che prendendo due fratelli di sesso opposto
nonostante questi abbiano gli stessi MHC a distanza di anni l’organo viene aggredito in seguito alla presenza sul
cromosoma Y di antigeni che possono montare una risposta. Gli antigeni minori di istocompatibilità possono essere
tutte quelle proteine che sono polimorfiche che possono essere responsabili di un rigetto lento ossia per esempio
l’albumina ha polimorfismo quindi se io prendo un donatore che ha un certo polimorfismo e il ricevente che lo ha
diverso è chiaro che la proteina che viene inserita è diversa (non è detto però che venga montata una risposta)
- Incompatibilità di Gruppi sanguigni ->se io trapianto un organo da un gruppo sanguigno ad un altro avviene subito
una reazione iper-acuta ossia ancora più acuta e rapida di quella acuta

Il fatto che esiste una memoria ci dice che sicuramente quella coinvolta è l’immunità adattativa ossia linfociti B e linfociti
T. per capire se si tratta di una risposta cellulo- mediata (T) o umorale (anticorpi) è possibile fare un primo trapianto di
cute seguito da un secondo trapianto. A questo punto prendo dall’animale che ha già effettuato il rigetto o dei linfociti T
dalla milza oppure il suo siero che conterrà anticorpi. Quello che si fa è trasferire o le cellule o gli anticorpi e poi
effettuare per la prima volta un rigetto-> SOLO se trasferisco i linfociti T e poi faccio il trapianto ottengo un rigetto nel
giro di pochissimo tempo perché sono stati trasferiti gli effettori. (se metto il siero ci mette 14 gg per rigettare il tessuto in
quanto non sono loro quelli implicati nel rigetto).
Ora per capire se si tratta di Th o Tc è possibile fare un esperimento di trapianto iniettando nell’animale degli anticorpi
che possono essere anti-CD8 o anti-CD4. Se metto anti-CD8 blocco l’effetto dei citotossici e vedo se prevengo o meno
il rigetto viceversa mettendo anti-CD4 blocco i Th. Vediamo l’esperimento: in nero è evidenziato il controllo
rappresentato dai topi non trattati e a cui è stato fatto il trapianto di cute normale e che nel giro di 14 gg hanno tutti
rigetto il frammento di cute. Se metto anti- CD8 non succede nulla pertanto significa che i Tc non sono importanti se
viceversa mettiamo un anti-CD4 ossia blocchiamo i Th riusciamo a rallentare il processo di rigetto di trapianto. (se
mettiamo sia anti-CD4 che anti-CD8 la sopravvivenza aumenta notevolmente) ->Sia il Th che i Tc sono importanti perché
gli helper produrranno le giuste citochine per attivare i citotossici pertanto nel rigetto dei trapianti sia i Th che i Tc sono
importanti e fortemente implicati.
Tutte le reazioni immunitarie procedono attraverso due fasi:
1) Fase di Sensibilizzazione-> dal punto di vista sintomatologico in questa fase non succede nulla ma è la fase in cui i
linfociti T vengono stimolati e montano quindi una risposta.
2) Fase Effettrice -> fase in cui i linfociti T dal linfonodo dove sono stati stimolati migrano nel tessuto e lo aggrediscono.

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Esistono tre tipi di rigetti di trapianti che differiscono per velocità di esordio e per meccanismo patogenetico (chi uccide
e rigetta l’organo trapiantato?):
• Iper-acuto -> ci mette poche ore . È un rigetto sempre mediato da anticorpi pre-formati ossia anticorpi già
presenti nel ricevente ancora prima di aver visto l’organo donato. (questo è il motivo per cui si verifica nel giro di
poche ore). Un esempio possono essere gli anticorpi pre-formati potrebbero essere diretti contro antigeni del
gruppo sanguigno diverso dal proprio. Gli anticorpi diretti verso il gruppo sanguigno che non è il nostro si
chiamano ANTICORPI NATURALI ossia degli anticorpi che tutti quanti abbiamo o meglio ciò che abbiamo in
circolo sono ANTICORPI diretti contro gli ANTIGENI di gruppo sanguigno diverso dal nostro. Esistono 4 gruppi
sanguingi ossia A, B, AB e 0. I soggetti di gruppo A hanno nel sangue ANTICORPI anti-B, quelli di gruppo B hanno
antigeni anti-A e cosi via. Se io ricevo un organo o una trasfusione da un soggetto che ha gruppo sanguigno
diverso dal mio per esempio il soggetto ha gruppo sanguigno A e riceve un organo da un soggetto che è B
succede che gli anti-B che il ricevente ha in circolo andranno a creare l’antigene B del donatore creando una
reazione di aggressione. Un altro esempio gli anticorpi pre-formati potrebbero anche essere rivolti verso HLA. E
possibile avere un soggetto iper-acuto con anticorpi già formati diretti contro molecole MHC. Questo è possibile
solo se si ha incontrato un MHC di altre persone durante la vita. Ogni persona avrà MHC diversi ma ognuno
condividerà qualcosa (non tutti i geni sono uguali infatti per esempio un gene può essere uguale a quello di un altro
soggetto). Esiste la possibilità che una donna che ha avuto più parti venga in contatto con gli MHC del bambino
pertanto può essere montata una risposta contro questi e quindi la donna può avere anticorpi pre-formati.


• Acuto-> ci mette giorni/settimane : Nel rigetto acuto si ha un’alloreattività diretta infatti l’MHC del donatore viene
presentato direttamente ai linfociti T del ricevente. ->i linfociti T sono in grado per esempio di andare ad aggredire
il rene perché ricevono l’info nel linfonodo (esistono cellule dendritiche del donatore che stanno nel rene ma che
poi una volta che questo è trapiantato possono migrare fino al linfonodo drenante venendo riconosciuti dai linfociti
per alloreattività ->attivazione dei Tc che vanno nel rene e danno rigetto)


• Cronico -> ci mette mesi/anni . Nel rigetto cronico l’antigene non è un vassoietto (antigene maggiore di
istocompatibilità) ma è un antigene minore di istocompatibilità ossia QUALUNQUE proteina che sia polimorfica tra
donatore e ricevente. In questo caso per necrosi o altre ragioni proteine presenti nell’organo donato arrivano al
linfonodo e vengono processate/presentate dalle cellule del ricevente e poi scatenano una reazione. 


Ciò che differenzia un rigetto iperacuto, acuto e cronico è che: Il rigetto iperacuto NON mediato da citotossici ma da
anticorpi già presenti e inoltre Il rigetto cronico non può essere prevenuto riconoscono antigeni diversi-> MCH (acuto) e
antigeni minori di istocompatibilità (cronico) 


Esistono dei controlli pre-trapianto:


- Gruppo sanguigno ->per prevenire rigetto iper-acuto. Si effettua quindi un controllo del gruppo sanguigno del
donatore e lo si confronta con quelli riceventi

- Tipizzazione tissutale HLA (anticorpi anti-MHC) -> per vedere quali sono gli MHC presenti sull’organo da donare e
nel ricevente. (in questo modo capisco quanti mismatches ci sono tra donatore e ricevente)

- Tipizzazione genomica HLA (tramite PCR) -> si va a sequenziare l’HLA tramite PCR. Questo mi permette di vedere
esattamente la sequenza nucleotidica MA è estremamente preciso per cui segnala delle differenze che potrebbero
non essere rilevanti per il SI.

- Cross-match(incubazione in presenza di complemento di linfociti donatore con siero ricevente) -> serve per
controllare se sono presenti anticorpi pre-formati diretti contro le cellule del paziente. 


Tipizzazione HLA: test di micro-tossicità


Avendo un donatore e più riceventi voglio capire quali HMC vengono espressi per capire a chi dare l’organo. Per farlo
non solo bisogna conoscere gli MHC ma bisogna anche avere un anticorpo-monoclonale diretto vers ciascun
vassietto MHC.-> es:esiste allele A,B e C quindi io devo avere un anticorpo monoclonale che riconosce e sa
distinguere A1 da A2 da A3 .. che sono i vari polimorfismi presenti nella popolazione 

Vengono prese le cellule (prelievo del sangue perché mi basta che ci siano globuli bianchi che esprimono vassoietti) e
si incubano in due pizzetti separati sia le cellule del donatore che quelle del ricevente con gli anticorpi allele-specifici.
In un caso nell’immagine abbiamo anticorpi diretti contro l’allele A (MHCII) ma in parallelo a questo ne avremo altri. In
questo caso se è presente l’allele 2 l’anticorpo si lega. Nel secondo caso c’è l’allele 1 pertanto l’anticorpo non si può
legare. Vengono effettuati dei lavaggi in modo tale che nel caso a l’anticorpo rimanga legato all’antigene mentre nel
caso b no. Ora si aggiunge il complemento che quando vede una codina si attiva dando buchi sulla superficie della
cellula (solo in a). per sapere se queste cellule hanno i buchi sulla superficie vengono messe a contatto con trypan
blue (colorante vitale). Questo colorante in realtà è in grado di penetrare in tutte le cellule ma quelle vive possiedono

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una pompa che lo fa uscire mentre quelle forate rimangono blu non essendo più vitali. ->una cellula che diventa blu

era una cellula che esprimeva sulla superficie l’antigene di mio interesse.

Risultati: in alcuni pozzetti non c’è stato colore ossia le cellule non sono morte mentre altri pozzetti sono diventati blu.
Posto che il ricevente ha l’allele valutato in 1 e 7, il donatore 1 esprime 1 e 7 quindi esprime esattamente gli stessi
vassoietti del ricevente mentre il donatore 2 ha diversi mismatches pertanto esprimerà cose diverse rispetto al ricevente.

Questo test è rapido ed è un test che si può fare anche da cadavere. Questo test però funziona contro alleli che sono
noti infatti per poterlo fare sono necessari anticorpi monoclonali in grado di distinguere tra diversi alleli quindi lo si può
fare per gli alleli maggiori di istocompatibilità MA NON per quelli minori pertanto con questo sistema è possibile
difendersi dal rigetto acuto ma non da quello cronico

Tipizzazione MHC: reazione mista linfocitaria


È una reazione utile per proteggersi dal rigetto cronico. In questo caso stiamo parlando di un antigene minore di
istocompatibilità che quindi è SCONOSCIUTO. ->io voglio vedere se c’è (non mi interessa sapere di cosa si tratta)
pertanto la domanda è: se io metto assieme le cellule di donatore e ricevente c’è qualcosa sulle cellule del donatore che
stimola il SI del ricevente?

Per farlo prendo le cellule di ricevente e donatore e le mescolo assieme per vedere se le cellule del donatore stimolano i
linfociti del ricevente. La prima cosa che facciamo è prendere le cellule del donatore e irradiarle questo perché non
vogliamo che le cellule del donatore proliferino (a differenza di quelle del ricevente). A questo punto vengono aggiunte le
cellule di due riceventi per esempio e si aspettano 3 settimane. Se dopo 3 settimane non c’è stata alcuna proliferazione
da parte delle cellule del ricevente significa che il donatore non ha alcun antigene minore di istocompatibilità che possa
essere presentato e dare problemi viceversa se dopo 3 settimane le cellule del ricevente hanno proliferato significa che
era presente qualcosa nelle cellule del donatore che hanno stimolato quelle del ricevente.

Questo metodo è LENTO inoltre da cadavere non è possibile mentre può essere fatto sempre tra fratelli.

Cross-match
Quando io voglio trasferire un organo da donatore a ricevente devo anche controllare che nel ricevente non ci siano
anticorpi diretti contro il tessuto donato. In questa reazione si mescolano il siero del ricevente con le cellule del donatore
per vedere se il ricevente ha anticorpi che possano cross-reagire (classica situazione di un rigetto iper- acuto)

Immunopatologia
L’immunopatologia si sviluppa quando il sistema immunitario fallisce il suo compito. Esistono tre diversi di malattie che
possono insorgere quando il SI sbaglia:
• Immunodeficienze in cui il SI o NON funziona per niente o funziona molto poco.

• Malattie autoimmuni in cui il SI funziona bene ma si sbaglia nel tipo di antigene 



riconosciuto e aggredisce i tessuti del nostro organismo -> aggredisce il SELF.

• Ipersensibilità in cui il SI funziona bene ma riconosce qualcosa che NON è un 



patogeno. 


Le malattie autoimmuni
Sono classificate in :

-  Organo specifiche -> antigene espresso solo da un certo tipo di tessuto.


- Sistemiche -> antigene espresso ubiquitariamente nei tessuti.
Noi in realtà usiamo la classificazione basata sul fatto che il danno sia mediato da: Linfociti B (quindi da anticorpi) e
Linfociti T. 


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Le malattie autoimmuni mediate da anticorpi sono malattie in cui è sufficiente quell’anticorpo per dare la malattia e
possono essere distinte in varie tipologie:

- Mediate da anticorpi citotossici :

I citotossici sono anticorpi che hanno come codina M o G quindi sono solo IgM o solo IgG in grado di attivare il
complemento portando alla morte della cellula. Un esempio è la malattia citopenia autoimmune -> su base
autoimmune si ha una carenza di qualche linea cellulare in particolare nell’anemia emolitica si ha la carenza di cellule
del sangue o meglio dei globuli rossi (i Tc riconoscono Ag espressi dal globulo rosso e attivano il complemento portando
alla morte di queste cellule->si ha carenza). Oltre a questa esistono anche trombocitopenia e neutropenia a seconda che
l’antigene sia sulle piastrine oppure sui neutrofili.

Un altro esempio è sindrome di Goodpasture -> anche in questo caso si hanno Tc che vanno a uccidere qualche
cellula ma in questo caso riconoscono l’antigene presente sulla membrana basale di reni e polmoni è una malattia
organo-specifica.

- Mediate da immunocomplessi:

L’immunocpompleso può aumentare a dismisura fino al raggiungimento della formazione di un reticolo che precipita. Se
il reticolo si forma in vivo si ha il precipitato di questo immunocomplesso ma se il complesso sedimenta sui vasi sulla
superficie di questi ultimi saranno presenti delle codine di anticorpi. Avere anticorpi che scorrono nel sangue non
rappresenta un problema ma avere un anticorpo fisso sulla superficie del vaso immediatamente il complemento e i
neutrofili riconoscono la codina e si ha l’innesco del processo infiammatorio. È normale formare un po’ di
immunocomplessi ma se se ne formano troppi e diventano troppo grossi questi sedimentano in posti dove non devono
stare scatenando processi infiammatori dove non devono.

Un esempio è il Lupus eritematoso sistemico: è una malattia sistemica in quanto gli immunocomplessi possono
sedimentare dove vogliono anche se in realtà sedimentano in alcuni tessuti più favorevoli all’immunoprecipitazione. In
questa malattia possono essere riconosciuti diversi antigeni che sono: anticorpi che riconoscono il DNA, istoni o
fosfolipidi. Qualora DNA,istoni e fosfolipidi formassero immunocomplessi che non vengono degradati bene tendono a
sedimentare e sedimentano a livello del rene (sulla membrana basale del glomerulo) scatenando glomerulonefrite (che è
la sintomatologia più grave del lupus) oppure può coinvolgere la cute dove si può avere la formazione di
immunocomplessi che scatenano processi infiammatori come l’eritema a farfalla che si forma ridosso della piramide
nasale. (arrossameto dovuto a immunocomplessi che sono sedimentati a livello cutaneo e che hanno scatenato
localmente un processo infiammatorio). Gli immunocomplessi oltre a sedimentare a livello di rene e cute possono
sedimentare anche a livello del SNC associandosi a quadri depressivi importanti.

- Mediate da anticorpi agonisti


Un anticorpo agonista è una molecola che lega un recettore e fa finta di essere il suo ligando. Facciamo finta che si tratti
di un fattore di crescita, questo lega il suo recettore dicendo alla cellula di proliferare. Un agonista è in grado di legare lo
stesso recettore e dire alla cellula di proliferare (fa esattamente come farebbe il ligando).
Un esempio è il Morbo di grave’s è una condizione di iper-tiroidismo mediata da anticorpi agonisti. A destra abbiamo la
situazione patologica mentre a sinistra quella fisiologica. Ci troviamo a livello della tiroide nella quale le cellule tiroidee
sono deputate a scernere T3 e T4 che sono gli ormoni tiroidei implicati nel metabolismo. Queste producono questi
ormoni in risposta ad un altro ormone che è TSH che viene secreto dall’ipofisi. Il TSH è in grado di legare il suo recettore
sulla superficie del tirocita e gli dice di secernere T3 e T4. Quando i livelli di T3 e T4 sono normali si ha un controllo a
feedback negativo che va ad agire sull’ipofisi bloccando la produzione di TSH. Nel morbo di grave’s vengono prodotti
anticorpi agonisti che legano come antigene il recettore del TSH ed essendo agonisti fanno finta di essere TSH e
funzionano continuando a stimolare le cellule della tiroide a produrre T3 e T4. Per curare questa malattia non può essere
usata la plasmaferesi perché questa un sistema per cui è possibile purificare il sangue di una persona dagli anticorpi in
modo tale che questi non vadano più a legare il recettore. ->questo NON funziona perché finché c’è la fabbrica di
produzione degli anticorpi questi continuano ad essere prodotti.

- Mediate da anticorpi antagonisti


Un anticorpo antagonista lega lo stesso recettore MA da il segnale opposto a quello che darebbe normalmente il reale
ligando del recettore (ad esempio per il recettore di crescita normalmente il ligando lega il suo recettore e dice alla
cellula di proliferare mentre l’anticorpo antagonista lega il recettore e dice alla cellula di NON proliferare)- >l’anticorpo
antagonista BLOCCA il segnale che il ligando fisiologico avrebbe.
Un esempio è la miastenia grave: miastenia significa affaticamento muscolare ossia una difficoltà di contrazione da
parte dei muscoli. Nell’immagine a sinistra abbiamo una placca neuro-muscolare normale nella quale quando arriva
l’impulso nervoso a livello delle sinapsi di ha il rilascio di acetil-colina che va a legare il suo recettore specifico sulla
superficie del muscolo che trasduce come messaggio di fare la contrazione. Nella miastenia grave invece il soggetto
produce degli auto-anticorpi diretti contro il recettore dell’acetilcolina. Questi anticorpi sono antagonisti pertanto legano
il recettore come farebbe l’acetil-colina MA trasducono il segnale contrario. ->bloccano il segnale mediato dal mediatore
fisiologico questo perché il recettore dell’acetil-colina è occupato da un anticorpo antagonista
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- Mediate da linfociti T

Le malattie autoimmuni mediate da linfociti T sono malattie autoimmuni in cui avremo dei linfociti Th che sostengono
l’azione di Tc che riconoscono qualche tessuto.

Un esempio è il diabete mellito di tipo 1 che è una malattia in cui l’antigene riconosciuto è la cellula beta pancreatica. A
sinistra abbiamo una sezione istologica di pancreas con una componente esocrina ed una endocrina (isola di
langherans) dentro cui sono presenti cellule alfa e cellule beta che producono glucagone (alfa) e insulina (beta) e
controllano i livelli di glucosio nel sangue. Il bersaglio del diabete di tipo 1 è la cellula beta ossia quella che produce
insulina. L’isola di langherans appare pienissima d puntini piccolini che non sono altro che linfociti T che stanno
infiltrando l’isola di langherans per distruggere le cellule beta. Noi nel pancreas abbiamo una riserva di cellule beta nel
pancreas piuttosto elevata quindi è difficile accorgersi che queste vengono distrutte! Ce ne si accorge quando le cellule
beta rimaste sono circa il 20% e quindi non si riesce più a produrre la giusta quantità di insulina per ridurre i livelli di
glucosio->coma iper-glicemico. Il problema di avere il glucosio alto nel sangue è che il glucosio tende ad appiccicarsi
con delle reazioni aspecifiche a qualsiasi proteina (glicazione) pertanto le proteine a cui si lega non funzionano più come
dovrebbero e quindi l’effetto a lunga distanza è che tante proteine (principalmente quelle dei vasi sangguingi) saranno
alterate pertanto si avranno problematiche non soltanto legate a glicemia ma anche alla modificazione indotta dal
glucosio. In questa malattia aiutoimmune quindi i linfociti Tc aggrediscono le cellule beta del pancreas riconoscendo,
presentati su MHC I peptidi che sono tipici delle cellule beta.
Un altro esempio è la sclerosi multipla che è una malattia neurodegenerativa che insorge nel giovane adulto. L’antigene
che viene riconosciuto è un antigene della guaina mielinica quindi quel tessuto che ricopre l’assone dei nervi e che è
estremamente importante nella protezione del nervo, nutrire il nervo (funzione trofica) e nella conduzione saltatoria.
Distruggere la guaina mielinica fa si che l’assone tende a morire più velocemente, che non è nutrito adeguatamente e
che lo stimolo non passa. Nella sclerosi multipla i linfociti T citotossici infiltrano il SNC, riconoscono gli antigeni della
guaina mielinica e la aggrediscono. Una fibra nervosa è composta da numerosi assoni pertanto il fatto di aggredire
alcuni di questi assoni non si traduce immediatamente nella perdita dell’assone stesso (non vedo più da un occhio ma
dopo 3 settimane torna tutto a posto)-> questo perché 3 settimane è la normale risposta immunologica. Il problema è
che la tendenza a formare linfociti che aggrediscono la guaina mielinica fa si che vengano aggrediti di versi nervi
(ottico,sensitivo,motorio ecc) e man mano che si subiscono queste aggressioni viene perso materiale. Questa malattia
viene definita recidivante remittente (crisi-recupero-crisi-recupero) ma ad un certo punto si arriva ad avere un recupero
che non è più funzionale in quanto è stato distrutto un numero alto di assoni per cui non si riesce più a recuperare.

- Mediata sia da linfociti B che linfociti T


Un’esempio è la Tiroidite di Hashimoto che è una malattia autoimmune mediata SIA da CELLULE che da ANTICORPI o
meglio tutti e due possono essere patogenetici. Questa è la malattia autoimmune più frequente perché la colloide che
sta nella tiroide non viene MAI vista dal SI ameno ché non ci sia qualche lesione.

Alcune malattie autoimmuni sono:

- L’artrite reumatoide : è una malattia autoimmune in cui l’aggressione è a carico delle articolazioni e in particolare
della membrana sinoviale delle articolazioni. (in genere riguarda articolazioni di mani e piedi). La membrana sinoviale
(data da un mono strato di fibroblasti sinoviali) incapsula le due estremità ossee e produce liquido sinoviale che fa da
lubrificante tale per cui solitamente l’articolazione non è dolente. Nell’artrite reumatoide vengono richiamati linfociti T e
B che portano alla formazione di un edema (articolazione dolente) inoltre il processo infiammatorio che si genera attiva
gli osteoclasti che vanno ad aggredire la cartilagine prima e l’osso dopo dando un’erosione ossea con deformità.
- Psoriasi : è una malattia tra autoimmune e infiammatoria cronica. In realtà si considera malattia autoimmune la
manifestazione articolare associata alla psoriasi. Anche in questo caso non si conosce qual è il primo movens.

Un ruolo importante per la genesi di psoriasi ed artriti è da attribuire al microbiota intestinale nel senso che esistono dei
microbioti che sono considerati associati per composizione a queste malattie autoimmuni perché il microbiota intestinale
non è dato solo da batteri inerti ma questi hanno un ruolo molto importante nell’educare il SI. Il microbiota si distingue in
eubiotico e disbiotico, quello eubiotico è quello associato a condizioni di salute che in genere è associato alla varietà
batterica (più batteri differenti abbiamo meglio stiamo) mentre quello disbiotico ha una diversità ridotta.
- Malattia infiammatoria intestinale che racchiude due malattie autoimmuni a carico dell’intestino: colite ulcerosa e
Morbo di Chron. Queste riguardano entrambe l’intestino ma hanno meccanismi patogenetici differenti. Si è
dimostrata la relazione tra disbiosi del microbiota e l’insorgenza di queste malattie.

Eziologia delle malattie autoimmuni


Perché ad alcuni vengono queste malattie e ad altri no? Normalmente l’autore attività è un fenomeno normale che si
riscontra in seguito al fatto che la ricombinazione VDJ è totalmente casuale per cui la tasca di legame può legare
qualsiasi cosa compreso il self, proprio per questo si ha la selezione negativa nella quale vengono uccisi tutti i linfociti T

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e B auto-reattivi. La selezione negativa NON prevede la possibilità di esprimere TUTTE le proteine che un organismo ha
in circolo ma maggiormente vengono espresse quelle ubiquitarie. Esistono però un sacco di proteine non espresse e
verso cui non è possibile attuare la tolleranza centrale (tolleranza che viene generata a livello dell’organo linfatico
primario durante la selezione). -> Tutti noi quindi abbiamo in periferia linfociti autoreattivi. Per evitare che questi linfociti
che abbiamo in periferia inizino una malattia autoimmune esiste la tolleranza periferica.

- Tolleranza centrale: selezione negativa che uccide la maggior parte di linfociti autoreattivi

- Tolleranza periferica: anche se io ho linfociti autoreattivi in circolo questa non li rende attivi verso i nostri tessuti. Per
attivare un linfocita T è necessario che questo riceva due segnali uno mediato dal TCR che lega il peptide presentato
su MHC mentre l’altro mediato dalle due molecole co-stimolatorie CD28 e B7. Il linfocita auto-reattivo ha un TCR
capace di riconosce l’autoantigene ma questo si trova in una condizione PRIVA di infiammazione il che significa che le
cellule presentanti l’antigene non sono attivate e non hanno in membrana il B7. (questa cellula riceve il segnale 1 ma
non il 2 pertanto va incontro a morte). ->il fatto di dover ricevere 2 segnali è un meccanismo di controllo dei linfociti T
per cui quelli periferici autoreattivi non ricevendo il segnale 2 muoiono. Per capire il motivo per cui ad alcuni soggetti
vengono malattie autoimmuni e ad altri no si può fare riferimento a modelli animali.

L’eziologia delle malattie autoimmuni è controllata da due componenti:

•  Componente genetica
- Sesso: e donne sviluppano malattie autoimmuni con frequenza estremamente maggiore rispetto agli uomini. Fa
eccezione un'unica malattia autoimmune ossia la spondilite anchilosante che è unica dell’uomo. La teoria più
accreditata per spiegare il fatto che le donne siano più predisposte all’avere malattie autoimmuni è quella riguardante
l’assetto ormonale. Gli ormoni controllano la polarizzazione dei linfociti Th e ovviamente gli ormoni maschili e femminili
sono diversi. Gli ormoni sono in grado di spostare il Th da una condizione anti- infiammatoria (Th2) ad una pro-
infiammatoria (Th1). Le donne che hanno la sclerosi multipla a intervalli più o meno regolari hanno delle crisi, questo
succede sempre TRANNE quando sono gravide. Fisiologicamente l’assetto ormonale cambia drasticamente
polarizzando il SI verso una condizione anti-infiammatoria quindi queste non hanno MAI crisi in gravidanza. Appena
però partoriscono c’è un cambio ormonale istantaneo associato direttamente a una crisi.
- Molecole MHC o alleli HLA: ognuno di noi esprime diversi MHC allora esistono vassoietti che presentano bene gli
auto-antigeni ed altri che invece li presentano male. Quando parliamo di HLA parliamo del vassoietto che, nel caso di
una malattia autoimmune, presenta l’auto-antigene. Facciamo finta che il triangolino rosso dell’immagine sia il peptide
diabetogenico ossia quel pezzetto di insulina in grado di scatenare un diabete di tipo1. Se io ho DR4 sono
predisposto a sviluppare il diabete di tipo 1 in quanto la tasca di legame di DR4 è proprio fatta a triangolino e quindi
non è detto che se si ha DR4 si sviluppa il diabete (non è detto che ci sia linfocita autoreattivo e le giuste condizioni)
ma si ha un vassoietto che è preciso per cui se per caso si creassero le situazioni l’individuo con DR4 è predisposto a
sviluppare la malattia. DR4 è detto allele predisponente perché favorisce lo sviluppo della malattia. Viceversa avere
DR1 (che non ha la forma a triangolino) non predispone ad avere la malattia nemmeno se si ha un linfocita
autoreattivo in circolo. Molto più complicato da capire è l’allele protettivo come DR2. Se si ha DR2 NON si avrà MAI la
possibilità di avere il diabete di tipo 1 questo perché la forma del DR2 è fatta in modo tale che anche se non c’è il
peptide diabetogenico riesce comunque a stimolare un TCR capace di riconoscere il peptide diabetogenico. Il motivo
per cui noi in periferia abbiamo dei linfociti T auto-reattivi contro il triangolino rosso è che questo nel timo non è
espresso pertanto contro questi linfociti T non è possibile fare selezione negativa. Se però si ha la fortuna di essere
DR2 anche nel timo dove non c’è il triangolino rosso, è possibile fare selezione negativa. ->avere quindi un HLA
protettivo vuol dire avere una tasca di legame in grado di fare selezione negativa anche in assenza di antigeni.

•  Componente ambientale (dipende dallo stile di vita)

- Infezioni virali: l background genetico è uguale ma una determinata infezione virale può creare il presupposto per lo
sviluppo di una malattia. Spesso le malattie autoimmuni si manifestano la prima volta 1 mese dopo aver avuto
un’infezione virale. (sclerosi multipla dopo il morbillo). Questo può avvenire attraverso 3 diversi meccanismi:
mimetismo molecolare, liberazione di antigeni sequestrati o innesco. Il mimetismo molecolare Arriva un virus
(pallino verde) che viene riconosciuto dal linfocita T rosa. Questo linfocita inizierà a proliferare facendo tanti linfociti
tutti uguali (tutti con un TCR capace di riconoscere il virus) e distruggerà il virus. I linfociti di mestiere dopo 3
settimane dalla loro proliferazione dovrebbero morire MA se non sono ancora passate 3 settimane loro continuano a
gironzolare alla ricerca di pallino verde. Se da qualche parte dei nostri tessuti ci sono delle proteine che da un punto di
vista molecolare assomigliano al virus (pallino verde) allora i linfociti possono per SBAGLIO riconoscerlo. Il mimetismo
molecolare è quel processo per cui ci sono alcune proteine virali che assomigliano da un punto di vista molecolare
alle nostre proteine. (proteina P3 del morbillo assomiglia alla proteina basica della sclerosi multipla) Il modello murino
ha permesso di dimostrare che serve un’infezione virale per poter scatenare una malattia autoimmune. La
liberazione di antigeni sequestrati nell’immagine abbiamo rappresentata un’infezione a carico della tiroide. Il virus
entra nella cellula bersaglio e la distrugge per necrosi in modo tale da liberare nuovi virioni. Un antigene che prima non
era visibile in quanto sequestrato all’interno di questo tessuto come conseguenza dell’infezione virale diventa visibile.
->si ha liberazione di antigeni che prima erano sequestrati e che quindi NON venivano a contatto con il SI per cui se
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ho un linfocita auto-reattivo in circolo questi possono riconoscere tali antigeni. Nell’innesco dell’infiammazione Le
molecole co-stimolatorie sono espresse solo quando il contesto è infiammato pertanto un virus porta con se un carico
infiammatorio quindi nel contesto di dove c’è l’infiammazione stimola la produzione di citochine pro-infiammatorie che
a livello di cellula presentante l’antigene attivano il macrofago e gli fanno aumentare i livelli in membrana di vassoietti
ed anche di molecole B7. ->in questo modo vengono attivati entrambi i segnali pertanto si ha l’attivazione del linfocita
auto-reattivo con l’innesco del processo.

Modelli sperimentali di malattie autoimmuni nell’animale


Esistono topi che sono in grado di riprodurre malattie autoimmuni presenti anche nell’uomo.
1) Esistono dei topi in cui si ha lo sviluppo spontaneo di malattie autoimmuni-> dopo 8 settimane questi sviluppano la
malattia perché geneticamente sono un ceppo predisposto a sviluppare una determinata malattia. Questi hanno alcune
mutazioni nei loro geni che inducono questi topi a sviluppare la malattia.
Questo fa capire che gli individui che manifestano malattie autoimmuni hanno qualcosa nel loro DNA che li predispone a
sviluppare la malattia
2) Induzione sperimentale di malattie-> è possibile prendere un topo sano e indurgli la malattia per esempio si può
prendere un antigene della guaina mielinica, metterlo in un contesto infiammato, stimolare ripetutamente il topo fino a
che non si verifica la sclerosi multipla->si rompe la tolleranza periferica del topo ponendolo in un contesto infiammato
pertanto si induce la formazione della malattia.
N.B. -> se faccio la stessa cosa in un topo nero o in uno bianco non ho lo stesso risultato infatti il topo bianco si ammala
ma quello nero no perché il topo nero ha un assetto genetico diverso da quello bianco. -> bisogna avere un background
genetico permissivo a quella determinata malattia.

Le ipersensibilità
Abbiamo definito l’ipersensibilità come la condizione in cui il SI (a differenza delle malattie autoimmuni nelle quali viene
riconosciuto un auto-antigene) riconosce un antigene che è ESOGENO ma NON patogeno. Gli antigeni (non patogeni)
che montano le risposte le montano in due step: prima esposizione e seconda esposizione.

Le iper-sensibilità possono essere di 4 differenti tipi. Dire iper-sensbilità o allergia è sinonimo ma normalmente le allergie
sono essenzialmente iper-sensbilità di primo tipo. Esistono 4 diversi gruppi perché come per le malattie autoimmuni
(dove ci sono malattie anticorpo mediate e altre cellulo mediate) anche qui funziona cosi infatti abbiamo che:
- Iper-sensibilità di primo, secondo e terzo tipo: mediate da ANTICORPI
- Iper- sensibilità di quarto tipo: mediate da CELLULE
Esistono di 3 tipi differenti mediate da anticorpi in quanto anche qua abbiamo anticorpi che possono mediare funzioni
diverse. Quelle di secondo e terzo tipo assomigliano ad anticorpi citotossici in cui abbiamo IgM o IgG che sono in grado
di legare il complemento e distruggere un tessuto mentre quelle di terzo tipo sono mediate da degli immunocomplessi
quindi anche qua abbiamo IgG e IgM che però riconoscono antigeni solubili. 

Per quanto riguarda le iper-sensibilità di primo tipo non esiste una situazione equivalente a quella delle malattie
autoimmuni in quanto si tratta di un tipo di iper- sensibilità causato dalla produzione della classe anticorpale IgE. Le IgE
in condizioni FISIOLOGICHE sono mediatori della risposta immunitaria verso parassiti mentre in questo caso le IgE
riconoscono qualcosa di NON patogeno scatenando una reazione. 


Ipersensibilità di primo tipo


Come per tutte le iper-sensibilità si ha una prima fase di sensibilizzazione che dal punto di vista clinico è silente ossia
l’individuo non si accorge di ciò che sta accadendo ma è cosi grave che avrà conseguenze per tutta la vita infatti le
allergie sono condizioni croniche che una volta che il soggetto è sensibilizzato nei confronti di qualcosa è difficile
revertire la situazione. Si parte dal box azzurro che dice che per avere un ‘iper- sensibilità di primo tipo è necessario una
antigene che in questo caso prende il nome di allergene pertanto diciamo che l’antigene NON patogeno in grado di
scatenare un’ipersensibilità di primo tipo è detto allergene. Oltre a questo serve anche un linfocita B in quanto abbiamo
detto che è MEDIATO DA ANTICORPI in particolare le IgE-> per questo non basta avere solo il linfocita B ma serve
anche avere IL-4 (citochina che fa
fare switch isotipico verso IgE). Se io ho il linfocita B con l’anticorpo in membrana, che è capace di riconoscere
l’allergene (polline per esempio) e il linfocita B si trova in presenza di IL4 allora si trasformerà in plasmacellula ed inizierà
a secernere IgE dirette contro il polline. In un’altra condizione se non ci fosse stata IL4 il linfocita B produrrà IgM e poi
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IgG (condizione normale in quanto dalla ricombinazione VDJ si può generare una tasca in grado di riconoscere il polline
ma non c’è IL4). Avere delle IgE in circolo fa si che i mastociti ossia cellule di immunità innata esprimano sulla loro
superficie un recettore che è capace di riconoscere la codina delle IgE. (SOLO LORO SANNO ESPRIMERE QUESTO
RECETTORE).
L’opsonizzazione è quel processo per cui i macrofagi sono capaci di riconoscere gli anticorpi presenti su un batterio
anche quando non hanno i tall-like receptor ma hanno un recettore chiamato Fc-gamma receptor che riconosce le IgG
allora queste rivestono il batterio e lasciano sporgere le codine di IgG che vengono poi riconosciute dai macrofagi
perché hanno dei recettori specifici. I mastociti fanno la stessa cosa ma invece di riconoscere le IgG riconoscono le IgE.
Prendiamo l’esempio del polline, abbiamo un linfocita B con l’anticorpo capace di conoscere il polline in presenza di IL4
pertanto abbiamo prodotto IgE anti-polline che saranno riconosciute dal mastocita ossia l’FC di questi anticorpi verrà
riconosciuto dai mastociti e si legherà alla loro superficie. Il recettore che il mastocita esprime sulla superficie è specifico
con la tasca di legame per l’antigene a disposizione. Le IgE si dice che armano i mastociti perché se si rivestono di
anticorpi questi possono fare finta di essere linfociti B. Avere dei mastociti armati ossia questa prima parte in cui
vengono prodotte le IgE dirette contro il polline e queste rivestono i mastociti indica la fase di SENSIBILIZZAZIONE -
>io non mi accorgo di nulla ma sono stati prodotti anticorpi IgE diretti contro un non patogeno. Questi anticorpi sono IgE
il che significa che questo linfocita B ha fatto switch irreversibile quindi da questo momento in poi ogni volta che
entriamo in contatto con il polline (allergene) succederà che i mastociti armati saranno in grado di riconoscere il polline
come se fossero dei linfociti B e allora il riconoscimento dell’allergene induce la clusterizzazione del recettore ad un
polo della cellula (tutti i recettori si portano a un polo della cellula) e questo è importante perché questo rappresenta il
segnale che induce i mastociti (contenenti granuli con istamina dentro) a de-granulare ossia rilasciare istamina che
rappresenta il mediatore che determina la sintomatologia legata all’allergia.
N.B. -> l’iper-sensibilità di primo tipo è quella mediata da IgE. Questa come tutte le iper- sensibilità si sviluppa in due
tempi, una prima fase clinicamente silente (sensibilizzazione) che coincide con il riconoscimento da parte di un linfocita
B dell’allergene in presenza di IL4. Questo determina switch verso IgE e secrezione di alti livelli di IgE che non staranno
solubili nel plasma ma che andranno a ricoprire i mastociti che sono cellule dell’immunità innata che esprimono recettori
per il FC epsilon. Si dice che le IgE hanno armato i mastociti perché li hanno resi capaci di riconoscere l’allergene. Da
questo momento in poi la condizione diventa cronica perché lo switch verso IgE è irreversibile per cui a ogni ulteriore
contatto con l’allergene i mastociti armati de-granuleranno liberando istamina responsabile della manifestazione clinica.

Il mastocita libera grandi quantità di istamina e questa va a legare i suoi recettori su diversi tipi cellulari che saranno poi
responsabili delle varie manifestazioni cliniche. Un’altra cosa importante è che il linfocita B (responsabile del
riconoscimento dell’allergene) sia accompagnato nella sua attivazione da un Th responsabile della secrezione di IL4
fondamentale per fare switch inoltre l’allergene deve PERFORZA avere una componente proteica questo perché i Th si
attivano solo riconoscendo peptidi presentati da MHC II. In questo caso la cellula presentante l’antigene sarà il linfocita
B pertanto quello che succede è che il linfocita B riconosce l’allergene, internalizza e processa l’allergene presentandolo
a un Th che secerne IL4 che induce il linfocita B a diventare plasmacellula che secerne IgE.
Le manifestazioni cliniche variano a seconda della via di ingresso. La situazione più grave è rappresentata da shock
anafilattico ossia quando l’allergene arriva per via venosa e questo determina un crollo della pressione arteriosa che
può portare anche a morte. Lo shock rappresenta un calo della pressione arteriosa cosi grave che può portare ad
un’insufficienza multi-organo. Questo può essere originato in varie situazioni che però portano tutte ad avere una minor
gittatta cardiaca pertanto gli organi vanno in sofferenza. Uno dei trigger attraverso cui può partire questa condizione è
l’anafilassi ossia una risposta importante a livello sistemico mediata da una iper-sensibilità di primo tipo.

L’eziologia delle malattie autoimmuni è controllata da due componenti:

•   Componente genetica : I fattori genetici sono gli stessi delle malattie auto-immuni. Di importante ritroviamo
l’aplotipo HLA ossia il fatto che esistono vassoietti in grado di presentare molto bene alcune cose e altri che non
presentano bene. -> esistono alcuni alleli come DR2, DR3 e DR5 che presentano molto bene i comuni allergeni
pertanto il fatto di avere questi PREDISPONE a presentare allergia. (non è detto perché comunque devo avere le
giuste condizioni come per esempio avere IL4)
• Fattori ambientali
• Caratteristiche dell’antigene: L’antigene per poter dare un’allergia deve avere diverse caratteristiche:
- Deve avere una componente proteica-> lo switch isotipico prevede che ci sia produzione di IL4 e questa avviene
solo in presenza di una risposta T
- L’antigene deve essere presente in basse dosi-> un allergene funziona bene se è a basse dosi in quanto queste
favoriscono una risposta Th2

- L’antigene deve essere stabile nell’ambiente

- L’antigene deve avere piccole dimensioni e deve essere altamente idrosolubile.

Esistono 3 diversi test che permettono di fare diagnosi di allergie:


- Test cutaneo o pick test : In questo test viene inoculato sotto cute un piccolo quantitativo di allergene con
l’obiettivo di vedere se nell’organismo si ha un mastocita armato. Abbiamo detto che la fase di sensibilizzazione è
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importante in quanto porta ad avere mastociti ricoperti di IgE. Uno degli inoculi riguarda anche istamina pura perché
se il soggetto ha mastociti armati contro qualcuno degli allergeni che viene inoculato, appena viene messo l’allergene
sotto cute questo induce la de-granulazione dei mastociti con liberazione di istamina che andrà ad agire sui suoi
bersagli. (si aspetta mezz’ora dopo l’inoculo per vedere se si sviluppa un ponfo).->l’istamina pura serve come
riferimento perché quella sicuramente dopo mezz’ora da un ponfo di una certa dimensione che poi verrà confrontato
con quelli che si sono formati. N.B. ->se io sono allergico e quindi ho sicuramente IL4 in circolo che sta creando
casino e metto un allergene e per sfortuna si hanno anche linfociti B capaci di riconoscere quello è possibile che
avvenga sensibilizzazione pertanto sarebbe meglio effettuare il test lontano dal momento in cui si svilupperebbe
l’allergia. Il prick test da solo non può essere usato infatti questo deve avere anche una clinica associata (guarda
vantaggi e svantaggi dalla immagine) .
- Test RIST (specifico)

- Test RAST (molto specifico): Sia RIST che RAST valutano le IgE. Con il RIST si vanno a dosare tutte le IgE presenti in
quanto normalmente noi non produciamo IgE (li produciamo a livelli estremamente bassi) pertanto è possibile capire
se si ha un’allergia in corso data da alti livelli di IgE o meno, mentre il RAST va a dosare le IgE allergene-specifico
quindi dice quante IgE si hanno verso un allergene specifico come il polline o la polvere ecc.

Esiste un’immunoterapia dell’ipersensibilità di tipo 1: È possibile de-sensibilizzare un soggetto che si era


sensibilizzato. La maggior parte delle cellule cercano di ripristinare una risposta Th1 a discapito di una risposta Th2, una
di queste modalità è rappresentata dalla vaccinazione. Questa funziona tentando di modulare il SI in modo da spingere
una risposta Th1.-> abbiamo detto che basse dosi di Ag danno una risposta Th2 mentre alte dosi di antigene danno Th1
e la vaccinazione sfrutta proprio questo concetto nel senso che nella vaccinazione ogni mese viene somministrato
all’individuo allergico il suo allergene e viene somministrato a dosi crescenti pertanto mano a mano che passa il tempo
viene aumentato il carico allergenico spingendo il SI a passare da una risposta Th2 ad una risposta Th1. (questo metodo
non funziona in tutti ma nella metà delle persone che si sottopongono a questo tipo di terapia). Lo svantaggio è che
questa vaccinazione dura 2-3 anni inoltre l’allergene deve essere conosciuto e funziona contro 1 solo allergene per volta.
(molto spesso le persone sono poli-sensibilizzate ossia sono allergiche a più cose)

Ipersensibilità di secondo terzo tipo


Queste ricordano le malattie autoimmuni. L’evento finale dell’iper-sensibilità di secondo tipo è infatti la distruzione del
tessuto in quanto in quelle di secondo tipo vengono prodotte IgM o IgG in grado di attivare il complemento quando
l’antigene è TISSUTALE. In quelle di terzo tipo l’antigene che viene riconosciuto è solubile pertanto si ha la formazione
di immunocomplessi.
La differenza quindi tra l’iper-sensibilità di secondo e terzo tipo risiede nell’antigene o meglio dove questo viene
espresso -> in quella di secondo tipo è espresso nei tessuti mentre il quella di terzo è solubile.

Per quanto riguarda l’ipersensibilità di secondo tipo un esempio sono i gruppi sanguigni. Sono identificati da
glicoproteine espresse sulla superficie del globulo rosso. Questa può essere A,B, sia A che in B o nessuna. Verso questi
antigeni tutti quanti producono anticorpi naturali responsabili del rigetto iper-acuto. Esiste anche un altro antigene di
gruppo sanguigno che è RH ossia ciascuno di noi può essere A,B,AB o 0 e in più può essere RH positivo (è presente il
fattore RH) o negativo (non è presente il fattore RH). Esiste la possibilità quindi di montare una risposta anche verso RH
perché se io sono RH- e incontro una trasfusione con RH+ il SI può riconoscere l’RH + come un antigene MA in questo
caso la presenza di anticorpi diretti contro l’RH avviene solo DOPO immunizzazione. (non sono naturali infatti li abbiamo
solo dopo memoria) .

Un esempio di malattia è l’eritroblastosi fetale in cui abbiamo una madre RH- che porta in grembo un bambino RH+.
Durante la gravidanza non insorge alcun problema in quanto non esiste la possibilità di avere contatto tra sangue
materno e del bambino ma questo si ha durante il parto. - >durante il parto la madre potrebbe incontrare i globuli rossi
del bambino che esprimono RH+ pertanto i linfociti B della madre capaci di riconoscere RH montano una risposta
trasformandosi in plasmacellule, producendo anticorpi contro RH ma molto importante è che producono CELLULE
DELLA MEMORIA che hanno fatto switch verso IgG e che quindi potranno produrre per tanto tempo igG. Questo è un
problema dalla seconda gravidanza in poi perché dalla seconda gravidanza in poi se fosse RH+ riceverebbe attraverso
la placenta le IgG diretti contro RH della mamma (unici in grado di passare la placenta e in condizioni normali utili per
aiutare il bambino ad acquisire una prima forma di difesa) che però in questo caso AGGREDISCONO i globuli rossi del
bambino (perché questo è RH+) pertanto danno anemia. ->per prevenire che si abbia questa situazione appena la madre
partorisce viene trattata con anticorpi diretti contro RH in modo tale da neutralizzarlo.

Per quanto riguarda l’ipersensibilità di terzo tipo l’antigene è solubile. Esistono in questo caso due tipi di rezioni:

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- Ipersensibilità data da immunocomplessi localizzati ossia quando l’antigene è solubile ma localizzato in un
determinato distretto corporeo (reazione di arthus) . Un esempio è la reazione di Arthus -> quando io voglio valutare
la risposta di un soggetto ad un determinato vaccino si inocula sotto cute l’antigene. Si osserva la formazione di un
ponfo che testimonia il fatto che il soggetto possiede una risposta anticorpale in grado di formare con l’antigene
somministrato un immunocomplesso (si forma localmente ossia dove io ho inoculato l’antigene)
- Ipersensibilità data da immunocomplessi sistemici ossia quando l’antigene solubile diffonde nell’organismo per via
vascolare. 


Ipersensibilità di quarto tipo


È l’ipersensibilità mediata da linfociti T citotossici. Questa è anche chiamata immunità ritardata perché ha bisogno di
attivare una risposta T (da una parte ha bisogno dell’attivazione dei Th1 e inducano formazione delle citochine che
servono per attivare i citotossici mentre dall’altra parte ha bisogno che i Tc inneschino la reazione tissutale).

Un esempio è la dermatite da contatto: normalmente mi aspetto che l’allergene sia una proteina in realtà in questo
caso si tratta di un metallo in cui non c’è una componente proteica. La dermatite da contatto è un iper-sensibilità
ritardata nella quale l’allergene anche NON possedendo una componente proteica è in grado di legarsi alle proteine
SELF del soggetto cambiandone leggermente la conformazione. Questo rende il complesso proteina-allergene in grado
di essere riconosciuto dal SI e scatenare una risposta che prevede il reclutamento nel sito di contatto sia di macrofagi
che di citotossici.

Immunodeficienze
Condizioni in cui il SI o non funziona o funziona poco questo porta il soggetto ad essere più propenso ad ammalarsi
inoltre gli vengono numerosi tumori. Le immunodeficienze possono essere distinte in due gruppi:
- Immunodeficienze ACQUISITE: noi nasciamo con un SI che funziona bene ma ad un certo punto succede qualcosa
per cui non funziona più bene
- Immunodeficienze CONGENITE: noi nasciamo già con mutazioni del DNA che rendono il SI incapace di funzionare

Immunodeficienze acquisite
Possono essere iatrogeniche, ovvero di conseguenza di un trattamento farmacologico. Gli immunosoppressori
ossia quei farmaci che vengono somministrati per esempio a chi ha subito un trapianto d’organo hanno come obbiettivo
quello di spegnere il SI proprio per evitare rigetto. Questi farmaci vengono presi per tutta la vita pertanto il SI viene
messo in una condizione di immunodeficienza ovviamente questo è un processo reversibile nel senso che se io smetto
di assumere i farmaci questo torna a funzionare normalmente.

L’immunodeficienza può essere anche di conseguenza all’AIDS: si tratta di una condizione in cui non si nasce già con il
SI malfunzionante ma come conseguenza dell’infezione da HIV diventiamo immunodeficienti. -> condizione
irreversibile. Con il passare del tempo si incontrano tre fasi: acuta, cronica e AIDS conclamato.
Nella fase acuta dal momento in cui il soggetto si infetta è possibile vedere che il numero di virus nel sangue del
soggetto aumenta molto rapidamente. Man mano che questa quantità di virus aumenta si assiste anche ad una
diminuzione di linfociti Th (CD4+). Nel punto in cui si passa da fase acuta a cronica si assiste ad un calo repentino del
numero di virus e ad una stabilizzazione dei Th. Ciò che fa passare dalla fase acuta a quella cronica è quella che viene
definita sieroconversione (nel sangue della persona sono comparsi anticorpi diretti contro il virus dell’HIV). Il sistema
immunitario solitamente eradica completamente il virus o il batterio ma nel caso del virus dell’HIV il valore non arriva a 0
anche se scende molto la carica virale. Nella fase cronica si hanno in circolo gli anticorpi e una quantità di virus più o
meno costante come anche il numero dei Th MA col passare del tempo la curva blu dei Th scende fino ad arrivare a 200
cellule/mm^3. Sotto questo numero non si hanno più linfociti Th a sufficienza per tenere sotto controllo non sono il virus
dell’HIV ma anche tutte le infezioni saprofitiche (candidosi ecc) pertanto si viene a creare una condizione clinica per cui il
soggetto si ammala anche di infezioni saprofitiche.

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Immunodeficienze congenite
Sono le condizioni in cui si nasce con la mutazione di qualche gene che fa si che il SI non funzioni. Le immunodeficienze
possono riguardare: l’immunità innata o l'immunità adattativa .
La mutazione di un gene non compromette tutta l’immunità innata/adattativa ma ovviamente se riguarda il precursore
staminale comprometterà più cose.(cellula in cima alla piramide).->la disgenia reticolata è la malattia in cui il progenitore
manca e non riesce a differenziare pertanto il soggetto non ha il SI (ne innato ne adattativo). Per quanto riguarda gli altri
elementi ricordiamo che la maggior parte delle cellule sono ridondanti quindi se non cen’è una c’è l’altra pertanto si
hanno immunodeficienze che non sono cosi gravi da essere incompatibili con la vita.

• Immunodeficienze dell’immunità innata:


- Agranulocitosi congenita: in questa immunodeficienza si ha riduzione di granulociti che sono importanti poiché
riconoscono il patogeno e innescare la condizione infiammata. (i neutrofili sono i principali responsabili)->in questa
situazione i B e i T ci sono ma non funzionano abbastanza bene perché si trovano in un contesto che non riesce a
creare la giusta infiammazione.

- Malattia granulomatosa cronica: si hanno macrofagi che sono in grado di fagocitare ma non sono in grado di
eliminare completamente il patogeno allora lo tengono al loro interno poiché non riescono a digerirlo formando dei
granulomi .

- Deficit di adesione leucocitaria: caratterizzata da mutazione in vari geni che sono complessivamente coinvolti nel
processo di rotolamento sull’endotelio, adesione e stravaso dei leucociti per cui si monta una risposta ma non arriva
dove vede arrivare. 


• Immunodeficienze dell’immunità acquisita: si tratta di malattie gravi in maniera differente a seconda di quale
cellula coinvolgono.
- SCID: (condizione più grave di tutte) ->condizione in cui non si ha l’attività ne di B ne di T pertanto non si ha
immunità adattativa ed esistono varie mutazioni che possono portare a tale condizione. Vediamo nel dettaglio LA
SCID (SEVERA E COMBINATA: SEVERA IN QUANTO è GRAVE E COMBINATA IN QUANTO MANCANO SIA
LINFOCITI T che B). vediamo come mutazioni di geni diversi possano dare la stessa condizione finale:
1. Mutazioni a livello di RAG1 e RAG2 che sono due enzimi necessari per fare ricombinazione VDJ pertanto se questi
vengono mutati viene persa la possibilità di fare ricombinazione. L’evento finale comporterà non avere il T cell
receptor in membrana ma visto che la ricombinazione VDJ riguarda anche l’immunoglobulina significa che in
membrana non avrò nemmeno anticorpi pertanto non si riescono a maturare ne B ne T.
2. Mutazioni a livello della catena gamma dell’IL2 o di JAK3. Tipicamente i recettori delle citochine sono costituiti da
3 subunità due che legano la citochina (danno specificità di legame) mentre la gamma è coinvolta solo nella
trasduzione del segnale. Per trasdurre questo segnale la subunità gamma usa nel versante citosolico una tirosina-
chinasi chiamata JAK quindi per funzionare le citochine hanno bisogno di avere un recettore funzionante e la
tirosina-chinasi che quel recettore stimola. Se io ho una mutazione a livello della catena gamma o a livello di JAK
ecco che tutta una serie di citochine non riescono a funzionare (alfa e beta possono essere diversi quindi in questo
caso legano IL2 ma esistono alfa e beta che legano anche la IL4,IL7,IL9 e IL15 CHE LEGANO LA STESSA GAMMA
PERTANTO AVERE LA GAMMA MUTATA SIGNIFICA CHE NESSUNA DI QUESTE il FUNZIONA). Il punto è che senza
citochine niente funziona.
3. Difetto di ZAP-70 porta ad una immunodeficienza che riguarda solo la linea T questo perché ZAP-70 è la tirosina-
chinasi (come JAK) che sta sotto il T-cell receptor pertanto avere una mutazione di questo fa si che se il T-cell
receptor riconosce il suo antigene non trasduce alcun segnale.

4. Sindrome del linfocita nudo: Condizione in cui è mutato o MHC I o MHC II o nelle situazioni più gravi entrambi.
Se mancano questi non si ha proprio la produzione di CD8 o CD4 in quanto manca la selezione positiva! Per
maturare completamente un linfocita T è necessario fare selezione positiva vedendo se il linfocita è in grado di
riconoscere qualsiasi vassoietto. Nel caso ci sia un difetto di MCHI non sii hanno citotossici in circolo, se ho un
difetto di MHC II non ho helper in circolo e se ho un difetto di entrambi non avrò nulla in circolo.

- Malattia di Bruton: in questa viene mutato un gene del cromosoma X e quello che non funziona bene è una chinasi
(BTK) che permette all’anticorpo quando è in membrana di segnalare che ha legato un antigene
- Sindrome di George: condizione nella quale manca il timo per cui non si ha la maturazione dei linfociti T

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Vaccini
I vaccini sono dei farmaci biotecnologici che hanno l’obiettivo di stimolare una memoria immunologica contro un
agente patogeno che il soggetto non ha mai incontrato questo perché sappiamo che la memoria è una risposta molto
più veloce e massiccia/efficace rispetto a quella primaria. ->l’immunità adattativa ci mette 15gg per fare il suo compito
pertanto il virus è in grado di dare sintomatologia MA se io ho una memoria nel giro di pochissimo tempo (qualche
giorno) il virus viene debellato pertanto non riesce a dare manifestazione clinica.

Jenner aveva notato che le mungitrici di mucca (quelle che venivano a contatto con il vaiolo di mucca) si ammalavano in
maniera blanda e quando poi arrivava l’epidemia umana queste rimanevano protette. Decise quindi di fare un
esperimento prendendo un bambino di 8 anni, un po di pustola di vaiolo bovino e iniettarla sotto cute al bambino. Egli
poi dopo un po di tempo gli inoculò il vaiolo umano e vide che il bambino non si ammalava allora questi studi sono
serviti a pasteur.
Il primo vaccino che è stato messo a punto per l’uomo è quello contro il vaiolo fino ad arrivare ad oggi con il vaccino per
il covid.
I vaccini non esistono contro qualunque agente patogeno ma esistono soprattutto nelle situazioni riportate di seguito:

- Quando la malattia che l’agente patogeno induce è molto grave per cui non esiste una terapia (poliomelite, epatite B e
varicella)

- Quando la terapia esiste ma non è sempre efficace cioè esistono alcune malattie a cui qualcuno risponde e qualcuno
no pertanto si cerca di fare prevenzione (difterite,tetano,meningite) 

- Casi in cui normalmente la malattia non è grave tranne in alcuni soggetti le complicanze possono essere anche molto
gravi (morbillo, pertosse e rosalia) 


Produzione dei vaccini


Attraverso virus inattivati: in questo caso i virus possono essere fissati in formalina o bolliti/trattati con agenti chimici in
modo tale da ucciderli. In questo caso ovviamente essendo morto il virus non è in grado di indurre patologia ma questi
virus inattivati non sono identici al virus vivo pertanto non sono in grado di attivare tutta la risposta immunitaria (sono
efficaci ma non per tutti i virus) .

Attraverso microrganismi vivi ma attenuati: i virus in questo caso non sono in grado di essere cosi virulenti da
scatenare la malattia. Per attenuare un virus è possibile coltivare i virus su cellule che non sono quelle originali quindi
succederà che inizialmente il virus non saprà infettarle perché queste hanno dei recettori un po diversi da quelli che
hanno le cellule che normalmente il virus infetterebbe ma a furia di stare a contatto con queste cellule il virus prova a
mutare fino a quando non cambia i propri recettori in modo tale da renderli compatibili con quelli della cellula bersaglio. -
>si fa in modo che il virus cambia i suoi antigeni di superficie pertanto significa che dopo che ha mutato non è più
virulento e non infetta più le cellule di partenza (non ha più gli antigeni di superficie per attaccare la cellula originale) -
>usare un virus attenuato è molto efficace perché questo non è solo in grado di indurre una risposta anticorpale ma
anche una risposta cellulo-mediata. Questi attivano una risposta diversa infatti i vaccini con virus uccisi stimolano una
risposta anticorpale->per alcuni agenti patogeni questa è sufficiente . I vaccini vivi attenuati sono in grado di stimolare
sia una risposta B che una T quindi danno una risposta completa.

Attraverso l’uso di alcune parti del virus: le parti usate sono rappresentate solo dagli antigeni di superficie. Si
prendono tutte le proteine di superficie del virus e si fa un mischione in modo tale che queste possano indurre risposta.


Attraverso l’uso del DNA ricombinante: se io so qual è la proteina antigenica per eccellenza posso clonarla in un
plasmide in modo tale da farla produrre a batteri in coltura e poi si usa questa proteina purificata per fare il vaccino.

Immunità di gregge
Proprietà per cui se il 95% della popolazione è vaccinata anche il 5% che non è vaccinato è protetto dalla malattia. ->si
evita la diffusione di un agente patogeno all’interno della comunità. Le persone non vaccinate se tutte le altre lo sono
non vengono a contatto con il virus questo perché si impedisce proprio la diffusione del virus. In realtà le persone non
vaccinate sono persone in cui si riscontrano condizioni di immunodeficienza nelle quali il SI non risponde pertanto
l’individuo non può entrare a contatto con i virus ne con il vaccino in quanto non ci sarebbe risposta al vaccino.

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