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Informazioni generali: una malattia infettiva è una patologia causata da agenti microbici che
entrano in contatto con l'individuo e si riproducono causando un'alterazione. La malattia è il
risultato dell'interazione tra sistema immunitario e organismo estraneo. I germi che causano una
malattia infettiva provengono da: 1-virus, 2-batteri, 3-funghi. L'uomo, quando viene a contatto con
il corpo estraneo si difende utilizzando dei sistemi di mantenimento dell'equilibrio interno che
sono costituiti dalla cosiddetta prima barriera: cute e mucose che resistono alla penetrazione
utilizzando lacrime, saliva , urina (natura meccanica) , un PH basso , acido gastrico (natura
chimica). La seconda barriera è costituita da un vero e proprio attacco contro gli agenti microbici. il
periodo che va dal contatto uomo-germe alla comparsa dei sintomi è chiamato periodo di
incubazione.
Definizioni:
1. malattia alterazione dello stato normale del corpo o di un organo che arresta o
ne modifica la sua funzione ;
2. malattia infettivamalattia causata da batteri virus protozoi
3. infezionecondizione in cui i microrganismi entrano nell’organismo provocando
alterazione.
Affinché si verifichi una malattia infettiva ci deve essere in atto un processo di infezione, che può
essere di due tipi: esogena oppure endogena. Si parla di infezione esogena quando il patogeno
entra nell’organismo da qualsiasi fonte esterna; si parla, invece, di infezione endogena quando è
causata da un microrganismo presente nel corpo, ma che si colloca in una sede diversa dalla solita
causando alterazione, oppure, un microrganismo che è nella giusta sede, ma riesce a modificarsi
grazie a delle condizioni favorevoli.
I microrganismi e ospite hanno un rapporto specifico:
saprofitivivono nell’ambiente
commensalivivono con l’organismo superiore senza beneficio ne danno (=flora
endogena)
parassitipossono causare danni all’organismo superiore. Si dividono a loro volta in due
categorie: patogeni e opportunisti. Parassiti patogeni creano dei danni ad organismi sani.
Parassiti opportunisti creano danno solamente quando vengono meno le normali barriere
difensive.
La patogenicità è la capacità di causare danno. Per capire se un microrganismo è patogeno oppure
no si ricorre ai postulati di Koch, che se positivi ci indicano la patogenicità e la sua influenza in un
quadro patologico.
I postulati di Koch prevedono 4 punti specifici:
1. Il presunto agente responsabile della malattia deve essere sempre presente in quella
malattia
2. Si deve riuscire ad isolarlo e crescerlo in una coltura pura
3. La cultura pura, una volta inserita in un ospite sano, deve causare malattia
4. Il microrganismo deve essere isolato nuovamente dall’ospite infettato.
Per capire meglio, facciamo un esempio parlando di CARBONCHIO EMATICO. Essa è una malattia
che colpisce erbivori ma anche l’uomo; è caratterizzata da setticemia coagulazione incompleta del
sangue. Per formulare una diagnosi di certezza di verificano i postulati di Koch visti in precedenza.
Sappiamo che, affinché si verifichi una malattia infettiva bisogna che ci sia un’infezione (endogena
o esogena) e il numero degli agenti infettanti deve essere molto alto per interessare molte cellule
dell’organismo attraverso la produzione di tossine. Una volta instaurata la malattia, ne seguono i
sintomi, cioè la manifestazione clinica e quindi la malattia!
La malattia riconosce un agente casuale (unico, specifico, necessario) e si verifica quando un
microrganismo riesce a penetrare e incontra le condizioni favorevoli (CONCAUSE).
Avevamo già visto un primo rapporto tra ospite e microrganismo; ora vediamo il rapporto che c’è
tra ospite e parassita. Esso si divide in: contaminazione, infezione e malattia infettiva.
a) Contaminazione c’è la presenza di microrganismi sulla superficie corporea o
nell’organismo stesso, ma non vi è nessuna attività replicativa oppure reazione
immunitaria.
b) Infezione moltiplicazione di un microrganismo parassita o opportunista, senza
manifestazioni cliniche, ma con reazione immunitaria rilevabile
c) Malattia infettiva organismo patogeno o opportunista in fase di replicazione, con
presenza di danni.
N.B: all’infezione non segue necessariamente la malattia!
La malattia dipende altri fattori che riguardano:
i. Organismo ospite intrinseci o contingenti
ii. Microrganismo patogenicità; virulenza; carica infettiva
iii. Ambiente condizioni climatiche o condizioni igienico-sanitarie
La malattia, inoltre, può essere contagiosa o non contagiosa. La contagiosità è la capacità di un
microrganismo di essere trasmesso. Essa dipende da quanti agenti infettanti vi sono, le vie di
eliminazione, capacità di sopravvivenza dell’agente infettante al di fuori dell’organismo infetto e la
concentrazione dell’agente nel sangue.
Il nostro organismo in presenza di un corpo estraneo attua i primi sistemi di contrasto e cioè
utilizza delle barriere definite barriere primarie formate da cute e mucose; in seguito, attua delle
vere e proprie reazioni Aspecifiche fagocitosi
Specificheanticorpi
Un organismo può essere in grado di resistere a un’infezione rendendo così l’organismo stesso
immune(=immunità).
La patogenicità è definita come capacità di causare danni ed è basata sullo studio di alcuni
parametri, in particolare: invasività e tossigenicità. Il microrganismo deve essere in grado, per
essere patogeno, di entrare e dirigersi verso un organo specifico o verso il circolo sanguigno da
dove poi si farà portare in tutto l’organismo, oppure dare un danno senza invasività ma molto
specifico in un organo o apparato specifico. Possono generarsi, come danno delle lesioni cutanee
per traumi specifici, esempio: brufolo; oppure danni generali dovuto a sostanze prodotte o
all’azione stessa del microrganismo. La tossigenicità è la funzione di alcune sostanze prodotte
direttamente dal microrganismo e che solitamente hanno una natura proteica o lipopolisaccaridica
quindi sono: tossite, endotossine, esotossine, enzimi collagenasi.. responsabili di lesione locali e
favoriscono la generazione dei sintomi dell’infezione.
Definizioni:
1. Infettivitàcapacità di superare le difese dell’ospite, di invaderlo e moltiplicarsi
all’interno di esso
2. Patogenicità capacità del microrganismo di creare un danno nell’ospite, di
alterare organi e tessuti e di causare un’alterazione e quindi una malattia
3. Virulenza capacità di un microrganismo di moltiplicarsi in un tessuto o
nell’organismo in toto. Questa replicazione dipende dalle attività biologiche stesse e
può essere misurato attraverso un parametro: DL50 (dose letale 50); cioè la dose
letale che uccide la metà degli animali inoculati sperimentalmente. Esiste anche il
DL90, cioè la dose che uccide il 90 percento degli animali inoculati. A parte la
capacità di dare dei danni, un microrganismo può essere patogeno, ma non
virulento, cioè non un acquisirà mai una carica virale o batterica tale da
rappresentare un pericolo. Ipoteticamente un microrganismo patogeno, ma poco
virulento che cosa provocherà? E’ una condizione peggiore del caso inverso? Qual è
il caso peggiore? Il caso peggiore è quando un microrganismo è sia patogeno sia
virulento. Se c’è una grandissima virulenza l’organismo ospite non riuscirà a far
fronte a questo microrganismo e anzi, sarà pericoloso anche per gli altri.
4. Carica infettante è un parametro essenziale per stabilire non solo l’infezione, ma
anche la malattia. Anche gli agenti più virulenti hanno bisogno di un certo numero
di unità batteriche virali, chiamiamole unità formanti placca per i virus o unità
formanti colonia per i batteri, ma ci sarà un numero discreto sotto il quale
l’organismo riesce a difendersi, sopra il quale l’organismo non riesce più. E’ un
parametro molto variabile sia per caratteristiche del microrganismo, sia per quelle
dell’ospite.
il soggetto ammalato;
il portatore asintomatico: precoce, sano, convalescente o cronico;
il soggetto infetto
Portatore asintomatico soggetto che si infetta ed elimina i microrganismi senza
contrarre la malattia
Portatore convalescente soggetto precedentemente malato che continua ad
eliminare i microrganismi anche dopo la guarigione clinica
Potatore cronico l’eliminazione dei microrganismi dura mesi o anni
Portatore precoce l’eliminazione dei microrganismi inizia prima dell’esordio
clinico
Cosa è necessario fare per arrivare in fondo a una diagnosi di tipo sierologico? Bisogna fare un
campione, campione che solitamente è sangue. Esso deve essere senza anti-coagulante, perché
vogliamo che il sangue coaguli e che il sangue si separino le cellule. Sul momento del prelievo, vi
sono due momenti ideali: fase acuta e fase convalescente. Il campione poi deve essere conservato
molto bene e in modo specifico. Esempio: 5 provette di colore diverso, cosa sono? Sono tutti sieri,
ma quelli più rossi sono quelli emolitici, cioè il siero è stato conservato male e i globuli rossi si sono
rossi rilasciando emoglobina, colorando il siero di rosso. Quello meglio conservato è quello più
chiaro. Se mettiamo un serio ottenuto bene, senza emolisi, non interferiamo con il metabolismo
cellulare; se utilizziamo un siero emolitico, ci sono fattori che possono influenzare il metabolismo
cellulare rendendo impossibile la lettura. Quindi, già il momento del prelievo è molto importante!
La cosa da non fare è quella di mantenere la provetta di sangue nel congelatore, per le cellule si
romperanno non appena torneranno a temperatura ambiente.
Dopi di che, la provetta lasciata a temperatura ambiente, viene messa in centrifuga per 5 min a
bassa velocità cosi da separare il siero con le eventuali cellule rimaste e il siero deve risultare bello
limpido!
Metodo ELISA
È una tecnica vecchia ed è molto maneggevole e permette l’identificazione di antigene e anticorpi.
Il sistema rilevatore è costituito da un substrato cromogeno che viene portato nella gamma nel
visibile da un enzima che è la fosfatasi alcalina. Questo enzima è legato all’anticorpo secondario,
chiamato coniugato. Se iniziamo dall’inizio, questa prova prevede che viene portata avanti una
reazione in cui l’intensità del prodotto colorato è direttamente proporzionale alla quantità di
anticorpi presenti. Nel momento attuale, la densità ottica viene misurata e si stabilisce un test
oggettivo e ha un fattore di lettura specifico effettuata attraverso lo spettrofotometro. Il vantaggio
è che è visibile anche al ricercatore, ma ha anche una lettura oggettiva grazie alla misura della
densità ottica.
Elisa indiretta
Cerca anticorpi. Abbiamo assorbiti degli antigeni sul fondo del pozzetto e cercheremo anticorpi
che si legano in modo specifico a questo tipo di antigene. Abbiamo due opzioni: siero negativo e
siero negativo. Ovviamente bisogna aspettare un po' di tempo per favorire la formazione
dell’immunocomplesso; quindi in prima fase si mette solo il siero, poi si lava, poi si aggiunge il
coniugato (un anticorpo che lega la porzione comune degli anticorpi + un enzima). Se non ci sono
gli anticorpi primari vedremo che il coniugato non si legherà. Si lascia passare un’ora e poi si lava,
quello che si vede dopo è quello che rimane. All’aggiunta del substrato cromogeno risentirà
dell’azione dell’enzima e darà un prodotto colorato. La quantità di colore è direttamente
proporzionale alla quantità di anticorpi legati. Il prodotto finale può essere: un pozzetto positivo o
pozzetto negativo. La lettura viene effettuata con lo spettrofotometro, in particolare quando il
colore non è molto chiaro.
Elisa indiretto competitivo
Può essere utilizzata più rapidamente rispetto alla precedente. In questo caso si mettono gli
anticorpi e siero + coniugato e competono per lo stesso antigene. In questo caso il positivo non si
colora. Il coniugato non è diretto verso la porzione fissa dell’anticorpo, ma verso l’antigene; in
questo caso, dopo l’aggiunta del substrato cromogeno, il campione positivo non si colora, mentre
quello negativo risulta colorato.
Elisa sandwich
Noi cerchiamo un antigene e mettiamo sul pozzetto anticorpi noti, si legheranno solo antigeni
specifici per gli anticorpi che abbiamo inerito sul fondo. Adesso tutti i siti saranno occupati, ma
adesso dobbiamo inserire un anticorpo secondario identico a quello che abbiamo messo sul fondo
solo che questo è stato aggiunto il coniugato. All’aggiunta del substrato cromogeno abbiamo una
colorazione che è proporzionale agli anticorpi presenti.
Elisa diretto competitivo
Si ha incubazione contemporanea del campione con il coniugato. Se positivo, vie è una riduzione
della densità ottica. Sul fondo della piastra mettiamo l’anticorpo specifico, aggiungiamo il
campione in esame (es: omogenato tissutale) e mettiamo allo stesso tempo a incubare un
antigene coniugato. Per competizione non ci sarà uno spaziamento totale, ma un po’ di coniugato
si legherà comunque. Aggiungiamo il substrato che darà un colore nel caso negativo, e pochissimo
colore nel caso positivo.
La metodica ELISA è molto flessibile e la può fare qualsiasi laboratorio perché non richiede
particolari strumenti, se non una centrifuga. È una prova che costa poco, va sempre messa in 3
replica e si deve fare la media tra le 3. I tempi si aggirano intorno alle 3-4 ore o a una giornata.
Immunofluorescenza
È una tecnica diretta o indiretta. Possiamo trovare antigeni all’interno di sezioni di tessuto che
dobbiamo marcare con anticorpo legato a un prodotto fluorescente. Possiamo anche fare una
sierologia, cerchiamo anticorpi, ma li metteremo su substrati cellulari e metteremo un anticorpo
secondario legato a marcatore fluorescente. Ci permette di indentificare antigeni e anticorpi e
come chiave di lettura ci serve un microscopio. I fluorocromi che si utilizzano sono : rodamina e
fluorescina.
Immunofluorescenza indiretta
Materiali: vetrini coperti da plastica che delimitano dei pozzetti. All’interno mettiamo culture
cellulare infettate con antigeni virali noti. Noi allestiamo questi vetrini ponendo nei pozzetti 15
microliti di cultura cellulare che esprima gli antigeni virali. Vengono fatte diluizioni. Una volta
allestiti i vetrini, si infettano le cellule e si portano a un certo grado di espressione dell’antigene si
mettono sul vetrino e per farle aderire bene si passano prima in una soluzione di acetone freddo,
si asciugano e vengono congelate. Al momento dell’utilizzo tiriamo fuori il vetrino e ci limitiamo a
mettere a contatto il siero nelle giuste diluizioni. Il siero va tenuto a contatto per un’ora, a 37
grado in camera umida. Si lava tutta e si passano 30 volte in PBS e poi rilavati in acqua distillata.
Poi va aggiungo un anticorpo secondario legato con la sostanza fluorescente. Esso è diretto verso
la porzione comune dell’anticorpo di specie (cane, bovino..). si tiene a contatto questo anticorpo
per un’ora, si lava come prima e sia sciuga e infine si legge il tutto: se sono presenti anticorpi si
vede una certa luce fluorescente a contatto con raggi UV. La fluorescenza è espressa alla superficie
della membrana perché è li che troviamo l’espressione dell’antigene con cui abbiamo infettato le
cellule. Dobbiamo cercare un cerchiolino di fluorescenza verde che circonda le cellule che dentro
sono di colore rosso.
Immunofluorescenza diretta
Si fa direttamente sulle biopsie. Essere verranno trattate, congelate, inclusa in un blocchetto,
messa in un microtomo e poi messa su vetrino. Quando abbiamo questo substrato cellulare,
dobbiamo mettere un anticorpo coniugato. Avremo un tempo di contatto di un’ora, lavaggio e
asciugato verrà letto con microscopio con lampada raggi UV e la fluorescenza ci indicherà un
risultato positivo.
La diagnosi delle infezioni virali si basa anche sulla diagnosi diretta, cioè la coltivazione del virus.
Seppur su larga scala viene fatta sulla base sierologica o su test diretto tramite PCR (identifica il
genoma, ma non mi da la sua coltivazione), a fianco di queste metodiche rapide, è necessario
avere il virus in mano, coltivarlo, vedere le sue caratteristiche e per conoscere bene le sue
caratteristiche e le sue eventuali mutazioni. Avendo in mano l’antigene vivo si completano molte
informazioni. È una metodica molto lunga e prevede laboratori di massimo livello.
Una delle possibilità rapide per visualizzare una diagnostica rapida è quella di vedere la particella
virale con la microscopia ottica, ma sono strumenti molto costosi. La prima cosa che si fa, è quella
di fare un esame culturale. Il protocollo standard passa attraverso momenti diversi: isolamento
virale, ricerca di particelle virali, ricerca di antigeni, ricerca di acidi nucleici.
Il passaggio primo è il prelievo del materiale patologico, costituito dalla matrice biologica che è
assolutamente la più probabile nella quale possiamo trovare il virus in esame. Una volta prelevato
correttamente, dovrà essere posto in un terreno di trasporto idoneo che sarà un terreno di
cultura, cosi che il virus non venga inattivato. È un passaggio fondamentale, altrimenti otterremo
dei falsi positivi, perché dopo circa due ore non ci sarà più nulla del nostro virus. Altri virus
possono essere inattivati dal cotone, per cui il cotone non si usa mai, ma sarà un tampone di
plastica espansa con delle ramificazioni proprio perché deve “raschiare” il virus con il substrato a
cui è legato. Il terreno di trasporto garantisce la sopravvivenza del virus e della cellula e deve
essere arricchito di siero, di norma si usa siero bovino che riesce ad essere idoneo per un po' tutti i
virus animali. È un reagente biologico ottenuto dal sangue fetale di bovino. Il terreno deve
contenere antibiotici per evitare contaminazioni biologiche ed eventualmente zuccheri…
A questo punto la coltivazione virale viene iniziata e come metodica costituisce il gold standard,
quella che ci fa conoscere al meglio tutte le caratteristiche del virus che abbiamo in mano. La
coltivazione va fatto su culture cellulare o substrati permissivi. All’inizio doveva essere fatto
direttamente sull’animale, adesso invece questo metodo viene evitato, ma rimangono disponibili
tantissime linee cellulari, tra cui uove embrionate (replicano massivamente bene sulle uova
embrionate). Il virus cresce bene anche in cultura cellulare animale, riusciamo a trovare un
substrato cellulare che ci consenta di lavorare molto bene e su cui replica il virus.
Differenza tra linea primaria, secondaria e linea cellulare: