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1 Capitolo 1.

Proprietà delle risposte immunitarie


1.1 Immunità innata e adattativa
Le cellule e le molecole responsabili dell’immunità costituiscono il sistema immunitario e la loro
risposta collettiva e coordinata all’introduzione di sostanze estranee è detta risposta immunitaria.
Una definizione più precisa di risposta immunitaria è reazione a componenti microbiche così come
a macromolecole (proteine/polisaccaridi) e piccole molecole che vengono riconosciute come estranee,
senza tener conto delle conseguenze fisiopatologiche di tale reazione.
L’immunità innata fornisce la prima linea di difesa contro i microbi. Questi meccanismi reagis-
cono solamente ai microbi e rispondono essenzialmente nello stesso modo alle infezioni ripetute. I
principali componenti dell’immunità innata sono:

1. Barriere fisiche e chimiche


2. Cellule fagocitiche, cioè neutrofili e macrofagi, e natural killer
3. Proteine plasmatiche, tra le quali quelle del complemento
4. Citochine, che regolano e coordinano molte delle attività delle cellule dell’immunità innata

Esistono risposte immunitarie che sono stimolate invece dall’esposizione ad agenti infettivi e che au-
mentano in grandezza ed efficacia ad ogni successiva esposizione: si tratta dell’immunità acquisi-
ta/adattativa. L’immunità acquisita è in grado di riconoscere un grande numero di sostanze mi-
crobiche e non, e la capacità di riconoscimento è talmente alta da giustificare il titolo di immunità
specifica. I principali agenti dell’immunità acquisita sono i linfociti e i loro prodotti di secrezione,
come gli anticorpi. Le sostanze estranee in grado di indurre risposte immunitarie specifiche sono dette
antigeni.
Evoluzione del sistema immunitario
I meccanismi specializzati di difesa che costituiscono la risposta adattativa sono esclusivi dei
vertebrati.
• Diverse cellule degli invertebrati rispondono ai microbi circondandoli e distruggendoli;
queste cellule ricordano i fagociti e, a seconda della specie, sono state chiamate fagociti ameboidi,
emociti, coelomociti o leucociti del sangue.
• Gli invertebrati non contengono linfociti antigene-specifici e non producono immunoglob-
uline o proteine del complemento: contengono tuttavia molecole solubili che legano e lisano i
microbi.
• I fagociti in alcuni invertebrati possono secernere citochine che somigliano a quelle derivanti
dai macrofagi nei vertebrati.
• Tutti gli organismi pluricellulari esprimono i toll-like receptor, responsabili dell’avvio delle
reazioni di difesa
• Gli invertebrati sono in grado di riconoscere trapianti di tessuto estraneo, attività che nei
vertebrati è dipendente dalla risposta immunitaria adattativa. Negli invertebrati queste reazioni
sono mediate da cellule di tipo fagocitico che però non sono in grado di generare una memoria
per il tes- suto trapiantato. Queste evidenze indicano che anche gli invertebrati sono in grado di
esprimere molecole (forse precursori del MHC) per distinguere il self dal non self.
La svolta nell’evoluzione immunitaria si ha con la comparsa di recettori antigenici riarrangiati so-
maticamente, evento che accade con i pesci più evoluti. Buona parte dei componenti del sistema
immunitario adattativo sembra essere apparsa in un tempo breve e in maniera coordinata nei ver-
tebrati dotati di mandibola. Dal momento della comparsa degli antigeni generati per ricombinazione
genica il sistema immunitario si è evoluto costantemente: si passa da un singolo tipo di anticorpo
nei pesci fino agli otto dei mammiferi.

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1.2 Tipologie di risposta adattativa
Immunità umorale L’immunità umorale è mediata da molecole presenti nel sangue e nelle secrezioni
dette anticorpi, prodotte da cellule dette linfociti B. L’immunità umorale è la principale difesa contro
microbi extracellulari e le loro tossine in quanto gli anticorpi secreti possono legare e assistere nell’elim-
inazione di queste molecole tossiche. Gli anticorpi di loro sono specializzati e differenti tipi di anticorpi
possono attivare diversi meccanismi.

Immunità cellulo-mediata L’immunità cellulo-mediata è legata ai linfociti T. Microbi intracellulari


che sopravvivono e proliferano all’interno di fagociti o altre cellule sono inaccessibili per gli anticorpi:
per queste infezioni la difesa è legata all’immunità cellulo mediata che ne promuove la distruzione.

Immunizzazione L’immunità protettiva nei confronti di un microbo può essere indotta dalla rispos-
ta dell’ospite o dal trasferimento di anticorpi/linfociti specifici. L’immunità indotta dall’esposizione
diretta all’antigene è detta immunità attiva in quanto l’individuo immunizzato gioca un ruolo atti-
vo; l’inoculazione di anticorpi/linfociti specifici crea invece un tipo di immunità che non prevede
l’esposizione dell’immunizzato all’antigene: si parla di immunità passiva. Un esempio di immunità
passiva naturale è il trasferimento di anticorpi materni al feto. In ambito clinico l’immunità ad un
microbo viene sempre misurata in maniera indiretta, cercando la presenza dei prodotti dell’immunità
o amministrando derivati purificati del microbo e misurando la reazione indotta.

1.3 Elementi comuni delle risposte adattative


• Specificità e diversità. Le risposte sono specifiche per i diversi antigeni; le parti degli antigeni
che vengono specificamente riconosciute dai singoli linfociti sono dette determinanti od epitopi.
I singoli linfociti esprimono sulle loro membrane recettori che sono in grado di riconoscere le sottili
differenze tra gli antigeni. Il numero totale di epitopi riconoscibili, detto repertorio linfocitario, è
enorme: si stima tra 107 e 109 .
• Memoria. L’esposizione ad un antigene migliora la capacità di risposta del sistema: le risposte alle
infezioni successive sono solitamente più rapide, ampie e spesso qualitativamente diverse dalla
risposta primaria. La memoria immunologica è in parte dovuta all’espansione dei cloni linfocitari
specifici per quell’antigene e in parte alla produzione delle cellule della memoria.
• Espansione clonale. I linfociti proliferano molto dopo esposizione ad un antigene. Il termine es-
pansione clonale indica che la crescita è limitata alle cellule che esprimono recettori per l’antigene.
• Specializzazione. Immunità umorale e cellulo-mediata sono stimolate da classi microbiche di-
verse (o diverse fasi dell’infezione).
• Contrazione ed omeostasi. Tutte le risposte immunitarie devono svanire nel tempo, facendo
ritornare il sistema immunitario allo stato basale, cioè alla sua condizione di omeostasi. La
riduzione/contrazione della reazione è dovuta soprattutto al fatto che le risposte innescate dagli
antigeni distruggono gli antigeni stessi, eliminando dunque lo stimolo.
• Non reattività al self. I linfociti non reagiscono a molecole self grazie alla proprietà della tolleran-
za. La tolleranza viene mantenuta eliminando i linfociti autoreattivi: riduzioni di questa capacità
sono alla base delle malattie autoimmuni.

1.4 Componenti cellulari della risposta adattativa


Le cellule principali del sistema immunitario sono i linfociti, le APC e le cellule effettrici.
I linfociti sono cellule che riconoscono gli antigeni estranei e mediano quindi l’immunità innata e
quella umorale. Esistono diverse popolazioni linfocitarie che differiscono nel modo in cui riconoscono
il non-self:
• Linfociti B. Questi linfociti sono gli unici in grado di produrre anticorpi. Riconoscono gli
antigeni extracellulari e si differenziano in plasmacellule secernenti gli anticorpi: mediano dunque
l’immunità umorale.

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• Linfociti T. Questi linfociti mediano la risposta cellulo-mediata in quanto riconoscono antigeni
intracellulari e si attivano per distruggere microbi e cellule infettate. I linfociti T non producono
anticorpi e hanno una specificità ristretta per gli antigeni: riconoscono solo antigeni peptidici
attaccati a proteine codificate dall’MHC. I linfociti T consistono di popolazioni funzionalmente
distinte, tra le quali quelle codificate meglio sono le cellule T-Helper e le cellule T-Citotossiche.

– Le cellule T-Helper in risposta ad un’infezione secernono citochine che servono a stimolare


la proliferazione e la differenziazione delle cellule T stesse e l’attivazione di altre cellule tra cui
cellule B, macrofagi ed altri leucociti.
– I linfociti T citotossici agiscono uccidendo le cellule che producono antigeni non-self.

L’avvio e lo sviluppo dell’immunità adattativa richiede il sequestro e la presentazione degli antigeni


ai linfociti da parte delle APC. Le APC più specializzate sono le cellule dendritiche, che catturano gli
antigeni in arrivo dall’ambiente esterno e lo trasportano agli organi linfoidi per presentarlo ai linfociti
T naive (vergini ed aspecifici) per iniziare la risposta immunitaria.
L’attivazione dei linfociti da parte degli antigeni porta all’attivazione di vari meccanismi. L’elimi-
nazione dell’antigene richiede spesso la partecipazione di cellule dette effettrici in quanto mediatrici
dell’effetto finale della risposta immunitaria. Linfociti T attivati, fagociti mononucleati e altri leucociti
funzionano da cellule effettrici in differenti risposte immunitarie.

1.5 Riassunto delle risposte immunitarie ai microbi


Risposta precoce dell’immunità innata L’immunità innata blocca l’ingresso di microbi e ne limita
l’espansione qualora riuscissero a passare. I principali tratti a rischio sono la cute, il tratto GI e
quello respiratorio: sono tutti ricoperti di epitelio continuo che fornisce una barriera efficace. Se il
microbo sfonda la barriera trova i macrofagi che esprimono sulle loro membrane recettori che legano e
fagocitano il microbo o attivano altre cellule. I macrofagi attivati producono ROS e enzimi lisosomiali
per distruggere il microbo, ma secernono anche citochine che promuovono il reclutamento di altri
leucociti. Le citochine sono responsabili di molti aspetti delle reazioni immunitarie e sono quindi
molecole messaggere. L’accumulo locale di leucociti e la loro attivazione per distruggere i microbi è
parte di ciò che causa l’infiammazione. La risposta innata ad alcuni virus consiste nella produzione
di citochine antivirali dette interferoni e nell’attivazione di cellule NK.
I microbi che resistono a questo primo intervento possono entrare nel sangue dove vengono ri-
conosciuti dalle proteine circolanti dell’immunità innata: tra di esse le più importanti sono quelle
facenti parte del sistema del complemento. Il complemento può essere attivato direttamente dai
microbi (via alternativa) con il risultato dello stimolo infiammatorio e della fagocitosi del patogeno,
oppure può essere attivato dagli anticorpi (via classica).

Risposta adattativa La risposta adattativa ruota intorno a tre strategie:


1. Anticorpi. Gli anticorpi secreti legano i microbi extracellulari, bloccandone la capacità infettiva e
promuovendone la distruzione.
2. Fagociti. I fagociti digeriscono e uccidono i microbi e le cellule T-Helper li favoriscono in questo.
3. Linfociti T-Citotossici. I linfociti T-Citotossici uccidono le cellule infette inaccessibili agli anticorpi.
L’immunità adattativa produce un grande numero di linfociti durante la maturazione e, a seguito
di stimolo antigenico, seleziona i più utili per combattere il microbo: questo aumenta l’efficacia del
sistema.
Il numero di linfociti naive per ogni antigene è basso (uno per milione) e la quantità di antigene è
spesso anch’essa limitata: esistono meccanismi specializzati nel catturare e concentrare microbi nel-
la giusta posizione per una stimolazione ottimale. Le cellule dendritiche sono le APC che portano gli
antigeni ai linfociti naive CD4+ e CD8+ e quindi fanno iniziare la risposta adattativa. Queste cellule cat-
turano i microbi, ne digeriscono le proteine in peptidi e li esprimono sulla loro superficie in associazione
a molecole MHC: si dirigono poi ai linfonodi dove stazionano.
I linfociti specifici per un gran numero di antigeni esistono già prima dell’esposizione e, quando entra
l’antigene, questo seleziona e attiva cellule specifiche: questa è la base dell’ipotesi della selezione

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clonale. L’attivazione dei linfociti T-Naive richiede il riconoscimento del complesso antigene-MHC delle
cellule dendritiche: questo passaggio garantisce specificità all’immunità e non autoreattività.
I linfociti CD4+ attivati proliferano e si differenziano i cellule effettrici le cui funzioni sono mediate
dalle citochine secrete. Una delle prime azioni è la secrezione di interleuchina-2 (IL-2), un fattore
di crescita che agisce sui linfociti antigene-attivati e ne stimola l’espansione clonale. Queste cel-
lule effettrici lasciano l’organo linfoide dove sono state generate e migrano ai siti di infezione e
infiammazione. Ai siti di infiammazione le cellule effettrici compiono vari atti: alcune secernono
interferon-γ, un potente attivatore macrofagico. Altri CD4+ attivati secernono citochine che sti-
molano la produzione di IgE e attivano gli eosinofili, cioè leucociti in grado di uccidere parassiti
troppo grandi per essere fagocitati.
I linfociti CD8+ attivati proliferano e differenziano in linfociti T-Citotossici che uccidono le cellule
infette nel citoplasma.
I linfociti B attivati proliferano e si differenziano in cellule che secernono diverse classi di anticorpi
con diverse funzioni. La risposta dei linfociti B agli antigeni proteici richiede segnali di attivazione
dai linfociti T CD4+ Helper. Parte della progenie dei cloni di cellule B si differenzia in plasmacellule
che producono anticorpi; gli antigeni polisaccaridici e lipidici stimolano soprattutto la produzione di
IgM, mentre quelli proteici, grazie all’interazione delle cellule helper, inducono la produzione di IgG,
IgA ed IgE. La risposta umorale agisce su vari fronti. Gli anticorpi si legano ai microbi impedendo loro
di infettare cellule sane. Le IgG avvolgono i microbi e li destinano alla fagocitosi, in quanto i fagociti
(neutrofili e macrofili) riconoscono le code delle IgG. IgG e IgM attivano il complemento lungo la via
classica, e il complemento promuove la fagocitosi e la distruzione dei microbi. Le IgG sono trasportate
attivamente attraverso la placenta e proteggono i neonati fino alla maturazione del sistema. La maggior
parte degli anticorpi ha emivita intorno alle tre settimane, anche se le cellule della memoria vivono per
anni.

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1 Capitolo 2. Immunità innata
L’immunità innata è il meccanismo filogeneticamente più antico di difesa dai microbi e si è evoluta
con essi per difendere tutti i microorganismi pluricellulari. I ruoli di questo tipo di immunità sono
fondamentalmente due:
1. Iniziare le risposte ai microbi che prevengono, controllano ed eliminano le infezioni. Questo ruolo
è fondamentale in quanto se viene eliminata l’immunità innata e mantenuta la sola adattativa
l’organismo risulta comunque molto più suscettibile alle infezioni.
2. Stimolare le risposte adattative e influenzarne meccanismi ed efficacia.
Alcune componenti dell’immunità innata sono sempre funzionanti, anche prima dell’infezione: queste
componenti sono le barriere fornite dalle superfici epiteliali della cute, del tratto GI e di quello respira-
torio. Altre componenti sono inattive ma pronte a rispondere rapidamente ai microbi: queste includono
i fagociti e il sistema del complemento.

1.1 Caratteristiche generali


• L’immunità innata riconosce strutture caratteristiche dei microbi patogeni e per questo non
presenti sulle cellule dei mammiferi: il numero di caratteristiche riconoscibili è limitato. Le
sostanze microbiche che stimolano l’immunità vengono definite PAMPs, acronimo di Pathogen
Associated Molecular Patterns, mentre i recettori che le legano sono definiti pattern recognition
receptors. Tra i PAMPs principali si includono:

– Acidi nucleici esclusivamente non-self, tra cui ds-RNA o con sequenze non-self, tra cui
sequenze non metilate di CpG DNA.
– Proteine che iniziano con N-formilmetionina
– LPS, acidi teicoici e oligosaccaridi ricchi in mannosio

Grazie alla specificità per strutture microbiche l’immunità innata non potrà mai reagire contro
il self; per contrasto l’immunità adattativa non reagisce contro il self solamente perchè i linfociti
autoreattivi vengono eliminati: per questo motivo l’immunità adattativa è alla base delle malattie
autoimmuni mentre quella innata non presenta questo problema.
• L’immunità innata riconosce strutture microbiche fondamentali alla sopravvivenza del patogeno,
in modo da evitare che questo possa disfarsene per evitare il controllo immunitario.
• I recettori per i PAMPs includono sia molecole associate alla cellula sulle membrane cellulari che
proteine solubili nel sangue e nei fluidi extracellulari. In generale l’attivazione di questi recettori
produce una trasduzione del segnale che attiva funzioni infiammatorie e antimicrobiche oppure
facilita l’assorbimento del microbo all’interno delle cellule.
• I recettori per i PAMPs sono codificati da DNA non riarrangiato somaticamente, quindi il numero
di combinazioni possibili è basso: sono riconoscibili circa 1000 pattern molecolari. L’immunità
adattativa, sfruttando un riarrangiamento somatico dei geni, è invece in grado di riconoscere
almeno 107 pattern molecolari diversi. In sostanza dunque l’immunità innata riconosce classi di
microbi, mentre quella adattativa riconosce antigeni diversi dei diversi microbi e perfino antigeni
diversi dello stesso microbo.
• L’immunità innata riconosce anche le cellule host danneggiate o stressate in quanto queste es-
primono molecole normalmente rare nelle cellule sane. Tra queste molecole vanno inserite le HSP
(Heat Shock Protein), alcune molecole simil MHC-1 e alcuni fosfolipidi di membrana. In questo mo-
do l’immunità innata può contribuire all’eliminazione di cellule infette anche se i prodotti microbici
non sono esposti in superficie.

1.1.1 Recettori per PAMP


La classe più importante, anche se non l’unica, di recettori PAMPs è quella dei TLRs.

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Toll-Like receptors Toll è un gene identificato inizialmente nella Drosophila la cui proteina media
risposte antimicrobiche. Esistono undici diversi TLR nell’uomo, chiamati TLR1-11, e tutti con-
tengono un dominio TIR (Toll/Il-1 receptor) nel lato citoplasmatico che è fondamentale per la tras-
duzione del segnale. Le più importanti classi di cellule che esprimono i TLR sono i macrofagi, le
cellule dendritiche, i neutrofili, le cellule delle mucose epiteliali e le cellule endoteliali. I TLR si trovano
sulle membrane cellulari in genere, sia membrane plasmatiche che intracellulari: possono dunque ri-
conoscere infezioni in varie posizioni. I TLR 3,7,8 e 9 si collocano sul RE e sulle membrane endosomiali
dove riconoscono acidi nucleici esogeni; le tipologie di acido nucleico riconosciute non sono esclusive
microbiche, ma la posizione lo è: questi TLR riconoscono l’infezione dunque non sulla base del prodotto
ma su quella della sua collocazione cellulare. L’attivazione di un TLR in genere attiva diversi pathway
di segnalazione che terminano nell’attivazione di vari fattori di trascrizione. La segnalazione inizia
con il legame ligando-recettore che porta alla dimerizzazione dei TLR e il reclutamento di proteine adat-
tatrici contenenti un secondo dominio TIR; questo reclutamento facilita quello di varie protein kinasi
che fosforilano diversi fattori di trascrizione, tra i quali i più importanti sono:
• κB e AP-1, che stimolano la produzione di citochine infiammatorie, chemochine e molecole di
adesione endoteliale.

• IRF-3 e IRF-7 che stimolano l’espressione dei geni dell’interferone α/β.

Lectine tipo C Le lectine tipo C sono molecole Ca++ -dipendenti che legano carboidrati e che sono
espresse principalmente su macrofagi, cellule dendritiche ed altri leucociti. Queste molecole riconoscono
strutture di carboidrati non presenti sulle cellule di mammifero: tra di esse quella più nota è il
recettore per il mannosio.

Recettori scavenger Molecole con la caratteristica comune di mediare l’uptake di lipoproteine ossi-
date all’interno delle cellule.

Recettori per N-formil-met/leu/phe Questi recettori riconoscono piccoli peptidi contenenti residui
di N-formilmetionile che sono caratteristici delle proteine batteriche (ma anche delle proteine sintetiz-
zate nel mitocondrio). Questi recettori sono espressi su neutrofili (FPR) e macrofagi (FPRL1): in entram-
bi i casi consentono ai fagociti di riconoscere e rispondere alle proteine batteriche. Il funzionamento di
questi recettori è quello di un recettore associato a proteina G: si attiva la via del fosfatidilinositolo e si
promuovono riarrangiamenti del citoscheletro.

NLRs Sono una famiglia di molecole citoplasmatiche che fungono da sensori intracellulari di infezione
batterica. Molte NLRs riconoscono il peptidoglicano comunemente presente nelle pareti batteriche; a
seguito del riconoscimento si ha il reclutamento della protein kinasi RICK che inizia la cascata che
termina con l’attivazione dei fattori di trascrizione κB e AP-1 (gli stessi dei TLR, quindi produzione di
citochine e altri mediatori).

Proteine CARD Il dominio CARD (Caspase Activation and Recruitment Domain) è contenuto in re-
cettori citoplasmatici che legano RNA virale e che attivano cascate segnalatorie che terminano con
l’attivazione dei fattori di trascrizione IRF-3 e κB che stimolano l’espressione di interferoni antivirali di
tipo I.

1.2 Componenti dell’immunità innata


Le principali cellule effettrici dell’immunità innata sono neutrofili, fagociti mononucleati e cellule
NK. Alcune di queste cellule, soprattutto macrofagi e NK, secernono citochine in grado di attivare i
fagociti e stimolare l’infiammazione. L’infiammazione è la reazione cellulare dell’immunità innata e
consiste nel reclutamento di leucociti e nell’uscita dai vasi di molte proteine plasmatiche verso il sito
di infezione. L’infiammazione può anche danneggiare tessuti normali. Le proteine circolanti legate
all’immunità innata sono invece quelle del complemento e altre che riconoscono strutture microbiche,
come le lectine leganti il mannosio.

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1.2.1 Barriere epiteliali
Le tre principali sedi di contatto con l’ambiente esterno sono la cute, il tratto GI e quello respiratorio.
Tutte e tre sono protette da un epitelio continuo: se questa continuità viene persa la suscettibilità alle
infezioni aumenta.
Gli epiteli, come alcuni leucociti, producono peptidi antimicrobici, soprattutto defensine e catelici-
dine.

Defensine Le defensine sono piccoli peptidi caratterizzati da tre ponti disolfuro; esistono tre famiglie
di defensine (α, β e φ) distinte sulla base della posizione dei ponti. Grandi produttrici di defensine
α sono le cellule del Paneth nell’intestino, questo per limitare il numero di microbi nel lume. Alcune
defensine sono prodotte in modo costitutivo ma la loro secrezione può essere stimolata da citochine o
prodotti microbici. In altre cellule le defensine sono invece prodotte solo in risposta ad uno stimolo.
L’azione protettiva delle defensine include sia tossicità diretta per i microbi che attivazione delle cellule
coinvolte nelle risposte infiammatorie.

Catelicidine Le catelicidine sono espresse dai neutrofili e dai vari epiteli. Un precursore di 18kD
viene trascritto e digerito proteoliticamente in due peptidi, entrambi protettivi. Il frammento C- ter-
minale, detto LL-37, ha tossicità diretta per molti organismi e attiva diverse risposte leucocitarie,
oltre alla capacità di legare e neutralizzare LPS. L’altro frammento potrebbe anch’esso avere attività
antimicrobiche ma il suo ruolo è meno chiaro.
Gli epiteli delle barriere e le cavità sierose contengono certi tipi di linfociti, tra i quali i linfociti T-
intraepiteliali e il tipo B-1 delle cellule B che riconoscono e rispondono ai microbi comunemente in-
contrati. Alcune popolazioni dei linfociti T e B hanno bassa diversità perchè c’è poca ricombinazione
genica: queste riconoscono strutture comunemente espresse dalle specie microbiche, in pratica ri-
conoscono i PAMPs. I linfociti T-intraepiteliali sono presenti nell’epidermide della cute e negli epiteli
delle mucose: queste cellule hanno ruolo immunitario in quanto secernono citochine, attivano i fagociti
e uccidono le cellule infette. La cavità peritoneale contiene invece la popolazione B-1 dei linfociti B,
i cui recettori antigenici sono immunoglobuline; molte cellule B-1 producono anticorpi specifici verso
antigeni polisaccaridici e lipidici, tipo LPS. Individui normali hanno infatti anticorpi verso questi bat-
teri, spesso presenti nell’intestino, senza avere alcun segno di infezione: questi anticorpi sono detti
anticorpi naturali e sono in gran parte prodotti dalle cellule B-1. Una terza popolazione di cellule
presente sotto molti epiteli è quella dei mastociti che rispondono alle infezioni secernendo citochine e
mediatori lipidici dell’infiammazione.

1.2.2 Fagociti e risposte infiammatorie


I fagociti, cioè neutrofili e macrofagi, sono cellule il cui ruolo primario è identificare, ingerire e
distruggere i microbi. La loro risposta funzionale consiste in una serie di step:

1. Reclutamento al sito di infezione


2. Riconoscimento
3. Ingestione
4. Distruzione

In aggiunta a questo i fagociti producono citochine che svolgono importanti ruoli nelle risposte innate
ed adattative e nella riparazione dei tessuti.

Neutrofili I neutrofili, detti anche leucociti polimorfonucleati, sono la popolazione più abbondante
dei globuli bianchi circolanti. Si tratta di cellule sferiche con diametro 12−15µm il cui nucleo si presenta
segmentato in tre/cinque lobuli. Il citoplasma contiene due tipi di granuli; il tipo più abbondante è
pieno di enzimi quali lisozima, collagenasi ed elastasi: questo granulo si colora molto poco e infatti i
neutrofili appaiono con citoplasma chiaro. Il resto dei granuli è formato da lisosomi contenenti enzimi
microbicidi tra i quali defensine e catelicidine. I neutrofili vengono prodotti nel midollo osseo e
originano dalla stessa linea dei fagociti mononucleati. Un uomo adulto produce più di 1011 neutrofili al

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giorno, ciascuno dei quali circola nel sangue per circa sei ore. Se un neutrofilo circolante non viene
reclutato entro queste sei ore va incontro ad apoptosi e viene fagocitato dai macrofagi residenti in milza
e fegato.

Fagociti mononucleati Queste cellule originano nel midollo osseo, circolano nel sangue e infine mat-
urano e diventano attive nei vari tessuti. La prima cellula che entra nel sangue periferico dopo aver
lasciato il midollo è indifferenziata e prende il nome di monocita. Una volta entrati nei tessuti i monoc-
iti maturano e diventano macrofagi, che assumono diverse forme dopo l’attivazione da parte di stimoli
esterni quali i microbi. I macrofagi attivati si possono fondere tra loro a formare cellule giganti multin-
ucleate. La nomenclatura dei macrofagi varia a seconda del tessuto per indicarne la posizione: nel SNC
si parla di cellule della microglia, nel fegato di cellule del Kupffer, nel polmone di macrofagi alveolari e
nell’osso di osteoclasti. Le cellule di tipo macrofagico sono le più antiche filogeneticamente nel mediare
l’immunità innata: sono presenti ad esempio nella Drosophila e anche nelle piante. I macrofagi rispon-
dono alle infezioni rapidamente quanto i neutrofili ma hanno un emivita molto più lunga, grazie anche
al fatto che a differenza di questi ultimi possono dividersi al sito infiammatorio. Per questo motivo i
macrofagi sono le cellulle effettrici dominanti dopo uno o due giorni dall’infezione.

Cellule dendritiche Le cellule dendritiche presentano lunghe proiezioni membranose e capacità fagocitiche
e sono largamente distribuite nei tessuti linfoidi, nelle mucose e nel parenchima degli organi. Queste
cellule derivano da precursori nel midollo osseo e la maggior parte è legata alla linea dei fagociti
mononucleati. Le cellule dendritiche esprimono recettori PAMPs e rispondono secernendo citochine.

Reclutamento dei leucociti ai siti di infezione Neutrofili e monociti vengono reclutati per legame
con molecole di adesione sulle cellule endoteliali e per chemotassi. Il reclutamento è un processo a più
step, ciascuno dei quali orchestrato da diverse molecole.

Rolling In risposta a microbi e citochine le cellule endoteliali delle venule postcapillari aumentano
l’espressione superficiale di proteine chiamate selectine. I fattori di stimolo più importanti sono
il TNF e l’interleuchina1 (entrambi citochine). Due tipi di selectine sono espressi: la selectina P,
che è già pronta in granuli e viene distribuita rapidamente, e la selectina E, che viene sintetizzata
in risposta agli stimoli e viene resa disponibile entro un paio d’ore. Una terza selectina, chiamata
selectina L, viene espressa sui linfociti e altri leucociti e media invece il direzionamento dei linfociti
T naive verso i linfonodi. I leucociti esprimono i ligandi per le selectine sulle punte dei microvilli. Il
legame selectina-ligando è a bassa affinità e presenta grande rapidità di distacco grazie alla spinta
del sangue: il risultato è che i leucociti non si bloccano ma iniziano a rotolare sulla superficie
endoteliale rallentando la loro corsa.
Attivazione Le chemochine sono piccole citochine secrete dai macrofagi tissutali, dalle cellule en-
doteliali e da altre tipologie cellulari in risposta a TNF e IL-1. La loro funzione principale è stimo-
lare la chemotassi. Le chemochine prodotte al sito di infezione vengono trasportate sulla faccia
luminale delle venule postcapillari dove si accumulano in alte concentrazioni. In questa sede le

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chemochine legano specifici recettori espressi sulla superficie dei leucociti rotolanti. I leucociti es-
primono una famiglia di molecole di adesione dette integrine che normalmente sono in uno stato
di bassa affinità. L’attivazione dei recettori per le chemochine produce due effetti: l’aumento del-
l’affinità delle integrine per i loro ligandi e il loro accumulo superficiale in modo da aumentare
l’efficacia del legame del leucocita alla superficie endoteliale.

Adesione Le citochine (TNF e IL-1) oltre all’attivazione delle integrine aumentano l’espressione en-
doteliale dei loro ligandi, in particolare VCAM-1 (Vascular Cell Adhesion Molecule, il ligando
dell’integrina VLA-4) e ICAM-1 (Intercellular Cell Adhesion Molecule, il ligando per le inte-
grine LFA-1 e Mac- 1). Il risultato finale è che i leucociti si attaccano saldamente all’endotelio,
riorganizzano il loro citoscheletro e si allontanano dalla superficie endoteliale.

Trasmigrazione Le chemochine stimolano i leucociti adesi a migrare attraverso gli spazi endoteliali
lungo il gradiente chimico; altre proteine, tra cui CD31, giocano un ruolo in questo passaggio. I
leucociti presumibilmente producono enzimi che li aiutano nell’attraversare la barriera.

L’accumulo di leucociti nei tessuti è uno dei componenti fondamentali dell’infiammazione. Il processo
di trasmigrazione è basato sull’espressione di varie moleole di adesione e varie chemochine; ad esempio
la migrazione dei neutrofili si basa sul legame LFA-1/ICAM-1 e sui recettori per le chemochine CXCR1
e CXCR2, entrambi leganti CXCL8 mentre i monociti utilizzano il legame VLA-4/VCAM-1 e il recet-
tore CCR2 legante CCL2. La progressione temporale di espressione di questi elementi garantisce che
vengano prima reclutati i neutrofili (ore/giorni) e poi i monociti (giorni/settimane).

Fagocitosi dei microbi La fagocitosi è un processo attivo di inglobamento di grandi particelle (di-
ametro oltre i 0.5µm). L’uccisione dei microbi avviene all’interno delle vescicole formate per fagocitosi,
in modo da proteggere il fagocita dai processi potenzialmente dannosi.
Il primo passo nella fagocitosi è il riconoscimento del microbo. Neutrofili e macrofagi riconoscono
solo cellule non self perchè esprimono recettori specifici per i microbi, recettori tra i quali si contano
quelli per i PAMPs, le lectine tipo C e gli scavenger. Un secondo gruppo di recettori riconosce proteine
dell’host che ricoprono i microbi: queste proteine sono dette opsonine e comprendono anticorpi, pro-
teine del complemento e lectine. Il processo che porta alla copertura del microbo con opsonine è detto
opsonizzazione. Uno dei metodi più efficaci di opsonizzare i microbi è ricoprirli di anticorpi; queste
molecole hanno da un lato una regione che lega l’antigene e dall’altro una regione, detta regione Fc,
che interagisce con le cellule effettrici del sistema immunitario. I fagociti esprimono recettori ad alta
affinità (FcγRI) per gli anticorpi IgG: poichè gli anticorpi sono prodotti della difesa adattativa, si ha qui
un caso particolare in cui l’immunità adattativa attiva quella innata.
Quando un microbo o una particella lega un recettore sul fagocita la membrana plasmatica si
redistribuisce e si estende intorno al microbo per poi chiudersi attorno ad esso formando una vescicola
detta fagosoma. Il fagosoma viene portato all’interno della cellula dove si svolgerà l’uccisione del
microbo da un lato e la presentazione ai linfociti T dall’altro.

Uccisione dei microbi fagocitati La fusione del fagosoma con i lisosomi crea un fagolisosoma dove
si concentrano quasi tutti i meccanismi microbicidi. I principali meccanismi sono:
• Produzione di enzimi proteolitici nel fagolisosoma. Tra i più importanti nei neutrofili è l’elastasi,
una serina proteasi. Un secondo enzima importante è la catepsina G: topi KO mostrano incapacità
di uccidere i batteri se mancano queste molecole.
• Conversione dell’ossigeno molecolare in ROS che distruggono i microbi. Il principale enzima coin-
volto è l’ossidasi fagocitica, un enzima indotto da molti stimoli tra cui interferone e segnali dai
TLRs. Questo enzima converte l’ossigeno in radicali liberi con NADPH come cofattore nel processo
chiamato burst respiratorio. L’ossidasi agisce inoltre come pompa protonica generando un gradi-
ente elettrochimico tra le membrane del vacuolo: questo crea il pH necessario per attivare elastasi
e catepsina G. La malattia granulomatosa cronica è il risultato di una deficienza ereditata di
uno dei componenti del sistema dell’ossidasi.
• Oltre ai ROS vengono prodotti intermedi reattivi dell’azoto, in particolare ossido nitrico (NO)
grazie all’azione della ossido nitrico sintasi inducibile (iNOS). Nel fagolisosoma NO si combina con

5
perossido o superossido di idrogeno per produrre molecole altamente reattive in grado di uccidere
i microbi.
Una forte attivazione di neutrofili e macrofagi può danneggiare i tessuti normali dell’ospite per rilas-
cio degli enzimi lisosomiali, di ROS e di NO: se questi prodotti entrano nell’ambiente extracellulare
diventano estremamente pericolosi.

Funzioni accessorie dei macrofagi attivati Oltre all’uccisione fisica dei microbi i macrofagi attivati
servono molte altre funzioni di difesa. In aggiunta al TNF e all’IL1 già citate i macrofagi producono
IL-12 che stimola le cellule NK e le T a produrre interferone gamma. Alte concentrazioni di LPS in-
ducono patologia sistemica caratterizzata da coagulazione disseminata, collasso vascolare e anormalità
metaboliche: tutti risultati di alti livelli di citochine secrete dai macrofagi attivati. I macrofagi attivati
producono infine fattori di crescita per fibroblasti e cellule endoteliali per aiutare il rimodellamento
tissutale che segue le infezioni o i danni in generale.

1.2.3 Cellule NK
Le cellule NK fanno parte di una linea di cellule legata ai linfociti e riconoscono le cellule infette o
stressate rispondendo con uccisione diretta o con la secrezione di citochine infiammatorie. Queste
cellule costituiscono fino al 20% delle cellule mononucleate di sangue e milza e sono rare negli altri tes-
suti linfoidi. Oltre all’uccisione diretta queste sono una grande fonte di interferone gamma che attiva
i macrofagi per far uccider loro i microbi ingeriti. Le cellule NK sono derivate da precursori midollari e
appaiono come grandi linfociti pieni di granuli citoplasmatici; queste cellule non sono linfociti T o B e
non subiscono riarrangiamento somatico: usano recettori codificati nel DNA germinale.

Attivazione L’attivazione delle cellule NK è regolata dal bilancio tra i segnali in arrivo dai recettori
attivanti e da quelli inibenti. In generale i segnali attivanti devono essere bloccati da quelli inibitori per
evitare l’attivazione della NK e l’attacco a cellule normali. Molti dei recettori sulle cellule NK riconoscono
molecole MHC-1; queste molecole espongono vari peptidi tra cui quelli derivanti dai microbi per il
riconoscimento da parte dei linfociti T CD8+ (le cellule NK usano però recettori di tipo diverso dai
linfociti T per il riconoscimento).
I recettori attivanti rilevano un vasto gruppo di molecole espresse da cellule stressate, infette o
trasformate. Uno dei recettori più studiati è NKG2D che lega una famiglia di proteine simil MHC
che si trovano nelle cellule infettate da virus e in quelle tumorali. Un altro tipo di recettore, CD16,
lega le porzioni Fc di alcune classi di IgG e pertanto porta la cellula NK ad uccidere cellule ricoperte
di anticorpi (opsonizzate). Quando la segnalazione ha inizio si attivano cascate kinasi-dipendenti che
portano all’avvio dell’attività citotossica verso le cellule portanti il ligando e alla produzione di citochine.
I recettori inibitori si legano a molecole MHC-1 normalmente espresse nelle cellule sane. L’avvio di
questi pathway porta all’attivazione di fosfatasi che competono con le kinasi stimolate dalle vie attivanti:
in questo modo le cellule sane sono protette dall’uccisione NK-mediata. Il più vasto gruppo di recettori
inibitori è quello dei KIRs (Killer cell Immunoglobulin-like Receptor) che legano appunto molecole MHC.
Un secondo importante recettore è CD94/NKG2A che lega una molecola MHC detta HLA-E.
Lo sviluppo e le attività delle NK sono stimolate anche da citochine, in particolare IL-15 e IL-12
prodotte dai macrofagi sono fattori di crescita per queste cellule.

Citotossicità Il meccanismo di uccisione delle NK è praticamente lo stesso dei linfociti T-Citotossici.


Quando vengono attivate si ha esocitosi di proteine nelle vicinanze delle cellule bersaglio; una proteina,
detta perforina, facilita l’ingresso delle altre, dette granzimi, all’interno del citoplasma della cellula.
I granzimi sono enzimi in grado di iniziare l’apoptosi nella cellula bersaglio. Le cellule NK possono
uccidere cellule infette prima che i linfociti T-Citotossici specifici diventino completamente attivi, quindi
nei primi giorni di infezione. Durante le prime fasi infettive le NK vengono stimolate dalle citochine
dell’immunità innata, quali IL-12 e IL-15, inoltre l’interferone da esse secreto attiva i macrofagi per la
digestione dei microbi.

6
1.2.4 Proteine circolanti
Sistema del complemento

Il sistema del complemento consiste in parecchie proteine plasmatiche che vengono attivate dai
microbi e il cui ruolo è distruggere il patogeno e generare infiammazione. Il riconoscimento avviene
secondo tre vie: classica, alternativa e lectina dipendente. La via classica sfrutta una proteina, detta
C1, che riconosce gli anticorpi IgM, IgG1 e IgG3 legati alla superficie di un microbo. La via alternativa,
filogeneticamente più antica ma scoperta dopo, è innescata dal riconoscimento diretto delle strut-
ture microbiche ed è dunque parte dell’immunità innata. La via lectino-dipendente è innescata da
una proteina detta MBL (Mannose-Binding Protein) che riconosce i residui di questo zucchero: una
volta avvenuto il riconoscimento si porta ad attivare una delle proteine della via classica in assenza di
anticorpi grazie ad una serina proteasi associata.
Il riconoscimento risulta nel reclutamento sequenziale di altre proteine in complessi di proteasi. La
proteina centrale del complemento, C3, viene spezzata e il suo segmento maggiore, C3b, viene deposi-
tato sul microbo riconosciuto: questo serve da opsonina per promuovere la fagocitosi. Il segmento
minore, C3a, viene rilasciato e promuove l’infiammazione agendo da chemoattrattore per i neutrofili.
C3b lega altre proteine del complemento per formare una proteasi che spezza la proteina C5 in C5a
e C5b. C5a stimola l’afflusso di neutrofili al sito di infezione mentre C5b inizia la formazione di un
complesso delle proteine C6, C7, C8 e C9 che vengono assemblate in un poro di membrana che causa
la lisi della cellula bersaglio.

Pentrassine Molte delle proteine che riconoscono i microbi fanno parte della famiglia delle pentras-
sine, all’interno della quale si include la proteina C reattiva (CRP), l’amiloide P serico (SAP) e la
pentrassi-na PTX3. Le concentrazioni plasmatiche di CRP sono molto basse negli individui sani ma
possono aumentare di mille volte durante le infezioni: questo aumento è dovuto all’azione stimolante di
IL-6 ed IL-1 sul fegato. In generale la sintesi delle pentrassine è aumentata da queste interleuchine e si
parla di reattivi di fase acuta. Sia CRP che SAP si legano a diverse specie differenti di batteri e funghi.
CRP è un opsonina e può anche attivare il complemento lungo la via classica.

Collectine e ficoline Le collectine sono una famiglia di proteine all’interno della quale tre riconoscono
pattern molecolari nel sistema immunitario innato: si tratta di MBL, SP-A ed SP-D. MBL è un opsonina
che attiva il complemento lungo la via della lectina oltre che media una fagocitosi diretta. Le proteine
surfactanti A e D si trovano negli alveoli del polmone e agiscono anch’esse come opsonine per facilitare
la fagocitosi da parte dei macrofagi alveolari. Le ficoline sono proteine plasmatiche simili alle collectine
ma con la differenza che non possiedono un dominio lectina tipo C (calcio dipendente).

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1 Capitolo 3. Cellule e tessuti del sistema immunitario adattativo
Le cellule del sistema immunitario adattativo sono normalmente presenti come cellule circolanti nel
sangue e nella linfa, come aggregati negli organi linfoidi e come cellule sparse praticamente in ogni
tessuto. Le caratteristiche salienti di questo sistema sono
• Presenza di tessuti specializzati, detti organi linfoidi periferici, che concentrano gli antigeni in
ingresso. Gli antigeni vengono trasportati qui dalle APC per il riconoscimento da parte dei linfociti.

• I linfociti naive migrano attraverso gli organi linfoidi periferici dove riconoscono gli antigeni e
iniziano le risposte immunitarie. Linfociti effettori e della memoria si sviluppano dalla progenie
dei linfociti naive stimolati in questo modo.
• Linfociti effettori e della memoria circolano nel sangue verso i siti di ingresso antigenico dove
vengono efficacemente trattenuti.

1.1 Cellule del sistema immunitario adattativo


1.1.1 Linfociti
I linfociti sono le uniche cellule in grado di riconoscere e distinguere i vari determinanti antigenici e
sono per questo le uniche responsabili della specificità e della memoria del sistema. A dimostrazione
del ruolo linfocitario:
• Si può ottenere immunità protettiva per trasferimento da individui immuni a individui suscettibili
di linfociti e loro derivati.
• Alcune immunodeficienze, sia congenite che acquisite, sono associate a riduzione linfocitaria.

• La stimolazione in vitro dei linfociti produce reazioni simili a quelle in vivo.


• I recettori specifici per gli antigeni sono prodotti dai linfociti e da nessun’altra cellula.
I linfociti consistono di diverse famiglie differenti in funzionalità e in prodotti proteici, tuttavia molto
simili dal punto di vista morfologico.
I linfociti B, le cellule che producono anticorpi, sono così chiamati perchè negli uccelli maturano
nella borsa di Fabrizio. Nei mammiferi i primi stadi di maturazione di queste cellule si svolgono in-
vece nel midollo osseo. I linfociti T sono così chiamati per via dei loro precursori che originano nel
midollo ma migrano e maturano nel timo. I linfociti B e T consistono poi di sottogruppi con funzioni
e caratteristiche fenotipiche distinte. I maggiori gruppi dei B sono le cellule B follicolari, le cellule B
marginali e le cellule B-1; per i linfociti T i maggiori sottogruppi sono i linfociti T-Helper e i linfociti
T-Citotossici cui recentemente si sono aggiunti i linfociti T CD4+ regolatori.
I linfociti B e T hanno recettori antigenici distribuiti in modo clonale, esistono cioè molti cloni di
queste cellule con diverse specificità. I geni che codificano i recettori sono formati per ricombinazione
di segmenti di DNA durante la maturazione: essendo questo un evento in parte random il numero di
combinazioni generabile è nell’ordine dei milioni. Alcuni sottogruppi, ad esempio le cellule B-1, sono
limitati nell’uso dei loro segmenti di DNA e quindi il loro repertorio è molto limitato.
Le proteine di membrana espresse dalle varie popolazioni linfocitarie possono essere usate per dis-
tinguere le varie classi. Ad esempio molti linfociti T-Helper presentano la molecola CD4 mentre molti
dei T-Citotossici presenta la molecola CD8. La nomenclatura dei markers linfocitari usa il numero CD,
dove CD sta per Cluster di Differenziazione.

1
Classe Funzione Recettore/specificità Markers
Linfociti T αβ
CD4+ helper Attivazione macrofagi TCR αβ CD3+ , CD4+ , CD8−
Differenziazione linfociti B Complessi peptide-MHCII
CD8+ citotox Uccisione diretta di cellule TCR αβ CD3+ , CD4− , CD8+
infette e tumorali Complessi peptide-MHCI
Regolatori Regolazione/tolleranza TCR αβ CD3+ , CD4+ , CD25+
Linfociti T γδ Helper e citotossica TCR αβ CD3+ , altri CD variabili
Linfociti B Produzione Ig Ig Recettori Fc, MHCII, CD19 e 21
Cellule NK Citotossicità diretta Rec. attivanti e inibitori CD16+
Cellule NK-T Regolazione TCR αβ per lipidi-CD1 CD16+ , CD3+

Sviluppo e attivazione dei linfociti I linfociti, come ogni cellula del sangue dopo la nascita, originano
da cellule staminali nel midollo osseo. Tutte le popolazioni vanno poi incontro ad una complessa
maturazione durante la quale esprimono i recettori antigenici e acquisiscono le giuste caratteristiche
morfofunzionali. I linfociti B maturano in parte nel midollo osseo, entrano in circolo, popolano gli organi
linfoidi periferici e completano li la loro maturazione. I linfociti T maturano completamente nel timo ed
entrano poi in circolo per popolare anch’essi gli organi linfoidi periferici. Le cellule B e T mature sono
dette linfociti naive. A seguito di attivazione antigenica, i linfociti vanno poi incontro a successive
modifiche fenotipiche e funzionali.
L’attivazione dei linfociti è composta di una serie di step della quale il primo è la sintesi di nuove
proteine, tra le quali recettori per le citochine e citochine, passo richiesto per i cambiamenti successivi.
Le cellule naive vanno incontro a proliferazione in un processo detto espansione clonale: il numero di
cellule T specifiche può aumentare di 5·105 mentre quello di cellule B di 5·103 . In associazione all’espan-
sione clonale si ha anche il differenziamento in cellule effettrici, la cui funzione è eliminare l’antigene.
Alcuni linfociti stimolati si differenziano in cellule della memoria, la cui funzione è invece mediare la
risposta secondaria a esposizioni successive allo stesso antigene. Le caratteristiche fondamentali delle
varie fasi linfocitarie sono:

• Linfociti naive. I linfociti naive sono linfociti T o B maturi che non hanno mai incontrato
un antigene: questa condizione può durare al massimo tre mesi prima di attivare l’apoptosi.
Questi linfociti sono difficili da riconoscere morfologicamente ma in generale sono abbastanza
piccoli. Il loro ciclo cellulare è bloccato in fase G0 e si sbloccherà solo a seguito di stimolazione.
La sopravvivenza dei linfociti naive dipende dall’attività dei recettori antigenici, probabilmente
stimolati da auto antigeni, e dalle citochine. Probabilmente i naive riconoscono debolmente
vari antigeni self in modo da garantirsi una sopravvivenza a livello basale. Le citochine sono
fondamentali e i naive esprimono recettori in modo costituitivo: fondamentale è in particolare
IL-7 e il fattore attivante le cellule B (BAFF).
• Linfociti effettori. A seguito di attivazione i linfociti naive diventano più grandi, proliferano e
prendono il nome di linfoblasti. Alcune di queste cellule differenziano poi in linfociti effettori, tra
i quali si inseriscono i linfociti T-Helper, i linfociti T-Citotossici e le cellule B secernenti anticorpi.
Le cellule helper, solitamente CD4+ , esprimono in superficie molecole come CD40L e secernono
citochine che interagiscono con macrofagi e linfociti B. Sia le cellule effettrici CD4+ che le CD8+
presentano proteine che ne indicano la recente attivazione, tra cui CD25 e molecole MHC-II.
Dato importante è che la maggior parte dei linfociti T effettori ha vita breve e non si rinnova.
Molte delle cellule B secernenti anticorpi sono riconoscibili morfologicamente come plasmacellule:
si tratta di cellule con citoplasma ricco e con un RE sviluppato. Si stima che in queste cellule metà
dell’RNA messaggero sia dedicato agli anticorpi.
• Cellule della memoria. Le cellule della memoria possono sopravvivere per anni dopo l’elimi-
nazione dell’antigene e possono essere identificate dalla loro espressione di proteine superficiali. I
linfociti B della memoria esprimono certe classi di Ig di membrana, tipo IgG, IgE o IgA, mentre le
cellule B naive esprimono solo IgM e IgD. Inoltre nell’uomo la maggior parte dei linfociti T naive
esprime un’isoforma della proteina superficiale CD45 di 200kD mentre le cellule della memoria
la esprimono di 180kD in quanto soggetta a splicing. Le cellule della memoria sono eterogenee;

2
alcune, dette cellule T della memoria centrali, migrano preferenzialmente nei linfonodi, altre, dette
cellule della memoria effettrici, circolano nel sangue o risiedono nelle mucose.

1.1.2 APC
Una APC è una cellula che presenta gli antigeni ai linfociti T. Le principali APC sono le cellule
dendritiche. Un tipo specializzato di APC, detto cellula dendritica follicolare, presenta gli antigeni
ai linfociti B durante fasi particolari delle risposte umorali. Le APC collegano le risposte innate alle
risposte adattative, e fanno parte dunque di entrambi i sistemi.

Cellule dendritiche Le cellule dendritiche derivano da precursori midollari e si trovano in molti or-
gani, dove catturano gli antigeni estranei e li trasportano agli organi linfoidi periferici. Le cellule
dendritiche presentano diversi recettori superficiali, tra i quali i TLR, che riconoscono i PAMPs e
trasducono segnali di attivazione intracellulari. Una volta attivate queste cellule diventano mobili
e migrano ai tessuti linfodi periferici, dove presentano l’antigene ai linfociti T.

Fagociti mononucleati I macrofagi contenenti microbi ne presentano gli antigeni alle cellule T dif-
ferenziate effettrici, le quali attivano poi i macrofagi per uccidere i microbi stessi. Questo processo è
il più importante meccanismo di immunità cellulo mediata nei confronti dei microbi intracellulari. La
funzione dei fagociti mononucleati è la fagocitosi e la produzione delle citochine che reclutano e
attivano altre cellule nell’ambito della risposta innata; in ambito adattativo i macrofagi hanno ruolo
nella digestione ad esempio dei patogeni opsonizzati.

Cellule dendritiche follicolari Le FDC sono presenti nei follicoli linfatici di linfonodi, milza e tessuti
linfoidi delle mucose e non sono derivate da precursori midollari. Le FDC intrappolano gli antigeni in
complesso con gli anticorpi o i prodotti del complemento e li presentano per il riconoscimento da parte
dei linfociti B.

1.2 Anatomia e funzioni dei tessuti linfoidi


Nei mammiferi adulti i tessuti linfoidi primari, cioè generativi, sono il midollo osseo e il timo; i
tessuti linfoidi secondari sono invece i linfonodi, la milza, il sistema immunitario cutaneo e quello
delle mucose. Aggregati poco definiti di linfociti si trovano poi nel connettivo e in quasi ogni altro
organo ad eccezione del SNC.

1.2.1 Midollo osseo

3
Il midollo osseo è l’unica sede di ematopoiesi nell’adulto; gravi danni a questo tessuto o forte richi-
esta di nuove cellule ematiche causano il reclutamento di milza e fegato come sede di ematopoiesi
extramidollare.
Tutte le cellule ematiche originano da una comune cellula staminale ematopoietica, che si dif-
ferenzia poi lungo particolari linee. Le cellule staminali mancano dei marker delle cellule differen-
ziate, ed esprimono invece due proteine dette CD34 e Sca-1 (Stem Cell Antigen -1). La proliferazione
e la maturazione dei vari precursori cellulari nel midollo sono stimolate dalle citochine. Le citochine
ematopoietiche vengono prodotte dalle cellule stromali e dai macrofagi del midollo, creando così
un ambiente locale ematopoietico.

1.2.2 Timo
Il timo è la sede di maturazione delle cellule T e ha parenchima diviso in corticale e midollare. La
corticale appare come una densa regione fatta di linfociti T, mentre la midollare è meno densamente
popolata. I linfociti nel timo, detti anche timociti, sono linfociti T a vari stadi di maturazione; in
generale le cellule più immature sono verso la corticale, e le più pronte sono verso la midollare.

1.2.3 Linfonodi e sistema linfatico


Il fluido interstiziale riassorbito, la linfa, scorre lungo i vasi linfatici i quali drenano nei seni sottocap-
sulari dei linfonodi. I vasi linfatici efferenti dei vari linfonodi si congiungono poi per terminare nel dotto
toracico che scarica la linfa nella vena cava superiore, riconsegnando al flusso ematico. Il volume di
linfa prodotta al giorno è circa due litri.
Le cellule dendritiche catturano gli antigeni microbici ed entrano nei vasi linfatici (altri antigeni
entrano invece in forma libera); i linfonodi agiscono da filtro e sondano la linfa: tutti gli antigeni e le
citochine infiammatorie raggiungono dunque questi tessuti. Giunte nei linfonodi, le cellule dendritiche
presentano gli antigeni ai linfociti T naive per iniziare le risposte immunitarie adattative.
Ogni linfonodo è avvolto da una capsula fibrosa perforata da parecchi vasi linfatici in arrivo, che
svuotano la loro linfa nel seno sottocapsulare. Oltre il seno la corteccia esterna presenta aggregati di
cellule detti follicoli, alcuni dei quali contenenti un’area centrale detta centro germinativo. I follicoli
privi di centro germinale sono detti primari, quelli dotati sono detti secondari. I follicoli sono zone
costituite da linfociti B; i follicoli primari contengono principalmente linfociti B naive, quindi maturi,
mentre i centri germinali sono sedi di sviluppo che appaiono in seguito a stimolazione antigenica.
I linfociti T sono collocati principalmente in profondità, nei cordoni paracorticali. Il 70% di questi è
CD4+ mentre i CD8+ sono più rari anche se le proporzioni possono variare molto durante le infezioni.
La segregazione anatomica delle diverse tipologie di linfociti è dipendente da citochine. I linfociti T
e B naive vengono consegnati al nodo attraverso un’arteria, in particolare entrano nel tessuto attraver-
so vasi specializzati detti venule ad endotelio alto. I linfociti T naive esprimono il recettore CCR7
che lega le chemochine CCL19 e CCL21 prodotte nelle regioni delle cellule T. Le cellule dendritiche
esprimono anch’esse CCR7 e per questo migrano nella stessa regione delle cellule T. I linfociti B
naive esprimono invece il recettore CXCR5 che riconosce la chemochina CXCL13, prodotta esclusiva-
mente nei follicoli. La segregazione anatomica garantisce che ogni popolazione sia in contatto con la
corretta APC: cellule dendritiche per i T, FDC per i B. A seguito di stimolazione antigenica i linfociti B
e T perdono i loro confini anatomici e diventano liberi di migrare reciprocamente.

1.2.4 Milza
La milza, organo di 150g nell’adulto, appare suddivisa in polpa bianca e polpa rossa. Le regioni
ricche in linfociti dell’organo sono la polpa bianca e si presentano organizzate intorno ad un’arteriola
centrale. L’arteria centrale è circondata da un manicotto di linfociti, quasi tutti T, che forma la guaina
linfoide periarteriolare. Numerosi piccoli rami dell’arteriola centrale passano attraverso le guaine e
drenano in un seno vascolare detto seno marginale. Oltre il seno marginale esiste una regione distinta,
detta zona marginale, che forma il limite della polpa bianca ed è costituita da linfociti B e macrofagi
specializzati. La segregazione dei linfociti T nelle guaine e dei B nei follicoli e nelle zone marginali è un
processo dipendente da citochine e chemochine come nel caso dei linfonodi: CXCR5/CXCL13 per i B,
CCR7/CCL19-CCL21 per i T.

4
La milza è anche un importante organo per la filtrazione del sangue. Rami arteriolari dell’arteria
splenica terminano in una vasta rete di sinusoidi al cui interno sono presenti molti eritrociti, macrofagi
e cellule dendritiche oltre a linfociti e plasmacellule: è questa la polpa rossa. La polpa rossa purifica
il sangue dai microbi e dai globuli rossi danneggiati. La milza è la principale sede di digestione dei
microbi opsonizzati: individui che ne sono privi sono quindi particolarmente suscettibili a infezioni
da preumococco e meningococco, batteri per i quali l’opsonizzazione è la principale via di eliminazione.

1.2.5 Sistema immunitario cutaneo


Le principali popolazioni cellulari dell’epidermide sono cheratinociti, melanociti, cellule del Langer-
hans epidermiche e cellule T intraepiteliali. Le cellule del Langerhans sono le cellule dendritiche
immature del sistema immunitario cutaneo: formano una sorta di rete continua capace di catturare
antigeni. Quando queste cellule incontrano un antigene diventano mobili, iniziano ad esprimere il
recettore CCR7 e seguono le chemochine fino ad arrivare ai linfonodi.

1.2.6 Sistema immunitario mucosale


Nella mucosa del tratto GI i linfociti sono reperibili in tre regioni principali: lo strato epiteliale, nella
lamina propria come elementi sparsi o nella lamina propria in gruppi organizzati come le placche
del Peyer. La maggior parte di quelli epiteliali è di tipo T, quasi tutti CD8+ . La lamina propria in-
testinale contiene una popolazione mista di cellule che include linfociti T per la maggior parte CD4+
con fenotipo di cellula attiva; esiste anche un grande numero di linfociti B attivati e plasmacellule, ma
anche macrofagi, cellule dendritiche, eosinofili e mastociti.
In aggiunta ai linfociti sparsi esistono queste regioni organizzate tra le quali le più importanti sono
le placche del Peyer. Le regioni centrali di questi follicoli sono ricche in cellule B e spesso contengono
centri germinali; le placche del Peyer presentano inoltre alcune cellule T CD4+ . Follicoli simili alle
placche sono frequenti nell’appendice e in buona parte dei tratti GI e respiratori. Le tonsille faringee
sono infine follicoli linfoidi analoghi alle placche.

1.3 Vie e meccanismi di homing e ricircolo linfocitario


I linfociti naive si muovono dalla circolazione ai linfonodi e viceversa per parecchie volte, finchè non
incontrano l’antigene che sono in grado di riconoscere. Questo ricircolo linfocitario permette al
piccolo numero di linfociti naive di cercare il loro specifico antigene attraverso il corpo. Alcuni linfociti
attivati migreranno poi verso particolari tessuti, come ad esempio la pelle o l’intestino: questo processo
di migrazione selettiva è detto homing.
I meccanismi di migrazione linfocitaria sono simili a quelli di migrazione degli altri leucociti ai siti
infiammatori. Le molecole di adesione espresse sui linfociti sono spesso dette recettori homing e i
loro ligandi espressi dalle cellule endoteliali sono detti adressine. Le chemochine coinvolte nel traffico
linfocitario sono prodotte in maniera costituiva dagli organi linfatici secondari e in maniera inducibile
ai siti di infezione.
Il meccanismo di homing è estremamente efficente, e il flusso netto di linfociti attraverso i linfonodi
è pari a 25 · 109 unità giornaliere. Un’infiammazione periferica è in grado di generare un significativo
calo nell’afflusso linfocitario ai linfonodi e un contemporaneo aumento di quello ai siti infiammatori:
questo meccanismo transiente coinvolge gli interferoni alfa e beta.

1.3.1 Homing dal sangue ai linfonodi dei linfociti T


I linfociti T naive migrano nello stroma dei linfonodi attraverso venule postcapillari modificate dette ad
endotelio alto, le quali esprimono molecole di adesione e chemochine particolari. La sequenza di eventi
è sempre la stessa per qualsiasi passaggio, in particolare:
1. Il rolling è in questo caso mediato dalla selectina-L che lega una adressina (PNAd, Peripheral
Node Addressin) sul’endotelio delle venule ad endotelio alto.
2. L’adesione stabile è mediata dalle integrine LFA-1 e VLA-4.

5
3. L’affinità delle integrine è aumentata dalle chemochine CCL19 e CCL21, delle quali in particolare
la prima è costitutivamente espressa dalle venule ad endotelio alto. Per entrambe queste molecole
il recettore è CCR7.
Le cellule naive andate incontro ad homing ma che non hanno incontrato l’antigene ritornano al flusso
sanguigno in un processo dipendente da un chemoattrattore detto sfingosina 1-fosfato (S1P); questa
molecola è concentrata nel sangue e nei linfonodi rispetto ai tessuti. S1P lega un recettore (S1P1)
accoppiato a proteina G specifico e i segnali che si generano stimolano il movimento delle cellule T
naive lungo il gradiente S1P, quindi al di fuori del parenchima nodale. I linfociti T naive circolanti
esprimono poco il recettore per S1P in quanto essendo la molecola concentrata nel sangue si ha in-
ternalizzazione del recettore. Quando un naive entra nel linfonodo servono poi ore per ripristinare il
recettore e quindi si ha tempo di interagire con le APC. A seguito dell’attivazione il linfocita riduce l’e-
spressione di S1P1 e rimane nel linfonodo per alcuni giorni, il tempo di differenziarsi; a differenziazione
avvenuta S1P1 torna ad essere espresso e la cellula lascia il linfonodo in direzione dei tessuti periferici.
La migrazione delle cellule T naive nella milza è meno regolata, e il trasferimento è guidato da
fattori passivi piuttosto che dal coinvolgimento di selectine, integrine o chemochine. Pur essendo una
migrazione meno efficiente, il numero di linfociti di passaggio per la milza è enorme: almeno metà del
totale attraversa l’organo ogni giorno.

1.3.2 Migrazione ai siti infiammatori


Un aspetto fondamentale della differenziazione dei naive in effettori è il cambiamento dei recettori per le
chemochine e delle molecole di adesione: questo ne cambia il comportamento migratorio. L’espressione
delle molecole coinvolte nell’homing delle cellule naive cala subito dopo l’attivazione antigenica: le
cellule effettrici in questo modo non sono più costrette a stare nel linfonodo. L’uscita dal nodo è
guidata anche dalla via di S1P e del suo recettore S1P1. Le cellule effettrici esprimono molecole di
adesione e recettori per chemochine che legano molecole tipicamente presenti sulle cellule endoteliali
ai siti infiammatori.
Alcune cellule effettrici hanno propensione per tessuti particolari, e la selettività è acquisita nel
processo di differenziazione. In questo modo il sistema adattativo dirige cellule specializzate alle loro
sedi preferenziali in modo da gestire infezioni di tipo particolare. Ad esempio le cellule effettrici della
pelle esprimono il ligando CLA-1 per la selectina E, e i recettori CCR4 e CCR10 per le chemochine
CCL17 e CCL27, tutte molecole tipiche della cute infiammata.

1.3.3 Migrazione delle cellule della memoria


Sono state definite due tipologie di cellule della memoria: centrali ed effettrici. Le cellule centrali tipi-
camente migrano agli organi linfoidi secondari mentre le effettrici ai tessuti periferici. In generale
le cellule dirette ai tessuti periferici rispondono a stimolazione antigenica con una rapida produzione
di citochine mentre quelle dirette ai tessuti linfoidi secondari tendono a proliferare di più e a fornire
funzioni di supporto alle cellule B.

1.3.4 Homing dei linfociti B


I linfociti B immaturi abbandonano il midollo e entrano nella milza dove maturano come cellule B
follicolari o cellule B marginali. Quando le cellule B follicolari maturano queste migrano nella polpa
bianca in risposta ad una chemochina, CXCL13, che lega il recettore CXCR5 e alle chemochine CCL19
e CCL21 che legano il recettore CCR7. Quando la maturazione è completa nella polpa bianca i linfociti
B naive rientrano in circolo e si dirigono ai linfonodi.
L’homing dei B naive ai linfonodi coinvolge molecole già viste: la selectina-L, CCR7, LFA1 (che
lega PNAd), CCL19, CCL21 e ICAM-1. In aggiunta i naive esprimono il recettore CXCR4 che lega la
chemochina CXCL12. Una volta entrati nello stroma degli organi linfoidi secondari i linfociti B migrano
nei follicoli grazie alla chemochina CXCL13 (ma nel caso delle placche del Peyer la molecola è CXCR5).

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1 Capitolo 4. Anticorpi ed antigeni
Gli anticorpi sono proteine circolanti prodotte nei vertebrati in risposta all’esposizione a strutture
estranee. Queste molecole possono esistere in due forme:
• legate alla membrana dei linfociti B con funzione di recettori
• secrete in circolo dove agiscono neutralizzando tossine e prevenendo l’ingresso di agenti patogeni
Assieme al complesso maggiore di istocompatibilità e ai recettori per l’antigene dei linfociti T, costituis-
cono le tre classi di molecole coinvolte nel riconoscimento dell’antigene. Le funzioni effettrici anticorpo
mediate mirano all’eliminazione dell’antigene mediante processi diversi tra i quali l’opsonizzazione, la
citotossicità diretta, l’attivazione del complemento e l’ipersensibilità immediata che attiva i mastociti.

1.1 Produzione e distribuzione degli anticorpi


Le uniche cellule in grado di produrre gli anticorpi sono i linfociti B in seguito ad esposizione con
l’antigene. Le prime fasi avvengono principalmente negli organi linfoidi, soprattutto milza e tessuti
linfoidi associati a mucose, anche se plasmacellule di lunga durata si ritrovano nel midollo osseo. Una
volta attivati i linfociti B diventano plasmacellule in grado di secernere anticorpi e tali cellule riescono
a persistere per lungo tempo. Un uomo adulto produce ogni giorno circa 2-3 g di anticorpi che tuttavia
hanno una emivita molto breve, pari a circa tre settimane. Almeno i due terzi di questi anticorpi fanno
parte della classe delle IgA. Gli anticorpi una volta prodotti spesso si attaccano a cellule effettrici del
sistema immunitario quali cellule NK, fagociti mononucleati e mastociti.

1.2 Struttura molecolare


Prima di passare alla struttura vera e propria è opportuno fare una parentesi sugli anticorpi mono-
clonali: questi sono stati essenziali per comprendere la struttura di tutti gli anticorpi. Visto che ogni
linfocita B produce anticorpi con un’unica specificità, e purtroppo questi hanno emivita molto breve,
per studiare la struttura degli anticorpi sono stati creati linfociti B immortali detti “ibridomi”. Queste
cellule sono state ottenute mediante fusione di linfociti B con cellule di mieloma multiplo, tumore
monoclonale delle plasmacellule. Gli anticorpi prodotti da tali cellule sono detti “anticorpi monoclon-
ali”. Per osservare la struttura di un anticorpo di uno specifico antigene, si immunizza un ratto con
tale antigene e se ne isolano i linfociti B prodotti, utilizzati poi per la creazione dell ibridoma. Ogni ib-
ridoma darà poi origine a progenie di ibridomi specifici per tali antigene. Per confermarne la specificità
si effettuano saggi immunologici con l’antigene in questione. Questa scoperta degli ibridomi è stata
utilizzata in molte applicazioni e tra le più comuni ricordiamo:
• classificazione dei linfociti in base al fenotipo espresso mediante legame con anticorpi specifici.
• immunodiagnosi di molte malattie sistemiche mediante riconoscimento in circolo di determinati
antigeni
• diagnosi di tumori
• terapia ad esempio di artriti reumatoide o tumore alla mammella
• evidenziare presenza di citochine mediante valutazione se l’anticorpo stimola o inibisce una de-
terminata cellula.
Essendo gli anticorpi monoclonali proteine estranee al nostro organismo, questi creavano un certo
grado di resistenza. Sono stati creati i cosiddetti anticorpi umanizzati mediante inserimento genetico
del segmento che codifica per i siti di legami specifici dell antigene all’interno del segmento di DNA
che codifica l’impalcatura dell’anticorpo. L’anticorpo ha cosi sembianze “umane” ma sito di legame
specifico.
Le immunoglobuline appartengono alla famiglia delle gammaglobuline (gamma per la velocita
elettroforetica e globuline per la solubilità). Tutti gli anticorpi condividono la stessa struttura di base
e differiscono solo nel sito di legame antigenico in cui vi è elevatissima variabilità. Una molecola
anticorpale ha una struttura simmetrica composta da due catene leggere e due pesanti. Queste

1
catene sono costituite dai cosiddetti domini Ig costituiti da una serie di circa 110 amminoacidi disposti
a “sandwich”. Ogni dominio è costituito da due β foglietti costituiti da 5 nastri polipeptidici uniti da α
eliche e ponti di solfuro. Molte proteine nel nostro organismo che mediano processi di riconoscimento
sfruttano i domini Ig e tali proteine vengono classificate come appartenenti alla superfamiglia delle
immunoglobuline.

Sia le catene pesanti che quelle leggere posseggono una regione variabile V amino terminale e una
regione costante C carbossiterminale. Nelle catene pesanti la regione V è composta da un dominio Ig
e la regione C da tre domini Ig. Nelle catene leggere sia la V che la C da un dominio Ig. Le estremita
C delle catene pesanti sono legate covalentemente tra di loro nella regione CH2 tra due cisteine vicino
alla regione “hinge” o cerniera. Queste regioni C sono quelle che tengono ancorate le Ig ai linfociti B
e sono le responsabili della maggior parte delle interazioni con le cellule effettrici. Le interazioni con le
cellule effettrici (es linfociti citotossici) sono ristrette a queste regioni che non hanno niente a che fare
con il riconoscimento dell’antigene, evento legato alle regioni V. Le regioni C delle catene leggere sono
legate alle regioni C delle catene pesanti ma non interagiscono né all’ancoraggio né alle interazioni con
altre cellule.
Se si tratta un Ig con la papaina questa viene tagliata a livello della cerniera e si formano tre
pezzi separati: due pezzi identici detti Fab sono costituiti ciascuno da una catena leggera legata a una
catena pesante; tali segmenti hanno mantenuto la capacità di legare l’antigene. Il terzo pezzo detto Fc è
costuito da due segmenti identici di catena pesante Ch2 e Ch3 legati da ponti di solfuro; tale segmento
non ha capacita di legare antigeni.

Regioni variabili V Ogni anticorpo ha due catene leggere e due pesanti che vanno a delimitare due
siti di legame per due antigeni. La maggior parte delle differenze tra due anticorpi risiede in tre piccoli
segmenti delle due regioni variabili: questi tre segmenti detti regioni ipervariabili sono situati nelle
anse che connettono i β foglietti adiacenti nel dominio Ig e hanno una lunghezza di circa 10 amminoaci-
di. Le tre regioni ipervariabili dette CDR1, CDR2, CDR3, della catena pesante si associano a quelle
della catena leggera per formare quella struttura tridimensionale che costituisce il sito di legame per
l’antigene. Le sequenza adiacenti a tali regioni sono altamente conservate e mantengono la forma dei
domini Ig pressochè identica nei diversi anticorpi.

Regioni costanti C Gli anticorpi sono divisi in classi e sottoclassi in base alle differenze nella strut-
tura presenti nelle regioni costanti delle catene pesanti. Le diverse classi anticorporali, dette isotipi,
sono IgA, IgE, IgM, IgG e IgD. IgA e IgG sono ulteriormente divise in IgA 1 e 2 e IgG 1, 2, 3 e 4.
Le catene pesanti di uno stessi isotipo hanno la medesima sequenza amminoacidica e tali catene
vengono nominate con la lettere greca corrispondente al loro isotipo (α, ε, γ, µ, δ). Isotipi diversi
svolgono funzioni diverse, infatti abbiamo visto essere le regioni C delle catene pesanti a determinare
il tipo di interazione e quindi di risposta delle cellule effettrici. Gli anticorpi sono capaci nonostante
la loro forma a Y di legare antigeni situati a 180 gradi tra loro grazie alla loro flessibilità dovuta a due
fattori:

2
• capacità dei domini Vh (v delle catene pesanti) di ruotare attorno al corrispondente dominio Ch
• flessibilità della regione cerniera tra Ch1 e Ch2
Esistono due tipi di catene leggere, una κ e una λ. Ciascun anticorpo è omogeneo per le due catene,
ovvero non contiene mai una catena κ e una λ ma sempre due catene dello stesso tipo. Nell’uomo il
60% delle Ig è formato da catene κ. In pazienti con tumori delle cellule B ovviamente questo rapporto
varia e dunque si usa questo dato per valutare la presenza di eventuali neoplasie. Abbiamo detto che le
catene pesanti sono costituite da tre domini Ig, e che gli anticorpi esistono in forma secreta o in forma
di membrana; la sequenza amminoacidica C terminale dell’ultimo dominio Ig delle catene pesanti è
quella che determina se un anticorpo sarà di secrezione o di membrana. La porzione carbossiterminale
è idrofila, negli anticorpi di membrana in aggiunta vi è una regione transmembrana idrofobica seguita
da una regione intracellulare carica positvamente che la ancora alla membrana. Le IgG e IgE secrete
sono semplici monomeri ovvero due catene leggere e due pesanti. Le IgD non esistono in forma
secreta, mentre le IgA sono spesso dimeri (4e4)e IgM sono o pentameri o esameri dotate di un
peptide addizionale detto catena j deputato a stabilizzare il complesso.

1.2.1 Interazione con l’antigene


Un antigene è una qualsiasi molecola che possa legarsi a un anticorpo o a un linfocita T. Gli anticorpi
possono legarsi praticamente a qualsiasi tipo di molecola mentre i linfociti principalmente a peptidi,
tuttavia solo determinati antigeni riescono ad attivare i linfociti e questi sono definiti immunogeni. Ad
esempio perchè si attivi un linfocita B serve che sia una macromolecola, composti di piccole dimensioni
possono si legarvisi ma non attivarlo; è neccessario che questi piccoli antigeni definiti apteni siano
accompagnati da una macromolecola definita carrier. Il complesso aptene-carrier è molto piu grande
della regione di legame dell’anticorpo di conseguenza l’anticorpo si lega solo a una regione definita
determinante o epitopo. Se un antigene presenta piu determinanti identici contemporaneamente è
detto polivalente. Se i determinanti sono ben separati più anticorpi identici potranno legarsi allo stesso
antigene senza influenzarsi, se gli epitopi sono molto vicini ecco che compare un grado di interferenza. I
determinanti costituiti dalla semplice sequenza amminoacidica sono detto determinanti lineari, quelli
invece costituiti da una struttura tridimensionale sono detti determinanti conformazionali e sono
dovuti alla disposizione spaziale e non lineare degli amminoacidi. Modificazioni quali glicosilazione ecc
possono, alterando la struttura proteica, creare nuovi epitopi detti determinanti neo-antigenici.
Il riconoscimento dell’antigene da parte dell’aticorpo è costituito da legami non covalenti re-
versibili quali forze di van der Waals e interazioni idrofobiche. La forza di tale legame tra Ig e il
suo antigene è detta affinità ed è espressa da una costante di dissociazione Kd: minore è la K e
maggiore è la affinità. Un siero umano contiene una miscela di anticorpi per lo stesso antigene con
affinità differenti. Antigeni polivalenti posseggono piu siti di legame e la forza di legame sarà differente
da quella di un singolo legame: tale forza complessiva è detta avidità. In questo modo un Ig con bassa
affinità può comunque avere una grande avidità. Un antigene polivalente si associa con gli anticor-
pi e, a una determinata concentrazione detta zona di equivalenza, vanno a formare una rete detta
immunocomplesso. Aumentando le concentrazioni di antigene o anticorpo tali immunocomplessi si
rompono in complessi più piccoli a causa della competitività.

3
1.2.2 Riconoscimento dell’antigene
Gli anticorpi riconoscono una ampia varietà di antigeni e la loro efficienza è possibile grazie alle
proprietà delle loro regioni V:
• Specificità: Gli anticorpi sono estremamente specifici essendo in grado di distinguere minime
differenze nella struttura chimica degli Ag, addirittura la variazione di un singolo residuo am-
minoacidico. Tuttavia alcuni possono legarsi anche a un Ag normalmente non correlati a causa
della cosiddetta cross-reattività, tale fenomeno può essere la cause dell’insorgenza di malattie
immunitarie.
• Diversificazione: Un individuo è in grado di generare un numero enorme di anticorpi differenti e
l’insieme complessivo dei diversi isotipi è detto repertorio anticorpale.
• Maturazione dell’affinità: In seguito a stimolazione dall’antigene i linfociti B sono in grado di
produrre anticorpi con maggiore affinità di quelli che erano già in circolo per lo stesso antigene.
Abbiamo detto che è la porzione Fc a determinare la funzione effettrice. Tuttavia si è visto che i
sistemi effettori sono attivati dalla porzione Fc solo se l’anticorpo è contemporaneamente legato nella
porzione Fab, inoltre per attivare i recettori Fc (FcR) delle cellule effettrici servono almeno due molecole
anticorporali legate a “ponte”per ciascuna cellula. Nelle cellule B sono normalmente espressi le IgM
e IgD, queste una volta legato l’antigene possono andare incontro a una modificazione della Fc detta
switching isotopico che fa variare la regione C ma non la V, quindi varia l’effetto ma non il ligando.

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1 Capitolo 5. Complesso maggiore di istocompatibilità
Il sistema umorale combatte gli antigeni extracellulari in due modi: ne blocca l’azione e ne promuove
l’eliminazione. Nel caso di antigeni extracellulari abbiamo visto che il testimone passa ai linfociti T che
tuttavia necessitano di recettori esposti sulle cellule bersaglio che presentino l’antigene ai propri recet-
tori.Questa funzione è svolta dal complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Vi sono due principali
prodotti genici dell’MHC :le molecole MHC di classe I che presentano gli Ag ai linfociti citotossici e le
molecole di classe 2 che li presentano ai linfociti helper.

1.1 Scoperta dell’MHC


1.1.1 Scoperta nel topo
Alcuni geni sono rappresentati da una unica sequenza di DNA identica in tutta la popolazione e tali sono
geni non-polimorfici e in genere sono presenti in modo omozigote su entrambi i cromosomi; altri geni
esistono in forme alternative, ciascuna variante è detta allele, e vengono chiamati geni polimorfici.
Individui detti imbred sono omozigoti di ogni locus genico e in ogni ceppo di tali individui ogni topo
è geneticamente identico a un ogni altro: questi organismi si ottengono tramite ripetuti incroci tra
individui consanguinei.
Trapianti cutanei all interno di un stesso ceppo imbred venivano accettati, mentre tra ceppi venivano
rifiutati. I geni responsabili di tale rigetto sono detti geni di istocompatibilità; mediante trapianti tra
ceppi che differivano un un solo locus è stato possibile identificare quello responsabile del rigetto ed
è stato chiamato locus maggiore di istocompatibilità: esso era legato a un gene sul cromosoma 17
che codificava l’antigene 2 quindi venne chiamato H2. Successivamente si è visto che tale regione
conteneva diversi geni correlati con la istocompatibilità, venne quindi ribattezzata complesso maggiore
di istocompatibilità.
Qual è il ruolo dell’MHC? I trapianti cutanei non sono qualcosa di naturale, quindi il vero ruolo del
complesso rimase un mistero per molto tempo dopo la sua scoperta. Ceppi allogenici per MHC avevano
grosse differenze nella capacità di sintesi di anticorpi specifici: i geni rilevanti in tali differenze, chiamati
geni della risposta immunitaria Ir, furono anche essi mappati all’interno del MHC, chiarendone
definitivamente il ruolo biologico.

1.1.2 Scoperta nell’uomo


Le molecole umane del MHC sono chiamate antigeni leucocitari umani (HLA) corrispondono alle H2
del topo. Sieri di pazienti contenenti anticorpi contro antigeni espressi da individui allogenici sono
detto alloantisieri, gli anticorpi alloanticorpi e gli antigeni alloantigeni. Questi antigeni sono i nostri
HLA .I primi tre geni definiti sono HLA-A, HLA-B, HLA-C: questi sono identificati come geni MHC di
classe I e sono gli omologhi dell’ H2 del topo responsabili del rigetto nel trapianto(non-self). I geni Ir
del topo responsabili della produzione di anticorpi, nell’uomo corrispondono ai geni MHC di classe II
e sono HLA-DR, HLA-DP, HLA- DQ.

1
Nell’uomo il cromosoma che contiene tutto il complesso maggiore di istocompatibilità è il cromosoma
6.
In generale le proprietà dei geni dell’MHC possono riassumersi in:
• Codifica di due gruppi di proteine (I e II) strutturalmente distinte ma omologhe
• Sono i geni con il più alto grado di polimorfismo dell’intero genoma: per HLA-B esistono almeno
250 alleli differenti
• Sono geni espressi in codominanza in modo da massimizzare il numero di molecole MHC sintetiz-
zabili
Il set di alleli MHC di un individuo è definito aplotipo.

1.2 Struttura delle molecole MHC


Tutte le molecole Mhc hanno in comune determinate caratteristiche:
• Sono tutte formate da una tasca extracellulare per legare il peptide e da una coppia di domini Ig
ancorati alla cellula.
• La tasca è costituita da doppie α eliche poggiate su un pavimento costituito da otto β foglietti. Le
regioni variabili sono situate all’interno di questa tasca.
• I domini Ig sono non-polimorfici e sono i reponsabili delle interazioni e legame con i linfociti T.

1.2.1 Molecole MHC di classe I


Queste molecole sono espresse su tutte le cellule nucleate .Sono costituite da due catene polipep-
tidiche legate non covalentemente, una catena α codificata da MHC e una β non codificata da MHC
detta β microglobulina. La catena α è per due terzi extracellulare mentre la parte carbossiterminale è
all’interno della cellula. La parte esterna è costiuita da tre segmenti α1, α2 e α3. I segmenti ammino
terminali α1 e α2 sono i siti in cui vi sono le regioni polimorfe e vanno a contribuire nella formazione
della tasca. La regione α3 è conservata identica e contiene un’ansa per il legame con i CD8. La catena
β non contribuisce né alla tasca né all’ansa di ancoraggio: essa è legata non covalentemente con la
regione α3. Affinche il complesso di classe I possa essere esposto sulla superficie necessita che sia in
tal modo assemblato e che inoltre sia legato ad un peptide antigenico.

2
1.2.2 Molecole MHC di classe II
Queste molecole sono espresse solo dalle cellule del sistema immunitario. Le molecole di classe II
sono formate da due catene, anche esse una α e una β, entrambe codificate da geni MHC polimorfi.
Queste molecole sono perfettamente simmetriche: tasca e pavimento sono formati per metà dal seg-
mento α1 e per metà dal segmento β1 ed è su tali regioni che abbiamo i residui polimorfi . Le catene α2
e β2 sono costanti e un’ansa di β2 funge da legame con i linfociti CD4. Questi due segmenti continuano
poi al livello citoplasmatico con una coda idrofila.

1.3 Legame con il peptide


Tutte le proteine immunogeniche danno origine a peptidi che si legano alle MHC. Ogni molecola di MHC
può legare peptidi diversi in tempi diversi. Le molecole MHC legano peptidi diversi, tuttavia il linfocita
T può riconoscere solo uno dei peptidi legati: la specificità dunque non risiede nella molecola di MHC
ma nel recettore dei linfociti T.
I peptidi che si legano alla stessa MHC hanno caratteristiche strutturali comuni e residui ammi-
noacidici molto simili. Il legame tra peptide e MHC è un legame che si dissocia molto lentamente così
da dare il tempo ai linfociti specifici di arrivare nel sito di legame e riconoscere l’antigene. Le molecole
MHC non distinguono tra self e non quindi espongono entrambi, sta ai linfociti T riconoscere i self.
Gli antigeni proteici vengono tagliati all’interno delle cellule che presentano l’antigene ed esposti
dalle MHC. Le MHC nel pavimento della tasca presentano delle “nicchie” nelle quali specifici residui
amminoacidici dell’antigene possono infilarsi: sono i cosiddetti residui àncora, generalmente uno o
due per peptide.Tra peptide e MHC si instaura un legame non covalente. Il passo successivo è l’inter-
azione con il linfocita T: la parte del peptide esposta deve essere riconosciuta dei recettori per l’antigene
dei linfocitiT specifici. I recettori dei linfociti non riconoscono soltanto l’antigene ma anche i residui
polimorfi delle α eliche stesse delle MHC. Grazie all’elevato polimorfismo delle MHC abbiamo la possi-
bilità di riconoscere e legare moltissimi antigeni microbici riducendo la possibilità che questi possano
sfuggire al sistema immunitario.

1.4 Organizzazione genomica ed espressione dell’MHC.


L’MHC è localizzato sul braccio corto del cromosoma 6 e la β2-microglobulina sul cromosoma 15.
I geni per HLA-A, B e C quindi di classe I sono più telomerici mentre quelli di classe II sono più
ceentromerici nel locus HLA. Correlati ai locus di classe II vi sono i geni che codificano per svariate
proteine coinvolte nella presentazione dell’antigene:
• TAP: eterodimero che trasporta peptidi dal citosol al RE dove verranno associate alle MHC I
• Proteasoma: degrada le proteine a peptidi.

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• HLA-DM coinvolto nel legame tra petpide e MHC II
• Geni che codificano per proteine del complemento e tre citochine complessivamente chiamati MHC
di classe III.
• Geni a tipo classe I situati tra HLA-A e HLA-C che codificano proteine espresse in associazione alla
β2- microglobulina chiamate molecole di classe IB,fra cui HLA-G importante nel riconoscimento
da parte delle NK.
Lo straordinario polimorfismo delle molecole MHC si è generato per conversione genica e non per
mutazioni puntiformi, ovvero mediante sostituzione di intere sequenze geniche con altre provenienti
da geni vicini senza però reciproca ricombinazione.
Abbiamo detto che le molecole di classe I sono espresse costitutivamente su quasi tutte le cellule
nucleate, i loro effettori, ovvero i linfociti CD8 che hanno lo scopo di uccidere le cellule infettate, devono
essere in grado infatti di uccidere qualsiasi cellula infettata, quindi le molecole di classe I presentano
microbi intracellulari. Le molecole di classe II invece sono espresse solo su cellule dendritiche, linfociti
B e macrofagi. Le molecole di classe II forniscono un sistema per presentare peptidi derivati da micror-
ganismi extracellulari ai linfociti CD4+ helper che hanno il compito di attivare i linfociti B a produrre
anticorpi e i macrofagi a eliminare i microbi extracellulari fagocitati.
L’espressione di queste molecole di MHC è aumentata in presenza di citochine:
• IFNα IFNγ, IFNβ ,TNF e LT prodotti precocemente durante la risposta innata vanno ad aumentare
l’espressione delle MHC di classe I. Questo è uno dei meccanismi con il quale la immunità innata
stimola la specifica.

• Le molecole di classe II sono stimolate principalmente da IFNγ prodotte da cellule NK e linfociti


attivati,è dunque una amplificazione dell’immunità innata stessa.
Le citochine vanno ad aumentare la espressione delle MHC andando a stimolare la velocità di trascrizione
mediante fattori di trascrizione. Diversi di questi sono assemblati nella proteina CIITA che agisce
soprattutto sulle MHC II. Alterazioni di tali fattori di trascrizione sono la base di alcune malattie
immunitarie tra cui la sindrome del linfocita nudo.

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1 Capitolo 6. Processamento dell’antigene e presentazione ai lin-
fociti T
Le caratteristiche più importanti del riconoscimento antigenico da parte dei linfociti T sono:

• Riconoscimento (quasi) esclusivo di strutture peptidiche. I linfociti B sono invece in grado di


riconoscere peptidi, proteine, acidi nucleici, polisaccaridi, lipidi e piccole molecole.
• Riconoscimento di specifiche sequenze peptidiche. I linfociti B riconoscono invece strutture
molecolari tridimensionali; i linfociti T sono quindi in grado di discriminare tra antigeni diversi
anche per un solo aminoacido.

• Totale dipendenza dalle APC. I linfociti T riconoscono solamente i peptidi presentati sulle molecole
MHC espresse dalle APC.
• Totale dipendenza dall’MHC. Questa proprietà è alla base della cosiddetta restrizione al self
MHC. La restrizione all’MHC deriva dalla maturazione dei linfociti nel timo; in questa fase i lin-
fociti che esprimono recettori per MHC vengono fatti sopravvivere, quelli che non riconoscono
queste molecole vengono invece eliminati. Questo dimostra come le molecole MHC siano parte
integrante dei ligandi dei linfociti T. Fondamentale è poi la reattività a molecole MHC non self:
questo processo è alla base del rigetto dei trapianti.
• I linfociti CD4+ riconoscono MHC II, i linfociti CD8+ riconoscono MHC I. La ragione è che CD4
lega direttamente la classe due del MHC, mentre CD8 lega la classe I.

• I CD4+ legano soprattutto proteine extracellulari internalizzate dalle APC, mentre i CD8+ legano
soprattutto proteine endogene. La ragione di questa differenza sta nel pathway seguito dalle APC
per presentare questi due tipi di antigeni.
Esiste inoltre un sistema di presentazione antigenico accessorio che è specializzato per gli antigeni
lipidici. La molecola CD1 (simil MHCI nonpolimorfica) viene espressa su molte APC ed epiteli e ha il
compito di presentare i lipidi a una popolazione di cellule T stranamente non MHC-ristretta.

1.1 APC
Tutte le funzioni dei linfociti T dipendono dalle loro interazioni con altre cellule. In generale la risposta
antigene specifica di queste cellule richiede la partecipazione delle APC che catturano, trasformano e
presentano l’antigene. Le APC svolgono due importanti lavori nell’attivazione delle cellule T:
• Convertono antigeni proteici in peptidi e li presentano associati come complessi MHC. La conver-
sione prente il nome di processing.

• Alcune APC forniscono stimoli accessori per i linfociti T: questi costimolanti sono richiesti per
una piena risposta dei linfociti, specialmente i CD4+ naive.
La funzione di presentazione è stimolata dall’esposizione a prodotti microbici. Le cellule dendritiche e
i macrofagi esprimono TLR che rispondono ai microbi aumentando l’espressione dell’MHC e dei costi-
molanti e attivando le APC che producono citochine. In aggiunta le cellule dendritiche e i macrofagi
attivati esprimono recettori per chemochine che ne causano la migrazione ai siti di infezione.
Per indurre una risposta dei linfociti T ad un antigene proteico per via sperimentale è necessario
somministrare anche sostanze chiamate adiuvanti. Gli adiuvanti possono essere prodotti microbici o
sostanze che ne mimano le caratteristiche.
Differenti tipologie cellulari agiscono da APC per attivare i linfociti T naive. Le cellule dendritiche
sono le più efficaci nell’attivare i naive CD4+ e CD8+ . I macrofagi presentano antigeni ai CD4+ già
differenziati (effettori) mentre i linfociti B presentano gli antigeni ai linfociti T helper durante le risposte
umorali. Cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B esprimono sia MHC II che costimolanti e possono
dunque attivare i linfociti T CD4+ : sono pertanto definite APC professionali.

1
1.1.1 Presentazione ai linfociti T naive
Le cellule dendritiche sono presenti in quasi tutti i tessuti e si identificano per le proiezioni membra-
nose. Tutte queste cellule probabilmente nascono da precursori midollari e quasi tutte sono legate alla
linea dei fagociti mononucleati. Il prototipo di cellula dendritica epiteliale è la cellula di Langerhans
dell’epidermide: queste cellule occupano fino al 25% della superficie dell’epidermide pur essendo l’%
del totale. Normalmente queste cellule sono in condizione di riposo; in risposta all’incontro di un com-
ponente microbico queste cellule maturano mentre migrano ai linfonodi diventando efficaci APC. Le
cellule dendritiche mature risiedono nella zona T del linfonodo, dove presentano gli antigeni ai linfociti
T.
Le risposte dei CD4+ iniziano nei tessuti linfoidi periferici, dove gli antigeni vengono trasportati
dopo essere stati catturati. Le APC immature esprimono recettori di membrana che legano i microbi:
grazie a questi riescono a catturare e processare l’antigene. Le cellule dendritiche attivate perdono
la loro aderenza per gli epiteli e iniziano ad esprimere il recettore per chemochine CCR7: questo le
farà guidare verso la zona T del linfonodo (era lo stesso recettore che guidava i linfociti T naive verso
la regione corretta). Il legame con l’antigene converte le cellule dendritiche da cellule la cui funzione
è catturare a cellule la cui funzione è presentare gli antigeni: le cellule dendritiche attivate esprimono
alti livelli di molecole MHC II.
Le cellule dendritiche sono le migliori APC per via di alcune loro caratteristiche:

• Sono strategicamente posizionate lungo le più comuni vie di ingresso di patogeni.


• Esprimono recettori utili a legare i microbi.
• Migrano di preferenza nelle stesse regioni di linfonodo all’interno delle quali circolano i linfociti T
naive.

• Esprimono ad alti livelli i costimolanti.


Gli antigeni possono arrivare al linfonodo anche in soluzione nel plasma: una volta a destinazione
verranno processati dai macrofagi e dalle cellule dendritiche residenti.
Il processo di accumulo degli antigeni è potenziato da due accorgimenti anatomici. Il primo è rap-
presentato dalle collezioni di tessuto linfoide secondario che caratterizzano le superfici mucosali dei
tratti GI e respiratorio; le collezioni di tessuto definite in modo più chiaro sono le placche del Peyer
dell’intestino e le tonsille faringee. Il secondo accorgimento è il costante controllo del sangue da parte
della milza, all’interno della quale risiedono APC apposite.
Le cellule dendritiche possono ingerire cellule infette o tumorali e presentare gli antigeni di queste
cellule ai linfociti T CD8+ . Le cellule dendritiche hanno la speciale abilità di ingerire queste cellule e di
presentarne gli antigeni su molecole MHCI: questa via è diversa dalla solita (normalmente le sostanze
fagocitate finiscono su MHCII e riconosciute dai CD8+ ) e prende il nome di cross-presentazione.

1.1.2 Presentazione ai linfociti T differenziati


Nell’immunità cellulomediata i macrofagi presentano gli antigeni delle cellule fagocitate ai linfociti T
differenziati, i quali attivano i macrofagi per uccidere i microbi. I monociti circolanti sono in grado
di migrare ai siti di infezione dove differenziano in macrofagi per fagocitare e distruggere i microbi. Le
cellule CD4+ amplificano le attività microbicide. Quasi tutti i macrofagi esprimono MHC II a bassi livelli
insieme ai costimolanti: questi livelli vengono aumentati dall’interferone gamma.
Nelle risposte umorali i linfociti B internalizzano gli antigeni proteici solubili e li presentano ai
linfociti T helper: questa funzione è necessaria per la produzione di anticorpi dipendente dagli Helper.
Tutte le cellule nucleate possono presentare peptidi (derivanti da antigeni proteici citosolici) associati
a MHCI e attivare così i linfociti T CD8+ : tutte le cellule nucleate esprimono infatti MHC I. Per il
sistema immunitario è fondamentale infatti la possibilità di riconoscere antigeni citosolici contenuti
all’interno di qualsiasi tipo di cellula. Le cellule endoteliali vascolari esprimono inoltre MHC II e possono
presentare antigeni alle cellule T in aderenza alle pareti.

2
1.2 Biologia del processamento antigenico
Le vie di processamento e presentazione non sfruttano alcun organello cellulare esclusivo: le vie di
presentazione, sia MHCI che MHCII, sono dunque adattamenti di funzioni cellulari di base.
Gli antigeni proteici presenti nelle vescicole acide delle APC generano peptidi MHCII-associati mentre
gli antigeni citosolici generano peptidi MHCI-associati. Questa segregazione delle vie è dovuta alla
completa separazione nella biosintesi delle molecole MHCI e MHCII.

1.2.1 Processamento per la presentazione MHC II

La generazione dei peptidi per MHCII a partire da antigeni endocitati prevede la degradazione
proteolit- ica di queste molecole in una serie di step ben definita.
• Endocitosi delle proteine extracellulari nelle vescicole dell’APC

Cellule dendritiche e macrofagi esprimono un’ampia gamma di recettori superficiali per riconoscere
strutture microbiche; in aggiunta i macrofagi esprimono anche recettori per la porzione Fc degli an-
ticorpi e recettori per la proteina C3b del complemento. A seguito dell’internalizzazione gli antigeni
proteici si trovano localizzati in vescicole intracellulari dette endosomi. Gli endosomi sono vescicole a
pH acido che contengono enzimi proteolitici.

• Processamento delle proteine all’interno di endosomi e lisosomi


La degradazione delle proteine nelle vescicole è mediata dalle proteasi contenute, le quali lavorano ot-
timamente al basso pH di queste strutture. Molti enzimi differenti partecipano alla degradazione: le
più abbondanti proteasi sono catepsine, enzimi ad ampio spettro d’azione. Raramente proteine cito-
plasmatiche e di membrana possono entrare in questa via: di solito si tratta di digestioni enzimatiche
dei componenti citoplasmatici, cioè si tratta di autofagia. In questi casi particolari le proteine vengono
intrappolate in vescicole derivanti dal RE chiamate autofagosomi, vescicole fuse poi con i lisosomi.
• Biosintesi e trasporto di MHCII agli endosomi
Le molecole MHC II vengono sintetizzate nel RE e trasportate agli endosomi in associazione ad una
proteina detta catena invariante (Ii ) che occupa le sedi di legame con il peptide. Le catene α e β delle
molecole MHC II vengono sintetizzate in maniera coordinata e si associano tra loro nel RE. I dimeri
nascenti sono strutturalmente instabili e il loro folding viene assistito dalle chaperonine. La catena
invariante si associa ai dimeri sempre all’interno del RE; questa molecola si trova in una posizione tale
da impedire alle nuove molecole di legare antigeni eventualmente presenti nel RE. La catena invariante
promuove inoltre il folding corretto e dirige le molecole neoformate verso gli endosomi e i lisosomi.
Le molecole di MHC II vengono a questo punto secrete dal Golgi all’interno di vescicole dirette agli
endosomi: queste si fonderanno poi insieme con il risultato che le molecole a questo punto si troveranno
nella stessa vescicola che contiene i peptidi generati dalla proteolisi. La fusione delle vescicole porta

3
alla formazione di quello che prende il nome di compartimento di classe MHCII o MIIC: questa
struttura contiene tutto quello che serve per l’associazione peptide-MHC; i contenuti precisi del MIIC
sono dunque
1. Enzimi proteolitici
2. Molecole MHCII

3. Catena invariante Ii
4. Peptidi di derivazione antigenica
5. Molecola HLA-DM

• Associazione dei peptidi alle molecole MHC II

All’interno del MIIC la catena Ii viene dissociata grazie all’azione di enzimi proteolitici e della molecola
HLA-DM: vengono così scoperti i siti di legame e i peptidi si legano. L’eliminazione della catena invari-
ante lascia una catena di 24 aminoacidi associata all’MHC: questa prende il nome di CLIP ed è ancora
in grado di bloccare il legame con i peptidi. La molecola HLA-DM si occupa di eliminare CLIP; questa
molecola è codificata all’interno del MHC ed è simile alle molecole di classe due ma ha molte differenze:
non è polimorfica, non associa la catena invariante e non viene espressa sulla superficie cellulare. In
breve HLA-MD è uno scambiatore di peptidi: rimuove clip e facilita la sua sostituzione con il peptide
digerito.
Le molecole di MHCII presentano una sede aperta di legame peptidico, per questo grandi peptidi o
anche proteine intere possono legarsi e venire poi tagliate alla lunghezza giusta per il riconoscimento:
il risultato è che normalmente vengono create catene lunghe dai dieci ai trenta aminoacidi.
• Espressione dei complessi sulla superficie
Le molecole di MHC II vengono stabilizzate dal legame con il peptide, e questi complessi vengono ind-
irizzati alla superficie per il riconoscimento: in questo modo solo le MHC II correttamente assemblate
possono essere poste all’esterno. Alla fine di questa serie di step la cellula presenta moltissimi comp-
lessi sulla sua superficie, la maggior parte dei quali presenta proteine self normali: non esiste infatti
un meccanismo di riconoscimento del self dal non self in questo ambito. Come è possibile dunque che
i linfociti vengano attivati da cellule che mostrano soprattutto molecole self? Questo è possibile perchè
i linfociti sono estremamente sensibili: bastano pochissimi riconoscimenti dei complessi giusti, anche
meno di cento, per generare una risposta specifica; cento complessi rappresentano meno dello 0,1% di
tutti i complessi espressi. Come è possibile però che i linfociti non reagiscano contro le molecole self
presentate? Questa seconda proprietà è dovuta al fatto che i linfociti in grado di riconoscere molecole
self non esistono normalmente: vengono eliminati durante la fase di maturazione nel timo.

1.2.2 Processamento per la presentazione MHC I

4
I peptidi associati a MHCI sono prodotti per degradazione di proteine citosoliche: vengono poi
trasportati nel RE e assemblati alle molecole MHCI nascenti.
• Fonti di antigeni citosolici
Gli antigeni estranei possono essere prodotti virali o di altri microbi intracellulari. Nelle cellule tumorali
molti geni possono produrre proteine antigeniche che vengono riconosciute da CTL MHC I ristretti.

• Degradazione proteolitica delle proteine citosoliche


Il meccanismo principale di degradazione è la proteolisi ad opera del proteasoma. Il proteasoma è
un complesso enzimatico multiproteico che si trova nel citoplasma della maggior parte delle cellule.
Esistono varie forme di proteasoma, uno semplice da sette subunità e 700kD e uno più grande, da
1500kD, probabilmente il più importante per questi scopi. Due subunità catalitiche presenti in molti
dei proteasomi da 1500kD sono codificate nel MHC e prendono il nome di LMP2 e LMP7. Il protea-
soma ha funzione housekeeping in quanto degrada le proteine danneggiate, non correttamente foldate
o ormai inutili: tutte questi bersagli di degradazione vengono marcati dall’ubiquitina. L’interferone
gamma aumenta la trascrizione e la sintesi di LMP2 e LMP7, aumentando dunque l’attività del pro-
teasoma: in questo modo aumenta l’efficacia della presentazione antigenica. Il fatto che questa via di
presentazione sfrutti il proteasoma è un esempio dell’adattamento a funzioni immunitarie di strutture
già esistenti. In aggiunta al metodo del proteasoma esistono antigeni proteici che apparentemente non
richiedono questo enzima e nemmeno ubiquitinazione: probabilmente esistono altre vie non meglio
definite che sfruttano direttamente il RE.
• Trasporto dei peptidi dal citosol al RE

Due geni all’interno del MHC codificano proteine che mediano il trasporto ATP dipendente di composti
a basso peso molecolare attraverso lemembrane cellulari. Questi geni in particolare codificano per due
catene di un eterodimero detto trasportatore associato al processing dell’antigene (TAP). La proteina
TAP si trova sulla membrana del RE dove media il trasporto dei peptidi: l’optimum si ha per il trasporto
di catene lunghe da sei a trenta aminoacidi, perfette per il legame con l’MHC. Sul lato luminale del RE,
TAP è legata in maniera non covalente alle neomolecole MHCI da una proteina linker detta tapasina:
le molecole di MHC sono dunque nella posizione migliore per ricevere i peptidi.
• Assemblaggio dei complessi nel RE
La sintesi e l’assemblaggio delle molecole MHC I sono processi multistep che richiedono il legame con
il peptide. Le catene α e β2 vengono sintetizzate nel RE e il folding corretto viene garantito da varie
chaperonine. All’interno del reticolo i dimeri scarichi rimangono attaccati a TAP grazie alla tapasina;
a seguito dell’ingresso di un peptide attraverso TAP si ha il taglio di questo a una dimensione corretta
da parte di una aminopeptidasi detta ERAP (Endoplasmic Reticulum Amino Peptidase). Il peptide a
questo punto lega la molecola MHCI e il complesso viene rilasciato dalla tapasina, esce dal RE e viene
trasportato sulla superficie cellulare. In assenza di peptide i dimeri sono instabili e non possono essere
trasportati fuori dal RE: vanno probabilmente incontro a degradazione in situ.

• Espressione superficiale dei complessi


I complessi in uscita dal RE vengono mobilitati sulla membrana grazie all’esocitosi di vescicole. Una
volta posti nella sede definitiva i complessi vengono riconosciuti dai linfociti CD8+ .

1.3 Significato della presentazione in complessi


Le vie di presentazione di classe I e II esplorano le proteine disponibili per la presentazione ai linfociti
T; la maggior parte di queste proteine sono self: quelle estranee sono relativamente rare. I linfociti
esaminano tutte le molecole presentate in cerca di quelle esterne per rispondervi attivamente. Le
molecole di MHC controllano sia lo spazio extracellulare che quello citosolico, in quanto i microbi
possono risiedere in entrambe le sedi.
La presentazione delle proteine vescicolari o citosoliche da parte dell’MHC II o I rispettivamente
determina quale sottogruppo delle cellule T risponderà a quei determinati antigeni. Gli antigeni extra-
cellulari seguono solitamente il pathway dell’MHC II e attivano quindi i linfociti T CD4+ : queste cellule

5
funzionano come aiutanti per stimolare i meccanismi effettori, quali anticorpi e fagociti. Gli antigeni
intracellulari invece sono inaccessibili ad anticorpi e fagociti e stimolano una via diversa: vengono
caricati su MHC I e stimolano i linfociti T CD8+ , la cui funzione è uccidere la cellula che li ha attivati.
Questa via garantisce che qualsiasi cellula, poichè MHC I viene espresso in ogni cellula nucleata, possa
impedire la diffusione di microbi facendosi eliminare dal sistema immunitario.
La specificità dei linfociti T è essenziale alle loro funzioni, in gran parte mediate da interazioni dirette
tra cellule o da citochine a breve raggio. Le APC non solo presentano gli antigeni ai linfociti T ma sono
anche il bersaglio delle loro funzioni effettrici: ad esempio i macrofagi presentano l’antigene ai CD4+ i
quali li attivano consentendo loro di distruggere il microbo.
Le molecole di MHC determinano l’immunogenicità di un antigene in due modi:
• Immunodominanza. Gli epitopi di proteine complesse che generano una risposta più forte nelle
cellule T sono i peptidi generati dalla proteolisi nelle APC e che legano più avidamente le molecole
di MHC. In un individuo esposto a un antigene proteico multideterminante la maggior parte delle
cellule T sarà specifica verso uno o due sequenze aminoacidiche dette epitopi immunodominanti.
• Responsività immunitaria geneticamente controllata. L’espressione di particolari alleli MHC II
in un individuo ne determina la capacità di rispondere a particolari antigeni. I geni della risposta
immunitaria che controllano le risposte anticorpali sono infatti parte dell’MHC II e determinano la
capacità di risposta in quanto cambia la capacità di legare i diversi peptidi antigenici.

1.4 Presentazione di antigeni lipidici delle molecole CD1


Rare popolazioni di linfociti T, detti cellule NK-T, sono in grado di riconoscere antigeni lipidici e gli-
colipidici. Questi linfociti hanno parecchie proprietà strane, ad esempio marker caratteristici sia delle
cellule T che delle NK, e poca diversità nei loro recettori per gli antigeni.
Le cellule NK-T riconoscono lipidi e glicolipidi presentati sulla molecola simil MHCI detta CD1.
Esistono molte varianti di questa molecola, ma seguono tutte la stessa via di presentazione. Le molecole
neosintetizzate caricano lipidi cellulari e li portano sulla superficie cellulare; da qui i complessi CD1-
lipide vanno incontro ad endocitosi in endosomi e lisosomi: le molecole CD1 acquisiscono dunque
lipidi antigenici durante il riciclo e li presentano senza apparente processamento. Le cellule NK-T
svolgerebbero un ruolo in particolare nella difesa dai micobatteri.

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1 Capitolo 7. Recettori antigenici e molecole accessorie dei lin-
fociti T
I linfociti T hanno una doppia specificità: per i residui di MHC e per l’antigene. Il recettore che
riconosce questi complessi MHC-antigene prende il nome di TCR (T-Cell Receptor) ed è distribuito
in maniera clonale, cioè cloni di cellule T con diverse specificità avranno diversi TCR. Le cascate
biochimiche di segnalazione iniziate dal TCR non sono da esso trasdotte: questo compito viene svolto
dalle proteine invarianti CD3 e ζ, che insieme al recettore formano il cosiddetto complesso TCR. La
segnalazione è dunque legata a elementi estremamente variabili (il TCR) e a elementi costanti.
Le cellule T esprimono altri recettori di membrana che non riconoscono l’antigene ma che con-
tribuiscono alla risposta: in generale si parla di molecole accessorie. Il ruolo fisiologico è per alcune
di facilitare la segnalazione del complesso TCR, per altre di fornire secondi segnali che attivano
completamente le cellule. Altre molecole accessorie ancora servono a stabilizzare il legame con le
APC, in modo da garantire il tempo necessario alla trasduzione del segnale.

1.1 αβ-TCR per antigeni MHC-associati


Il recettore antigenico sia dei linfociti CD4+ che dei CD8+ è un eterodimero costituito da una catena
α e una β tra loro unite da un ponte disolfuro. Entrambe le catene sono costituite da un dominio
simil-Ig N terminale variabile, uno simil Ig costante, un dominio transmembrana e una piccola
regione citoplasmatica; la porzione extracellulare è dunque simile alla porzione legante l’antigene di un
anticorpo, con una regione variabile e una costante sulla catena leggera e una variabile e una costante
sulla catena pesante.
Le regioni variabili V delle catene del TCR contengono piccole frazioni sulle quali la grande variabilità
è concentrata: si parla di CDR, o Complementarity Determing Regions. Tre CDR sulla catena α sono
giustapposte a tre regioni simili sulla catena β a formare la parte del recettore che riconosce i complessi
peptide-MHC. La regione variabile della catena β contiene poi una quarta regione ipervariabile che è
il sito di legame per i cosiddetti superantigeni. Ogni catena del TCR è codificata da più segmenti genici
che subiscono riarrangiamento somatico durante la maturazione dei linfociti. In entrambe le catene
la terza regione ipervariabile è composta da sequenze codificate dai segmenti genici V e J (catena α) o
dai segmenti V, D, J (catena β).
Le regioni costanti C di entrambe le catene formano cerniere che contengono i residui di cisteina per
i ponti disolfuro.
I TCR e gli anticorpi sono strutturalmente simili, ma vi sono delle profonde differenze. I TCR non
esistono in froma secreta e non hanno funzioni effettrici da soli, inoltre non subiscono variazioni
nella regione C e non hanno maturazione della loro affinità.

1
1.1.1 Ruolo del TCR nel riconoscimento dell’antigene
Il riconoscimento è mediato dalle regioni determinanti la complementarietà, o CDR, formate da en-
trambe le catene del TCR. Queste catene formano un singolo recettore eterodimerico responsabile sia
della specificità per il peptide che per l’MHC.
Il sito di legame per l’antigene è formato dalle sei CDR sulle due catene che formano un’interfaccia
molto simile a quella degli anticorpi. Il contatto tra il TCR e il complesso peptide-MHC è limitato a uno
o due aminoacidi: le cellule T riconoscono dunque i loro substrati sulla base di differenze minime.
L’affinità del TCR per i complessi è bassa, molto più di quella della maggior parte degli anticorpi.
Questa bassa affinità è probabilmente la ragione per cui sono necessarie le molecole di adesione per
avere una risposta biologica. Il TCR e le sue molecole accessorie sul linfocita T si muovono in maniera
coordinata ai loro ligandi sulle membrane delle APC per creare una struttura sopramolecolare detta
sinapsi immunologica.

1.2 Proteine CD3 e ζ del complesso TCR


Le proteine CD3 e ζ trasducono il segnale che porta all’attivazione del linfocita dietro stimolo del TCR.
La molecola CD3 è in realtà un insieme di tre proteine designate γ, δ e ε. Le tre proteine CD3 e la ζ
sono sempre uguali in tutte le cellule T: non hanno infatti ruolo nel riconoscimento ma solo nella
trasduzione del segnale.

1.2.1 Struttura
Le tre proteine CD3 sono omologhe tra loro, e le regioni extracellulari di tutte contengono un singo-
lo dominio simil-Ig: queste tre proteine sono dunque membri della superfamiglia delle Ig. I domini
citoplasmatici variano da 44 a 81 aminoacidi di lunghezza e ciascuno contiene una copia di una se-
quenza conservata detta ITAM (Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif) che gioca un ruolo
fondamentale nella segnalazione da parte del complesso.
La catena ζ ha una piccola regione extracellulare, una transmembrana e una lunga regione cito-
plasmatica contentente tre ITAM.
L’espressione del complesso TCR richiede la sintesi di tutti i suoi componenti. Nei linfociti T maturi
infatti l’intero complesso viene prodotto nel RE e trasportato sulla membrana.

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1.2.2 Funzione
Il primo evento intracellulare a seguito del riconoscimento antigenico è la fosforilazione dei residui di
tirosina contenuti nei domini ITAM di CD3 e ζ da parte di kinasi quali Lck o Fyn. Lck si associa alle
code citoplasmatiche di CD4 e CD8, Fyn a CD3. Le fosfotirosine così create diventano siti di attacco per
una tirosin kinasi, ZAP-70, che viene reclutata dalla catena ζ e porterà alla variazione dell’espressione
genica delle cellule T.

1.3 Recettori antigenici dei linfociti γδ


Il γδTCR è un secondo tipo di eterodimero espresso in un piccolo set di linfociti T αβ-negativi; questo
recettore è comunque associato alle proteine CD3 e ζ. La maggioranza delle cellule con questo recettore
non esprimono CD4 o CD8.
Le cellule che esprimono questo recettore sono linearmente distinte da quelle che esprimono il più
comune αβTCR: in totale meno del 5% dei linfociti esprime questa struttura. Queste cellule, insieme
alle cellule NK-T, i linfociti B di tipo B-1 e le cellule MZ B, potrebbero rappresentare un importante
collegamento tra l’immunità innata e quella adattativa. Le cellule con recettore γδ non riconoscono
gli antigeni peptidici MHC-associati e non sono MHC ristrette; alcune riconoscono piccole molecole
fosforilate o lipidi comuni nei batteri, altre riconoscono proteine che non richiedono processamento o
collaborazione delle APC. Il ruolo di queste cellule è comunque poco definito in quanto topi deficitari
non si mostrano particolarmente immunodeficienti o maggiormente suscettibili alle infezioni batteriche.

1.4 Recettori antigenici delle cellule NK-T


Una piccola popolazione di linfociti T esprime i markers tipici delle cellule NK: si tratta delle cellule
NK-T. Le catene alfa del TCR di queste cellule hanno una diversità limitata e sono caratterizzate da un
riarrangiamento caratteristico nell’uomo; queste cellule fanno ancora una volta da ponte tra l’immunità
innata e quella adattativa.
Tutte i TCR delle cellule NK-T riconoscono lipidi legati alle molecole simil-MHCI CD1. Queste cellule
producono rapidamente citochine quali IL-4 e IFN-γ a seguito della stimolazione.

1.5 Corecettori e recettori costimolanti nelle cellule T


I corecettori sono una categoria di proteine di membrana che amplificano il segnale di TCR; queste
strutture legano le molecole di MHC. I costimolanti conducono anch’essi dei segnali che attivano le
cellule T, ma riconoscono molecole sulle APC che non sono parte del complesso MHC-peptide.

1.5.1 CD4 e CD8: Corecettori coinvolti nell’attivazione delle cellule T MHC- ristrette
Le cellule T αβ mature esprimono CD4 o CD8, ma mai entrambi. Queste strutture interagiscono con
entrambe le classi di MHC quando i TCR della cellula riconoscono i complessi MHC-peptide dell’APC.
La funzione principale è nella trasduzione del segnale al momento del riconoscimento, ma possono

3
anche aumentare l’efficacia del legame tra cellula T ed APC. Nel pool dei linfociti maturi circa il 65%
esprime CD4 e il 35% CD8.

Struttura Entrambi i corecettori sono glicoproteine transmembrana facenti parte della superfamiglia
Ig. CD4 viene espresso come monomero e presenta quattro domini simil-Ig extracellulari, una regione
transmembrana e una coda basica citoplasmatica. I due domini simil-Ig amino terminali del CD4
legano il dominio β2 non polimorfico dell’MHCII.
Le molecole CD8 esistono quasi sempre sotto forma di eterodimeri di due catene dette CD8α e
CD8β. Entrambe presentano un singolo dominio Ig extracellulare, una regione transmembrana e la
coda citoplasmatica basica. Il dominio Ig di CD8 lega il dominio α2 non polimorfico delle molecole di
MHCI.

Funzione La separazione delle risposte dei linfociti CD4+ e CD8+ è dovuta alla capacità di queste
molecole di legare solamente una classe di MHC e non l’altra.
• CD4 è in grado di legare MHCII e viene espresso sui linfociti i cui TCR riconoscono i complessi
peptidici di questo tipo. Quasi tutti i linfociti CD4+ sono cellule di supporto che producono
citochine.
• CD8 è in grado di legare le molecole MHCI. Quasi tutti i linfociti CD8+ sono linfociti citotossici il
cui ruolo è sradicare le infezioni intracellulari. Esistono linfociti CD4+ con funzioni citotossiche
ma sono comunque MHCII ristretti.
CD4 e CD8 partecipano ai primi eventi segnalatori dopo il riconoscimento del complesso MHC-peptide.
Queste funzioni sono mediate da una tirosin chinasi specifica dei linfociti T che prende il nome di
Lck: questo enzima è associato in modo non covalente alle code sia del CD4 che del CD8. Quando un
linfocita riconosce il complesso MHC l’interazione di CD4/8 con l’MHC porta il corecettore e la sua Lck
nelle vicinanze del CTR; Lck a questo punto fosforila i domini ITAM delle proteine CD3 e ζ e da il via
alla segnalazione.

1.5.2 Recettori costimolanti ed inibitori della famiglia CD28


CD28 è una proteina che trasduce il segnale in associazione ai segnali in arrivo dal complesso TCR per
attivare le cellule T naive. I linfociti T naive in generale necessitano di due segnali extracellulari
distinti per proliferare e differenziare; il primo deriva dal legame dell’antigene al recettore e garan-
tisce la specificità della risposta. Il secondo segnale viene fornito da molecole che vengono definite in
generale costimolatori.
I costimolatori meglio definiti per i linfociti T sono chiamati B7-1 (CD80) e B7-2 (CD86) e sono
espressi sulle cellule dendritiche, sui macrofagi e sui linfociti B; queste molecole hanno specifici re-
cettori sul linfocita. Il primo recettore per B7 scoperto fu la molecola CD28, espressa su quasi tutti i
CD4+ e su metà dei CD8+ . Il legarsi delle molecole B7 delle APC a CD28 fornisce al linfocita il segnale
per esprimere proteine anti apoptosi, per produrre fattori di crescita e citochine e per promuovere
proliferazione e differenziazione.

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Un secondo recettore per molecole B7 venne successivamente scoperto e chiamato CTLA-4; questa
struttura è omologa a CD28 e viene espressa sui linfociti recentemente attivati: la sua funzione è inibire
l’attivazione controbilanciando i segnali in arrivo dal complesso TCR e da CD28. Molte altre strutture
sono state scoperte in grado di legare le molecole B7 e sono equamente divise tra vie di attivazione e vie
di terminazione.

1.5.3 CD2 e la famiglia SLAM di recettori costimolanti


Un’importante famiglia di proteine che gioca un ruolo nell’attivazione delle cellule T ed NK è un gruppo
di proteine strutturalmente legate ad un recettore detto CD2. Questo recettore contiene due domini
Ig extracellulari, una regione di membrana e una lunga coda citoplasmatica. Nell’uomo il principale
ligando è la molecola LFA-3 (Leukocyte Function-associated Antigen 3) che è espressa in molte cellule
ematopoietiche e non. CD2 è esempio di molecola accessoria che funziona sia come una molecola di
adesione che come trasduttore del segnale.
Un sottogruppo distinto di protine CD2 è detto SLAM (Signaling Lymphocytic Activation Molecule).
Le SLAM sono proteine integrali di membrana con due domini Ig extracellulari e una coda citoplas-
matica che contiene un dominio detto ITSM (Immunoreceptor Tyrosin-based Switch Motif); il dominio
si lega ad un adattatore detto SAP (SLAM Associated Protein) che contiene un dominio SH2 in grado
di fare da ponte tra SLAM e Fyn, una chinasi. Un importante membro della famiglia SLAM è 2B4,
mutazioni in questa molecola possono seriamente danneggiare il sistema immunitario.

1.5.4 Altre molecole accessorie dei linfociti T


CD44 è una glicoproteina espressa in varie cellule, tra cui linfociti T maturi, timociti, cellule B, gran-
ulociti, macrofagi, eritrociti e fibroblasti. Questa molecola lega lo ialuronato e questa proprietà è
responsabile della detenzione dei linfociti T nei siti extravascolari di infezione.
Le cellule CD4+ attivate esprimono una proteina della famiglia del TNF detta CD40L, che lega CD40
dei linfociti B e di altre cellule e le attiva. CD40L è quindi un importante mediatore delle funzioni helper
di questi linfociti.
I linfociti attivati esprimono anche il FAS ligand; l’attivazione di FAS da parte di FASL porta
all’apoptosi ed è importante per eliminare le cellule T iperstimolate.

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1 Capitolo 8. Sviluppo linfocitario e riarrangiamento ed espres-
sione dei geni dei recettori antigenici
La maturazione consiste in una serie di eventi che avvengono negli organi linfoidi generativi o primari:
1. Orientamento verso linfociti T o B. A partire da cellule staminali dette HSC (Hematopoietic Stem
Cells) nel midollo osseo e nel fegato fetale si ha la maturazione a CLP (progenitore linfoide comune)
che poi a seconda degli stimoli ricevuti dai recettori di membrana si differenzierà in linfocita B o
T. I linfociti T terminano la loro maturazione all’interno del timo.
2. Riarrangiamento dei geni per il recettore. Elemento chiave della maturazione linfocitaria che
avviene nei linfociti B immaturi nel midollo osseo e nei linfociti T immaturi nel timo. A partire
da un numero modesto di geni grazie a tagli, ricongiungimenti ed aggiunte si genera un numero
elevatissimo di esoni differenti che codificano per il recettore, tutto questo prima dell’incontro con
l’antigene.
3. Selezione dei linfociti “utili” ed eliminazione di quelli pericolosi. Le cellule che non esprimono un
recettore o pre-recettore corretto muoiono per apoptosi; quelle che sono in grado di legare con
bassa avidità gli MHC vengono portate avanti nella maturazione dalla selezione positiva; quelle
che legano con elevata avidità antigeni self vengono eliminate dalla selezione negativa fenomeno
detto delezione clonale; Possono anche andare incontro a un successivo riarrangiamento del
recettore detto editing recettoriale.
4. Proliferazione.

5. Differenziazione in sottogruppi (CD4, CD8, etc).

Orientamento verso le linee B e T L’orientamento dipende dalle istruzioni ricevute dalla superficie
della cellula seguite dall’induzione di specifici fattori trascrizionali. Lo stadio precoce dello sviluppo
è caratterizzato dalla proliferazione stimolata soprattutto dall’IL-7 prodotta dalle cellule stromali di
midollo e timo. Mutazioni nel recettore per questa citochina portano ad immunodeficienze quali le
SCID.

1.1 Riarrangiamento dei geni recettoriali


I geni che codificano per il recettore per l ’antigene sono generati per riarrangiamento di regioni diverse
del gene che codifica per la regione variabile(V) con segmenti di geni della diversità (D) e quelli della
ricongiunzione(J).Tale processo è detto ricombinazione V(D)J.

1.1.1 Organizzazione dei loci per le IG


Esistono tre loci genici separati su cromosomi diversi che codificano per le tre catene delle IG (pesante,
λ, κ). Ciascun locus contiene una regione costante (C) che codifica la parte C delle catene e una regione
V che codifica la parte variabile composta da copie multiple di segmenti V e J, nel locus per la catena

1
pesante sono presenti anche segmenti D. Nell’uomo nei segmenti o geni V al 5’ di ognuno vi è una
sequenza L che codifica per un peptide leader che caratterizza tutte le proteine neo-sintetizzate e
svolge un ruolo essenziale nell’indirizzamento verso l’ER. Nel 3’ della regione V cioè tra i geni V e
quelli C vi sono segmenti J e nei loci per le catene pesanti vi sono anche dei segmenti D. La regione C
della catena pesante è costituita da circa 9 geni C, solo 3 o 4 bastano per codificare l’intera regione C
della catena pesante e altri 2 per la regione carbossi-terminale di membrana. Nel locus per le catene
leggere vi è un unico esone C che basta da solo a codificare l’intera regione C della catena leggera. Nelle
catene leggere il dominio V è codificato dai segmenti V e J mentre quelle pesanti da V(D)J.

1.1.2 Organizzazione dei loci per TCR


L’organizzazione è molto simile a quella per le Ig. I geni che codificano per le catene α, β e γ sono su
cromosomi separati, mentre quello per la catena δ è contenuto in quello per la catena α. La struttura
di questi è uguale a quella detta prima: regione V con segmenti V, J e D solo nelle catene β e δ e una
regione C con 2 geni nelle catene β, γ e uno solo nelle altre due. Ciascun gene V è preceduto in 5’ da
una sequenza L che codifica per il peptide leader.

2
1.1.3 Ricombinazione V(D)J
La ricombinazione V(D)J dà origine alla specificità e variabilità del recettore e consiste nell’unione di
segmenti V, D(se presente) e J presi a caso. Siccome i segmenti scelti si trovano lontani sul cromo-
soma devono essere effettuate rotture e riallacciamenti. Durante la ricombinazione sono aggiunti o
rimossi nucleotidi che aumentano enormemente la variabilità dell’ esone V(D)J. Il risultante esone
V(D)J codificherà la regione variabile, in associazione con le regione C che sono invece costanti.Tale
ricombinazione è effettuata da un complesso detto ricombinasi.

Il complesso della ricombinasi riconosce specifiche sequenze dette RSS situate nel 3’ del segmento V
e 5’ del segmento J; tali sequenze sono costituite da una sequenza altamente conservata di 7 nucleotidi
detta eptamero distaccata da una sequenza spaziatrice d 12 o 23 nucleotidi da una seconda sequenza
conservata di 9 nucleotidi detta nonamero. Un enzima specifico una volta avvicinati i due eptameri
(uno adiacente a V e uno adiacente a J) taglia l’elica tra il segmento V e J e il rispettivo eptamero,
successivamente segue l’unione dei due segmenti codificanti e l’eliminazione del frammento contentente
le RSS sotto forma di anello. In alcuni casi gli eptameri sono situati entrambi a destra sia di V che di J
in tal caso è necessaria una inversione del Dna intermedio e le RSS tagliate non vengono eliminate ma
rimangono nel cromosoma. La ricombinazione tra due segmenti si verifica solo uno è fiancheggiato da
uno spaziatore di 12 e l ’altro di 23: è la cosiddetta regola 12/23.

Il processo di ricombinazione V(D)J si può riassumere in quattro eventi fondamentali:


1. sinapsi: i due segmenti codificanti e le RSS adiacenti vengono in contatto tra loro grazie alla
formazione di un anello sul cromosoma.
2. taglio: rottura del doppio filamento di Dna.

3
3. codifica e processazione: le estremità tagliate vengono modificate mediante aggiunta o rimozione
di nucleotidi.
4. unione:le estremità codificanti vengono unite in un processo detto NHEJ (Non Homolgous End
Joining).
In tali processi svolgono un ruolo centrale due proteine dette Rag-1 e Rag-2 che formano il complesso
ricombinasi V(D)J. Rag-1 e Rag-2 mantengono uniti i segmenti genici durnte la ricombinazione e poi
Rag-1 riconosce le sequenze tra l’eptamero e la sequenza codificante e le taglia. Il taglio viene effettuato
solo su una delle eliche e l’estremità tagliata si lega all’altra formando una struttura a forcina detta
hairpin. L’altra estremità da origine a una terminazione blunt ancora legata alle RSS e non proces-
sata. Le due hairpin chiuse, una del V e l’altra di J si trovano a essere una di fronte all’altra e vengono
a essere modificate con aggiunta di nucleotidi. I geni per Rag sono attivi solo nei linfociti immaturi,
in fase proliferativa o matura sono silenti proprio per minimizzare il rischio di rotture inapropriate del
Dna. Le hairpin vengono aperte e modificate da un enzima detto Artemis, attivato da Dna-Pk (protein
chinasi DNA dipendenti) a sua volta attivato dalle due proteine Ku70 e Ku80 che svolgono un ruolo
chiave nel riparo della rottura.

Generazione della diversità linfocitaria L’enorme diversificazione dei linfociti B e T è dovuta so-
prattutto al riarrangiamento dei geni per il recettore (IG e TCR). Questa diversificazione è dovuta a una
diversità combinatoria dovuta semplicemente alle diverse combinazioni possibili tra i diversi segmenti
V,J e D e a una diversità giunzionale data dalla aggiunta e rimozione di nucleotidi dai segmenti V, J
e D. Quest’ultima è mediata da diversi meccanismi:
• primo meccanismo è la rimozione di nucleotidi dalla sequenza germinale alle estremità del gene a
opera di una endonucleasi.
• un secondo è la aggiunta di nuove sequenze nucleotidiche alle giunzioni scisse da Artemis. Se
la scissione è asimmetrica i nucleotidi aggiunti devono essere complementari a quelli del tratto
parallelo e tali nucleotidi sono detti nucleotidi P.
• ultimo meccanismo di diversità giunzionale è la aggiunta casuale di un massimo di 20 nucleotidi
non codificati da alcuno stampo detti nucleotidi N mediata da un’enzima chiamato TdT.
La massima diversificazione si ha nella regione CDR3 delle Ig e TCR che si forma nei siti di ricom-
binazione V(D)J. Proprio per la sua elevata specificità la sequenza dei nucleotidi contenuta in questa
regione funziona come marcatore clonale specifico: in questo modo nei tumori linfocitari si può stabilire
quale clone è la causa.

1.2 Sviluppo dei linfociti B

4
Durante la maturazione, le cellule della linea linfocitaria B passano attraverso stadi distinti caratter-
izzati da markers specifici e Ig caratteristiche. Il precusore più precoce destinato a diventare linfocita B
è detto linfocita pro-B; queste cellule non producono alcuna Ig e possono essere distinte per l’espres-
sione di molecole di superficie quali CD19 e CD10. Le proteine Rag sono espresse per la prima volta a
questo stadio e la prima ricombinazione nei geni delle Ig ha luogo nel locus della catena pesante. I
passi di questa prima ricombinazione sono:

1. Avvicinamento di un segmento D e un segmento J con eliminazione del DNA interposto


2. Aggiunta di un gene V 5’ all’unità DJ appena creata: tutto i segmenti V e D interposti vengono
eliminati
3. Aggiunta di nucleotidi da parte di TdT

4. Trascrizione di VDJ (se l’aggiunta di nucleotidi ha generato una sequenza produttiva)


Se il riarrangiamento della catena pesante ha successo la cellula smette di essere chiamata linfocita
pro-B e passa alla fase di linfocita pre-B. I linfociti pre-B sono cellule B in sviluppo che esprimono la
proteina Igµ ma che devono ancora riarrangiare il locus per la catena leggera. La catena pesante µ è
infatti associata con le proteine λ5e VpreB dette surrogati delle catene leggere. L’insieme di catena
pesante, catene leggere surrogate e proteine trasduttrici dette Igα e Igβ formano quello che prende
il nome di recettore pre-B. Nelle cellule con riarrangiamenti in frame del locus IgH è il pre-BCR a
fornire i segnali di transizione da fase pro-B a fase pre-B. I segnali in arrivo da questo recettore sono
responsabili dell’espansione in termini numerici di questa popolazione linfocitaria.
Numerose molecole segnalatrici sono necessarie sia al BCR che al pre-BCR per superare il check-
point. Una tirosin chinasi detta Btk (Bruton’s tyrosine kinase) è attivata a valle di questi recettori ed è
necessaria per la sopravvivenza e la maturazione della cellula oltre la fase di linfocita pre-B. Mutazioni
nel gene Btk portano alla patologia detta agammaglobulinemia X-linked.
Il complesso pre-BCR regola i successivi riarrangiamenti dei geni Ig in due modi. In primo luogo se
una proteina µ viene prodotta da un locus ricombinato in un cromosoma il pre-BCR blocca la ricom-
binazione sull’altro cromosoma omologo. Se il primo arrangiamento non è invece produttivo viene
consentita la ricombinazione V(D)J sull’omologo. Grazie a questa attività in ogni clone solo un allele è
espresso mentre l’altro è in configurazione germinale e non è utilizzato: ci si riferisce a questo processo
con il termine di esclusione allelica. Il secondo sistema in cui il pre-BCR regola la ricombinazione è lo
stimolo al riarrangiamento del gene per la catena leggera.
Nel successivo stadio di maturazione si ha il riarrangiamento dei geni delle catene leggere che pro-
ducono le rispettive proteine: queste vanno ad associarsi alla catena pesante µ formando l’IgM com-
pleta. La cellula a questo punto esprime IgM e viene detta cellula B immatura. La produzione di una
catena leggera κ inibisce il riarrangiamento del locus per la catena λ e viceversa: le Ig hanno dunque
sempre la stessa catena leggera grazie a questo processo detto di esclusione dell’isotipo della catena
leggera.

Sottogruppi diversi di linfociti B sviluppano a partire da progenitori diversi. Le HSC derivate dal
fegato fetale sono precursori delle cellule B tipo B-1; le HSC derivate dal midollo danno invece origine

5
alla maggior parte dei linfociti B. Questo secondo gruppo di cellule passa rapidamente attraverso due
stadi che lo orienta verso lo sviluppo o di cellule B della zona marginale o di cellule B follicolari. La
maggior parte dei linfocti B maturi è di tipo follicolare e coesprime le catene pesanti µ e δ: presentano
dunque sia IgD che IgM nella forma di membrana. L’espressione simultanea delle due diverse catene
pesanti è dovuta a splicing alternativo dello stesso mRNA. La coespressione di IgD ed IgM si accompa-
gna all’acquisizione di competenza funzionale e abilità di ricircolo: a questo punto si parla dunque di
linfocita B maturo. I linfociti B maturi naive sono capaci di rispondere agli antigeni e sono destinati a
morire in pochi mesi se non incontrano l’antigene per il quale hanno grande affinità.

Selezione dei linfociti B maturi La selezione nei linfociti T maturi è molto ben definita e precisa,
mentre nell’ambito dei linfociti B è un processo molto meno rigido. Le cellule B immature che ri-
conoscono antigeni self con troppa avidità vengono indotte a cambiare la loro specificità tramite il
processo di editing recettoriale. In questo processo si ha riattivazione dei geni Rag, con una seconda
ricombinazione dei geni della catena leggera: normalmente viene modificata la catena leggera κ e questo
altera la specificità del recettore. Se l’editing fallisce si ha selezione negativa, un processo responsabile
almeno in parte del mantenimento della tolleranza dei linfociti B; il riconoscimento dell’antigene in
questo caso porta a morte apoptotica. Quando la transizione a linfocita B maturo IgD+ IgM + è com-
pletata, il riconoscimento dell’antigene non porta più ad apoptosi o a editing ma a proliferazione e
differenziazione.

Linfociti B-1 e linfociti della zona marginale Molte delle cellule B-1 esprimono la molecola CD5 che
può essere usata come marker; nell’adulto grandi quantità di queste cellule si trovano nel peritoneo e
nelle mucose. Questi linfociti secernono spontaneamente IgM che spesso reagiscono con polisaccaridi
e lipidi: questi anticorpi sono detti anticorpi naturali in quanto prodotti senza immunizzazione, anche
se si sospetta che sia la flora intestinale ad indurne la produzione.
I linfociti della zona marginale si trovano nella milza e rispondono ad antigeni polisaccaridici generan-
do anticorpi naturali. Il marker per queste cellule è CD21.

1.3 Maturazione dei linfociti T


1.3.1 Ruolo del timo
Il timo è il più importante sito di maturazione dei linfociti T e a dimostrazione di questo:
1. Se viene rimosso il timo in un topo neonato questo non sviluppa linfociti T maturi
2. L’assenza congenita di timo, come nella sindrome di DiGeorge, porta a un ridotto numero di
linfociti T in circolo e nei tessuti linfoidi e a pesanti carenze di risposte mediate da questo tipo di
cellula
Il timo involve spontaneamente con l’avanzare dell’età, ma poichè i linfociti T della memoria hanno una
vita anche di oltre vent’anni il bisogno di nuovi linfociti T diminuisce negli anziani.

6
I linfociti T in fase di sviluppo nel timo sono detti timociti e non esprimono TCR e nemmeno CD4 o
CD8. Nella corteccia timica queste cellule esprimono per la prima volta il TCR (αβ o γδ) e per quelle che
esprimono il tipo αβ inizia anche la maturazione verso il sottogruppo CD4+ o CD8+ . L’ambiente del timo
fornisce gli stimoli necessari per la proliferazione e la maturazione dei timociti; molti di questi stimoli
arrivano direttamente dalle cellule del timo, cioè cellule epiteliali, macrofagi o cellule dendritiche. La
migrazione dei timociti in questo tipo di ambiente garantisce interazioni fisiche con le altre cellule,
passaggio necessario per la maturazione. Due tipologie di molecole prodotte dalle cellule timiche non
linfoidi sono importanti per la maturazione:
• Le molecole MHC di classe I e II espresse su cellule epiteliali e dendritiche. Le interazioni tra i
timociti in maturazione e queste molecole sono essenziali per la selezione del repertorio linfoci-
tario.
• Citochine e chemochine secrete dalle cellule stromali. La più importante è IL-7, inoltre le chemo-
chine CCL19 e CCL21, legandosi al recettore CCR7, guidano i timociti nell’attraversamento del
timo.

1.3.2 Stadi di maturazione linfocitaria

7
I timociti corticali più immaturi, di recente giunti dal midollo, contengono i geni per il TCR in
configurazione terminale e quindi non esprimono TCR, CD3 o catene ζ e nemmeno CD4 o CD8: queste
cellule vengono dette timociti doppio negativi o cellule pro-T. Come nel caso dei linfociti pro-B, le
proteine Rag vengono espresse per la prima volta in questa fase: il riarrangiamento dei geni porta alla
transizione verso la fase pre-T e il seguente sviluppo del linfocita αβ. Il riarrangiamento, se svolto
con successo, porta alla traduzione di una catena beta funzionante che viene espressa sulla superficie
della cellula in associazione con una proteina invariante detta pre-Tα. L’insieme di catena beta, catena
invariante pre-Tα, proteine CD3 e proteina ζ prende il nome di complesso pre-TCR. I segnali dal pre-
TCR mediano la sopravvivenza dei timociti e la loro espansione proliferativa; i segnali mediano inoltre
l’inizio della ricombinazione del locus per la catena alfa e guidano la transizione da fase doppio negativa
a fase doppio positiva. I segnali del pre-TCR inibiscono inoltre ulteriori riarrangiamenti della catena β
limitando l’accessibilità della cromatina.
Nello stadio successivo di maturazione i timociti esprimono sia CD4 che CD8 e sono dunque detti
timociti doppio positivi. Questi timociti esprimono inoltre il recettore per chemochine CCR7 e quindi
migrano verso la midollare del timo. A questa fase la cellula esprime l’eterodimero completo αβ del TCR.
In caso di incapacità di riarrangiare la catena α del TCR il timocita muore per apoptosi. Importante,
il riarrangiamento del gene per la catena alfa causa la delezione del locus δ: questa cellula non potrà
quindi mai più diventare un linfocita γδ. In virtù della neo acquisita capacità di rispondere agli antigeni,
i timociti doppio positivi subiscono selezione positiva o negativa: le cellule che subiscono il processo
maturano in linfociti CD4+ o CD8+ , quindi diventano timociti singolo positivi. I timociti singolo
positivi entrano nella midollare e lasciano infine il timo per andare a popolare i tessuti linfoidi periferici.

1.3.3 Processi di selezione


Il repertorio linfocitario immaturo non selezionato consiste di linfociti T i cui recettori possono ri-
conoscere qualsiasi antigene peptidico presentato su una molecola MHC qualsiasi. In ogni individuo gli
unici linfociti T utili sono quelli specifici per i peptidi non-self presentati dalle molecole MHC self; par-
allelamente, i linfociti T che riconoscono antigeni self con troppa avidità sono potenzialmente pericolosi
perchè possono innescare processi autoimmuni.
Quando i timociti doppio positivi esprimono per la prima volta il TCR questo incontra peptidi self
presentati su molecole MHC delle cellule timiche epiteliali. La selezione positiva è il processo per
cui i timociti i cui TCR riconoscono blandamente questi peptidi e le molecole MHC associate vengono
stimolati a sopravvivere. La selezione negativa è invece il processo in cui i timociti i cui TCR riconoscono
troppo avidamente i peptidi self o le molecole MHC vengono eliminati per prevenire reazioni contro
l’organismo stesso.

Selezione positiva Se il TCR di un timocita riconosce le molecole MHC I associate al peptide e allo
stesso tempo il CD8 interagisce con l’MHC, questo riceve segnali che ne evitano la morte e promuovono
il proseguimento della maturazione. Per procedere il linfocita doppio positivo può continuare ad es-
primere CD8 e il TCR ma può smettere di esprimere CD4; il risultato è un linfocita T CD8+ MHC I
ristretto. Un processo totalmente analogo avviene per produrre un linfocita CD4+ MHC II ristretto.
Durante la transizione da doppio positivo a singolo positivo gli helper diventano CD4+ CD8− mentre i
citotossici CD4− CD8+ .

Selezione negativa La conseguenza di un riconoscimento troppo avido è lo scatenarsi dell’apoptosi:


questo processo elimina i linfociti T autoreattivi e garantisce la tolleranza al self. La tolleranza indotta
nei timociti dal riconoscimento degli antigeni self nel timo è detta tolleranza centrale, per differenziarla
dalla tolleranza periferica indotta nei linfociti già maturati. La selezione negativa può avvenire sia
nella fase doppio negativa che nella fase singolo positiva. Nella midollare, le cellule epiteliali del timo
esprimono una proteina nucleare detta AIRE che induce l’espressione di parecchi geni tessuto-specifici
in modo da rendere questi peptidi disponibili per la presentazione.

1.3.4 Linfociti T γδ
Questo tipo di linfociti ha una linea di sviluppo totalmente a parte: una esclude l’altra. La diversità del
repertorio di queste cellule è limitata perchè vengono usati solo pochi dei segmenti V, D e J disponibili:

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questi linfociti servono infatti a difendersi da un numero limitato di microbi il cui incontro è molto
frequente alle barriere epiteliali.

1.3.5 Cellule NK-T


Le cellule NK-T esprimono TCR αβ non MHC ristretto ma CD1 ristretto: riconoscono infatti antigeni
lipidici legati a questa molecola.

9
1 Capitolo 9. Attivazione dei linfociti T
I linfociti T maturi che non hanno mai incontrato l’antigene si concentrano negli organi linfoidi sec-
ondari dove hanno la possibilità di riconoscere antigeni presentati dalle MHC di cellule dentritiche
mature e quindi di attivarsi. Una volta attivate seguono i processi di espansione e la differenziazione
in cellule effettrici o della memoria. Sia i linfociti T naive che le cellule dentritiche mature sono attratti
nelle aree T per azione di chemochine che interagiscono con i recettori CCR7. Una volta avvenuto l’in-
contro, il riconoscimento dell’antigene presentato dalle MHC e l’interazione tra le proteine B7 espresse
dalla cellula dendritica e il corecettore CD28 determinano l’attivazione dei linfociti T. Una volta attivato
il linfocita inizia a secernere IL-2 (interleuchina 2), una citochina autocrina che avvia l’espansione
clonale. Alcuni linfociti T lasciano gli organi linfoidi ed entrano in circolo, altri rimangono lì per aiutare
i linfociti B a differenziarsi in plasmacellule. Le risposte T terminano principalmente per apoptosi dei
linfociti T attivati dovuta alla eliminazione dell’antigene che li depriva dello stimolo di sopravvivenza.

1.1 Attivazione dei linfociti CD4


L’attivazione presuppone che antigene e linfociti naive si trovino nello stesso tessuto linfoide. L’anti-
gene raggiunge i linfonodi mediante drenaggio linfatico oppure raggiunge la milza attraverso il circolo
ematico. L’antigene si sposta trasportato dalle cellule dendritiche e viene presentato in associazione
alle molecole MHC di classe II per l’attivazione dei CD4.
Per l’attivazione dei linfociti CD4 sono necessari due segnali: riconoscimento dell’antigene as-
sociato a MHC e molecole costimolatorie B7-1 e B7-2. Per la proliferazione è necessaria inoltre la
autosecrezione di IL-2; affinchè vi sia secrezione di Il-2 e parallela espressione del suo recettore è pri-
ma necessario che il linfocita abbia riconosciuto l’antigene. In questo modo abbiamo proliferazione
delle sole cellule specifiche e necessarie, proliferazione che coinvolge dunque un unico clone cellulare
e definita espansione clonale. Con l’eliminazione degli antigeni la maggior parte dei T attivati muore
riportando il numero di linfociti a condizioni basali.

1.2 Attivazione dei linfociti CD8


Affinchè vi sia attivazione questa volta serve che l’antigene sia presentato da molecole MHC di classe I.
I linfociti T CD8 hanno il compito di eliminare cellule infettate. Le risposte da questo gruppo di linfociti
sono sollecitate da peptidi microbici presenti nel citosol delle cellule infette: questo pone un problema
perchè gli antigeni riconosciuti possono essere prodotti anche all’interno di una cellula che non è una
APC professionale; le cellule dendritiche hanno però la speciale capacità di catturare e ingerire le cellule
infette o tumorali e di presentarne gli antigeni ai CD8 naive in un processo detto cross-presentazione.
L’attivazione dei CD8 è facilitata dall’azione dei CD4: nel caso di una forte risposta innata quest’ulti-
ma è superflua ma diventa indispensabile per risposte a infezioni latenti,tumori ecc. I linfociti T helper
producono citochine che stimolano la differenziazione dei CD4, inoltre esprimono la proteina CD40L
che viene riconosciuta dal recettore CD40 sulle APC: questo ne aumenta l’efficacia nello stimolare la
differenziazione dei CD8.
Alla pari dei CD4, anche i CD8 vanno incontro ad espansione clonale tuttavia in modo molto più
massiccio: si passa da un linfocita specifico ogni 106 linfociti a uno ogni dieci. In seguito all’espansione
si ha la differenziazione in cellule effettrici CTL caratterizzate dalla presenza di granuli citoplasmatici
legati alla membrana contenenti proteine citolitiche quali la perforina e granzimi. Inoltre sono in
grado di produrre citochine tra cui IFN-γ e TNF. Due fattori di trascrizione sono richiesti per questa
nuova espressione genica: T-Bet e Eom.

1.3 Molecole costimolatorie


La differenziazione e proliferazione dei linfociti T naive richiedono molecole costimolatorie espresse dalle
APC: in assenza di costimolazione, anche in caso di incontro con l’antigene, i linfociti T muoiono per
apoptosi in quanto incapaci di rispondere. La molecola meglio caratterizzata sui linfociti T è il recettore
di membrana CD28 che lega le glicoproteine costimolatorie B7-1 e B7-2 espresse sulle APC; B7-2 è
espressa costitutivamente mentre B7-1 solo in cellule attivate. Prodotti microbici che legano il TLR
e citochine, soprattutto IFN-γ, aumentano l’espressione delle B7, così come l’interazione CD40L:CD40.

1
Le cellule dendritiche sono quelle che presentano la maggior espressione di queste glicoproteine e
quindi rappresentano le cellule più potenti nell’attivare i linfociti T naive. Molti adiuvanti hanno come
funzione lo stimolare l’espressione di molecole costimolatorie sulle APC.
L’assenza di molecole costimolatorie sulle APC contribuisce alla tolleranza verso gli antigeni self,
poichè ogni APC presenta antigeni self ai linfociti T è proprio la mancanza di molecole costimolatorie
che assicura che le cellule T non si attivino in associazione alla selezione negativa durante la fase di
maturazione. I linfociti T effettori e della memoria sono meno dipendenti dalla costimolazione di B7 e
sono quindi in grado di rispondere ad APC in tessuti non linfoidi in cui non sono espresse le B7. Il
controllo delle funzioni delle cellule T effettrici è effettuato da linfociti T regolatori deputati a inibire le
funzioni effettrici.
Il meccanismo di azione pro attivatorio dell’interazione CD28:B7 è compreso in modo parziale. I
segnali prodotti aumentano la produzione di citochine, specialmente l’autocrina IL-2, inoltre si ha
l’aumentata espressione della proteina anti apoptotica Bcl-x.
Oltre alle molecole attivatrici CD28 esistono anche molecole costimolatorie inibitrici sempre ap-
partenenti alla famiglia delle CD28, primo esempio la CTLA-4. Questa lega sempre molecole B7 tut-
tavia funge da regolatore negativo nella attivazione. Altra molecola inibitoria è PD-1 che lega molecole
appartenenti alla famiglia delle B7 chiamate B7-DC e B7-H1 andando a regolare negativamente l’at-
tivazione del linfocita. Ultimo recettore costimolatore è chiamato ICOS e lega il ligando di ICOS con
particolare rilevanza nell’attivare funzioni effettrici quali la produzione di IL-10 e IL-4. L’attivazione di
CD28 è cruciale per dare inizio alla risposta dei linfociti CD4 mentre quella di ICOS per le cellule T
effettrici. Si ipotizza che CTLA-4 inibisca rispote acute negli organi linfoidi mentre PD-1 quelle croniche
e quelle in tessuti non linfoidi.

1.4 Trasduzione del segnale


La trasduzione del segnale in cellule naive attiva geni normalmente silenti i cui prodotti sono respons-
abili della risposta e delle funzioni del linfocita attivato. Prima abbiamo visto come citochine e molecole
costimolatorie fossero un punto chiave nell’espansione clonale e nella differenziazione: l’attivazione del
TCR è responsabile invece della specificità.

Il TCR non possiede attività enzimatica intrinseca e si trova associato al complesso CD3 e alla catena
ζ formando il complesso del TCR che possiede, nel versante citoplasmatico, strutture dette domini
ITAM: la fosforilazione di questi domini dà inizio alla trasduzione del segnale. Si assiste all’attivazione
di via di trasduzione parallele che confluiscono nell’attivazione di determinati fattori di trascrizione;le
vie sono principalmente tre:

2
• la via della calcineurina che attiva NFAT
• la via della PKC che attiva NF-κB
• la via delle MAP chinasi che attivano AP-1
Queste tre vie sono a loro volta attivate mediante specifiche tirosin chinasi che mediano il segnale tra
TCR e gli enzimi sopra citati.

Tirosin chinasi Una volta formato il complesso del TCR quando il recettore si lega all’antigene e
MHC una tirosin chinasi chiamata Lck associata a CD4 e CD8 si sposta vicino alle sequenze ITAM del
complesso CD3 e della catena ζ attivandosi e fosforilando le tirosine in esse contenute. Queste tirosine
fosforlate fungono da ancoraggio per un’altra tirosin chinasi chiamata ZAP -70 che una volta legatasi
viene anche essa fosforilata da Lck attivandosi e andando a fosforilare numerosi substrati che fungono
da proteine adattatrici di altre molecole coinvolte nella trasduzione del segnale. Altro gruppo di chinasi
importanti sono le PI-3 chinasi attivate dalla costimolazione di CD28: questi enzimi catalizzano la
generazione di fosfatidil inositolo tre fosfato (PIP3 ) a partire dal PIP2 di membrana. Le attività delle
chinasi citate sono regolate da specifiche tirosine fosfatasi reclutate dal complesso TCR e chiamate
SHP-1 e SHP-2 che inibiscono la trasduzione del segnale e un’altra è la SHIP.

Formazione della sinapsi immunologica La regione di contatto tra il linfocita T e la sua APC prende
il nome di sinapsi immunologica. Le molecole che vengono subito spostate verso il centro di questa
struttura sono il complesso TCR, i corecettori CD4 o CD8, i recettori per i costimolatori (CD28) e vari
enzimi associati. La segnalazione viene avviata all’interno di questa struttura sovramolecolare.

Reclutamento e attivazione delle proteine adattatrici ZAP-70 si porta a fosforilare parecchie pro-
teine adattatrici in grado di legarsi a molecole segnalatorie. Le proteine adattatrici presentano domini
ricurrenti di tipo SH2 o SH3 che consentono loro di formare cluster di enzimi in tempi rapidi. Un
evento chiave dell’attivazione del linfocita T è la fosforilazione da parte di ZAP-70 della proteina adatta-
trice LAT, la quale è in grado di legarsi direttamente alla fosfolipasi Cγ1; la fosfolipasi è una molecola
fondamentale che recluta altre proteine tra le quali SLP-76 e Grb-2.

Via della MAP chinasi La via Ras è iniziata a seguito del legame del TCR e porta all’attivazione di ERK,
membro fondamentale della famiglia delle MAP kinasi che porta alla mobilitazione di diversi fattori di
trascrizione. Ras nella sua forma inattiva è legato ad una molecola di GDP che, quando viene sostituita
da una di GTP, è responsabile dell’attivazione. L’attivazione di Ras coinvolge le proteine LAT e Grb-2,
in quanto la catena di eventi è la seguente:

1. Fosforilazione di LAT da parte di ZAP-70


2. Reclutamento di Grb-2 su LAT
3. Reclutamento del fattore Sos da parte di Grb-2/LAT
4. Scambio di GTP per GDP su Ras grazie alla catalisi di Sos

5. Attivazione delle MAP kinasi


Esistono tre MAP kinasi principali nei linfociti T, delle quali il prototipo è ERK. L’attivazione di ERK lo
porta a traslocare nel nucleo e a fosforilare una proteina detta Elk, la quale stimola la trascrizione di
Fos, un componente del fattore di trascrizione AP-1.
In parallelo all’attivazione lungo la via Ras si ha il reclutamento di una piccola proteina detta Vav,
la quale scambia GTP per GDP su una proteina detta Rac. Rac in forma attiva inizia una cascata
segnalatoria parallela che termina nell’attivazione della MAP kinasi JNK che si porta a fosforilare c-Jun,
il secondo membro del fattore di trascrizione AP-1.

3
Segnali calcio e fosfolipasi dipendenti La fosfolipasi Cγ1 è un enzima citosolico reclutato da LAT
fosforilata e fosforilato da ZAP-70 e altre chinasi. La fosfolipasi fosforilata si porta ad idrolizzare il
fosfolipide di membrana PIP2 producendo così IP3 e DAG. Il ruolo fisiologico di IP3 è l’aumento del cal-
cio citoplasmatico per apertura di canali nel reticolo endoplasmatico; questa fuoriuscita dal reticolo
attiva i canali CRAC che facilitano l’arrivo di altro calcio dal reparto extracellulare (difetti nel gene che
codifica Orai, componente del canale CRAC, sono alla base di alcune rare immunodeficienze umane).
Il calcio citoplasmatico agisce da molecola segnalatoria legandosi a varie calmoduline delle quali una
fondamentale è la calcineurina. Il DAG attiva invece l’enzima PKC che è coinvolto nell’attivazione e
nella traslocazione nucleare di NF-κB.

Attivazione dei fattori di trascrizione I fattori di trascrizione che sono attivati nei linfociti T a seguito
del riconoscimento antigenico sembrano critici per quasi tutte le risposte di queste cellule e sono:

NFAT Questo fattore è richiesto per l’espressione di IL-2, IL-4, e TNF. Questo fattore è presente in for-
ma inattiva serina-fosforilata nei linfociti T a riposo. La sua attivazione è legata alla calcineurina,
che defosforila la molecola e ne svela la sequenza di localizzazione nucleare.

4
AP-1 Questo fattore in realtà è una famiglia di molecole leganti DNA. La molecola meglio compresa
è quella formata dalle subunità c-Jun e Fos. AP-1 sembra essere un punto di convergenza di
parecchie vie segnalatorie attivate dal riconoscimento antigenico.
NF-κB Questo fattore è essenziale per la sintesi di parecchie citochine. Nei linfociti a riposo la molecola
è presente in complesso con inibitori specifici (IκB) che ne bloccano l’ingresso nel nucleo; i segnali
del TCR causano l’ubiquitinazione degli inibitori, quindi la loro degradazione e quindi il ripristino
della capacità del fattore di entrare nel nucleo.

1.5 Attenuazione della risposta


I meccanismi inibitori sono mediati da varie strategie quali il reclutamento delle fosfatasi SHP-1, l’at-
tivazione dei recettori inibitori di famiglia CD28 e il reclutamento di proteine dette E3 ubiquitin ligasi
che degradano certe molecole.

Recettori inibitori Il prototipo del recettore inibitorio è CTLA-4, di cui però si sa poco del mecca-
nismo di azione. Normalmente questa molecola è sequestrata in vescicole intracellulari che vengono
rapidamente mobilitate con la formazione della sinapsi immunologica. Nella sinapsi CTLA-4 potrebbe
competere con CD28 per legare le molecole B7 o reclutare fosfatasi che bloccano l’attivazione dei domini
ITAM.
L’altro recettore inibitorio di interesse è PD-1, indotto in linfociti B, T e monociti a seguito dell’at-
tivazione. PD-1 ha due ligandi, PD-L1 e PD-L2, omologhi ai B7 ed espressi su cellule dendritiche
attivate, monociti e altre cellule. Il recettore contiene sul lato citoplasmatico dei domini ITIM che
contribuiscono al reclutamento delle fosfatasi SHP-1 e SHP-2 che attenuano il segnale.

5
1 Attivazione delle cellule B e produzione di anticorpi
1.1 Caratteristiche generali della risposta umorale
• Il processo di attivazione delle cellule B è sequenziale. I linfociti B maturi e in grado di rispondere
agli antigeni si sviluppano da precursori midollari prima di incontrare l’antigene e popolano poi
i tissuti linfoidi periferici, sede della futura interazione antigenica. Gli antigeni legano le IgM
e IgD di membrana sui linfociti naive e li attivano; l’attivazione può avvenire sia in dipendenza
che in indipendenza dai linfociti T. L’attivazione può portare a proliferazione, cioè all’espansione
del clone antigene specifico, e a differenziazione, cioè alla generazione di plasmacellule e cellule
della memoria. Alcune cellule B attivate iniziano a produrre anticorpi diversi da IgM e IgD in
un fenomeno detto switching (switching dell’isotipo della catena pesante). I linfociti in grado di
produrre anticorpi con la più alta affinità per l’antigene vengono inoltre preferenzialmente espansi:
si parla di maturazione dell’affinità. Un singolo linfocita può, in sette giorni, dare origine a
quattromila plasmacellule che producono oltre 1012 anticorpi al giorno.
• Le risposte anticorpali agli antigeni proteici richiedono i linfociti T helper CD4+ che riconoscono
gli antigeni e hanno ruolo fondamentale nell’attivazione dei B. Per questo motivo le proteine sono
classificate come antigeni timo dipendenti.

• Le risposte anticorpali agli antigeni multivalenti, con epitopi polisaccaridici e lipidici, non richiedono
i linfociti helper. Per questo motivo gli antigeni polisaccaridici e lipidici sono definiti timo indipen-
denti.
• I linfociti attivati differenziano in plasmacellule, alcune delle quali continuano a produrre an-
ticorpi per anni, e in cellule della memoria. Le risposte umorali originano agli organi linfoidi
periferici, ma alcune plasmacellule migrano da questi al midollo osseo dove si stabiliscono per
anni producendo bassi livelli di anticorpi che forniscono protezione immediata per i microbi da
essi riconosciuti.
• Lo switching degli isotipi e la maturazione dell’affinità sono tipici delle risposte T-dipendenti agli
antigeni proteici. Lo switching è stimolato direttamente dai segnali in arrivo dalle cellule T, tra i
quali la molecola CD40L e varie citochine. La maturazione riguarda la generazione di mutazioni
somatiche ad alta frequenza in geni Ig V riarrangiati e la consequente selezione delle cellule
B con grande affinità per l’antigene originale. La natura della risposta umorale varia inoltre in
funzione del distretto anatomico: ad esempio i tessuti linfoidi mucosali sono adattati a produrre
grandi quantità di IgA.

• Le risposte anticorpali primarie e secondarie differiscono quantitativamente e qualitativamente.


Le risposte primarie derivano dall’attivazione di cellule B naive, le secondarie dalla stimolazione di
cloni espansi delle cellule della memoria; per questo motivo le risposte secondarie sono più rapide
e legate a quantità maggiori di anticorpi. In aggiunta a questo sia lo switching che la maturazione
aumentano con ripetute esposizioni allo stesso antigene.

• Set differenti di linfociti rispondono preferenzialmente a diverse tipologie di antigene. Le cellule


B follicolari degli organi linfoidi periferici preferiscono gli antigeni proteici; le cellule della zona
marginale della milza riconoscono antigeni multivalenti.

1.2 Riconoscimento dell’antigene e attivazione antigene-indotta


I linfociti circolano attraverso i follicoli degli organi linfoidi periferici in cerca del loro antigene. L’in-
gresso nei follicoli è guidato dalla chemochina CXCL13 prodotta dalle cellule dendritiche follicolari e
da quelle stromali; questa molecola si lega al recettore CXCR5 e attrae i linfociti nella giusta sede. La
sopravvivenza dei linfociti follicolari dipende dai segnali in arrivo dal B cell receptor (BCR) ma anche
da quelli mediati da una citochina detta BAFF (appartenente alla famiglia del TNF); BAFF e il ligando
correlato, APRIL, possono attivare altri due recettori, TACI e BCMA, che hanno ruolo nelle fasi più
tardive della maturazione.
Gli antigeni entrano negli organi linfoidi tramite le APC o in forma solubile e attivano i linfociti grazie
all’interazione con il BCR. Questo recettore ha due ruoli nella fase di attivazione:

1
1. L’accumulo di recettori antigene-indotto rende possibile la segnalazione biochimica
2. Il recettore lega e internalizza l’antigene per processarlo in peptidi per la presentazione ai linfociti
T helper

1.2.1 Trasduzione del segnale


I recettori dei linfociti B naive, cioè IgM e IgD, hanno code citoplasmatiche troppo corte per trasdurre
il segnale, il compito viene infatti svolto da altre due molecole dette Igα e Igβ. Queste molecole sono
tra loro legate da ponti disolfuro e sono associate in modo non covalente alla membrana; sono anche
richieste per l’espressione superficiale delle molecole Ig e insieme ad esse formano il complesso recet-
toriale delle cellule B (complesso BCR). Igα e Igβ sono dunque analoghe a CD3 e ζ per i linfociti T. I
domini citoplasmatici di queste due molecole contengono i motivi ITAM già visti per le cellule T e sono
anche blandamente associati a tirosin chinasi della famiglia Src.

Il cross-linking delle Ig di membrana porta le chinasi citoplasmatiche ad avvicinarsi e questo le attiva


facendo loro fosforilare i domini ITAM. La fosforilazione di ITAM fornisce un sito di attacco per i domini
SH2 della tirosin chinasi Syk, l’equivalente nelle cellule B di ZAP-70 dei linfociti T. Syk attivata va a
fosforilare dei residui di tirosina su una proteina adattatrice detta SLP-65 facilitando il reclutamento
su questa di altri domini SH2 di vari enzimi. Le principali molecole che interagiscono con SLP-65 sono:
1. Il fattore SOS viene reclutato da SLP-65 e catalizza la sostituzione di GDP in GTP sulla proteina
RAS e sulla proteina RAC. Queste proteine in forma GTP-legata attivano la via della chinasi
JNK-MAP.
2. Una fosfolipasi, PLCγ2, viene attivata quando si lega a SLP-65 e viene fosforilata da Syk e Btk.
Questo enzima si porta a demolire il fosfatidilinositolo di membrana (PIP2) generando inositolo
3-fosfato e diacilglicerolo. L’inositolo mobilita il calcio, il DAG in presenza di calcio attiva la
protein chinasi C che fosforila varie altre proteine.
3. La protein chinasi C fosforila una proteina detta CARMA1 contentente un dominio CARD che ne
media le interazioni con le altre proteine. Le attività di CARMA1 culminano infine con l’attivazione
del complesso IKK (IκB chinasi); il complesso è critico per l’attivazione di NF-κB in quanto è in
grado di fosforilare IκBα, un inibitore di NF-κB, e destinarlo al proteasoma: in questo modo NF-κB
è libero di entrare nel nucleo.
4. Questa serie di cascate porta all’attivazione di fattori di trascrizione che inducono l’espressione di
geni i cui prodotti sono richiesti per le risposte delle cellule B.
Queste vie di segnalazione funzionano con qualsiasi recettore Ig, in quanto tutti si associano ad Igα e
Igβ per poter trasdurre il segnale.

2
1.2.2 Ruolo dei recettori CR2/CD21 come corecettori per le cellule B
I linfociti B esprimono un recettore per la proteina del complemento C3d che prende il nome di
CR2 o CD21. Il complesso C3d+antigene o quello C3d+antigene+anticorpo lega il linfocita in modo che
l’Ig riconosca l’antigene e CR2 riconosca la proteina del complemento. CR2 è espresso sotto forma di
complesso con altre due proteine, CD19 e CD81: questo complesso viene spesso chiamato complesso
corecettoriale delle cellule B perchè lega C3d allo stesso momento in cui BCR lega l’antigene. Il
legame di C3d al corecettore porta CD19 in prossimità delle chinasi associate al BCR e la coda di CD19
diventa in questo modo fosforilata; la fosforilazione risulta nel reclutamento della chinasi Lyn, che può
amplificare il segnale di BCR fosforilando direttamente i domini ITAM. CD19 fosforilata attiva anche
altre vie di segnalazione, tra le quali una legata a P IP3 , che aumentano ulteriormente i pathway aperti
dalle Ig. Il risultato netto è un grande stimolo della risposta della cellula B stimolata.

1.2.3 Risposte funzionali dei linfociti B agli antigeni


Il riconoscimento dell’antigene stimola l’ingresso delle cellule nella fase G1 del ciclo cellulare, uscendo
così dalla precedente fase G0. La sopravvivenza delle cellule B viene migliorata grazie all’induzione di
vari geni anti apoptotici. I linfociti B attivati mostrano un’aumentata espressione di molecole
MHCII e di costimolanti (B7-2 prima e B7-1 dopo, ed è questa la ragione per cui sono in grado di
attivare i linfociti helper). L’espressione dei recettori per le citochine derivanti dai linfociti T viene
anch’essa aumentata in modo da rendere le cellule B recettive, inoltre cambia anche l’espressione dei
recettori per le chemochine in modo da permettere la mobilitazione.
L’importanza del BCR nelle risposte è diversa a seconda dell’antigene. Gli antigeni multivalenti
hanno di solito parecchi epitopi uguali sulla stessa molecola e sono quindi in grado di stimolare in
modo efficace il linfocita. Gli antigeni peptidici sono invece spesso dotati di un solo epitopo e quindi
non sono in grado di stimolare il linfocita: in questo caso il BCR si limita ad internalizzare l’antigene
per presentarlo al linfocita helper, il quale poi si occuperà di attivare la cellula B.

1.3 Risposte anticorpali helper-dipendenti ad antigeni proteici


Le prime fasi delle risposte helper-dipendenti avvengono ai bordi delle zone T e dei follicoli primari
e risultano nella proliferazione delle cellule B, nella secrezione di anticorpi iniziale e in un limitato
switching. Le fasi più tardive avvengono invece nei centri germinativi all’interno dei follicoli linfoidi e
risultano nella maturazione dell’affinità, nella generazione di cellule della memoria e nello switching
più evidente.

1.3.1 Sequenza degli eventi nelle risposte anticorpali T-dipendenti


1. Assunzione dell’antigene dalle cellule dendritiche e presentazione ai linfociti T helper.

3
2. Attivazione degli helper e espressione di CD40L e citochine.
3. Migrazione degli helper verso il follicolo grazie alle chemochine.
4. Attivazione delle cellule B da antigeni solubili o presentati dalle cellule dendritiche.
5. Processamento e presentazione dell’antigene delle cellule B e migrazione verso la zona T grazie ai
recettori per chemochine.
6. Interazione tra cellule B e T e attivazione delle prime grazie a CD40L e citochine.
7. Inizio dello switching e della secrezione di Ig.
8. Migrazione delle cellule B attive verso il follicolo, formazione di centri germinali nel follicolo.
Nei centri germinali si ha marcato switching, mutazioni somatiche, maturazione dell’affinità e
generazione delle cellule della memoria.
9. Generazione di plasmacellule a lunga vita che migreranno poi nel midollo osseo.

1.3.2 Attivazione degli helper


Le cellule che per prime riconoscono l’antigene sono le cellule dendritiche, che lo processano e lo
caricano sulle molecole MHCII per farlo riconoscere ai linfociti CD4+ naive. Le cellule dendritiche sono
inoltre stimolate a produrre B7-1 e B7-2 che forniranno secondi segnali per l’attivazione degli helper.
I linfociti attivati dalle cellule dendritiche sono indotti a proliferare, esprimere CD40L e secernere
varie citochine. Queste cellule modificano inoltre il loro set di recettori per chemochine, aumentando
l’espressione di CXCR5 e diminuendo quella di CCR7; in questo modo la cellula segue il gradiende di
concentrazione di CXCL13, prodotto dalle cellule dendritiche follicolari, che la porta nel follicolo.

1.3.3 Presentazione dell’antigene dalle cellule B e migrazione


Il BCR è un recettore ad alta affinità in grado di internalizzare efficacemente l’antigene per endocitosi
rendendolo disponibile al processamento e al caricamento sull’MHCII. Sono molti i segnali secondari
che permettono ad un linfocita B di rispondere ad antigeni proteici dannosi e non a quelli innocui:
1. L’aiuto dagli helper viene fornito solo da linfociti T che hanno risposto a cellule dendritiche che
esprimono B7; l’espressione di B7 è a sua volta indotta dal coinvolgimento del TCR che riconosce
strutture non-self.
2. I linfociti B percepiscono direttamente i patogeni grazie alla presenza di uno o più TLR, tra i quali
TLR4, TLR5 e TLR9.
I linfociti B antigene attivati downregolano l’espressione di CXCR5 e aumentano l’espressione di CCR7:
questo comportamento, opposto a quello dei linfociti T CD4+ , li attira verso l’interfaccia T-B del
linfonodo.
In una qualsiasi risposta umorale le cellule B specifiche per l’antigene che ha iniziato la risposta
vengono attivate preferenzialmente; esistono varie ragioni per giustificare questo fatto:
1. Solo i linfociti B le cui molecole Ig legano l’antigene possono ricevere i segnali di attivazione.

2. I linfociti B sono in grado di presentare il loro antigene a concentrazioni anche 106 volte minori
rispetto all’antigene che non riconoscono in quanto l’internalizzazione via BCR è estremamente
efficiente.
3. I linfociti B nei coniugati cellula T-cellula B sono esposti ai segnali portati da CD40L e da alte
concentrazioni di citochine T-derivate, in parte per via della formazione delle sinapsi immuno-
logiche.

4
1.3.4 Effetto aptene-carrier
Gli apteni, come il dinitrofenolo, sono piccole molecole che possono legare anticorpi specifici ma non
sono immunogeni da soli. Se un aptene si lega ad una proteina carrier il loro complesso diventa però
immunogeno. Tre sono le caratteristiche importanti delle risposte anticorpali verso questi complessi:
1. Sono necessarie sia cellule B specifiche per l’aptene che per il carrier.
2. Per avere risposta carrier e aptene devono essere fisicamente associati, la somministrazione sep-
arata non fornisce reazione.
3. L’interazione è MHCII ristretta, cioè gli helper collaborano solo con i linfociti B che esprimono
queste molecole che vengono riconosciute come self dai T.
I linfociti aptene-specifici legano l’antigene attraverso il determinante dell’aptene, lo internalizzano e
presentano i peptidi derivati dalla proteina carrier ai linfociti T carrier-specifici: i due linfociti cooperanti
riconoscono dunque due epitopi diversi dello stesso antigene. L’effetto carrier-aptene è alla base dello
sviluppo dei vaccini coniugati.

1.3.5 Attivazione delle cellule B helper-dipendente


I linfociti helper attivati esprimono una molecola detta CD40L, il cui recettore è CD40, espresso sui
linfociti B che presentano l’antigene: l’interazione tra i due è alla base dell’attivazione. CD40 è un
membro della famiglia dei recettori TNF; CD40L è una proteina trimerica. CD40 è espresso in modo
costituivo dalle cellule B mentre il suo ligando viene espresso dagli helper solo dopo che questi sono
stati attivati. Il legame tra ligando e recettore induce alterazioni conformazionali dei trimeri di CD40 e
questo causa l’associazione di una proteina citosolica detta TRAF; TRAF inizia una cascata enzimatica
che porta all’attivazione e alla traslocazione nucleare dei fattori di trascrizione, tra i quali NF-κB e
AP-1. L’induzione dei fattori di trascrizione CD40-dipendente è cruciale per la formazione dei centri
germinativi e anche per l’espressione di un gene codificante la deaminasi attivazione-indotta (AID),
un enzima critico per lo switching e le mutazioni somatiche. Questo sistema di risposta cellulare
contatto-mediata è il meccanismo generale di attivazione di cellule bersaglio da parte degli helper e non
è dunque unico per la produzione di anticorpi.
Il virus di Epstein-Barr (EBV) infetta i linfociti B e ne induce proliferazione che può portare a linfoma.
La coda citoplasmatica di una proteina trasformante del virus, LMP1, si associa alle stesse molecole
TRAF attivate da CD40 e in questo modo stimola la proliferazione dei linfociti.
I linfociti helper attivati secernono citochine che agiscono insieme a CD40L per stimolare la prolif-
erazione e la produzione di anticorpi di diversi isotipi. Le citochine servono per due scopi principali in
ambito di risposte anticorpali:
1. Aumentano la proliferazione e la differenziazione delle cellule B
2. Promuovono lo switching verso differenti isotipi delle catene pesanti
Il riconoscimento dell’antigene nei linfociti B aumenta l’espressione dei recettori per le citochine, molecole
presenti ad alte concentrazioni nelle sedi di contatto con il linfocita helper. Le citochine helper-derivate,
soprattutto IL-2, IL-4 e IL-21, potenziano proliferazione e differenziazione dei linfociti B, allo stesso
modo delle citochine BAFF e APRIL della famiglia del TNF. La citochina IL-6, prodotta da macrofa-
gi, linfociti T e altre cellule, è invece un fattore di crescita per cellule B già differenziate e secernenti
anticorpi.
L’attivazione contribuisce all’iniziale formazione di foci extrafollicolari di cellule B attivate che pos-
sono andare incontro a differenziazione e switching dell’isotipo. Ognuno dei foci formati contiene
qualche centinaio di plasmablasti e plasmacellule, i cui anticorpi prodotti possono contribuire a for-
mare immunocomplessi che hanno un ruolo nell’iniziare la reazione di formazione del centro germinale.

1.3.6 Reazione del centro germinativo


L’iniziale risposta agli antigeni dei linfociti B si ha nella zona tra i follicoli linfoidi e le zone T; dopo
quattro-sette giorni dall’esposizione alcuni dei linfociti B attivati migrano in profondità del follicolo e

5
iniziano a proliferare rapidamente, formando il centro germinativo. All’interno del centro germinativo
la zona scura contiene cellule B rapidissime a proliferare: in cinque giorni un singolo linfocita può
generare cinquemila cellule figlie. Ogni centro germinativo contiene cellule derivate da un unico clone
o al massimo da un paio. La progenie, formata da cellule più piccole, va incontro a differenziazione e
selezione nella zona chiara del centro.

L’architettura dei follicoli linfoidi e dei centri germinativi dipende dalla presenza delle cellule den-
dritiche follicolari. Le FDC si trovano solo nei follicoli ed esprimono recettori per il complemento (CR1,
CR2 e CR3) e per Fc ma non esprimono molecole MHCII. Le lunghe code citoplasmatiche di queste cel-
lule formano un’impalcatura attorno alla quale si forma il centro germinativo. Le cellule B proliferanti
si posizionano nella zona scura del centro, che presenta poche FDC, mentre la progenie si distribuisce
nelle zone più esterne.
La formazione del centro germinativo è impedita in soggetti con difetti nello sviluppo dei linfociti T o
con mutazioni in CD40 o CD40L; questo fenomeno è dovuto al fatto che il centro viene costruito solo a
partire da cellule B attivate, e l’interazione CD40:CD40L è fondamentale nelle prime fasi dell’attivazione.

1.3.7 Switching dell’isotipo delle catene pesanti


In risposta a CD40 e alle citochine, alcune delle cellule figlie dei linfociti B attivati (che esprimono solo
IgD ed IgM) vanno incontro a switching, portando alla produzione di altre catene pesanti quali γ, α, ε.
In soggetti KO per CD40 si nota come lo switching sia deficitario e le risposte anticorpali siano dominate
da anticorpi IgM.
Le citochine hanno ruolo essenziale nello switching di particolari isotipi. IL-4 è il principale agente
inducente la produzione di IgE, mentre la produzione di IgG2 nel topo è dipendente dall’interferone γ
secreto da linfociti T e cellule NK.

6
Il principale meccanismo grazie al quale CD40 induce lo switching è lo stimolo alla trascrizione del
gene AID. Il gene AID viene dunque trascritto dietro stimolo di CD40, sono però le varie citochine
a indurre i fattori di trascrizione che identificano quale catena pesante sarà il target dello switching
mediato da AID.
Lo switching in risposta a diverse tipologie di microbo è regolato dal tipo di cellula helper che viene
attivata dai microbi stessi, ad esempio:

• Batteri con capsule ricche in polisaccaridi stimolano la produzione di IgM i quali poi favoriscono
il complemento, la fagocitosi e l’opsonizzazione.
• Gli antigeni polisaccaridici, che non necessitano l’aiuto degli helper, stimolano IgM.
• Molti virus e batteri stimolano la produzione di IgG, che bloccano l’ingresso dei patogeni nella
cellula e ne facilitano la fagocitosi. Virus e batteri attivano gli helper del sottogruppo TH 1 che
producono interferone γ, il principale induttore di switching a catena γ nelle cellule B.
• I parassiti elmintici generano risposte di tipo principalmente IgE, anticorpi che partecipano al-
l’uccisione eosinofilo-mediata dei patogeni. Gli anticorpi IgE sono anche alla base delle reazioni
allergiche. Gli elminti attivano gli helper del sottogruppo TH 2 i quali producono IL-4, principale
induttore di switching verso la catena pesante ε.
In aggiunta a questo meccanismo, anche la sede anatomica influenza lo switching. I linfociti B delle
mucose producono soprattutto IgA, l’anticorpo più efficace nell’essere trasportato attraverso gli epiteli;
lo switch è stimolato dal transforming growth factor β (TGF-β ) prodotto da parecchie cellule nelle
mucose. Il recettore TACI (substrato sia per APRIL che per BAFF) ha anch’esso un ruolo critico nello
switch verso IgA.
Il principale meccanismo molecolare di switching è un processo detto ricombinazione switch in
cui il segmento genico riarrangiato VDJ di una cellula B si ricombina con un gene della regione C
a valle mentre il DNA in mezzo viene eliminato. Questi eventi ricombinatori coinvolgono sequenze
nucleotidiche dette regioni switch poste negli introni J-C alle estremità 5’ di ogni locus CH ; queste
regioni sono lunghe 1-10kb, contengono numerose ripetizioni di GC e si trovano a monte di ogni gene
codificante catene pesanti ad eccezione del gene δ. A monte di ogni regione di switch c’è un piccolo
esone detto esone I (per iniziatore della trascrizione) preceduto da un promotore. CD40 e le citochine
stimolano lo switching rendendo più accessibile il DNA di una specifica regione C e inducendo poi la
trascrizione attraverso l’esone I, la regione di switch e l’esone CH . Questi trascritti, detti trascritti
germinali, non codificano proteine ma hanno un ruolo fondamentale nello switch.
La trascrizione germinale è accompagnata dall’accessibilità di un particolare gene C a rotture e
riparazioni del DNA; come risultato l’esone riarrangiato VDJ giusto a monte della regione di switch µ si
accoppia con la regione C a valle trascrizionalmente attiva.
L’enzima chiave richiesto per lo switching è la deaminasi attivazione-indotta (AID). AID è una
DNA deaminasi che converte la citosina in uracile all’interno di template di DNA a singolo filamento.
La trascrizione produce sempre una piccola bolla di DNA a singolo filamento mentre il complesso della
polimerasi scorre lungo il filamento codificante; dato che il DNA nella bolla è a singolo filamento ecco
che può subire l’azione di AID. Un enzima detto uracil N-glicosilasi rimuove a questo punto i residui
di uracile creati da AID generando siti abasici che vengono eliminati dall’endonucleasi Ape1. I buchi
su entrambi i filamenti contribuiscono alle rotture sia alla regione Sµ che al locus a valle coinvolto nello
switching di quel particolare isotipo. L’esistenza di rotture nelle due regioni di switch causa la delezione
del DNA interposto e l’unione delle due giunzioni da parte dei sistemi di riparazione di questo tipo di
danno.

7
1.3.8 Maturazione dell’affinità
Il processo di maturazione dell’affinità genera anticorpi con crescente capacità di legare gli antigeni
e quindi di neutralizzare i microbi. I linfociti helper e le interazioni CD40:CD40L sono richieste per
procedere e quindi la maturazione avviene solo in risposta ad antigeni proteici T-dipendenti.
Nella zona scura proliferativa dei centri germinativi i geni IgV vanno incontro a mutazioni puntifor-
mi ad un tasso di una ogni 103 coppie di geni, cioè da mille a diecimila volte più frequentemente del
normale: questo significa che ci sarà una mutazione nelle regioni V in media ogni divisione cellulare.
Le mutazioni nel gene continuano anche nella progenie, quindi ogni clone di cellula B può accumulare
parecchie mutazioni nella sua vita al centro germinativo.
I meccanismi di mutazione somatica sono poco conosciuti. Si sa che il DNA Ig VDJ diventa altamente
mutabile probabilmente a seguito di legame con fattori mutageni. Non si sa se i centri germinativi
forniscano segnali contatto-mediati o citochine per stimolare le mutazioni ma si sa che l’enzima AID è
fondamentale. I residui di uracile creati da AID possono essere convertiti a residui di timina o possono
essere eliminati dalla glicosilasi, in ogni caso favorendo la mutazione.
In sostanza si crede che le ripetute esposizioni all’antigene generino parecchie mutazioni, di cui
la maggior parte inutili mentre alcune effettivamente portano ad un anticorpo più efficace: il passo
successivo è dunque la selezione delle cellule che producono gli anticorpi migliori.
Le cellule dendritiche follicolari dei centri germinativi presentano gli antigeni, e le cellule B che sono
in grado di legarli con alta affinità vengono selezionate per la sopravvivenza. La prima fase di risposta
all’antigene è la produzione di anticorpi, alcuni dei quali formano complessi con l’antigene e attivano il
complemento. Le FDC hanno recettori per la porzione Fc dell’anticorpo e per i prodotti di attivazione
del complemento; questi recettori legano e presentano gli antigeni complessati con anticorpi o prodotti
del complemento. Nel frattempo i linfociti B dei centri germinativi che hanno subito le mutazioni
migrano verso la zona ricca di FDC: queste cellule moriranno di apoptosi se non verranno salvate dal

8
riconoscimento dell’antigene. In questo modo le cellule che riconoscono in maniera specifica l’antigene
mostrato sulle FDC sono selezionate per vivere. L’aumento della produzione di anticorpi va di pari
passo con l’eliminazione dell’antigene che sarà sempre più raro sulle FDC: si ha dunque necessità di
linfociti B sempre più specifici per la sopravvivenza perchè dovranno avere un’affinità sempre più alta
per legare i pochi antigeni rimasti.
Le mutazioni somatiche avvengono nella zona scura basale del centro germinativo nei centroblasti
che contengono l’enzima AID; terminata la mutazione le cellule migrano verso la zona chiara apicale
dove vengono selezionate dalle FDC e possono andare incontro ad un ulteriore switching. Le cellule
escono infine dal centro germinativo e diventano cellule della memoria o plasmacellule ad altissima
affinità.

1.3.9 Differenziazione dei linfociti B in plasmacellule secernenti anticorpi


La sintesi degli anticorpi, come la proliferazione dei linfociti B, è stimolata da segnali mediati da CD40
e dalle citochine. Molte citochine, tra le quali IL2, IL4 e IL6, sono state individuate come stimolatrici di
questo processo.
All’interno degli organi linfoidi le plasmacellule si trovano soprattutto in sede extrafollicolare, come
la polpa rossa della milza o la midollare del linfonodo. Le plasmacellule sono linfociti B differenziati in
maniera terminale e destinate alla sola produzione di anticorpi. Lo sviluppo di queste cellule dipende
all’induzione di un fattore di trascrizione detto BLIMP-1. Esistono due tipologie di plasmacellula. Le
plasmacellule a vita breve vengono ritrovate negli organi linfoidi secondari e nei tessuti non linfoidi
periferici. A seguito della reazione del centro germinale alcune plasmacellule ottengono la capacità di
dirigersi al midollo osseo dove vengono mantenute grazie al recettore BCMA, e queste cellule prendono il
nome di plasmacellule a vita lunga. Tipicamente dopo due o tre settimane dall’infezione da parte di un
antigene T-dipendente il midollo diventa una sede chiave di produzione di anticorpi. Le plasmacellule
midollari continuano a secernere antibodi per mesi o anni dopo la scomparsa dell’antigene per fornire
protezione immediata in caso di nuovo incontro; quasi la metà degli anticorpi circolanti di un adulto è
prodotto da plasmacellule a vita lunga. Gli anticorpi secreti entrano nella circolazione e nelle secrezioni
delle mucose ma le cellule che li hanno prodotti non sono circolanti.
Le molecole Ig secrete e di membrana differiscono per via della loro regione carbossi terminale. Ad
esempio nelle IgM secrete il dominio Cµ 4 è seguito da una coda contenente aminoacidi polari. Nelle IgM
di membrana invece lo stesso dominio è seguito da una sequenza più corta e idrofobica transmembrana
e da una coda citoplasmatica di tre aminoacidi. La transizione da Ig di membrana a secreta riflette
una variazione nel processing dell’RNA messaggero per la catena pesante. Il trascritto primario di
tutte le cellule B produttrici di IgM contiene infatti VDJ, i quattro esoni Cµ per i domini costanti e
due esoni per i domini citoplasmatici e transmembrana. Il processing dell’RNA determina se gli esoni
transmembrana e citoplasmatico saranno o meno inclusi nell’mRNA finale. In sostanza tutti i linfociti B
possono sintetizzare anticorpi sia di membrana che di secrezione; con il procedere della differenziazione
la quantità di anticorpi di secrezione tende però ad aumentare. I segnali che regolano il processo dello
splicing alternativo non sono conosciuti. Nota: la forma secretoria della catena pesante δ è raramente
espressa, infatti le IgD sono tipicamente proteine di membrana.

1.3.10 Generazione di cellule della memoria e risposte umorali secondarie


Alcuni dei linfociti B attivati acquisiscono l’abilità di sopravvivere per lunghi periodi apparentemente
senza stimolazione antigenica: sono le cellule della memoria. Alcune di queste cellule possono ri-
manere negli organi linfoidi mentre altre ricircolano tra la milza ed i linfonodi. Le cellule della memoria
tipicamente portano recettori antigenici ad alta affinità e molecole Ig di isotipi switch con più frequenza
dei linfociti naive.
Molte delle caratteristiche delle risposte umorali secondarie riflettono la precedente attivazione dei
linfociti B da parte degli helper CD4+ . Lo switching delle catene pesanti è tipico delle risposte secondarie
in quanto indotto dai linfociti helper e dalle loro citochine. La maturazione dell’affinità è anch’essa sec-
ondaria all’attivazione T-dipendente dei linfociti B. Per neutralizzare molti microbi e le loro tossine sono
richiesti anticorpi ad alta affinità; un vaccino effettivo contro tali microorganismi deve dunque indurre
maturazione dell’affinità e produzione di cellule della memoria: entrambi questi processi avverranno
solo in caso di attivazione degli helper. Nel caso di infezioni batteriche in cui l’antigene bersaglio è un

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polisaccaride (incapace di stimolare i linfociti T), si sfrutta il sistema aptene-carrier e si parla di vaccini
coniugati.

1.4 Risposte anticorpali ad antigeni T-indipendenti


Gli anticorpi prodotti in questo tipo di risposte hanno generalmente bassa affinità e sono soprattutto
IgM con un limitato switch verso alcuni sottotipi di IgG.
I più importanti antigeni TI sono polisaccaridi, glicolipidi ed acidi nucleici, tutti in grado di
indurre produzione specifica di anticorpi in animali privi di linfociti T. Tutti questi antigeni non possono
essere processati sulle molecole MHC e quindi essere riconosciuti dagli helper. La maggior parte degli
antigeni TI è polivalente, e questo induce cross-linking massimale del complesso BCR sui linfociti B,
portando ad attivazione senza aiuto degli helper. In aggiunta molti polisaccaridi attivano il complemento
seguendo la via alternativa, generando C3d che lega l’antigene e aumenta l’attivazione dei linfociti B.
Le risposte delle cellule B dipendono infine dai segnali in arrivo dai recettori della famiglia BAFF che
rispondono a fattori di crescita prodotti dalle cellule dendritiche, dai macrofagi e dai TLR.
Le risposte agli antigeni TI sono diverse a seconda del sito anatomico; possono avere inizio nella
milza, nel midollo, nel peritoneo o nelle mucose. I macrofagi in associazione alla milza sono particolar-
mente efficienti nell’intrappolare polisaccaridi. Le cellule B della zona marginale sono un sottogruppo
delle cellule B che risponde soprattutto ai polisaccaridi producendo IgM. Un’altra linea di cellule B che
risponde bene agli antigeni TI è quella delle cellule B B-1, in gran parte derivate dalle cellule staminali
del fegato fetale e sono esposte all’antigene principalmente nel peritoneo e nelle mucose.
Il senso pratico degli antigeni TI è che molti polisaccaridi parietali dei batteri vi appartengono;
individui con deficienze congenite o acquisite dell’immunità umorale sono infatti molto suscettibili ad
infezioni di batteri capsulati, quali Pneumococcus, Meningococcus e Haemophilus. In aggiunta gli
antigeni TI contribuiscono alla generazione degli anticorpi naturali, normalmente presenti in circolo
e apparentemente indotti senza esposizione ai patogeni. La maggior parte degli anticorpi naturali ha
bassa affinità ed è prodotta dalle cellule B di tipo B-1 del peritoneo stimolate dai batteri del tratto GI.
Alcuni antigeni TI inducono isotipi diversi da IgM. Nell’uomo l’anticorpo principale indotto dal
polisaccaride di capsula del pneumococco è IgG2. In assenza di cellule T, BAFF e APRIL possono
indurre nelle cellule di origine mieloide (cellule dendritiche, macrofagi) la sintesi di AID per dar luogo
allo switch.
Nonostante l’incapacità di attivare gli helper, molti vaccini polisaccaridici producono immunità pro-
tettiva di lunga durata. Risposte secondarie rapide e ampie tipiche della memoria si sviluppano per
esposizione secondaria a questi antigeni. Il fenomeno della memoria IgM è stato dimostrato e in topi
e uomo è possibile evidenziare le cellule B della memoria per antigeni TI; nell’uomo queste cellule
esprimono alti livelli di CD27 e IgM o IgD.

1.5 Feedback anticorpale: regolazione della risposta umorale da parte dei re-
cettori Fc
Gli anticorpi secreti inibiscono la continua attivazione delle cellule B formando complessi antigene-
anticorpo che si legano in simultanea ai recettori antigenici ed ai recettori Fc sui linfociti B antigene
specifici: questa è la spiegazione del fenomeno di feedback anticorpale, cioè della downregolazione
della produzione di anticorpi da parte delle IgG secrete. Gli anticorpi IgG inibiscono i linfociti for-
mando appunto complessi che si legano ad un recettore per la forzione Fc della molecola chiamato
recettore FcγII (FcγRIIB o CD32). Il dominio citoplasmatico del recettore contiene un dominio a sei
amminoacidi condiviso con altri recettori di questo tiipo che mediano segnali negativi; per analogia
con gli ITAM questo dominio viene chiamato ITIM (Immunoreceptor Tyrosin-based Inhibition Motif).
Quando il recettore viene stimolato il dominio ITIM viene fosforilato formando un sito di attacco per
l’inositolo 5-fosfatasi SHIP; SHIP idrolizza un fosfato su PIP3 e in questo modo termina la risposta del
linfocita all’antigene. Il complesso antigene anticorpo interagisce simultaneamente sia con il recettore
antigenico che con quello per la porzione Fc, portando la fosfatasi inibitoria vicina al recettore anti-
genico da bloccare. L’importanza dell’inibizione attraverso FcγRIIB è dimostrata nei topi KO per questo
gene. Un polimorfisfmo in questo gene è stato collegato al lupus eritematoso sistemico nell’uomo.
I linfociti B esprimono un altro recettore inibitorio detto CD22, una lectina che lega acido sialico. Il
ligando naturale non è conosciuto e non si sa come si attivi ma si sa che topi KO mostrano una enorme

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attivazione dei linfociti B. Il lato citoplasmatico della molecola contiene un ITIM che da fosforilato lega
la tirosin fosfatasi SHP-1; questa fosfatasi si porta a rimuovere un fosfato sui domini ITAM e quindi
blocca il segnale del BCR.

11
1 Capitolo 11. Tolleranza immunologica
La tolleranza immunologica è definita come la mancanza di risposta ad un antigene indotta dalla
precedente esposizione a quello stesso antigene. Quando un linfocita incontra un antigene può
essere attivato, e quindi dare risposta immunitaria, o disattivarsi/morire dando luogo alla tolleranza.
Gli antigeni in grado di dare tolleranza vengono chiamati tollerogeni per distinguerli dagli immunogeni.
La tolleranza verso i propri antigeni, o self tolleranza, è infine una proprietà fondamentale del sistema
immunitario.
La tolleranza immunitaria è fondamentale per diverse ragioni:
• Gli individui normali tollerano i loro antigeni perchè i linfociti autoreattivi vengono uccisi, inattivati
o cambiano la loro specificità.
• Antigeni estranei possono essere somministrati in modo da inibire le risposte immunitarie in-
ducendo tolleranza in linfociti specifici.
• L’induzione della tolleranza immunologica può essere sfruttata per un approccio terapeutico nel
prevenire risposte immunitarie dannose.

1.1 Caratteristiche generali e meccanismi della tolleranza


• La tolleranza risulta dal riconoscimento degli antigeni da parte di linfociti specifici. I primi studi
sul tema dimostrarono che si può indurre tolleranza facendo riconoscere gli antigeni durante
la vita fetale o neonatale. Ad esempio se un topo adulto A riceve un trapianto di pelle da un
topo B geneticamente diverso si avrà reazione immunitaria per via del mancato riconoscimento
dell’MHC; se invece il topo A riceve cellule del sangue di B durante la vita fetale non si ha rigetto (il
feto è immunodeficiente) e un piccolo numero di soggetti sopravvive normalmente come chimera,
accettando innesti anche da adulto.
• L’auto tolleranza può essere indotta in linfociti self-reattivi immaturi nei siti linfoidi centrali
(tolleranza centrale) o in linfociti maturi in siti periferici (tolleranza periferica). La tolleran-
za centrale assicura che il repertorio di linfociti maturi non riconosca gli antigeni self presenti
negli organi linfoidi primari tuttavia non può contare nella mancata risposta ad antigeni espressi
solamente in periferia: questo tipo di tolleranza è mantenuta da meccanismi periferici.
• La tolleranza centrale si ha perchè tutti i linfociti in maturazione passano in una fase in cui incon-
trano antigeni che portano alla morte cellulare o all’espressione di nuovi recettori o a variazioni
nelle funzionalità. I soli antigeni nel timo e nel midollo sono antigeni self in quanto quelli estranei
sono trasportati agli organi linfoidi periferici: i linfociti in sviluppo incontrano solo antigeni self ad
alte concentrazioni. Questa interazione ha dunque vari possibili esiti:
– Morte per apoptosi, detta delezione clonale
– Cambio dei recettori, detto editing recettoriale
– Differenziazione di alcune cellule CD4+ in cellule T regolatorie che migrano in periferia per
prevenire le reazioni al self.
• La tolleranza periferica si ha quando il linfocita maturo che riconosce il self diventa incapace
di riconoscere tale antigene, o quando viene indotto all’apoptosi o ne viene ridotta l’emivita. La
tolleranza periferica come detto serve a garantire la non risposta ad antigeni non presenti negli
organi linfoidi primari.
• Alcuni antigeni self possono essere totalmene ignorati dal sistema immunitario, così che i linfociti
incontrano l’antigene ma non vi rispondono e rimangono dunque circolanti e funzionali. Non si sa
nulla di questo meccanismo.

1.2 Tolleranza dei linfociti T


La tolleranza dei linfociti helper è un modo efficace per prevenire risposte immunitarie agli antigeni
proteici: molte terapie per indurre tolleranza ai tessuti trapiantati hanno come bersaglio queste cellule.
Molto poco è invece noto della tolleranza nei linfociti citotossici.

1
1.2.1 Tolleranza centrale nei linfociti T
Durante la maturazione nel timo molte delle cellule T che riconoscono gli antigeni con troppa avidità
vengono eliminate grazie al processo di selezione negativa (capitolo 8). I due fattori principali che
determinano la selezione negativa dei timociti autoreattivi sono la concentrazione dell’antigene nel
timo e l’affinità dei TCR del timocita per tali antigeni. Gli antigeni self vengono processati e presentati
sulle molecole MHC dalle APC del timo; questi antigeni includono molte proteine circolanti o associate
alle cellule. Alcune proteine inizialmente credute espresse solo nei tessuti periferici sono invece presenti
nelle cellule epiteliali timiche sotto controllo del gene regolatore autoimmune (AIRE). La proteina
AIRE funziona come fattore di trascrizione per promuovere l’espressione di antigeni selezionati nel
timo. Il processo di selezione interessa sia le cellule MHCI ristrette che quelle MHCII ristrette ed è
dunque importante sia per le popolazioni CD4+ che CD8+ .
L’importanza della selezione negativa è evidente nelle patologie autoimmuni che si sviluppano a seguito
di fallimenti di tale processo:
• La sindrome autoimmune poliendocrina raccoglie una serie di malattie causate da mutazioni
nel gene AIRE ed è caratterizzata da danni anticorpo e linfocita-mediati a organi endocrini multipli.
• Topi con mutazioni nella chinasi TCR-associata ZAP-70 sviluppano artriti e altre manifestazioni
di autoimmunità. La ragione è che la mutazione diminuisce il segnale TCR-indotto quanto basta
per interferire con la selezione negativa facendo scappare linfociti autoreattivi.
Alcuni dei linfociti T CD4+ che riconoscono gli antigeni self nel timo non vengono eliminati ma
differenziano invece in cellule regolatrici che lasciano il timo e inibiscono risposte ai tessuti self in
periferia. Difetti nella proteina AIRE non sembrano prevenire lo sviluppo di queste cellule: questo
suggerisce che i requisiti per il loro sviluppo siano diversi, anche se quel che determina la scelta tra
morte e destino regolativo resta sconosciuto.

1.2.2 Tolleranza periferica nei linfociti T


I meccanismi di tolleranza periferica sono responsabili per la mancata reazione ad antigeni self tes-
suto specifici che non sono abbondanti nel timo. La tolleranza è dovuta ad anergia, delezione o
soppressione delle cellule T, ma non è noto se su ogni cellula agisca uno solo di questi metodi o tutti
insieme.

Anergia indotta da riconoscimento di antigeni self L’esposizione di cellule CD4+ ad un antigene


senza costimolazione o immunità innata può rendere tali cellule incapaci di rispondere. La piena
attivazione delle cellule T richiede il segnale dal TCR e il riconoscimento dei costimolatori, principal-
mente B7-1 e B7-2, da parte di CD28. Una segnalazione prolungata del solo TCR può portare ad
anergia: questa situazione è plausibile per gli antigeni self che non generano immunità innata o forte
costimolazione. Evidenze sperimentali dell’anergia:

• Cellule CD4+ esposte in vitro a complessi sintetici MHC+peptide in assenza di costimolanti ri-
mangono disponibili ma non sono in grado di rispondere all’antigene. L’anergia può essere evitata
per aggiunta di APC attivate in coltura o se i recettori per i costimolanti vengono attivati con gli
anticorpi.

2
• L’anergia può essere ottenuta somministrando antigeni non self in maniera da farli riconoscere
evitando costimolazione o infiammazione. Un metodo è trasferire linfociti T con TCR specifico per
un antigene conosciuto in un topo normale da un topo transgenico. Se l’antigene è amministrato
per via sottocutanea con adiuvanti i linfociti antigene specifici proliferano nei linfonodi di zona,
diventano effettori, migrano nei follicoli linfoidi e interagiscono con le cellule B. Se l’antigene
viene somministrato in forma acquosa senza adiuvanti i linfociti mostrano una abilità ridotta di
proliferare, differenziare e migrare.
• Un antigene, come una glicoproteina virale, può essere espressa nei tessuti di un topo transgenico.
Se il topo esprimente l’antigene viene incrociato con un topo normale che esprime il TCR antigene
specifico come transgene, molti linfociti T incontreranno l’antigene self. Queste cellule diventano
anergiche e perdono la capacità di rispondere all’antigene virale. Presumibilmente anche qui si
tratta di livelli inadeguati di costimolazione.
• Un antigene proteico può anche essere espresso come self antigene sistemico, associato alle cellule
o secreto in topi transgenici. Se un linfocita incontra questi antigeni perde la sua capacità di
rispondervi.
L’anergia è il risultato di alterazioni biochimiche o genetiche che riducono la capacità del linfocita di
rispondere. Sono numerose le alterazioni biochimiche ritenute necessarie per mantenere questo stato
di mancata risposta:
1. Le cellule anergiche mostrano un blocco nella trasduzione del segnale del TCR. Non si sa a
cosa sia dovuto, a volte sembra legato a una sottoespressione del TCR, a volte al reclutamento di
molecole inibitorie quali le fosfatasi.

2. Gli antigeni self potrebbero attivare ubiquitina-ligasi cellulari che potrebbero ubiquitinare le pro-
teine TCR associate portandole a degradazione: il risultato è ancora una volta una riduzione del
segnale del TCR.
3. Quando il linfocita riconosce l’antigene self potrebbe attivare i recettori inibitori della famiglia di
CD28, le cui funzioni sono di terminare la risposta. I due recettori il cui ruolo nella tolleranza self è
meglio descritto sono CTLA-4 e PD-1. In particolare CTLA-4 compete con CD28 per i costimolanti
B7 escludendolo dalla sinapsi immunitaria, inoltre porta diversi segnali inibitori che bloccano
quelli che attivano il TCR. PD-1 riconosce invece due ligandi espressi sulle APC e su altre cellule
e questo riconoscimento porta all’inattivazione del linfocita T.

Le cellule dendritiche residenti nei tessuti linfoidi e non possono presentare gli antigeni self ai linfociti T
per mantenere la tolleranza: le cellule dendritiche mature presentano infatti pochissimi costimolatori.
Le cellule dendritiche attivate sono dunque le principali APC per scatenare la risposta dei linfociti T,
mentre quelle a riposo potrebbero avere ruolo tollerogenico.

Soppressione dei linfociti autoreattivi da parte delle cellule T regolatrici La maggior parte delle
cellule T regolatrici esprimono alti livelli di recettore per IL-2 e CD25 ma non altri markers di at-
tivazione. Queste cellule sono generate principalmente per riconoscimento del self nel timo, ma si
sviluppano occasionalmente anche in periferia. La genesi e la sopravvivenza di queste cellule è dipen-
dente dalle citochine TGF-β e IL-2 e dalla costimolazione B7:CD28. Un fattore di trascrizione chiamato
FoxP3 è critico per lo sviluppo e la funzionalità della maggior parte di queste cellule.
Le cellule T regolatrici riconoscono gli antigeni self e da essi sono generate. Un meccanismo di con-
trollo delle risposte immunitarie di queste cellule è la secrezione della citochina immunosoppressiva
IL-10, che inibisce la funzione di macrofagi e cellule dendritiche. Altri esperimenti indicano che queste
cellule lavorano per contatto diretto con le APC o con i linfociti rispondenti, ma non si sa come eseguono
la soppressione.

Delezione dei linfociti T per apoptosi I linfociti T che riconoscono il self senza infiammazione o
che sono ripetutamente stimolati muoiono per apoptosi: questo tipo di morte è stata chiamata morte
cellulare attivazione-indotta. La morte apoptotica può avvenire secondo due vie biochimiche: via
recettoriale e via mitocondriale (Pinton).

3
• I linfociti T che riconoscono il self senza costimolazione o senza una risposta innata ad accompag-
narli possono attivare la proteina pro-apoptotica Bim, imboccando così la via mitocondriale per
l’apoptosi. Nelle normali risposte linfocitarie i segnali del TCR stimolano l’espressione di proteine
anti apoptotiche della famiglia di Bcl-2 che promuovono la sopravvivenza e la proliferazione
della cellula. Bim può essere attivata dal riconoscimento del self in assenza di costimolazione o
fattori di crescita e attiva a sua volta proteine effettrici che fanno scattare la morte programmata.
In assenza di forte stimolazione infatti non ci sono fattori di crescita e gli effetti di Bim non sono
bilanciati dalle proteine antiapoptotiche.
• Il ripetuto stimolo ai linfociti determina l’espressione dei recettori di morte e dei loro ligandi, e
l’attivazione di tali recettori porta a morte apoptotica. Nelle cellule CD4+ il recettore di morte
fondamentale è Fas, il cui ligando è FasL. A seguito di molte attivazioni FasL viene espresso sulla
superficie cellulare e si va a legare a Fas sulla superficie della cellula stessa o di quelle adiacenti.
L’interazione Fas:FasL attiva la cascata delle caspasi che porta a morte la cellula. Mutazioni in
Fas o FasL portano a malattie autoimmuni simili al lupus.

1.3 Tolleranza dei linfociti B


1.3.1 Tolleranza centrale nei linfociti B
I linfociti B immaturi che riconoscono gli antigeni self nel midollo osseo con alta affinità possono
cambiare la loro specificità o essere eliminati. Se il linfocita riconosce antigeni presenti ad alte dosi
e specialmente se multivalenti, reagisce attivando i geni RAG1 e RAG2 ed esprime una nuova catena
leggera dell’Ig, ottenendo così una diversa specificità. Questo processo è detto editing recettoriale
(capitolo 8) ed è fondamentale nell’eliminare l’autoreattività: se questa via fallisce il linfocita viene
eliminato. Un riconoscimento più blando degli antigeni self porta invece ad anergia piuttosto che a
morte.

1.3.2 Tolleranza periferica nei linfociti B


I linfociti B maturi che riconoscono il self in periferia in assenza di helper possono essere resi inoffensivi
o portati a morte per apoptosi. L’incontro con l’antigene self riduce la sopravvivenza del linfocita e ne
promuove la porte lungo la via mitocondriale. I linfociti che incontrano il self in periferia mostrano
minor capacità di migrare nei follicoli: probabilmente il riconoscimento cronico dell’antigene porta
alla sottoespressione del recettore CXCR5 per chemochine che normalmente porta i linfociti B nei
follicoli. Le cellule escluse dai follicoli non ricevono i segnali sufficienti per sopravvivere e muoiono. Le
cellule B anergiche che incontrano una cellula helper antigene specifica possono poi andare incontro a
morte grazie al FasL dei linfociti T che attiva il recettore Fas.
Si sospetta che molte malattie causate da anticorpi contro il self siano legate a fallimenti della toller-
anza dei linfociti B, ma non se ne sa molto. Individui normali non producono autoanticorpi patogenici
ad alta affinità contro antigeni self, e questo potrebbe essere legato alla delezione o alla tolleranza
degli helper anche in presenza di linfociti B funzionanti. In questi casi difetti nel mantenimento della
tolleranza T possono risultare nella produzione di autoanticorpi.

1.4 Tolleranza indotta da antigeni proteici estranei


Antigeni estranei possono essere somministrati in modo da indurre tolleranza piuttosto che risposta
immunitaria. In generale gli antigeni consegnati per via sottocutanea o intradermica con adiuvanti
favoriscono l’immunità; dosi massicce di antigene per via sistemica senza adiuvanti tendono invece
ad indurre tolleranza. La ragione è che gli adiuvanti stimolano la risposta innata e l’espressione dei
costimolatori sulle APC.
La somministrazione orale di un antigene proteico spesso porta a soppressione delle risposte immu-
nitarie umorali e cellulomediate verso l’antigene: si parla di tolleranza orale. Questo fenomeno potrebbe
essere necessario per evitare risposte immuni agli antigeni del cibo o ai batteri commensali dell’intesti-
no. Diverse dosi di antigeni per via orale possono indurre anergia o indurre cellule producenti citochine
che inibiscono le risposte.

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1.5 Omeostasi del sistema immunitario: terminazione delle normali risposte
immuni
L’attivazione e la morte dei linfociti sono aspetti importanti per mantenerne costante il numero durante
la vita nonostante la produzione continua di nuove cellule.
Le risposte immunitarie agli antigeni estranei sono autolimitanti e si affievoliscono durante l’e-
liminazione degli antigeni facendo tornare il sistema allo stato basale di attività. A seguito della fase
di eliminazione vi è una fase di contrazione in cui la maggior parte delle cellule che hanno risposto
all’antigene vengono perdute; questa fase è dovuta soprattutto alla morte per apoptosi dei linfociti atti-
vati. Gli antigeni, i costimolatori e le citochine prodotte nelle risposte immunitarie prevengono l’apoptosi
del linfocita soprattutto stimolando l’espressione di proteine anti-apoptotiche (soprattutto quelle della
famiglia di Bcl-2). Quando viene eliminato l’antigene vengono dunque a mancanare i necessari stimoli
alla sopravvivenza e si scatena l’apoptosi, che è principalmente il risultato dell’attivazione di sensori di
morte come Bim e della riduzione di proteine per la sopravvivenza quali Bcl-2 e Bcl-x. A seguito del
ritorno alla normalità l’unico segno di una risposta precedente è la persistenza di cellule della memoria
quiescenti ma dalla lunga vita media.
Gli antigeni hanno anche la capacità di scatenare meccanismi attivi per terminare la risposta immu-
nitaria; due di questi meccanismi sono stati già visti come legati alla tolleranza periferica dei linfociti
T. Le cellule T attive esprimono CTLA-4, il quale interagisce con le molecole B7 per inibire la continua
proliferazione linfocitaria; CTLA-4 appare dopo tre o quattro giorni dall’attivazione e può dunque avere
ruolo nel declino della risposta linfocitaria. Altri recettori inibitori, ad esempio PD-1, possono servire a
funzioni analoghe. Le cellule T attivate possono inoltre esprimere recettori di morte come Fas o ligandi
per questi recettori, così che le interazioni possano portare ad apoptosi.
Le risposte dei linfociti B sono inoltre attivamente controllate poichè gli anticorpi IgG prodotti dalle
cellule B formano complessi con gli antigeni che si legano ai recettori Fc sul linfocita inibendolo: si
tratta del processo di feedback degli anticorpi ( capitolo 10)
Un altro meccanismo di regolazione per le risposte immunitarie adattative prende il nome di ipotesi
network. Quest’idea è basata sul fatto che i recettori antigenici sui linfociti sono estremamente vari e
che ognuno ha diversa specificità basata su sequenze diverse di aminoacidi. Queste sequenze uniche
formano determinanti detti idiotipi che possono essere riconosciuti da altri linfociti come complemen-
tari, o anti idiotipici: in altre parole i linfociti sono in grado di rispondere ai recettori di altri linfociti.
Secondo questa ipotesi dunque le varie interazioni tra idiotipi e anti-idiotipi portano ad un sistema di
stato stazionario che caratterizza l’omeostasi. Non si sa con certezza se questa cosa accada sul serio.

5
12.Citochine.
Le citochine sono proteine prodotte dalle cellule dell'immunità sia innata che specifica in risposta ad
antigeni.Uno specifico antigene(es intra o extracellulare)stimola la produzione di citochine specifiche che
attivano precise risposte difensive.
Le citochine nella fase di attivazione stimolano proliferazione e differenziazione,mentre nella fase effettrice
attivano le cellule deputate all'eliminazione del microrganismo. Alcune inoltre stimolano il processo di
ematopoiesi.Nonostante tra loro abbiamo moltissime differenze condividono alcune proprietà biologiche.
La loro secrezione è un evento di breve durata e generalmente autolimitante. Non vengono immagazzinate ma
prodotte ex-novo ogni volta mediante nuova sintesi o meccanismi di modifiche post-trascrizionali.
Le loro attività sono pleiotropiche,ovvero una citochina agisce su diversi tipi cellulari e ridondanti ,ovvero lo
stesso effetto può essere indotto da diverse citochine.
Le citochine possono influenzare la sintesi e le attvità di altre citochine agendo in sinergia o in antagonismo.
Le loro azioni possono essere locali o sistemiche a seconda che la secrezione sia autocrina ,paracrina o
endocrina.
Svolgono le loro azioni legandosi a specifici recettori sulla cellula bersaglio con elevata affinità così che una
bassa espressione di recettori sia sufficiente.I livelli di espressione dei recettori possono variare in risposta a
segnali esterni. Nel caso dei linfociti ad esempio è il riconoscimento dell'antigene ad aumentarne l'espressività.
La risposta cellulare in seguito a legame con citochine consiste generalmente in modificazioni dell'espressione
genica spesso attivando geni silenti,inoltre specifiche citochine dette chemochine inducono modificazioni di
affinità di specifici recettori senza interagire con la trascrizione.La risposta cellulare a citochine è fortemente
controllata da meccanismi a feedback -negativo come fosfatasi,molecole che bloccano chinasi,inibizione
dell'interazione dei fattori di trascrizione e attivazione di recettori inattivi che competono con le citochine.

Classificazione:

Citochine che regolano l'immunità innata:prodotte soprattutto dai macrofagi in risposta ad agenti infettivi che
si legano ai TLR(LPS,Rna virale ecc).Queste agiscono sulle cellule endoteliali e leucociti per richiamare e
attivare la risposta adattativa e mediano l'infiammazione. Sono responsabili dello shock settico. TNF,IFN-γ,IL-1
e IL-12 le principali.

Citochine che regolano l'immunità adattativa:sono prodotte soprattutto dai linfociti T e stimolano crescita e
differenziamento delle diverse popolazioni linfocitarie e l'attivazione delle cellule effettrici. Responsabili del
danno tissutale e infiammazione granulomatosa. IFN-γ,IL-2,IL-4 e IL-5 le principali.

Citochine che stimolano l'emopoiesi: prodotte da cellule stromali del midollo osseo e leucociti e stimolano
crescita e differenziazione dei leucociti immaturi.

12.1 Recettori
Tutti i recettori per le citochine sono composti da una o più proteine transmembrana contenenti un dominio
extracellulare per il legame con la citochina e uno intracellulare per l'attivazione del segnale responsabile della
ridondanza delle citochine.I recettori sono classificati mediante omologia strutturale:
-Recettori di tipo 1:definiti anche dell'emopoietina legano citochine di tipo 1 ovvero che si ripiegani in quattro
catene ad α elica.Questi recettori attivano la via del Jack-STAT.
-Recettori di tipi 2:condividono mole analogie con quelli di tipo 1 ma cambiano le citochine leganti. Importante
la famiglia delle IFN.
-Recettori della famiglia di IL-1:condividono una sequenza citoplasmatica detta TIR.
-Recettori per il TNF:
-Recettori a sette domini transmembrana:sono accoppiati a proteine G.
-Recettori per la superfaglia delle Ig.

12.2 Citochine che regolano l'immunità innata.

-TNF(fattore di necrosi tumorale):


La principale sorgente è costituita dai fagociti mononucleati attivati.Lo stimolo più efficace è il legame ai TLR
di componenti microbiche.L' IFN-γ prodotto dai linfociti T e Nk potenzia la produzione di TNF.Questo viene
prodotto come proteina non glicosilata associata alla membrana e poi in seguito a scissione mediata a TACE
viene secreto sotto forma di tronco di piramide .Esistono 2 recettori per TNF ,TNFR1 e TNFR2,l'1è espresso su
quasi tutti i tipi cellulari,il 2 solo sulle cellule del sistema immunitario.Il legame ligando recettore provoca
l'associazione citoplasmatica del recettore con le proteine TRAF che inducono l'attivazione del fattore NF-κB e
AP-1 che codificano per una serie di proteine coinvolte nella risposta infiammatoria e nell'azione
antiapoptotica.Infatti l'interazione di TNF può anche scatenare apoptosi se legata al recet tore poiché è presente
a livello citoplasmatico un cosiddetto dominio di morte che porta all'apoptosi.I suoi prodotti genici sono in
competizione con quelli di Ap-1.
Il ruolo biologico di TNF è quello di indurre il reclutamento di neutrofili e monociti nel sito di infezione.Esso
stimola le cellule endoteliali a esprimere molecole di adesione,le più imporanti sono le selettine e i ligandi per
le integrine linfocitarie.Inoltre stimola queste cellule e i macrofagi alla produzione di chemochine che
aumentano l'affinità delle integrine per i ligandi endoteliali.
Nelle reazioni infiammatorie il TNF svolge un ruolo centrale tanto che quelle dannose per l'ospite come quelle
autoimmuni possono essere minimizzate con anticorpi anti TNF.
Se secreto in grandi quantità è in grado di entrare in circolo e scatenare numerose reazioni:
-A livello ipotalamico sviluppa l'insorgenza della febbre stimolandolo a secernere prostaglandine
-A livello epatico stimola la sintesi di proteine della fase acuta quali fibrinogeno e proteina amieloide.
A concentrazioni elevate
-A livello muscolare e adiposo causa un deperimento fisico detto cachesia andando a inibire l'appetito.
-Può causare trombosi vascolare inibendo i fattori anticoagulanti e promuovendo la sintesi del fattore
tissutale.Questa sua capacità di causare necrosi tissutale è proprio quella che gli ha dato il nome.
Il cosiddetto shock settico caratterizato da collasso cardiocircolatorio,coagulazione intravascolare e alterazioni
metaboliche è proprio dovuto in caso di sepsi gravi da una abnorme produzione di TNF.
Alla famiglia dei TNF appartengono altri ligandi implicati in processi di attivazine cellulare come
Fas,CD40,BAFF , APRIL e RANK.

-Interleuchina 1:
Ha moltissime cose in comune a TNF,i principali produttori sono i fagociti mononucleati e in aggiunta anche
neutrofili e cellule endoteliali.Le attività biologiche sono pressochè identiche se non che IL-1 non è in grado di
indurre apoptosi e a livello sistemico da sola non riesce a scatenare shock settico.Il recettore è invece differente
ed è rappresentato dei recettori di tipo IL-1.Esitono due forme secrete di IL-1,α e β,quest'ultima necessita
dell'enzima ICE per essere generata.L'interazione con il recettore fa associare una proteina adattarice al dominio
TIR che poi andrà ad attivare i fattori di trascrizione AP-1 e NF-κB.Esiste un antagonista naturale alla IL-1
prodotto dai fagociti detto IL-1 ra utilizzato nella terapia soprattutto dell'artrite reumatoide giovanile.
-Chemochine:
Sono le citochine responsabili del direzionamento dei linfociti e della migrazione dal circolo ai tessuti.Alcune
sono prodotte in risposta a una infezione e richiamano i linfociti nel focolaio,altre sono espresse
costituitivamente e regolano il normale traffico leucocitario.Esistono 50 chemochine raggrupate in 4
famiglie:CC,CXC,C,CX3C.CC e CXC sono prodotte dai linfociti e cellule tissutali principalmente in risposta a
citochine infiammatorie quali TNF e IL-1 o attraverso l'attivazione di TLR.I recettori per le chemochine sono
costituiti da 7 domini transmembrana associati a una proteina G.
Le chemochine coinvolte alla risposta infiammatoria sono prodotte da linfociti T e vanno ad aumentare l'affinità
delle integrine linfocitarie per i lignadi endoteliali.TNF e IL-1 stimolano la produzione sia delle chemochine
che dei ligandi per le integrine.
Le chemochine regolano anche il normale processo di migrazione celllulare agli organi linfoidi.Essenziale ad
esempio per l'incontro APC linfocita.Molte infezioni virali codificano recettori per chemochine che le
sequestrano e che quindi rappresentano un valido meccanismo di elusione del sistema immunitario.Es herpes
virus,citomegalovirus ecc.Inoltre cellule atipiche possono esprimere il cosiddetto recettore D6 che tuttavia è un
falso recettore poiché non invia alcun segnale intracellulre.

-Interleuchina 12:
Principale mediatore delle risposte innate a microrganismi intracellulari.Svoge inoltre un ruolo fondamentale in
quelle cellulo mediate favorendo la produzione di IFN-γ da parte di NK e linfociti T e promuove il
differenziamento dei CD4 a th1 che producono IFN-γ.Essa appartiene a una famiglia di 5 citochine le quali
collaborano con lei ,da ricordare IL-23 per i Th 17.
Le principali sorgenti di IL-12 sono i fagociti mononucleati e le APC attivate.La sua sintesi è indotta
dall'attivazione di TLR e da infezioni intracellulari,alternativamente dal legame con CD40L espresso dai
linfociti T CD4 o con IFN-γ.Il recettore per IL-12 appartiene ai recettori di tipo 1 quindi attiva la via Jack
STAT principalmente STAT4.
Il-12 induce cellule Nk e linfociti T a produrre IFN-γ che andrà ad attivare nei macrofagi meccanismi
battericidi.IL-12 assieme a IFN-γ induce il differenziamento in Th1 dei CD4 le quali a loro vola producono
IFN-γ.IL-12 potenzia inoltre l'attività citotossica dei CTL.
Risulta evidente come questa citochina rappresenti un importante punto di collegamento tra immunità innata ed
adattativa stimolandole entrambe.

-Interferoni di tipo 1.
Gli IFN 1 (NB IFN-γ non vi appartiene)sono una grande famiglia che mediano le fasi precoci della risposta
innata a infezioni virali.Sono codificati da geni sul cromosoma 9.Il recettore per gli IFN1 appartiene ai recettori
di tipo 2 associati a Jack1 e Tyk 2 che attivano STAT1 e STAT 2 che attivano IRF9 che causa la trascrizione di
geni detti ISRE.Esistono tuttavia altre vie di trasduzione.La produzione di IFN è scatenata dal riconoscimento
di Rna virale da parte di TLR associate alle membrane endosomiali e RIG-1 e MDA a livello citoplasmatico e
attivano IRF che ne induce l'espressione.
Gli IFN vanno a inibire la replicazione virale mediante trascrizione di enzimi che degradano l'Rna virale,inoltre
potenziano l'espressione di molecole MHC di classe 1 .Stimolano inoltre la sintesi di recettori per IL-12
potenziando la differenziazione in Th1 e ne promuovono il sequestro nei linfonodi.IFN inibisce infine la
proliferazione di molte cellule tra le quali i linfociti.

Interleuchina10:
Rappresenta uno dei principali inibitori delle risposte dell'ospite.Viene prodotta principalmente dai linfocti
regolatori e macrofagi attivati.Il suo recettore appartiene ai recettori di classe 2.Agisce sui macrofagi attivati
bloccandone le attività in modo da riportare il sistema immunitario allo stato di quiescienza.Lo fa inibendo la
produzione di IL-12 e inibendo l'espressione delle molecole MHC 2 e costimolatorie.

Interleuchina 6:
Prodotta dai fagociti mononucleati è coinvolta nell'immunità sia specifica che innata.Viene prodotta
principalmente in risposta a TNF e IL-1 e con essi si rende responsabile dell'artrite reumatoide.Stimola la
produzione di proteine dlla fase acuta dal fegato e la differenziazione dei neutrofili.Stimola la crescita dei
linfociti B e la proliferazione delle plasmacellule neoplastiche.Per questa proprietà è molto utile nella
produzione di ibridomi.
Riassumendo TNF e IL-1 e chemochine agiscono nelle infezioni extracellulari sull'endotelio e sui linfociti per
facilitare migrazione,Il-12 e IFN-γ in quelle intracellulari attivando i macrofagi e la produzione di IFN-γ.

12.3 Citochine che mediano la risposta adattativa.


Nella fase di attivazione dell risposta immunitaria specifica le citochine stimolano la proliferazione e
differenziazione dei linfociti attivati dagli antigeni.La produzione di citochine è la risposta principale dei
linfociti T dopo aver riconosciuto l'antigene.

Interleuchina 2:
Importante fattore di crescita,sopravvivenza e differenziazione dei linfociti T.Agisce principalmente sulle
cellule che la producono o su quelle vicine.L'espressione del suo anticorpo è stimolata dal processo di
attivazione dei linfociti naive mediato dal riconoscimento dell'antigene.Nel caso dei linfociti regolatori essi
esprimo costantemente i recettori per IL-2.Quest'ultima è indispensabile per la loro sopravvivenza e quindi
anche per la salvaguardia delle risposte immunitarie contro antigeni self controllate da questi ultimi.Negli altri
linfociti IL-2 stimola proliferazione e sopravvivenza inducendo la sintesi della proteina anti-apoptotica Bcl-2 e
promuovendone l'entrata nel ciclo cellulare.Ugualmente nelle Nk dove ne stimola anche l'attività citotossica
generando le cosiddette cellule killer attivate da linfochine.Induce infine proliferazione e sintesi di anticorpi
nei linfocit B.
Interleuchina 4.
Viene principalmente prodotta dai linfociti Th2 ed è la principale citochina responsabile dello scambio
isotopico verso le IgE nei linfociti B. Le IgE sono i principali effettori verso elminti o artropodi,infezioni verso
le quali si attivano Th2.Le IgE sono inoltre responsabili delle allergie(ipersensibilità immediata).IL-4 induce lo
sviluppo dei CD4 verso i Th2 e ne induce la proliferazione inibendo invece lo sviluppo dei Th1.IL-4 assieme a
IL-13 costituisce l'attivazione alternativa dei macrofagi.Si ipotizza inoltre stimoli la peristalsi
Interleuchina 13.
Questa è associata alla IL-4 ed è prodotta sempre dai Th2 nelle infezioni da elminti e artropodi.Essa promuove
la fibrosi nelle fasi di riparazione nei processi infiammatori cronici,stimola la produzione di muco e induce lo
scambio di classe verso IgE nei linfociti B. Contribuisce dunque significatamente nella patogenesi dell'asma
cronico.
Interleuchina 5
Citochina di tipo 1 prodotta anch'essa dai Th2 ha come principale azione la stimolazione alla proliferarzione e
differenziazione degli eosinofili.

Interferone γ.
Rappresenta la principale citochina per l'attivazione dei macrofagi e svolge importanti funzioni sia nella
immunità innata che cellulo-mediata contro i microrganismi intracellulari.La sua azione principale è quella di
attivare le cellule effettrici,non rappresenta lui stesso una citochina antivirale.Viene prodotta dalle cellule
Nk,CD8 e CD4th1 di cui ne rappresenta la principale funzione.Le cellule Nk la producono nell'ambito della
risposta innata in seguiti a molecole attivatrici presenti su cellule danneggiate o infettate oppure in risposta a
IL-12.Nella risposta adattativa è prodotta dai linfociti T in risposta al ricoscimento dell 'antigene e potenziata da
IL-12.Il recettore appartiene ai recettori di tipo 2.
Una volta prodotto IFN γ attiva i macrofagi a uccidere i microrganismi fagocitati assieme al legame CD40L-
CD40.IFN γ promuove inoltre la differenziazione dei linfociti T naive verso i Th1 attraverso l'attivazione del
fattore di trascrizione T-bet e inibisce quella dverso Th2.Questa promozione è effettuata anche mediante
stimolazione dei fagociti a produrre IL-12.
Verso i linfociti B IFN γ promuove lo scambio isotopico verso determinate sottoclassi di IgG come le IgG2 e
inibisce quello verso sottoclassi IL-4 dipendenti come le IgE.Le IgG indotte da IFN γ si legano ai recettori per
Fcγ espressi sui fagociti e attivano il complemento.IFN γ stimola infine le APC nell'espansione delle MHC di
classe 1, e 2 e di molecole costimolatorie.Complessivamente dunque promuove le reazioni infiammatorie in cui
l'azione macrofagica è prevalente e inibisce quelle in cui prevale l'azione eosinofila.

TGF-β:fattore di crescita trasformante.


Assieme a IL-10 è il secondo importante inibitore del sistema immunitario.Possiede tuttavia anche capacità pro-
infiammatorie.Viene prodotto da linfociti T stimolati dall'antigene (in particolare da una sottopopolazione detta
Th3o regolazivi)e macrofagi attivati.Viene sintetizzato come precursore poi attivati proteoliticamente.Il suo
recettore è costituito da 2 proteine ALK5 e TGF-βR2 che trasducono il segnale attraverso una serina/treonina
chinasi che attiva dei fattori detti Smad .TGF-β inibisce la proliferazione e differenziazione dei linfociti T e
l'attivazione dei macrofagi.In questo modo svolge l'importante ruolo di attenuare e terminare le risposte
immunitarie e infiammatorie.Può bloccare la differenziazione in th1 e th2 promuovendo inoltre quella verso
th17 che sono linfociti porinfiammatori.Agendo sui linfociti B promuove lo scambio isotopico verso le IgA che
sono quelle coinvolte nelle risposte immunitarie a livello delle mucose.Regola infine il processo di riparo del
danno tissutale mediante stimolazione nei macrofagi e fibroblasi alla sintesi di collagene.Per tutte queste sue
capacità possiede capacità sia oncogeniche che antitumorali.
Altre citochine:
Lt prodotta dai linfociti T mostra omologia con TNF e interviene nella regolazione dell'infiammazione acuta
attivando cellule endoteliali e neutrofili fungendo da ponte tra l'infiammazione e l'attivazione dei linfociti
T.Tuttia questa non è rilevabile in circolo e non è dunque in grado di indurre danni a livello sistemico come
invece fa TNF.LT è necessaria per lo sviluppo degli organi linfoidi.
BAFF e APRIL appartengono alla famiglia di TNF e sono strettamente correlati con la sopravvivenza dei
linfociti B
IL-17 è prodotta da i linfociti Th17 e comprende 6 citochine con proprietà di difensa nella infezioni batteriche
ma anche in grado di promuovere gravi danni tissutali durante reazioni di ipersensitività.

Riassumendo microrganismi intracellulari stimolano i Th1 a produrre IFN γ che attiva i macrofagi
all'eliminazione dei batteri intracellulari e stimola la produzione di anticorpi.Tutto amplificato da IL-12.
Microrganismi extracellulare pluricellulari stimolano i Th2 a produrre IL-4 e IL-5 stimolando la produzione di
IgE.

12.4 Citochine che stimolano l'ematopoiesi.


Siccome durante le risposte immunitarie vi è il comsumo di leucociti in periferia,è necessario che vi sia una
temporanea nuova produzione di leucociti a livello centrale.Temporanea perchè deve solo riportare il numero a
valori normali.Questa stimolazione è svolta da determinate citochine chiamate CSF(colony stimulating
factors)
Ligando c-Kit:
Le cellule staminali esrimono un recettore codificato dal proto-oncocene c-Kit.La citochina che interagisce con
tale recettore è prodotta principalmente dalle cellule stromali del midollo
GM-CSF,M-CSF,G-CSF
G-CSF:Appartiene al gruppo dei fattori di crescita, che hanno il compito di indurre differenziazione delle
cellule staminali totipotenti, determinando anche l'attivazione dei corrispondenti elementi maturi.
Tutti i fattori di crescita inoltre sinergizzano le azioni di molte altre citochine, come IL-1, IL-4, IL-5, IL-6.
Viene prodotto da linfociti T, fibroblasti, cellule endoteliali,monociti e, come dimostrato recentemente, dai
linfociti B. Le sue principali funzioni si possono così riassumere:
a- attività sui precursori dei granulociti neutrofili;
b- attivazione dei neutrofili e loro attività fagocitaria;
c- stimolazione dell'ADCC (nei neutrofili).
GM-CSF:E' E' il fattore stimolante le colonie macrofagiche-granulocitarie.Prodotto prevalentemente da linfociti T
attivati, fibroblasti, cellule endoteliali e linfociti B, è in grado di stimolare la produzione sia di granulociti che
di macrofagi, nonchè la loro attività. Eccone di seguito le principali funzioni:
a- proliferazione delle colonie granulocitiche e macrofagiche;
b- incremento dell'attività di neutrofili,eosinofili, basofili e macrofagi;
c- stimolazione dell'ADCC(con varie cellule effettrici).
d- azione sulla linea megacariocitica e sulla produzione di piastrine;
e- azione sulle cellule del Langerhans(in quanto cellule processanti l'antigene a livello cutaneo.

Vengono utilizzate per il recupero delle funzionalità midollari in pazienti sottoposti a chemio o trapianto di
midollo.
Eritropoietina(Epo)
Promuove la produzione di globuli rossi ed è prodotta dal rene in seguito a ipossia.

13.Meccanismi effettori dell'immunità cellulo-mediata.


La risposta cellulo-mediata è la funzione effetttrice dei linfociti T e serve come meccanismo di difesa contro i
microrganismi che sopravvivono all 'interno delle cellule.Tale risposta viene attivata dal riconoscimento degli
antigeni espressi sulla superficie delle cellule infettate da parte dei linfociti T .Molte reazioni mediate dai
linfociti T sono importanti anche nel rigetto da trapianto e malattie autoimmuni.
La risposta consiste nello sviluppo di Linfociti T effettori a partire da linfociti T naive negli organi linfoidi
secondari e successiva migrazione di questi nel focolaio di infiammazione .Qui avviene l'attivazione di questi
linfociti T effettori che porta all'eliminazione del microrganismo o della cellula infettata.

13.1 Tipi di reazioni cellulo-mediate


La risposta cellulo-mediata verso microrganismi fagocitati e collocati nei fagosomi è mediata dai linfociti CD4
Th1.Avendo molti microrganismi sviluppato la capacità di sopravvivere all'interno dei fagociti è resa necessaria
questa cooperazione con i TH1 che rappresenta un punto di communicazione tra immunità innata ed ascuisita.
La risposta verso microrganismi che invece sopravvivono nel citosol (soprattutto virus) è mediata dai linfociti
CD8 detti CTL che vanno ad uccidere l'intera cellula infettata.
La reazione verso gli elminti è mediata dai linfociti CD4 Th2.Alcune risposte intracellulari innate sono date
dalle cellule Nk.
L'attivazione macrofagica e la risposta infiammatoria mediata dai linfociti T possono provocare un danno
tissutale,reazione detta ipersensibilità di tipo ritardato o DTH e rappresenta il principale meccanismo di
danno tissutale in malattie autoimmuni.

13.2 Linfociti CD4 effettori.


Esistono distinte popolazioni di linfociti TCD4 che si distinguoni sia per il tipo di citochine prodotte che per le
funzioni effettrici.
Sottopopolazioni Th1 e TH2.
Le sottopopolazioni meglio definite sono le Th1 e Th2:IFN-γ contraddistignue i TH1 mentre IL-4 e IL-5 i
TH2.Queste citochine determinano le funzioni effettrici delle due sottopopolazioni ,inoltre partecipano
attivamente al loro sviluppo ed espansione.Queste citochine fanno si che la risposta sia polarizzata verso una
sola delle due sottopopolazioni favorendone lo sviluppo e attivazione della propria e inibendo quello dell'altra.
Entrambe le popolazioni originano da precursori comuni e sono proprio queste citochine a rappresentare lo
stimolo che determina in quale popolazione si differenzieranno:
-Th1:la differenziazione a Th1 è stimolata dalla presenza di batteri intracellulari.Queste infezioni vanno attivare
le risposte immunitarie innate e la consequente produzione di citochine come IL-12 ,IL 18 e interferoni di tipo
1.Il principale segnale determinante è il riconoscimento dell'antigene associato a IL-12 e IFN-γ.
Alcuni microrganismi legano i TLR macrofagici e attivano direttamente la secrezione di queste citochine.
Altri stimolano le Nk a produrre IFN-γ che poi stimola i macrofagi a produrre IL12.
I linfociti possono ulteriormente potenziare la produzione di citochine da parte dei macrofagi e attivare risposte
supplementari mediante l'interazione CD40-CD40.Il fine ultimo delle cellule TH1 è quello di attivare i
macrofagi all'eliminazione del microrganismo mediante secrezione di IFN-γ e legame CD40l-CD40.
Il riconoscimento dell'antigene(quindi stimolo del complesso TCR=tcr+CD28) e la contemporanea
stimolazione di IFN-γ attiva il fattore di trascrizione STAT1 che ativa il fattore T-bet che induce la produzione
di IFN-γ.La stimolazione con IL-2 indispensabile per innescare la risposta attiva il fattore STAT4 che anch'
esso andrà a indurre T-bet e quindi la produzione di IFN-γ.
-Th2:la differenziazione avviene in risposta ad elminti.Il fattore scatenante è IL-4 che attiva STAT6 che
assieme al segnale inviato dal TCR in seguito al ricoscimento dell'antigene mi va ad attivare il fattore di
trascrizione GATA-3 quale attiva l'esspressione di geni per IL-4,IL-5,IL13,inoltre rende la differenziazione
unidirezionale andando a inibire la sintesi della catena per il recettore di IL-12.Le prime molecole di IL-4
necessarie per dare via all'attivazione si presume siano secrete dal linfocita a partire dalla loro iniziale
attivazione e se poi l'antigene stimolante persiste la concentrazione di IL-4 aumenta e innesca il processo di
differenziazione.Quindi alte concentrazioni di antigene anche senza adiuvanti riescono a portare la
differenziazione verso Th2.

Sottopopolazione Th17:
Recentemente identificata la sottopopolazione Th17 è distinta dalle due sopracitate tant'è che le citochine
prodotte da Th1 e Th2 vanno a inibire la differenziazione in Th17.Questa popolazione produce IL-17,IL22.Si
differenziano a partire dagli stessi progenitori di TH1e2 in seguito a stimolazione dell'antigene e in presenza di
TGF-β,IL-6 e IL-1.Si è ipotizzato che IL-6 sia prodotta precocemente dal tessuto danneggiato che sia da sola
sufficiente ad innescare la differenziazione mediata dai fattori di trascrizione RORγt e STAT3.La citochina
IL-23 favorisce il mantenimento e la sopravvivenza dei TH17 e dunque in mancanza di T regolatori si instaura
una risposta infiammatoria la cui durata dipende da Il-6 e Il-23.Lo scopo principale dei Th17 è di proteggere
contro infezioni batteriche extracellulari e fungine.Si è scoperto essere la causa della sclerosi multipla(anche se
proprio il Prof Zamboni a Ferrara avrebbe confutato tale ipotesi trovandovi la cura) in cui ondate di Th17
danneggiavano la mielina cerebrale.

13.3.1 Risposte immunitarie mediate da th1


La principale funzione dei Th1 è la difesa mediata contro microrganismi intracellulari.L' IFN-γ prodotto attiva
le attività microbicidiche dei fagociti e stimola inoltre la produzione di IgG opsonizzanti che fissano il
complemento e facilitano la fagocitosi.I linfociti T esprimono dei recettori per chemochine e molecole di
adesione che ne indirizzano l'azione.Inizialmente i macrofagi durante la reazione infiammatoria secernono TNF
e IL-1 che stimolano le cellule endoteliali nel focolaio di infezione a esprimere selectine e liganti per integrine
in grado di riconoscere i recettori di homing espressi sui linfociti T. Durante la maturazione i Th1 acqistano
capacità di esprimere i recettori per E e P selettina,inoltre solo i Th1 esprimono recettori per le chemochine
CXCR3 e CXCR5 che assicurano loro la corretta migrazione verso il focolaio infettivo. Una volta migrati e
attivati dall'antigene loro stessi producono grandi quantita di citochine e chemochine per facilitare il
complessivo processo di migrazione.Il passaggio dal circolo al focolaio è indipendente dalla specificità per
l'antigene e assicura la massima possibilità di avere linfociti “utili”.I linfociti che riconoscono l'antigene
ricevono segnai che aumentano l'affinità per le integrine soprattutto VLA-4 e VLA-5 rimanendo trattenuti in
sede extravascolare mentre gli altri ritornano in circolo.In sede i linfociti Th1 attivano i macrofagi per mezzo
sia di segnali provenienti dall'interazione con IFN-γ sia dall'interazione CD40L-CD40(CD40L è espresso solo
dopo l'attivazione).L' IFN-γ attiva STAT-1 e IRF-1 metre CD40 attiva i fattori AP-1 e NK-κB.Questi fattori di
trascrizione vanno ad attivare enzimi che creano intermedi reattivi dell'ossigeno come ossido di azoto ed enzimi
lisosomiali che uccidono i microrganismi.Tali intermedi tuttavia creano un certo danno tissutale che viene però
riparato mediante rimozione delle componenti danneggiate,formazione di nuovi capillari e sintesi di
collagene.Tutti effettuati dai macrofagi attivati.I macrofagi attivati innescano inoltre un processo infiammatorio
mediante secrezione di TNF e IL-1,chemochine e mediatori lipidici finalizzato a richiamare neutrofili e
monociti.
DTH:il danno tissutale e l'infiammazione causati dai Th1 e macrofagi attivati sono i segni caratteristici delle
cosiddette reazioni di ipersensibilità di tipo ritardato o DTH.Queste appartengono alle malattie
infiammatorie immuno-mediate.Una volta attivato il sistema cellulo -mediato nel caso lo stesso antigene si
ripresenti detto richiamo questo stimolerà la risposta immunitaria in modo massiccio e andrà a provocare
appunto una reazione DTH.La caratteristica risposta DTH evolve nell'arco di 24-48 ore.Dopo 4 ore dal contatto
con l'antigene i neutrofili si raccolgono attorno alle venule post-capillare;dopo 2 ore anche linfociti T e
macrofagi.Le cellule endoteliali diventano permeabili alle macromolecole plasmatiche. L'accumulo di fibrina e
linfociti T a livello extravascolare determina un rigonfiamento della zona e successivo indurimento evidenti a
circa 18 ore dal richiamo e raggiungono la massima entità nelle 24-48 ore successive. La rezione DTH è
utilizzata per diagnosticare eventuali infezioni pregresse a determinati antigeni.Nel caso si sfruttino antigeni
ubiquitari è normale la reazione DTH e dunque una sua assenza evidenzia un deficit immunologico noto come
anergia.Nel caso in cui i macrofagi attivati non riescano comunque a eliminare i microrganismi fagocitati in
quel caso può instaurarsi una reazione DTH cronica causando oltre al danno tissutale anche deposito di tessuto
connettivo(fibrosi)come ad esempio nella tubercolosi;si aggiunge la formazione di noduli di tessuto
infiammatorio formato dai macrofagi che circondano l'antigene detti granulomi.

13.3.2 Risposte immunitarie mediate dai linfociti Th2.


La risposta immunitaria mediata dai Th2 ha la principale funzione di promuovere la produzione di IgE e
attivare le risposte immunitari mediate da mastociti e eosinofili nei confronti di infezioni elmintiche.Gli elminti
sono troppo grandi per essere fagocitiati e troppo resistenti per i comuni microbicidi.I Th2 secernono Il-4 e Il-
13 che stimolano la produzione di IgE che opsonizzano il parassita e interagiscono con i recettori Fcε dei
mastociti che possono degranulare i loro contenuti:ammine vasoattive,TNF,e mediatori lipidici tutti in grado di
produrre infiammazione.
I Th2 producono inoltre IL-5 la quale va ad attivare direttamente gli eosinofili in contatto con l'elmina che
iniziano a secernere proteina basica maggiore e proteina cationica maggiore è in grado di intaccare i robusti
elminti.
Il-13 e IL-4 sono anche in grado di attivare i macrofagi M2 mediante la “attivazione alternativa”(quindi non la
“classica”mediante IFN-γ che attiva i macrofagi M1)a esprimere i recettori per il mannosio ed enzimi che
promuovono la sintesi di collagene,fibrosi e citochine antiinfiammatorie. Questi contribuiscono alla
formazione dei granulomi e al rimodellamento dl tessuto danneggiato.IL-13 pare stimoli anch ela produzione di
muco mentre IL-4 la peristalsi intestinale.
L'homing selettivo dei Th2 è mediato da particolari recettori per chemochine CCR3,4 e 8 che legano particolari
citochine espresse nei focolai di infezione da elminti o nel corso di allergie.
Le risposte di tipo TH2 sono infatti la principale causa di allergia.
13.4.Risposte mediate dai linficiti CD8 effettori:CTL
I CTL CD8 sono linfociti T effettori che eliminano le cellule infettate da microrganismi intracellulari.La
modalità di sviluppo è simile ai CD4:vi è stimolazione dei CD8 naive con l'antigene nel linfonodo,si assiste a
una proliferazione,differenziazio e migrazione nel sito di infezione alla ricerca delle cellule infettate e
successiva uccisione di quest'ultime.
L'uccisione di una cellula è antigene -specifica e contatto-dipendente.I CTL uccidono solo le cellule che
presentano associato a Mhc di classe 1 l'antigene che ne ha indotto la differenziazione nel linfonodo.Affinchè vi
sia la liberazione dei granuli citotossici i CTL devono legarsi alla cellula bersaglio.I punti di ancoraggio sono il
legame TCR antigene-Mhc,il legame del cofattore CD8 e l'adesina LFA-1 che si lega a ICAM-1 espresso sul
bersaglio.Questi legami vanno a definire la cosiddetta sinapsi immunologica che rappresenta un punto di
contatto tre le due membrane.Il legame LFA-1 e ICAM-1 va a costituire uno spazio isolato in questo anello di
contatto nel quale si possono identificare due regioni:la regione di trasduzione del segnale e quella del dominio
secretorio.I CTL esprimono anche recettori KIR tipici delle NK che riconoscono MHC di classe 1 anche in
assenza di peptide e inviano segnali inibitori alle CTL in modo da salvaguardare cellule non infettate e gli stessi
CTL.I CTL esprimono inoltre il recettore NKG2D che riconosce molecole MHC modificate magari da tumori o
dall'infezione.
Entro pochi minuti dal riconoscimento la cellula bersaglio va incontro ad alterazioni che la porteranno nell'arco
di 2-6 ore alla morte.Nel frattempo le CTL si distacca dal bersaglio.Il CTL trasmette il cosiddetto colpo letale
costituito dal rilascio di granuli contenenti vari enzimi tra cui
granzimiA,BeC,perforina,serglicina,granulisina,catepsina B.
La perforina e la granulisina associate ai granzimi e alla serglicina perforano la membrana e distruggono le
proteine.La catepsina B impedisce l'autodegradazione.
Un secondo meccanismo di uccisione sfrutta il legame tra FasL espresso dai CTL attivati e il suo recettore
espresso da vari tipi cellulari attivando una caspasi che induce apoptosi cellulare e degradazione del Dna con
conseguente eliminazione della potenziale sorgente infettante.

13.5 Linfociti T della memoria


Le risposte immunitarie portano alla produzione di linfociti T della memoria a partire da intermedi sia di CD4
che di CD8.Possono derivare da Th1 o Th2 gia differenziati o meno e da CD8.I linfociti T della memoria si
possono dividere in due popolazioni:
Linfociti T di memoria centrali:che esprimono CCR7 e L-selettina e ch quindi migrano nei linfonodi dove
non svolgono particolari funzioni effettrici ma piuttosto in caso di riincontro dell'antigene danno via a una
decisa proliferazione che darà origine a una numerosa progenie effettrice.
Linfociti T di memoria effettrici:questi non esrpimo né CCR7 né L selettina e dunque continuano a migrare
attraverso i tessuti periferici e una volta riattivati secernono IFN-γ senza però proliferare attivamente.
La rispota vera e propria dunque è attuata da queste ma dipende direttamente dal grado di proliferazione attuato
a monte da quelli centrali.
Le cellule della memoria possono permanere per anni e questo mantenimento dipende da citochine
costitutivamente presenti nei tessuti.La principale è IL-7 necessaria anche per il mantenimento dei linfociti
naive.Per i linfociti di memoria Cd8 pare sia richiesta anche IL-15.Queste citochine assicurano un basso ma
costante livello proliferativo indipendente dal riconscimento antigene-MHC.
14 Meccanismi effettori dell’immunità umorale
L’immunità umorale è mediata dagli anticorpi di secrezione nel suo ruolo di difesa da microbi extra-
cellulari e tossine microbiche. I tipi di organismi che vengono combattuti con questo tipo di difesa
sono batteri extracellulari, funghi e occasionalmente parassiti intracellulari obbligati nel momento di
esposizione al di fuori della cellula.

14.1 Caratteristiche generali dell’immunità umorale


Le funzioni principali degli anticorpi sono la neutralizzazione e l’eliminazione di microbi infettivi e
tossine microbiche. Le caratteristiche principali di questi meccanismi sono:
1. Gli anticorpi sono prodotti dai linfociti B e dalle plasmacellule negli organi linfoidi e nel midollo,
ma la loro azione si svolge a siti distanti da quelli di produzione. Gli anticorpi sono inoltre at-
tivamente trasportati attraverso la placenta nella circolazione del feto in sviluppo. Per contrasto
nell’immunità cellulomediata i linfociti T non sono trasportati nelle secrezioni delle mucose e non
sono in grado di varcare la barriera placentare.
2. Gli anticorpi possono derivare sia da plasmacellule a lunga vita che a breve a seguito dell’atti-
vazione di linfociti B naive o della memoria. La prima esposizione all’antigene porta all’attivazione
dei linfociti B naive e alla loro differenziazione in plasmacellule o cellule della memoria. Una suc-
cessiva esposizione porta all’attivazione delle cellule della memoria e a una più ampia e rapida
risposta anticorpale. Le plasmacellule derivate prima nelle risposte immunitarie di solito hanno
vita breve mentre quelle più tardive e con swtich dell’isotipo tendono a migrare nel midollo e a
persistere per anni; in un individuo sano almeno la metà delle IgG circolanti sono dovute alla
produzione da parte di queste cellule a lunga vita midollari.
3. Molte delle funzioni effettrici degli anticorpi sono mediate dalle regioni costanti delle catene pe-
santi; diverse catene possono avere diverse funzioni effettrici. Il sistema umorale è specializzato
in modo tale che diversi microbi o antigeni stimolino lo switch da parte dei linfociti verso il tipo
di Ig migliore per combatterli. I principali stimoli allo switch sono le citochine derivate dagli
helper insieme a CD40L; diversi tipi di microbi stimolano la differenziazione degli helper in diversi
sottogruppi, ad esempio TH 1 o TH 2, che producono citochine diverse e inducono switch diversi,
esempi:

(a) I virus e molti batteri stimolano le risposte TH 1 con produzione di IgG che legano fagociti,
natural killer e attivano il complemento.
(b) I parassiti elmintici stimolano risposte TH 2 con produzione di IgE che legano e attivano mas-
tociti e basofili le cui citochine attivano gli eosinofili, particolarmente efficaci nell’eliminare
questi patogeni.

4. Anche se molte delle funzioni effettrici sono mediate dalle regioni costanti, tutte sono scatenate
dal legame dell’antigene alle regioni variabili.

14.2 Neutralizzazione di microbi e tossine


Gli anticorpi contro microbi e tossine bloccano il legame di questi a recettori cellulari in modo da neu-
tralizzarne l’infettività. Molti microbi entrano nella cellula ospite legando particolari molecole di super-
ficie a proteine o lipidi di membrana; gli anticorpi che legano queste strutture microbiche interferiscono
con la loro capacità di interagire con i recettori cellulari e possono dunque prevenire l’infezione a causa
dell’ingombro sterico. In alcuni casi bastano pochissime molecole di anticorpo per avere variazioni
conformazionali nelle molecole del patogeno che interagiscono con la cellula: si può avere dunque un
effetto allosterico dovuto agli anticorpi. Molte tossine microbiche mediano inoltre i loro effetti patologi-
ci sempre legando specifici recettori cellulari: gli anticorpi anti-tossine bloccano stericamente queste
interazioni e impediscono alla tossina di danneggiare l’ospite.
La neutralizzazione anticorpo mediata di microbi e tossine richiede solamente le regioni leganti
l’antigene dell’anticorpo, quindi può essere mediata da qualsiasi isotipo circolante o nelle secrezioni
mucosali. La maggior parte degli anticorpi neutralizzanti nel sangue è di tipo IgG, mentre nelle mucose

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la maggior parte è IgA. Gli anticorpi più efficaci nell’atto della neutralizzazione sono quelli a più alta
affinità, quelli cioè risultanti dal processo di maturazione.

14.3 Opsonizzazione anticorpo-mediata e fagocitosi


Le IgG ricoprono, cioè opsonizzano, i microbi e ne promuovono la fagocitosi legandosi ai recettori Fc
dei fagociti. I fagociti mononucleati e i neutrofili ingeriscono i microbi come preludio all’uccisione e
degradazione; queste cellule esprimono di loro una varietà di TLR che legano direttamente i microbi,
anche in assenza di anticorpi, fornendo uno dei meccanismi dell’immunità innata. I microbi possono
essere opsonizzati anche dal prodotto di attivazione del complemento C3b e fagocitati grazie al recettore
per questa molecola presente sui leucociti. Il processo di copertura del microbo è detto opsonizzazione
e le sostanze in grado di farlo, tra le quali gli anticorpi e le proteine del complemento, sono dette
opsonine.

14.3.1 Fagociti e recettori Fc


Recettori Fc per diversi isotipi delle catene pesanti degli anticorpi sono espressi su molte popolazioni
leucocitarie; di questi recettori i più importanti nella fagocitosi delle particelle opsonizzate sono quelli
per le catene pesanti delle IgG, detti recettori F cγ. Esistono tre recettori F cγ con diverse affinità per le
varie sottoclassi di IgG. Il principale recettore F cγ è detto F cγRI e lega fortemente nell’uomo sia IgG1
che IgG3. F cγRI è composto da una catena alfa contenente la regione che lega Fc in associazione con
un omodimero di una proteina segnalatrice detta catena F cRγ, omologa alla catena ζ del TCR.
Le sottoclassi di IgG che legano in modo più efficace i recettori sono le opsonine più efficienti per
promuovere la fagocitosi: IgG1 ed IgG3. F cγRI lega gli anticorpi legati agli antigeni in modo più efficace
rispetto agli anticorpi liberi. Inoltre l’attivazione del recettore richiede che questo si raggruppi nel piano
della membrana, qualcosa che può succedere solo se l’attivazione è mediata da un antigene legato
ad IgG. Il legame del recettore Fc sul fagocita con l’antigene opsonizzato porta alla fagocitosi della
particella e alla sua internalizzazione in un fagosoma che si porta a fondersi con il lisosoma generando
un fagolisosoma.
Il legame di particelle opsonizzate al recettore attiva i fagociti grazie al segnale trasdotto dalla catena
F cRγ; questa catena contiene dei domini ITAM sul suoi lato citoplasmatico. L’accumulo dei recet-
tori dovuto all’antigene opsonizzato porta all’attivazione di una chinasi che fosforila il dominio ITAM
contribuendo al reclutamento e all’attivazione della tirosin chinasi Syk e la conseguente apertura di
vie di segnalazione. L’induzione del segnale del F cγRI fa scattare la produzione di diverse molecole
microbicide.
1. Inizia la produzione dell’ossidasi fagocitica che catalizza la produzione di ROS citotossici per i
microbi fagocitati.
2. Inizia la secrezione di enzimi idrolitici e ROS all’esterno del fagocita in modo da poter uccidere
microbi extracellulari troppo grandi per la fagocitosi
L’espressione di F cγRI sui macrofagi è stimolata dall’interferon-γ. Gli isotipi anticorpali che meglio
legano i recettori F cγ sono prodotti dallo switching indotto dallo stesso inteferone, inoltre questo stimola
direttamente le attivita microbicide dei fagociti.
Il recettore F cγRIIB è un recettore inibitorio (→ 10.5) già visto nel contesto dei segnali inibitori per
i linfociti B; si trova espresso in molte altre cellule immunitarie e presenta anch’esso un dominio ITIM.
Nei fagociti la sua attivazione va ad attenuare la segnalazione da parte dei recettori attivanti tra i quali
anche F cγRI. Un trattamento empirico ma utile per molte malattie autoimmuni è la somministrazione
intravenosa di IgG che inducono l’espressione nei fagociti di F cγRIIB e quindi la consegna di segnali
inibitori che mitigano l’infiammazione.

14.3.2 Citotossicità cellulomediata anticorpo dipendente


Le cellule NK e altri leucociti legano le cellule opsonizzate con i recettori Fc e le distruggono nel processo
di citotossicità cellulo mediata anticorpo dipendente (ADCC). Le NK usano il loro recettore per Fc, cioè
F cγRIII, per legare le cellule opsonizzate: questo è un recettore in grado di legare solo i complessi e
mai l’anticorpo monomerico. L’attivazione del recettore porta le NK a sintetizzare e secernere citochine

57
quali l’interferon-γ oltre che a scaricare i contenuti dei loro granuli che mediano l’uccisione delle cellule
bersaglio.

Eliminazione degli elminti anticorpo mediata I parassiti elmintici (vermi) sono troppo grossi per
essere fagocitati e resistono ai prodotti microbicidi di neutrofili e macrofagi ma possono essere uccisi
da una proteina estremamente basica (detta proteina basica principale) contenuta nei granuli degli
eosinofili. Le IgG e le IgA che ricoprono gli elminti possono legarsi ai recettori Fc degli eosinofili causan-
done la degranulazione e il rilascio della proteina. In aggiunta le IgE riconoscono gli antigeni superficiali
degli elminti e possono dar vita alla degranulazione locale dei mastociti le cui chemochine e citochine
possono attrarre gli eosinofli nella sede di infezione.

14.4 Il sistema del complemento


Il sistema del complemento è costituito da proteine sieriche e di membrana che interagiscono tra l’oro
e con altre molecole immunitarie in modo regolato per generare prodotti la cui funzione è eliminare i
microbi; le proteine del complemento sono in generale proteine plasmatiche normalmente inattive. Le
principali caratteristiche di questo sistema sono:

1. L’attivazione del complemento richiede la proteolisi sequenziale di vari enzimi per generare nuovi
complessi con attività proteolitica. Le proteine che acquisiscono attività catalitica a seguito di
azione di una proteasi sono dette zimogeni.
2. I prodotti dell’attivazione del complemento sono covalentemente attaccati alle superfici dei microbi
o agli anticorpi a loro volta legati a microbi o ad antigeni. La piena attivazione e le funzioni
biologiche del complemento sono limitate alle superfici microbiche o ai siti dove gli anticorpi legano
gli antigeni e non capitano mai nel sangue.
3. L’attivazione del complemento è inibita da proteine regolatrici presenti normalmente sulle cellule
dell’ospite ma assenti su quelle microbiche. Queste proteine minimizzano i danni derivanti dal
complemento all’host e allo stesso tempo permettono l’attivazione del sistema a danno dei microbi.

14.4.1 Vie di attivazione del complemento


Esistono tre vie di attivazione del complemento: quella classica mediata da certi isotipi di anticorpi,
quella alternativa3 mediata direttamente dai microbi e quella della lectina attivata dall’riconoscimento
di residui di mannosio. Le vie di attivazione convergono nello spezzare la proteina più abbondante
del complemento, C3. La via alternativa e della lettina sono meccanismi effettori dell’immunità innata
mentre quella classica è un componente fondamentale della risposta umorale adattativa.
L’evento centrale nell’attivazione del complemento è la proteolisi di C3 a generare prodotti biologi-
camente attivi e il seguente legame covalente di uno di questi, C3b, alle superfici microbiche o all’an-
ticorpo legato all’antigene. L’enzima C3 convertasi spezza C3 nei due frammenti C3a e C3b, mentre
l’enzima C5 convertasi fa lo stesso con C5; i frammenti sono nominati “a” per il più piccolo e “b” per il
più grande.
C3b diviene covalentemente legato al microbo o all’anticorpo nella sede di attivazione del comple-
mento. Tutte le funzioni biologiche del complemento dipendono dalla rottura proteolitica di C3. Le vie
di attivazione differiscono nel modo in cui C3b viene prodotto, ma seguono una sequenza comune a
partire dalla rottura di C5.

La via alternativa Questa via risulta nella proteolisi di C3 e nel legame stabile di C3b alle superfici
microbiche senza intervento di un anticorpo. La proteina C3 contiene un legame tioestere reattivo se-
polto sotto un ampio dominio detto domino tioestere. Quando C3 viene spezzata, C3b subisce modifiche
conformazionali che espongono il legame tioestere. Normalmente nel plasma C3 viene continuamente
spezzata a bassi regimi per generare C3b nel processo detto di “tickover”. Una piccola quantità di C3b
può dunque legarsi alle superfici cellulari attraverso il legame tioestere che reagisce con gruppi am-
minici o polisaccaridici di proteine o polisaccaridi. Se questi legami non si formano C3b rimane in fase
3 Il nome alternativa deriva dal fatto che è stata scoperta dopo, ma è quella filogeneticamente più antica.

58
fluida e il legame tioestere viene velocemente idrolizzato rendendo la proteina inattiva: l’attivazione del
complemento non può procedere.
Quando C3b subisce le modifiche conformazionali espone anche un sito di legame per una proteina
plasmatica detta fattore B. Il fattore B legato viene a sua volta spezzato da una serina proteasi plasmat-
ica detta fattore D: questo genera un frammento Ba e un frammento Bb che rimane attaccato a C3b. Il
complesso C3bBb è la C3 convertasi della via alternativa: spezza più molecole di C3 che generano C3b
che rimane attaccato alla cellula e C3a che viene invece rilasciato.
Se il complesso C3bBb viene formato su cellule di mammifero viene rapidamente degradato grazie a
diverse proteine; la mancanza di queste proteine sui microbi consente l’attivazione della convertasi. In
aggiunta un’altra proteina della via alternativa, la properdina, può legarsi e stabilizzare il complesso e
questo è favorito sulle cellule microbiche: la properdina è l’unico regolatore positivo conosciuto per il
complemento.
Alcune delle molecole di C3b generate in questo modo si legano alla convertasi stessa con formazione
di un complesso che contiene un misto di una molecola di Bb e due di C3b: questo è la C5 convertasi
della via alternativa che spezza C5 iniziando gli ultimi step del’attivazione del complemento.

La via classica La via classica è iniziata dal legame della proteina del complemento C1 ai domini CH 2
delle IgG o ai CH 3 delle IgM che hanno legato un antigene. Nell’uomo le IgG più efficaci in questo amboto
sono IgG1 ed IgG3. La proteina C1 è un complesso composto da C1q, C1r e C1s; C1q lega l’anticorpo
mentre le altre due subunità sono proteasi. La subunità C1q lega in modo specifico le regioni Fc delle
catene pesanti µ e di alcune γ. Ogni regione Fc della Ig ha un singolo sito di legame per C1q e ogni
C1q deve legare almeno due catene pesanti per essere attivata: questo spiega perchè il complemento si
attiva solo per anticopi legati ad antigeni e non per quelli liberi. La struttura pentamerica delle IgM può
legare due molecole C1q alla volta e questa è una delle ragioni per cui questo anticorpo è più efficare
nel legare il complemento rispetto ad IgG.
C1r e C1s sono serina proteasi. L’attivazione di C1q porta all’attivazione enzimatica di C1r che spez-
za e attiva C1s. La forma attiva di C1s spezza la proteina successiva della cascata, C4, generando C4a
e C4b. C4 è omologa a C3 e C4b ha un legame tioestere interno simile a C3b che è in grado di legare
complessi antigene-anticorpo: questo garantisce che l’attivazione proceda solo in caso controllato. La
proteina successiva, C2, poi complessa con C4b legata alla cellula e viene spezzata da una molecola
C1s vicina in un frammento C2a solubile e uno C2b che rimane associato a C4b. Il complesso risul-
tante C4b2b è la C3 convertasi della via classica. Il legame di questo complesso a C3 è mediato dal
frammento C4b mentre la proteolisi è catalizzata da C2b. La rottura di C3 risulta nella rimozione del
frammento C3a mentre C3b può formare legami covalenti con le superfici cellulari o con l’anticorpo
dove il complemento è stato attivato. Quando C3b è stato depositato questo può legare il fattore B
e generare altra C3 convertasi lungo la via alternativa; l’effetto finale è l’amplificazione e centinaia o
migliaia di C3b finiscono con il depositarsi.
Alcune delle molecole di C3b generate lungo la via classica si legano alla convertasi e formano il
complesso C4b2b3b che funziona da C5 convertasi classica.
Esiste una insolita via anticorpo indipendente della via classica nelle infezioni da pneumococco. I
macrofagi splenici marginali esprimono una lectina di superficie detta SIGN-R1 che lega polisaccaridi
pneumococcici e C1q; il legame del batterio o del polisaccaride alla lectina attiva la via classica e
promuove la copertura del pneumococco con C3b.

La via della lectina La via della lectina è ativata in assenza di anticorpi dal legame di polisaccaridi
microbici a lectine circolanti, come la lectina plasmatica legante mannosio (MBL) o le ficoline. Queste
lectine solubili sono membri di una famiglia di collectine e strutturalmente somigliano a C1q. MBL
lega il mannosio insieme a serina proteasi MBL associate (MASP) come MASP-1, MASP-2 e MASP-3.
Queste proteasi formano complessi tetramerici simili a quelli formati da C1r e C1s e MASP-2 si porta a
spezzare C4 e C2. Gli eventi seguenti sono identici a quelli della via classica.

Passi successivi dell’attivazione La C5 convertasi generate nelle varie vie da il via agli ultimi passi
dell’attivazione del complemento che culminano nella formazione del complesso di attacco alla mem-
brana (MAC). La convertasi genera un frammento C5a che viene rilasciato e uno C5b che rimane at-
taccato alle proteine del complemento depositate sulla superficie cellulare. Le rimanenti proteine della
cascate del complemento (C6, C7 e C8) sono strutturalmente correlate e non hanno attività enzimatica.

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C5b mantiene transientemente una conformazione in grado di legare C6 e C7. La componente C7 del
risultante complesso C5b,6,7 è idrofobica e si inserisce nel doppio strato fosfolipidico della membrana
dove diventa un recettore ad alta affinità per C8. C8 è un trimero composto da tre diverse catene, una
delle quali lega il complesso C5b,6,7 e forma un eterodimero con la seconda catena; la terza si inserisce
invece nel doppio strato fosfolipidico. Il complesso così creato, C5b-8 ha limitata capacità di lisare le
cellule. La formazione del MAC è ottenuta dal legame di C9 al complesso. C9 è una proteina del siero
che polimerizza al sito dove è legato il complesso C5b-8 e forma pori nelle membrane plasmatiche;
questi pori permettono il passaggio di acqua e ioni e quindi la rottura delle cellule sulle quali MAC è
depositato.

14.4.2 Recettori per proteine del complemento


Il recettore complemento di tipo 1 (CR1 o CD35), funziona principalmente per promuovere la fagocitosi
delle particelle coperte da C3b o C4b. Questo recettore ad alta affinità per C3b e C4b è espresso
soprattutto sulle cellule del sangue ma anche sulle cellule dendritiche follicolari. I fagociti usano questo
recettore per fagocitare le particelle opsonizzate. Il legame ligando-recettore trasduce inoltre segnali che
attivano i meccanismi microbicidi del fagocita, soprattutto se anche il recettore Fcγ è simultaneamente
attivato. La funzione di CR1 negli eritrociti è invece di catturare gli immunocomplessi per consegnarli
a milza e fegato dove vengono rimossi dai fagociti.
Il recettore complemento di tipo 2 (CR2 o CD21) stimola le risposte immunitarie umorali migliorando
l’attivazione dei linfociti B e promuovendo la ritenzione dei complessi antigene-anticorpo nei centri
germinativi. CR2 si trova nei linfociti B e nelle cellule dendritiche follicolari. Il recettore lega i prodotti
di degradazione di C3b, cioè C3d, C3dg e iC3b, che vengono generati dalla proteolisi mediata dal fattore
I. Nei linfociti il recettore è espresso come parte di un complesso trimolecolare che include anche CD9
e TAPA-1; questo complesso consegna segnali al linfocita che ne migliorano la risposta all’antigene.
Nell’uomo questo recettore è il bersaglio del virus di Epstein-Barr, causa della mononucleosi infettiva
come anche di molti tumori maligni.
Il recettore complemento di tipo tre (Mac-1, CR3) è un integrina con funzione recettoriale per il
frammento iC3b. Mac-1 è espresso su neutrofili, fagociti e mastociti e sulle cellule NK. Il recettore
consiste in una catena alfa legata non covalentemente ad una beta. Mac-1 sui neutrofili e sui monociti
promuove la fagocitosi dei microbi opsonizzati con iC3b, inoltre lega la molecola ICAM-1 promuovendo
l’adesione stabile dei leucociti all’endotelio anche senza attivazione del complemento: questo porta a
reclutamento leucocitario ai siti di infezione e danno tissutale.
Il recettore complemento di tipo quattro (CR4) è un’altra integrina con la stessa catena beta di Mac-1
ma diversa catena alfa. Le funzioni sono simili a quelle di Mac-1.
Il recettore del complemento della famiglia delle immunoglobuline (CRIg) è espresso sui macrofagi
del fegato, cioè sulle cellule del Kupffer. Si tratta di un recettore che lega i frammenti C3b e iC3b ed è
fondamentale per la clearance dei batteri opsonizzati e di altri patogeni ematici.
SIGN-R1 è una lectina dei macrofagi marginali che riconosce polisaccaridi derivanti da preumococ-
chi e lega anche C1q: è fondamentale nella clearance di questo tipo di batteri.

14.4.3 Regolazione dell’attivazione del complemento


La regolazione del complemento è mediata da parecchie proteine circolanti e di membrana di cui molte
appartengono alla famiglia RCA (Regulators of Complement Activity) e sono codificate da geni omologhi
collocati adiacenti nel genoma. La regolazione del complemento è necessaria per due motivi:
1. Il sistema si attiva spontaneamente in maniera blanda, ma se lasciato continuare potrebbe dan-
neggiare cellule e tessuti normali.
2. Quando il sistema viene attivato opportunamente è necessario controllarlo perchè la degradazione
delle varie proteine potrebbe farle diffondere verso le cellule vicine e danneggiarle.

Molti meccanismi di controllo sono tesi a impedire la formazione o l’attività della C3 convertasi nelle
prime fasi di attivazione, o analogamente della C5 convertasi o infine del MAC.
L’attività proteolitica di C1r e C1s è inibita da una proteina detta C1 inibitore (C1 INH), una serina
proteasi che mima i normali substrati di questi enzimi. Se C1q lega un anticorpo e comincia l’atti-
vazione, C1 INH diventa bersaglio della attività enzimatica: l’inibitore viene spezzato e diviene legato

60
covalentemente alle proteine del complemento, con il risultato che il complesso C1r2 − C1s2 si dissocia
da C1q e la via classica viene inibita.
Una patologia autosomica dominante, l’edema angioneurotico ereditario, è dovuto a una carenza di
C1 INH. Le manifestazioni cliniche comprendono accumuli intermittenti acuti di fluido nella cute e
nelle mucose che causano dolori addominali, vomito, diarrea e ostruzione delle vie aeree. In questi
pazienti i livelli plasmatici di C1 INH sono ridotti a meno del 30% del normale: l’attivazione di C1 non
è controllata e nemmeno il complemento in generale.
L’assemblaggio delle C3 e C5 convertasi è inibito da proteine regolatrici che legano C3b e C4b
sulle superfici cellulari. Se C3b si lega alla superficie di una cellula normale di mammifero viene
legato da parecchie proteine, tra cui MCP (Membrane Cofactor Protein), il recettore complemento tipo
1 (CR1), DAF (Decay Accelerating Factor) e fattore H. C4b in maniera simile viene legato da DAF, CR1,
da C4BP (C4 Bingind Protein). Tutte queste proteine inibiscono per via competitiva il legame degli
altri componenti del complesso convertasi, bloccando ulteriori progressi nella cascata di attivazione.
Ovviamente queste proteine sono espresse nelle cellule di mammifero ma non in quelle batteriche.
DAF è una proteina di membrana legata a lipidi espressa su cellule endoteliali ed eritrociti. La carenza
dell’enzime richiesto a formare i legami proteina-lipide porta al fallimento nella sua espressione ed è alla
base della patologia detta emoglobinuria parossistica notturna. La patologia è caratterizzata da episodi
ricorrenti di emolisi intravascolare, almeno in parte legati all’attivazione incontrollata del complemento
a danno dei globuli rossi: si ha così anemia emolitica cronica e trombosi venosa.
C3b associato alle cellule viene degradato per via proteolitica dal fattore I, una serina proteasi plas-
matica attiva solo in presenza di altre proteine regolatrici. MCP, il fattore H, C4BP e CR1 sono tutti
cofattori per la degradazione mediata da fattore I di C3b e C4b. L’azione di questo fattore produce
i frammenti C3b, C3dg e iC3b che non attivano il complemento ma sono comunque riconosciuti dai
recettori su fagociti e linfociti B.
La formazione del MAC è inibita dalla proteina CD59 che funziona incorporando in se stessa il MAC
in fase di assemblaggio subito dopo l’inserzione del complesso C5b-8, in pratica inibisce l’aggiunta di
C9. L’assemblaggio di MAC è inibito inoltre da proteine plasmatiche quali la proteina S che lega il
complesso C5b,6,7 impedendone l’inserimento nella membrana.

14.4.4 Funzioni del complemento


Opsonizzazione e fagocitosi I microbi sui quali il complemento è stato attivato diventano ricoperti da
C3b, iC3b o C4b e fagocitati dal legame di queste proteine a recettori specifici su macrofagi e neutrofili.
C3b e C4b legano CR1 mentre iC3b lega Mac-1 e CR-4. Preso singolarmente CR1 non è sufficiente
a indurre fagocitosi, ma lo diventa se gli stessi microbi sono coperti da IgG che simultaneamente
attivano i recettori Fcγ. La fagocitosi C3b e iC3b dipendente è un meccanismo fondamentale di difesa
sia per l’immunità innata che per l’adattativa. Esempio di questa via è la difesa contro pneumococchi
e meningococchi. Questi batteri vengono legati dagli anticorpi IgM i quali attivano la via classica del
complemento causando la clearance dei patogeni nella milza: questo è anche il motivo per cui i soggetti
privi di milza sono più a rischio in queste infezioni.

Stimolazione delle risposte infiammatorie I frammenti C5a, C4a e C3a inducono risposte infi-
ammatorie acute attivando mastociti e neutrofili. Tutti e tre questi peptidi legano i mastociti causan-
done degranulazione e rilascio di mediatori vasoattivi quali l’istamina; questi peptidi sono anche detti
anafilatossine perchè scatenano risposte caratteristiche dell’anafilassi. Nei neutrofili C5a stimola in-
oltre la motilità, l’adesione alle cellule endoteliali e (ad alte dosi) il burst respiratorio con produzione
di ROS; questa molecola potrebbe inoltre agire direttamente sull’endotelio e indurre un aumento di
permeabilità e l’espressione della selectina P che promuove il legame dei neutrofili. Gli effetti proin-
fiammatori di C5a, C4a e C3a sono mediati da recettori specifici tra i quali il più studiato è quello
per C5a. Questo recettore è di tipo accoppiato a proteina G e viene espresso su moltissime tipologie
cellulari.

Citolisi complemento-mediata La citolisi è mediata da MAC. La maggior parte dei patogeni ha


sviluppato spesse pareti o capsule per impedire l’accesso a MAC alle loro membrane, per questo in
realtà il sistema protegge verso pochissimi tipi di batteri, tra i quali le Neisserie.

61
Altre funzioni del complemento Legandosi ai complessi antigene anticorpo le proteine del comple-
mento ne promuovono solubilizzazione e clearance fagocitaria. Piccole quantità di questi complessi si
formano frequentemente in circolo e se lasciate accumulare rischiano di portare a reazioni infiamma-
torie e danni tissutali. La formazione di questi immunocomplessi richiede interazioni tra le porzioni Fc
di molecole Ig vicine: il complemento evita questo grazie all’ingombro sterico delle sue componenti.
La proteina C3d generata da C3 lega CR2 sui linfociti B facilitandone l’attivazione e l’avvio delle
risposte immunitarie umorali. C3d viene generata quando il complemento è attivato da un antigene
o da un complesso antigene-anticorpo. I linfociti B possono legare l’antigene grazie alle loro Ig ma
possono legare anche C3d grazie a CR2, potenziando in tal modo la segnalazione.

14.4.5 Evasione del complemento


I meccanismi di evasione sfruttati dai microbi possono essere divisi in tre categorie:

1. Reclutamento delle proteine regolatrici dell’host. Molti patogeni esprimono acidi sialici che reclu-
tano il fattore H inibendo così la via alternativa (il fattore H separa C3b da Bb). Alcuni patogeni
sottraggono acido sialico dalle cellule dell’host mentre altri hanno evoluto metodi di produzione
autonomi.
2. Produzione di proteine specifiche che mimano quelle regolatrici umane. E.Coli produce una pro-
teina che lega C1q e impedisce il legame con C1r e C1s. S.Aureus produce la proteina SCIN che
inibisce la C3 convertasi.
3. Inibizione dell’infiammazione complemento-mediata grazie a prodotti di geni microbici.

14.5 Funzione degli anticorpi in siti anatomici specifici


14.5.1 Immunità mucosale
IgA è la più importante classe di anticorpi in questo ambito. I tratti GI e respiratorio sono le più
importanti sedi di ingresso di microbi. Nelle secrezioni mucosali le IgA legano i microbi e le tossine
nel lume e le neutralizzano impedendone l’ingresso. Il sistema immunitario mucosale è una collezione
di linfociti e altre cellule organizzato in strutture anatomiche distinte sotto gli epiteli dei tratti GI e
respiratorio. Si stima che un adulto produca due grammi di IgA al giorno, cioè il 70% del totale.
Lo switch all’isotipo IgA è stimolato da citochine della famiglia del TNF tra le quali BAFF. La ragione
dell’abbondanza di IgA nelle mucose è che lo switch avviene in modo più efficiente in questi tessuti
mucosali, inoltre i plasmablasti IgA hanno particolare propensione per la lamina propria intestinale.
Le IgA secrete sono trasportate attraverso le cellule epiteliali grazie a un recettore Fc IgA specifico
detto recettore poli-Ig. Questo recettore è sintetizzato dalle cellule epiteliali delle mucose ed espresso
sulle superfici basali e laterali. Quando l’IgA si lega al recettore questo viene endocitato e trasportato
attivamente dall’altra parte dove viene poi spezzato per via proteolitica e si ha il rilascio dell’IgA in asso-
ciazione ad un residuo del recettore detto componente secretorio. Questo recettore funziona soprattutto
per le IgA ma è capace di trasportare anche le IgM e questo ne giustifica il nome.

14.5.2 Immunità neonatale


I neonati non hanno la capacità di rispondere ai microbi per parecchi mesi dopo la nascita e la loro
principale linea di difesa è l’immunità passiva dovuta agli anticorpi materni. Le IgG materne sono
trasportate dalla placenta mentre un mix di IgA ed IgG viene trasportato nel latte. Le IgA ed IgG
ingerite possono neutralizzare i patogeni che tentano di colonizzare i visceri, e le stesse IgG sono poi
trasportate in circolo; in sostanza un neonato contiene essenzialmente le stesse IgG della madre.
Il trasporto delle IgG attraverso la placenta è mediato da un recettore detto recettore Fc neona-
tale, unico in quanto assomiglia alle molecole MHCI. Nel periodo postnalate il recettore funziona nel
proteggere gli anticorpi plasmatici dal catabolismo; si lega alle IgG circolanti, promuove l’endocitosi
dei complessi e in questo modo protegge l’anticorpo internalizzato dalla degradazione intracellulare,
riciclandolo poi di nuovo in circolo.

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15 Immunità ai microbi
15.1 Caratteristiche generali
1. La difesa contro i microbi è mediata sia dall’immunità innata che dall’immunità adattativa. Il
sistema innato fornisce la prima linea di difesa mentre quello adattativo fornisce una risposta più
sostenuta e vigorosa. Molti microbi hanno evoluto sistemi per sfuggire alle risposte innate. Le
risposte adattative sono generalmente più potenti per varie ragioni, tra le quali l’espansione del
pool antigene-specifico dei linfociti e la specializzazione.
2. Il sistema immunitario risponde a microbi diversi in modo distinto e specializzato per massimiz-
zare l’efficacia.
3. La sopravvivenza e la patogenicità del microbo nell’ospite sono influenzate in modo critico dalla
capacità del patogeno di sfuggire o resistere al sistema immunitario.
4. In molte infezioni il danno tissutale e la patologia possono essere causate dalla risposta dell’host
più che dal microbo in se.

15.2 Immunità ai batteri extracellulari


I batteri extracellulari sono in grado di replicare al di fuori della cellula ospite. La patologia è causata
da due meccanismi principali:
1. Induzione dell’infiammazione. Questo è il meccanismo per cui molti cocchi piogeni causano
infezioni suppurative nell’uomo.
2. Produzione di tossine. Le tossine possono essere endotossine, cioè componenti delle pareti del
batterio, o esotossine, cioè prodotti di secrezione attiva.

15.2.1 Immunità innata ai batteri extracellulari


I principali meccanismi sono l’attivazione del complemento, la fagocitosi e la risposta infiammatoria. Il
peptidoglicano dei batteri Gram+ attiva la via alternativa del complemento promuovendo la formazione
della C3 convertasi. Il LPS attiva anch’esso la via alternativa in assenza di anticorpi. I batteri che esp-
rimono mannosio sulla loro superficie possono legare la lectina attivando il complemento lungo questa
via. Uno dei risultati dell’attivazione del complemento è l’opsonizzazione dei batteri, inoltre l’assemblag-
gio del MAC è in grado di uccidere direttamente batteri quali le Neisserie. I prodotti del complemento
sono inoltre potenti pro-infiammatori che causano il reclutamento e l’attivazione dei leucociti. I fagociti
usano vari recettori, tra cui quelli per il mannosio e i TLR, per riconoscere i batteri e sfruttano quelli
Fc e per il complemento per legare cellule opsonizzate. In aggiunta i fagociti secernono citochine, che
inducono filtrazione leucocitaria ai siti di infezione, quindi infiammazione. I danni tissutali sono il lato
patologico di questo comportamento, inoltre le citochine sono anche responsabili delle manifestazioni
sistemiche, tra le quali febbre e sintesi di proteine di fase acuta.

15.2.2 Immunità adattativa ai batteri extracellulari


L’immunità umorale è la risposta protettiva principale ai batteri extracellulari e alle loro tossine. Le
risposte anticorpali sono dirette contro gli antigeni della parete o direttamente alle tossine che possono
essere polisaccaridiche o proteiche. Le tossine polisaccaridiche sono prototipi di antigeni timo indipen-
denti, e una funzione principale dell’immunità umorale è la difesa contro batteri la cui parete è ricca
di polisaccaridi. I meccanismi principali sono neutralizzazione, opsonizzazione, fagocitosi e attivazione
del complemento. La neutralizzazione è mediata da IgG ed IgA, l’opsonizzazione da IgG e l’attivazione
del complemento da IgM ed IgG. Gli antigeni proteici attivano inoltre i linfociti T helper che producono
citochine per stimolare la sintesi di anticorpi, l’infiammazione e l’attività fagocitica.

63
15.2.3 Effetti dannosi delle risposte immunitarie
I principali effetti collaterali delle risposte a batteri extracellulari sono l’infiammazione e lo shock settico.
Le reazioni infiammatorie, dovute agli stessi meccanismi che sradicano l’infezione, sono normalmente
controllate e autolimitanti. Lo shock settico è la conseguenza di infezioni disseminate da parte di batteri
Gram- (e qualche Gram+) ed è caratterizzato da collasso cardiocircolatorio e coagulazione intravascolare
disseminata. La fase precoce è causata dalle citochine macrofagiche prodotte soprattutto in risposta
all’LPS; TNF è la principale citochina mediatrice dello shock, ma anche IFN-γ e IL-12 hanno ruolo.
Alcune tossine batterische stimolano tutti i linfociti T in un individuo che esprimono una particolare
famiglia genica di recettori: sono i superantigeni. La loro importanza sta nel fatto che possono attivare
moltissimi linfociti, con conseguente iperproduzione di citochine e shock.
Una complicazione tardiva della risposta umorale può essere la generazione di anticorpi patogeni. La
febbre reumatica è la sequela di un’infezione faringea da parte di alcuni streptococchi β-emolitici; l’in-
fezione porta alla produzione di anticorpi contro una proteina della parete batterica ma alcuni di questi
cross-reagiscono con proteine del sarcolemma cardiaco con conseguente endocardite. La glomerulone-
frite streptococcica è la sequela anch’essa di infezioni con streptococchi β-emolitici in cui gli anticorpi
formano complessi che si vanno a depositare nel rene causando la nefrite.

15.2.4 Evasione immunitaria dei batteri extracellulari


Il principale meccanismo di evasione dell’immunità umorale è la variazione genetica degli antigeni
superficiali. Esempio è il principale antigene dei pili di batteri tipo gonococco ed escherichia: la pilina.
I geni che la codificano subiscono pesante conversione e la progenie di uno di questi organismi può
produrre più di un milione di varianti che garantiscono l’evasione all’attacco degli anticorpi anti-pilina.
Altre vie di evasione sono l’inibizione dell’attivazione del complemento o la resistenza alla fagocitosi.

15.3 Immunità ai batteri intracellulari


I batteri intracellulari facoltativi possono sopravvivere e anche replicare nei fagociti: è necessaria
l’immunità cellulo-mediata.

15.3.1 Immunità innata ai batteri intracellulari


Questa risposta è mediata soprattutto da fagociti e natural killer. I fagociti, prima neutrofili e poi
macrofagi, ingeriscono e cercano di distruggere questi microbi che però resistono al loro interno. I
batteri intracellulari attivano le NK inducendo l’espressione di molecole NK-attivanti o stimolando le
cellule dendritiche e i macrofagi a produrre IL-12. Le cellule NK producono IFN-γ che a sua volta attiva
i macrofagi e promuove l’uccisione dei batteri fagocitati. Le cellule NK forniscono una prima linea di
difesa, ma solitamente questa immunità fallisce nello sradicare queste infezioni.

15.3.2 Immunità adattativa ai batteri intracellulari


L’immunità cellulo-mediata consiste di due tipi di reazione:

1. Attivazione dei macrofagi grazie ai segnali dei linfociti T quali CD40L o IFN-γ
2. Lisi delle cellule infette da parte dei linfociti citotossici
Sia le cellule CD4+ che le CD8+ rispondono agli antigeni proteici dei microbi fagocitati che sono presen-
tati come peptidi sulle molecole MHCII o I. Le cellule CD4+ differenziano in effettori TH 1 dietro stimolo
di IL-12 prodotta dai macrofagi e dalle cellule dendritiche. I linfociti T esprimono CD40L e secernono
IFN-γ e questi due stimoli attivano i macrofagi per produrre varie sostanze microbicide. L’interferone
stimola inoltre la produzione di isotipi anticorpali che attivano il complemento e opsonizzano i batteri
per aiutarne la fagocitosi.
I batteri fagocitati stimolano i linfociti CD8+ se gli antigeni passano dal fagosoma al citosol o se
il batterio scappa dal fagosoma. Nel citoplasma i meccanismi microbicidi del fagocita sono inutili e
l’infezione va estirpata uccidendo la cellula.

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L’attivazione macrofagica si ha in risposta a microbi intracellulari che possono anche causare danno
tissutale. Il danno può essere il risultato di ipersensibilità ritardata. I batteri intracellulari si sono evo-
luti per resistere all’uccisione, e persistono spesso per lunghi periodi causando stimolazione antigenica
cronica dei linfociti e attivazione dei macrofagi che possono risultare nella formazione di granulomi. La
formazione di granulomi, principale segno istologico per alcune patologie, serve a evitare la diffusione
dei microbi ma è anche causa di pesanti disfunzioni tissutali.
Le differenze individuali nei pattern di risposta linfocitaria ai microbi intracellulari sono determi-
nanti importanti per la progressione e l’esito della malattia: esempio è la lebbra. Esistono due forme
di lebbra, lepromatosa o tubercoloide. Nella forma lepromatosa i pazienti hanno alti titoli di anticor-
pi specifici ma deboli risposte cellulomediate; l’esito evidente è la formazione di lesioni distruttive di
cute e tessuti annessi. I pazienti con lebbra tubercolosa hanno invece forte immunità cellulomediata e
pochi anticorpi: si sviluppano danni ai nervi periferici ma la distruzione tissutale è molto minore. La
differenza tra le due patologie è il modo in cui l’organismo risponde.

15.3.3 Evasione immunitaria dei batteri intracellulari


I meccanismi includono l’inibizione della fusione del fagolisosoma o la fuga nel citosol. La resistenza al-
l’eliminazione per fagocitosi è la ragione per la quale questi batteri tendono a causare infezioni croniche
che durano anni.

15.4 Immunità ai funghi


Sono diversi i funghi che infettano l’uomo e possono vivere sia in ambiente extracellulare che dentro i
fagociti: le risposte sono dunque spesso combinazioni di quelle per batteri intra ed extracellulari. La
differenza è che si sa pochissimo dell’attività antifungina delle varie sostanze.

15.4.1 Immunità innata ed adattativa ai funghi


I principali mediatori dell’immunità innata ai funghi sono neutrofili e macrofagi. I neutrofili probabil-
mente liberano sostanze antifungine come i ROS e fagocitano i funghi.
L’immunità cellulomediata è il meccanismo principale di protezione per queste infezioni.

15.5 Immunità ai virus


15.5.1 Immunità innata ai virus
I principali meccanismi sono l’inbizione dell’infezione grazie agli interferoni di tipo I e l’uccisione diretta
delle cellule infette grazie alle NK. Sono molti i meccanismi biochimici che portano alla sintesi degli IFN,
ad esempio il riconoscimento di genomi esogeni grazie ai TLR o l’attivazione di chinasi citoplasmatiche.
La funzione dell’interferone di tipo I è l’inbizione della replicazione virale sia in cellule infette che sane
attivando uno stato antivirale. Una molecola chiave indotta dall’interferone è PKR, una chinasi che
deve legare dsRNA per essere attivata, un tipo di acido nucleico presente nelle sole cellule infette.
L’attivazione di PKR blocca la sintesi proteica e causa quindi la morte della cellula. Le cellule NK
riescono invece a riconoscere le cellule infette e ad ucciderle prima che l’immunità adattativa si scateni.

15.5.2 Immunità adattativa ai virus


Gli anticorpi bloccano il legame del virus ai recettori cellulari e i linfociti T citotossici uccidono le
cellule infette. Gli anticorpi sono efficaci solo durante la fase extracellulare della vita virale, cioè prima
dell’infezione o nel passaggio da cellula a cellula. Gli anticorpi di isotipo IgA sono importanti per questa
risposta nell’ambito delle mucose. Ruoli aggiuntivi degli anticorpi sono l’opsonizzazione pro-fagocitosi
e l’attivazione del complemento.
L’importanza dell’immunità umorale è evidente in quanto la resistenza ad un virus è spesso speci-
fica per quel tipo sierologico di virus: ad esempio esporsi al virus dell’influenza di un certo tipo non
immunizza per gli altri. Quando il virus entra in una cellula diventa irraggiungibile per l’anticorpo: i
vaccini dunque possono prevenire un’infezione ma mai curarne una già in atto.

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L’eliminazione di virus intracellulari è mediata dai linfociti citotossici che uccidono la cellula infetta.
Quasi tutti i linfociti citotossici sono CD8+ che risconoscono antigeni citosolici in associazione a MHCI.
Se la cellula che presenta l’antigene non è una APC professionista può essere fagocitata da una di
queste per attivare meglio i linfociti CD8+ naive: si parla di cross-priming o cross-presentazione. La
piena differenziazione a linfociti citotossici richiede l’immunità innata o le citochine prodotte dagli
helper o i costimolatori sulle cellule infette.
Le risposte immunitarie alle infezioni virali possono produrre danni per azione dei linfociti citotossici
o per altre vie. Una consequenza di alcune infezioni a lungo termine, tipo epatite B, è la formazione di
immunocomplessi che si depositano nei vasi e portano a vasculite sistemica.

15.5.3 Evasione immunitaria dei virus


1. Alterazioni degli antigeni per non essere più bersaglio immunitario. Gli antigeni più alterati sono le
glicoproteine superficiali e i meccanismi più frequenti sono mutazioni puntiformi o riassortimento
dell’RNA nei virus con tale genoma.
2. Inibizione della presentazione antigenica su MHCI. In questo modo i linfociti CD8+ non riconoscono
più la cellula infettata, ma c’è da dire che le NK sono fortemente stimolate da cellule che non
presentano queste molecole.

3. Produzione di molecole che inibiscono la risposta immunitaria. Alcuni virus (ad esempio poxvirus)
producono proteine leganti citochine che funzionano da antagonisti competitivi. Altri virus pro-
ducono molecole simil MHCI che competono per la presentazione, altri molecole che inibiscono
l’attivazione dei macrofagi.
4. Blocco delle risposte citotossiche in infezioni croniche. Alcuni virus potrebbero aver imparato a
sfruttare i normali meccanismi di regolazione immunitaria e ad attivarli a piacimento.

5. Infezione e uccisione/inattivazione delle cellule immunocompetenti.

15.6 Immunità ai parassiti


Molti parassiti hanno cicli vitali complessi, parte dei quali non avvengono nell’uomo. L’infezione si ha di
solito per morsi di ospiti intermediari o per condivisione di un particolare habitat. Molte delle infezioni
da parassita sono croniche per via della debole immunità innata e dell’abilità del parassita di evadere
le risposte.

15.6.1 Immunità innata ai parassiti


Quasi tutti questi organismi evadono la risposta innata perchè sono ben adattati al resistere ai mec-
canismi di difesa. Il meccanismo principale è la fagocitosi, e i fagociti tentano anche la secrezione di
sostanze microbicide per l’uccisione di parassiti troppo grossi per l’ingestione. Molti elminti hanno
spesse corazze che li rendono resistenti ad attacchi esterni.

15.6.2 Immunità adattativa ai parassiti


I parassiti sono molto diversi tra loro, così come le risposte che scatenano. La principale difesa contro
i protozoi che sopravvivono all’interno dei macrofagi è l’immunità cellulomediata, in particolare l’atti-
vazione macrofagica tramite citochine derivate dalle cellule TH 1. La difesa dalle infezioni elmintiche è
invece mediata dall’attivazione delle cellule TH 2 che portano alla produzione di IgE e all’attivazione degli
eosinofili.

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16.Immunologia dei trapianti
Per trapianto si intende il trasferimento di cellule,tessuti oppure organi da un individuo detto
donatore a uno detto ricevente.Il fallimento di tale trasferimento è detto rigetto,è stato dimostrato
che questo è causato da una risposta immunitaria specifica.
trapianto autologo : trapianto da un individuo allo stesso individuo(quindi cambiando solo la sede)
singenico: tra due individui geneticamente identici.
allogenico : tra due individui della stessa specie ma geneticamente differenti.
xenogenico: tra individui di specie differenti.
Le molecole riconosciute come estranee nel trapianto allogenico sono dette alloantigeni,quelle in
quelli xenogenici xenoantigeni.
I linfociti e anticorpi che reagiscono contro tali molecole sono detti alloreattivi e xenoreattivi.
Lo studio del rigetto ai trapianti ha portato a importanti scoperte sia per aiutare la riuscita di molti
interventi che nella comprensione del funzionamento del sistema immunitario

16.1Risposta al trapianto allogenico.

16.1.1 Riconoscimento degli alloantigeni.


Le molecole MHC sono le responsabili della maggior parte delle reazioni di rigetto.Esse vengono
presentate per il riconoscimento ai linfociti T in due modi differenti:
-nel modo diretto:ovvero esposte sulle APC del donatore e riconosciute dai linfociti T del ricevente.
-nel modo indiretto:ovvero vengono processate come normali proteine antigeniche dalle APC del
ricevente ed espresse dalle MHC del donatore come semplicissimi peptiti e riconosciute dai linfociti
T del ricevente.
Riconoscimento diretto.
Il riconoscimento diretto è il risultato della cross-reattività dei linfociti T verso MHC allogenici.Il
risultato è che invece di riconoscere un complesso MHC self-antigene non self riconosce un
MHCnon self- antigene self.Questo è dovuto al fatto che durante lo sviluppo nel timo la selezione
positiva e successivamente la negativa selezionano linfociti T capaci di legare le MHC self con
bassa affinità ed eliminano quelle che le legano con affinità elevata o che non le legano.Tuttavia
questo processo non garantisce l'eliminazione di linfociti T che possono legare MHC estranee(le
chiameremo allogeniche).Si viene a creare un repertorio maturo con intrinseca bassa affinità per
MHC self ma al contempo include linfociti T capaci di legare MHC allogenici con alta affinità.
Abbiamo visto che i sistemi di tolleranza inattivano o eliminano i linfociti T che rispondono a MHC
self legate a peptidi self. L'obbiettivo è riconoscere MHC self con peptidi non self
specifici..Essendo tale riconoscimento dovuto a interazioni allosteriche o tra singoli amminoacdi è
possibile che linfociti T riconoscano MHC allogenici legati a peptidi self scambiandoli per MHC
self legati a peptidi estranei specifici. Questo perchè o l'MHC allogenico da solo mima la struttura
di MHCself-antigene estraneo(in questo caso l'antigene serve solo da stabilizzatore),o l'intero
complesso MHC allogenico-antigene self ha complessivamente stessa struttura di MHC-self-
antigene estraneo specifico. In questo caso vista l'enormità degli antigeni presentabili,una singola
cellula allogenica,la qualche esprime circa 10^5 MHC potrà esprimere 10^5 antigeni differenti e
quindi essere riconosciuta da 10^5 cloni differenti di linfociti T.

Riconoscimento indiretto
Le molecole MHC essendo comunque proteine possono venir processate ed espresse dalle APC del
ricevente come se si trattasse di semplicissimi antigeni microbici legati a MHC2.Per il fenomeno
della cross-presentazione possono venire anche presentate da MHC1 ai CD8.In questo caso sono le
intere cellule del donatore a venire fagocitate da APC professionali e poi viene presentato un
antigene processato.

16.1.2 Attivazione dei linfociti alloreattivi


Abbiamo visto come sia la via diretta che indiretta vadano ad attivare i linfociti T alloreattivi.Il
punto fondamentale sappiamo essere l'esistenza di APC che presentino questi antigeni
allogenici.Una volta attivati i i linfociti alloreattivi migrano nel sito di trapianto e ne causano il
rigetto.Il contributo maggiore lo danno i linfociti CD4 che differenziati in cellule effettrici
secernono citochine che danneggiano il trapianto con una reazione simile a quella di DTH.
I linfociti CD8 attivati dalla via diretta da APC del donatore esprimenti MHC1 si differenziano in
CTL che eliminano le cellule che esprimono MHC allogenici di classe 1; mentre quelli attivati dalla
via indiretta sono ristretti per MHC self quindi non possono eliminare le cellule estranee ma solo
cellule dell'ospite che esprimo antigeni del donatore.
Queste risposte vengono studiate in vitro mediante la MLR(reazione linfocitaria mista).Tale
processo è usato come processo predittivo nel rigetto in un trapianto e si basa sull'incontro delle
popolazioni linfocitarie dei due individui e nell'osservazione se si assiste o meno a proliferazione.
La produzione di alloanticorpi è molto limitata e consiste nella azione dei linfociti B la quale mima
l'azione delle APC presentando frammenti di MHC allogenico ai linfociti T helper attivandoli a
produrre anticorpi contro dagli antigeni.
Particolarmente interessante è la mancanza di rigetto del feto da parte di madri incinte.Il feto
esprime molecole MHC paterne e come tali vengono riconosciute come allogenici per la
madre,Tuttavia non accade alcun rigetto.Le ipotesi sono multiple ma le più accreditate sono 2:
-le cellule trofoblastiche,ovvero quelle nella zona di comunicazione placenta-madre sono prive di
MHC e nel caso le esprimessero sono comunque prive di molecole costimolatorie.
-la decidua potrebbe essere un sito immunologicamente privilegiato in cui cellule deciduali
inibiscono le funzioni di macrofagi e linfociti secernendo TGF-β.
É inoltre provato che nel feto le risposte immunitarie dipendono dai livelli di triptofano e si è
formulata l'ipotesi che bassi livelli di triptofano nella placenta le inibiscano.

16.2 Meccanismi effettori del rigetto


Il rigetto da trapianto è classificato in base alle caratteristiche istopatologiche e cinetiche in
iperacuto,acuto accelerato,acuto e cronico.
Rigetto iperacuto:è caratterizzato dall'occlusione trombotica
dei vasi del trapianto e inizia entro pochi minuti dalla
formazione dell'anastomosi.Il tutto è mediato da anticorpi
preesistenti nel ricevente che si legano all'endotelio del
trapianto attivando il complemento il quale provoca trombosi
vascolare e danno tissutale.Si ha l'esposizione di proteine
della membrana basale che attivano le piastrine e innescano
il meccanismo di adesione e aggregazione piastrinica.Nei
primi giorni il rigetto è mediato da alloanticorpi IgM diretti
principalmente verso gli antigeni della famiglia ABO
presenti sulla superficie dei globuli rossi e delle cellule
endoteliali.In questo caso si assistito a un trapianto tra due
soggetti appartenenti a gruppi sanguigni
differenti.Oggigiorno questo problema è superato e il rigetto
iperacuto è mediato più che altro da alloanticorpi IgG diretti
contro alloantigeni come MHC.Questi si sono formati in
seguito a precedenti trasfusioni ,trapianti o gravidanze
multiple ovvero ogni contatto con cellule contenenti MHC diversi dai propri.
Rigetto acuto:Il rigetto acuto è un processo di danno sia vascolare che parenchimale mediato sia da
anticorpi che da linfociti T e inizia dopo circa una settimana dal trapianto.In questo caso gli
anticorpi non sono preesistenti bensì vengono sviluppati dalla risposta immunitaria umorale ed è per
questo che il tempo di risposta è più lento.Il quadro istologico è caratterizzato da necrosi
transmurale e infiammazione acuta dei vasi del trapianto senza tuttavia il verificarsi di trombosi
come nel caso del rigetto iperacuto.Sia linfociti CD4 che CD8 contribiscono al rigetto acuto:i CD8
nella lisi delle cellule endoteliali e i CD4 nella infiammazione e e nelle reazioni DHT.
Rigetto cronico e vasculopatia:i trapianti che sopravvivono più di 6 mesi sviluppano una lenta
occlusione arteriosa risultato di una proliferazione delle cellule muscolari lisce.Queste
modificazioni prendono il nome di vasculopatie del trapianto. Questa proliferazione è dovuta a
una serie di interazioni tra citochine e fattori di crescita prodotti macrofagi e cellule endoteliali
stimolati da linfociti T alloreattivi.Con il progredire della ischemia il parenchina viene sostituito da
tessuto fibroso ;questo processo fibrotico viene anche chiamato rigetto cronico.

16.3 Prevenzione e trattamento del rigetto da allotrapianto.


Fisiologicamente se il ricevente di un trapianto ha un sistema immunitario funzionante il trapianto
va in contro a qualche forma di rigetto.Alcune strategie usate nella pratica per prevenire tale rigetto
consistono nell'induzione di momentanee immunosoppressioni. Attualmente uno degli obbietti
principali in trapiantologia è quello di indurre uno stato di tolleranza specifiche senza bisogno di
immunosoppressioni.Prima abbiamo visto quali potevano essere le cause del rigetto,conoscendole è
dunque possibile attuare una forma di prevenzione per ridurre l'immunogenicità dell allotrapianto.

16.3.1 Ridurre l'immonogenicità.

Alcuni test vengono effettuati per verificare la compatibilità donatore-ricevente:


-tipizzazione del gruppo sanguingo ABO.Questo test è effettuato per prevenire l'insorgenza di
rigetto iperacuto dato da IgM.
-Tipizzazione tissutale:tipizzazione HLA:ridurre al minimo le differenze alleliche HLA espresse
dalle cellule del donatore e ricevente.Solo la tipizzazione HLA-A,B e DR sono importanti.
-Screening per la presenza di anticorpi preformati:viene mischiato il siero del ricevente con quello
di diversi donatori e si valuta la PRA,ovvero la percentuale di anticorpo reattivo che è la
percentuale di cellule del donatore contro le quali il paziente reagisce.
-Crossmatching:è il test sopracitato specifico tuttavia solo tra un donatore e il ricevente.La
negatività a tale test è essenziale per il trapianto.

16.3.2Immunosoppressione
Il principio base su cui si basa questa tecnica è quello di inibire o uccidere il linfociti T
momentaneamente.
-L'uso di farmaci immunosoppressori è il metodo più usato e tra i più comuni sono da ricordare
ciclosporina e FK-506 entrambi importanti inibitori della calcineurina.
La calcineurina è essenziale per la trasmissione del segnale di IL-2 e altre citochine.Bloccando la
calcineurina si va a inibire attivazione e proliferazione dei linfociti T.
-Altri inibitori della proliferazione vanno ad agire su mTor e la prima scoperta è stata la
rapamicina.
-Un altro metodo è quelli di utilizzare tossine che uccidono i linfociti T in proliferazione e il primo
usato è l'aziatropina ma vista la sua tossicità il più comunemente usato è il MMF.
-Sono stati creati anche anticorpi che uccidono o inibiscono i linfociti T ad esempio OKT3 si lega
al CD3 oppure un'altro riconosce e blocca la subunità CD25.
-Ultima via è quella di bloccare le vie costimolatorie dei linfociti T ad esempio con CTLA-4
solubile o con bloccanti di CD28.
In associazione ai farmaci T bloccanti sono regolarmente usati farmaci antinfiammatori tra cui i
potenti sono i corticosteroidi,i quali agiscono bloccando la sintesi e la secrezione di citochine
soprattutto TNF e IL-1.
Ovviamente l'immunosoppressione prolungata richiesta per una sopravvivenza a lungo termine d un
trapianto aumenterà molto la suscettibilità a infezioni virali e quindi a tumori virali.Per questa
ragione a soggetti trapiantati vengono somministrate terapie antivirali come profilassi.In soggetti
trapiantati,i linfomi a cellule B e a cellule della cute sono i più frequenti.

16.3.3 Induzione di tolleranza.


L'induzione di tolleranza costituisce un enorme vantaggio rispetto all'immunosoppressione in quanto
diminuisce la suscettibilità a infezioni e anche di evoluzione di rigetto cronico. Essa consiste
nell'induzione di anergia periferica e delezione di cellule T alloreattive.Sono in corso inoltre studi
per la creazione di linfociti T regolatori specifici per gli alloantigeni del trapianto.

16.4 Trapianti
Il trapianto xenogeno rappresenterebbe un importantissimo serbatoio vista la scarsità di donatori di
trapianti. Tuttavia uno dei principali ostacoli per l'utilizzo di tali trapianti proviene dalla presentza di
anticorpi naturali che mediano il rigetto iperacuto indirizzati verso determinanti carboidratici
espressi sulle cellule di specie non concordanti.Per l'uomo ad esempio un trapianto di organi di
scimpanzè risulterebbe poco immunogenico tuttavia l'ostacolo qui è rappresentato dalle grosse
diversità anatomiche.La miglior compatibilità anatomica si ha con il maiale che risulta cosi
l'animale prediletto per gli xenotrapianti.Nel caso di xenotrapianti si osserva lo stesso rigetto
iperacuto che si osserva negli allotrapianti.
Un particolare tipo di trapianto è quello della trasfusione sanguigna.In questo caso bisogna fare
particolarmente attenzione alla compatibilità ABO.Questi antigeni ABO sono presenti su tutte le
cellule compresi i globuli rossi.Una trasfusione di sangue non compatibile provoca lisi dei globuli
rossi estranei che comporta comparsa di reazioni trasfusionali che possono essere letali per il
paziente.Un'esempio è la presenza di emoglobina libera che causa grossi danni renali.
Di particolare rilevanza infine il trapianto di midollo osseo in quanto l'unico che possa essere
effettuato in vivo.Esso consiste nel trapianto di cellule staminali pluripotenti attraverso inoculo di
cellule raccolte per aspirazione dal midollo osseo.
Questo trapianto è particolarmente utile per correggere deficit del sistema ematopoietico o
immunitario;oppure per correggere deficit o anomalie ereditarie in enzimi o proteine.
Prima di effettuare tale trapianto è necessario sopprimere il più possibile le difese immunitarie
dell'ospite.Di particolare rischio è l'insorgenza del cosiddetto GVHD che consiste nella reazione dei
linfociti T maturi contenuti nell'inoculo contro gli alloantigeni del paziente.Si presenta in quanto il
paziente essendo immunocompromesso non è in grado di rigettare tali cellule che dunque possono
svolgere questa azione di distruzione.Si può assistere a una GVHD acuta caratterizzata dalla morte
di cellule epiteliali epatiche ,di cute e del tratto gastrointestinale che può essere letale;oppure di
GVHD cronica in cui si ha fibrosi e atrofia di questi stessi organi senza apparente morte cellulare
che comunque nella forma più grave può anche essa essere fatale.Per questo motivo si cerca di
eliminare ogni forma di linfociti T maturi dall'inoculo.
Questa reazione distruttiva è tuttavia utilizzata anche nella cura di neoplasie del midollo
osseo(leucemie) e di tumori solidi disseminati sfruttando questi linfociti T estranei per uccidere le
cellule proliferanti anomale.I riceventi di trapianto di midollo osseo sono spesso accompagnati da
immunodeficeza clinica probabilmente dovuta alle tecniche preparatorie al trapianto.

17.Immunità e tumori.
I tumori maligni rappresentano un problema prioritario per la salute della popolazione poiché
rappresentano uno dei principali fattori di morte.Essi sono dovuti alla proliferazione incontrollata di
determinate cellule trasformate.Le risposte immunitarie svolgono la cosiddetta
immunosorveglianza che consiste nel riconoscimento ed eliminazione delle cellule trasformate
mediante riconoscimento di specifici antigeni segnale da esse espressi.Tuttavia queste cellule hanno
specifiche capacità di eludere il sistema immunitario ed è tale caratteristica a rendere possibile
l'insorgenza di tumori.
Dunque abbiamo detto che le cellule tumorali esprimono antigeni riconosciuti come estranei
dall'ospite,proprio questo è alla base della immunogenicità dei tumori.Tuttavia le risposte imunitarie
spesso non riescono a eradicare il tumore.Le ragioni di questo fallimento sono multiple:
-Essendo le cellule tumorali derivati di cellule “normali” dell'ospite esse possono esprimere pochi
antigeni riconosciuti come non-self e quindi passare inosservate.
-La rapidità di crescita delle cellule tumorali è spesso superiore a quella di eliminazione del sistema
immunitario.
-Molti tumori hanno messo a punto sistemi di elusione delle risposte immunitarie.
Sono stati effettuati studi che hanno reso possibile l'attivazione del sistema immunitario contro un
determinato tumore per via esogena.

17.1Antigeni tumorali.
Nei tumori umani sono stati ritrovati antigeni riconosciuti sia dai linfociti T che dai
B.L'identificazione di antigeni tumorali è essenziale per lo sviluppo di vaccini e anticorpi.
Gli antigeni espressi solo dalle cellule tumorali sono detti TSA,quelli espressi costitutivamente da
tutte le cellule sono detti TAA e nei tumori si vede una espressione sregolata di codesti.
Gli antigeni tumorali possono derivare da molti processi differenti e causare tumori differenti.
Prodotti di geni mutati
Alcuni antigeni tumorali sono il risultato di una mutazione di geni normali che vanno quindi a
esprimere proteine oncogeniche.
Possono essere il risultato di mutazioni a carico di proto-oncogeni o geni oncosoppressori come le
proteine Ras,p53,Bcr-Abl.Tali proteine se alterate non riescono più a controllare il ciclo cellulare e
vengono processate ed esposte associate a MHC1 oppure l'intera cellula può essere fagocitata ed gli
antigeni esposti d MHC2.
Gli antigeni tumorali possono essere il risultato anche di mutazioni casuali a carico di geni non
implicati nel controllo del ciclo cellulare.Le dimostrazioni sono state che cellule trattate con
cancerogeni identici sviluppavano tumori diversi esprimenti antigeni diversi. Vuol dire che il
cancerogeno va a modificare casualmente geni.Le proteine risultanti vengono sintetizzate nel citosol
e presentate mediante molecole MHC di classe 1 alle CTL.
Antigeni sviluppati in seguito a trapianto di tumori indotti da cancerogeni sono detti TSTA.In
seguito a somministrazione di tali cellule in topi che avevano gia sviluppato quel tumore e che era
stato espiantao,si assisteva alla mancata comparsa nuovamente di tumore. Ugualmente se si
impiantavano i linfociti TCD8 derivati da un topo portatore di tumore in un altro portatore dello
stesso,si assisteva all'annientamento del tumore. Questa è la prima dimostrazione dell'esistenza
dell'immunità anti tumorale,oltre che un utile strumento per la lotta ai tumori mediante creazione di
cloni CD8 specifici.
Proteine cellulari espresse in modo anomalo.
Alcuni antigeni tumorali sono proteine normali,normalmente espresse a bassi livelli o addirittura
non espresse che in cellule tumorali sono invece espresse in modo anomalo.Ricordiamoci sempre
che non sono queste proteine a indurre il tumore o rappresentarne meccanismo effettivo,sono solo
un risultato di mutazioni che hanno portato poi alla trasformazione tumorale e che vengono
utilizzate dal sistema immunitario come segnali di neoplasia.
Dunque una di queste proteine normalmente espressa a bassi livelli è la tirosinasi.Cloni di linfociti
T ottenuti da pazienti con melanoma riconoscono peptidi derivati dalla tirosinasi.
Il fatto che tali linfociti rispondano a un antigene self senza venire eliminato dalla selezione
negativa o esserne indotto tollerante è dato dal fatto che tale antigene in condizioni fisiologiche è
espresso talmente poco e talmente poche cellule da non essere nemeno riconosciuta dal sistema
immunitario e da non indurre tolleranza.
Altre proteine espresse dalle cellule tumorali sono risultato di geni normamente silenti,che però
nelle cellule tumorali vengono attivati senza comunque modificazioni della sequenza.Quindi sono
proteine appartenenti al patrimonio di cellule normali.
Antigeni prodotti da virus oncogeni.
I prodotti dei virus oncogeni si comportano da antigeni ed evocano risposte immunitarie.In quetso
caso molte delle proteine che fungono da antigene svolgono anche un ruolo cruciale nella
immortalizzazione della cellula.Molti virus sono implicati nello sviluppo di una serie di tumori
nell'uomo. Es Epstein -Bar o Papiloma virus.Le proteine antigeniche codificate dal Dna virale
vengono processate e presentate da Mhc di classe1.L'immunosorveglianza agisce in questo caso
uccidendo le cellule infettate.
Epstein-Barr virus:virus che appartiene alla famiglia degli herpes virus e che infetta i linfociti B
causandone una incontrollata replicazione.é trasmesso tramite saliva ed è ubiquitario nella
popolazione mondiale.Esistono due tipi di inbfezione:litica e latente.La prima è caratterizzata dalla
lisi della cellula infettata mentre la seconda no.Molti antigeni espressi dal Dna virale sono rilevati
dal sistema immunitario.Vi sono 6 antigeni nucleari detti EBNA,due espressi sulla membrana detti
LMP,e altri espressi all'interno della cellula detti VCA.Alcuni di questi sono cruciali per la
immortalizzazione delle celulle colpite.L'infezione da EBV è uno dei fattori eziologici nello
sviluppo di tumori maligni come ad esempio il linfoma di Burkit. In soggetti giovani e sani si
sviluppa la mononucleosi infettiva che poi rimrrà latente per tutta la vita. Sono state stabilizzate in
vitro linee cellulari di CTL in grado di lisare cellule infettate da EBV.La mutazione alla base del
linfoma di Burkitt è la traslocazione del gene MYC al locus per le Ig portandone a una produzione e
trascrizione sregolata.Tuttavia in alcuni casi è sufficiente la semplice trascrizione del genoma virale
senza ulteriori traslocazione per l'insorgenza del tumore. Ovviamente deficit immunitari come
malaria o HIV costituiscono un importante legame tra l'infezione da EBV e l'insorgenza di tumore.

Antigeni oncofetali.
Gli antigeni oncofetali sono proteine altamente espresse dalle cellule fetali in via di sviluppo assenti
poi nei tessuti adulti.Si ritiene che i geni corrispondenti vengano repressi durante lo sviluppo ma
durante la trasformazione maligna vengano riattivati.Tali antigeni sono infatti espressi in cellule
neoplastiche.C'è da puntualizzare che essi sono anche normalmente presenti in alcuni tessuti adulti.
I due antigeni meglio caratterizzati sono CEA eAFP.CEA fa parte della famiglie delle Ig ed è
espressa sulla membtana cellulare in molti carcinomi di colon,pancreas,stomaco e mammella.AFP è
una proteina solubile normalmente non presente nel siero che invece è presente in tumori epatici o
gastrici.
Antigeni costituiti da glicoproteine o glicolipidi alterati.
La maggior parte dei tumori esprime livelli elevati di glicoproteine o glicolipidi anomali.Queste
forme alterate costituiscono importanti fattori neoplastici essendo essenziali per invasione e
metastasi neoplastica.Anticorpi monoclali utilizzati in terapia ha come bersaglio proprio tali
antigeni.Tra i principali glicolipidi alterati vi sono GM2,GD2,GD3.Tra le glicoproteine abbiamo le
mucine alterate in cui le catene laterali sono modificate a casua della modificazione degli enzimi
che le sintetizzano.
Antigeni di differenziazione tissutale.
Molecole normalmente presenti sulle cellule di origine che permangono anche nelle cellule
differenziate.

17.2Risposta immunitaria

17.2.1Risposta innata
Cellule NK:sebbene il loro ruolo in vivo non sia stato ancora ben chiarito in vitro è stato dimostrato
che queste sono in grado di uccidere molti tipi di cellule tumorali,in particolare quelle cellule che
non presentano MHC 1 sulla loro superficie e quindi mancano del segnale inibitorio su NK.Inoltre
molte cellule tumorali esprimono altri segnali attivatori delle NK come MICA,MICB, eULB i
quali vengono riconosciuti dal recettore attivatorio NKG2D espresso sulle NK.L'azione delle NK è
fortemente potenziata in presenza di citochine come IL-2 e IL-12.
Macrofagi:in vitro i macrofagi sono in grado di uccidere numerose cellule tumorali nello stesso
modo in cui uccidono i microrganismi patogeni.La loro attivazione è mediata da IFN-γ.Essi
producono inoltre TNF che abbiamo visto promuovere l'uccisione di cellule tumorali mediante
trombosi dei vasi che le irrorano.

17.2.2Risposta specifica.
Linfociti T:il principale meccanismo dell'immunità anti-tumorale è l'uccisione delle cellule tumorali
da parte dei linfociti T CD8 CTL.Questi uccidono le cellule potenzialmente dannose che esprimono
i peptidi mutati sulle MHC1.Poichè la maggior parte delle cellule maligne sono cellule
normali,queste non esprimono le molecole costimolatorie necessarie all'attivazione dei linfociti T
quindi necessitano di molecole presentanti tali antigeni come le APC che svolgono la cosiddetta
cross-presentazione.Tale processo o la stimolazione dei CD4 sono indispensabili per
l'attivazione,Linee di APC specifiche vengono coltivate in vitro a partire da soggettti affetti da
tumore per essere utilizzate come vaccini.I linfociti CD4 svolgono un ruolo soprattutto nella
produzione di citochine quali TNF e IFN-γ che aumentano l'espressione di MHC1 e altre che
mediano il corretto sviluppo dei CD8.
Anticorpi:Gli anticorpi possono uccidere le cellule maligne mediante attivazione del complemento
oppure tramite citotossicità cellulare attivando NK e macrofagi contenenti recettori per Fc.In vivo i
risultati sono comunque ancora scarsi.

17.3Elusione delle risposte immunitarie.


Nei tumori maligni vi sono diversi meccanismi che consentono alle cellule tumorali di eludere le
risposte immunitarie(tumor escape).Viene a crearsi una pressione selettiva nei confronti di tali
cellule detta tumor editing,la quale promuove lo sviluppo di varianti con ridotta immunogenicità.I
meccanismi attuati per eludele l'immunità sono molteplici:
-Gli antigeni tumorali possono indurre tolleranza immunologica o perchè sono antigeni self già
incontrati che hanno solo variato frequenza di espressione o perchè tali cellule tumorali riescono a
presentarli in forma tollerogenica.
-I linfociti T regolatori ,i quali aumentano in caso di tumore,vanno a inibire l'attività dei linfociti T
tumore-specifici.
-Antigeni riconosciuti come tumore-specifici dai linfociti T ,in seguito a mutazioni avvenute nelle
numerosissime mitosi ,cessano di essere espressi.Si può inoltre assistere a diminuita espressione di
MHC,microglobulina e componenti dell'apparato di presentazione dell'antigene.
-Mancata espressione di molecole costimolatorie necessarie per attivazione di CD8 e CD4.Vengono
a essere indispensabili le APC che però spesso hanno capacità captative ridotte.
-Cellule tumorali possono sopprimere le risposte tumore-specifiche ad esempio mediante secrezione
di TGF-β che abbiamo visto inibire proliferazione e attivazione di macrofagi e linfociti.Alcuni
tumori esprmono inoltre il ligando Fas(FasL) che riconosce il dominio di morte Fas presente sui
linfociti e ne induce l'apoptosi.

17.4Immunoterapia dei tumori


Nella lotta contro i tumori attualmente le principali terapie utilizzate consistono nel blocco delle
cellule in corso di divisione cellulare.Ovviamente tale processo non distingue cellule tumorali da
cellule sane ed è quindi particolarmente invasivo e dannoso.Un metodo molto più specifico e
efficace consiste nel riuscire a indirizzare le risposte immunitarie verso le cellule tumorali.Questo
processo è ottenuto mediante due principali principi:stimolare le risposte immunitarie dell'ospite
oppure immunizzare l'ospite passivamente con anticorpi e linfociti T.
Prendiamo in considerazione la prima strada;andiamo a vedere i diversi processi che si possono
intraprendere:
-immunizzazione con cellule o antigeni tumorali:Per aiutare il lavoro dei linfociti T si possono
somministrare cellule tumorali uccise o antigeni tumorali quindi entrambi innocui a livello
proliferativo per aumentare le risposte immunitarie.Ultimamente si procede anche alla
somministrazione di APC coltivate in vitro con l'antigene tumore-specifico che rendono la
presentazione ancor più efficace.Altra tecnica innovativa è la somministrazione di vaccini a
Dna,ovvero plasmidi contenenti Dna complementare a quello virale oncogeno che codifica quindi
per gli stessi antigeni tumorali senza pero stimolare proliferazione e immortalizzazione.
Tuttavia tali vaccini sono particolarmente utili nella prevenzione dei tumori, ma ancora spesso
incapaci di stimolare una risposta immunitaria abbastanza potente da eradicare il tumore gia
espanso.
-potenziamento dell'immunità anti-tumorale con citochine e costimolanti:vista la difficoltà di
attivazione dei linfociti T durante il tumore si procede alla stimolazione dei linfociti tumore-
specifici mediante fornitura di citochine sia per infusione diretta che indirettamente mediante
trasfettazione di geni codificanti citochine nelle cellule tumorali per indirizzare gli effetti del
sistema immunitario.L'altro meccanismo è quello di trasfettare i geni codificanti le molecole
costimolatorie mancanti ,necessarie all'attivazione dei linfociti T.
Le citochine maggiormente utilizzate sono IL-2eIL-12(stimola CTL e NK),IFN-γ,TNF e soprattutto
GM-CSF.
-blocco dei circuiti inibitori:bloccando soprattutto CTLA-4 che normalmente inibisce le risposte
immunitarie,tuttavia si osservano spesso sviluppi di risposte autoimmuni poiché CTLA-4 è
coinvolto nel mantenimento alla tolleranza al self
-stimolazione aspecifica del sistema immunitario:somministrazione soprattutto topica di sostanze
infiammatorie o agenti che funzionano come attivatori poloclonali dei linfociti. Molti batteri
svolgono bene questo ruolo in particolare il bacillo BCG.Anche anticorpi verso CD3 sono in grado
di attivare ottimamente i linfociti T.

Il secondo meccanismo consiste nel somministrare direttamente linfociti T o anticorpi al paziente


attuando una cosiddetta immunoterapia passiva.

-Terapia cellulare adottiva:trasferimento di leucociti tumore-specifici in pazienti affetti da


tumori.Le cellule trasferite vengono ottenute a partire da cellule del paziente principalmente
provenienti da due fonti: leucociti circolanti detti LAK coltivati ad alte concentrazioni di IL-2 e
reimpiantati oppure leucociti provenienti dall'infiltrato infiammatorio detti TIL.
-Effetto Graft versus leukemia(GVF):in pazienti affetti da leucemia vengono impiantati leucociti
provenienti da un donatore che siano alloreattivi nei confronti delle molecole MHC del ricevente
quindi anche delle cellule tumorali.
-Terapia con anticorpi tumore-specifici:Gli anticorpi monoclonali possono eliminare le cellule
tumorali con gli stessi meccanismi usati per eliminare i microrganismi,quindi
opsonizzazione,attivazione del complemento,fagocitosi e inoltre possono anche lisare direttamente
la cellula tumorale.Tuttavia essendo tali anticorpi derivati da ibridomi di topo spesso si assisteva
alla formazione di anticorpi anti-anticorpo.Si superava tale problema con l'uso di anticorpi
umanizzati.Gli anticorpi vengono spesso accoppiati a molecole tossiche o farmaci anti-tumorali per
promuovere il rilascio specifico di questi in corrispondenza delle cellule tumorali. Tali complessi
prendono il nome di Immunotossine.Queste iniettate per via sistemica vengono endocitate dalle
cellule tumorali e le tossine vengono liberate. Tuttavia affinchè tale processo funzioni serve una
elevatissima specificità degli anticorpi e si rischia l'attacco delle tossine contro cellule normali.
Inoltre possono insorgere anticorpi anti-tossine che le eliminano prima dell'azione oppure che
l'intera immunotossina venga fagocitata da fagociti presentanti il recettore Fc appropriato.
Specifici anticorpi sono stati creati contro specifici idiotipi delle cellule B senza pero grandi
risultati.Altri contro i fattori VEGFche mediano la formazione di nuovi vasi che alimentino i
tumori.
Paradossalmente il sistema immunitario oltre a rappresentare un importante sistema di lotta contro i
tumori ne rappresenta anche una importante fonte.Molti tumori nascono infatti a seguito di processi
infiammatori cronici ,angiogenesi e rimodellamento tissutale mediati proprio dall'immunità innata.
1 Capitolo 19. Ipersensibilità immediata
Alcune malattie umane sono causate da risposte immunitarie ad antigeni ambientali che portano alla
differenziazione CD4+ TH 2 e alla produzione di anticorpi IgE specifici per questi antigeni che vanno a
legarsi ai recettori Fc di mastociti e basofili; l’attivazione di queste cellule causa un rapido rilascio di
vari mediatori che causano collettivamente aumento della permeabilità vascolare, vasodilatazione,
broncocostrizione e contrazione della muscolatura liscia viscerale: tutti questi effetti vanno sotto
il nome di ipersensibilità immediata. In ambito clinico queste reazioni sono comunemente dette
allergiche. Le allergie sono le più comuni alterazioni del sistema immunitario e affliggono intorno al
20% della popolazione.
Tutte le reazioni di ipersensibilità immediata condividono caratteristiche comuni:
• Il principale evento è l’attivazione delle cellule TH 2 con produzione di anticorpi IgE.

• La sequenza di eventi tipica di queste reazioni è:

– Esposizione all’antigene
– Attivazione dei TH 2 e dei linfociti B antigene specifici
– Produzione di IgE
– Legame delle IgE ai recettori Fc di mastociti e basofili (sensibilizzazione)
– Attivazione dei mastociti per successiva esposizione allo stesso antigene
– Rilascio dei mediatori e manifestazione patologica

• Esiste una forte predisposizione genetica per lo sviluppo di allergie.

• Gli antigeni che scatenano l’ipersensibilità, detti allergeni, sono proteine ambientali o molecole
comuni.
• Le citochine prodotte dai TH 2 sono responsabili di molte caratteristiche dell’ipersensibilità imme-
diata.
• Le manifestazioni cliniche e patologiche consistono in reazioni vascolari e muscolari che si svilup-
pano rapidamente (reazione immediata) e nell’infiammazione (reazione tardiva). Mediatori
differenti sono responsabili delle diverse componenti di reazione immediata e tardiva.
• Le reazioni si manifestano in modi diversi, tra i quali le allergie della cute e delle mucose, le
allergie alimentari, l’asma e l’anafilassi sistemica. Nella forma sistemica più estrema, l’anafilassi,
i mediatori derivati dai mastociti possono restringere le vie aeree al punto di portare a morte per
asfissia.

1.1 Produzione di IgE


Le IgE sono le immunoglobuline più efficaci nel legare i recettori Fc dei mastociti e nell’attivarli. Negli
individui allergici la produzione di IgE in risposta ad allergeni ambientali è alta, mentre in quelli normali
di solito vengono prodotte IgM ed IgG.

Natura degli allergeni Gli antigeni che stimolano le risposte di ipersensibilità immediata sono pro-
teine o molecole legate a proteine alle quali l’individuo allergico è cronicamente esposto. Due sono le
caratteristiche importanti degli allergeni:

• Esposizione cronica
• Non stimolano la risposta immunitaria innata, la quale promuoverebbe l’attivazione macrofag-
ica con secrezione di IL-12 che induce lo sviluppo di risposta TH 1.

1
L’attivazione cronica o ripetuta dei linfociti T in assenza di immunità innata porta le cellule CD4+
verso la via TH 2 in quanto i linfociti stessi producono IL-4, la più importante citochina nell’induzione
di TH 2. Le reazioni di ipersensibilità immediata sono dipendenti dai linfociti T, pertanto gli antigeni
T-indipendenti (ad esempio i polisaccaridi), non possono scatenarle a meno che non si associno a
proteine sfruttando l’effetto aptene-carrier.
L’esposizione ripetuta ad un particolare antigene è necessaria per lo sviluppo di una reazione allergi-
ca in quanto lo switch ad IgE e la sensibilizzazione dei mastociti deve verificarsi per poter avere questo
tipo di risposta. L’esempio più evidente è quello della puntura d’ape; le proteine del veleno dell’insetto
non danno problemi al primo incontro in quanto l’individuo non ha ancora IgE specifiche: una risposta
può invece instaurarsi agli incontri successivi, e anche una sola puntura può a questo punto portare
ad anafilassi fatale.

Attivazione dei TH2 Le cellule dendritiche epiteliali catturano gli allergeni trasportandoli ai linfonodi
dove vengono presentati ai linfociti T naive che differenziano in cellule T effettrici del sottogruppo TH 2.
Le cellule TH 2 differenziate promuovono lo switch ad IgE soprattutto tramite la secrezione di IL-4 ed IL-
13. Queste cellule sono coinvolte anche in altri aspetti della risposta immediata; l’IL-5 secreta attiva gli
eosinofili mentre IL-13 oltre allo switch stimola le cellule epiteliali (ad esempio delle vie aeree) a produrre
più muco. Oltre a stimolare la produzione di IgE, le cellule TH 2 contribuiscono all’infiammazione della
reazione tardiva: vengono infatti accumulate ai siti di infezione in risposta alle chemochine in quanto
esprimono i recettori CCR4 e CCR3.

Attivazione dei linfociti B e switch I linfociti B specifici per gli allergeni vengono attivati dalle cellule
TH 2 sotto l’influenza di CD40L e di altre citochine, soprattutto IL-4: si ha a questo punto anche lo
switch all’isotipo IgE (quindi catena pesante ε). Le IgE allergene-specifiche prodotte dai linfociti B
entrano in circolo e si legano ai recettori Fc dei mastociti tissutali che diventano così sensibili e pronti
a reagire ad un secondo incontro con l’antigene.

1.2 Legame delle IgE a mastociti e basofili


Mastociti e basofili esprimono un recettore Fc ad alta affinità specifico per le catene pesanti ε: il re-
cettore FcεRI. Le IgE funzionano come recettori antigenici sulla superficie delle cellule dell’ipersen-
sibilità immediata: questa funzione è mediata dal legame dell’anticorpo al recettore FcεRI. I mastociti
tissutali in tutti gli individui sono normalmente ricoperti di IgE legate al recettore, ma negli individui
allergici molte di queste Ig sono specifiche per uno o alcuni antigeni: l’esposizione a questi antigeni
è dunque in grado di fare un cross-link sui recettori e attivare la cellula.
Ogni recettore FcεRI è composto da una catena α che media il legame con l’IgE e da una catena β
e due catene γ che mediano la segnalazione. La catena beta contiene un singolo ITAM, mentre le due
catene gamma, omologhe alla catena ζ del TCR, ne contengono uno a testa. La fosforilazione di una
tirosina sui domini ITAM delle tre catene del recettore inizia la segnalazione richiesta per l’attivazione
dei mastociti. L’espressione del recettore FcεRI è stimolata dalle IgE in un meccanismo che amplifica
dunque questo tipo di reazioni.

2
1.3 Ruolo di mastociti, basofili ed eosinofili
Mastociti, basofili ed eosinofili sono le cellule effettrici dell’ipersensibilità immediata e delle patolo-
gie allergiche. Tutti e tre i tipi di cellula contengono granuli i cui contenuti sono i mediatori princi-
pali di queste reazioni e tutti sono in grado di produrre mediatori lipidici e citochine che inducono
infiammazione.

Proprietà di mastociti e basofili Normalmente i mastociti maturi non si trovano in circolo in


quanto i progenitori migrano nei tessuti periferici come cellule immature e differenziano in situ. Es-
istono due principali sottogruppi di mastociti che differiscono per collocazione anatomica, contenuto
dei granuli ed attività. Nei roditori un sottogruppo si trova nella mucosa del tratto GI; queste cellule
hanno poca istamina nei granuli e molto coindrotin solfato. Lo sviluppo di questi mastociti mucosali
dipende in vivo dalla citochina IL-3 prodotta dai linfociti T. La controparte umana di questi mastociti
mucosali di solito si identifica per la presenza di triptasi nei granuli ma assenza di altre proteasi
neutre. Un secondo sottogruppo di mastociti si trova nel polmone e nella sierosa delle cavità corporee
e viene definito gruppo dei mastociti tissutali. Il maggior proteoglicano nei loro granuli è l’eparina,
e producono inoltre molta istamina. Questi mastociti tissutali mostrano pochissima dipendenza dai
linfociti T. Nell’uomo il sottogruppo si identifica per la presenza di parecchie proteasi neutre nei gran-
uli: triptasi, chimasi, proteasi simil catepsina-G e carbossipeptidasi. La suddivisione in sottogruppi è
alla base di differenze funzionali. I mastociti mucosali sono presumibilmente coinvolti nelle reazioni
di ipersensibilità immediata che coinvolgono le vie aeree e altre mucose, mentre quelli tissutali sono
coinvolti nelle reazioni cutanee.
I basofili maturi circolano nel sangue e costituiscono meno dell’1% dei globuli bianchi totali.
Normalmente non sono presenti nei tessuti ma possono essere richiamati nelle sedi di infiammazione.
I basofili sono capaci di sintetizzare molti dei mediatori prodotti dai mastociti e, come questi, esprimono
il recettore FcεRI per legare le IgE e quindi possono essere attivati nello stesso modo.

Attivazione dei mastociti L’esposizione all’antigene in un soggetto allergico è in grado di realizzare


un cross-link tra un numero sufficiente di IgE e attivare il mastocita; negli individui non allergici
le IgE associate al mastocita sono specifiche per molti antigeni diversi e quindi un singolo antigene
difficilmente riuscira ad attivare la cellula.
L’attivazione del mastocita ha tre effetti biologici:
1. Secrezione dei contenuti dei granuli per esocitosi
2. Sintesi e secrezione di mediatori lipidici
3. Sintesi e secrezione di citochine

3
La tirosin chinasi Lyn è associata in modo costituitivo alla catena beta del FcεRI. Quando il recettore
subisce cross-link la chinasi si porta a fosforilare i domini ITAM delle catene beta e gamma: questo
attira la tirosin chinasi Syk ai domini della catena gamma e la rende attiva. Syk attiva è responsabile
della fosforilazione e dell’attivazione di molte delle proteine della cascata di segnalazione. Una proteina
adattatrice esseziale attivata da Syk è LAT (Linker for activation of T cells). Uno degli enzimi reclutati
da LAT è l’isoforma gamma della fosfolipasi C (PLCγ) che catalizza la rottura di P IP2 a dare IP3 e DAG.
IP3 causa l’aumento del calcio citoplasmatico mentre DAG attiva la protein chinasi C. Una seconda
proteina adattatrice fondamentale che viene fosforilata da Fyn è la proteina Gab2: questa si porta ad
attivare la fosfoinositide-3 chinasi che porta anch’essa all’attivazione di PKC.
La fusione dei granuli dei mastociti alla membrana plasmatica è mediata da membri della famiglia
proteica SNARE. La formazione di complessi SNARE è regolata da molte molecole accessorie tra le quali
le guanosin-fosfatasi Rab3 e le chinasi e fosfatasi Rab-associate. Nei mastociti a riposo questi enzimi
inibiscono la fusione dei granuli alla membrana plasmatica; l’attivazione di PKC blocca le funzioni
regolatorie e permette la fusione.
La sintesi di mediatori lipidici è controllata dall’attivazione della fosfolipasi A2 da parte di due
segnali: il calcio citoplasmatico e la fosforilazione da parte di ERK. ERK a sua volta è attivata come
conseguenza della cascata iniziata dai domini ITAM del recettore. Una volta attivata, la fosfolipasi
idrolizza i fosfolipidi di membrana per rilasciare substrati che saranno convertiti a mediatori da vari
enzimi. Il principale substrato è l’acido arachidonico, convertito a vari mediatori da cicloossigenasi e
lipoossigenasi.
La produzione di citochine nei mastociti è il risultato della trascrizione dei geni corrispondenti. Il
reclutamento e l’attivazione di parecchie molecole adattatrici e chinasi in risposta ai segnali recetto-
riali porta alla traslocazione nucleare del fattore nucleare dei linfociti T attivati (NFAT) e del fat-
tore nucleare κB, oltre all’attivazione della proteina AP-1. Questi fattori di trascrizione stimolano la
trascrizione di diverse citochine: IL-4, IL-5, IL-6, IL-13 e TNF, ma non IL-2.
L’attivazione dei mastociti è regolata da parecchi recettori inibitori che contengono domini ITIM.
Uno di questi recettori inibitori è FcγRIIb che si aggrega a FcεRI e viene anch’esso fosforilato da Lyn:
questo porta al reclutamento della fosfatasi SHIP che inibisce la normale segnalazione.
I mastociti possono essere attivati direttamente anche da altre sostanze biologiche in modo indipen-
dente da FcεRI. Alcuni mastociti e basofili rispondono ad esempio a chemochine derivanti da fagociti
mononucleati, ad esempio MIP-1α, e a chemochine T-derivate. Alcuni elementi del complemento, so-
prattutto C5a, stimolano inoltre la degranulazione dei mastociti tramite recettori appositi. Molti neu-
ropeptidi, tra i quali la sostanza P e la somatostatina, inducono infine rilascio di istamina da parte dei
mastociti. L’attivazione di queste cellule non è un fenomeno tutto o nulla ma presenta diversi gradi che
corrispondono a presentazioni cliniche variabili.

1.3.1 Mediatori derivati dai mastociti


I mediatori si possono dividere in mediatori preformati (ammine biogene e macromolecole dei granuli)
e mediatori neosintetizzati (mediatori lipidici e citochine).

Ammine biogene Nei mastociti umani il principale mediatore di questa famiglia è l’istamina. L’is-
tamina agisce legandosi a recettori sulle cellule bersaglio; differenti tipi cellulari esprimono recettori
diversi (H1, H2, H3) riconoscibili per la loro risposta farmacologica. Le azioni legate all’istamina sono
di breve durata perchè questa viene rimossa da un sistema di trasporto ammina-specifico. L’istamina
inizia una serie di eventi intracellulari come la rottura di P IP2 a IP3 e DAG. Il legame di questa ammi-
na alle cellule dell’endotelio ne causa contrazione con conseguente aumento degli spazi endoteliali,
aumento della permeabilità vascolare e fuoriuscita di plasma verso i tessuti. L’istamina stimola
inoltre le cellule endoteliali a sintetizzare miorilassanti e vasodilatatori quali la prostaciclina o l’ossido
nitrico e quindi causa vasodilatazione. L’istamina infine causa costrizione della muscolatura liscia in-
testinale e bronchiale. La broncocostrizione nell’asma è però più prolungata degli effetti dell’istamina,
suggerendo che altri mediatori siano importanti in alcune forme di ipersensibilità immediata.

Enzimi granulari e proteoglicani Le serine proteasi neutre, tra le quali triptasi e chimasi [?],
sono i costituenti più abbondanti dei granuli dei mastociti e contribuiscono ai danni tissutali. La

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triptasi in particolare si sa essere presente esclusivamente nei mastociti e il suo ritrovamento è segno
di attivazione di queste cellule. In vitro questo enzima spezza il fibrinogeno ed attiva la collagenasi.
I proteoglicani, tra i quali eparina e condroitin solfato, sono altri importanti contenuti dei granuli.
Queste molecole sono contenute in associazione agli altri enzimi: i vari mediatori sono rilasciati dai
proteoglicani a diverse velocità e quindi queste molecole controllano la cinetica delle reazioni di
ipersensibilità immediata.

Mediatori lipidici Il più importante mediatore derivato dall’acido arachidonico lungo la via delle ci-
cloossigenasi è la prostaglandina D2 : questa molecola agisce come vasodilatatore e broncocostrittore
ma promuove anche la chemotassi e l’accumulo dei neutrofili ai siti infiammatori. La sintesi di questa
prostaglandina può essere evitata bloccando la cicloossigenasi con aspirina o altri FANS.
I più importanti mediatori derivati dall’acido arachidonico lungo la via delle lipoossigenasi sono
i leucotrieni, in particolare LT C4 e i suoi prodotti di degradazione LT D4 e LT E4 . Queste molecole
legano recettori specifici sulle cellule muscolari lisce e causano una broncocostrizione prolungata.
Un terzo tipo di mediatore lipidico prodotto nei mastociti è il fattore attivante le piastrine (PAF) che
ha effetti di broncocostrizione diretta: le sue azioni biologiche sono però limitate perchè viene degradato
per via enzimatica.

Citochine Le citochine prodotte dai mastociti e dai basofili sono TNF, IL-1, IL-4, IL-5, IL-6, IL-13
MIP-1α e MIP-1β. Queste molecole sono responsabili soprattutto della fase tardiva della reazione.
Il NTF attiva l’espressione endoteliale di molecole di adesione e, insieme alle chemochine, giustifica
l’infiltrazione di neutrofili e monociti.

Gli eosinofili sono abbondanti negli infiltrati infiammatori della fase tardiva e contribuiscono a molti
processi patologici. Le citochine prodotte dai linfociti TH 2 promuovono l’attivazione di queste cellule e
il loro reclutamento: in particolare IL-5 è un forte attivatore e migliora la capacità degli eosinofili di
rilasciare i loro granuli. Gli eosinofili legano le cellule endoteliali che esprimono la selectina-E e il
ligando per l’integrina VLA-4. Il reclutamento ai siti infiammatori dipende inoltre dalla chemochina
CCL11 prodotta dalle cellule epiteliali che si lega al recettore CCR3. I contenuti dei granuli degli
eosinofili contengono idrolasi specifiche così come proteine particolarmente tossiche agli elminti, tra
le quali la proteina basica principale. Gli eosinofili attivati producono inoltre mediatori lipidici tra i
quali PAF, prostaglandine e leucotrieni.

1.4 Reazioni dell’ipersensibilità immediata


Reazione immediata Quando un individuo sensibile subisce un’iniezione intradermica dell’antigene
per il quale ha prodotto IgE, il sito di ingresso diventa immediatamente rosso per via dei vasi sanguigni
dilatati e si gonfia a causa dell’uscita di plasma dalle venule. Il gonfiore prende il nome di pomfo [che
cazzo di parola è?] e può interessare un’area di diversi centimetri di diametro. Successivamente i vasi
ai margini del pomfo si dilatano e producono un caratteristico arrossamento. La reazione pomfoide
completa appare in cinque o dieci minuti e tipicamente svanisce in meno di un’ora. Questa reazione è
dipendente da IgE e mastociti: i mastociti dell’area del pomfo hanno infatti rilasciato i loro mediatori
preformati, quindi hanno svuotato i granuli. Un mediatore fondamentale è l’istamina, che lega i recet-
tori sulle cellule endoteliali venulari facendo loro sintetizzare prostaglandine, ossido nitrico e PAF che
causano vasodilatazione e fuoriuscita di plasma.

Reazione tardiva La reazione immediata è seguita dopo alcune ore da quella tardiva che consiste
nell’accumulo di leucociti, cioè neutrofili, eosinofili, basofili e cellule TH 2. L’infiammazione raggiunge il
picco in 24 ore e poi declina. I mastociti produconi citochine, tra le quali il TNF, che possono stimolare
l’espressione di molecole endoteliali di adesione leucocitaria, tra le quali la selectina-E e ICAM-1.
Questa fase della reazione può avvenire anche senza evidenza di una reazione immediata, ad esempio
nell’asma.

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1.5 Suscettibilità genetica
La sintesi abnorme di IgE è spesso familiare con una chiara trasmissione autosomica dominante,
anche se il pattern completo di ereditarietà è comunque multigenico. Uno dei loci interessati si trova
sul cromosoma 5q, vicino al cluster genico che codifica per parecchie citochine. Polimorfismi nel
gene che codifica IL-13 sono associati fortemente all’asma. La tendenza a produrre IgE contro alcuni
antigeni, ad esempio alcuni pollini, può inoltre essere legata a particolari alleli di MHC di classe II.
Alcuni geni i cui prodotti regolano la risposta immunitaria innata sono associati ad allergia ed asma:
tra essi CD14, un componente per il recettore di LPS, e Tim-1, probabilmente coinvolto nell’influenzare
la differenziazione degli helper. Forti risposte immunitarie innate stimolano lo sviluppo di TH 1, quindi
se vengono diminuite si favorisce TH 2 e l’ipersensibilità.

1.6 Patologie allergiche nell’uomo


Le più comuni forme di patologie allergiche sono la rinite allergica (febbre da fieno), l’asma bronchiale,
l’eczema e le allergie alimentari. Le caratteristiche cliniche e patologiche dipendono dal sito anatomi-
co di reazione: antigeni inalati causano rinite o asma, antigeni ingeriti causano vomito o diarrea,
antigeni iniettati causano effetti sistemici.

Anafilassi sistemica L’anafilassi è caratterizzata da edema in molti tessuti e crollo della pressione
sanguigna a causa della vasodilatazione. Gli allergeni attivano i mastociti in molti tessuti, e i mediatori
guadagnano così accesso al letto vascolare. Il calo del tono vascolare e la fuga di plasma risultano in
cun crollo pressorio che porta a shock anafilattico spesso fatale. Gli effetti cardiovascolari sono accom-
pagnati da costrizione delle vie aeree, edema laringeo, ipermotilità intestinale e orticaria. Il trattamento
d’elezione è l’epinefrina sistemica, che contrasta gli effetto broncocostrittori e vasodilatatori.

Asma bronchiale L’asma è una patologia infiammatoria causata da ripetute ipersensibilità immediate
e tardive nel polmone. Circa il 70% dei casi è dovuto all’ipersensibilità immediata IgE mediata mentre
il 30% ha altre cause a volte scatenate da stimoli non immunitari. Gli eventi patofisiologici dell’asma
sono legati alle citochine prodotte da mastociti ed eosinofili che costringono le vie aeree. La terapia ha
al momento due bersagli: l’infiammazione e il rilassamento della muscolatura liscia dei bronchi.

Allergie alimentari Le manifestazioni cliniche comprendono iper peristalsi, ipersecrezione di fluido


intestinale, vomito e diarrea, a volte orticaria e anafilassi sistemica. Le allergie sono associate a molti
tipi di cibo, ma tra i più comuni ci sono arachidi e molluschi.

Allergie cutanee Le due manifestazioni evidenti sono orticaria ed eczema. L’orticaria, essenzialmente
una reazione pomfoide acuta, può persistere per ore.
In immunologia clinica spesso si prova a limitare l’instaurarsi di reazioni allergiche con trattamenti
che riducono la quantità di IgE nel soggetto. Un approccio, la desensibilizzazione, prevede la ripetuta
esposizione a limitate quantità di antigene per via sottocutanea: il risultato empirico è l’aumento del
titolo di IgG e la diminuzione del titolo di IgE. Questo tipo di approccio è usato per la prevenzione di
reazioni anafilattiche acute (ad esempio veleni) o per poter somministrare farmaci vitali (ad esempio
pennicillina).

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1 Capitolo 18. Malattie causate dalle risposte immunitarie: ipersen-
sibilità ed autoimmunità
Le risposte immunitarie possono essere patologiche a causa di parecchie e diverse anormalità.
1. Autoimmunità. Le reazioni immunitarie contro le cellule dello stesso organismo sono dette
autoimmuni.
2. Reazioni contro i microbi. Le risposte contro gli antigeni microbici possono causare malattia
se eccessive o se l’infezione è insolitamente persistente. La formazione di immunocomplessi può
portare ad accumulo nei tessuti e scatenare infiammazione, così come le risposte dei linfociti T
ai microbi persistenti. Raramente un anticorpo o una cellula T può cross-reagire con i tessuti
dell’host.
3. Reazioni contro antigeni ambientali. Il 20% della popolazione risponde in modo normale a
sostanze innocue dell’ambiente. Le reazioni contro tali sostanze possono essere causate sia
dall’ipersensibilità immediata che da quella ritardata.
Il problema nelle patologie di ipersensibilità è l’attivazione incontrollata ed inappropriata delgli stessi
meccanismi normalmente utilizzati nelle infezioni; poichè gli stimoli per queste risposte aberranti sono
spesso difficili o impossibili da eliminare, le patologie di questo tipo sono tipicamente croniche.
Le patologie da ipersensibilità si dividono fondamentalmente in quattro categorie a seconda della
loro causa:

Ipersensibilità Causa
Tipo I (Immediata) IgE
Tipo II Anticorpi
Tipo III Immunocomplessi
Tipo IV Linfociti T

Molte delle patologie da ipersensibilità sono mediate dai TH 1: i linfociti T causano direttamente l’infi-
ammazione o stimolano la produzione di anticorpi che danneggiano i tessuti e quindi li infiammano.
Per contrasto le reazioni allergiche (ipersensibilità immediata) sono prototipi di patologie TH 2 mediate
nelle quali il linfocita T stimola la produzione di anticorpi di tipo IgE.

1.1 Patologie causate da anticorpi


Le patologie mediate dagli anticorpi possono essere dovute sia all’atto delle Ig di legarsi a quel che
riconoscono sia alla formazione e deposito di complessi antigene-anticorpo.
Nelle patologie dovute al legame degli anticorpi agli antigeni tissutali sono tre i meccanismi pato-
genici:
1. Gli anticorpi possono opsonizzare le cellule attivando i fagociti per la loro distruzione: questo
è il principale meccanismo nell’anemia emolitica autoimmune e nella trombocitopenia porpora
autoimmune.
2. Gli anticorpi possono reclutare neutrofili e macrofagi i quali legano Ig o proteine del comple-
mento con i loro recettori e con i loro prodotti mediano infiammazione acuta e danno tissutale:
questo è il principale meccanismo nella glomerulonefrite anticorpo mediata.
3. Gli anticorpi possono legarsi a normali recettori cellulari interferendone con la funzionalità
e causando malattia senza infiammazione o danno tissutale: questo è il principale meccanismo
dell’ipertiroidismo o malattia di Graves.

Nelle patologie dovute alla formazione e al deposito di complessi si nota che il quadro riflette il sito
di formazione del complesso e non l’antigene: queste patologie sono dunque spesso sistemiche e non
presentano particolare specificità tissutale o d’organo. I complessi antigene-anticorpo sono prodotti
costantemente durante le normali risposte immunitarie, diventano causa di malattia solo quando sono
prodotti in quantità eccessive, non vengono eliminati e si accumulano nei tessuti. I capillari renali

1
sono tra i siti più comuni di deposito degli immunocomplessi per via della loro funzione di filtrazione. Il
deposito sulle pareti dei vasi porta ad infiammazione mediata sia dal complemento che dalle varie cel-
lule che riconoscono il frammento Fc; molte malattie immunologiche sistemiche hanno questo aspetto
alla base, il prototipo è il lupus erimatoso sistemico. Le manifestazioni cliniche di questa patologia
includono glomerulonefrite ed artrite che sono da attribuire alla formazione di immunocomplessi tra
DNA self o nucleoproteine e anticorpi specifici.

1.2 Patologie causate da linfociti T


I linfociti T danneggiano i tessuti tramite l’ipersensibilità ritardata o tramite l’uccisione cellulare diretta.
Le reazioni di ipersensibilità sono stimolate sia dai CD4+ sottogruppo TH 1 che dai CD8+ in quanto
entrambi secernono citochine che attivano i macrofagi (IFN-γ) e inducono infiammazione (TNF). In
alcune patologie T-mediate i linfociti T CD8+ citotossici uccidono le cellule bersaglio che presentano
antigeni MHC1-associati.

Malattie causate da ipersensibilità Nelle reazioni di ipersensibilità il danno tissutale deriva dai
prodotti dei macrofagi attivati, quali enzimi lisosomiali, ROS, NO e citochine infiammatorie. Reazioni
croniche di questo tipo spesso producono fibrosi per via della secrezione di citochine e di fattori di
crescita. Molte patologie autoimmuni organo specifiche sono causate da reazioni di ipersensibilità
indotte dai linfociti T autoreattivi, tra le più importanti:
1. Il diabete mellito di tipo 1 è dovuto alla presenza di linfociti e macrofagi intorno alle isole del
Langerhans i quali distruggono le cellule β produttrici di insulina.
2. La sclerosi multipla è dovuta all’azione di linfociti T CD4+ sotto gruppo TH 1/TH 17 che reagiscono
ad antigeni self della mielina nel SNC.
3. L’artrite reumatoide è probabilmente1 legata a linfociti T che riconoscono il collagene delle
cartilagini.
Le risposte immunitarie cellulomediate possono portare a danno tissutale al sito di infezione: è il caso
della tubercolosi, in cui le risposte dei linfociti T e dei macrofagi risultano in fibrosi e infiammazione
del parenchima polmonare con conseguente perdita di funzionalità.

Malattie causate da linfociti T citotossici I linfociti citotossici possono danneggiare i tessuti ucci-
dendo cellule infette il cui virus non avrebbe effetti citopatici. Alcuni virus danneggiano direttamente le
cellule infette e vengono definiti citopatici, altri sono innocui all’ospite e vengono definiti non citopati-
ci. I linfociti non possono riconoscere a priori la categoria cui appartiene un virus e quindi uccidono
anche le cellule infettate da patogeni non citopatici. Alcune forme di epatite nell’uomo sono dovute a
questo tipo di meccanismo.

1.3 Patogenesi dell’autoimmunità


Gli eventi chiave nello sviluppo di una risposta autoimmune sono:
1. Riconoscimento dell’antigene self da parte dei linfociti autoreattivi
2. Attivazione, proliferazione e differenziazione in cellule effettrici
3. Danno tissutale da parte delle cellule effettrici e dei loro prodotti
L’autoimmunità è un evento comune: dal 2 al 5% della popolazione ne soffre. Le caratteristiche più
importanti di questo fenomeno sono:
• L’autoimmunità è il risultato del malfunzionamento o del blocco dei meccanismi normalmente
responsabili della tolleranza nei linfociti B, T o entrambi. L’attenzione si focalizza soprattutto
sui linfociti T per due motivi: sono regolatori fondamentali di tutte le risposte immunitarie alle
proteine, inoltre sono dipendenti dall’MHC nella loro funzionalità, e questo complesso è legato a
parecchie patologie genetiche.
1 Lo si pensa in base ad analogie con i modelli animali.

2
• I fattori principlai che contribuiscono allo sviluppo dell’autoimmunità sono la suscettibilità ge-
netica e gli eventi scatenanti ambientali, quali le infezioni.
• Le patologie autoimmuni possono essere sia sistemiche che organo specifiche.
• I meccanismi effettori delle patologie autoimmuni sono vari: immunocomplessi, autoanticorpi,
linfociti T autoreattivi sono i principali.

• Le reazioni autoimmuni verso un antigene che danneggiano i tessuti possono risultare nell’alter-
azione degli antigeni di quel tessuto e quindi nell’attivazione di altri linfociti: è il fenomeno della
diffusione dell’epitopo. Questo meccanismo spiega come mai le malattie autoimmuni siano
spesso croniche e progressive.

Suscettibilità genetica all’autoimmunità Le malattie autoimmuni hanno forte componente ge-


netica; il diabete mellito di tipo 1 ad esempio ha concordanza 50% nei gemelli monozigotici e 5/6% in
quelli dizigotici. La maggior parte di queste patologie è poligenica e affligge individui che ereditano più
polimorfismi genetici. Il primo gene associato alla patologia ad essere identificato nel diabete è un gene
MHC II, il che conferma come la malattia sia causata dai linfociti MHC II ristretti CD4+ . Tra i geni
associati all’autoimmunità le associazioni più forti sono in quelli che mappano nell’MHC, in particolare
quelli di classe II. Lo studio dei geni HLA in pazienti affetti da varie patologie mostra che alcuni alleli
sono in essi più frequenti che nella popolazione normale. L’associazione più forte è tra la spondilolite
anchilosante e l’allele B27 dell’HLA di classe I.

Malattia Allele HLA Rischio relativo


Artrite reumatoide DR4 4
Diabete mellito insulino dipendente DR3 5
DR4 5-6
DR3/DR4 25
Sclerosi multipla DR2 4
Lupus eritematoso sistemico DR2/DR3 5
Pemphigus vulgaris [???] DR4 14
Spondilolite anchilosante B27 90-100

Le caratteristiche principali dell’associazione patologia-HLA sono:


• L’associazione di una patologia all’HLA può essere identificata mappando un locus, ma l’associ-
azione reale potrebbe esserci con alleli linked a quello mappato e ereditati insieme. Ad esempio
un soggetto con un particolare allele HLA-DR potrebbe avere una maggior probabilità di ereditare
un particolare allele HLA-DQ: si tratta degli effetti del linkage disequilibrium.
• In molte patologie autoimmuni le molecole di HLA associate a malattia differiscono da quelle sane
nelle sedi di legame al peptide: questo conferma il concetto che le molecole MHC influenzano
l’autoimmunità controllando la selezione e l’attivazione dei linfociti T.

• Sequenze associate a patologia di HLA sono riscontrabili in individui sani: l’espressione di un


certo gene HLA non è dunque mai causa da sola di malattia, ma è solo uno dei tanti fattori.
Non sono solo i geni MHC a determinare la suscettibilità genetica all’autoimmunità, ne esistono infatti
moltissimi altri esempi:

• Topi KO per CTLA-4, il recettore inibitorio dei linfociti T per B7, sviluppano autoimmunità fa-
tali con distruzione di cuore, pancreas ed altri organi. CTLA-4 normalmente induce e mantiene
l’anergia dei linfociti T agli antigeni self, se questa funzione viene compromessa si ha la patologia.
• Mutazioni nel gene AIRE portano nell’uomo alla sindrome autoimmune poliendocrina, carat-
terizzata da distruzione di parecchi organi endocrini. AIRE è richiesta per la presentazione di
proteine tessuto-specifiche sulle cellule epiteliali del timo, quindi per la selezione negativa dei
linfociti T autoreattivi.

3
• Topi mancanti di IL-2 (o del recettore) sviluppano splenomegalia, linfadenopatia, anemia emolitica
autoimmune e autoanticorpi anti DNA perchè mancano di cellule T regolatrici: queste cellule
necessitano di questa citochina per sopravvivere e funzionare.
• Carenze genetiche di parecchie proteine del complemento sono associate a patologie autoimmuni
simili al lupus.

• Topi con mutazioni omozigoti ai geni per Fas o FasL hanno fornito la prova che la mancanza di
apoptosi porta a malattie autoimmuni.

Ruolo delle infezioni Nei pazienti lo scatenarsi delle malattie autoimmuni è spesso associato o pre-
ceduto da infezioni. Nella maggior parte dei casi i microorganismi infettanti non sono presenti nelle
infezioni o in generale quando si scatena l’autoimmunità: non sono dunque responsabili direttamente
e la patologia è solamente il risultato delle risposte immunitarie scatenate o disturbate dal patogeno. I
principali meccanismi di promozione autoimmune delle infezioni sono:
1. Induzione di risposte innate locali che richiamano leucociti e attivano le APC: queste secernono
citochine attivanti i linfociti T. L’infezione finisce dunque per scatenare l’attivazione di linfociti T
non specifici per il patogeno infettante.

2. I microbi infettanti possono contenere antigeni crossreattivi, cioè simili agli antigeni self: il patogeno
mima dunque antigeni dell’host. Esempio di questa strategia è la febbre reumatica derivante dalle
infezioni da streptococco: si formano anticorpi anti streptococco che reagiscono anche a proteine
del miocardio.

3. I microbi possono attivare i TLR delle cellule dendritiche, portando a produzione di citochine, o i
linfociti B autoreattivi, portando alla formazione di autoanticorpi.

Altri fattori Alterazioni anatomiche, a causa di infezioni, ischemie o traumi, possono esporre antigeni
self normalmente nascosti: esempi sono le proteine intraoculari o lo sperma. Gli ormoni possono inoltre
avere un qualche ruolo: molte malattie autoimmuni mostrano un’incidenza maggiore2 nelle donne,
anche se non si sa esattamente il motivo.

2 Il lupus eritematoso sistemico colpisce ad esempio dieci donne per ogni uomo.

4
1 Capitolo 20. Immunodeficienze congenite ed acquisite
Le immunodeficienze si dividono in due grandi categorie. Le immunodeficienze congenite o primi-
tive sono il risultato di difetti genetici e conferiscono un’aumentata sensibilità alle infezioni; queste
patologie si manifestano precocemente ma occasionalmente danno manifestazione clinica in età più
avanzata. Le immunodeficienze secondarie o acquisite si sviluppano a seguito di malnutrizione,
cancro, uso di farmaci immunosoppressivi o infezioni delle cellule del sistema immunitario (da
HIV in primis). Le caratteristiche generali delle immunodeficienze sono:
• Aumento della sensibilità alle infezioni. Difetti nell’immunità umorale espongono a rischio di
infezioni batteriche, mentre difetti in quella cellulo mediata espongono a rischio di infezioni virali
o da parte di batteri intracellulari.
• Aumento del rischio di cancro. Molte delle neoplasie che insorgono in queste condizioni sono
dovute a virus oncogeni, ad esempio il virus di Epstein-Barr.
• Le immunodeficienze possono insorgere sia per difetti nella maturazione/attivazione dei linfociti
che per difetti nei meccanismi effettori di immunità innata o adattativa.

1.1 Immunodeficienze congenite


In diverse immunodeficienze l’anormalità principale può trovarsi indiversi componenti del sistema im-
munitario innato, o a diversi stadi della maturazione dei linfociti, o nelle risposte dei linfociti maturi
alla stimolazione antigenica.
• Le anormalità ereditarie dell’immunità innata affligono di solito i fagociti o il complemento.
• Le anomalie dello sviluppo linfocitario possono derivare da mutazioni nei geni codificanti alcuni
degli enzimi fondamentali.
• Le anormalità nello sviluppo e nella funzione dei linfociti B sfociano in carente produzione di
anticorpi e suscettibilità ai batteri extracellulari. Queste patologie sono identificate tramite (non
tutti i criteri valgono per ogni patologia):

– bassi titoli di Ig nel siero


– assenza di risposta alla vaccinazione
– ridotto numero di linfociti B in circolo o nei tessuti linfoidi, assenza di plasmacellule

• Le anormalità nella maturazione e nella funzione dei linfociti T portano a immunità cellulo-mediata
carente e aumento del rischio di infezioni intracellulari. Queste patologie sono identificate tramite:

– Ridotto numero di linfociti T nel sangue periferico


– Poca risposta proliferativa ad attivatori policlonali
– Mancanza di risposte di ipersensibilità di tipo ritardato (IV) a antigeni microbici

1.1.1 Difetti dell’immunità innata


I disordini congeniti dei fagociti e del sistema del complemento sfociano in infezioni ricorrenti, in par-
ticolare da batteri Neisseriae, e spesso contribuiscono al rischio di patologie autoimmuni, soprattutto
lupus eritematoso sistemico.

Malattia granulomatosa cronica La malattia granulomatosa cronica è una malattia rara [1 : 106 ]
della quale i due terzi dei casi presenta uno schema di ereditarietà di tipo X-linked recessivo. La
patologia è causata da mutazioni nei componenti del complesso enzimatico dell’ossidasi fagocitica.
La forma più comune è causata da una mutazione codificante la subunità alfa del citocromo b558 :
questa mutazione porta a difetti nella produzione di superossidi, cioè i ROS responsabili dell’attività
microbicida del fagocita. La mancanza di superossidi rende i fagociti incapaci di uccidere i microbi
fagocitati: si hanno infezioni ricorrenti di funghi e batteri a partire dalla prima infanzia. Le infezioni non

1
vengono controllate dai fagociti e quindi stimolano risposte immunitarie cellulomediate croniche
che portano a formazione di granulomi di macrofagi attivati. La patologia è spesso fatale anche se
vengono adottate forti terapie antibiotiche. L’interferone gamma stimola la trascrizione del gene phox-
91 e di altri componenti del complesso dell’ossidasi: se la produzione viene ripristinata ad un valore di
circa il 10% del normale si ha già un grande miglioramento nella resistenza alle infezioni; l’interferone
gamma è la terapia di elezione per questo tipo di patologia.

Deficienze nell’adesione leucocitaria La sindrome da deficit di adesione leucocitaria di tipo


1 è una patologia autosomica recessiva caratterizzata da frequenti infezioni batteriche e fungine e
carenza nella guarigione delle ferite. In questi pazienti le funzioni leucocitarie dipendenti dall’adesione
sono anormali. La base molecolare è l’assenza o la carente espressione delle integrine β2 , tra le quali
LFA-1 e Mac-1; queste proteine partecipano all’adesione dei leucociti alle altre cellule, soprattutto
cellule endoteliali ed APC.
La sindrome da deficit di adesione leucocitaria di tipo 2 è clinicamente simile alla precedente
ma non si ha difetto nelle integrine. LAD-2 risulta invece dall’assenza di SLEX, un ligando necessario
per il legame con le selectine E e P dell’endotelio.

Sindrome di Chédiak-Higashi La sindrome di CH è una patologia autosomica recessiva caratteriz-


zata da ricorrenti infezioni di batteri piogeni, parziale albinismo oculocutaneo e infiltrazioni in vari
organi di linfociti non neoplastici. Neurtrofili, monociti e linfociti dei pazienti affetti contengono lisoso-
mi giganti. La malattia è causata da mutazioni nel gene che codifica la proteina LYST che gestisce il
traffico lisosomiale: la fusione fagosoma lisosoma diventa difettosa (da cui le ricorrenti infezioni), non si
forma il melanosoma nei melanociti (da cui l’albinismo) e si formano anormalità lisosomiali nelle cellule
nervose. I lisosomi giganti si formano durante la maturazione dai precursori mieloidi: queste cellule
possono presentare carenze negli enzimi lisosomiali microbicidi ma anche difetti nella chemotassi e
nella fagocitosi. Le cellule NK mostrano ridotta funzionalità, probabilmente a causa delle anormalità
nei granuli citoplasmatici che contengono gli enzimi per la loro citotossicità.

Difetti ereditari nei pathway del TLR e della segnalazione di NF-κB Alcune immunodeficienze sono
causate da difetti nelle vie di segnalazione a valle dei TLR. Mutazioni nell’inibitore della κB chinasi γ
, detto anche NEMO, contribuiscono alla condizione X-linked recessiva detta displasia ectodermica
anidrotica con immunodeficienza (zumpapà zumpapà). NEMO è fondamentale per l’attivazione di
NF-κB, se viene compromesso la differenziazione delle strutture di derivazione ectodermica è anormale
e le funzioni immunitarie ne escono danneggiate. Questi pazienti soffrono di infezioni da parte di batteri
piogeni capsulati, così come di patogeni intracellulari.

1.1.2 Immunodeficienze gravi combinate


I disordini che colpiscono sia l’immunità cellulomediata che quella umorale sono detti immun-
odeficienze gravi combinate o SCID (Severe Combined ImmunoDeficiencies). Queste patologie sono
caratterizzate da carenze di linfociti T e B o solo dei linfociti T: nel secondo caso il danno all’immunità
umorale si ha per via dei linfociti T helper malfunzionanti. I bambini malati di SCID normalmente
hanno infezioni entro il primo anno di vita e muoiono se non trattati.

Difetti nei recettori per le citochine: X-linked Circa il 50% dei casi di SCID è X-linked e dovuto
a mutazioni nel gene codificante la catena γ comune condivisa dai recettori per le interleuchine IL-2,
IL4, IL-7, IL-9 e IL-15. Queste condizioni sono caratterizzate da problemi alla maturazione dei linfociti
T e delle NK senza cali nel numero dei linfociti B: il problema all’immunità umorale è dunque legato
solamente agli helper. La patologia è dovuta all’incapacità della citochina IL-7 di stimolare la crescita
dei timociti immaturi, e all’incapacità della citochina IL-15 di far proliferare le cellule NK.

Difetti nei recettori per le citochine: autosomiche Alcuni pazienti con un quadro patologico uguale
alle SCID X-linked mostrano ereditarietà autosomica recessiva. Le mutazioni si hanno a carico della
catena α del recettore per IL-7.

2
Difetti nel riciclo delle purine Circa il 50% dei casi di SCID mostra eredità autosomica recessiva, e
molti di questi casi sono legati a difetti nell’enzima adenosina deaminasi (ADA), che ha ruolo nel riciclo
delle purine. L’enzima catalizza la deaminazione dell’adenosina a 2’-deossiadenosina e dell’inosina a
2’-deossiadenosina. Il difetto porta all’accumulo di deossiadenosina e dei suoi precursori che hanno
molti effetti tossici, tra i quali l’inibizione della sintesi di DNA. I linfociti in fase di sviluppo sono
meno efficienti delle altre cellule nel degradare dATP a 2-deossiadenosina e quindi sono particolarmente
sensibili alla carenza di ADA. Una forma più rara di SCID è dovuta alla carenza di un altro enzima, la
purina nucleoside fosforilasi (PNP), anch’esso coinvolto nel catabolismo delle purine. PNP catalizza
la conversione dell’inosina in ipoxantina e della guanosina a guanina: il difetto porta ad accumulo di
deossiguanosina e deossiguanina con effetti tossici sui linfociti immaturi, soprattutto i T.

Difetti nella ricombinazione V(D)J Mutazioni nei geni RAG1, RAG2 o ARTEMIS rappresentano la
causa di un gran numero di forme autosomiche recessive di SCID. Mutazioni ipomorfiche in questi geni
portano a condizioni di ristretta generazione di linfociti B e T, immunodeficienze e autoimmunità, come
nella sindrome di Omenn.

Difetti nel checkpoint pre-TCR Rare forme di SCID sono state collegate a mutazioni nei geni codif-
icanti CD45 e le catene δ o ε di CD3. Un’altra forma rara è causata dalla mutazione del gene Orai1,
componente dei canali CRAC. L’attivazione dei recettori per l’antigene, così come dei recettori pre-
antigenici porta all’attivazione dell’isoforma γ della fosfolipasi C (PLCγ)e al rilascio IP3 dipendente
di calcio dal RE e dai mitocondri. Il rilascio di calcio è compensato dai canali CRAC che facilitano il
flusso di calcio dal pool extracellulare e questo processo è cruciale per l’attivazione linfocitaria.

Difetti nello sviluppo del timo: sindrome di DiGeorge Il difetto congenito si mostra come ipoplasia
o agenesi del timo e porta a difetti nella maturazione dei linfociti T, ad assenza delle ghiandole
paratiroidi (quindi anormale omeostasi del calcio e tetania) e sviluppo anomalo di volto e grandi
vasi. La patologia è causata da una delezione nel cromosoma 22q11.2. L’immunodeficienza può
essere spiegata a causa della delezione del gene TBX1 che mappa in quella regione. In questa sindrome
i linfociti T nel sangue periferico sono assenti o molto ridotti e le cellule non rispondono agli attivatori
policlonali. L’immunodeficienza può essere corretta con trapianto di timo fetale o di midollo osseo
ma normalmente non è necessaria perchè la funzionalità immunitaria tende a migliorare con gli anni.
Le ragioni del miglioramento spontaneo possono essere la presenza di tessuto timico ectopico o
l’esistenza di una sede extratimica di maturazione linfocitaria ancora non scoperta.

1.1.3 Deficienze anticorpali: difetti nello sviluppo e nell’attivazione dei linfociti B


Agammaglobulinemia X-linked La patologia è caratterizzata dall’assenza di gammaglobuline nel
sangue ed è tra le immunodeficienze congenite più comuni. Il difetto è il fallimento dei linfociti B di
maturare oltre lo stadio di cellula pre-B a causa di mutazioni nel gene codificante la tirosin chinasi di
Bruton (Btk). Btk è coinvolta nella trasduzione del segnale dal pre-BCR, segnale richiesto per la soprav-
vivenza e la differenziazione delle cellule pre-B. I pazienti affetti normalmente hanno Ig sieriche basse
o assenti, pochi linfociti B nel sangue periferico e nei tessuti linfoidi, mancano di centri germinativi nei
linfonodi e di plasmacellule nei tessuti. Le complicazioni infettive dell’agammaglobulinemia x-linked
sono molto ridotte dalle iniezioni periodiche di preparati di gamma globuline: questi preparati
contengono anticorpi preformati contro patogeni comuni e quindi forniscono un’efficace immunità
passiva.

Agammaglobulinemie autosomiche Forme autosomiche recessive di agammaglobulinemia sono


state descritte. I geni mutanti comprendono il gene µ della catena pesante delle IgM, il gene Igα che
codifica un componente segnalatorio sia del pre-BCR che del BCR, e il gene BLNK che codifica una
proteina adattatrice importante.

Deficienze selettive di isotipi di Ig La più comune è la deficienza selettiva di IgA [1 : 700] che è
inoltre la più comune immunodeficienza primaria conosciuta. Le caratteristiche cliniche sono variabili.
Molti pazienti sono normali, altri hanno infezioni occasionali e diarrea, altri hanno gravi infezioni con

3
danno permanente ad intestino e vie aeree. Il difetto in questi pazienti è il blocco nella differenziazione
delle cellule B a plasmacellule secernenti IgA. I geni delle catene pesanti alfa e l’espressione delle IgA
di membrana sono normali. In una piccola porzione di pazienti le mutazioni sono state individuate in
TACI, uno dei tre tipi di recettore per le citochine BAFF ed APRIL.
Le deficienze selettive delle sottoclassi di IgG sono patologie in cui il titolo delle IgG è normale
ma le concentrazioni di una o più sottoclassi sono sotto la norma. La deficienza delle IgG3 è la più
comune negli adulti, delle IgG2 nei bambini. Alcuni individui presentano infezioni batteriche ricorrenti
ma la maggior parte non ha problemi clinici.

Difetti nella differenziazione: immunodeficienze variabili comuni Le immunodeficienze variabili


comuni sono un gruppo eterogeneo di disordini definito dalla riduzione dei livelli di Ig nel siero: la diag-
nosi viene fatta per esclusione. Linfociti T maturi sono presenti in questi pazienti ma le plasmacellule
mancano e questo suggerisce un blocco nella differenziazione. Una piccola porzione di pazienti affetti
condivide una delezione del gene ICOS, mentre una causa più comune è la presenza di mutazioni in
TACI.

Sindromi iper-IgM La sindrome iper-IgM X-Linked è un raro disordine associato con il difetto
dello switch verso gli isotipi IgA ed IgG; questi isotipi sono dunque carenti nel sangue e si ha
compensazione da parte delle IgM. Il difetto è causato da mutazioni nel gene che codifica CD40L: le
forme mutate non stimolano i linfociti B a subire lo switch. I pazienti affetti mostrano anche difetti
nell’immunità cellulo mediata e un’enorme sensibilità alle infezioni da parte del fungo Pneumocystis
jiroveci.
Rari casi di sindrome iper-IgM mostrano ereditarietà autosomica dominante. In questi casi il
difetto può essere in CD40 o in AID, l’enzima coinvolto nello switching della catena pesante.

1.1.4 Difetti nell’attivazione e nella funzione dei linfociti T


Difetti nell’espressione di MHC II: sindrome del linfocita nudo La sindrome del linfocita nudo è un
gruppo di patologie autosomiche recessive in cui i pazienti esprimono bassi livelli (o non esprimono
affatto) HLA-DP, HLA-DQ o HLA-DR su linfociti B, macrofagi e cellule dendritiche. L’espressione delle
molecole di MHC I è normale. Nella maggior parte dei casi le sindromi sono dovute a mutazioni nei geni
che codificano proteine regolanti la trascrizione dell’MHC II. Ad esempio mutazioni nel fattore RFX5
o in CIITA portano a ridotta espressione di MHC II e quindi all’impossibilità di attivare i linfociti
CD4+ . La mancata presentazione dell’antigene può portare a problemi nella selezione positiva nel timo
o a difetti nell’attivazione delle cellule in periferia. La patologia appare entro il primo anno di vita ed
è tipicamente fatale se non trattata con trapianto di midollo osseo.

Difetti nell’espressione di MHC I Sono state descritte anche deficienze autosomiche recessive di
MHC I associate a riduzione di funzionalità e numero di linfociti T CD8+ . In alcuni casi la patologia è
dovuta a mtuazioni nei geni codificanti le subunità TAP-1 e TAP2 del complesso TAP responsabile del
traffico di peptidi dal citosol al RE. I pazienti privi di TAP mostrano poche molecole MHC I e soffrono
soprattutto di infezioni del tratto respiratorio ma non di infezioni virali, dato discordante considerato
che la principale funzione dei linfociti citotossici è la difesa dai virus.

Difetti nella trasduzione del TCR Esempi comprendono la limitata espressione o funzionalità del
complesso TCR a causa di mutazioni nei geni CD3 ε e γ, oppure la segnalazione difettosa a causa di
mutazioni nel gene ZAP-70 o ancora la mancata espressione dei recettori IL-2. I pazienti affetti possono
avere deficienze soprattutto nella funzione delle cellule T o avere immunodeficienze miste T e B.

Sindrome di Wiskott-Aldrich La sindrome di Wiskott-Aldrich è una patologia X-linked caratterizzata


da eczema, trombocitopenia e aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche. Alcune delle anormalità
possono essere ricondotte a difetti nell’attivazione dei linfociti T. Nelle fasi iniziali della malattia il
numero di linfociti è normale e il principale difetto è l’incapacità di produrre anticorpi verso antigeni T-
indipendenti. L’avanzare dell’età porta a una riduzione del numero di linfociti e ad un’immunodeficienza

4
più grave. Il gene difettoso codifica la proteina WASP che interagisce con parecchie altre proteine,
incluse quelle adattatrici a valle del recettore antigenico.

Sindrome linfoproliferativa X-linked La sindrome linfoproliferativa X-linked è un disordine legato


all’incapacità di eliminare il virus di Epstein-Barr e porta a mononucleosi fulminante e a sviluppo
di tumori ai linfociti B e ipogammaglobulinemia associata. Nell’80% dei casi il problema è dovuto
ad una mutazione nel gene che codifica la proteina SAP, che lega una famiglia di proteine superficiali
coinvolta nell’attivazione di NK e linfociti B e T (tra le quali la molecola SLAM). SAP collega le proteine
SLAM e 2B4 alla kinasi FynT: se manca si ha attenuazione del processo di attivazione. Nel restante
20% dei casi il difetto risiede invece nel gene che codifica XIAP: il risultato è un aumento del processo
apoptotico dei linfociti T e delle cellule NK-T che porta a una evidente riduzione del numero di queste
cellule nel paziente.

Sindromi della linfoistiocitosi emofagocitica La famiglia delle sindromi di linfoistiocitosi emofagocit-


ica sono caratterizzate da attivazione incontrollata di linfociti citotossici e macrofagi in cui la secrezione
granulare da parte dei CD8+ e delle NK è difettosa. Una caratteristica tardiva ma sorprendente è
l’ingestione dei globuli rossi da parte dei macrofagi attivati (emofagocitosi). Mutazioni nei geni RAB27A e
MUNC13-14 sono alla base della compromissione della fusione dei granuli con la membrana plasmatica
e contribuiscono a varie forme di queste patologie.

1.1.5 Disordini multisistemici con immunodeficienza: atassia telangectasia


L’atassia telangectasia è una patologia autosomica recessiva caratterizzata da anomalie nella deam-
bulazione (atassia), malformazioni vascolari (telangectasie), deficin neurologici, aumentata incidenza
tumorale e immunodeficienza. I più comuni difetti umorali sono carenze di IgA ed IgG2. I difetti nei
linfociti T sono associati ad ipoplasia del timo. I pazienti subiscono infezioni batteriche alle vie aeree
superiori ed inferiori, fenomeni autoimmuni multipli e neoplasie sempre più frequenti con l’avanzare
dell’età. Il gene responsabile della malattia si trova sul cromosoma 11 e codifica la proteina ATM
che è in grado di attivare i checkpoint del ciclo cellulare e l’apoptosi in risposta a rotture del doppio
filamento del DNA.

5
Schema delle citochine

13 gennaio 2011

1 Risposta innata

• TNF - Tumor Necrosis Factor

– Fonti principali: fagociti attivati, NK e mastociti.


– Struttura e recettore: inizialmente proteina di membrana, poi tagliata per via proteolitica in
un peptide che forma omotrimeri riconosciuti dai recettori TNF-RI e TNF-RII.
– Meccanismo d’azione: reclutamento di fattori TRAF che attivano i fattori di trascrizione NF-κB
e AP-1; occasionalmente attivazione delle caspasi e apoptosi.
– Attività biologiche:
∗ Stimolazione delle cellule endoteliali a esprimere molecole di adesione
∗ Stimolazione delle cellule endoteliali e dei macrofagi a secernere chemochine per la mi-
grazione leucocitaria
∗ Stimolazione delle attività microbicide di macrofagi e neutrofili
– Attività collaterali:
∗ Induzione della febbre per via ipotalamica grazie ad aumento della sintesi delle prostaglan-
dine
∗ Aumento della produzione epatica di proteine della fase acuta
∗ Distruzione di cellule muscolari e adipose
∗ Inibizione della contrattilità miocardica e del tono vascolare
∗ Trombosi intravascolare per perdità delle proprietà anticoagulanti dell’endotelio
∗ Profondi disturbi metabolici con crollo della glicemia a livelli letali
∗ Shock settico

• Interleuchina 1

– Fonti principali: fagociti attivati, NK e mastociti.

1
– Struttura e recettore: due forme, IL-1α e IL-1β, con funzioni identiche ed entrambe secrete
come precursori. Il precursore della forma alfa è attivo, quello della forma beta lo diventa
dopo proteolisi.
– Meccanismo d’azione: reclutamento di MyD88 ai domini TIR del recettore che porta al reclu-
tamento di IRAK1,4 e di TRAF-6 che in vari passaggi attivano NF-κB.
– Attività biologiche:
∗ Stimolazione delle cellule endoteliali a esprimere molecole di adesione
– Attività collaterali:
∗ Induzione della febbre
∗ Aumento della produzione epatica di proteine della fase acuta
∗ Produzione di neutrofili e piastrine nel midollo direttamente o attraverso lo stimolo alla
produzione di IL-6

• Chemochine

– Fonti principali: leucociti, cellule endoteliali, epiteliali e fibroblasti. Stimolo da TNF e IL-1.
– Struttura e recettore: le due famiglie più importanti sono le chemochine CC (residui di cis-
teina consecutivi) e le chemochine CXC (residui di cisteina con un residuo interposto). I recet-
tori sono di tipo accoppiato a preoteina G: esistono dieci diversi recettori per le CC (CCR1-10)
e sei per le CXC (CXCR1-6).
– Meccanismo d’azione: attivazione di vari enzimi cellulari che mediano le configurazioni del
citoscheletro e l’affinità delle integrine.
– Attività biologiche:
∗ Reclutamento delle cellule immunitarie ai siti di infezione
∗ Regolazione del traffico linfocitario e leucocitario attraverso gli organi linfoidi periferici
∗ Promozione di angiogenesi e della guarigione delle ferite (soprattutto CXC)
∗ Sviluppo di vari organi non linfatici

• Interleuchina 12

– Fonti principali: cellule dendritiche attivate e macrofagi


– Struttura e recettore: Eterodimero delle subunità p35 e p40, recettore della famiglia dei
recettori di tipo I.
– Meccanismo d’azione: Il recettore segnala attraverso la via Jak-STAT, cioè le chinasi Jak si
portano ad attivare i fattori di trascrizione STAT.
– Attività biologiche:
∗ Stimolazione della produzione di IFN-γ da parte delle cellule NK e dei linfociti T
∗ Promozione della differenziazione dei CD4+ helper al sottogruppo TH 1 che produce l’IFN-γ
∗ Miglioramento delle funzioni citotossiche delle NK attive e dei linfociti CD8+
– Nota: IL-12 è prodotta da cellule dell’immunità innata ma attiva anche cellule dell’immunità
adattativa, quindi svolge ruolo di ponte tra i due sistemi.

• Interferoni di tipo I

– Fonti principali: cellule dendritiche e fagociti. Stimolo da acidi nucleici virali.


– Struttura e recettore: gli IFN-I includono IFN-α, IFN-β, IFN-ε, IFN-κ e IFN-ω, tutti codificati
da geni sul cromosoma 9. Tutti gli IFN-I si legano ad un recettore della famiglia dei recettori
di tipo II composto da due subunità: IFNAR1 e IFNAR2.
– Meccanismo d’azione: gli IFN-I stimolano la via Jak-STAT per indurre la trascrizione di vari
geni. Lo stesso recettore stimola anche la via delle MAP kinasi e delle PI-3 kinasi.
– Attività biologiche:

2
∗ Inibizione della replicazione virale (effetto paracrino, con induzione dello stato antivirale
nelle cellule vicine)
∗ Aumento dell’espressione di molecole MHC I
∗ Stimolo allo sviluppo di cellule TH 1
∗ Sequestro dei linfociti nei linfonodi
∗ Inibizione generica della proliferazione di molti tipi di cellula

• Interleuchina 10

– Fonti principali: macrofagi attivati e linfociti T regolatori


– Struttura e recettore: citochina dimerica che lega recettori di tipo II associati alle kinasi Jak1
e Jak2.
– Meccanismo d’azione: Attivazione della via Jak-STAT.
– Attività biologiche:
∗ Inibizione della produzione di IL-12 da parte di macrofagi attivati e cellule dendritiche
∗ Inibizione dell’espressione di costimolatori e di molecole MHC II su macrofagi e cellule
dendritiche
– Nota: citochina inibitoria, in coppia con il TGF.

• Altre citochine dell’immunità innata

– IL-6, prodotta da fagociti, cellule endoteliali e fibroblasti, stimola la sintesi delle proteine
di fase acuta e la produzione di neutrofili. Ha ruolo anche nell’immunità adattativa poichè
stimola la crescita dei linfociti B.
– IL-15, prodotta soprattutto dai fagociti, è un importante fattore di crescita e sopravvivenza
per linfociti T e cellule NK.
– IL-18, strutturalmente legata a IL-1, stimola la produzione di IFN-γ da parte dei linfociti
promuovendone il differenziamento a TH 1.
– IL-23 e IL-27 fanno da ponte tra le due immunità.

2 Risposta adattativa

• Interleuchina 2

– Fonti principali: linfociti CD4+


– Struttura e recettore: recettore indotto da attivazione in naive ed effettori, sempre presente in
linfociti T regolatori.

3
– Meccanismo d’azione: via Jak-STAT
– Attività biologiche:
∗ Sopravvivenza e funzionalità delle cellule T regolatrici
∗ Stimolo alla sopravvivenza, proliferazione e differenziazione dei linfociti T attivati dall’anti-
gene
∗ Promozione alla proliferazione e differenziazione delle cellule NK

• Interleuchina 4

– Fonti principali: linfociti T CD4+ attivati e mastociti


– Meccanismo d’azione: via Jak-STAT
– Attività biologiche:
∗ Stimolo allo switching verso l’isotipo IgE
∗ Stimolo allo sviluppo di cellule TH 2 a partire da CD4+ naive
∗ Fattore di crescita per cellule TH 2 differenziate
∗ Inibizione dello sviluppo di cellule TH 1 e TH 17

• Interleuchina 5

– Fonti principali: cellule TH 2 e mastociti


– Meccanismo d’azione: via Jak-STAT
– Attività biologiche:
∗ Attivazione degli eosinofili
∗ Stimolo alla crescita e alla differenziazione degli eosinofili

• Interleuchina 13

– Fonti principali: soprattutto CD4+ TH 2 ma anche CD8+ e NK-T durante le allergie


– Meccanismo d’azione: via Jak-STAT
– Attività biologiche:
∗ Promozione della fibrosi nella riparazione tissutale degli stati infiammatori cronici
∗ Stimolo alla produzione di muco nel polmone
∗ Stimolo allo switching a IgE
∗ Promozione dell’infiammazione per espressione di molecole di adesione endoteliale e cito-
chine

• Interferone γ

– Fonti principali: cellule NK, linfociti TH 1 e CD8+ . Stimolo di IL-12 o diretto dai microbi.
– Meccanismo d’azione: via Jak-STAT
– Attività biologiche:
∗ Attivazione dei macrofagi per l’uccisione dei microbi fagocitati (insieme a CD40L)
∗ Promozione della differenziazione a TH 1
∗ Inibizione della differenziazione a TH 2
∗ Promozione dello switch a certi isotipi IgG
∗ Inibizione dello switch a IgE
∗ Stimolo dell’espressione di molecole MHC I e MHC II

• TGF-β

– Fonti principali: linfociti T antigene-stimolati, fagociti LPS-attivati.

4
– Attività biologiche:
∗ Inibizione della proliferazione e delle funzioni effettrici dei linfociti T e dell’attivazione dei
macrofagi.
∗ Regolazione della differenziazione verso alcuni sottogruppi di linfociti T e blocco dello
sviluppo sia di TH 1 che di TH 2.
∗ Stimolazione della produzione di anticorpi IgA tramite switching.
∗ Regolazione della riparazione tissutale

• Altre citochine

– Linfotossina: praticamente fa le funzioni del TNF.


– IL-17: promuove il danno tissutale nelle patologie da ipersensibilità. I ruoli fisiologici sono
stimolo ai macrofagi a produrre IL-1 e TNF e altre chemochine.
– IL-21 gli effetti sono di solito sinergistici con altre citochine e non hanno grande ruolo da soli.

3 Citochine ematopoietiche
• Stem Cell Factor

– Prodotto dalle cellule stromali del midollo, probabilmente serve a rendere le cellule staminali
attive nel ricevere altri stimoli: non promuove la formazione di colonie da solo.

• Interleuchina 7

– Secreta dalle cellule stromali di molti tessuti, stimola la sopravvivenza e l’espansione dei
precursori immaturi delle linee B e T. La mutazione dei geni correlati porta alla patologia
dell’immunodeficienza grave combinata X-Linked (SCID X-linked)

• Interleuchina 3

– Secreta dai linfociti CD4+ agisce sui progenitori midollari promuovendone l’espansione e la
differenziazione in tutti i tipi di cellula.

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