MALANGA DANIELA
LEZIONE 16 –29/11/2022
Ricapitolazione.
Si definiscono reazioni autoimmuni quelle reazioni che prevedono l’attivazione della risposta
immune nei confronti degli antigeni self. Quest’ultimi possono essere di diversa natura: solubili,
ovvero presenti nel plasma, oppure situati sulla superficie delle cellule. Le reazioni in questione si
sviluppano secondo le modalità delle reazioni di ipersensibilità di tipo 2, di tipo 3 e 4, dunque:
mediate dagli anticorpi;
mediate dagli helper citotossici nell’immunità cellulo-mediata
reazioni complesse, in quanto prevedono la partecipazione di entrambi, sia degli anticorpi sia
degli helper citotossici.
Quando c’è un’immunità legata ad una risposta anticorpale, che comporta la produzione di
immunoglobuline di tipo G, le quali mediano principalmente sia le reazioni di ipersensibilità di tipo
2 che di tipo 3, si avrà sicuramente il coinvolgimento di un helper. Ciò avviene poichè in tal caso non
si fa riferimento all’immunità legata ai linfociti B naturali, i quali producono esclusivamente le IgM
(di tipo indipendente).
Le modalità con cui si svolgono le reazioni autoimmuni in realtà sono le stesse che prevede il sistema
immune, dunque rispecchiano tutte le modalità finora descritte. Non ci sono particolari o nuovi aspetti
della risposta immunitaria, però c’è un’unica differenza tra la risposta autoimmune e la risposta
immune. La differenza infatti risiede nella diversa tipologia di antigene in questione: nel primo caso
l’antigene in azione è self o autoantigene, mentre nel secondo è non self.
1
l’aplotipo, ovvero il materiale genetico che si eredita dai propri genitori, soprattutto il tipo
di MHC di classe II il quale è il principale responsabile dell’attivazione degli helper. Per
aplotipo si intende dunque la combinazione di varianti alleliche lungo un cromosoma ereditate
da entrambi i genitori, che insieme costituiscono la composizione polimorfica del singolo,
quindi la tipologia di molecole antigeniche su cui è possibile plasmare il TCR con il quale si
andrà ad interagire.
La predisposizione genetica può essere correlata a una serie di geni che possono essere recettori per
chemochine, polimorfismi che rendono queste molecole più o meno attive o comunque che rendono
il sistema immune ipersensibile, capace di attivarsi in modo inconsueto nei confronti del proprio
repertorio antigenico
Attraverso la selezione, la tolleranza centrale, si
selezionano potenziali linfociti B o T autoreattivi
giungendo a una serie di meccanismi di selezione
positiva o negativa. Tale meccanismo è denominato,
nell’ambito delle malattie autoimmuni, “rottura della
tolleranza” in quanto i soggetti con malattie
autoimmuni non sono più capaci di considerare il self
come tale e di conseguenza non sono in grado di
proteggersi da esso. E’ per questo che i linfociti
potenzialmente autoreattivi possono attaccare i propri
antigeni.
Per quanto concerne la predisposizione genetica, essa conferisce un background, un punto di inizio,
ma a parità di predisposizione stessa è possibile anche che due individui che vivono in due ambienti
completamente diversi non sviluppino allo stesso modo la patologia autoimmune (un soggetto può
svilupparla e l’altro no).
Ciò significa che, a parità di predisposizione, anche
l’ambiente influenza lo scatenarsi della malattia
stessa.
Per ambiente non si intende solo l’ambiente che
individualmente il soggetto si crea come
l’alimentazione, il vizio del fumo, dell’alcol e altro,
ma è anche inteso come contatto con i
microrganismi continuo e ripetuto. Quest’ultima
condizione provoca negli individui uno stato di
infiammazione cronica, determinando quindi un’alterazione e distruzione tissutale, manifestando
degli epitopi antigenici che normalmente il sistema immune non è abituato a vedere.
Essendo presente un linfocita T autoreattivo, nel caso dovesse mancare l’incontro con l’antigene, ciò
non provocherà nessuna reazione e nessuna attivazione di una risposta. Qualora invece fossero
presenti infezioni ripetute, quindi condizioni croniche, esse comportano l’esposizione dell’epitopo
(spreading), esponendo strutture molecolari di epitopi che generalmente vengono nascosti al sistema
immune con origine intracellulare.
2
questo modo si genera un microambiente che ha capacità immunosoppressorie mediate da citochine,
da immunosoppressori, da recettori che non permettono una costimolazione o che comunque
competono con quest’ultimo, spegnendo in questo modo la risposta immune e realizzando in ogni
modo un controllo. Ci sono anche altre strategie dal punto di vista anatomico, per cui alcuni siti sono
posizionati in zone più riservate rispetto ad altri in modo tale che antigeni o potenziali autoantigeni,
che potrebbero essere liberati, non scatenino una reazione immune in questi suddetti siti (per esempio
la posizione del sistema riproduttore rispetto all’occhio o della barriera ematoencefalica). Quindi nel
corpo umano ci sono aree e strutture localizzate in siti anatomicamente più protetti da possibili
attacchi.
Vi sono inoltre distretti altamente tollerogenici come l’intestino, che impediscono in tali zone una
ripetuta attivazione del sistema immune. Le aree a disposizione sono diverse però quando si ha un
background genetico che ci predispone ad essere affetti da tali patologie, a cui si aggiunge anche un
fattore esterno, naturalmente è possibile che patologie autoimmuni insorgano con una frequenza nelle
popolazioni intorno al 5/10%.
Un’ulteriore fattore ambientale già
analizzato è il mimetismo molecolare: esso
fa riferimento alla presenza di un’infezione
pregressa in alcune patologie autoimmuni
durante la loro storia evolutiva. Ciò può
spiegare lo sviluppo di una patologia
autoimmune attraverso il fenomeno della
somiglianza, per il quale epitopi riconosciuti
in passato e appartenenti ai microrganismi
contro i quali il sistema immune si era già
attivato, assomigliano, per le loro sequenze amminoacidiche, a peptidi appartenenti alle molecole
proprie dell’organismo umano come il recettore per l’insulina, l’insulina stessa, proteine della
superficie della matrice, che in qualche modo combaciano o hanno una grossa reattività rispetto agli
antigeni non self. Il sistema immune in questo modo si trova difronte ad un antigene che già in passato
ha processato; esso si riattiva ma questa volta l’antigene è self, per cui attacca direttamente strutture
proprie attraverso la secrezione di anticorpi o svolgendo un’attività citotossica.
3
Patologie che hanno a che vedere con la tolleranza.
Il compito dell’ambiente è quello di educare il sistema immune tramite esposizione di antigeni self,
in maniera tale che si selezioni negativamente tutto ciò che si riconosce. Se questo sistema non
funziona , cioè l’epitelio timico non ha la capacità di esporre una buona parte di molecole antigeniche
che usualmente si trovano espressi in altri distretti, gli epitopi non self considerati vengono attaccati.
Il ruolo delle cellule dendritiche tipiche è di fondamentale importanza. Soprattutto in questi eventi è
coinvolto il gene AIRE, capace di regolare l’apertura della cromatina e che,dunque, gioca un ruolo
fondamentale nell’espressione genica. Ogni cellula esprime il proprio trascrittoma che la definisce in
quanto tale. Fa eccezione la cellula epiteliale timica, che non esprime le specifiche proteine, ma sfrutta
la sua capacità di trasferire nel citoplasma i trascritti primari e tradurre per proteine che andranno ad
essere caricate e condensate con molecole MHC, necessarie alla selezione negativa. La cromatina,
che gioca un ruolo fondamentale, sicuramente non si troverà allo stesso stato di tutte le altre cellule
somatiche, ma uno stato più lasso , che gli consentirà di essere utilizzata dai fattori trascrizionali, che
potranno accedervi ed esprimere proteine non ortodosse (non tipicamente espresse). Il gene AIRE ha
la capacità di regolare l’iperlassità della cromatina e l’accesso dei fattori di trascrizione. Quando
questo gene è mutato o mancante, le cellule dendritiche tipiche perdono efficienza di espressione
antigenica e si manifestano difetti riconducibili a malattie autoimmuni. Una di questa è definita come
APACED (poliendocrinopatia autoimmune con candidosi e distrofia ectodermica) ed è una
patologia recessiva.
4
Altra patologia a carico del meccanismo educativo è la sindrome ALPS monogenica.
Questa sindrome è legata alla perdita dell’induzione apoptotica estrinseca dei linfociti autoreattivi,
meccanismo fondamentale della selezione negativa timica. Ricordiamo che l’apoptosi può essere
indotta sia durante l’innesco nella tolleranza centrale, sia in periferia a seguito di una possibile
reazione autoreattiva. Questa sindrome autoimmune è legata alla mutazione di FAS (target più
frequentemente mutato nelle patologie autoimmuni). Altri target possibili possono essere il ligando
di FAS o la Caspasi 10. Seppur le cellule professionali per la presentazione antigenica riescono ad
assolvere il loro compito (esporre epitopi proteici), se presenti le mutazioni citate, le cellule
autoreattive si divincolano sfuggendo e recandosi in periferia, dove possibilmente esplicano il loro
ruolo patologico. Quindi impedire meccanismi di apoptosi si traduce nell’ impedimento della
selezione negativa e questo predispone a patologie autoimmuni di diversa entità. Tutti i soggetti affetti
da ALPS presentano una espansione di organo o “megalia”: splenomegalia, epatomegalia, reazioni
che portano a distruzione di eritrociti, piastrine con conseguenti manifestazioni emorragiche, anemie.
Il rischio di essere affetti da tale sindrome è soprattutto legato allo sviluppo di patologie neoplastiche
come i linfomi, proprio per la proliferazione continua e deregolata di cloni autoreattivi. L’apoptosi è
un meccanismo autoregolativo soprattutto nei confronti delle cellule tumorali che, con il
cambiamento del trascrittoma, attivano differenti modalità di escaping apoptotico.
BASI GENETICHE
Il background dell’aplotipo è predisponente per le patologie allergiche. Abbiamo detto in precedenza
che vi sono aplotipi che ci rendono particolarmente suscettibili a varie patologie allergiche poiché
proprio lì dobbiamo presentare molecole antigeniche di natura proteica (MHC II), in quanto è sede
della tasca di legame, responsabile dell’adattamento e alloggiamento. La preferenzialità di legame
per alcune molecole ci consente di rendere migliore la presentazione. Lo stesso discorso vale anche
per le patologie autoimmuni in quanto la via di presentazione antigenica è sempre coinvolta. Si è visto
in grandi studi di popolazione che determinati tipi di aplotipi sono strettamente legati a gruppi di
individui che esprimono patologie autoimmuni. In questo caso non abbiamo l’associazione gene-
proteina e quindi alterazione genica non si traduce in alterazione proteica e fenotipo alterato. Questa
associazione non è lineare: studi di osservazione su popolazioni formate da migliaia di individui
affetti a confronto con popolazioni di individui sani ci danno informazioni su la predisposizione alle
patologie,in quanto andrò a verificare le differenze presenti all’intero dei gruppi osservazionali. Nella
popolazione degli affetti sicuramente troverò polimorfismi con frequenza più alta. Un polimorfismo
5
con frequenza maggiore dell’1% possiamo definirlo fissato geneticamente e non considerarlo come
mutazione. Polimorfismi detti di tipo mutativo vengono considerati con frequenza nella
popolazione minore dell’1% e si avvicinano ai disordini mendeliani. I primi polimorfismi citati sono
considerati predisponenti.
Questi studi di associazione si compiono prendendo una popolazione che possiede un determinato
fenotipo e si fa la mappatura di un certo numero di polimorfismi. Si va poi a vedere se vi sono
variazioni nella popolazione di controllo rispetto alla popolazione che manifesta il fenotipo. Più
grande è la popolazione di controllo, più la mappatura è precisa; è come se noi andassimo a fare
una mappatura del nostro genoma prendendo delle particolari posizioni di nucleotidi. Questa pratica
è stata definita “Genome Wide Association Study”. Troviamo un certo numero di varianti in una
posizione e ciò si verifica in circa il 10% della popolazione affetta dalla patologia autoimmune, ma
non si verifica mai nella
popolazione di controllo.
Naturalmente aumenta la
significatività dello studio
aumentando il numero di
individui della popolazione
di controllo. Quando
parliamo di patologie
autoimmuni, sappiamo che
vengono esaminate
attraverso studi di
genomica, guardando a
tanti polimorfismi e
vedendo se vi è
un’associazione con la
patologia. Tuttavia questi studi non vengono svolti solo per le patologie autoimmuni, ma anche per
la risposta ai farmaci, per osservare dunque se vi sono polimorfismi che ci rendono particolarmente
sensibili a quel farmaco oppure resistenti ad esso. In quest’ultimo caso il farmaco non avrà effetto
sulla patologia, anche se quest’ultima è uguale a quella di un altro individuo sul quale il farmaco avrà
avuto effetto. I pazienti, pur essendo affetti dalla stessa patologia, non vanno trattati allo stesso modo,
ma vanno trattati diversamente perché avranno predisposizioni genetiche che gli consentiranno di
rispondere in maniera diversa al trattamento. Si compie quindi una mappa dei polimorfismi e si va a
vedere come si caratterizzano in due popolazioni. Si fa sempre il confronto tra due popolazioni, in
quanto fare il confronto in una popolazione sola non dà rappresentatività. In due popolazioni diverse
si potrà avere una frequenza diversa di uno o più polimorfismi e si andrà quindi nella direzione giusta;
dunque è come se stessimo aggiungendo un tassello alla caratterizzazione molecolare di una
determinata patologia.
6
Va ricordato che adesso la medicina va verso il molecolare; il morfologico ha la sua rilevanza ma non
basta. Oggi molte delle caratterizzazioni delle patologie che vengono svolte si basano su studi
molecolari, dove con molecolari non s’intendono solo malattie mendeliane propriamente dette, ma si
intendono studi di associazione più complessi che vanno fatti da istituti specializzati, da istituti statali.
La multifattorialità di una patologia ci viene data anche dalle informazioni sui gemelli; in particolare
i gemelli omozigoti manifestano le stesse caratteristiche meglio di come lo fanno i gemelli eterozigoti.
Ciò ci indirizza verso il fatto che il background genetico potrebbe avere un certo impatto. Ci sono
anche numerosissimi modelli animali che ci aiutano a spiegare la predisposizione genetica. Sappiamo
che ci sono ceppi geneticamente puri, cioè quelli fatti in laboratorio e ottenuti facendo incrociare le
progenie fra di loro. Si ritiene che la purezza possa essere ottenuta dopo circa 10 generazioni di
incroci. Parlare di purezza del ceppo significa che quest’ultimo presenta lo stesso background
genetico, quindi gemelli omozigoti. Alcuni di questi ceppi puri ,come i Niod(”non obesic diabetis”),
sono topi non obesi ma che sviluppano il diabete di tipo 1. Sono tutti uguali geneticamente e vivono
in ambienti protetti. Questi organismi ci aiutano molto a capire quali sono le basi molecolari della
predisposizione genetica che spiega il diabete di tipo 1. C’è anche un altro modello chiamato “New
Zeland”. Ovviamente solo nei ceppi puri c’è una predisposizione genetica. Vi ho riportato esempi di
alcune patologie autoimmuni nelle quali vi è l’elenco di alcuni geni che possono presentare
determinati tipi di polimorfismo, non mutazioni, perché nelle mutazioni la frequenza degli individui
presentanti fenotipo non è minore dell’1%. I polimorfismi vengono trovati nella popolazione e non
sono associati alla malattia, ma se
dividiamo la popolazione tra sani e
malati, osserviamo come i malati
presentano con maggiore
frequenza questi polimorfismi. Per
ciascuna di queste patologie
autoimmuni, vi è una lista di geni
che presentano polimorfismi e che
quindi sono associati allo sviluppo
di una malattia. Studi di GWAS
hanno portato alla creazione di
questa lista in cui le malattie
coinvolte sono la Malattia di
Crohn , la retticolite ulcerosa, la
psoriasi e la sclerosi multipla.
Determinati geni se presentano
polimorfismi danno il backgraund,
ma non è detto diano per forza la
patologia. Lo sviluppo della
patologia infatti dipende anche dallo stile di vita , dall’ambiente, dai contatti che abbiamo, dallo stato
di attivazione immunitaria e altri fattori. Quindi gli aplotipi appena visti non sono necessariamente
correlati alla patologia.
Ora vediamo gli aplotipi strettamente connessi con le patologie autoimmuni elencate di seguito.
Prendiamo una popolazione di pazienti affetti da diabete di tipo1: esso è legato alla distruzione delle
cellule beta del pancreas di tipo autoimmune, per cui vi è una citotossicità oppure ci sono
autoanticorpi diretti contro il recettore dell’insulina o contro l’insulina. I soggetti affetti da diabete di
tipo 1 hanno bisogno dell’insulina perché non sono in grado di produrla. Nel diabete di tipo 1 gli alleli
HLA, che presentano polimorfismi caratteristici della popolazione affetta, esprimono DR3/DR4 e
7
questa associazione rende i pazienti coinvolti molto suscettibili. Quindi si può calcolare un rischio
relativo. Se conosco il mio aplotipo e la storia della familiarità posso sapere se ho la predisposizione
a sviluppare il diabete di tipo 1. Questo vale anche per il lupus eritematoso sistemico, la miastenia
gravis ecc, insomma ci sono soggetti che presentano sulla loro superficie famiglie di MHC.
Naturalmente questa associazione è quella tra i geni che sono stati identificati mediante GWAS,
quella più stretta, dunque è quella che rappresenta meglio questa associazione tra geni e malattia, più
di tutti gli elenchi visti prima per le malattie. Per cui l’associazione con un determinato tipo di aplotipo
è quella più forte perché naturalmente l’ MHC plasma il repertorio del TCR(non solo lo plasma
durante il meccanismo di tolleranza centrale, ma lo palma continuamente perché presenta antigeni
ed epitopi proteici, e se lo presenta bene lo presenterà sempre bene: non lo sceglie, ma per
caratteristiche biochimiche intriseche si legherà a questi peptidi).
L’alloggiamento è importante: esso è dato da regioni polimorfiche che determinano questa tasca di
legame, quindi l’interazione con la
molecola antigenica e la possibilità di
presentare peptidi self. E’ così tanto forte
che è possibile notare in alcuni casi come
l’aplotipo contribuisca al 50% della
suscettibilità , che è un valore elevatissimo
per una predisposizione genetica:quindi
per il 50 % la causa è dovuta ad una
predisposizione genetica, e ciò può
spiegare il 50% dei meccanismi
patogenetici che sono alla base di quella
autoimmunità.
Si può vedere come la frequenza è più alta per l’aplotipo B27, ossia per i pazienti che hanno la
spondilite anchilosante. Quando avremo il 95% di pazienti con questo aplotipo, nella popolazione
di controllo invece sarà il 9%. Si calcolerà il rischio relativo, che si basa su questa frequenza, il
quale sarà relativamente alto. L’aplotipo, in sostanza, spiega la maggior parte delle associazioni
con le patologie autoimmuni, quindi il tipo di HLA che noi presentiamo.
8
Oltre alla lista che abbiamo visto prima, ci sono
altri geni, non solo l’aplotipo. Il resto può essere
spiegato attraverso fattori trascrizionali come:
polimorfismi STAT4;
molecole che hanno a che
fare con il riconoscimento di
molecole antigeniche per
l’immunità innata(ad
esempio i recettori NOD, la
celiachia è legata a
polimorfismi di questi geni,
quindi vuol dire riconosciamo delle cose con questi NOD che non è vero che sono
molecole antigeniche non self appartenenti a patogeni, ma appartengono a noi)
polimorfismi ctla4, che non permettono a questo di legarsi bene e quindi di
immunosopprimere. Questo perché noi possiamo inattivare geni che naturalmente
abbassano la risposta immune e che iperattivano geni i quali dovrebbero essere
tenuti sotto controllo.
Vi sono diverse associazioni forti con HLA e poi un certo grado di associazione con altri
geni che comunque sono correlati alla risposta immunitaria, fino ad arrivare
all’associazione del 100% per malattie monogeniche.
9
Per quanto riguarda la manifestazione patogenetica, abbiamo visto che può essere una manifestazione
di tipo II,III e IV, quindi mediata da anticorpi, cellulo-mediata e così via.
Cosa fa un anticorpo che si lega ad un antigene? Che sia self o non self segue sempre lo stesso
meccanismo: espone la porzione FC, che viene riconosciuta da proteine complementari e/o recettore
FC; questo si trova sulla superficie di leucociti (sistema macrofagico,leucocitico,neutrofilo) piuttosto
che su cellule natural killer, quindi si
parla di una citotossicità anticorpo-
dipendente. Per cui ogni volta che un
anticorpo si deposita, possiamo essere
certi che ci sarà un danno a quel tessuto
perché quello che reclutiamo sono
anche cellule di immunità innata e ciò
vuol dire che andiamo ad attuare una
risposta infiammatoria. Rispetto alla
risposta infiammatoria che noi
conosciamo, cioè quella che noi
attiviamo contro un antigene non self, questa ha un picco di risposta che poi si esaurisce e si chiude,
eliminando il patogeno e lo stimolo lesivo, dunque si ha la fase di spegnimento della risposta; se
noi,invece, abbiamo un antigene self non lo limiteremo mai, perché il nostro sistema immune lo avrà
presente per tutta la vita. Dunque queste patologie autoimmuni manifesteranno reazioni
infiammatorie, legate al reclutamento leucocitario e all’ attivazione del complemento, di tipo cronico
(perdurano nel tempo, a meno che non si utilizzi un trattamento farmacologico). Questa non ha più le
caratteristiche vascolari che abbiamo descritto per una reazione acuta, ma acquista un altro tipo di
fenotipo che è di tipo istologico, quindi si ha il reclutamento di cellule che rimangono sempre attive,
leucociti che vanno in quel tessuto e lo distruggono.
Per quanto riguarda le patologie autoimmuni di seguito abbiamo un elenco, nel quale è possibile
osservare un raggruppamento in tre tabelle, questo perché vi sono diversi modi di classificare le
patologie autoimmuni:
10
autoimmuni con target specifici sulla cellula, i quali vengono riconosciuti
dalla molecola anticorpale e la cellula che contiene questo epitopo viene
distrutta.
L’anemia emolitica
autoimmune è
caratterizzata da target
specifici sulla superficie
della cellula che vengono
riconosciuti dalla molecola
anticorpale; quindi, la
cellula che contiene questa
molecola antigenica viene
distrutta, generalmente
viene attaccata, inglobata,
si attiva una risposta
infiammatoria.
Alcune malattie autoimmuni sono legate alla formazione di immunocomplessi, quindi, vuol dire che
c’è una deposizione di questi che diventano strutture grandi e richiamano a sé una fortissima risposta
infiammatoria. Il lupus eritematoso è il più conosciuto, esso è una patologia autoimmunitaria
sistemica molto grave, legata ad una serie di strutture nucleo-proteiche.
In fine ci sono le malattie autoimmuni legate alla risposta cellulo-mediata. Tra queste:
diabete di tipo I, legato alla citotossicità delle cellule beta del pancreas;
l’artrite reumatoide, antigeni presenti nelle articolazioni,
sclerosi multipla in cui c’è un meccanismo di citotossicità nei confronti della mielina e quindi una
conseguente neuro-degenerazione.
È presente una distinzione fra organo specifico, dove c’è un danno tessutale localizzato (diabete di
tipo I) e organo sistemico, dove si presenta appunto un danno sistemico.
11
i meccanismi patogenetici
descrivono le caratteristiche
delle patologie come la causa,
lo svolgimento e la
risoluzione, come si altera la
fisiologia di
quell’organo/tessuto/cellule
morfologicamente,
molecolarmente secondo
diversi livelli oppure anche
come si svolge il meccanismo
patogenetico, ad esempio,
come si distrugge la cellula,
come risponde il paziente,
come può essere il trattamento e come si può concludere.
Per le patologie autoimmuni la conclusione è molto difficile, in quanto si possono tenere sotto
controllo con un trattamento farmacologico, ma se è presente un autoantigene è difficile che questo
scompaia, e di conseguenza rimangono sempre presenti, è questa infatti la loro caratteristica ovvero
una risposta immunitaria che si attiva continuamente. Ci sono dei casi in cui il paziente è in una fase
di remissione, ovviamente dipende per esempio dallo spreding(?), dallo stato infiammatorio, ma la
patologia comunque è sempre presente.
La professoressa ricorda che con le patologie autoimmuni si nasce e poi si possono manifestare, non
si sviluppano nel corso della vita.
I meccanismi patogenetici sono tutti sovrapponibili alle risposte immunitarie nei confronti di antigeni
infettivi, già affrontate precedentemente nel corso. Si possono produrre autoanticorpi, che attivano il
complemento e i recettori per il frammento cristallizzabile, si possono attivare linfociti T effettori
citotossici, effettori, entrambi o qualcuno in quantità maggiore rispetto all’altro, per ultime si
reclutano cellule dell’immunità innata. Quindi si reclutano le componenti di tutte le risposte insieme
e si stabilisce uno stato infiammatorio.
L’effetto cronico è dovuto alla persistenza dell’antigene, l’obbiettivo del sistema immunitario è
eliminare il non-self che nel caso delle malattie autoimmuni non succede e diventa appunto cronica.
Ne sono un esempio la malattia di Graves e miastenia gravis che sono due malattie autoimmuni
legate ad un autoantigene che è rappresentato da un recettore presente sulla superficie della cellula.
Quindi questa diventa la molecola antigenica che il sistema immunitario riconosce e attiva i
meccanismi effettivi di risposta.
La malattia di Graves è una malattia a carico della tiroide, l’antigene è il recettore per l’ormone
tireotropo (TSH) che fisiologicamente lega il TSH. I timociti, in risposta al TSH che viene rilasciato
dall’ipofisi, sintetizzano gli ormoni tiroidei T3, T4.
12
Quando questi ormoni vanno in circolo e raggiungono una certa concentrazione agiscono con
meccanismo di feedback negativo sull’ipofisi che disattiva la secrezione del TSH e poi la riprende(?).
È necessario il feedback per mantenere uno stato normotiroideo. Visto che questo diventa
l’autoantigene, l’anticorpo in questo caso funziona come agonista ovvero si sostituisce al TSH
occupando il suo sito di legame e acquisisce la sua funzione. Il recettore lo percepisce come il suo
ligando e i timociti recepiscono il segnale per sintetizzare T3 eT4 che vanno in circolo che arrivano
a livello dell’ipofisi e la spingono a spegnere la sintesi di TSH. In questo caso si sviluppa
ipertiroidismo (perdita di peso, aumento del metabolismo, perdita del sonno). I timociti rispondono
diventato anche iperplastici, iniziano a dividersi e si sviluppa iperplasia tiroidea (ingrossamento della
tiroide).
Quindi questo meccanismo va a modificare il metabolismo basale, modifica la fisiologia di una
ghiandola, indipendentemente dalla risposta immune. Questa patologia si tratta farmacologicamente
o si può arrivare alla rescissione completa della tiroide. Nella popolazione questa patologia ricorre
molto frequentemente.
Nella tiroide di Hashimoto è presente un infiltrato linfocitario che provoca un danno e infine porta
alla distruzione della tiroide. In questo caso si sviluppa ipotiroidismo perché le cellule vengono
distrutte e quindi non c’è proprio risposta, si può produrre tanto TSH ma non ci sono più i timociti.
Quindi queste due patologie autoimmuni hanno meccanismi uno anticorpale e uno cellulare, anche
se ci possono essere anticorpi nei confronti dei timociti, ma l’effetto patogenetico è completamente
diverso.
Però l’effetto patogenetico è completamente diverso perché in un caso l’individuo diventa
ipertiroideo e nell’altro caso ipotiroideo, quindi con manifestazioni cliniche, quindi si fa come
esempio di una manifestazione iper o ipotiroidea sulla base autoimmune, non ci sono altre cause di
iper o ipotiroidismo.
13
Nella slide vi
sono riportate le
caratteristiche
principali del
Morbo di
Graves. Quindi è
una patologia
autoimmune
della tiroide e gli
autoanticorpi
reagiscono con
il recettore per il
TSH sui tireociti
provocando
attivazione cellulare invece di citotossicità; quindi qui il meccanismo patogenetico è completamente
diverso, non vi è l’anticorpo che recluta tutta la componente infiammatoria, io recluto l’anticorpo
che diventa il ligando per questo recettore producendo l’effetto di alterazione. Detto ciò si
verificano: -la proliferazione dei tireociti (con formazione del gozzo, ossia il gonfiore dovuto
all’ipertiroidismo) e naturalmente in risposta a questo anticorpo che fa da agonista si ha una sintesi
eccessiva di ormoni tiroidei, quindi si ha ipertiroidismo che provoca i sintomi sottoelencati. La
terapia consiste o in una inattivazione funzionale della tiroide con iodio radioattivo oppure andando
a fare proprio una tiroidectomia (intervento chirurgico).
14
riduzione del numero degli stessi, quindi si ha una manifestazione clinico-patologica che in questi
soggetti è debolezza e distruzione muscolare, ecco perché prende il nome di miastenia, perché la
deambulazione diventa difficile. Incomincia a manifestarsi in alcuni distretti, soprattutto nell’occhio,
quindi palpebra cadente, oltre ai muscoli scheletrici però possediamo anche i muscoli respiratori,
questo comporta una paralisi muscolare che con il tempo si acuisce.
Poi vi sono principalmente citotossicità e inoltre sono stati trovati autoanticorpi nei confronti dei
recettori dell’insulina, però soprattutto è fondamentale la citotossicità delle cellule beta del pancreas
come nel diabete di tipo I che infatti si chiama insulino-dipendente, così chiamato perché questi
soggetti affetti devono essere trattati con l’insulina ricombinante perché non c’è un difetto di
assorbimento, non si tratta di insulino-resistenza, il problema è che l’insulina non viene prodotta
proprio, quindi non si riesce a regolare il valore di glucosio nel sangue, quindi le cellule beta del
pancreas si riducono per citotossicità che porta alla distruzione delle cellule. Quindi si incomincia
con una progressiva distruzione delle cellule beta del pancreas e si arriva sino all’iperglicemia. Ciò
richiede terapia insulinica oppure trapianto di pancreas anche trapianto di cellule beta. Esso
rappresenta il 5% di tutte le forme di diabete mellito.
Oltre alla predisposizione genetica, il diabete mellito di tipo I è indicatore del fatto che negli anni c’è
stata una infezione pregressa del pancreas, quindi una determinata infezione del pancreas causata da
patogeni specifici contro cui si è attivata la nostra risposta immune che ha un mimetismo molecolare
nei confronti degli autoantigeni, quindi la maggior parte delle manifestazioni patogenetiche sono
dovute al fatto che abbiamo nel pancreas un infiltrato di cellule T autoreattive che fanno citochine,
15
microambiente predisposto all’attivazione, che portano a spingere questi CD8 auto-reattivi a ritornare
nelle cellule beta del pancreas, che presentano questi autoantigeni, e quindi fanno citotossicità.
Questa distruzione rende questo tessuto sempre più prono a stimolare la risposta immunitaria e quindi
non solo attivazione citotossica legata all’attività acquisita cellulo-mediata ma poi anche reclutamento
di macrofagi, natural killer, neutrofili, quindi il tessuto naturalmente diventa importante da un punto
di vista immunostimolatorio. Tutto il processo è amplificato dal fatto che molti di questi soggetti
hanno dei difetti nella popolazione delle cellule circolatorie; quindi non hanno una popolazione di
cellule regolatorie così rilevante da poter supplire l’autoimmunità e poi l’immunità cellulo-mediata
stimola i linfociti B a produrre autoanticorpi, perciò diventa una patologia complessa organo-specifica
però mediata sia da anticorpi sia ad attività cellulo-mediata.
Nella sottostante slide viene rappresentata come sono le isole di Langerhans, quindi vengono illustrate
prime le cellule beta in un soggetto sano e poi in un soggetto affetto da diabete di tipo I. Nel primo si
osserva un marcatore che mette in evidenza tutte le cellule che compongono questa microstruttura
ormonale all’interno del pancreas, nel secondo c’è una distruzione, le cellule non le vediamo più e
16
vediamo solo un infiltrato di tipo infiammatorio.
N.B Molto spesso le patologie autoimmuni non sono singole, nel tempo si può sviluppare una
seconda, anche una terza, avere diversi tipi di manifestazione, chiaramente una diventa più
dominante, è difficile identificare che ci sia una seconda. A parte il diabete, che è particolarmente
specifico, ossia non si confonde con altre patologie autoimmuni, ve ne sono altre come l’artrite
reumatoide, il lupus, la psoriasi, la fibromialgia, dove per diagnosticarle selettivamente è più difficile
proprio perché presentano dei confini molto labili. In uno stato infiammatorio di questo tipo, si
sviluppa un microambiente che rende il sistema immune più attivo, quindi si ha una patologia
autoimmune con le proprie caratteristiche, con i suoi meccanismi patogenetici che genera un ambiente
di danno tissutale e quindi la potenziale attivazione poi di un altro linfocitario che è specifico per un
altro antigene che non ha nulla a che vedere con la prima patologia autoimmune perché si spinge il
sistema ad essere iperattivo; ecco perché mantenere una condizione immunosoppressa attraverso un
trattamento farmacologico è importante, non solo per la malattia in sé e tutti i fenomeni legati ad essa
ma anche perché si può attivare qualche altro meccanismo dannoso.
Il microambiente ti predispone, puoi stimolare così un altro linfocita indipendente auto reattivo, che
non ha niente a che vedere con il primo, ha un’altra specificità. La citotossicità, cioè come si attiva il
CTL (nel pancreas) e come si muove, cioè su un epitelio, si muove e uccide, la stessa cosa fa poi su
un altro epitelio e così via. C’è un killing specifico, sulle cellule beta, le cellule alfa o delta (che
producono glucagone o somatostatina), non vengono toccate, perché l’autoantigene si trova solo lì. I
fattori ambientali possono essere sia agenti chimici che infezioni virali. In molti casi ci sono delle
infezioni pregresse del pancreas, quindi c’è stato un antigene non-self che assomigliava ad un
autoantigene che viene riconosciuto dal sistema immunitario (mimetismo molecolare).
17
Esempio di patologia di tipo
autoimmune di tipo sistemico
nella quale c’è un misto tra
risposta anticorpale, risposta
mediata dalle cellule. È una
malattia molto complessa e
invalidante, perché essendo
sistemica, ha come target diversi
distretti e quindi voi avete delle
manifestazioni croniche
infiammatorie a carico di diversi
distretti, con tutte le
conseguenze che avete sulla fisiologia di questi sistemi, perché può manifestarsi nei reni, nelle
articolazioni, membrane sierose, cute, cervello e anche tutte quante insieme contemporaneamente;
quindi, è una malattia grave da un punto di vista autoimmunitario. Quello che viene descritto, la
caratteristica principale, è la presenza di autoanticorpi, per cui viene diagnosticata, diretti verso una
serie di molecole, antigeni di tipo self; quindi, proteine plasmatiche (che sono nel siero), possono
essere proteine del complemento, piuttosto che molecole proteiche che fanno parte di tutta la cascata
coagulativa e quindi che impattano altri tipi di risposte fisiologiche. Attacchiamo il complemento,
quindi avremo formazione di immunocomplessi etc…, lo stesso anche se attacchiamo una molecola
che fa parte dei fattori della coagulazione. Ma in realtà, se andiamo ad utilizzare questo come
autoantigene in questa malattia autoimmune, naturalmente impediamo che la cascata coagulativa si
formi correttamente, questo comporta fenomeni emorragici piccoli o più o meno intensi, quindi anche
manifestazioni esterne, come rossori intensi, perché avremo un danno di tipo vascolare. Possono
essere antigene della superficie cellulare oppure componenti citoplasmatici, quindi anticorpi contro
microtubuli, microfilamenti, strutture ribosomiali, nucleo, proteine. Nonché alla fine autoanticorpi
contro il DNA, i cosiddetti ANA (anticorpi antinucleo). A livello diagnostico, se si ha il sospetto di
malattie autoimmuni, si vanno a ricercare proprio gli ANA. Lo sviluppo di questi autoanticorpi è
dovuto ad una distruzione tissutale diversa nel corso del nostro sviluppo, che ha portato fuori degli
autoantigeni, che poi hanno attivato questi cloni linfocitari auto reattivi. Nei pazienti di lupus, la
maggior parte sono positivi a questi anticorpi, quindi si ritrovano nel siero, però non sempre sono
specifici di questa patologia autoimmune, perché si trovano anche nella sclerodermia, derma miosite,
sindrome di Sjögren. Non sempre il potere diagnostico di una patologia ci consente di fare una
selezione specifica di quella patologia autoimmune, ecco perché sono difficili da diagnosticare.
18
Il meccanismo patogenetico,
quindi autoanticorpi diretti
contro specifiche strutture
che provocano danno
cellulare. Se volessimo
descrivere questo
meccanismo di lupus,
dovremmo nominare sia
reazioni da ipersensibilità di
tipo 2 che di tipo 3, presenza
di autoanticorpi nei confronti
di strutture antigeniche
(epitopi) sulle superficie delle
cellule, che possono essere globuli rossi, piastrine, neutrofili etc… Gli effetti saranno
trombocitopenie, anemie o leucopenie, ovvero una riduzione di questi specifici componenti nel nostro
sangue, con tutti gli effetti che si hanno, emorragici, anemici, piuttosto che leucopenie. Essendo
affetto da una malattia autoimmune che mi porta a leucopenie perché ho un attacco nei confronti dei
neutrofili, non sarò in grado di rispondere per esempio, ad un attacco batterico, quindi avrò anche
manifestazioni infettive gravi. La patologia autoimmune non ci toglie dal pericolo di avere un sistema
immune che non funziona bene, perché potrebbe essere bersaglio di quella patologia autoimmune se
l’antigene è presente su queste cellule. Una leucopenia riduce la risposta innata, con tutte le
conseguenze che ci possono essere. Immunodeficienza e autoimmunità sono cose che possono
camminare insieme per questo tipo di meccanismo, cioè l’autoimmunità diventa in parte
immunodeficienza per altri distretti, perché sono proprio quelle cellule che vengono attaccate.
Possiamo avere anche manifestazioni nel lupus di tipo 3, perché formiamo questi grandi
immunocomplessi che si depositano nelle membrane basali, quindi significa danno glomerulare
(glomerulonefrite), nefrite non significa che c’è stata un infezione/infiammazione, ma questo non è
dovuto ad un agente infettivo che è risalito attraverso le vie genitali, arrivando fino al rene, ma è
dovuto al fatto che abbiamo una deposizione di immunocomplessi che richiama una popolazione
infiammatoria, quindi danno tissutale del glomerulo e insufficienza renale. Se questo danno è ad altri
sistemi vascolari, abbiamo fenomeni più generalizzati di vasculite, artrite, quindi la comparsa di
questi danni diventa multipla, non riguarda specifici organi, ma possiamo trovare questi danni in
diversi distretti. I rossori sul viso rappresentano la manifestazione più chiara che un clinico può
osservare, ma molto spesso non li notiamo subito, vediamo altri danni in altri distretti che non sono
facilmente visibili.
19
L’esordio delle
patologie autoimmuni è
abbastanza precoce, a
causa di una serie di
motivazioni (già citate in
precedenza) legate alla
predisposizione, alle
nostre abitudini e
all’ambiente; nella
maggior parte dei casi, il
lupus eritematoso è
molto frequente nelle
donne. Le patologie
autoimmuni, in generale,
sono molto più frequenti nel genere femminile che nel genere maschile poiché molti dei geni che
presentano il polimorfismo, dunque che danno uno stato iperattivato, sono casualmente sul
cromosoma X; vi è, inoltre, un collegamento ormonale in quanto i linfociti T hanno anche recettori
per gli ormoni femminili (estrogeni, prolattina, ecc…) e questo influenza molto anche il loro stato di
attivazione. Nella slide soprastante si notano anche:
⁃ l’incidenza, ovvero quanti casi ogni 100.000 individui analizzati (generalmente);
⁃ la prevalenza;
⁃ la sopravvivenza (a 10 anni è maggiore dell’85%, ma dopo questa età il danno inizia ad essere
più importante, soprattutto a livello renale poiché l’insufficienza renale diventa dominante come
fenotipo; si possono avere anche danni ischemici come coronaropatie, trattandosi di un danno
vascolare).
È importante evidenziare anche le cause frequenti di decesso: molto spesso questi soggetti vengono
trattati con corticosteroidi, ovvero cortisone, poiché è necessario spegnere la risposta infiammatoria;
questo meccanismo, però, viene effettuato nei confronti anche di agenti infettivi, perciò le infezioni
sono molto più frequenti in questi soggetti. Diventa, quindi, paradossale la situazione perché il
sistema è iperattivo, autoimmune ma si diventa immunodepressi. Un’altra causa frequente di decesso
sono le patologie cardiovascolari.
Pertanto, generalmente le terapie sono di tipo immunosoppressorio; esistono anche dei farmaci
biologici, cioè anticorpi diretti contro determinate citochine come IFN-alfa, che sono più specifici
però a lungo andare possono provocare molti danni soprattutto a livello renale.
20
5. attivazione delle convertasi;
6. reclutamento, attraverso le anafilotossine, dei neutrofili e dei macrofagi;
7. attivazione della risposta infiammatoria;
8. le cellule B, soprattutto se l’antigene è di natura proteica, internalizzano la molecola
antigenica, mediante il BCR, che viene presentata su molecola MHC con successivo riconoscimento
da parte delle cellule T;
9. le cellule T cooperano maggiormente nell’iperattivare le cellule B, soprattutto durante lo
sviluppo del centro germinativo.
Dunque, da un danno tissutale medio-piccolo viene attivato tutto il sistema immune (complemento,
infiammazione, immunità cellulo-mediata) e si ha il danno glomerulare.
Nell’immagine sopra, in verde sono colorati gli immunocomplessi: si nota il glomerulo pieno di
immunocomplessi che, depositandosi, fanno proprio un danno fisico alla struttura di filtraggio
glomerulare.
L’artrite reumatoide è
una patologia
autoimmune sistemica
perchè interessa
molteplici distretti, ma
principalmente si
manifesta a livello
articolare poiché la
sinovia è dove la risposta
infiammatoria diventa
cronica. In questo caso,
l’antigene riconosciuto
(che fino ad ora è stato
descritto come
autoantigene) sembra
essere il collagene di tipo II, presente in maniera particolare nelle membrane della sinovia appunto.
Si manifesta, quindi, sia a livello delle piccole che delle grandi articolazioni, le quali fanno un
richiamo infiammatorio (infiammazione cronica della sinovia). Queste strutture cercano di risolvere
il danno facendo proliferazione, però questo non avviene correttamente perché vi è nuovamente una
distruzione tissutale; perciò, si hanno fenomeni di riparo e di distruzione che alterano completamente
la struttura dell’articolazione. In questa malattia sono stati descritti come componenti del processo
patogenetico i linfociti T di tipo helper, in particolare Th1 o Th17, quindi si reclutano cellule
infiammatorie (immunità macrofagica) e si spinge anche lo switch isotipico, attivando i linfociti B.
Se si vanno a guardare i siti articolari di soggetti affetti da artrite reumatoide, qui si generano dei
follicoli; dunque, è come se si generasse un tessuto linfoide secondario, dei centri germinativi, in zone
che non dovrebbero averne proprio, perché c’è un microambiente tale da portare a strutturare un
tessuto linfoide tipo quello associato alle mucose. Se si preleva del liquido sinoviale e si analizza,
questo è ricchissimo di citochine: interleuchina 1 - citochina infiammatoria propriamente detta,
interleuchina 8 – chemioattrazione, interleuchina 6 - citochina pro infiammatoria che attiva
soprattutto metabolismo e proteine di fase acuta, interferone gamma - potentissimo attivatore dei
macrofagi, interleuchina 17 - attivatrice dei neutrofili. Si tratta, quindi, di un cocktail citochinico
potentissimo per stimolare la risposta infiammatoria. Si è visto che in questo microambiente c’è
proprio una modifica dell’arginina in citrullina, la quale provoca un’acutizzazione di questa patologia.
21
L’effetto è una
completa
trasformazione
delle articolazioni.
La
predisposizione
genetica è legata
ad un aplotipo che
è maggiormente
DR4. Si pensa che
ci sia un’infezione
virale pressistente,
risalente anche ad
anni prima, che
possa spiegare un
mimetismo
molecolare.
22