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Biochimica - appunti
04.03.2019
BIOCHIMICA
INTRODUZIONE
Circa 4 miliardi di anni fa comparve la vita. La biochimica si interessa delle reazioni molecolari che
avvengono nella cellula.
La biochimica cerca di spiegare come le eccezionali caratteristiche degli organismi viventi derivino dalle
migliaia di molecole diverse che li costituiscono. Queste molecole, una volta isolate ed esaminate
singolarmente, si adattano a tutte le leggi fisiche e chimiche che regolano il comportamento della materia
inanimata. L’evento delle molecole, capaci di replicarsi è avvenuto in un ambiente circoscritto (da
membrane). Nell’acqua sono avvenute queste reazioni chimiche, di replicazione di molecole. La biologia
studia gli organismi viventi, i quali sono costituiti da cellule, contengono info genetica, si riproducono,
derivano da una cellula, si sono evoluti, sono capaci di utilizzare le molecole a scopi energetici per costruire
altre molecole ecc.
Tappe storiche:
- Nel ‘700 Hooke e van Leeuwenhoek. Osservarono le cellule.
- Nel 1838 Schleiden e Schwann formularono la teoria cellulare.
Teoria cellulare: le cellule sono le unità strutturali e fisiologiche di base di tutti gli organismi viventi, le
cellule sono sia entità distinte, sia i mattoni di organismi più complessi (all’epoca di Schleiden e Schwann si
pensava ancora che le cellule fossero il risultato di un auto-assemblaggio di materiale non-vivente, la vita
comparisse per generazione spontanea).
- Nel 1828 sintesi urea, Wohler dimostrò che l’urea poteva essere sintetizzata in laboratorio dal
cianato di ammonio.
- Nel 1897 i fratelli Buchner dimostrarono la fermentazione dello zucchero in etanolo in vitro, senza
usare microrganismi vivi ma frammentandoli.
- Nel 1859 Pasteur dimostrò che non esisteva un soffio vitale, ma la vita si generava da altre cellule
già esistenti. Nel suo esperimento prese un pallone di vetro con all’interno un terreno di coltura e
lo riscaldò per uccidere microrganismi. Nella porzione apicale del pallone c’era un collo per evitare
il contatto con il pulviscolo atmosferico. Il risultato dell’esperimento fu che dove veniva rotto il
collo si notava la presenza di microrganismi mentre l’altro era sterile. Capì da questo esperimento
la riproduzione delle cellule.
Un tentativo di questo esperimento venne fatto da Redi sulle larve di mosche, ma non venne descritto:
aveva visto svilupparsi delle larve in un pezzo di carne (1668).
- Nel 1844-1858 Darwin pubblica il suo lavoro sull’evoluzione delle specie e comincia a diffondersi la
sua teoria per cui tutti gli esseri viventi discendono da un antenato comune e sono imparentati tra
loro (selezione naturale).
- Nel 1926 venne cristallizzato un enzima, l’ureasi da Sumner (un enzima che scinde l’urea).
Flusso informazione biologica si tratta dell’informazione biologica è scritta nel codice genetico e viene
tramessa da una cellula genitrice a una cellula figlia. Il genoma è la somma di tutte le molecole di DNA di
una cellula. Il genoma umano scritto con quattro lettere corrisponde a più di 3 miliardi di lettere. Tutte le
cellule contengono lo stesso genoma, eppure cellule diverse svolgono funzioni diverse. Mutazioni dei geni
sono la base su cui opera l’evoluzione.
- Nel 1850 Mendel formulò l’idea di gene con esperimenti di incroci.
- Nel 1900 si scoprì che i geni si trovano sui cromosomi.
- Nel 1869 Miescher isolò acidi nucleici.
- Nel 1953 Watson e Crick descrissero struttura a doppia elica del DNA.
Negli anni ’60 i biochimici hanno lavorato nel descrivere le vie metaboliche della cellula, che avvengono
simultaneamente. I reperti fossili arrivano fino a circa 185 milioni di anni fa.
Nell’evoluzione della vita il passaggio critico fu la comparsa di molecole che potevano riprodurre sé stesse
e anche servire da stampo per la sintesi di grandi molecole. Il secondo passaggio si realizzò quando le
molecole biologiche complesse vennero racchiuse da membrane. I cianobatteri sono capaci di fare
fotosintesi. Per circa 2 miliardi di anni dall’origine delle cellule tutti gli organismi furono PROCARIOTI
UNICELLULARI confinati negli oceani dove c’erano molecole complesse da usare come fonte di energia, al
riparo dagli effetti dannosi dei raggi UV in quanto non vi era ossigeno nell’atmosfera. 2,5 miliardi di anni fa
comparve la fotosintesi (si mette in gioco un metabolismo aerobico). Il metabolismo aerobico è più
efficiente di quello anaerobico e permise alle cellule di crescere in dimensioni. Si formò lo strato di ozono e
800000 milioni di anni fa fu possibile la vita sulla terraferma. L’RNA può essere stato il primo catalizzatore
biologico. L’RNA catalitico funziona da ribozima. L’RNA che funziona da stampo è capace di replicarsi,
funziona da stampo anche per le prime proteine. Le proteine riescono ad assumere forme nello spazio
diverse rispetto agli acidi nucleici.
La forma delle molecole nello spazio è importante. Per quanto riguarda le dimensioni cellulari, esse sono
limitate dal rapporto tra superficie e volume. Il volume rimane lo stesso, ma cambia la superficie. La
presenza di una membrana è importante perché consente gli scambi con l’ambiente esterno. Più è
maggiore la superficie di scambio, maggiore sarà l’efficienza della cellula. In tutto questo, è prevalsa la
scelta di fare tante piccole cellule con una grande superficie di scambio.
Con l’occhio nudo si vedono fino a 200 micron, mentre con il microscopio ottico si vedono fino a 0,2 nm.
Con il microscopio elettronico si vede al di sotto dei nanometri gli organelli. Alcune tecniche di microscopia
ci fanno vedere gli assemblaggi delle molecole biologiche, (+ ripassare da soli organelli della cellula).
ELEMENTI
Gli elementi più abbondanti nell’universo sono l’idrogeno e l’elio. Essi sono anche i componenti principali
delle stelle. Gli elementi presenti nel nostro corpo umano sono carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto (C, H,
O, N). Questi quattro elementi formano legami covalenti e sono i costituenti delle cellule, formano
macromolecole biologiche.
Dal punto di vista molecolare la cellula è organizzata in:
- Monomeri: nucleotidi, amminoacidi, zuccheri.
- Macromolecole: DNA, proteine, cellulosa.
- Complessi sopramolecolari: cromatina, membrana plasmatica, parete cellulare.
- La cellula e i suoi organelli.
Componenti base delle cellule sono zuccheri, acidi grassi, amminoacidi, nucleotidi. Componenti complessi
sono, invece, cellule polisaccaridi, grassi, lipidi, membrane, proteine, acidi nucleici.
Il citosol (ambiente acquoso) di tutte le cellule contiene un migliaio di piccole molecole organiche.
Il metaboloma è lo studio di tutti i metaboliti presenti in un certo istante nella cellula. Gli oligomeri sono
polimeri con dimensioni più piccole.
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della proteina. I colori non sono casuali, ma servono per seguire una notazione valida a livello
mondiale. Perciò, H è grigio, C è nero, O è rosso e N è azzurro, alcune volte è giallo (modello CPK).
- C, definita notazione a spazio pieno in cui il diametro delle sfere dovrebbe essere proporzionale alle
dimensioni dell’atomo, altre volte è standard, ma dà un’idea di dove i diversi atomi siano collocati.
STEREOISOMERI, cioè composti con gli stessi legami chimici, ma con diversa configurazione. La loro
configurazione può essere cis o trans. Le nostre
cellule si sono evolute per riconoscere un
isomero piuttosto che un altro, in particolare ci
sono enzimi, cioè proteine che trasformano
molecole in altro, e, nel loro meccanismo di
azione, riconoscono isomeri trasformandone
uno e non l’altro. Così, ci si distingue dalle sintesi
industriali perché, per produrre un
amminoacido con processi industriali, si ottengono combinazioni di isomeri. In particolare, gli stereoisomeri
sono fondamentali perché differiscono ancora meno di altri tipi di isomeri perché differiscono solo nella
configurazione e hanno stessi legami chimici, cioè sono fatti dagli stessi gruppi funzionali. Al loro interno, il
primo esempio è dato dagli isomeri geometrici, che si formano in presenza di un doppio legame. Essi sono
isomeri geometrici perché non si può spostare spontaneamente da uno all’altro, ma bisogna rompere il
legame e sintetizzare di nuovo. Stessa parte, si parla di isomero cis, da parti opposte, si parla di isomero
trans. Un altro tipo di stereoisomeri presenti nelle cellule, sono le molecole chirali. Allora, il C ha quattro
legami e ha una sua configurazione tetraedrica e quando si ha una molecola con un atomo di C e ai quattro
legami ci sono quattro gruppi diversi, il C è detto centro chiralico.
Ci sono due configurazioni diverse,
perciò si parla di enantiomeri che
sono uno l’immagine speculare
dell’altra. Sono due molecole
diverse perché non è possibile
convertire una molecola nell’altra.
Quando si ha più di un atomo di C
con quattro sostituenti differenti vuol dire che si hanno più C come centri chiralici. Quando capita, si ha un
numero di configurazioni pari a 2 elevato a n, in cui n è il numero di centri chiralici. Oltre a enantiomeri,
esistono anche diastereoisomeri, che sono stereoisomeri, ma che non sono uno l’immagine speculare
dell’altro.
Pasteaur studiò il fenomeno degli steroisomeri e scoprì una proprietà degli enantiomeri che sono capaci di
ruotare il piano della luce polarizzata e a lui dobbiamo una notazione perché capì che si distinguono due
enantiomeri per cui esistono dei sistemi di classificazione: il sistema D o L (destrogiro o levogiro). Questa è
l’osservazione fatta in luce polarizzata per vedere verso che direzione la molecola riesce a spostare il piano
della luce polarizzata. Gli amminoacidi sono quasi tutti della serie L, mentre gli zuccheri sono D. Quindi la
configurazione può essere cambiata solo con la rottura dei legami covalenti che legano i vari gruppi a C,
mentre la conformazione può essere cambiata semplicemente dalla rotazione attorno ai legami singoli,
quindi essa può avvenire spontaneamente. Le varie molecole biologiche, quindi, non sono fisse e statiche
come si vedono rappresentate, ma possono cambiare la loro conformazione in modo spontaneo con la
rotazione dei vari gruppi attorno si legami singoli. Tutto ciò, è importante per la vita della cellula.
La forza dei legami è legata a un’energia necessaria per rompere un legame a C e per rompere un triplo
legame ci vuole molta energia ed è per questo che nelle cellule ce ne sono pochi perché è troppo costoso.
Si trovano, quindi, legami con contenuti energici più bassi. Esempio: C-C è 348, mentre C-O è 352.
GRUPPI FUNZIONALI
mettendo a confronto diverse caratteristiche fisiche di varie molecole di acqua, si notano che alcune
molecole non sono tenute assieme da ponti a idrogeno e questo incide sulle caratteristiche chimico-fisiche
(es. temperatura di ebollizione). La forza di coesione è presente nell’acqua liquida grazie ai ponti a idrogeno
e grazie a questa forza di coesione, l’acqua può risalire sui vasi o un tronco grazie alle radici (si spostano per
capillarità).
I legami a H si formano tra le molecole di acqua (solo) e, anche, tra molecole di acqua e altre molecole, ad
esempio l’ossigeno di un etere, ecc. Perciò, dove c’è un doppietto libero e dall’altra parte si ha un H con
parziale carica positiva, tra essi si può formare un legame debole, cioè a H. Questi legami sono importanti
per il passaggio da amminoacidi e proteine, perché ogni volta che si ha un passaggio da una struttura
monomerica a una polimerica, quel legame covalente della polimerizzazione serve per legare più monomeri
insieme. Questo avviene, ad esempio, nella condensazione e nell’idrolisi che non sono spontanee, nel fare
queste reazioni, gli enzimi compiono idrolisi per rompere i legami, per catalizzare così, una reazione. Tutto
ciò avviene in cellule in cui si trova il 70% di acqua. Condensazione, in cui si passa da ADP ad ATP
eliminando gli elementi dell’acqua, e idrolisi, catalizzata dall’idrolasi e consiste nell’aggiunta di elementi
dell’acqua. Esse sono alla base per la formazione delle molecole polari. Inoltre, i legami a H sono più forti
quando viene resa massima l’interazione elettrostatica.
07.03.19
L’acqua è una molecola polare e tutto
ciò che ha caratteristiche polari è
compatibile con l’ambiente acquoso
della cellula (citosol). L’acqua scioglie,
ad esempio il NaCl perché sostituisce
le interazioni soluto-soluto, con
interazioni acqua-solito. Ciò
determinò la formazione della prima
cellula. Nella foto di destra sono
presenti degli acidi grassi in cui si distinguono delle code idrofobiche.
Questo fa capire che, ad esempio, olio e acqua non sono miscibili. Le
molecole di acqua tendono a disporsi in modo ordinato e sono detti
clattrati. Mettere qualcosa in ordine non è favorito dal punto di vita
energetico, perché, con l’entropia, si tende sempre al disordine. Se si
aumentano le molecole di acidi grassi, essi possono interagire tra loro
attraverso il legame di interazione idrofobica. Perciò, le catene
idrocarburiche, le gialle a sinistra, si avvicinano, si dispongono così che le
teste e le code possano assumere la loro disposizione classica. Si parla, infatti, di molecole anfipatiche che,
quindi, hanno una parte che interagisce positivamente con l’acqua e un’altra, invece, che la rifugge. Queste
interazioni liberano le molecole di acqua dalla situazione di ordine e, quindi, quando si cerca di sciogliere
molecole idrofobiche in acqua, esse sono favorita da interazioni idrofobiche. Essi si orientano a formare un
monostrato. Se aumento le molecole lipidiche, si passa da un monostrato a una sfera, cioè una micella
(foto di sinistra in alto), in cui le code idrofobiche dei composti anfipatici sono disposte tra loro all’interno e
le teste polari sono all’esterno. Si parla anche di liposomi, che sono delle vescicole costruite artificialmente
mettendo in una soluzione acquosa delle molecole lipidiche che si dispongono a formare vescicole per poi
inglobare all’interno del materiale. Questa caratteristica che hanno le molecole lipidiche di interagire tra
loro e di costruire delle vescicole dipende dal fatto che il tutto avviene in un ambiente con molecole di
acqua che favoriscono la situazione, aumentando il disordine. Un’altra caratteristica della molecola di
acqua è che esse possono ionizzarsi. Questa capacità di ionizzazione è molto piccola (solo due molecole su
10 alla 9 sono ionizzabili). Si può calcolare la costante di equilibrio ogni volta che una molecola si ionizza. La
soluzione tampone resiste a variazioni di concentrazione di ioni idrogeno quando si aggiungono un acido o
una base forte. Questa proprietà è detta potere o capacità tampone. Si parla anche di condizioni
fisiologiche che sono le condizioni alle quali noi viviamo, come temperatura e ambiente in generale. Il pH
della cellula dev’essere mantenuto in qualche modo perché le cellule non possono sopportare sbalzi di pH.
Dentro la cellula, infatti, ci sono molecole che funzionano da
tampone per mantenere l’equilibrio. La formula riportata
riguarda l’equazione di Henderson-Hasselbach. Essa esprime
la curva di titolazione di tutti gli acidi deboli e mostra, quindi,
perché il valore di pKa di un acido debole sua uguale al pH della soluzione quando (AH)=(A-). Il potere
tampone è massimo quando la concentrazione dell’acido e del sale sono eguali, cioè: pH=pka, che è la
costante di dissociazione dell’acido. Affinché un tampone sia utile, lo si deve utilizzare nell’intervallo del pH.
Dentro le cellule si hanno molecole, come le proteine e i loro amminoacidi, che funzionano da sistema
tampone: si tratta di miscele di acidi deboli e delle loro basi coniugate. Poi c’è il tampone fosfato (fluidi
intracellulari) e anche il tampone bicarbonato (plasma sanguineo), che lavora bene per gli scambi tra la CO2
e l’acido carbonico disciolto nel sangue. Alcuni gas, come la CO2, sono non polari, che difficilmente si
sciolgono nei fluidi biologici. Discorso diverso va per l’ammoniaca gassosa,
ad esempio, che è polare e che, quindi, si dissolve bene. Evolutivamente, si
sono organizzate strutture che veicolano questi gas, come la molecola
dell’emoglobina che fa da trasportatore dell’O2 molecolare. Quando, però,
CO2 o O2 devono andare nei polmoni per essere eliminati, in qualche modo
devono passare nel sangue. In questo caso, il tampone bicarbonato è molto
funzionale perché media gli scambi aerei tra polmoni e sangue. Un esempio
per cui questo tampone bicarbonato è importante, è quello con l’acido lattico perché funziona interagendo
con ioni H+ per fare H2CO2. Questa dissocia in CO2, che, quando arriva a livello del polmone, passa dalla
fase liquida a quella gassosa. In questo modo, l’organismo si libera della CO2.
Si parla di salti protonici (spostamenti dei protoni) che è legata alla dissociazione dell’acqua. Si ha lo ione
idronio (H3+), molecola di acqua a cui si lega l’H+. Nelle reazioni cellulari, nei siti attivi degli enzimi, il
protone è veloce nel passare da una molecola all’altra. Essere rapido significa essere compatibile con la
cellula stessa. Tutte queste informazioni sono utili a noi, perché questo ha portato alla vita di oggi. Tutto ciò
è raffigurato nella foto di sinistra in alto. Inoltre, quando uno ione H+ si forma nell’acqua, questo viene
immediatamente idratato a ione idronio.
L’acqua funge anche da solvente polare, ad esempio lo ione sodio e cloro si sciolgono facilmente in acqua
perché vengono solfatati da essa. Questo è il meccanismo di azione come solubilizzante perché l’acqua ha
sia una carica positiva sia negativa, quindi riesce a solfatare sia molecole positive sia negative. Un’altra
caratteristica è legata all’osmoregolarità che avviene nelle cellule. La cellula è delimitata da una membrana
semipermeabile e le molecole di acqua riescono ad attraversarla, anche se non facilmente, con l’aiuto di
una pressione osmotica. Si hanno delle proteine a livello della membrana, chiamate acquaporine, che
facilitano il flusso dell’acqua. Le molecole di acqua sono, così, libere di muoversi. Alcune sostanze, però,
non riescono assolutamente ad attraversare la membrana e questi determinano una pressione osmotica
sulle membrane cellulari e l’acqua può muoversi da una soluzione molto diluita a una dove ci sono molte
molecole di sostanze diverse, come sali, vitamine, che determinano la concentrazione, quindi vanno verso
un compartimento così concentrato per diluirlo. Per diminuire, quindi, la pressione osmotica. Si crea, così,
una situazione di osmoregolarità e quando la concentrazione di soluti dentro la cellula è uguale a quella
dell’esterno, si dice che la cellula è immersa in una soluzione isotonica perché non si trova una pressione
che spinge le molecole a spostarsi in un altro compartimento. Quando, invece, la cellula è in una soluzione
ipertonica, allora la cellula si raggrinzisce per un movimento netto di acqua che dall’interno vanno
all’esterno per creare un equilibrio. Viceversa, se si mette una cellula in soluzione ipotonica con
concentrazione di soluti minore rispetto all’interno della cellula, allora la cellula comincia a gonfiarsi perché
le molecole di acqua entrano nella cellula per diluire l’interno della cellula. Poi questo crea un danno alla
cellula, perché si gonfia fino a quando non scoppia. Questo meccanismo è usato in laboratorio quando si
vuole studiare il sangue: globuli rossi in acqua distillata, questi esplodono perché sono in soluzione
ipotonica.
I legami deboli che si formano in soluzione acquosa sono importanti:
- Legami a idrogeno che si formano non solo tra le molecole di acqua, ma anche ogni volta che ho un
H e un doppietto elettronico. Non sono forti, ma le macromolecole sono grandi e possono, quindi,
formare numerosi legami.
- Interazioni ioniche o elettrostatiche che possono essere attrattive o repulsive.
- Interazioni idrofobiche che sono alla base del funzionamento di tutte le membrane.
- Interazioni di Van der Waals che sono le più deboli e che sono interazioni tra atomi della cellula.
Nonostante siano deboli, sono tanti nelle macromolecole, quindi, diventano forti.
AMMINOACIDI E PROTEINE
La proteina è una parola che deriva da proteios, cioè sostanza primitiva della
nutrizione animale. Esse sono formate dalla successione di 20 amminoacidi. Le
proteine sono in grado di effettuare delle trasformazioni chimiche, mentre il
DNA non ne è in grado, ad esempio il luciferasi delle lucciole. Gli amminoacidi
nelle proteine sono tutti formati da un gruppo carbossilico, da un’ammoniaca,
da una catena laterale, un atomo di H e da un atomo di carbonio alfa che è l’atomo di carbonio che porta il
gruppo principale. Il gruppo R è quello diverso per i 20 amminoacidi. Quell’atomo di carbonio è
asimmetrico e si possono avere i due enantiomeri, i due stereoisomeri, cioè L o D. I sistemi viventi sono
organizzati così che tutti gli amminoacidi siano L-stereoisomeri, cioè ruotano il piano della luce polarizzata a
sinistra. Esistono anche amminoacidi D-stereoisomeri e si trovano nei batteri. Gli amminoacidi sono
classificati in base al gruppo R:
- Alifatici, non polari.
- Aromatici.
- Polari, non carichi.
- Carichi positivamente.
- Carichi negativamente.
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La glicina è quello più semplice che ha solo un atomo di H come sostituente, l’alanina è polare. Poi ci sono
quelli ramificati usati come integratori: valina, leucina e isoleucina e sono assorbiti bene nei muscoli. La
metionina è importante per la sintesi proteica. Poi c’è la prolina in cui il gruppo R ha un anello e in essa il
gruppo amminico non è libero, ma è chiuso in questo anello. Poi ci sono i polari come la serina che ha OH,
poi ci sono gli aromatici e, infine, quelli con carica positiva e negativa. Molto importante è sapere che i
batteri possono sintetizzarli tutti e 20 e un residuo amminoacidico è legato con un altro attraverso un
legame covalente.
11.03.19
Gli amminoacidi aromatici hanno l’anello aromatico e hanno
una proprietà utile in biochimica perché assorbono la luce
UV. Si usa lo spettrofotometro con cui si ottengono grafici in
cui in ascissa c’è la lunghezza d’onda espressa in nanometri e
in ordinata c’è l’assorbimento che non ha dimensioni (è la
quantità di radiazioni assorbita). Il triptofano, la tirosina e la
fenilalanina (in parte minore) ha una capacità di
assorbimento alta (280 nanometri). Gli altri 17 amminoacidi
non assorbono a 280 nanometri perché non hanno l’anello
aromatico, ma la caratteristica di assorbire a 280 nanometri è
tipica anche delle proteine. Si deve sapere che gli
amminoacidi possono assumere delle abbreviazioni, come si vede nella foto a sinistra. Nella tabella sono
anche presenti le quantità di questi amminoacidi all’interno delle
proteine. Molto dipende dal codice genetico, che è la tripletta di basi
azotate che codifica per ogni singolo amminoacido. Alcuni hanno più
triplette, quindi hanno più probabilità di essere codificati, altri, invece,
come la metionina, hanno solo una tripletta. Oltre a queste informazioni,
si trovano anche i pesi molecolari e le Pka per il COOH, per la NH3 e per le
catene laterali. Interessante è il valore di 6 per l’istidina: ciò vuol dire che
essa è capace di protonarsi e deprotonarsi in intervalli vicini alla
neutralità perché 6 è vicino al pH cellulare che è 7 (neutro). Molti enzimi,
infatti, lavorano grazie al comportamento acido-base dell’istidina. Anche
la cisteina è interessante perché ha una Pka intorno a 8 ed è sfruttato
perché la cisteina la si ritrova nel funzionamento degli enzimi perché può
perdere il protone nel gruppo solfidrilico.
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SPETTROFOTOMETRIA
Si tratta dello strumento più
importante e la tecnica è la
spettrofotometria. Ciò che fornisce
è un grafico di assorbimento e,
quindi, uno spettro. Appartiene alla
categoria degli spettrometri. Lo
spettro elettromagnetico serve per
vedere in che intervallo lo spettrofotometro lavora. La radiazione del visibile va dai 350 ai 900 nm e più una
radiazione è rappresentata da una lunghezza d’onda più piccola, vuol dire che la frequenza è maggiore e,
quindi, ha un’energia maggiore. Lo spettrofotometro usa un intervallo tra l’UV e il visibile: dai 390 ai 900
nm. Viene usato per quantificare, misurare, quanta radiazione in quel intervallo è assorbita dai campioni
biologici, che sono soluzioni perché si deve rappresentare ciò che avviene nella cellula. Dal punto di vista
del funzionamento, le parti sono:
- Una sorgente che emette nell’UV e nel visibile, come lampade allo xenon e deuterio (?).
- Provette a parallelepipedo e sono chiamate cuvette. Possono essere in vetro, plastica e quarzo,
l’importante è che siano trasparenti dalla radiazione elettromagnetica della lampada. La plastica
non va bene per gli UV, come anche il vetro. Bisogna usare il quarzo per i raggi UV.
- Monocromatore, che è un prisma capace, con il suo reticolo di diffrazione, di selezionare una sola
lunghezza d’onda specifica tra tutte quelle dell’UV e del visibile.
- In uscita si ha un foto tubo, rivelatore, che definisce quanta radiazione viene assorbita. Tutto
questo è convertito in un numero senza dimensione, l’assorbanza.
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La cisteina è facilmente ossidabile e, quindi, forma ponti disolfuro che sono l’unica modifica covalente
presente durante la maturazione delle proteine verso la loro forma tridimensionale. Il prodotto è ossidato e
ha un nome: dimero di cistina e ha un ponte disolfuro. Le proteine, quando hanno residui di cisteina, essi
possono ossidare con la formazione di ponti disolfuro che incidono sulla forma tridimensionale della
proteina. La cisteina è l’unico dei 20 amminoacidi a formare ponti disolfuro.
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Gli amminoacidi possono agire sia da acidi sia da basi, quindi possono agire da tamponi. Gli amminoacidi
all’interno della cellula e senza un gruppo R ionizzabile sono sotto forma di ione dipolare, quindi assumono
la forma zwitterionica e questo fa sì che siano definiti come sostanza anfotere, anfoliti (sia acidi sia basi).
Quando acquista un protone sarà sul gruppo COO-, quando lo perde, sarà su NH3+. Esistono le curve di
titolazione che sono valide per tutti gli amminoacidi: tramite esse si sa che, in ambiente acido, amminoacidi
e proteine sono carichi positivamente (come la glicina che NH2 in ambiente acido è protonato e il gruppo
carbossilico è COOH). Man mano che si sale con il pH (5.97 è il punto isoelettrico per la glicina, in cui le
cariche positive sono uguali alle cariche negative), si arriva alla carica negativa perché è avvenuta la
dissociazione del protone e il gruppo carbossilico si trova sotto la forma COO-. Se si supera il pH neutro,
verso un ambiente basico, si ha la Pka intorno a 6 per la glicina, in ambiente basico, amminoacidi e proteine
hanno carica negativa perché c’è la dissociazione del protone non solo sul gruppo carbossilico, ma anche
sul gruppo amminico. Per pH minore del punto isoelettrico/ionico (si tratta del rapporto tra le due pKa e
per amminoacidi coincide, per le proteine no perché conta la tridimensionalità), le proteine sono cariche
positivamente e la carica migra verso il catodo, cioè il polo negativo. Al punto isoelettrico la carica è zero,
mentre per pH superiori al pH isoelettrico, la carica netta è negativa. La carica, in base a dove è posta nel
gruppo carbossilico, va a influenzare l’amminoacido stesso.
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stessa funzione si somiglino. Serve, quindi, per sapere quanto sono lontane le specie prese in
considerazione. Per confrontare le due sequenze ci sono diversi metodi, ad esempio scrivendo a
mano una sotto l’altra per vedere le differenze, ma è un processo lungo. Un altro metodo è con
l’utilizzo dei software delle banche dati, ad esempio Blast. Vedere sito per banchi dati UniProt.
12.03.19
- Struttura secondaria. La struttura secondaria descrive un segmento polipeptidico della proteina in
base alla sua organizzazione spaziale. Le conformazioni permesse sono quelle che avvengono con
una rotazione attorno ai legami, in una catena polipeptidica, di C alfa carbonio e C alfa azoto. Gli
angoli di rotazione sono l’angolo phi e l’angolo psi tra l’atomo di C alfa del carbonio e del C del
gruppo carbossilico dell’altro. In base a queste rotazioni, si hanno delle conformazioni diverse.
Queste rotazioni sono spontanee, non serve la rottura dei legami. Quindi, la catena polipeptidica,
data da una successione di carbonio alfa, può ruotare spontaneamente cambiando conformazione.
Non è possibile un angolo giro completo di 360 gradi, quindi non si può avere una conformazione
completa. Quindi, nel passato, un ricercatore, Ramachandran ha dato origine a un grafico ancora
usato oggi. Egli misurò gli angoli con un numero limitato di proteine, che erano state cristallizzate
intorno agli anni ’50. Questo grafico sulle x mette i valori dell’angolo phi e sulle y quelli dell’angolo
psi. Gli angoli permessi sono quelli tra -180 e +180k, anche se molti non avvengono a causa
dell’ingombro sterico. Nel grafico, le aree colorate sono quelle in cui le rotazioni sono permesse. Si
individuano quattro zone:
- In alto in cui si ha la conformazione dei beta foglietto.
- In basso a sinistra si ha un altro elemento di struttura
che è l’alfa elica destrorsa.
- In alto a destra si ha l’alfa elica sinistrorsa.
- Poi c’è la zona che corrisponde alla tripla elica del
collagene.
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alterna. Nei secondi, invece, le porzioni hanno una direzione uguale in tutti i punti e durante il
ripiegamento, si genera una forma detta globulare perché è simile a una sfera. Il foglietto beta,
inoltre, è più disteso dell’alfa elica (nella immagine si vede). Ci sono anche alcuni elementi per fare
in modo che si ottenga una proteina di forma globulare. Infatti, nelle proteine globulari sono
comuni i ripiegamenti beta (beta-turn). Per assumere una forma ripiegata, ogni tanto ci devono
essere delle inversioni rapide dell’orientamento della sequenza amminoacidica. Queste inversioni
sono dette ripiegamenti beta o beta turn. Essi sono molto conservati e sono classificati in
ripiegamento beta di tipo 1 e di tipo 2. Bastano quattro amminoacidi per avere un ripiegamento
della sequenza. Sono stati classificati così perché essi devono contenere un residuo di glicina o di
prolina. Quindi, nel tipo 1, si hanno quattro amminoacidi in cui, in posizione 2 si ha una prolina, che
ha l’atomo di N del legame peptidico bloccato nella struttura ad anello perciò è rigida. Nel tipo 2,
invece, in posizione 3 ho la glicina, che non dà ingombro sterico. Nelle altre posizioni ho qualunque
altro amminoacido. La prolina nel ripiegamento beta è una prolina che qui si può definire come
isomero cis e qui si parla di configurazione, cioè di isomeri geometrici che si convertono l’uno
nell’altro solo con la rottura dei legami. Dentro le cellule c’è un enzima in grado di trasformare
isomeri cis in trans e viceversa. Aiuta, quindi, le proteine ad assumere la forma tridimensionale
corretta.
- Struttura terziaria. Le proteine possono essere classificate in fibrose, che hanno un ruolo
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diffrazioni per cui si usano gli Armstrong come unità di misura. Bisogna avere un sistema di calcolo
che mi fornisca le coordinate nello spazio dell’atomo. La tecnologia della risonanza magnetica
nucleare (MNR), invece, non ha bisogno del cristallo, ma lavora in soluzione: si ottengono dei
grafici, che sono mappe complicate. L’MNR riesce a mappare le interazioni tra i vari atomi
generando mappe complicate e, al momento, si usa per ottenere la struttura di sole proteine che
pesano poco, cioè piccole, fino a 15.000 dalton visto che la maggior parte delle proteine dentro la
cellula hanno un peso di almeno 30-40.000 dalton. Esso lavora in soluzione dato che non c’è una
sola linea piatta nel grafico, ma ce ne sono tante che sembrano tremare e ciò corrisponde a
un’oscillazione che si trova all’interno delle proteine dato che la loro forma tridimensionale non è
fissa, ma oscilla un po'. Queste oscillazioni sono variazioni conformazionali dei legami singoli e sono
importanti perché le proteine lavorano nella cellula, ma non sono statiche, infatti, hanno piccole
oscillazioni che spiegano meglio e garantiscono il loro funzionamento, soprattutto quando le
proteine devono interagire con altre macro o micromolecole.
Si hanno poi le proteine globulari, che, per essere tali, devono avere sia elementi di foglietti beta
sia alfa eliche sia i ripiegamenti beta-turn, cioè modificazioni brusche della catena polipeptidica. Si
possono fare delle classificazioni tra quelle che sono miste, quelle che hanno per lo più
(principalmente) alfa eliche, ma non solo, o beta foglietti, ma non solo. Il citocromo C è particolare
perché non si trovano gli elementi di struttura secondaria, ma per colorare i bastoncini e le sfere si
devono mettere in evidenza i residui idrofobici
(in rosso) e idrofilici (in verde). Questi residui,
nel citocromo C, sono distribuiti, ma poi, per
l’effetto del ripiegamento, si vede che le sfere
rosse sono localizzate nella parte centrale (dove
si trova il gruppo eme in giallo), mentre i residui
idrofilici sono
quelli
più
esposti sulla superficie. Questo spiega come fanno le
proteine ad assumere la loro forma tridimensionale nelle
cellule: si parla di ripiegamento, cioè folding, è un
processo spontaneo per cui le proteine sono fatte sui
ribosomi e poi prendono una forma tridimensionale così
che dentro ci siano le parti idrofobiche e all’esterno
quelle idrofiliche. A differenza di quello che si è visto per
la struttura secondaria, in cui la forma era mantenuta da ponti H tra i legami peptidici, qui nella
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struttura terziaria delle proteine globulari, la stabilizzazione della forma la si ha per formazioni di
legami deboli, ma non tra i legami peptidici, ma tra i gruppi R. Si devono avere comunque delle
conferme con le tecniche di cristallografia o MNR per vedere effettivamente la forma della
proteina. La funzione delle proteine dipende dalla struttura, che dipende dalla sequenza
amminoacidica presente. Le proteine, oltretutto, hanno una loro conformazione stabile, o poche
conformazioni, e le interazioni che stabilizzano la struttura sono legami deboli. Gli unici legami
covalenti che si formano sono i ponti disolfuro tra i residui di cisteina, ma, al 90%, hanno legami
deboli a H. Infine, tra tutte le strutture delle proteine, si possono individuare alcuni modelli
strutturali comuni.
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subirà delle modificazioni per arrivare a quella nativa più stabile dal punto di vista energetico e, quindi, la
preferita, infatti la proteina subisce varie modificazioni in vari passaggi a partire dalla sequenza
amminoacidica fino ad attivare alla struttura nativa.
Questo ripiegamento dipende anche dalla formazione di legami covalenti. In altri casi, nelle metallo
proteine, il ripiegamento può dipendere dalla coordinazione con metalli. Ad esempio, il Zn finger: nome di
un dominio, assomiglia a un dito di zinco, perché l’atomo di zinco è legato solo con legami di coordinazione,
che si ha con due istidine e due cistidine. Esse tendono a cedere elettroni verso il metallo e lo stabilizzano.
Questo dominio strutturale è comune nelle proteine che interagiscono con gli acidi nucleici. Il metallo serve
al ripiegamento. L’enzima ribonucleasi degrada l’RNA e la sua forma 3d è tenuta assieme anche da ponti
disolfuro. Nella prima immagine si vedono in rosso i quattro ponti disolfuro che stabilizzano la proteina. Se
si rompono i ponti disolfuro con agenti riducenti, avviene il processo di denaturazione e si ottiene una
proteina che perde la sua forma 3d; i ponti disolfuro sono ancora presenti, ma
non in posizione corretta. Questa forma denaturata può rinaturarsi se si toglie
l’elemento che denatura, riprendendo la forma originaria. Con il calore non si
rompono i ponti disolfuro, ma solo gli altri legami. Per una denaturazione più
spinta si usano altri agenti denaturanti. La sequenza determina la struttura
secondaria e terziaria originaria perché quelle informazioni sono già contenute
nella sequenza amminoacidica. Ci possono anche essere atomi di zinco legati
con legami di coordinazione generalmente tra cisteine e istidine (che sono
gruppi R), che tendono a cedere elettroni allo zinco per stabilizzarlo. Questa è
una cosa che avviene spesso negli acidi nucleici. Se tolgo lo zinco, la forma
sicuramente si modifica e la struttura terziaria si perde e, quindi, la proteina non
può più fare la sua funzione. La ribonucleasi, nella sua forma tridimensionale, è
tenuta insieme da ponti di S. Se chimicamente agisco dall’esterno e rompo i
ponti di S utilizzando un agente riducente, attuo un processo di denaturazione che fa sì che la proteina
perda la sua forma tridimensionale, o meglio non la perdo completamente, ma si modifica e si formano
nuovi legami in posizioni sbagliate e la proteina non svolgerà più la sua funzione. Se tolgo l’elemento
denaturante la proteina può tornare alla sua forma originaria svolgendo di nuovo la sua funzione. Come
indicato nella slide, la sequenza determina la struttura e se tolgo le condizioni che perturbano il mio
sistema posso riacquistare la struttura originaria. Esistono, anche, altri metodi, come quello di estrarre
proteine dalle cellule. Inoltre, la denaturazione (unfolding) e la rinaturazione (refolding) possono essere
svolti con composti chimici denaturanti, come mercaptoetanolo e urea. Questi esperimenti servono per
capire quanto sia stabile la struttura terziaria di una proteina.
18.03.19
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cioè la versione più ossidata del carbonio, per effetto dell’energia che proviene dal Sole per fare il processo
opposto. Si riesce, dunque, a fissare il carbonio in zuccheri (processo della fotosintesi). Se si usano fonti di
energia rinnovabili vuol dire che provengono dalle piante. Se si usano, invece, le risorse fossili ottenute dal
petrolio, non si realizza l’economia circolare che chiude questo cerchio, ma uso risorse che vengono dalla
decomposizione di materiale vivente, ma hanno bisogno di molti anni per essere usate. Quindi, da un anno
all’altro non sono più utilizzabili.
Anche i carboidrati sono organizzati come polimeri o monomeri. La
versione monomerica, quindi le molecole più piccole, sono i
monosaccaridi, anche detti zuccheri semplici. I monosaccaridi
possono essere aldeidi o chetoni. Sono solidi normalmente e gli
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In soluzione acquosa, i monosaccaridi assumono una forma ciclica. Bisogna avere almeno cinque atomi di
carbonio per avere la possibilità della chiusura ad anello. Compare un nuovo legame tra il gruppo aldeidico
e il gruppo alcolico: un’aldeide e un alcol danno un semi acetale, cioè un emiacetale. Inoltre, si trova un
ulteriore atomo di carbonio asimmetrico e si formano, così due stereoisomeri anomeri alfa e beta. Si
ottengono due forme cicliche, detti anomeri (alfa e beta), che
differiscono per la posizione del gruppo -OH, che può essere
sopra o sotto l’anello. Nell’alfa, il gruppo ossidrilico è in basso, in
beta è in alto. Per effetto della mutarotazione, le due molecole
possono convertirsi l’una nell’altra. In figura, infatti, si trovano
delle frecce in due direzioni. Inoltre, la forma ciclica è più stabile
di quella lineare. Questi isomeri sono importanti nella formazione
dei legami che legheranno covalentemente diverse molecole di
monosaccaridi, cioè catene multimeriche. Importante è sapere
che: il sesto atomo (CH2OH) è un O a ponte che deriva dal
legame tra aldeide e alcol e che l’atomo di carbonio 1 può
esistere in configurazione alfa e beta. Inoltre, la numerazione è
importante. Anche gli zuccheri possono ciclizzare e, il fruttosio,
che è un chetosio con sei atomi di C, può chiudersi ad anello
facendo reagire l’OH in posizione 5 con il gruppo carbonilico, ma siccome nel fruttosio il gruppo carbonilico
non è in posizione 1, ma è in 2, l’anello che si ottiene quando ciclizza è un anello a cinque atomi. Non è più
l’anello del pirano, che ha anelli a sei membri, ma è del furano, che ne ha cinque (fruttofuranosio, cioè il
fruttosio quando è chiuso ad anello). Dal punto di vista dell’operatività biochimica, non è utile sapere
perfettamente il nome.
Si hanno gli enantiomeri, che sono l’uno l’immagine speculare dell’altro (D e L, quelli a D predominano). Poi
ci sono i diastereoisomeri che non sono l’uno l’immagine
speculare dell’altro. Poi ci sono gli anomeri, che
riguardano solo le forme cicliche. Infine, ci sono, in forma
ciclica nell’anello a sei atomi, due conformazioni diverse:
la conformazione a sedia e quella a barca. La prima è un
esagono simile a una sedia ed è la conformazione
favorita.
Si possono avere alcuni derivati, tra cui i principali sono gli esteri fosforici (zuccheri fosforilati). Essi sono
comuni nelle cellule perché funzionano da composti attivati, che hanno un livello energetico superiore agli
zuccheri semplici. Un esempio è la gliceraldeide-fosfato. Poi c’è il glucosio-1-fosfato, glucosio-6-fosfato e
fruttosio-6-fosfato. Tra i vari OH del glucosio, anche se tutti potrebbero reagire con il fosfato, le
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fosforilazioni più favorite sono in posizione 1 e 6. Questi composti, rispetto allo zucchero non fosforilato,
liberano energia quando rilasciano il gruppo fosfato.
Quando la struttura si chiude ad anello, si individua l’atomo di C1, contenente l’atomo carbonilico
dell’aldeide (è la parte più reattiva). Si vede la capacità riducente dell’atomo del C1 del glucosio che è
l’atomo più reattivo ed è l’atomo di C
riducente perché, se si mette in soluzione,
può ridurre lo ione rameico a ione rameoso
(Cu2+ -> Cu1+). L’atomo di C riducente guida
una reazione redox: l’atomo C1 si ossida e il Cu si riduce. Ossidandosi, si ha l’acido gluconico, non più il
glucosio. Questa reazione è importante perché era usata questa reattività con lo ione rameico per
quantificare la presenza di glucosio nel sangue o nelle urine dei pazienti diabetici. Non è una procedura del
tutto abbandonata oggi: nei laboratori dell’industria alimentare, si usa nei test la reazione con il Cu, che
prende il nome di reattivo di Fehling, perché è meno costosa dato che non si usano enzimi. L’ossidazione di
un aldoso con Cu(II) in condizioni blande e in ambiente alcalino (reattivo di Fehling) produce acido aldonico.
Gli acidi aldonici sono in equilibrio in soluzione con i corrispondenti lattoni: si avrà il
gluconolattone, al posto dell’acido gluconico. Sull’atomo di C1 si ha un C=O perché
si è ossidato. Un altro atomo di C del glucosio, che si può ossidare, è il C6, che non è
un atomo riducente, ma si può comunque ossidare. In posizione 6 compare un
gruppo carbossilico assumendo il nome di acido glucuronico, importante perché
queste forme uroniche in cui l’atomo C6 viene ossidato sono forme di eliminazione e
di trasformazione degli zuccheri.
Altre modifiche sono, ad esempio, la riduzione del gruppo carbonilico, sostituito dal gruppo OH. Assumono
il nome di alditoli (gruppo carbonilico è ridotto). Un esempio è il sorbitolo, che è un elemento che si
accumula nell’occhio con la cataratta. Poi ci sono gli amminozuccheri, che sono ampiamenti distribuiti nei
polisaccaridi naturali e in cui un gruppo amminico sostituisce l’OH. Poi ci sono altri, più complessi, che sono
amminozuccheri, come l’acido muramico, diffuso nella parete batterica. In più, nelle nostre cellule, si
hanno proteine legate a zuccheri che contengono acido sialico, chiamato così perché ha gruppo carbossilico
in forma ionizzata (?).
Si passa alla versione polimerica. Un esempio è quando si forma
l’emiacetale, che, se reagisce con un’altra struttura ad anello, può
formare l’acetale che è un disaccaride: si forma un legame
glicosidico che è covalente. Esso è un legame che avviene per
condensazione, come il legame peptidico, che, però, avviene tra
un gruppo
carbossilico e il
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gruppo ammino di due amminoacidi diversi. Qui, invece, si ha il legame glicosidico tra il gruppo ossidrilico
sostituente di un monosaccaride e la posizione 1 dell’altro, che ha un OH come anomero alfa o beta. Si ha
la reazione tra due monosaccaridi. I glicosidi si formano per eliminazione di una molecola di acqua tra il
gruppo ossidrilico di un saccaride e il gruppo ossidrilico di un altro composto. Il legame etere che si forma è
il legame glicosidico. Quando si uniscono due molecole di glucosio, si forma un legame glicosidico che dà
origine a un disaccaride, detto maltosio, che, però, rimane uno zucchero riducente perché si forma dal
legame tra C1 del glucosio e l’OH legato al C4. Il glucosio sulla destra, allora, ha il C1 libero perciò riducente
e mantiene questa caratteristica anche se nella coda si porta un glucosio, mentre quello sulla sinistra non è
più riducente perché il C1 è occupato. Il legame è alfa 1,4. Il maltosio non è l’unico disaccaride del nostro
corpo, ma c’è, ad esempio, il lattosio fatto da una molecola di galattosio e una di glucosio, è un beta
galattosio che reagisce con un beta lattosio. Il legame glicosidico impegna il beta del galattosio e il C4 del
glucosio. Il lattosio è uno zucchero riducente perché l’atomo di C1 del glucosio è libero e può ridurre. Poi
c’è il saccarosio, il comune zucchero, fatto da un legame tra glucosio e fruttosio (esosio, che, però, è un
chetone che si chiude con un anello a 5). Il saccarosio impegna l’atomo di C2 del fruttosio e il C1 del
glucosio, cioè i C del gruppo carbonilico. Non è più riducente perché non ha più libere estremità, se non il
C4 per il glucosio e il C5 per il fruttosio, che non sono riducenti. Il saccarosio è prodotto a livello delle foglie
per effetto della fotosintesi. L’ultimo disaccaride è il trealosio, che è lo zucchero usato dagli insetti nella
loro emolinfa. Non si hanno legami alfa 1,4, come nel lattosio, ma si impegnano le posizioni 1,1, quindi è un
alfa. Il saccarosio impegna la posizione alfa del primo glucosio e l’alfa dell’altro glucosio. C’è anche il
cellobiosio per cui si usano due molecole di glucosio, impegnando la posizione 1 e uno la 4 (beta 1,4). Il
maltosio, invece, deriva dalla digestione dell’amido ed è un disaccaride di glucosio, simile al cellobiosio,
che, però, si trova nella parete delle piante (hanno gli stessi legami). I legami beta 1,4 non si rompono
facilmente.
Si parla, poi di polisaccaridi o glicani quando più monosaccaridi
interagiscono tra loro. Si parla di omopolisaccaridi ed
eteropolisaccaridi. I primi sono polisaccaridi con lo stesso
monosaccaride, quindi sono abbastanza semplici, come amido e
cellulosa. I secondi, invece, hanno monosaccaridi diversi. Entrambi,
però, possono essere lineari o ramificati (mentre i monosaccaridi,
singolarmente, non possono essere ramificati). I polisaccaridi, a
differenza delle proteine, non hanno in generale una massa
molecolare definita. Inoltre, non esiste un codice genetico per i polisaccaridi, come invece c’è per le
proteine. In più, nelle proteine, ci sono enzimi che permettono la formazione dei legami in base al codice
genetico. La mancanza dello stampo, cioè del codice, ha influito sulle conoscenze che abbiamo dei
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polisaccaridi, soprattutto degli eteropolisaccaridi. Non esistendo dallo stampo, tutto dipende dall’efficienza
con cui lavorano gli enzimi che sintetizzano il legame glicosidico.
AMIDO E GLICOGENO
Sono omopolisaccaridi e hanno ruolo di riserva. Hanno legami alfa 1,4. Se
la cellula dovesse stoccare il glucosio che serve nel metabolismo come
singola molecola, dovrebbe contenere un numero elevato di molecole di
glucosio determinando una concentrazione di soluti troppo elevata che
influenzerebbe la pressione osmotica
cellulare. Quindi, il glucosio viene
stoccato come polimero di glucosio e in questa versione diventa una
catena di glucosio con molti atomi di C1 delle varie molecole, che sono
impegnati nei legami alfa 1-4, quindi si avrà una solo estremità
riducente. Questo polimero si aggroviglia diventando un granulo e non
interagisce negativamente con l’osmolarità della cellula. Quindi, si hanno granuli di amido e glicogeno che
possono essere ramificati nelle posizioni alfa 1,6. Si ottengono catene ramificate che si aggrovigliano:
amido (amilosio, lineare, e l’amilopectina, ramificata, entrambi sono polimeri del glucosio) nelle piante e
glicogeno nelle cellule animali ed è più ramificato dell’amido. L’amilosio ha legami alfa 1,4 non ramificati,
mentre le amilopectine sono ramificate, ma, come l’amilosio, hanno elevato PM. Il glicogeno, come
l’amilopectina, è un polimero di residui di glucosio con legami alfa 1,4 e con ramificazioni che originano da
legami alfa 1,6. Il glicogeno è più ramificato e compatto dell’amido. Nel caso nei vegetali si hanno
ramificazioni ogni 24,30 residui, mentre nelle cellule animali sono maggiori: ogni 8,12 residui. Si vedono
queste strutture, ad esempio, negli epatociti (figura in rosso), in cui i granuli di glicogeno sono colorati con
reazione PAS, ma per vedere la forma a granulo, si deve ricorrere alla microscopia elettronica. Nelle cellule
vegetali, i granuli di amido hanno una forma leggermente vitrea (a sinistra).
28.03.19
CELLULOSA E CHITINA
Essi hanno ruolo strutturale. Anche la cellulosa è
fatta da solo glucosio e non ha ruolo di riserva,
perché è il componente principale delle pareti
delle cellule vegetali. La differenza tra i modi con
cui si forma il polimero nella cellulosa o
nell’amido è: sempre posizione 1 e 4, ma
nell’amido e nel glicogeno ho legami di tipo alfa-
1,4, mentre qui le posizioni sono 1 e 4, ma il
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legame è in posizione beta con solo D-glucosio. Il legame beta-1,4 fa sì che, dal punto di vista strutturale, il
polimero della cellulosa sia perfettamente lineare e non riesce ad arrotolarsi a elica per formare granuli,
come avviene nell’amido e nel glicogeno, grazie anche alla formazione di ponti a H (i pallini azzurri
nell’immagine), che fanno stare su un piano il polimero della cellulosa. Addirittura, è talmente lineare che si
dice che abbia una struttura paracristallina delle fibre di cellulosa, perché una sua fibra ha almeno 32
catene disposte in modo ordinato e si riescono a vedere anche con il microscopio polarizzatore. Nella
parete cellulare, si trova anche emicellulosa, rappresentata in verde e non è perfettamente allineata come
la cellulosa e contiene zuccheri diversi, anche zuccheri a cinque atomi di C, oltre al glucosio classico (unico
componente della cellulosa). Ci sono le pectine in rosso e sono polimeri di acido poligalatturonico, cioè uno
zucchero con un gruppo carbossilico. Esse sono quelle che si trovano nella frutta per fare consistenza e
hanno proprietà addensanti. Essi sono tutti di natura zuccherina e un altro componente è la lignina, altro
polimero che, però, non è di origine zuccherina, ma sono polimeri di molecole aromatiche e sono usate in
industria perché, degradandole, si ottengono materiali usati come la plastica. In più, le fibre di cellulosa e di
emicellulosa sono importanti perché degradandole si ottengono monomeri di zuccheri usati per fare
carburanti o molecole usate nella vita comune. La cellulosa, con il suo legame beta-1,4, è sia un elemento
strutturale, perché dà sostegno alle cellule, sia una sorta di difesa perché i vertebrati, tra cui l’uomo, non
hanno enzimi per rompere questo legame. Questi enzimi che tagliano il legame beta-1,4 sono miscele di
cellulasi che sono prodotte dai batteri, che sono capaci di idrolizzare questo legame. Ci sono batteri del
suolo e quelli che vivono in anaerobiosi, come quelli che sono nel rumine degli animali. Anche l’uomo ha,
nell’apparato digerente, batteri nell’ultima parte dell’intestino in cui non avviene più l’assorbimento. Ci
sono anche alcuni funghi, che è capace di produrre cellulasi e trovano il glucosio, per il loro metabolismo
energetico, dalle piante. Quindi, i funghi, dal punto di vista commerciale, producono le cellulasi che si
trovano in commercio, ma sono interessanti anche quelle dei batteri. Anche le termiti contengono
microrganismi simbionti che permettono loro di mangiare e degradare il legno. Importante è realizzare
questa degradazione a livello dello stomaco per degradare già il glucosio. Invece per i polisaccaridi di riserva
(α 1-4): amido è già demolito parzialmente dalle amilasi in bocca, poi intestino tenue. Il glicogeno è
demolito dalla glicogeno fosforilasi a partire dalle estremità non riducenti.
La chitina, invece, è un omopolimero di N-acetilglucosammina. Ha una struttura lineare con legame beta-
1,4, ma il monomero non è il glucosio, ma N-acetilglucosammina, che è sempre un glucosio, ma in
posizione 2 c’è un gruppo amminico, che a sua volta è sostituito da un acetile. La chitina si trova nello
scheletro degli insetti e si trova anche nelle pareti dei funghi.
ETEROPOLISACCARIDI
Una categoria importante è quella dei glicosamminoglicani, che sono formati dalla ripetizione di unità
disaccaridiche, quindi non hanno molta varietà di zuccheri, ma sono formati da solo due tipi ripetuti. In più,
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non sono ramificati, ma sono eteropolisaccaridi lineari, come l’eparina. Tutti quanti contengono dei gruppi
amminici o gruppi amminici sostituiti. Si ritrovano negli animali e nell’uomo nella matrice extracellulare,
quindi cartilagine, tendine, pelle, pareti dei vasi sanguigni. Essi contribuiscono con la loro struttura lineare a
formare una sorta di trame gelatinosa (perché hanno gruppi OH che permettono loro di trattenere acqua
con la formazione di ponti a H). Hanno proprietà elastiche e nella matrice extracellulare (fatta da collageno,
di natura proteica, e dalla rete di natura saccaridica che ha tanti gruppi polari, cioè OH in più) si era trovato
il collageno. Sono catene lunghe, soprattutto l’acido ialuronico, che lubrifica le articolazioni e ammortizza
gli urti (250-25000 unità saccaridiche). Gli altri glicosamminoglicani sono costituiti da 50-1000 unità
disaccaridiche, tra cui c’è l’eparina, importante per la coagulazione sanguigna. Le piante non sintetizzano i
glicosamminoglicani, che sono, invece, prodotti dagli animali. Nelle pareti ci sono le pectine, che
potrebbero svolgere dei ruoli simili, ma dal punto di vista chimico hanno struttura diversa. Contengono dei
gruppi carichi negativamente o N perché sono acidi e ciò aiuta le catene dei glicosamminoglicani a
trattenere le molecole di acqua. La funzione più importante è che in questa porzione extracellulare la loro
organizzazione a trama riesce a trattenere molecole di acqua che a loro volta trasportano sostanze nutritive
disciolte nell’ambiente acquoso e riescono a fare una sorta di passaggio per le sostanze nutritive polari
permettendo loro di raggiungere le poche cellule dei tessuti di tipo connettivale, che non sono
direttamente irrorati dal sangue. Quindi, i glicosamminoglicani sono formati da ripetizioni di due unità
disaccaridiche: un acido uronico (tranne il cheratan solfato) e un amminozucchero N-acetilato. Essi
contribuiscono a mantenere la viscosità, la resistenza e l’adesività della matrice extracellulare.
GLICOCONIUGATI
Essi hanno zuccheri legati a macromolecole diverse, che possono essere proteine e lipidi. In quasi tutte le
cellule eucariotiche, catene di oligosaccaridi si legano a elementi della membrana plasmatica a formare uno
strato di carboidrati (glicocalice) che serve da superficie ricca di informazioni per le interazioni tra cellula e
ambiente esterno. Ci sono due tipi principali:
- Proteoglicani, che sono aggregati di proteine della
matrice extracellulare o della membrana cellulare in
33
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stanno soprattutto sulla superficie delle cellule, ma sulla superficie extracellulare ci sono proteine
sintetizzate a livello del reticolo endoplasmatico rugoso, da cui migrano al Golgi e poi vanno
all’esterno. Manca un codice saccaridico, ma si sa che gli zuccheri sono importanti per il
funzionamento della proteina. Le funzioni degli oligosaccaridi sono: strutturali per schermare la
superficie di una proteina, limitare la libertà conformazionale di segmenti proteici, indirizzamento
verso la destinazione definitiva (es. lisosomi) e di riconoscimento come glicocalice, lectine (proteine
che legano carboidrati spesso presenti sulla superficie cellulare).
Gli oligosaccaridi sono anche determinanti
antigenici, come gli antigeni dei gruppi
sanguigni AB0. Sono componenti
oligosaccaridiche delle glicoproteine e dei
glicolipidi superficiali delle cellule di un
individuo (si hanno zuccheri legati
covalentemente a proteine o a lipidi sulla superficie cellulare). Essi sono rivolti verso l’esterno e quindi sono
coinvolti nel riconoscimento. Il glicocalice è la porzione glicolipidica che è legata sia a lipidi sia a proteine ed
esso arriva ad avere uno spessore di 140 nm. Inoltre, le loro porzioni saccaridiche si estendono tanto da
essere visualizzabili al microscopio elettronico. Sono le porzioni saccaridiche a identificare l’antigene del
gruppo sanguigno ed esse sono legate sia a proteine sia a lipidi: gli individui 0 hanno l’M-
acetilgalattosamina, un residuo di acido sialico, uno di glucosio e uno di galattosio, gli A hanno in più una
ramificazione con un residuo di N-acetil galattosamina, i B hanno solo un residuo di galattosio. Per questo i
tipo 0 hanno lo stesso nucleo saccaridico di quelli A e B
quindi è donatore universale. Esso, però, può prendere il
sangue da un tipo 0, altri darebbero una risposta
anticorpale perché ad esempio A ha un residuo di N-acetil glucosammina in più.
01.04.19
Dopo ogni tappa di purificazione di materiale proteico è opportuno valutare:
- Concentrazione proteica perché bisogna sapere quanta proteina ho perso durante l’estrazione e
perché, estrarre una proteina dal suo contesto, significa purificarla da tutte le altre molecole con
cui lavorava nel suo contesto naturale. Tutto questo aiuta nello studio preciso della singola
proteina.
- Attività enzimatica se il campione studiato è un enzima.
- Profilo elettroforetico (SDS-PAGE) che è un’altra tecnica.
Si usa uno spettrofotometro e le proteine sono incolori e assorbono a 280, quindi si devono usare pipette
di quarzo. Bisogna trovare un metodo quantitativo per superare questi problemi di assorbanza e incolore.
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Per determinare la concentrazione proteica: gli amminoacidi aromatici assorbono a 280 nm, ma sono solo
fenilalanina, tirosina e triptofano (con anello aromatico), gli altri non assorbono. Se si applica questo
metodo per determinare la concentrazione, si usa una cuvetta di quarzo perché si deve impostare la
lunghezza d’onda nell’UV a 280. Sono costose e si devono usare perché la plastica a 280 assorbe. Poi l’altro
problema è che per avere una misura, un valore numerico di concentrazione in milligrammi per ml o
microgrammi per microlitro si deve usare la legge di Lambert-Beer (A=ecd e quindi la concentrazione è
c=A/ed). L’epsilon dà problemi perché il coefficiente di concentrazione molare è un valore che è preciso per
le sostanze analizzate in spettrofotometria, ma per le proteine, che sono tutte diverse tra loro, come si può
avere un epsilon? Se si lavora su una sola tipologia di proteina, allora avrò l’epsilon, ma se lavoro su una
miscela di proteina, no. L’epsilon varia da 0.4 a 1.5 per le proteine. Se si assorbe 1 si può pensare che ha
una concentrazione di 1 milligrammo per ml, ma così non si è precisi, ma ci sono sistemi che alzano il livello
di precisione. Valgono due eccezioni:
- Lisozima il cui epsilon vale 2,65.
- Proteina parvalbumina che non ha residui aromatici e quindi epsilon è 0 perché non assorbe a 280.
Si possono usare metodi colorimetrici, che sono quantitativi e per essere precisi sono semiquantitativi
perché portano ad avere una concentrazione in milligrammi in ml, ma soffrono perché si lavora con una
miscela di proteina e quindi talvolta essa reagisce con il colorante in un certo modo in diverse occasioni. Per
sapere quante proteine ho devo usare questi metodi prendendo la miscela di proteine e metterla a
contatto con un colorante che interagisca con queste proteine. Dopo aver interagito, si vede un composto
colorato che si può quantificare allo spettrofotometro, si possono usare quindi cuvette non al quarzo e poi
si usa uno standard, che è la proteina BSA (Bovin serum albumin, sieroalbumina bovina, cioè di origine
bovina), perché in laboratorio si deve vedere come concentrazioni diverse di BSA interagiscono con il
colorante. Questo viene fatto ogni volta che si effettua un dosaggio proteico. Dopodiché, si usa questa
taratura per risalire alla concentrazione precisa del campione che si vuole misurare. I coloranti usati sono:
- Metodo di Bradford (fino agli anni ’60 c’era il metodo di Lori), detto anche metodo Dye-Binding: si
hanno cuvette con colori diversi. Si parte da un colore marroncino che è solo colorante per arrivare
al blu che reagisce con concentrazioni elevate di proteine. Si usa il blu di Coomassie brilliant blue
G250, che è anche il colorante usato in elettroforesi. Si hanno due lunghezze d’onda (465 nm forma
rossa e 595 nm forma blu). La forma blu è il Coomassie che interagisce con le proteine e la sua
formula chimica ha anelli aromatici e gruppi acidi con S. In totale, la molecola del Coomassie ha PM
di 695,59. Essa interagisce con le proteine con interazioni elettrostatiche con i gruppi acidi, che
dissociano l’H e quindi il colorante acido va a interagire con i gruppi carichi positivamente delle
proteine (sono i gruppi amminici degli amminoacidi basici), poi interagisce anche con interazione
idrofobica attraverso gli anelli aromatici presenti. Si forma un complesso colorante proteina e la
sua colorazione è blu: si passa dal rosso al blu. La formazione del complesso è stabile fino a un’ora
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ENZIMI
Ci sono proteine che sono enzimi, quindi sono catalizzatori biologici. Generalmente, le proteine enzimi sono
globulari e possono essere fatte da una sola catena o da più subunità e quindi avere una struttura
quaternaria oltre alla terziaria. Gli enzimi sono responsabili delle trasformazioni chimiche nelle cellule. Solo
poche sono spontanee e, quindi, ogni volta che c’è una reazione è coinvolto un enzima. Essi svolgono la
loro attività grazie alla struttura tridimensionale e poi, per quanto riguarda le trasformazioni nelle cellule,
esse sottostanno ai principi della termodinamica soprattutto alla definizione della variazione dell’energia
libera. Se delta G è positivo non è spontaneo il processo, se negativo sì. Si ha un
processo endoergonico se deltaG è positivo che richiede energia, invece se è
esoergonico allora deltaG è negativo. La cellula spesso ricorre all’accoppiamento delle reazioni per avere un
deltaG negativo: associa una reazione
esoergonica a una endoergonica per mettere a
disposizione l’energia liberata dalla prima alla
seconda che ne ha bisogno per avvenire.
In tutto ciò, su un grafico si vede in ordinata il
contenuto di energia libera e sulle ascisse c’è la
coordinata di reazione: non si passa dal
contenuto energetico (reagenti) a prodotti in
modo diretto. Lo svolgimento temporale è
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particolare: per passare da reagenti a prodotti si ha prima un incremento della deltaG, che è quando i
reagenti si attivano per poter reagire insieme (spesso indicati con l’asterisco), bisogna quindi superare la
barriera dell’energia di attivazione. Dopo i reagenti diventano prodotti. Gli enzimi riescono a fare la stessa
reazione: reagenti e prodotti sono uguali e quindi gli enzimi non modificano il deltaG di una reazione, ma
essi diminuiscono la barriera dell’energia di attivazione andando ad aumentare la velocità di reazione
senza, però, modificarne gli equilibri. Perciò, la reazione viene catalizzata avvenendo in un arco di tempo
più breve, compatibile con la vita delle cellule. Si hanno caratteristiche che differenziano gli enzimi dagli
altri catalizzatori del mondo industriale e organico: le principali differenze tra catalizzatori inorganici ed
enzimi sono la velocità di reazione più elevata, condizioni di reazione più moderate perché lavorano a T
ambiente e P atmosferica, maggiore specificità di reazione (per la struttura tridimensionale degli enzimi
che trasformano un substrato di un reagente in un prodotto) e possibilità di regolazione che dipende dalla
loro forma tridimensionale perché sono grandi gli enzimi rispetto ai reagenti che trasformano e hanno una
parte in più della loro struttura che può essere modificata e può interagire con altre molecole, così da
modificare e regolare gli stessi enzimi. Queste ultime due dipendono dal fatto che gli enzimi sono proteine.
Gli enzimi sono proteine, ad eccezione dei ribozimi che sono formati da RNA, dotati di attività catalitica. Per
la specificità di reazione, ci sono due modelli che indicano quanto un enzima sia specifico:
- Modello chiave serratura che
è il più antico, superato dal
modello ad adattamento
indotto. Esso era usato dai
primi biochimici che si
accorsero come gli enzimi
trasformavano un substrato.
Quindi, elaborarono un
modello paragonando la specificità dell’enzima con quella della chiave verso la serratura: si vede un
enzima che ha una porzione zigzagata che è il sito attivo dell’enzima che viene a contatto con il
substrato su cui l’enzima stesso agisce. La superficie del sito attivo è rivestita da residui
amminoacidici i cui gruppi funzionali costituenti legano il substrato e catalizzano la reazione
chimica. Questo modello è stato perfezionato quando si riuscì a studiare la struttura
tridimensionale degli enzimi con la cristallografia, ma non solo questa struttura, anche quella
tridimensionale di un enzima legato al suo substrato.
- Si vide che la specificità di un enzima è descritta dal modello dell’adattamento indotto in cui c’è la
forma del sito attivo, che però non coincide con il substrato, ma che diventa compatibile solo
quando il substrato interagisce con l’enzima, non prima. Questo secondo modello serve anche
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perché la cellula deve fare economia e certi enzimi devono trasformare più di un substrato, quindi
se il suo sito attivo fosse specifico solo di un substrato, allora servirebbero molti enzimi.
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da superare e questo si traduce in un aumento della velocità del processo. Gli enzimi non modificano il
deltaG tra substrati e prodotti.
Come hanno descritto i biochimici la velocità relativa della reazione visto che sono diversi tra loro? I due
ricercatori principali sono Leonor Michaelis e Maud Menten che definirono l’equazione della velocità
enzimatica. Essi vissero nei primi del ‘900, quindi non avevano enzimi cristallizzati e non sapevano dal
punto di vista molecolare cosa c’era nel sito attivo, ma erano fermi al concetto “chiave-serratura”. Anche
con queste limitazioni e con lo spettrofotometro, ricavarono l’equazione
della velocità. Essi lavorarono in modo rudimentale e con estratti con
enzimi non puri. Essi seguivano le variazioni dell’assorbanza: o
aumentava quella del substrato o quella del prodotto, tutto calcolato con lo spettrofotometro. Con questi
presupposti, ricavarono l’equazione e, a posteriori, altri ricercatori dimostrarono che è ancora valida la loro
equazione che, addirittura, riesce a
essere valida misurando la velocità di
una singola molecola di enzima. Essi
cercarono di scrivere la reazione
enzimatica, presero l’enzima contrassegnato che interagisce con il substrato, doppia freccia, si forma il
complesso ES (enzima-substrato). Si deve fare una precisazione perché essi non avevano la percezione della
molecolarità della reazione: oggi si sa che i complessi ES che si formano nel sito attivo (tutti con la doppia
freccia) sono più di uno. Alla fine, si arriva al complesso enzima-substrato che porta alla formazione dei
prodotti. Essi, poi, tolsero la doppia freccia di reazione, perché fecero un’approssimazione: con la
formazione di ES, la reazione diventa irreversibile verso la formazione esclusiva dei prodotti perché è una
reazione che avviene nella cellula, in cui la reazione non avviene solo, ma con tutte le altre reazioni della
cellula che prendono il prodotto di questa reazione e a loro volta lo trasformano. I prodotti, infatti, non
sono più disponibili per la reazione inversa, perché diventano substrati di altre reazioni. L’unica cosa che si
trasforma è il substrato perché diventa prodotto, mentre l’enzima torna a essere se stesso senza essere
sottoposto alla catalisi. Questo è un grosso guadagno energetico per la cellula, che non deve sintetizzare
tante molecole di enzima corrispondenti a tutte le molecole di substrato che vuole trasformare, perché
ogni volta gli enzimi tornano a essere uguali a se stessi.
La velocità è proporzionale alla concentrazione dei reagenti e la costante di proporzionalità è la costante di
velocità. Sulle frecce ci sono le costanti, cioè k1, k-1 e k2. In termini di formula, ci sono le definizioni di V1,
V-1 e V2, cioè le velocità (definite con il prodotto con la c, cioè la concentrazione). Quindi, k1, ad esempio, è
la velocità che definisce la reazione da substrato alla
formazione del complesso ES. Le lettere piccole nere sono
numeri reali che corrispondono ai valori delle concentrazioni
dei substrati (c). Nelle formule, viene scritto ciò che si instaura
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- Se trovo Vm, trovo anche Km, ma il problema sta nel trovare la Vm, perché fino a che si
costruiscono i punti che nel grafico salgono è possibile, ma è difficile fermarsi per trovare l’asintoto.
Quando aumento le concentrazioni, non si riesce a sciogliere il substrato.
- Quando si arriva al massimo, si ottengono dati che vanno sopra o sotto l’asintoto e non si trova la
Vmax.
Lavorare con l’equazione dell’iperbole è difficile, così hanno cercato
di linearizzare, cioè trasformare l’equazione dell’iperbole in una
retta e il sistema usato di più è la linearizzazione dei doppi
reciproci, detta anche linearizzazione di Lineweaver-Burk: sulle y
ho 1/V e sulle x ho 1/S. Si parte sempre dall’equazione di Michealis-
Mentel: misero il reciproco di V e S sul grafico, allora dall’equazione
di Michealis-Mentel si ottiene il reciproco, cioè 1/V=S+Km/VmS,
cioè 1/V=S/VmS+Km/VmS. Tutto ciò diventa 1/V=1/Vm+ Km/Vm moltiplicato per 1/S. Questa è l’equazione
di una retta del tipo y=mx+n. Quindi, y=1/V, x=1/S, m=Km/Vm (cioè la pendenza) e l’intercetta è 1/Vm. Si
mette il reciproco delle concentrazioni di substrato e velocità, così si ottengono una serie di punti
attraverso i quali si fa passare una retta, che avrà come intercetta 1/Vm e la retta interseca l’asse delle y in
un solo punto, che è il reciproco della velocità massima. Da quel valore e usando anche la pendenza della
retta che è Km/Vm, si trova anche la Km. Così si caratterizza l’enzima.
08.04.19
Retta di taratura: si tratta di una retta che mi permette di mettere su grafico i valori di diluizione.
Ci sono tabelle che mi indicano le caratteristiche dell’enzima che si sta studiando: la Km, si può anche
elencare la Vmax e, accanto a esse, si trovano altri due elementi, la Kcat e il rapporto tra Kcat e Km. Kcat
corrisponde al numero di turnover, cioè le moli di substrato convertite in prodotto per mole di enzima in
un secondo. I valori sono espressi in sec-1. Il numero di turnover, cioè Kcat, corrisponderebbe alla K2 e per
determinare la Kcat ci devono essere concentrazioni alte di substrato per determinare il numero massimo
di moli. Questi valori servono perché scelgono quale sia l’enzima migliore da usare. Si deve cercare l’enzima
con la Km più piccola.
In questa tabella si fa un
confronto tra enzimi molto
efficienti: la chimotripsina è
un enzima digestivo, ad
esempio. Per la Km, bisogna
trovare valori piccoli e ci si
rende conto che la catalasi ha
una Km=25, mentre il
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lisozima è =6x10-3, che, quindi, risulta più affine al substrato. Si è introdotto il rapporto Kcat/Km, che è un
parametro che è definito efficienza catalitica e la reazione enzimatica che ha la migliore efficienza catalitica
è quella che ha il numero più alto di questo rapporto. Valori dell’efficienza catalitica della catalasi sono 10
alla 9 e non si riesce ad andare oltre, perché c’è il limite della diffusione. Quindi, la catalasi è l’enzima più
efficiente perché deve rimuovere perossido d’idrogeno che è tossico per noi.
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- Traslocasi (7), che sono la nuova classe e lavorano sulle membrane e sono coinvolte nel trasporto
attraverso le membrane di sostanze, come ioni e piccole molecole. Questo trasporto avviene a
spese di una reazione enzimatica.
Esistono database di enzimi collegati a UniProt. A ciascun
enzima è attribuito un numero di quattro cifre preceduta da
EC (Enzyme Commision). Il primo numero è la classe, gli altri
si riferiscono alla sottoclasse, alla sotto sottoclasse e al tipo.
L’altro database è il BRENDA.
Dal punto di vista molecolare, nessuno dei 20 amminoacidi
può trasferire elettroni, quindi diventa un’esigenza che le
ossidoreduttasi lavorino con un coenzima o un cofattore o
con un metallo. Tutte le altre classi non hanno l’obbligo
dell’uso dell’enzima, perché possono usare gli amminoacidi
che si trovano a livello del sito attivo, come le idrolasi che idrolizzano un legame solo usando i residui
amminoacidici del sito attivo.
Non tutti gli amminoacidi sono attivi dal punto di vista catalitico, come la glicina che non fa nulla se non
avere la funzione strutturale per mantenere la forma del sito attivo. Ci sono, invece, amminoacidi che si
trovano coinvolti nel meccanismo catalitico, come i residui di serina, tirosina che hanno OH, altri come
l’istidina, perché essa ha il suo gruppo che si può protonare a pH fisiologico. Lisina, arginina, acido aspartico
e glutammico, hanno un gruppo acido e basico che si possono protonare o deprotonare e quindi, sono utili
ai fini della catalisi. Ci sono vitamine, come la biotina, che è il coenzima delle reazioni di carbossilazione (di
classe 6), la piritossina, invece, diventa piridossal fosfato ed è importante nelle reazioni di trasferimento del
gruppo amminico. Altri enzimi dipendono da metalli:
- Cu citocromo ossidasi.
- Fe catalasi, perossidasi.
- K piruvato chinasi.
- Mg esochinasi.
- Mn ribonucleotide reduttasi.
- Mo nitrogenasi.
- Ni ureasi.
- Zn carbonico anidrasi, alcol deidrogenasi.
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costituisce un altro nucleotide. Il NAD è il coenzima più famoso perché interviene in diverse redox (molti
enzimi di classe I lo usano) e poi esso, quando si modifica e diventa ridotto, cambia la sua assorbanza allo
spettrofotometro e questo fu di aiuto perché monitorare una reazione enzimatica con la molecola del NAD
che cambia la sua assorbanza era seguibile per la spettrofotometria. Non sempre il substrato che diventa
prodotto cambia la sua assorbanza.
Il NAD è in grado di ridursi accettando elettroni, diventando NADH e così, il suo spettro UV visibile, va
intorno a 340 e c’è un picco per la linea azzurra che è lo spettro di assorbimento del NADH, e poi c’è anche
a 360 che però è anche del NAD ossidato. Posizionando lo spettrofotometro a 340, si può osservare
l’andamento di una reazione enzimatica in cui è coinvolto il NAD. In base a se uso NAD ossidato o ridotto,
devo modificare l’assorbanza. Man mano che il NAD si consuma, l’assorbanza diminuisce.
EFFETTO DEL pH E DELLA TEMPERATURA
Si tratta di un’altra caratterizzazione degli enzimi. Ci sono i due assi con pH e
velocità. L’andamento che si misura è quello con una curva a campana e
generalmente studiando gli enzimi che lavorano nella cellula, si trova che
man mano che si passa da pH acido verso la neutralità, la velocità degli
enzimi aumenta. Aumentando, invece, il pH andando verso zone basiche, la
velocità diminuisce. Oltre l’informazione del massimo, i punti di flesso, cioè
evidenziati come pK nel grafico, possono dare info sulla tipologia del sito attivo o, per essere precisi,
possono dire se nel sito attivo, tra i 5 o 6 residui amminoacidici che possono essere coinvolti nella reazione,
quale ci sia lì. Se si ha un punto di flesso intorno a pH 4 si può pensare che nel sito attivo ci sia un residuo
acido, se verso il 6 si può avere un’istidina, verso il 10 si
ha una lisina, ecc. Tuttavia, si deve tenere conto che
l’intorno in cui si colloca il residuo può interferire sui
valori di pK.
In ordinata c’è la velocità e in ascissa c’è il pH, nel grafico
di fianco. La pepsina lavora nello stomaco e quindi
lavora a pH acido. Per cui la sua curva del pH ottimale ha
un massimo intorno al ph dello stomaco (2). A pH basici,
la sua attività cala.
In maniera analoga, si può fare il monitoraggio della T e si ottiene un
grafico in cui non si ottiene una curva a campana simmetrica, come per il
pH, ma si ottiene una curva non simmetrica e generalmente la fase in cui
l’attività diminuisce ad alte T è una discesa brusca e questo decremento
rapido della V dipende dalla denaturazione enzimatica. L’innalzamento
della T fa perdere la struttura tridimensionale e il sito attivo perde la sua
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forma diventando un sito non più attivo. Si può anche verificare che il coefficiente di T sia efficiente. Esso è
definito Q10 perché si valuta la differenza di velocità enzimatica quando si aumenta la T di 10 gradi. Viene
quindi facilitato l’incontro tra il substrato e l’enzima con un aumento della T. Poi si ha la denaturazione e,
quindi, si ha una diminuzione brusca. A livello industriale, questo viene molto applicato per studiare enzimi
termostabili che, pur aumentando la T, a 60 gradi sono ancora attivi, ma non sono molti. Si studiano gli
Archea che vivono nelle pozze dei vulcani perché sono microrganismi che vivono a T elevate e quindi hanno
enzimi che lavorano ad alte T.
C’è un’altra variabile che è l’effetto degli inibitori sull’attività enzimatica. Si è detto che c’è possibilità di
regolazione perché hanno una superficie grande e possono reagire, così, con il substrato e con altre
molecole. Queste altre molecole sono gli inibitori, che sono classificati in irreversibili e reversibili:
l’inibizione irreversibile può essere l’alzamento eccessivo della T che porta a distruzione della struttura
tridimensionale oppure quando si usano sostanze che si legano covalentemente con gli amminoacidi del
sito attivo non staccandosi più, sono, quindi, agenti chelanti che sono usati anche come veleni. Questo tipo
di modo di azione si può fare dall’esterno, come l’innalzamento della T. Normalmente le cellule, dopo aver
prodotto tutti gli enzimi necessari per i vari processi, devono avere un sistema che controlli il tutto perché
sennò collasserebbero. Quindi si deve adottare un sistema che vada a inibire in modo reversibile i propri
enzimi. Se li inibisco in modo reversibile, allontanando la molecola inibitore, l’enzima torna attivo. Questo è
un grande vantaggio per la cellula. Gli inibitori sono molecole piccole, sono ligandi che si legano al sito
attivo dell’enzima. L’inibizione reversibile è un meccanismo studiato in laboratorio con lo spettrofotometro
ugualmente a quando si costruisce il grafico della V in funzione della concentrazione del substrato. Tutto
ciò si fa quando si aggiunge al preparato di enzima e substrato anche l’inibitore. Tutto ciò vale sia per una
molecola di enzima sia per un numero n di enzimi. Ci sono reazioni reversibili:
- E+S doppia freccia ES -> E+P.
- E+I doppia freccia EI, in cui l’enzima può agire anche con la molecola dell’inibitore, formando un
complesso enzima e inibitore. Ovviamente si ha una V con una sua costante K3 alla formazione di EI
e una V inversa che è K-3. Il rapporto K3/K-3 è la costante di inibizione e quando si studia l’effetto
di una molecola che funziona da inibitore, devono essere caratterizzati in base alla loro costante di
inibizione.
- EI+S doppia freccia EIS, in cui il complesso EI è ancora capace di interagire con il substrato. Quindi,
il substrato può ancora entrare nel sito attivo. Si forma, quindi, un complesso EIS, che ha tre
elementi e anche qui si hanno K4 e K-4 che sono le costanti di V. Non si ha mai la formazione del
prodotto dopo l’interazione dell’inibitori.
- ES+I doppia freccia EIS, in cui si forma ES, che può attaccarsi all’inibitori. Quindi, anche qui, si forma
un complesso EIS. Con K5 e K-5 come costanti di V e dato che il terzo e quarto caso portano alla
formazione di un complesso a tre elementi, la costante di inibizione è la stessa.
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necessario che l’enzima interagisca con S e, dopo la formazione di ES, allora può interagire con I. Il tutto
avviene in una soluzione trasparente dentro la provetta e, andando a definire il comportamento
dell’inibitore, si dice che il sito attivo è occupato da S e poi, vicino, c’è l’interazione con I, che riconosce solo
ES. Dal punto di vista pratico, questo tipo di inibizione provoca una diminuzione della Km e questo
potrebbe sembrare strano, ma insieme a ciò si ha una diminuzione della velocità massima, perché se essa
diminuisce, ha senso l’inibizione. Ci si accorge della diminuzione della Vmx perché si ha la retta parallela più
alta. Questo tipo di inibizione va a inibire il legame dell’inibitore con il substrato e questo meccanismo può
essere ridotto, ma non bloccato, aumentando la concentrazione del substrato.
L’ultimo caso è l’inibizione non competitiva che è un caso limite
dell’inibizione mista. Questa inibizione la si riconosce dal grafico e
dall’equazione dei doppi reciproci in cui si vede che il fattore di
correzione è a livello dell’intercetta e della pendenza: si hanno due
rette che si intersecano essendo un caso limite proprio sull’asse delle
ascisse. Questo succede perché il fattore di correzione corregge allo
stesso valore (B). Macroscopicamente, si ha una diminuzione della
Vmax e non si ha effetto sulla Km. Rispetto all’inibizione mista dove A
e B sono diversi, nell’inibizione non competitiva, i 2 fattori hanno
lo stesso valore A=B. Il loro legame all'enzima genera un
cambiamento conformazionale dell'enzima stesso, che può avere
come conseguenza l'inibizione del legame tra enzima e substrato.
Non essendoci dunque competizione tra inibitore e substrato,
l'importanza dell'inibizione dipende esclusivamente dalla
concentrazione dell'inibitore stesso.
L’inibizione mista è il caso più generale in cui si ha il fattore di
correzione su pendenza e intercetta, ma sono diversi (A e B). Le
due rette che si ottengono (la retta inibita è quella con la pendenza più alta) sono così rappresentate: nel
caso nero si intersecano sopra l’asse x e nell’altro, si intersecano sotto. L’inibitore non competitivo è,
quindi, un caso limite di questo.
EFFETTI ALLOSTERICI
Gli enzimi che sfruttano l’interazione
con l’inibitore per essere bloccati
seguono la cinetica di Michaelis-
Menten, quindi hanno la curva che va
a saturazione. Questi enzimi non
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seguono la cinetica di Michaelis-Menten perché, esaminando il grafico, si vede che sulla sinistra c’è
l’andamento di Michaelis-Menten, mentre, sulla destra, c’è la curva sigmoide, che è propria degli enzimi
con effetti allosterici. Ci sono anche enzimi che hanno una sigmoide molto più attaccata all’asse delle y. Si
vede che la curva non è di Michaelis-Mentel perché, anziché partire con una V che sale progressivamente,
quasi lineare, qui, invece, all’inizio, anche aumentando la concentrazione del substrato, la V ha un’inerzia
iniziale e sale piano. Poi è caratterizzata da un aumento repentino della velocità, poi, trattandosi di un
enzima anche se allosterico, anche qui si va a saturazione perché, una volta che tutti i siti attivi delle
molecole di enzimi allosterici sono occupati, la V non aumenta più. La differenza è che in laboratorio ci si
rende conto che si usa un enzima allosterico costruendo grafici e si vede che la V sale poco nella parte
iniziale. Per la cellula, questi enzimi allosterici,
sono utili proprio perché hanno una V iniziale
che si discosta poco dallo 0 e poi hanno una
fase in cui la V aumenta molto (valori vicini a
quella della saturazione), come se quell’enzima
riuscisse ad accendersi e spegnersi per un
intervallo piccolo di concentrazioni di substrato.
Sono quindi enzimi che possono essere regolati
attivi-non attivi molto rapidamente. Quindi
sono utili alla cellula più che non il classico
enzima di Michaelis-Mentel in cui, per passare
da valori vicino allo 0 fino a saturazione, ci si
deve muovere in un intervallo ampio di
concentrazioni di substrato. Gli enzimi allosterici, invece, sono localizzati di solito nei punti di controllo delle
vie metaboliche, che sono percorsi di 7 passaggi, ognuno catalizzato da un enzima. Se si vedono le vie
metaboliche, di solito il primo enzima è allosterico che può essere regolato finemente perché può essere
inibito e attivato. Sono anche definiti veri e propri enzimi regolatori perché sono responsabili delle tappe di
regolazione delle vie metaboliche. Il prodotto finale nell’esempio può interagire
con il primo enzima e andare a inibirlo con l’inibizione da feedback con un ligando
o effettore allosterico. Se poi la cellula ha bisogno di farla ripartire, allora le cellule
interagiscono con altri ligandi che hanno un effetto positivo perché fa ripartire
l’enzima. Gli enzimi allosterici sono particolari perché hanno più siti di interazione
sulla loro superficie perché devono interagire sia con effettori positivi sia con quelli
negativi. Generalmente, questi enzimi allosterici hanno più subunità, quindi hanno
una struttura quaternaria.
L’immagine rappresenta il primo enzima allosterico (aspartato transcarbamilasi o
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ATCase) trovato ed è quello coinvolto nella biosintesi delle pirimidine. Si vede che la visualizzazione grafica
mostra con colori diversi ogni subunità: è fatto da 12 subunità. Questa è la prima tappa della biosintesi
delle pirimidine ed è per questo che è catalizzata da un enzima allosterico. L’oloenzima è fatto da 12
subunità: 6 subunità catalitiche (302 amminoacidi che formano trimeri) che sono quelle grandi e che
ospitano il sito attivo interagendo con aspartato e carbalmilfosfato; 6 subunità regolative (154
amminoacidi che formano dimeri) che riescono a interagire con gli effettori allosterici, che sono di due tipi:
CTP, nucleotide fatto con la citosina, che è una base azotata ed è una pirimidina quindi il CTP ha una
funzione inibitrice perché se nella cellula ci sono scorte di pirimidine, la via che le sintetizza non è
necessaria. Viceversa, l’ATP, fatto dall’adenina, ha un’attività positiva
perché fa aumentare l’attività catalitica dell’aspartato transcarbamilasi.
Questi due tipi di attività sono direttamente controllate le une con le altre
sull’aspartato transcarbamilasi perché alla fine, all’interno della cellula,
nella doppia elica del DNA, si ha l’appaiamento tra purina e pirimidina e,
quindi, la cellula deve avere una quantità uguale di purine e pirimidine. La
struttura di questo enzima è stata determinata da cristallografi italiani. In
più, le subunità regolative interagiscono anche con un metallo, come lo Zn,
di cui ce n’è un atomo per ogni subunità regolativa. Lo Zn non ha attività
catalitica, non è un cofattore, ma è un metallo con funzione strutturale
perché è inserito, interagisce con la subunità regolativa e la sua presenza
mantiene la forma corretta in modo che la subunità regolativa possa
interagire con quella catalitica. Quindi, se tolgo Zn, la forma tridimensionale si perde e la subunità
regolativa non si associa correttamente con la subunità catalitica. Poi si ha il grafico dell’aspartato
transcarbamilasi (sinistra): in alto c’è l’andamento classico con la curva sigmoide e per concentrazione di
substrato si intende la concentrazione dell’aspartato e sotto, invece, c’è l’effetto dovuto alla presenza di
CTP, inibente che dà la curva nera, che si allontana dall’asse delle y ed è una curva sigmoide e impiega più
tempo per arrivare a saturazione, e l’ATP, che attiva, sposta verso sinistra, cioè l’asse y, la curva sigmoide e
spostandola a sinistra, si rischia di perdere la percezione del primo tratto perché si avvicina molto e si
capisce poco l’inerzia iniziale. Per questi enzimi allosterici non si analizza l’equazione della V, ma basta
sapere che nel grafico si ha una curva sigmoide e che vanno a saturazione. Il meccanismo allosterico non è
riservato solo agli enzimi allosterici, ma si trova anche in proteine che hanno una struttura quaternaria,
come l’emoglobina, che porta O2 a tutte le cellule del nostro corpo. Essa ha un funzionamento allosterico
per il trasporto dell’O2. Poi ci sono altri esempi, come alcuni recettori sulle membrane che hanno un
meccanismo allosterico per l’interazione del recettore con un ligando. Ci sono due modelli che descrivono il
comportamento allosterico di una struttura quaternaria:
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- Concertato, che è di Monod, Changeux e Wyman prevede che l’enzima allosterico o la proteina
allosterica esista solo in uno stadio in cui tutte le subunità sono tese o rilassate. Nel momento in cui
il substrato si lega, si passa da T a R, però il cambiamento avviene contemporaneamente per tutte
le subunità, quindi non c’è una sequenza temporale.
- Sequenziale, in cui il modello di Koshland prevede che quando una subunità di struttura
quaternaria interagisce con un ligando con un’interazione debole, allora l’interazione provoca una
variazione conformazionale e questa variazione provoca una transizione della subunità che passa
dalla forma T, cioè tesa perciò scarsamente attiva e che senza substrato non è attiva, a R, cioè
rilassata che accoglie il substrato cioè il sito si adegua alla forma del substrato con cui interagisce
diventando cataliticamente attiva. Questa transizione è trasferita a tutte le subunità che
costituiscono la struttura quaternaria.
Il secondo meccanismo forse riesce a spiegare di più i meccanismi di inibizione allosterica, ma non c’è una
preferenza tra i due perché sono entrambi validi.
Gli enzimi allosterici sono coloro che non si fanno regolare dal legame con un inibitore, ma si fanno
influenzare dal legame reversibile, non covalente, con effettori o modulatori allosterici.
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cioè un -CH3 in più. Sono i nomi delle basi azotate, poi base azotate+zucchero+P si ha un nucleotide,
mentre base azotate+zucchero si ha un nucleoside. I deossi sono nel DNA, in cui, oltre alla T, i nucleotidi
sono deossi, diversamente dall’RNA, quindi mancano dell’OH in posizione 2’. Nel 2’ manca OH, mentre
nell’RNA c’è OH e il 2’ è la posizione più vicina alla base azotata, dopo la 1’. Se si vuole indicare il
nucleotide, si parla di adenilato (adenosina 5’ monofosfato), sennò il nucleoside è l’adenosina.
Il gruppo P può essere legato al 5’ o al 3’ e, visto che esso è carico negativamente, è neutralizzato da ioni
magnesio.
RUOLI dei nucleotidi:
- Molecola di scambio energetico, che è l’ATP che è un nucleotide (adenosina 3-fosfato). Dall’idrolisi
dei gruppi P di quest’ultimo (il primo, che è più vicino al ribosio e che è legato al -CH2 dello
zucchero, è legato al P con il doppio legame, formando un legame fosfomonoestere) si ottiene
molta energia (31 kJ per il primo, da ATP ad ADP, e per il secondo gruppo fosfato, da ADP ad AMP,
si hanno 31 kJ, quando da AMP si libera l’adenosina da sola, si ottengono 14 kJ) (legame
fosfoanidrinico tra lee molecole di fosfato). L’ATP è la molecola di scambio energetico della cellula.
- I nucleotidi sono coinvolti nella biosintesi degli zuccheri cioè delle strutture polisaccaridiche. Ogni
volta che uno zucchero dev’essere trasferito, si lega a un nucleotide perché gli si viene conferita
un’energia maggiore rispetto allo zucchero da solo. Ad esempio: ADP legato al glucosio, che viene
immagazzinato come amido. Negli animali, invece, gli zuccheri sono legati a un altro nucleotide che
è l’UDP.
- Nucleotidi usati come messaggeri, cioè sono nucleotidi regolatori come l’AMP ciclico fatto
dall’adenilato ciclasi. Questo nucleotide libero è trasformato (adenosin monofosfato). Un secondo
messaggero è il GMP ciclico. Un altro è il guanosin tetrafosfato.
- I nucleotidi rientrano nei coenzimi contenenti adenina. Questo perché erano le prime molecole
comparse sulla terra. Si ha il NAD con l’adenosina, un altro coenzima è il FAD, che ha adenosina. La
molecola più diffusa, a parte il concetto generale dei nucleotidi, è l’adenina, che, quindi, sarà,
quella più antica. NAD e FAD fanno reazioni redox e il coenzima A, invece, interviene nel
metabolismo dei lipidi funzionando come trasportatore delle molecole lipidiche. Anche il coenzima
A ha l’adenina (non chiede le formule accanto).
- Dal punto di vista fisico, si parla dello spettro UV dei nucleotidi. Lo spettro di assorbimento degli UV
è diverso perché, a differenza delle proteine che assorbono a 280 perché hanno gli amminoacidi
aromatici, i nucleotidi assorbono tra 254 e 260 nm.
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immagini come questa (destra). Watson e Crick costruirono la loro doppia elica con bastoncini e palline per
rappresentare gli atomi e le basi azotate.
11.04.19
Le basi azotate furono poste
all’esterno per poter interagire
meglio. Questa era un’ipotesi di
Watson e Crick, ma essa non
rispondeva alle misure
sperimentali. L’unico modello che
rispondeva perfettamente era
quello con la doppia elica in cui le
basi azotate erano poste
all’interno, appaiate in base alle
regole di Chargaff (A-T, G-C con la
stessa quantità). Così la distanza
era giusta e l’appaiamento era su un piano perpendicolare alla doppia elica. I pioli, cioè le basi azotate,
erano legate all’ossatura dell’elica, che è formata dagli zuccheri con legame fosfodiesterico con P. La
distanza di un giro completo della doppia elica è di 3.4 nm e i due
filamenti sono polinucleotidi che, anziché essere una linea retta, si
avvolgono a elica (come per le proteine e i carboidrati, in cui, però, c’è la
cellulosa che rimane lineare per il suo legame particolare). I due filamenti
sono antiparalleli: uno è 5’->3’, l’altro 3’->5’ perché ciascun filamento è
un’elica destrorsa. Il fatto fondamentale è che il DNA sia la molecola
informazionale perché trasferisce informazione genetica da una
generazione all’altra: il requisito è che i due filamenti sono appaiati con
ponte a H e sono complementari. Quindi, le molecole biologiche, per
garantire il concetto molecolare della vita, devono essere capaci di
replicarsi e di avere un’attività enzimatica. Con la formazione di ponti a H,
si vede che tra C-G ci sono quelli più forti perché hanno tre ponti a H, tra
T-A ce ne sono, invece, due. Le forme predominanti sono quelle
chetonica e quella amminica: ammina che con legame a H interagisce con il gruppo chetonico in tutte le
basi.
La doppia elica può avere tre forme:
- B, che è quella più stabile ed è quella di Watson e Crick.
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- Z, che è sinistrorsa per la successione del legame fosfodiestero di alcuni nucleotidi ripetuti. Essa si
trova fisiologicamente in alcune regioni della molecola del DNA.
- A, che è più compatta e si ottiene nelle soluzioni povere di H2O.
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Come depositario
dell’informazione
genetica, si deve parlare
di DOGMA della
biologia molecolare, che
fu formulato nel 1958: il
flusso delle informazioni
nelle cellule di tutti gli organismi va dal DNA, attraverso la trascrizione, si passa all’RNA, che è un acido
nucleico, poi, con la traduzione, è tradotto in proteine. Il flusso segue la linea della freccia. Il DNA può
fungere da stampo per se stesso: durante la divisione cellulare, si duplica così che il corredo genetico sia
uguale a quello delle cellule figlie. Si tratta di una linea continua. Poi si hanno linee tratteggiate, cioè l’RNA
e poi si ha il flusso che da RNA va con una linea tratteggiata perché sono casi particolari. L’RNA va verso il
DNA perché è il caso della trascrizione inversa, con enzimi che lavorano in questo modo. Questo è il
funzionamento base del virus dell’HIV. Dal punto di vista biochimico: la replicazione del DNA prevede che,
nel momento della divisione cellulare, il filamento rosso, parentale, venga mantenuto e che faccia coppia
con un filamento di neosintesi. Si ha l’apertura della doppia elica e, visto che c’è il requisito della stabilità
che è quello dell’appaiamento complementare, quando la doppia elica si apre, un filamento funziona da
stampo. Si ottengono due molecole di DNA uguali a quella originaria. Il filamento stampo vada 3’->5’, il
filamento che cresce va 5’->3’ perché i sistemi enzimatici di tutti gli organismi viventi hanno il DNA e si vede
che la direzione di crescita del filamento è sempre in direzione 5’->3’. Ogni volta che un nucleotide si
attacca, si stacca un pirofosfato (parlando dell’ATP si è visto e l’idrolisi di questi legami libera energia
necessaria per il legame fosfodiesterico per legare il nucleotide alla catena in crescita). Si stacca il
pirofosfato perché i gruppi pirofosfato si idrolizzano da soli in due gruppi fosfato liberi, liberando ancora
energia. Questa è un’azione che permette e facilita la formazione del legame fosfodiestere, per cui serve
molta energia. La reazione in cui arriva il nucleotide, che si deve legare al filamento in crescita, dev’essere
supportata dal sito attivo di un enzima, cioè la DNA pol. Le DNA pol aggiungono nucleotidi alla catena in
accrescimento catalizzando il legame fosfodiesterico.
Delle DNA pol è stata risolta la struttura (è stata
cristallizzata) in presenza anche di DNA. Esse sono
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Dunque, c’è un canale in cui scorrono sia l’enzima sia il filamento. Man mano che la RNA pol si sposta, esce
un filamento di mRNA. La trascrizione non è fatta a tappeto su tutto il DNA, ma ci dev’essere un sito di
inizio garantito da interazione con promotori e uno di terminazione.
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La traduzione, invece, consente in modo regolare di tradurre il messaggio della successione di nucleotidi
nell’mRNA in proteina. C’è un’intermediazione, cioè l’intervento di una molecola di tRNA, che sono piccoli,
ma sono sempre molecole lineari di RNA che assumono una forma a uncino. Essi, nello spazio, hanno una
loro forma tridimensionale ed esse sono date dalla successione di basi azotate ed essi possono appaiarsi in
modo fedele, con meccanismo complementare (A-U, C-G). I tRNA sono intermediari perché, legati al
filamento dell’RNA, portano anche un amminoacido. Si tratta di un appaiamento che avviene con una
tripletta: se funzionassero con l’appaiamento di una sola base, allora porterebbero al massimo 4
amminoacidi diversi, ma si sa che, invece, che le proteine sono fatte da 20 amminoacidi diversi. Anche
l’appaiamento 2 a 2 non va, perché genera al massimo 16 diverse coppie. Quindi, bisogna passare a un
appaiamento a 3, perché dà 64 possibili combinazioni, con cui si ottengono i 20 amminoacidi, anzi, ne
avanzano. Per questo, il codice genetico è degenerato perché ci sono più triplette che codificano per lo
stesso amminoacido. Alcuni amminoacidi hanno più di una tripletta, come la serina che è codificata da
quattro triplette. Andando ad analizzare il codice genetico tra base azotate e amminoacido, si nota che la
terza posizione della tripletta è detta base vacillante, perché i meccanismi consentono di sbagliare su
quella posizione, così, anche se sbagliato, dà lo stesso amminoacido. Il codice genetico è universale, quasi.
Ci sono poi alcune triplette particolari, come AUG, che codifica per la metionina e in più è quella di inizio
della traduzione. Tutte
le proteine iniziano con
AUG. Poi, se serve,
rimane, sennò viene
rimossa. Come triplette
di terminazione, si
hanno: UAA, UAG e
UGA. Se si cerca il
triptofano, si vede che il
suo amminoacido è codificato da una sola tripletta e anche la metionina è codificata da una sola tripletta (o
anche codoni). Si trova elencata anche la percentuale di presenza nelle proteine degli amminoacidi: questi
valori non sono tutti uguali e quelli più usati sono quelli che hanno il codice genetico degenerato, mentre,
amminoacidi come serina e triptofano, sono in minor quantità, perché codificati da una sola tripletta.
Importante è che si formi il legame peptidico tra gli amminoacidi portati dal tRNA. Per questo, c’è il
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29.04.19
Dal punto di vista biochimico, è importante la formazione del
legame peptidico: il primo amminoacido è una formilmetionina
o una metionina (AUG), che è portato dal tRNA a cui è legato
covalentemente, si lega al ribosoma, viene affiancato dal
secondo amminoacido, e grazie all’attività catalitica del
ribosoma, i due amminoacidi interagiscono con il legame
peptidico. Si lega con il COOH, che, legato al tRNA, si trova in
una sorta di attivazione ed è questo COOH che si stacca dal
tRNA che interagisce con il gruppo amminico dell’amminoacido
entrante (sempre dall’N-terminale verso il C-terminale). Il tutto
avviene sui ribosomi che normalmente hanno due subunità,
grande e piccola. Oggi si ha la struttura tridimensionale: anche
se sono grandi, essi sono stati cristallizzati, sono complessi non
solo fatti da proteina, ma hanno anche RNA oltre alle proteine.
Ora si sa l’esatta forma dei ribosomi. Essi hanno una subunità
maggiore e una minore sia nei procarioti sia negli eucarioti. Le
due subunità interagiscono tra loro, legandosi. Di solito, le proteine grandi nella cellula hanno una
dimensione di 200 mila dalton, quindi sono molto più piccole dei ribosomi. Per la caratterizzazione, è
difficile usare dimensioni così grandi: allora sono usati altri termini, come il termina 70S (più è grande il
numero più la struttura sarà pesante e avrà una massa maggiore). La S sta per SVEDBERG, che è un
coefficiente. Questa denominazione dipende da una tecnica usata molto in passato per definire il PM di
grosse molecole o di aggregati come i ribosomi. La tecnica è quella
dell’ultracentrifugazione. Esistono delle ultracentrifughe che fanno
ruotare il rotore, cioè il cestello, a una velocità tale che aumenta la
forza di gravità. Se si usa la centrifuga ad alti giri allora vuol dire che si
aumenta l’accelerazione di gravità (si può andare a 1000 volte perché
le ultracentrifughe superano le 100.000 G, che è l’accelerazione di
gravità). Per separare i ribosomi dal resto dei componenti della cellula,
si usano ultracentrifughe che raggiungono anche i 300.000 G con cui si
fanno precipitare i ribosomi. Esse permettono di calcolare la velocità
impiegata dai ribosomi per precipitare. I ribosomi batterici sono 70S
perché sono più leggeri e precipitano con una velocità di
sedimentazione di 70S, mentre quelli eucariotici sono 80S. In questo
modo si possono anche classificare gli altri organelli della cellula. I
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ribosomi, a loro volta, sono fatti dalle due subunità, che, se studiate singolarmente, sono caratterizzate da
un numero+S: la minore è 30S, la maggiore è 50S nei batteri e il totale non è 70S, ma perché la velocità è
data dal peso e dalla forma e questo spiega la presenza di questa discrepanza. Negli eucarioti, invece, si ha
la maggiore di 60S e la minore di 40S. Osservando la composizione delle subunità, si vede che entrambe
sono fatte da proteine e da molecole di RNA, detto rRNA. La visualizzazione della struttura tridimensionale
fa vedere i tre tRNA ospitati nella subunità maggiore, sulla minore, invece, in marrone chiaro si vede la
molecola dell’RNA, con il nastro le strutture proteiche e in rosso c’è l’mRNA. Sulla subunità 50S, si vedono
36 proteine diverse in quelli dei procarioti, negli eucarioti ce ne sono 49 e ci sono molecole di rRNA. Nella
minore, invece, si ha l’RNA 16S nei procarioti ed è quello usato nella genomica per l’identificazione delle
specie batteriche. Negli eucarioti si ha il 18S.
Una volta avvenuta la sintesi proteica, sulle proteine neosintetizzate possono avvenire delle modifiche post
traduzionali. Alcuni esempi sono:
- Fosforilazione.
- Proteolisi, che avviene per l’insulina, che regola i livelli di glucosio nel sangue. Essa è sintetizzata
come proinsulina e poi subisce un evento post traduzionale di rimaneggiamento che prevede la
rimozione di una porzione facendo rimanere solo la catena alfa e una beta tenute insieme da ponti
disolfuri, che sono anche essi modifiche post traduzionali.
- Glicosilazione, per cui c’è una N (nell’asparagina) o una O glicosilazione.
Il destino delle proteine sintetizzate nei ribosomi varia in base al fatto se i ribosomi sono nel citosol e sono
destinate al nucleo o ai mitocondri e
cloroplasti. Il destino finale delle
proteine è contenuto in brevi
sequenze amminoacidiche in N-
terminale. Le proteine sintetizzate nel
RER, invece, hanno una sequenza
segnale che va dai 15 ai 30
amminoacidi localizzate nell’N-
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terminale e nella proteina matura questa sequenza è rimossa. Quando la proteina è sintetizzata nel RER (in
cui avviene la N-glicosilazione), allora essa rimarrà in quel compartimento.
C’è da ricordare che la cellula produce proteine sia per se stessa sia proteine che devono essere trasportate
all’esterno e tutte fanno il percorso RER -> Golgi -> membrana plasmatica. Le proteine che hanno gli
zuccheri come modifica post traduzionale
(glicosilazione) hanno questo percorso.
Dalla doppia elica di DNA bisogna arrivare ai
cromosomi fatti da DNA associato a proteine.
Il DNA è acido, quindi, nella sua associazione
con le proteine basiche, il legame con le
cariche negative è favorito. Prima della fase S,
il cromosoma ha la forma a X e ha due
cromatidi fratelli. Questa struttura è
abbastanza grande per la microscopia
elettronica, mentre la doppia elica si vede
con la diffrazione perché ha uno spessore di
20 A, cioè 2 nm. La doppia elica si avvolge agli
istoni che sono basici formando i nucleosomi,
formati da 8 proteine istoniche con struttura
globulare, e un DNA linker (H1). Il DNA si
avvolge sul nucleosoma, che, a loro volta, si addensano formando una struttura con una larghezza di 30
nm, che forma delle fibre che si avvolgono come una sorta di molla. Si passa a uno spessore di 700 nm, fino
alle dimensioni dei cromatidi visualizzabili in microscopia elettronica che hanno uno spessore di 1400 nm.
Questi cromosomi sono quelli usati per la definizione del cariotipo: esso è formato da cromosomi
metafasici.
METABOLISMO
Tutti i passaggi del metabolismo sono catalizzati da enzimi. La cellula, in qualche modo, una volta che ha il
suo pool di enzimi sintetizzati con la sintesi proteica, deve far in modo che non tutti siano attivi
simultaneamente perché sennò spenderebbe energia per sintetizzare molecole che diventerebbero il
substrato di vie metaboliche. Ci sono gli enzimi classici e quelli allosterici che sono quelli con struttura
quaternaria che dà a loro la possibilità di interagire con substrato e con altre molecole che hanno la
capacità di regolare l’attività di questi enzimi, spegnendoli o accendendoli. All’occorrenza la cellula può far
interagire enzimi e inibitori per bloccare reversibilmente una reazione perché dal punto di vista economico
la cellula non può distruggere gli enzimi che non necessita in quel momento: può effettuare un’interazione
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con l’inibitore (enzimi classici) o può inibire o attivare un enzima (per gli enzimi allosterici). Sono dei mezzi
di regolazione regolabili. Le vie metaboliche sono tante e accanto ai sistemi di inibizione ci sono diverse
interazioni che permettono agli enzimi di essere regolati. Le vie metaboliche sono fatte da tante tappe
catalizzate da un enzima e, nei punti iniziali, ci sono enzimi regolatori che stabiliscono, a livello delle tappe
da catalizzare, se una via deve partire o se dev’essere silenziata e bloccata. Una modalità è quella con gli
enzimi allosterici che è il modo più rapido e possono essere attivati o repressi. Gli enzimi allosterici possono
essere regolati da effettori o da fosforilazione. Un’altra modalità è quella con enzimi regolati da
modificazioni covalenti reversibili. Questa richiede più tempo per essere effettuata e le modifiche covalenti
sono quelle post traduzionali, soprattutto le fosforilazioni: ci sono enzimi fosforilati e così possono essere
attivi. Analogamente, questo P si può rimuovere, spegnendo l’enzima. La modifica covalente richiede più
tempo perché, affinché avvenga, ha bisogno che ci sia un altro enzima che catalizzi quella modifica
covalente, mentre, nell’allosterica, si ha un effettore e un enzima con una relazione che non richiede
l’intervento di nessun enzima. Ci sono esempi di modifiche post traduzionali delle proteine, come
fosforilazione, adenilazione, uridilazione, metilazione, ADP-ribosilazione, che possono avvenire negli
enzimi. Le fosforilazioni sono famose perché sono eventi che guidano la trasduzione del segnale nelle
cellule: nell’uomo, ad esempio, c’è una trasmissione del segnale che permette di collegare tutte le parti del
corpo. I segnali dall’esterno non entrano nella cellula (pochi
riescono) perché la membrana plasmatica che fa da barriera e su
di essa ci sono recettori facendo sentire il loro effetto nella cellula
fino al nucleo: tutto questo si chiama trasduzione del segnale in
cui gli enzimi sono fosforilati e a loro volta fosforilano altri
substrati che sono enzimi. Questa è la cascata della trasduzione
del segnale. La fosforilazione è catalizzata da enzimi di classe 2,
transferasi, che prendono il nome di chinasi. La chinasi strappa un P dall’ATP legandolo alla serina e
attivando la fosforilazione. Nella cellula ci sono chinasi che fosforilano con un meccanismo transferasico e
che, però, non ci devono essere solo chinasi, ma ci devono essere anche enzimi che rimuovono il P per far
ritornare l’enzima alla situazione originaria. Questi enzimi sono idrolasi (classe 3), e sono le fosfatasi.
Questa interazione, inoltre, è covalente e reversibile perché la fosforilazione avviene per chinasi che
addizionano il P, ma ci sono, nella cellula, le fosfatasi che lo rimuovono perché è l’enzima contrario.
Un’altra regolazione è quella degli enzimi attivati per proteolisi che porta alla rimozione di una catena
peptidica, essa è un processo covalente, ma non reversibile. Gli enzimi del sangue, ad esempio, sono
attivati in questo modo. Anche quelli della digestione. I primi sono secreti nel sito della formazione del
coagulo, mentre i secondi a livello intestinale. Quelli della digestione sono la chimotripsina, dal
chimotripsinogeno, e la tripsina, dal tripsinogeno, che tagliano le proteine ingerite con la dieta e, per
questo, sono attivati per proteolisi perché, se fossero attivi nella cellula che li ha prodotti (che sono a livello
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del pancreas esogeno), allora andrebbero a digerire la cellula che li produce e porterebbero a danni. Il
suffisso -nogeno deriva da zimogeno che era un termine indicante gli enzimi inattivi, che poi, con proteolisi,
si attivano. Questa attivazione richiede del tempo perché è necessario un enzima che catalizzi la rimozione
della porzione.
Poi si hanno gli enzimi che si associano o no a proteine regolatrici. Per essere disattivati, devono interagire
con proteine che li silenziano per l’arco di tempo della vita cellulare. Questo richiede tempo perché ha
bisogno che la cellula sintetizzi la proteina regolatrice.
Poi c’è un metodo usato per regolare il metabolismo usando isoenzimi, cioè forme multiple della stessa
attività enzimatica. Essi devono essere sintetizzati e, perciò, è un processo che richiede tempo. Gli isoenzimi
differiscono nella sequenza amminoacidica, ma catalizzano la stessa reazione e hanno parametri cinetici
diversi. C’è, ad esempio, la lattico deidrogenasi che è un enzima di classe I. Ne esistono 5 forme, cioè 5
isoenzimi, che fanno la stessa reazione enzimatica. Ciascun isoenzima è codificato da un gene differente. Gli
isoenzimi differiscono per efficienza catalitica, ad esempio, e spesso sono nello stesso distretto
dell’organismo, mentre altre volte sono in organelli diversi, perciò si possono avere isoenzimi citosolici e
altri nei cloroplasti, ad esempio. La lattato deidrogenasi presenta concentrazioni diverse in base allo stadio
in cui l’organismo si trova, anche se ha sempre 4 subunità, rappresentate con quadrati (che ha la lettera H
indicante il cuore, mentre il pallino indica isoenzima non del muscolo cardiaco, ma muscolare scheletrico).
Nell’organismo adulto, si vede che le forme LDH1e LDH2 prevalgono e sono quelle del tipo cardiaco. In
assenza di O2, le lattato deidrogenasi del muscolo cardiaco lavorano meglio e poi, dopo la nascita, quello
muscolare lavora con O2. Ciascuna forma isoenzimatica corrisponde a delle tacche che permettono di far
vedere come migrano diversamente in diversi distretti del corpo.
Lo studio di questo enzima è importante quando si vuole vedere la sua distribuzione in pazienti a rischio
infarto: se delle due bande si ingrossa quella del cuore, allora c’è stato un danno alle cellule del cuore che
rilasciano nel sangue la forma atipica. Quindi, è un sistema di screening rapido.
L’ultimo sistema è quello del controllo della regolazione enzimatica. In tutti i casi ci dev’essere un enzima
per far avvenire la reazione. Questo ultimo modo è quello che richiede più tempo perché questa
regolazione può avvenire a più livelli. Il controllo della concentrazione degli enzimi può essere fatto a livello
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della trascrizione del gene, durante la quale c’è il controllo della sintesi. Sulla molecola enzimatica può
avvenire il turn over con cui l’enzima è degradato a singoli amminoacidi. Richiede tempo perché prevede
trascrizione del messaggero e, poi, la traduzione.
Nella cellula ci sono diversi compartimenti che sono caratterizzati da vie metaboliche differenti.
30.04.19
METABOLISMO
Le piccole molecole devono essere ridotte nella fase finale del
metabolismo, detta catabolismo perché le macromolecole vengono
distrutte formando molecole semplici, come CO2, H2O e NH3,
liberando ammoniaca. Il catabolismo usa una serie di reazioni che
sono ossidazioni, soprattutto, perché gli atomi di C delle
macromolecole sono di solito allo stato ridotto e, via via nei vari
passaggi verso la decomposizione delle macromolecole, diventano
ossidati fino alla forma più ossidata che è la CO2, eliminata dal
nostro organismo. Tutto porta alla resa netta di energia. Nelle
cellule c’è anche l’altra parte del metabolismo che è l’anabolismo,
con cui le cellule mantengono i componenti cellulari intatti nella
cellula. Perciò, con l’anabolismo formano molecole complesse a
partire da molecole semplici. Queste sono reazioni di tipo riduttivo perché si parte da molecole semplici,
come NH3 e CO2, per poi arrivare a intermedi metabolici, arrivando a monomeri e, infine, a composti
complessi, che sono le macromolecole biologiche. Per fare le biosintesi, serve energia. In questo modo si
esaminano anche le vie centrali, che convergono a livello della via metabolica dei carboidrati. Un altro
termine usato è il metabolismo intermedio, con cui si esaminano quali sono le reazioni che interessano
l’ultima parte, cioè come gli intermedi metabolici vengono formati o degradati. Bisogna distinguere tra
autotrofi ed eterotrofi. L’energia che si ottiene dal catabolismo è energia chimica sotto forma di ATP e
coenzimi, che sono tutti ridotti, senza NAD+, ma c’è il NADH. Sono ridotti perché si ottengono da reazioni di
ossidazione (del catabolismo). Per ottenere le macromolecole, nel catabolismo, è usato ATP, che alla fine è
scisso in ADP e i coenzimi sono nella forma ossidata, come NAD, NADP. La via catabolica non ha una via
esattamente uguale e contraria nell’anabolismo perché sennò si formerebbero dei cicli futili, perché la
cellula demolirebbe subito ciò che va a formare. La cellula potrebbe scegliere la strategia di posizionare una
via catabolica nel mitocondrio e di posizionare la corrispondente via anabolica nel citosol così può usare gli
stessi isoenzimi, risparmiando energia, però le due vie non si disturbano perché sono in due organelli
diversi.
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La cellula deve usare l’ATP come energia chimica. L’ATP non è una riserva energetica, ma è una molecola di
scambio energetico. Le cellule non hanno dentro di loro grandi quantità di ATP, anzi quelli che hanno sono
piuttosto bassi e, se si prende una cellula muscolare, si vede che in pochi minuti essa, quando attiva,
consuma tutte le sue scorte di ATP, che viene scisso in ADP e P. Quando nelle cellule si hanno ADP e P, esse
possono sintetizzare ATP, la cui sintesi è la parte finale del metabolismo energetico. L’idrolisi di ATP dà
energia per far realizzare le reazioni endoergoniche, cioè non spontanee dell’anabolismo, cioè biosintesi. Le
attività che fanno le cellule e che hanno bisogno di ATP sono il movimento, il trasporto attivo e la biosintesi,
ad esempio. Anche la trasduzione del segnale ha bisogno dell’ATP. Si può ottenere ATP da ADP con
fotosintesi. Si è scelta l’ATP come molecola da un punto di vista evolutivo perché l’ATP è un nucleotide e
per i tipi di legami che vengono idrolizzati: gli ultimi due legami dell’ATP che portano alla liberazione del P
prevedono l’idrolisi di due legami di anidride, che libera tanta energia, e l’altro, l’ultimo gruppo P, è un
legame di tipo estereo. Per far avvenire reazioni, come la fosforilazione del glucosio, dentro la cellula non ci
sono vie specifiche per diverse molecole, ma tutte convergono nella via del glucosio. Nella via di
degradazione del glucosio, si passa da glucosio a glucosio 6-fosfato con un processo endoergonico. Quindi
la cellula non riuscirebbe a farlo spontaneamente, ma viene accoppiata all’idrolisi dell’ATP infatti, l’enzima
che catalizza la reazione sommatoria dei due processi, è una chinasi, che trasferisce il P dell’ATP sul
glucosio. Si ottiene un deltaG negativo, quindi un processo esoergonico. Da glucosio a glucosio 6-fosfato,
quindi, si ha un processo che diventa spontaneo perché ha un deltaG di -17. La struttura dell’ATP, in
particolare la reazione dell’ATP che perde l’ultimo P diventando ADP e P (reazione più diffusa), può avere
un deltaG, che è detto elevato potenziale del trasferimento del gruppo fosforico. Si ottiene tanta energia
per:
- Repulsione elettrostatica, perché nella struttura dell’ATP, i gruppi P hanno una carica positiva e
quindi già strutturalmente hanno problemi a stare vicini per repulsione. Allora, l’idrolisi del P
terminale è favorita perché c’è una repulsione elettrostatica. Di solito i nucleotidi nella cellula si
associano a ioni positivi per stare liberi nella cellula, le strutture reali quindi sono complessate col
magnesio. Idrolizzando il P e ottenendo ADP, la compensazione con il Mg riduce drasticamente la
repulsione.
- Stabilizzazione per risonanza, il gruppo P libero che si ottiene, viene stabilizzato da alcune strutture
di risonanza non possibili nel gruppo inserito nella molecola di ATP. Il doppio legame può risuonare
in tutte e quattro le posizioni quindi nel momento in cui gli elettroni nel doppio legame risuonano si
ha una struttura stabilizzata per risonanza.
- Stabilizzazione per idratazione, per cui le molecole di acqua si dispongono, di solito, intorno agli
elettroni. Se si ha una molecola che si divide in 2, allora le
molecole di acqua idratano queste due parti della molecola di
ATP che si è scissa.
69
L’ATP si colloca, con i suoi -30,5 KJ, a metà e questo spiega come mai nelle cellule non funziona come
riserva, ma come scambio: nella cellula sono molte le reazioni ATP->ADP e contrario. Effettivamente, più in
alto dell’ATP, si hanno composti come fosfoenolpiruvato. Addirittura, la stessa idrolisi dell’ATP, libera più
energia quando si liberano entrambi i gruppi P. Anche per queste molecole, l’idrolisi del P, corrisponde a
una condizione più stabile della molecola. Quando si perde il P, il gruppo COOH che lo portava, con il suo
doppio legame, è libero di stabilizzarsi per risonanza facendo risuonare il doppio legame. C’è anche l’acetile
legato al CoA, che, una volta liberato, porta ad avere un gruppo COOH che si stabilizza per risonanza. Infine,
si ha la fosfocreatina, che è più complessa, e si ha, dopo la liberazione del P, la stabilizzazione per risonanza
del doppio legame non con l’ossigeno, ma con l’azoto.
TURNOVER DELL’ATP
Per un uomo di peso medio vengono consumati di solito 40 chilogrammi di ATP, che è una quantità enorme
e la velocità con cui viene consumato e rigenerato è di un chilo e mezzo all’h a riposo con il metabolismo
basale e 10 volte di più durante intensa attività. La vita media dell’ATP è molto breve. Come riserva
energetica, invece, c’è la fosfocreatina, che si trova molto nel muscolo (10 o 30 millimolare nei muscoli,
cioè 10 volte più concentrata dell’ATP delle cellule muscolari). Essa funziona come riserva perché è a un
livello più alto dell’ATP e avrà un potenziale di trasferimento del P più grande. Staccando il P, può andare
sull’ADP e può rigenerare l’ATP. La creatina si stocca come fosfocreatina nelle cellule poi si ha la creatina
chinasi, che trasferisce il P dalla fosfocreatina all’ADP, dando ATP e creatina (deltaG negativo).
Il grafico fa vedere come il nostro organismo,
quando in attività, usa le risorse energetiche. In
ascissa si ha una scala temporale e in ordinata si
ha il contenuto energetico: l’energia data
dall’ATP è in rosso ed è consumata in pochi
secondi, poi si vede che dopo comincia a essere
usata come energia la cretina fosfato che copre
il fabbisogno energetico dell’organismo quando
l’ATP è già consumato. Intanto, si comincia ad
avere una linea verde che è del metabolismo anaerobico, come la glicolisi che avviene nei muscoli.
All’inizio, essa non dà molta energia, ma non ce n’è bisogno perché si hanno ATP e creatina P. Poi, diventa
predominante. Poi comincia la linea nera che è del metabolismo aerobico: nel passaggio evolutivo da
organismo che avevano solo metabolismo anaerobico a quelli che possono usare O atmosferico, c’è stato
un grande salto di qualità. La linea nera, infatti, sale più in alto del metabolismo anaerobico, che invece si
stabilizza a un livello medio di energia, mentre la nera sale perché il metabolismo aerobico è più efficiente
70
nel produrre energia. Nelle prime fasi di un’attività muscolare lavora, però, prima quello anaerobico e non
aerobico perché si deve aspettare che alle cellule arrivi l’ossigeno.
Alcune vie metaboliche hanno alcuni passaggi
regolati dalla carica energetica. Ci sono, infatti,
enzimi allosterici che hanno siti di legame che
riescono a sentire la presenza dell’ATP come
effettore allosterico e possono avere un effetto
positivo o negativo sulle vie metaboliche. La carica
energetica è un numero che va da 0, quando non si
ha ATP, ma si ha adenosin monofosfato, a 1,
quando si ha tutto ATP. Il numero si ottiene
rapportando la concentrazione dell’ATP più un mezzo della concentrazione dell’ADP (perché nonostante
abbia una capacità ridotta, può, comunque, rilasciare P) fratto la concentrazione di ATP, più ADP più AMP.
Nel grafico, si trovano elementi importanti: esso ha in ascissa la carica energetica e in ordinata la velocità
con cui avvengono le vie metaboliche, con la linea rossa e blu distingue tra le vie cataboliche, che fanno
ATP, e quelle anaboliche che la consumano. Quando si ha 0 di carica energetica, allora aumenta la velocità
delle vie cataboliche. Mentre sono al minimo le vie anaboliche, di biosintesi. Man mano che la carica
energetica cresce, allora fa sentire il suo effetto regolatorio con cui si diminuisce la velocità dei processi che
fanno ATP e diventa minima quando si arriva a carica energetica 1, quando si ha ATP. Ovviamente, è
massima la velocità dei processi anabolici quando si ha tutto ATP. Si ha un punto di intersezione che è una
sorta di effetto tampone perché quando si arriva a una carica energetica di 0,9 funge da tampone perché la
cellula è in equilibrio. Con una carica di 0 allora la cellula non può sintetizzare e, anzi, deve consumare ciò
che produce dall’esterno per produrre energia. Se hanno carica di 1, invece sono attivate le vie che
sintetizzano. L’equilibrio tra vie anaboliche e cataboliche è a 0,9.
Viene messo in evidenza la parte del metabolismo e si vede il destino
delle sostanze introdotte con la dieta. Queste vie sono tipiche di tutti gli
animali che hanno un sistema digerente, ma anche le singole cellule
messe in un terreno di coltura, assorbono le sostanze nutritive, come
grassi, demoliti ad acidi grassi e glicerolo, polisaccaridi, demoliti a
glucosio, e proteine, che sono demolite ad amminoacidi. Tutte queste vie
convergono sull’Acetil Coa, che ha grande potere di trasferimento del
CoA. Il CoA entra nel ciclo dell’acido citrico, il C è ossidato a CO2 e poi si
ottengono i coenzimi ridotti, i cui elettroni entrano nella fosforilazione
ossidativa, che è tipica solo degli organismi aerobi che interagiscono con l’O2 molecolare riducendolo a
H2O ottenendo ATP. I coenzimi ridotti, quindi, sono molto importanti perché sono capaci di trasferire gli
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elettroni. Il NAD (nicotinamide adenin dinucleotide) è fondamentale e ha il gruppo della nicotinammide che
ha un atomo di N nell’anello che ha la carica positiva ed ecco perché nelle reazioni si scrive NAD+ che è
quello che è ossidato e interviene nelle redox ricevendo su sé stesso gli elettroni, riducendosi. Ogni
molecola di NAD riceve il trasferimento di uno ione idruro. Quindi si avrà il NADH e di solito si scrive NADH
H+ perché accoglie solo un H. Il gruppo OH in posizione 2’ può essere fosforilato nella forma del NADP, cioè
NAD fosfato. Quindi, per quanto riguarda gli enzimi piridinici, si ha NAD+ che è il principale accettore di
elettroni nelle ossidazioni, e poi si ha il NADP che è il protagonista delle vie anaboliche, che essendo
riduttive, sarà il NADPH a entrare nelle reazioni di riduzione trasformandosi in NADP ossidato.
L’ultimo coenzima che entra in gioco perché trasportatore di elettroni è il FAD, con due forme (FAD e FMN).
Questi enzimi flavinici non sono liberi nella cellula, a differenza di NAD e NADP, cioè enzimi piridinici che
interagiscono con gli enzimi ossidoreduttasici solo quando devono catalizzare l’ossidazione. I coenzimi
flavinici, invece, interagiscono strettamente con gli enzimi con cui lavorano: alcune volte è un’interazione
debole e a volte sono legati covalentemente all’enzima. La differenza ulteriore al NAD è quella che, se il
NAD si riduce diventando NADH + H+, ricevendo solo un H, il FAD, invece, riceve entrambi gli idrogeni
diventano FADH2 e si ha anche FMNH2.
L’adenosina c’è nel FAD, nell’ATP, nel CoA e nel NADH. Perciò tutti i coenzimi hanno il nucleotide
adenosina: è un’analogia presente.
02.05.19
GLICOLISI
Si tratta del meccanismo con cui il glucosio, che è usato per ricavare
energia, viene convertito ad ATP: è la via che decompone il glucosio.
Ogni organismo sa usare il glucosio ed è la via che evolutivamente è
comparsa per prima: sono coinvolti 10 enzimi perché ci sono 10
tappe. Alcuni di questi enzimi sono i più antichi evolutivamente e si
sono mantenuti in tutte le specie. Si tratta di una via catabolica con
cui il glucosio è decomposto a piruvato, non a CO2, quindi da 6 atomi
di C si arriva a 3 atomi di C. Essa appartiene alla categoria delle
ossidazioni. Il piruvato, infatti, è più ossidato rispetto al glucosio.
Accanto c’è una via alternativa che è quella del ciclo dei pentoso fosfati con cui si arriva a uno zucchero a 5
atomi di C, cioè il ribosio 5-fosfato. La freccia verso l’alto rappresenta com’è possibile stoccare le riserve di
glucosio nella cellula perché, visto che esso è importante, le cellule hanno imparato un sistema per poter
accumularlo al loro interno per usarlo quando necessario. Le due forme di deposito sono il glicogeno e
l’amido. Entrambi sono polimeri di glucosio definiti omopolisaccaridi, cioè fatti solo da glucosio. Entrambi
sono ramificati e il primo lo è di più del secondo. L’amido è nei vegetali, mentre il glicogeno è nelle cellule
animali. Non si usa il glucosio da solo perché è uno zucchero riducente perché la posizione 1’ è quella
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riducente, quindi, è molto reattivo. Quindi, le piante usano il saccarosio che è un disaccaride non più
riducente perché blocca le posizioni riducenti del glucosio e del fruttosio.
Nel nostro organismo, ci sono tessuti che
sintetizzano glucosio e ci sono quelli che,
invece, lo usano come fonte di energia
primaria. I primi sono i globuli rossi che
non hanno organelli e per funzionare
usano solo la glicolisi. Poi c’è il cervello e
il tessuto nervoso che usano il glucosio.
Anche i muscoli, che, preferenzialmente,
usano la glicolisi come fonte primaria di E
in seguito a una loro contrazione, poi
usano anche altre molecole se la richiesta energetica va avanti. Ci sono anche tessuti che sintetizzano il
glucosio, come il fegato, che è la centrale metabolica (cervello sede degli impulsi). Quindi, nel fegato
avvengono le vie metaboliche. Il fegato sa sintetizzare il glucosio e, poi, c’è la parte della corticale dei reni
che sintetizza glucosio. La via opposta alla glicolisi è la gluconeogenesi, con cui si genera il glucosio. Tutte le
altre cellule devono internalizzare il glucosio dall’esterno con la dieta. Nella foto è rappresentata la via che i
nutrienti compiono quando vengono internalizzati. Si introducono polisaccaridi sotto forma di amido e
cellulosa, poi si introduce saccarosio (latte e zucchero) e si vede che a livello della bocca c’è una prima
digestione dell’amido, con la saliva (alcuni suoi legami vengono scissi), ma al lattosio, al glucosio e alla
cellulosa non succede niente. Nello stomaco, gli enzimi della saliva sono inibiti dal suo pH acido, poi si va
nell’intestino in cui, nella prima parte, avviene il grosso contributo alla digestione completando la
digestione con amilasi rilasciata dal pancreas esocrino che riversa il suo succo pancreatico nell’intestino (ha
tante idrolasi che degradano). Poi la digestione si completa sulle pareti dell’intestino non assorbendo
polisaccaridi, ma assorbendo gli zuccheri semplici. Quindi, sulla membrana rivolta al lumen intestinale, ci
sono enzimi che digeriscono i disaccaridi. A quel punto, l’intestino può assorbire glucosio come
monosaccaride, il fruttosio e il lattosio, mentre la cellulosa non viene degradata e digerita per il legame
beta 1,4 e non alfa 1,4. La cellulosa transita nell’intestino, arrivando nel crasso, in cui c’è una grande
quantità di microbiota, che vivono in simbiosi con le cellule del nostro corpo. Quando arriva nell’ultima
parte dell’intestino, essa è degradata dai batteri intestinali che la usano come fonte energetica, mentre il
resto è eliminato con le feci. Sull’intestino si ha la vena porta che raccoglie tutto il materiale assorbito a
livello intestinale e va al fegato, così, con la vena porta, gli zuccheri arrivano al fegato ridistribuendosi a
tutti i distretti con l’ausilio della circolazione. Il glucosio è una molecola polare che circola liberamente nel
sangue. Questo è un concetto importante per i diabetici, che devono mantenere costante il livello di
glucosio nel sangue. Mantenere costante il livello di glucosio nel sangue è fondamentale perché le cellule
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non lavorano senza glucosio e la glicolisi è la via comune a tutte le cellule del nostro organismo. Tutte
hanno bisogno di glucosio per prendere ATP. In particolare, alcune dipendono esclusivamente dal glucosio.
La concentrazione di glucosio deve mantenersi costante e proprio per questo, quando si è lontano dai pasti,
la quantità di glucosio nel sangue chiaramente diminuisce. A questo punto entra in gioco il fegato con le
sue riserve di glucosio. Il fegato, infatti, può sintetizzare glucosio a partire da sorgenti non saccaridiche. Per
noi funziona nei periodi di digiuno o tra un pasto e l’altro.
La molecola del glucosio ha
6 atomi di C e tanti H, è
polare ed esso entra nelle
cellule, che hanno una
membrana plasmatica di
natura lipidica: per
entrare, il glucosio deve
avere un trasportatore
specifico. Esso usa un trasportatore, un carrier, con un sito rivolto verso
l’esterno, esso interagisce con il glucosio, c’è, poi, una variazione
conformazionale che fa transitare il glucosio dentro la cellula. Ricorda un
po' le interazioni degli enzimi con i loro substrati. Ovviamente non esiste
un solo trasportatore, ma ce ne sono tanti differenti nella sequenza amminoacidica (isoforme diverse), ma
con struttura tridimensionale uguale. Di queste isoforme si ricordano diversi trasportatori identificati con
GLUT seguiti da diversi numeri. GLUT1 e GLUT3 trasportano sempre il glucosio, GLUT2 ha una costante con
valore più alto, quindi è meno affine e si attiva solo dopo i pasti quando il glucosio nel sangue sale molto.
GLUT4, invece, è regolato dall’insulina e normalmente, anziché essere posizionato sulla membrana
plasmatica, è contenuto in vescicole che migrano sulla membrana solo in seguito al segnale dell’insulina.
Quindi si aumentano il numero di trasportatori di glucosio e l’insulina serve per far diminuire il glucosio nel
sangue. Il GLUT5, invece, è affine al fruttosio e non al glucosio. Ciò deriva dal fatto che si introducono molti
frutti che contengono zuccheri e quindi si hanno i trasportatori specifici. A livello intestinale, il glucosio
arriva nelle cellule intestinali entrando senza il trasportatore del glucosio, ma con quello del Na. Poi, sulla
membrana rivolta verso il sangue, si trova il GLUT2, che è il trasportatore del glucosio, che, così, entra in
circolo.
La glicolisi ha 10 tappe con cui il glucosio è convertito in piruvato, che è un acido con COOH, un gruppo
chetonico e un CH3 (COOH-C=O-CH3). Il piruvato può avere destini diversi come l’ossidazione completa a
CO2 e H2O con l’interazione con O2 molecolare oppure il piruvato va in fermentazione in assenza di O2.
L’altra freccia che riguarda la fermentazione è quella che avviene nelle cellule muscolari che usano per lo
più glucosio. Esse non si fermano a piruvato e fanno la fermentazione lattica e non alcolica. Quindi le cellule
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muscolari riescono a fare la fermentazione lattica facendo acido lattico. Le 10 tappe sono divise in due
momenti:
- Una fase stadio I o fase preparatoria in cui viene consumato ATP perché il glucosio è preparato alla
sua decomposizione a piruvato.
- Stadio II in cui il glucosio non è più a 6 atomi di C, ma è fatta da due molecole a 3 atomi di C.
Questa è la fase in cui si recuperano le molecole di ATP. Questa è la fase di recupero in cui ogni
molecola di gliceraldeide 3-fosfato recupera 2 ATP, quindi si ha un guadagno di 4 molecole di ATP.
Dal glucosio, con la glicolisi, si ottengono due molecole di ATP.
75
06.05.19
Ci sono anche reazioni irreversibili
insieme a quelle reversibili, ed ha
un'importanza per la via contraria della
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glicolisi cioè la gluconeogenesi. In questo processo intervengono le reazioni reversibili. Il piruvato può avere
2 destini:
- Ossidazione completa a CO2 e H20 che si ha con interazione con O2.
- Fermentazione in assenza di ossigeno (si ottiene etanolo o lattato, fermentazione alcolica o
lattica).
- Dal glucosio si ottiene glucosio-6 fosfato (fosforilazione): viene trasferito il gruppo fosfato in
posizione 6 e si consuma una molecola di ATP. L’esochinasi ha bisogno di Mg2+ per poter
funzionare, infatti, il vero substrato di reazione è MgATP2-.
- Dal glucosio 6-fosfato (aldoso) si ottiene fruttosio-6-fosfato (chetoso) grazie all’enzima
fosfoglucosio isomerasi che compie una reazione reversibile.
- Dal fruttosio 6 fosfato si ottiene fruttosio 1,6-bifosfato: l’enzima fosfofruttochinasi (enzima di
classe 2) aggiunge il gruppo fosfato in posizione 1. Questa reazione ha una regolazione
allosterica e, soprattutto, è considerata irreversibile.
- L’aldolasi (enzima di classe 4, liasi) scinde la molecola del fruttosio 1,6-bifosfato in due
molecole che sono il diidrossiacetone fosfato e la gliceraldeide 3-fosfato. C’è un punto in cui
l’anello viene tagliato a metà e aprendo la molecola rimane in alto una molecola e in basso una
molecola con gruppo aldeidico nuovo. Questa reazione è facilmente reversibile, nonostante
abbia una variazione dell’energia libera positiva, quindi non spontanea. Inoltre, con l’uso di
triosio fosfato isomerasi, è possibile convertire reversibilmente il diidrossiacetone fosfato a
gliceraldeide 3-fosfato, e vicerversa.
L’importante è ricordare la classe a cui appartiene l’enzima e il gruppo che trasferisce (es. fosfato), ma non
per forza il nome di esso: nella prima tappa la reazione è catalizzata dalle esochinasi. Nella seconda tappa
l’enzima catalizza la trasformazione del glucosio 6 fosfato nel suo isomero ed è di classe 5 (si ottiene un
anello a 5 atomi anziché 6).
Un metodo semplice per regolare l’attività enzimatica è usare enzimi allosterici, come l’esochinasi e la
fosfofruttochinasi. Importante è ricordare la classe a cui appartiene l’enzima e il gruppo che trasferisce
(esempio fosfato), ma non per forza il nome di esso: nella prima tappa la reazione è catalizzata dalle
esochinasi. Nella seconda tappa l’enzima catalizza la trasformazione del glucosio 6 fosfato nel suo isomero
ed è di classe 5 (si ottiene un anello a 5 atomi anziché 6). Per scrivere gruppo fosfato è sufficiente scrivere
P.
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PUNTI DI REGOLAZIONE
Un'altra chinasi è la fosfofruttochinasi. Essa è formata da più subunità ed è ricca da siti allosterici e
catalitici. Andando a vedere il suo grafico, si vede una curva in rosso sigmoide e una curva verde simile a
un’iperbole (come l'altra chinasi). Nel caso di alta concentrazione di ATP si ha una curva sigmoide e l’enzima
funziona da inibitore allosterico. L'ATP è il prodotto della glicolisi. La concentrazione definisce la carica
energetica. Quindi il fatto che questo enzima sia regolato dall’ATP significa che la glicolisi è regolata dalla
carica energetica. Quando la carica energetica è alta (tanto ATP), la cellula non ha bisogno di investire sulla
glicolisi per ottenere altro ATP, quindi la molecola dall’ATP funziona da inibitore allosterico e fa allontanare
la curva sigmoide dall’asse delle y, e si deve avere una quantità più alta di substrato per avere la stessa
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attività enzimatica. Invece se la carica energetica è bassa (poco ATP), la curva sigmoide si sposta verso
l’asse delle y e lavora molto più efficientemente.
Andando avanti con le tappe, andiamo alla quinta tappa, dopo aver prodotto le due molecole di tre atomi
di carbonio, interviene un'isomerasi (classe V) chiamata triosio fosfato isomerasi, che è capace di
convertire le due forme (gliceraldeide 3-fosfato e diidrossiacetone fosfato). Serve per una certa economia,
per trasformare l'acetone in gliceraldeide. Questo enzima fa sì che i passaggi successivi della glicolisi si
concentrino tutti sulla gliceraldeide-3-fosfato.
Fase II, detta fase di recupero, con altre 5 reazioni, concentrate sulla gliceraldeide.
Il primo passaggio è di nuovo all'equilibrio e reversibile ed è un passaggio ossidativo, catalizzato
da gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi (enzima redox di classe I), che utilizza il coenzima NAD e lo fa
diventare NADH, controbilanciando l’ossidazione del gruppo aldeidico e trasformando la gliceraldeide
in acido 1,3-bisfosfoglicerato (tutte le reazioni avvengono nel citosol). Particolare è perché nel meccanismo
di azione compare il meccanismo piridinico, ma anche il fosfato inorganico. Essa è capace di lavorare con il
fosfato sia con l'arsenato, stessa colonna tavola periodica. Si tratta di un enzima molto antico. L’enzima
prevede l’intermedio di un gruppo fosfato ed è un enzima antico dal punto di vista filogenetico.
Il secondo passaggio è catalizzato da fosfoglicerato chinasi che utilizza ADP che forma ATP. Il substrato
diviene da 1,3-bifosfoglicerato a 3- fosfoglicerato. Si ottiene quindi una molecola di ATP, ed è avvenuta una
fosforilazione a livello del substrato. Quindi il substrato cede il suo P all’ADP.
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Quando c'è qualcosa che danneggia le cellule, come una condizione tumorale, ciò intacca le concentrazioni
di enolasi e di gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi. Come enzima, l'enolasi subisce modifiche post
traduzionali come fosforilazioni. Enolasi modificate appaiono in alcune cellule tumorali, quindi possono
essere dei biomarker per le malattie. Proteine moon-lighting (chiaro della luna) che hanno più di una
funzione in condizioni differenti.
Ultimo stadio è catalizzato dalla piruvato chinasi (trasferasi irreversibile) che, utilizzando una molecola di
ADP più un protone, converte il fosfoenolpiruvato in piruvato con il rilascio di ATP. Si tratta di una tappa
regolativa.
Per ogni molecola di glucosio, si ottengono due molecole di piruvato, 4-2 molecole di ATP, quindi resa netta
è 2, si rilascia anche 2 molecole di NADH, che è il coenzima piridinico ridotto e si ottengono dalla reazione
redox.
Ecco cosa succede al piruvato, che può essere completamente ossidato, e l’Acetil coA. Invece se si rimane
dentro il citosol, senza sfruttare ossigeno, allora si ha:
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Gli step della fermentazione vengono studiati non tanto per ciò che producono, ma perché viene prodotto
NAD+ e nei nostri muscoli il piruvato viene trasformato in acido lattico. Questa trasformazione fa sì che il
NADH venga convertito in NAD+ ossidato. Quindi, la fermentazione non è importante per la formazione di
acido lattico, ma perché consente di rigenerare il NAD+ ossidato e di rendere indipendente il flusso della
glicolisi dai coenzimi pirimidinici. La lattato deidrogenasi (classe 1) va a ridurre l’acido piruvico (cambia
l’atomo di carbonio 2) in acido lattico e si ottiene una molecola di NAD+ ossidato usato per la glicolisi.
Succede lo stesso per la fermentazione alcolica, ma c’è uno step in più con una piruvato decarbossilasi,
l’acetaldeide diventa alcol e l’enzima alcol deidrogenasi porta alla formazione di etanolo. Quindi, le
fermentazioni sono i destini in assenza di ossigeno, dette glicolisi anaerobiche, ma la glicolisi non avviene
normalmente con l'ossigeno. Il significato della fermentazione è la produzione di NAD+. Le cellule muscolari
in contrazione svolgono la glicolisi in condizioni anaerobiche producendo piruvato, questo viene
trasformato poi in acido lattico. Questa trasformazione fa sì che venga consumato del NADH e questo
venga riconvertito in NAD+ ossidato. La glicolisi così può essere continuata grazie alla produzione di NADH.
La fermentazione quindi rende indipendente la glicolisi perché genera il NAD+.
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07.05.19
Delle dieci reazioni della glicolisi, solo tre sono irreversibili: quella della piruvato chinasi, della
fosfofruttochinasi e della esochinasi. Queste reazioni sono catalizzate da enzimi allosterici. Per quanto
riguarda l’attività della fosfofruttochinasi, si deve focalizzare l’attenzione su ciò che succede a livello
muscolare, dato che i muscoli necessitano della glicolisi soprattutto quando entra in un’azione di scatto.
Nella cellula muscolare c’è un pochino di ATP che però è una molecola di scambio, non di riserva. Dopo
aver consumato l’ATP, si consuma il deposito di creatina fosfato e poi, per ricavare l’ATP per la deposizione,
si usa l’ADP fatto dalla glicolisi. Accanto a ciò che succede a livello di muscolo, bisogna vedere ciò che
succede nel fegato, che è la principale centrale metabolica. Il fegato ha il ruolo importante di fare la
gluconeogenesi che è la via contraria alla glicolisi (insieme ai reni).
A livello muscolare, la regolazione sulla fosfofruttochinasi dipende dalla concentrazione dell’ATP e quindi
dall’attività muscolare. Quando il muscolo è a riposo, quindi quando c’è tanto ADP, cioè carica energetica
(rapporto tra ATP e AMP), si va a inibire la glicolisi. Il segno + è accanto a molecole che hanno un effetto
positivo, - quando sono inibenti. Nel muscolo in attività, la bassa carica energetica va ad attivare la
fosfofruttochinasi. Nel muscolo a riposo, visto che la fosfofruttochinasi è inibita, allora si accumula del
fruttosio 6-fosfato e quindi anche glucosio 6-fosfato e, parlando dell’esochinasi, che è il primo enzima della
glicolisi, essa è inibita dal suo prodotto, quindi il fatto che la carica energetica inibisca la fosfofruttochinasi
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ha un effetto diretto su quest’ultima e uno indiretto perché fa accumulare tutto ciò che sta a monte (si
accumula glucosio 6-fosfato, che inibisce anche l’esochinasi). Il terzo enzima che può essere regolato è la
piruvato chinasi: la carica energetica elevata lo va a inibire impedendo il passaggio da fosfoenolpiruvato a
piruvato. Invece, per la carica energetica nel muscolo in attività, la bassa carica ha effetto contrario sulla
fosfofruttochinasi attivandola, e, a sua volta, il prodotto della fosfofruttochinasi, ha una freccia verde
positiva che attiva la piruvato chinasi. La glicolisi, quindi, è stimolata e non si hanno effetti sulla esochinasi
perché, anche se è il primo enzima della glicolisi ed è quella che attacca P al glucosio, non decide se il
glucosio prenderà la via della glicolisi per essere degradato, perché produce anche il glucosio 6-fosfato può
essere depositato nella cellula sotto forma di glicogeno. Quindi, l’esochinasi non è l’enzima fondamentale
per accendere o no la glicolisi, invece è la fosfofruttochinasi ad essere fondamentale. I passaggi intermedi
hanno enzimi che non hanno attività regolatoria per la glicolisi.
Nel fegato, invece, si ha l’esochinasi IV che non è inibita dal G6P e, quindi, anche se la glicolisi non è
incentivata, la glucochinasi continua a funzionare perché insensibile alla quantità del G6P. Il fegato può
stoccare il G6P come glicogeno. Poi la regolazione si complica: il fegato, infatti, deve essere una centrale
metabolica controllando la concentrazione di glucosio
nel sangue. Nel fegato è stata scoperta questa
regolazione da parte di una molecola, che è simile a un
intermedio della glicolisi perché è il fruttosio-2,6-
bifosfato, che non è una molecola intermedia, ma funge
da regolatore, effettore, ligando che va a interagire con
enzimi allosterici. Quindi, la cellula ha fatto economia. Il
F-2,6-BP attiva la fosfofruttochinasi, che ha tanti siti
allosterici quindi interagisce con diverse molecole.
Nel grafico si ha una curva a S in cui c’è l’attività della fosfofruttochinasi: sulle ascisse
c’è la concentrazione del substrato e si vede che, senza il regolatore, allora la curva è
quella rossa. Man mano che nel fegato il F-2,6-BP allora la curva si sposta verso l’asse
delle y diventando più efficiente e affine con un effetto attivante.
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1,6-BP in maniera allosterica e quest’ultimo ha un’attività stimolante. Il F-1,6-BP e ATP fungono da effettori.
Oltre alla regolazione allosterica, c’è anche una modifica covalente su un enzima allosterico. Questo
meccanismo rende più fine il funzionamento della piruvato chinasi. Essa ha un P senza specificare il residuo
amminoacidico con questa fosforilazione, ma è un unico gruppo fosfato e la piruvato chinasi fosforilata è
poco attiva. Mentre, senza la modifica covalente, è più attiva. Per rimuovere la modifica covalente, agisce
una idrolasi (classe III), per favorirla, invece, lavora una chinasi (classe II). La piruvato chinasi è una chinasi
che viene regolata da un’altra chinasi. Questa modifica covalente, che si fa sentire in particolare a livello del
fegato, svolge il suo ruolo soprattutto nel fegato e dipende dalla concentrazione del glucosio nel sangue: se
alta, allora viene rimossa la modifica covalente e la piruvato chinasi è attiva, se è bassa la concentrazione di
glucosio ematico, allora la fosforilazione è favorita ed essa blocca la piruvato chinasi perché, se nel sangue
si ha poco glucosio, il fegato non può investire sulla glicolisi.
A questo punto, si deve vedere la via metabolica contraria alla glicolisi e si è facilitati perché gli intermedi
sono gli stessi. Essa si chiama gluconeogenesi. Le frecce vanno dal basso verso l’alto perché è il processo
inverso della glicolisi: da piruvato a glucosio. Ovviamente, i passaggi che erano reversibili continuano a
essere gli stessi con la doppia freccia. La gluconeogenesi, con tutti gli step, da piruvato a glucosio, avviene
solo nel fegato e in parte nei reni. I passaggi interni, quelli che sono rappresentati in azzurro e che sono le
tappe reversibili, avvengono in tutte le cellule e sono gli stessi enzimi della glicolisi. Glicolisi e
gluconeogenesi si realizzano nel citosol e i loro enzimi sanno fare le varie reazioni lavorando all’equilibrio: si
lavora in un verso o nell’altro in base alla concentrazione dei reagenti nel citosol. Se è attiva la
gluconeogenesi, allora si lavora in senso contrario regolando in base alla presenza del substrato. Si tratta
della classica reazione di Michaelis-Mentel. Ovviamente, non ci sono quelle tappe irreversibili della glicolisi
che non possono avvenire. Ci sono, quindi, enzimi alternativi che servono a superare quell’ostacolo. Questi
enzimi sono a loro volta enzimi che lavorano in modo irreversibile. Nelle ultime due tappe, ad esempio, c’è
la glucosio 6-fosfatasi che è tipico di questo processo. Quindi, le cellule, per evitare di rimanere bloccate
negli equilibri delle tappe interne, investono sulla regolazione degli step irreversibili decidendo se attivare
la glicolisi o la gluconeogenesi.
Si parte dal fondo e si deve capire qual è il significato di gluconeogenesi. Essa produce glucosio e lo fanno
solo reni e fegato perché fare il glucosio, per un organismo eterotrofo come il nostro, si deve partire da
molecole che sono differenti dallo zucchero perché devono soddisfare il requisito del glucosio. L’organismo
cerca di fare il glucosio perché bisogna mantenere costante il tasso di zucchero. Non lo si può fare da
molecole zuccherine se non ci si sta nutrendo.
- Il glucosio è fatto da amminoacidi, cioè da macromolecole proteiche. I singoli amminoacidi
possono entrare nella gluconeogenesi. Possono essere convertiti in ossalacetato. Non si ha un
enzima che possa fare al contrario direttamente la reazione da acido piruvico (COOH-C=O-CH3) in
fosfoenolpiruvato. Si deve passare da uno step intermedio. Quindi, si vede che da piruvato si va a
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citosol (NAD+ a NADH+H+). Poi esso è convertito in fosfoenolpiruvato. La reazione che lo converte
in fosfoenolpiruvato è la carbossichinasi interagendo, anche, con la GTP. Per prendersi il P, stacca il
COOH che viene staccato sotto forma di CO2. In questo modo è superato il primo scoglio della
gluconeogenesi. Da fosfoglicerato a bifosfoglicerato si consuma ATP. Poi c’è lo step con cui può
entrare il glicerolo. Poi c’è la reazione della fosfofruttochinasi, ma ora si ha la reazione inversa che
avviene con una idrolasi (classe 3) con cui si stacca il P: non si ottiene ATP, ma viene solo idrolizzato
il gruppo P che viene liberato come P inorganico. La reazione è con una fosfatasi, che è la fruttosio-
1,6-bifosfatasi, che è l’enzima discriminante tra le cellule che sanno fare o no la gluconeogenesi ed
è espressa solo nel fegato e nel rene. Le altre cellule si fermano al glucosio 6-P non sapendo
produrre glucosio libero, che è quello da riversare nel sangue per mantenere il suo livello nel
sangue stabile (5 molari circa). La glucosio 6-fosfatasi, visto che è nel fegato e nei reni, che fanno
anche glicolisi, per evitare la generazione di un corto circuito futile, non è nel citosol, ma si trova
nella membrana del reticolo endoplasmatico. Essa, dunque, lavora rivolta verso il lume del reticolo
che è l’interno dei compartimenti vescicolari (sono un ambiente protetto rispetto al citosol e tutte
le reazioni descritte avvengono nel citosol, ma quando si
arriva al glucosio 6-P sulla membrana allora lavora la
fosfatasi che rimuove il P, formando glucosio libero che non
è substrato delle esochinasi ed è trasportato, con le
vescicole, fino alla membrana plasmatica con cui si fonde e
poi esce all’esterno grazie all’uso di trasportatori). Tutti gli
elementi che lavorano sulla fosfofruttochinasi sanno
lavorare al contrario sulla fosfatasi.
- Si ha l’acido lattico che può essere convertito in
piruvato.
- Si ha il glicerolo, che è un alcol a 3 atomi di C. Si
trova nella struttura dei lipidi, ma non si può assimilare a una molecola lipidica. Esso riesce a essere
convertito in diidrossiacetone fosfato.
Non si hanno molecole lipidiche o acidi grassi e non si possono demolire i nostri grassi, anche se sono tanti,
per fare glucosio. Questo è una sorta di problema per il metabolismo, ma, purtroppo, non si ha questa via
metabolica basata sull’uso dei grassi. Questo metabolismo si trova nei batteri e nelle piante, che usano
riserve di grasso per ottenere zuccheri.
09.05.19
La fosfatasi deve eliminare il P dal C 1 ed è importante. Le molecole che funzionano da effettori per questa
fosfatasi, funzionano come effettori anche per la fosfofruttochinasi affinchè l’azione sia reciproca. Oltre alla
carica energetica, si è visto che nel fegato funziona su questa fosfofruttochinasi la molecola del fruttosio
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2,6 bifosfato che è un ligando, funzionando da inibitore o da attivatore. Tra le molecole che funzionano
come modulatori, ci sono il fruttosio 2,6 bifosfato che funge da inibitore della gluconeogensi, perché se
presente, attiva la glicolisi, ma dato che i due enzimi coesistono nel citosol, allora esso deve inibire uno dei
due processi. Lo stesso capita con l’AMP e l’ATP: la prima inibisce la gluconeogenesi. C’è anche il citrato,
che, se presente, stimola la gluconeogenesi inibendo la glicolisi. Per la gluconeogenesi, la carbossichinasi e
la carbossilasi, entrambe le vie sono inibite dall’ADP.
Il fruttosio 2,6 bifosfato ha un ruolo fondamentale. In
presenza di esso, allora la curva sigmoide è spostata verso
sinistra. Analogamente, c’è il grafico sulla fosfatasi che è
l’enzima della gluconeogenesi, e se non c’è l’enzima, allora
è molto attivo, presente, se c’è, l’enzima è molto
rallentato. L’intermedio fruttosio 2,6 bifosfato (nel citosol)
decide se fare la glicolisi o la gluconeogenesi.
CICLO DI CORI
Cori è lo scienziato che scoprì questo
percorso ciclico che mette in
relazione glicolisi e gluconeogenesi
che avvengono la prima nel muscolo
e la seconda nel fegato, che sa fare
anche la glicolisi. L’investimento,
durante uno scatto o una corsa
veloce, sotto forma di ATP arriva
dalla glicolisi ed effettivamente il
muscolo fa la glicolisi (glucosio-
>piruvato->lattato, in tutto questo si ottengono 2 ATP e si va in fermentazione perché si deve rigenerare il
NAD+, che sostiene il flusso della glicolisi). La contrazione è rapida e il muscolo non fa ancora partire
l’attività dei mitocondri perché per farlo ha bisogno di O2 che arriva ai muscoli con il flusso sanguineo con
l’emoglobina. Il muscolo usa la glicolisi facendo lattato, che viene immesso in circolo, raggiunge il fegato,
dove l’acido lattico diventa piruvato con la lattico deidrogenasi (che è un enzima redox e funziona nella
fermentazione quando si lavora per produrre lattato da piruvato). Ora, dato che i muscoli hanno bisogno di
glucosio, allora il fegato deve fare glucosio con la gluconeogenesi: il piruvato entra e viene trasformato in
glucosio, usando energia. Il fegato mette in circolo in glucosio, che va nel muscolo e può essere demolito in
ATP per sostenere la contrazione del muscolo.
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Il metabolismo degli zuccheri delle cellule è incentrato sul glucosio e non c’è una via metabolica alternativa.
Comunque, galattosio e fruttosio entrano nella glicolisi perché sono importanti per l’apporto energetico.
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possa lavorare su una ramificazione lunga. Ora bisogna risolvere il problema del legame alfa 1,6 e l’enzima
deramificante, oltre che trasferire, svolge anche una seconda attività che è quella tipicamente glicosidasica
ed è un’attività alfa 1,6 glicosidasica perché spezza un legame alfa 1,6 liberando una molecola di glucosio
libero. Quindi, risolve un problema sterico. Così, la degradazione del glicogeno, mi dà glucosio libero
(diventando substrato dell’esochinasi nella glicolisi) e si ottiene anche glucosio 1-P che non può entrare
nella glicolisi così perché ci entra il glucosio 6-P. Allora, per completare la demolizione, interviene il secondo
enzima, cioè la fosfoglucomutasi che è un’isomerasi perché c’è bisogno di trasformare il glucosio 1-P in
glucosio 6-P. La fosfoglucomutasi ha un meccanismo di azione semplice perché nel sito attivo ha un residuo
di serina fosforilato. Essa ospita il substrato che è il glucosio 1-P e il gruppo P della serina è trasferito in
posizione 6. Così, alla fine del processo, visto che è un enzima, tornano uguali a come hanno iniziato la loro
attività catalitica. Quindi, la reazione finisce con il trasferimento del P presente in 1 sul residuo di serina.
Alla fine, dal sito attivo, esce il glucosio 6-P.
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pasti), mentre il glucagone lo fa aumentare (a digiuno): quindi lavorano all’opposto. Nel muscolo, lavora in
modo analogo sul granulo di glicogeno l’adrenalina: le scariche di adrenalina sono un ricordo ancestrale di
quando si era uomini primitivi.
I vari passaggi di trasduzione
del segnale partono da una
superficie di una cellula, da un
recettore, che è collegato alle
proteine G, che sono collegate
all’attività di un enzima detto
adenilato ciclasi che catalizza
la sintesi del cAMP. Il cAMP è
un secondo messaggero (il
primo è glucagone e
adrenalina). Da lì si hanno i
passaggi della trasduzione del
segnale che deve amplificare
perché a ogni passaggio i substrati su cui lavora aumentano di 100/1000 volte. Quindi, una sola molecola di
glucagone può iniziare la sintesi di molte molecole di cAMP che attivano la pkA, cioè proteina chinasi A, che
è una trasferasi ed essendo una chinasi, andrà a fosforilare la fosforilasi chinasi diventando attiva lavorando
sulla fosforilasi B, fosforilandola e diventano la fosforilasi A. Quest’ultima fa sì che si ottengano molte
molecole di glicogeno fosforilasi attive che si attivano sul granulo di glicogeno in posizione di estremità non
riducenti che libereranno glucosio 1-P. Lo stesso segnale di glucagone o adrenalina a livello della pkA è
capace di andare a fosforilare l’enzima glicogeno sintasi che è sintasi del glicogeno, ma l’effetto della
fosforilazione è effetto inibente (modifica covalente) e il glucagone deve simultaneamente impedire che il
glucosio venga sintetizzato perché esso lo va a demolire.
13.05.19
L’interazione con il recettore del ligando si traduce
in una variazione conformazionale, che è poi
trasferita all’interno della cellula. La diapositiva
sopra è concentrata sul metabolismo del glicogeno
e si vede che lo stesso segnale ormonale, se è in
grado di attivare la demolizione del glicogeno,
allora simultaneamente va a bloccare la sintesi del
glicogeno e in modo analogo, nella cellula, si hanno
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segnali che attivano la glicolisi e che inibiscono la gluconeogenesi. Nella diapositiva, si vedono cinque vie
metaboliche e si vede che si mettono in relazione il digiuno e dove si hanno bassi livelli di glucosio e
dall’altro c’è. L’attività fisica che, invece, ha bisogno di glucosio: da una parte c’è il fegato, coinvolto nel
digiuno perché fa gluconeogenesi immettendo glucosio nel sangue (canale centrale), e la cellula muscolare,
che fa la contrazione. I segnali ormonali coinvolti nell’innescare queste vie metaboliche per sostenere
digiuno e attività muscolare sono glucagone e l’adrenalina (l’insulina invece è secreta quando c’è tanto
glucosio nel sangue). I due segnali sono nel sangue e hanno i loro recettori (rettangoli verdi): sul fegato ci
sono recettori per adrenalina e glucagone, mentre sulle cellule muscolari si ha il recettore dell’adrenalina.
Si notano, inoltre, le vie metaboliche attivate da questi ormoni:
- Nel fegato: demolizione del glicogeno, gluconeogenesi fatta fino alla fine. Si nota che il percorso del
lattato è quello del ciclo di Cori, che non è dentro la cellula, ma avviene mettendo in una sequenza
ciclica gli eventi metabolici che avvengono in muscolo e fegato (due distretti diversi).
- Nel muscolo: viene immesso il lattato nel sangue e ci sono due vie metaboliche, ciclo dell’acido
tricarbossilico e fosforilazione ossidativa, che avvengono nei mitocondri, non nel citosol, e fanno
parte del ciclo aerobico. Nel muscolo, inoltre, c’è la demolizione del glucosio a lattato, che viene poi
messo in circolo, da cui poi entra nel fegato, in cui si fa la gluconeogenesi, che rilascia glucosio che
ritornerà nel muscolo.
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ripetizione di questa striatura, con zone chiare e scure, ed è così regolare da visualizzare l’unità funzionale,
il sarcomero, che è il responsabile della contrazione. A livello di ogni sarcomero, c’è un accorciamento di
quest’ultimo durante la contrazione per scorrimento dei filamenti sottili su quelli spessi. Ai lati del
sarcomero, c’è una piastra di appoggio, la linea Z, in cui sono legati covalentemente i filamenti sottili con
l’interazione di strutture proteiche. Il filamento spesso è dato dalla sovrapposizione e dall’aggregazione di
più molecole di miosina e sono disposte testa-coda, quindi alcune hanno la testa sulla destra altre verso
sinistra e c’è l’avvolgimento delle molecole di miosina, che hanno una porzione allungata, e quindi si
possono superavvolgere.
Nel dettaglio, la miosina e l’actina hanno una struttura tridimensionale. Ogni miosina ha sei catene, due
pesanti di cui ciascuna ha una testa globulare e una parte lineare, e poi ci sono quattro catene leggere, due
per ogni testa globulare. Le code della catena pesante presentano avvolgimento sinistrorso (come
cheratina). La parte lineare è un’alfa elica che ha avvolgimento destrorso e, dato che due alfa eliche devono
superavvolgersi, allora avranno un superavvolgimento sinistrorso. Catene leggere sono membri della
famiglia “EF-hand”, simili alla calmodulina, anche se non legano ioni metallici generalmente. La parte
globulare sa idrolizzare l’ATP ed è quella che interagisce con l’ATP. Si vede anche il sito di interazione con
l’ATP che è centrale ed è un
dominio che si ritrova in tante
proteine nella cellula: tutte le
proteine usano lo stesso tipo di
avvolgimento quando si prepara
una proteina che deve interagire
con l’ATP. Questo tipo di
avvolgimento è detto ansa P. Poi,
più superficialmente, c’è il sito di
legame con l’actina.
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IDROLISI DELL’ATP
Ci sono le strutture molecolari della testa della miosina
complessata con ATP e il magnesio, perché l’ATP è come sale di
Mg, che è un elemento che serve per bilanciare le cariche negative
sull’ATP. Il Mg, infatti, va a chelare l’ATP impedendo che questo
rimanga libero all’interno del citosol. C’è l’intervento di una
molecola di H2O, ma non solo, c’è anche l’intervento di un residuo
di serina della testa della miosina presente in quel sito di interazione con l’ATP. Si tratta di una sorta di
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interazione tra l’OH della serina e l’atomo di P, che dev’essere staccato. Questa interazione tra serina e P
facilita l’attacco della molecola di H2O perché destabilizza il legame tra ATP e questo P che è l’ultimo
gruppo. Alla fine, idrolizza e si vede che il P è ancora temporaneamente coordinato con il Mg che interagiva
con l’ATP, ma comunque non è più legato. Questo è il momento in cui si idrolizza il legame covalente per
ottenere ADP e P libero. Con vari studi, si è ottenuta una struttura globulare con il sito per il nucleotide, ma,
anziché avere l’ATP, si vede un’interazione tra ADP e vanadato. La posizione della catena data da C alfa in
fucsia e azzurro sono spostate quasi di 90 gradi verso il collo della testa della miosina e abbiamo il
filamento fucsia che si sposta in modo molto evidente. Questa è la variazione conformazionale molto
marcata e i 90 gradi sono rappresentati nello schema. In generale, l’idrolisi dell’ATP viene effettuata da un
enzima che è l’ATPasi.
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elettroni, finendo con la produzione di ATP all’interno del mitocondrio. L’ATP prodotto dev’essere distinto
dall’ATP prodotto nel citosol con la fosforilazione da substrato.
Il piruvato diventa acetil coenzima A perdendo un atomo di C ed è anche un
passaggio ossidativo perché perde elettroni. L’acetile, poi, entra nel ciclo
dell’acido citrico e si ottengono due molecole di CO2, quindi si ha l’eliminazione
completa degli atomi di C, ossidati completamente a CO2. Si decompone tutto il
glucosio che sta in alto facendolo diventare CO2. Questo meccanismo ci dà
elettroni sotto forma di coenzimi ridotti e anche una molecola di ATP. La prima
reazione è quella di conversione del piruvato a acetil CoA, che è usato per
trasferire tutte le molecole lipidiche degli acidi grassi (l’acetile è la formula
minima). Nell’acetil coenzima A c’è un solo gruppo CH3 con un gruppo
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anello, detto tiazolico, in cui c’è zolfo e in teoria, ma anche in pratica, è il punto reattivo perché sa legarsi
con gruppi acidi o aldeidici. Poi c’è il lipoato che ha una catena lipidica, detto acido lipolico, e finisce con un
anello che ha un ponte disolfuro S-S, che può essere ossidato, cioè chiuso, o può essere ridotto come SH-
SH.
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formule). C2 e C4 danno il citrato o acido citrico che ha sei atomi di C. Si hanno due momenti in cui vengono
persi in successione un atomo di C come CO2 passando da C5 a C4 e si ottengono coenzimi ridotti: 3
molecole di NADH, 1 di FADH2 e una molecola di ATP.
- All’inizio si ha acetil CoA a cui si somma l’ossalacetato con quattro atomi di C per ottenere l’acido
citrico (COOH-CH2-C-CH2-COOH, al terzo C sono legati un OH e un COOH) che ha tre gruppi
carbossilici. Il secondo C dell’ossalacetato porta alla formazione di COOH-C-OH dell’acido citrico.
L’acetil CoA è stato solo usato come trasportatore del C e l’enzima è una trasferasi, la citrato
sintasi, che trasferisce l’acetile sull’ossalacetato.
- Il secondo passaggio è catalizzato dalla aconitasi con cui ottengono l’acido isocitrico o isocitrato, in
cui il gruppo OH, che prima stava sullo stesso di C, viene spostato sull’altro. L’aconitasi è
un’isomerasi e nel suo sito attivo ha un cluster Fe-S che lavora come un metallo enzima e in alto ha
la capacità di coordinarsi con il citrato, cioè con il substrato che dev’essere convertito in isocitrato.
La particolarità del cluster Fe-S è che trasferiscono elettroni e questo, dell’aconitasi, è quello che lo
fa più velocemente di tutti. Si tratta di una isomerizzazione.
- Poi si ha l’isocitrato deidrogenasi e questa è una tappa redox. Si tratta del momento in cui si fa una
molecola di NADH e in cui viene eliminato un atomo di C come CO2. Dopo questa tappa, infatti, si
hanno cinque atomi di C e non più sei, quindi, quell’OH viene ossidato e non è più un gruppo
alcolico, ma diventa un gruppo chetonico e si ottiene un alfa-chetoglutarato. Poi si ha ancora una
tappa ossidativa per cui si produce un’altra molecola di NADH ed esce una molecola di CO2. Quindi
si passa a un C4 ed è una reazione catalizzata dal complesso della alfa-chetoglutarato deidrogenasi
che è il complesso analogo della piruvato deidrogenasi: va via una molecola di CO2 ed entra il CoA,
per cui si ottiene il succinil CoA. Va via infatti l’altro COOH, sostituito dal CoA. Avviene
un’ossidazione perché il C=O diventa un gruppo carbossilico acido quando si lega al CoA (da
chetone si ossida a gruppo acido). L’isocitrato deidrogenasi e la chetoglutarato deidrogenasi sono
enzimi di classe 1. Il primo porta a un’ossidazione, mentre l’altro porta a una decarbossilazione.
- Poi si ha una sintetasi con la succinil CoA sintetasi che coinvolge la molecola di ATP e non si
sintetizza nulla perché il nome dell’enzima è quello della reazione che porta alla formazione del
succinil CoA. Così si ottiene il succinato o acido succinico, che ha quattro atomi di C. Dato che è una
sintetasi, è questo il punto in cui si fa una molecola di ATP perché serve energia alla sintetasi. In
alcuni tipi cellulari viene prodotto ATP, mentre in altri mitocondri viene fatto GTP che è analogo. Si
tratta di una fosforilazione a livello del substrato.
- Da qui in poi le reazioni sono ossidative, ma che devono trasformare l’acido succinico ad acido
ossalacetico o ossalacetato, che ha quattro atomi di C in cui uno è più ossidato. Quindi la cellula
non riesce con una singola reazione, ma lo fa prima con una succinato deidrogenasi, che è di classe
1, ma invece di fare NADH fa FADH2 e ha una particolarità: è l’unico del ciclo a essere localizzato
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sulla membrana interna mitocondriale. Esso ossida il succinato introducendo un doppio legame
portando all’acido fumarico o fumarato.
- Si ha la reazione della fumarasi, che è una liasi, che va a introdurre una molecola di H2O, quindi
introduce un gruppo OH passando da acido fumarico a malato o acido malico.
- Poi si fa un’altra ossidazione che produce di nuovo NADH perché usa NAD ossidato e si ossida il
malato diventando un gruppo chetonico, ristabilendo l’ossalacetato. Per questo si usa un enzima
che è il malato deidrogenasi.
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l’attività inibente da parte del prodotto: si ha ad esempio il succinil CoA che funziona da inibitore.
Viceversa, l’ATP funziona da attivatore.
16.05.19
Il ciclo dell’acido citrico ha un ruolo anche nella
biosintesi. Si trova al centro e proprio per questo
esso è la parte ultima del metabolismo e tutto
ciò che rappresenta sostanza nutritiva viene
rimaneggiate arrivando all’acetile nel
mitocondrio e lì vengono consumate a CO2.
Occupa la posizione centrale e dopo aver
contribuito all’eliminazione delle sostanze
nutritive ha anche un ruolo biosintetico. La cellula, infatti, non usa questo ciclo solo per eliminare, ma essa
lo sfrutta anche per la biosintesi. Le vie anaboliche sono le frecce rosse e in azzurro sono le tappe del ciclo
di Krebs. Dai vari intermedi metabolici del ciclo, partono le vie di biosintesi per formare, ad esempio, i
lipidi, che vengono prodotti quando la cellula fa il ciclo di Krebs, usa i suoi intermedi in maniera sufficiente.
Quando nel mitocondrio della cellula per le sue esigenze, il numero di molecole di citrato, ad esempio, è
sufficiente per sostenere le richieste di ATP nel ciclo di Krebs, allora quello che è in più può essere usato
dalla cellula per produrre grassi. Questo è importante dal punto di vista cellulare, perché gli zuccheri in
eccesso introdotti con la dieta, diventano grassi. Oltre ai grassi, si ottengono amminoacidi e basi azotate.
Dal succinil CoA si ottengono gli intermedi per costituire il gruppo eme per il trasporto dell’O2, mentre nelle
piante c’è il riferimento della clorofilla. L’ossalacetato può essere convertito in altri amminoacidi e basi
azotate e poi con la gluconeogenesi si ottiene glucosio dall’ossalacetato con cui è legato al piruvato con una
freccia che fa una reazione anaplerotica, che significa di riempimento, cioè se manca dell’ossalacetato per
sostenere il ciclo di Krebs, allora lo si deve rimpiazzare e l’unico modo per farlo è con la via della
gluconeogenesi e in particolare la prima reazione di
carbossilazione del piruvato con la piruvato carbossilasi che
produce ossalacetato. Quindi, il ciclo è importante perché
elimina CO2 e poi perché produce intermedi del ciclo che
hanno un ruolo nella biosintesi. C’è una via che ci differenzia
dalle piante e dai batteri, che non c’è nell’uomo, ed è il ciclo
del gliossilato, che è un altro impedimento metabolico che ci
contraddistingue: non c’è un sistema per produrre zuccheri e
questo rafforza la tendenza metabolica dell’uomo che va dagli
zuccheri alla loro trasformazione in grassi. Le vie metaboliche
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sono rimaste quelle dell’uomo primitivo, il cui interesse era quello di formare riserve metaboliche tutte le
volte che poteva. Così il nostro metabolismo si è evoluto per stoccare riserve in modo efficiente. Questa via
del gliossilato è ciclica ed è una sorta di bypass del ciclo di Krebs, che viene tagliato a metà. Gli organismi,
come le piante e i batteri, che hanno questa via possono produrre da lipidi gli zuccheri, cosa che l’uomo
non può. Questa via è nella cellula batterica o in organelli detti gliossisomi, per la cellula vegetativa. Viene
fatta con due enzimi: l’isocitrato liasi e il malato sintasi. Nei primi step del ciclo si ha somiglianza con il ciclo
di Krebs, in cui si ha il citrato, convertito in isocitrato e di solito, nel ciclo di Krebs, si elimina la prima
molecola di CO2, ma in questo ciclo no perché l’isocitrato liasi scinde il citrato in succinato e gliossilato, che
è COOH-CHO. Poi c’è il malato sintasi, che combina l’acido gliossilico con un’altra molecola di acetil CoA:
due atomi di C con altri due C formano l’acido malico o malato. Poi la via usa di nuovo un enzima del Krebs
che è il malato deidrogenasi che da malato fa ottenere ossalacetato. Non si ha eliminazione di CO2. Per
ogni ciclo, invece, esce una molecola di succinato e quindi si recupera una molecola a quattro atomi di C.
Nelle cellule vegetali, il gliossilato esce dai gliossisomi, va nel mitocondrio in cui sfrutta di nuovo il ciclo di
Krebs e poi l’ossalacetato in più viene usato per la produzione di glucosio. Tutto questo dice che questa via
del gliossilato non consuma l’acetile a CO2, ma costruisce con l’acetile che poi sfruttando la gluconeogenesi
diventa glucosio. Quindi è un sistema per convertire i grassi in zuccheri. Le molecole di acetil CoA sono
quelle che possono derivare anche dalla demolizione dei grassi: l’acetil CoA, che entra di solito in Krebs,
deriva da glucosio, da grassi o da amminoacidi. Alle piante e ai batteri interessa quello che proviene dai
grassi e le piante che hanno questa via hanno l’ossalacetato usato nella gluconeogenesi che deriva dal ciclo
del gliossilato che deriva dalla demolizione dell’acetil CoA. Quindi, i grassi danno due molecole di acetil
CoA. Sapere le formule dell’immagine.
FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA
Dentro i mitocondri, avviene la fosforilazione ossidativa che conclude il
metabolismo energetico. Ossidativa perché prevede l’intervento
dell’ossigeno molecolare e fosforilazione perché fa ATP da ADP. Il numero
delle creste che si trovano nei mitocondri è legato all’attività respiratoria
della cellula e questo processo avviene nella membrana interna,
organizzata in creste, del mitocondrio. Tra la membrana interna e quella
esterna si ha lo spazio intermembrana, mentre quella esterna è
attraversabile da tutti i metaboliti cellulari perché presenta molte proteine
di trasporto, come le porine, mentre sull’interna ci sono i trasportatori
specifici per i vari intermedi dei processi metabolici. La membrana interna
è fatta dal 70% di proteine e dal 30% di lipidi. Queste proteine non sono,
dunque, libere nella matrice. La fosforilazione ossidativa ha componenti
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che la fanno: proteine sotto forma di complessi che sono state purificate e studiate analizzando
l’organizzazione dei mitocondri solubilizzando le membrane, separandone i componenti, sia con il metodo
della centrifugazione seguito dalla cromatografia. Si vedono diverse provette e ciascuna corrisponde a un
complesso proteico coinvolto nella fosforilazione. Si hanno quattro provette che sono i quattro complessi
con enormi agglomerati, strutture quaternarie, con più subunità associate. In alcuni casi è detto ATP sintasi
o complesso cinque. I primi quattro servono per trasferire elettroni, mentre l’ultimo interagisce con P e
ADP formando ATP.
Dal ciclo dell’acido citrico, si ottengono un ATP, tre di NADH e un FADH2, cioè si hanno quattro molecole di
coenzimi ridotti, attraverso cui è possibile avere il trasferimento degli elettroni. Il NADH interagisce con i
quattro complessi della fosforilazione che definiamo i quattro complessi della catena di trasporto degli
elettroni. La fosforilazione ha un primo momento con la catena di trasporto e l’ultimo complesso è quello
che fa la sintesi dell’ATP. Se si vuole studiare in termini di Volt, allora si usano elettrodi per misurare i
potenziali redox dovuti al trasferimento di elettroni.
Le cellule hanno quattro modi per trasferire gli elettroni, per cui non è necessario avere enzimi per
effettuarlo perché è un processo non classificato come reazione enzimatica, ma si hanno comunque
molecole che hanno la capacità di trasferire gli elettroni:
- Li trasferiscono direttamente come elettroni nelle coppie redox, come Cu+ + Fe3+ <-> Cu2+ + Fe2+.
In queste coppie redox nelle cellule si possono avere metalli inseriti nelle proteine e quindi, quando
sono vicine due proteine con metalli, allora gli elettroni si spostano da questi atomi metallici.
- Li trasferiscono indirettamente sotto forma di atomi di H. Un atomo di H è fatto da un protone (H+)
e da un elettrone (e-). Questo è legato agli enzimi redox, cioè dove gli elettroni si muovono come
atomi di H.
- Li trasferiscono sotto forma di ione idruro (2 e- e H-). Questo avviene nelle reazioni che
coinvolgono il NAD ossidato.
- Li trasferiscono come una combinazione diretta tra un riducente organico con l’O molecolare
(esempio: l’ossidazione di un idrocarburo ad alcool) dove l’O è l’accettore di elettroni. L’O
molecolare riesce a interagire con un substrato, allora in quella reazione enzimatica, l’enzima può
generare un trasferimento di e- usando O molecolare.
In generale il termine equivalente riducente viene usato per indicare un elettrone che partecipa ad una
redox senza considerare in particolare se avviene secondo le modalità sopraindicate. I coenzimi piridinici e
flavinici hanno un equivalente riducente, cioè elettroni che possono essere usati nei loro processi. Il NADH
è un forte agente riducente che ha il compito di donare elettroni quindi ha un potenziale di riduzione
negativo: -0.320 Volt. O2 è un forte agente ossidante e ha il compito di accettare elettroni. Quindi, esso ha
un potenziale di riduzione positivo: +0.816 Volt. Il potenziale redox più è negativo, più vorrà dire che è alta
la sua possibilità di trasferire elettroni perché sono negativi e quindi si allontaneranno da un sistema che ha
102
carica negativa. Più il potenziale è positivo più è grande l’affinità degli elettroni. Quindi, in una catena di
trasporto non esiste un passaggio diretto da NADH a O molecolare perché c’è un salto troppo grande di
energia tra i due e la cellula invece di sfruttarlo, genera un trasporto a più passaggi così da riuscire a
sfruttare meglio il salto energetico, recuperando energia. L’O2 ha molta affinità per gli elettroni quindi ha
un potenziale positivo. Vale l’opposto per il NADH, che ha bassa affinità. Tutte le reazioni di riduzione sono
capaci di dare elettroni e vanno verso l’ossigeno. Da NAD gli e- riducono il FAD. Sui mitocondri, quindi, si
hanno quattro complessi che trasportano elettroni fino ad arrivare all’acqua. Sarà l’ultimo complesso che
ha la capacità catalitica per sintetizzare l’ATP.
Questa rappresentazione disegna i
quattro complessi: il NADH cede
l’elettrone al complesso inserito nella
membrana e questo elettrone è
trasportato al coenzima Q, poi passa
al complesso giallo. Attraverso la
proteina sulla superficie della
membrana, va all’ultimo complesso in
cui interagisce con l’ossigeno
molecolare, che cede l’elettrone
trasformando l’O in H2O. Di tutto questo, facendo tutti i passaggi attraverso i vari complessi, si ottiene il
trasferimento di H+ verso lo spazio intermembrana. Così, si crea una concentrazione elevata di H+, cioè
protoni, che acidificano lo spazio intermembrana e creano anche una variazione elettrica di membrana che
si colloca nello spazio intermembrana, quindi, poi,
rientreranno, sfruttando un gradiente elettrochimico,
con l’ultimo complesso dell’ATP sintasi, nella sintesi.
Grazie a questo gradiente si ottiene la sintesi dell’ATP.
Gli elettroni si muovono secondo un potenziale redox
attraverso un processo spontaneo che non richiede
energia, che invece viene generata. Ogni salto porta la
possibilità di recupero energetico. Si vede che i quattro
complessi hanno un nome enzimatico: complesso della
NADH-Q riduttasi, perché tutto il complesso riduce il
coenzima Q; succinato deidrogenasi che si trova anche nel Krebs ed è l’unico enzima presente nella
membrana (tutti gli enzimi del Krebs sono invece liberi) e questa trasforma l’acido succinico in acido
fumarico usando FAD; citocromo C riduttasi che riduce il citocromo C; citocromo C ossidasi che interagisce
con l’O molecolare, che va a ossidare di nuovo il citocromo C e riduce l’acqua.
103
104
porfirina. Esso è una sorta di anello planare formato dai quattro pirroli, che sono gli anelli con l’atomo di N,
ogni pirrolo si coordina con un atomo di Fe, che riesce a trasferire gli elettroni (i residui amminoacidici non
sanno trasferire da soli gli elettroni, ma hanno bisogno di altre strutture). Si passa da Fe2 a Fe3. Tutti hanno
in comune l’anello pirrolico, ma cambiano i sostituenti esterni (non sapere la struttura). Il citocromo C
funziona da trasportatore di elettroni quindi.
COMPLESSO I
Il NADH, che è il trasportatore di e- sotto forma di idruro, interagisce dal lato della matrice con il primo
complesso e l’elettrone deve poi attraversarlo per arrivare a Q. Si tratta di un percorso guidato su gruppi
prostetici differenti dagli amminoacidi associati al complesso I che sono capaci di trasferire e-. Questo
complesso si chiama anche NADH deidrogenasi o NADH ubichinone ossidoreduttasi. Questo complesso,
essendo una deidrogenasi, appartiene ora alla classe VII degli enzimi perché oltre a ricevere gli elettroni dal
NADH, esso può traslocare i protoni nello spazio intermembrana. Si tratta di un traslocatore di protoni. Gli
elettroni, ceduti dal NADH, passano su un flavin mononucleotide, che deriva dalla riboflavina ed è una
chinasi. Il loro percorso avviene su centri Fe-S, già citato con l’enzima aconitasi nel ciclo dell’acido citrico e
che trasferisce elettroni il più velocemente possibile. Di centri Fe-S ce ne sono tanti: si parte da un centro
normale che è un atomo di Fe e nessun atomo di S perché quel Fe è coordinato a quattro cisteine (il legame
di coordinazione non è covalente, ma in realtà è un legame che permette a un metallo di completare il suo
doppietto più esterno). Si può anche avere un centro con due atomi di Fe e due atomi di S, contrassegnato
con la lettera b, senza considerare lo S appartenente alla cisteina. Questi complessi Fe-S sono gabbie
differenti dagli atomi di S che costituiscono il gruppo SH delle cisteine.
Un altro caso è quello in cui si hanno quattro atomi di Fe e quattro di S con geometria cubica e in cui si ha la
coordinazione con le cisteine e questo si trova nell’aconitasi. Questi centri in generale hanno potenziali
redox da -0,65 a +0,45V. Dato che gli elettroni si muovono da potenziali negativi a quelli positivi, allora essi
saltano da un centro all’altro seguendo il potenziale di riduzione andando verso potenziali più positivi. Non
si può definire con precisione il potenziale redox associato all’atomo di Fe in a o in b o in c perché questi
potenziali variano in funzione dell’intorno proteico in cui sono collocati. Il complesso I è fatto da 42
subunità con due gruppi prostetici (flavin mononucleotide e Fe-S). Il numero di protoni trasferiti nello
spazio intermembrana non è fisso.
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COMPLESSO II
Esso porta gli elettroni sul coenzima Q ed è un secondo punto di ingresso degli elettroni nella catena
respiratoria. Questa volta, questo complesso è rappresentato dalla succinico deidrogenasi, che è un enzima
del ciclo dell’acido citrico che viene trasformato in acido fumarico. La succinico deidrogenasi è l’unico
enzima a essere collocato nella membrana interna mitocondriale. La succinico deidrogenasi contiene FAD,
che diventa FADH2 e trasferisce elettroni al CoQ. Anche questo complesso, pur essendo più piccolo del
primo perché ha solo 5 subunità, oltre al FAD, esso ha centri Fe-S. Questo complesso non può traslocare
protoni nello spazio intermembrana e quindi se gli elettroni entrano nella catena di trasporto come NADH,
passano nel complesso I e da subito vanno nello spazio intermembrana, se entrano come FADH2 dal
complesso II, allora non si ha subito il trasporto nello spazio intermembrana. Questo contribuisce al potere
di produrre ATP del NADH rispetto al FADH2: il NADH riuscirà a produrre più ATP rispetto al FADH2, che
invece si perde la possibilità di trasferire elettroni nello spazio intermembrana.
COMPLESSO III
Esso può trasferire protoni nello spazio intermembrana ed esso è detto anche ubichinone citocromo C
ossidoreduttasi. Ha 11 subunità, 250.000 Dalton, ha centri Fe-S e oltre a questi ha anche gruppi eme. Nella
parte più interna, con le alfa eliche nella membrana, si hanno gruppi eme b in rosso. C’è anche il CoQ con
cui interagisce. Quindi, gli elettroni, da questo percorso sul complesso III, vanno sul citocromo C che è
evidenziato in alto. Ci sono
anche gruppi eme c1. Il
risultato netto è semplice:
il QH2 è ossidato a Q, due
molecole di citocromo c
vengono ridotte e si trova
il trasferimento dei
protoni nello spazio
intermembrana.
COMPLESSO IV
Da qui gli elettroni con il citocromo C passano sul citocromo c ossidasi e il complesso IV ha 13 subunità e
contiene atomi di Cu oltre che a gruppi Fe-S. Il citocromo C trasporta un solo elettrone per volta, mentre
l’ubichinone ne porta anche due. Il citocromo C va sul rame, passa sui gruppi eme, va su un altro atomo di
rame ed è lì che si vede che l’atomo di rame che è all’interno, può interagire anche con l’ossigeno
molecolare. Si tratta della prima volta in sui si vede l’ossigeno atmosferico che entra in una reazione del
metabolismo ossidativo. Gli elettroni trasportati seguendo il potenziale redox, partono dal NADH che ha un
106
suo potenziale negativo arrivando fino a ridurre l’O molecolare che ha potenziale estremamente positivo
(0.8 V). L’O molecolare è ridotto e si ottiene acqua. A questo punto, ciò che rimane sono questi H+, cioè
protoni, che durante il trasporto degli elettroni, sono trasferiti all’esterno formando un gradiente
protonico ed elettrochimico perché la concentrazione di H+ è maggiore nello spazio intermembrana
rispetto alla matrice ed è elettrico perché così si crea un lato P, positivo all’esterno, e uno N negativo
all’interno.
A livello del complesso II, quando entra il FADH2 con gli elettroni, entrano anche, non solo con il complesso
della succinico deidrogenasi, ma anche con una catena di trasporto degli elettroni che deriva dalla
demolizione dei lipidi che è nella matrice. Poi, sulla superficie verso lo spazio intermembrana, si ha un altro
enzima con il FAD che è coinvolto nella trasformazione del glicerolo 3-P a gliceraldeide 3-P: è la glicerolo 3-
P deidrogenasi. Questo, quindi, è un altro modo per incanalare gli elettroni nella catena respiratoria,
riducendo il CoQ.
107
Ora si deve vedere come l’O molecolare viene trasportato negli organismi. L’O
non si scioglie bene nelle cellule e quindi, anche a livello di batteri, si hanno
strutture proteiche che interagiscono con esso. Anche negli animali ci sono
sistemi, come l’emolinfa. L’emoglobina è, per l’uomo, l’elemento deputato al
trasporto dell’ossigeno molecolare ed è una proteina di tipo allosterico perché
ha un meccanismo con il suo ligando, che è l’ossigeno, di tipo allosterico.
Accanto a essa, c’è anche la mioglobina, che trasporta l’ossigeno a livello dei
muscoli e non nel sangue. I muscoli hanno bisogno di ATP e usano glicolisi e anche metabolismo aerobico.
L’ossigeno arriva con il sangue ai muscoli, in cui viene diffuso in maniera efficiente usando la proteina
mioglobina, che è sempre una globina ed è stata una delle prime proteine a essere studiata. La mioglobina
ha una sola catena polipeptidica, quindi non ha struttura quaternaria e lega l’O molecolare, ma non ha un
meccanismo allosterico. Essa è fatta da alfa eliche ripiegate e ha un gruppo prostetico, che è di nuovo eme.
Gli amminoacidi non possono legare l’O, il Fe o il Cu, che, invece, hanno una forte tendenza a legare l’O
attraverso il gruppo eme dell’emoglobina che lega l’O. Il gruppo eme ha una forma planare e i vertici sono
atomi di N che si coordinano con un atomo di Fe in
quattro punti. Nel gruppo eme, il Fe è Fe2 e, essendo
questo l’atomo da usare per legare l’O e non avendo
una transizione come quella del citocromo C, per
funzionare bene bisogna evitare una sua ossidazione
(Fe3). Si hanno due coordinazioni assiali sopra e sotto
al gruppo eme e sono queste che consentono al Fe del
gruppo eme di coordinarsi con l’O molecolare. Nel gruppo eme, in realtà, si ha l’atomo di Fe che sporge per
0,4 A, ma quando si lega l’O, allora si allinea perfettamente. Quei due atomi rossi sopra il piano sono i due
atomi dell’O. Non si ha un legame covalente con la catena polipeptidica, ma si ha solo un legame di
coordinazione con l’istidina, in posizione conservata, che è definita anche istidina prossimale perché vicino
al gruppo eme.
L’O molecolare è mantenuto in posizione verticale perché è coordinato contemporaneamente con un altro
residuo di istidina (istidina distale) conservato. Questi legami di coordinazione servono per mantenere fisso
l’O molecolare nel gruppo eme. Questa coordinazione è importante perché consente di evitare che gli
elettroni, dal Fe, si spostino sull’O molecolare e, quindi, si evita il formarsi di una molecola reattiva per
l’ossigeno: è un superossido, perciò una specie reattiva dell’O che appartiene alle molecole ROS. Essa è
molta reattiva e provoca danni alle macromolecole biologiche (lipidi e proteine). Quindi, le nostre cellule
devono fare in modo che l’O molecolare non vada a ossidare il Fe2 in Fe3 perché sennò si trasformerebbe
in ione superossido diventando dannoso. Quando si forma, si crea la metaemoglobina o metamioglobina:
la mioglobina conferisce la corolazione rossa al muscolo, ma può diventare marrone, perché è dovuto al
108
formarsi della meta mioglobina (globina che si è ossidata grazie all’O). Se ciò accade, quando il gruppo eme
ha il Fe3, allora non può più trasportare ossigeno.
L’emoglobina è formata da quattro subunità, ciascuna contiene un
gruppo eme, quindi, ogni subunità lega una molecola di O molecolare.
Essendo essa una proteina allosterica, il grafico di legame con l’O è
come il grafico della velocità enzimatica in funzione del substrato: qui
non si ha il substrato, ma si ha l’O che deve andare nel sito attivo
dell’emoglobina, cioè il gruppo eme. In ascissa c’è O, in ordinata si ha
una % di saturazione delle molecole con l’O molecolare. Si vede che la
curva di legame è con l’O e l’emoglobina ha una curva sigmoide, spostata più lontana dall’asse y (cioè è
meno affine e ha una velocità inferiore), quindi, l’emoglobina è meno efficiente della mioglobina nel legarsi
all’O. La mioglobina ha un’iperbole quasi tutta schiacciata verso l’y. Questo ha anche un suo uso: nel
sangue si ha l’emoglobina, arriva ai muscoli e, attraverso i capillari, l’O passa sulla mioglobina dei muscoli,
perché essa è più affine. Tutte le molecole di emoglobina nel sangue raggiungono il 50% di saturazione a 26
torr.
Questo grafico mostra il vantaggio evolutivo nell’aver dato
all’emoglobina il compito di trasportare O nel sangue. Il
vantaggio è che l’emoglobina è una proteina allosterica e quindi
lega l’O con un meccanismo cooperativo. Quando si è a livello
dei polmoni con una pressione di O a 100 torr, osservando la
curva dell’emoglobina, si vede che essa è al 100% tutta legata
con O molecolare. All’atto dell’espirazione, il sangue negli alveoli
si carica completamente di O. Se si va a livello dei tessuti, in cui la
percentuale di O scende molto (a 20 torr), seguendo la curva dell’emoglobina, essa non è più saturata al
100%, ma perde l’ossigeno cedendolo ai tessuti per un 66% (66 molecole su 100 di emoglobina cedono O ai
tessuti). Se nel sangue ci fosse la stessa mioglobina dei
muscoli, allora la curva sarebbe la verde: nei polmoni
non c’è problema, ma nei tessuti sì. Infatti, a 20 torr nei
tessuti, si vede che dove si incontra la linea verde si è
perso solo un 7% delle molecole di O legate alla
mioglobina. Quindi, la mioglobina non sarebbe
efficiente nel trasferire l’O perché è troppo affine.
109
Quando si lega l’O, ogni subunità cambia la propria conformazione. Nell’emoglobina deossi c’è una
rotazione di 15 gradi, come se le subunità si avvitassero su se stesse dopo il legame con l’O. Questo legame
induce un cambio da forma T, tesa, a R, rilassata. Quando il Fe si allinea, sposta con sé anche l’istidina
prossimale. Come per gli enzimi allosterici, anche per l’emoglobina vale la descrizione sia con il modello
sequenziale di Koshland sia quello concertato di Monod, Wyman e Changeaux: in un caso si ha la
transizione di tutte e quattro le subunità nel momento del legame con O, nell’altro avviene
progressivamente. Essendo allosterica, allora oltre al punto in cui c’è il legame con O, ci sono anche siti per
effettori allosterici, che ne modulano l’attività, che non è enzimatica perché l’emoglobina non è un enzima.
I modulatori allosterici che reagiscono con la superficie dell’emoglobina favoriscono o inibiscono il legame
con l’O molecolare. L’effettore più importante è la molecola 2,3-BPG, che è il bifosfoglicerato. Nella
struttura tridimensionale non interagisce con il gruppo eme in cui c’è l’O, ma interagisce in una posizione
centrale della struttura dell’emoglobina, in particolare fa da ponte
tra le subunità beta. Il suo ruolo è quello di abbassare l’affinità
dell’emoglobina verso l’O molecolare. Quando si studia
l’emoglobina, si studia quella dei globuli rossi ed è l’emoglobina che
effettivamente lega il 2,3-BPG, cioè è come se fosse depotenziata e
all’organismo va bene così perché, essendo depotenziata, essa può
cedere a livello dei tessuti O in grandi quantità. Il responsabile, oltre
alla struttura quaternaria, è nel 2,3-BPG perché, con i metodi di
purificazione e togliendo il 2,3-BPG, si vede che l’emoglobina si
avvicina al meccanismo della mioglobina, diventando più affine. Quando arriva nei tessuti con p=20 torr
essa è molto affine e lascia solo un 8% di O. Il 2,3-BPG ha anche un
ruolo fisiologico importante nel trasferimento del sangue dalla
mamma al feto: la mamma dà O molecolare al feto con la
circolazione sanguigna e questo avviene grazie al fatto che
l’emoglobina materna è la classica emoglobina con il 2,3-BPG,
mentre, quella del feto, ha una struttura diversa. Essa ha sempre
una struttura quaternaria, ma con due catene alfa e due gamma.
Le gamme non legano il 2,3-BPG per cui i globuli rossi del feto
sono più affini all’O molecolare. Così, attraverso il cordone, il sangue materno è a contatto con quello del
feto, si ha il trasferimento di O, oltre che di sostanze nutritive. Questo trasferimento non sarebbe ottimale
se l’emoglobina del feto fosse uguale a quella materna.
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L’avvelenamento da CO, monossido di carbonio, altera il trasporto di O e si lega nello stesso sito di legame
per l’O. Si lega con maggiore affinità rispetto all’O e il suo legame sposta la curva di saturazione verso
sinistra, perché è più affine. Una caratteristica che, invece, riguarda gli effettori positivi o negativi, è quella
che va sotto il nome di effetto BOHR, di tipo allosterico. Man mano che il pH diventa più acido, la curva di
legame con l’O si allontana da y, quindi, l’ambiente acido rende l’emoglobina meno affine all’O. Quando,
nel corpo, si hanno casi di acidosi, il trasporto dell’O molecolare ne risente. A livello dei polmoni, invece, si
trova il punto più affine all’emoglobina.
Nel muscolo si ha poco ATP, che, quindi, viene subito consumato. Si usa poi la creatina P, la glicolisi e,
infine, il metabolismo aerobico. Quindi, l’O deve arrivare al muscolo, dove viene ceduto. L’emoglobina con
l’O arriva in prossimità del tessuto muscolare, lì c’è una p= 20 torr e quindi l’emoglobina si scarica per il
66% dell’O. L’O, però, non entra liberamente nelle cellule muscolari perché dev’essere veicolato: passa
allora sulla mioglobina. La mioglobina porta l’O nei muscoli, dove ce n’è bisogno, interagendo, così, con la
catena di trasporto degli elettroni. Gli elettroni vanno sull’O, lo riducono ad acqua, e, l’altro prodotto di
rifiuto della respirazione aerobica, è la produzione di CO2, che a differenza del CO, non compete con lo
stesso sito per l’O, ma si lega anche lei all’emoglobina su siti diversi (in particolare si lega all’estremità
ammino-terminale delle quattro catene). Non è tanta la CO2 che riesce a essere legata all’emoglobina. Una
quota di CO2 rimane nei globuli rossi e, se rimanesse come CO2 gassosa, allora nel sangue si potrebbero
formare bolle di CO2. Per evitarlo, nei globuli rossi esiste un enzima efficiente, chiamato anidrasi
carbonica, che idrata la CO2 con estrema efficienza per cui si forma acido carbonico, che poi è subito in
equilibrio come bicarbonato (HCO3- e H+), che funziona quindi come sistema tampone. Poi, una quota di
CO2 si lega covalentemente con l’emoglobina. Quando si arriva ai polmoni, il sangue venoso carico di CO2,
cede anidride carbonica, che viene espulsa con l’espirazione. Poi, è eliminata anche la CO2 dell’emoglobina,
che si carica di O molecolare perché nei polmoni c’è un p=100 torr (quasi tutta l’emoglobina si ricarica).
Una particolarità a livello dei globuli sta nella sindrome dell’anemia falciforme. In questo caso, il numero
dei globuli rossi diminuisce perché essi non hanno la classica forma concava, ma hanno una forma a falce.
Questa loro forma (anche a punta) è dovuta a una mutazione di un solo amminoacido nella catena
polipeptidica dell’emoglobina: c’è una valina in 6 al posto dell’acido glutammico. Questa sostituzione
provoca vari problemi: i globuli rossi vengono distrutti e il soggetto diventa anemico. Tutto succede perché
111
l’emoglobina, quando mutata, assume una forma tridimensionale diversa, detta emoglobina S, ed è una
molecola quaternaria appiccicosa, cioè forma aggregati che poi precipitano. Essa è appiccicosa perché le
quattro subunità mutano forma, essi formano aggregati sotto forma di catene (non sono semplici grumi),
che sono catene di emoglobina che si aggrega come se polimerizzasse. Si vede che si rompe la membrana,
rompendo il globulo rosso. Questa malattia, però, si è mantenuta fino a noi, nonostante sia molto grave,
perché a volte, questi problemi molecolari genetici sono, dal punto di vista della pressione evolutiva, dei
vantaggi: in questo caso il vantaggio sta nel fatto che i soggetti che sono eterozigoti per l’emoglobina
falciforme, sopravvivono e in più essi non si ammalano di malaria.
COMPLESSO V
Le strutture, nel 1979, non si conoscevano bene, ma si sapeva dell’esistenza del complesso V che deve
sintetizzare l’ATP. Il complesso V è anche detto ATP sintasi: è fatto da proteine di membrana e aveva anche
una parte sporgente nella matrice. Ci sono diverse ipotesi per terminare la fosforilazione ossidativa:
- Accoppiamento chimico.
- Accoppiamento conformazionale.
- Accoppiamento chemio osmotico, che si è rivelato quello corretto.
FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA 2
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CATALISI CONFORMAZIONALE
Nello schema c’è la corolla, le subunità beta, ce ne sono tre, sono quelle
attive, ma non contemporaneamente: in ogni istante si trovano in tre
conformazioni diverse perché questa catalisi è associata a modifiche
conformazionali. Si ha una variazione che porta alla sintesi dell’ATP. Ci sono
le tre beta che si trovano in conformazioni diverse:
- T, tesa, ma stretta (tight) in cui si vede che l’ADP è talmente vicino al
gruppo P, che viene sintetizzato il legame covalente dell’ultimo gruppo P e
si forma, così, ATP.
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- L, che è quella lassa, in cui si trova l’ADP e il P che sono presenti nel sito attivo però sono in forma
lassa, non stretta, quindi non si legano.
- O, open, che può rilasciare i prodotti, cioè ATP, e di caricarsi di ADP e P.
Ciò che fa variare le subunità in queste conformazioni è l’interazione con lo stelo gamma: esso cambia la
sua conformazione diventando così stretta da consentire la sintesi di ATP. I diversi momenti di questa
catalisi sono illustrati in un’altra immagine, dove si parte dalla coformazione iniziale: il petalo è disteso e
poi, muovendosi in senso antiorario, si va verso la conformazione L in cui ADP e P
non erano vicini, ma ora lo diventano e l’ATP è sintetizzato. Simultaneamente, la
subunità gialla passa nella conformazione O e quindi rilascia l’ATP prodotto. La O
diventa L, esce l’ATP, O può ospitare così un ADP e un P, e ora, arrivati nell’ultima
rappresentazione, si ha la rotazione di nuovo di 120 gradi. Quindi in O va l’altro
petalo, rilascia ATP, quello che era verde diventa in conformazione stretta
facendo ATP e quello che era O diventa L. A ogni giro completo, di 360 gradi,
vengono sintetizzate tre molecole di ATP.
Come fanno, però, gli H+ a far ruotare il tutto? Le due strutture in basso, la gialla e
la marrone, sono le subunità alfa e beta, che interagiscono con l’ATP e che hanno
il sito che lega ATP. Poi è definita la subunità c, quella azzurra, e sono due pezzi di
elica avvolti su se stessi. Quello che ruota è l’anello delle subunità c. Il
meccanismo prevede: entra l’H+ in corrispondenza di a, seguendo il suo
gradiente. Esso viene poi trasferito alla subunità c, che è in corrispondenza e si ha una sorta di spazio nella
catena polipeptidica dovuto a residui amminoacidi. Ogni subunità a presenta un canale protonico che porta
dal citosol al centro della membrana. Ciascuna subunità c, caricata con il protone, arriva in corrispondenza
della subunità a, dove cede l’H+, che passa, poi, all’interno della matrice. Questo protone adiacente della
subunità c esce dal secondo canale della subunità a e raggiunge il versante N, in cui la concentrazione di H+
è relativamente bassa. Si vede sempre un flusso di un protone che entra in a e uno, diverso, che esce da a.
Macroscopicamente, si vede un flusso di H+. I protoni vengono pompati nello spazio intermembrana che
rientreranno, con l’ATP sintasi, nella matrice. Il numero di protoni necessario per produrre una rotazione
completa è uguale al numero delle subunità c presenti nell’anello.
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REGOLAZIONE
Ci dev’essere la catena di trasporto di elettroni per avere anche il funzionamento dell’ATP sintasi. La
fosforilazione ossidativa e il trasporto sono dipendenti uno dall’altro quindi se si blocca uno, si blocca anche
l’altro. La produzione di ATP, dal punto di vista molecolare, non usa l’O, che si trova alla fine del trasporto
della catena degli elettroni. Se si blocca la catena di trasporto, non si forma il gradiente di H+ e non si può
così formare ATP. Il flusso attraverso questi processi è alto quando sono alti FADH2 e NADH. Questa è una
regolazione legata alla disponibilità del substrato, perché se si hanno tanti coenzimi ridotti, essi alimentano
la produzione di ATP. Al tempo stesso, se la carica energetica è bassa e non si ha ATP, ma si ha ADP, anche
questo entra nei mitocondri favorendo l’attività della produzione di ATP con respirazione aerobica.
Ci sono molti inibitori, che vanno a inibire la catena di trasporto, altri inibiscono l’ATP sintasi e alcuni sono
famigliari:
- Antimicina, antibiotico, che blocca il passaggio da Q-citocromo c ossidoreduttasi a citocromo c-
ossidasi. Esso va a inibire la catena di trasporto.
- Cianuro, che blocca laddove avviene l’incontro con O molecolare e lavora sulla citocromo ossidasi.
Qui lavora anche CO.
Queste molecole bloccano la formazione del gradiente di H+ impedendo l’azione dell’ATP sintasi.
- Nell’ATP sintasi, il canale protonico è bloccato dall’oligomicina, che è un inibitore della respirazione
mitocondriale ed è un antibiotico, che però lavora a livello dell’ATP sintasi.
Poi ci sono altre due categorie:
- Inibitori del trasferimento di ATP al citoplasma, che inibiscono l’ATP traslocasi e l’ATP rimane solo
nel mitocondrio. Essi sono antibiotici.
- Agenti disaccoppianti, che sono erbicidi che funzionano perché bloccano il metabolismo
mitocondriale delle piante. Questo ha un’azione particolare perché è un agente disaccoppiante,
vuol dire che la fosforilazione avviene, si genera il gradiente di H+, che però non riesce a essere
sfruttato per far funzionare l’ATP sintasi. Questo è in senso negativo, in realtà nel nostro corpo, si
ha un evento che riguarda una parte del tessuto adiposo bruno (soprattutto sul petto), in cui
avviene fisiologicamente un evento disaccoppiante: si vede che la catena di trasporto è sintetizzata,
si genera il gradiente, poi c’è l’ATP sintasi con F1 e F0. L’agente disaccoppiante localizzato nel
tessuto adiposo bruno è una proteina di membrana, la termogenina, che va a costituire un bypass
perché gli H+ portati nello spazio intermembrana, rientrano nella matrice passando attraverso la
termogenina e non con l’ATP sintasi. La termogenina non fa ATP, ma fa calore. Questo è un
vantaggio perché il nostro corpo può aver bisogno di calore soprattutto se si vede la localizzazione
del tessuto adiposo bruno, detto così perché molto ricco in mitocondri (in cui lavora l’agente
117
Il sistema della produzione di ATP e, soprattutto, l’accoppiamento del gradiente di H+ per fare ATP non è
una prerogativa nei mitocondri, ma si trova anche a livello dei cloroplasti. A livello delle foglie, (piante
hanno i mitocondri) si hanno i cloroplasti, che hanno la doppia membrana e in più hanno i tilacoidi. Sulla
membrana dei tilacoidi si hanno diverse proteine, tra le quali proteine che trasportano i protoni e che
possono creare un gradiente di H+. Sulla membrana si hanno i fotosistemi I e II che contengono il pigmento
della clorofilla che è simile al gruppo eme: anello tetrapirrolico con Mg e non Fe e assorbe luce. Il
meccanismo della generazione di un gradiente e dell’energia chimica ed elettrica, sono sfruttati anche dai
cloroplasti per fare ATP. Gli elettroni partono non dal NADH, ma sono strappati dalla molecola di H2O
(fotolisi dell’acqua) in cui la luce e l’irraggiamento della radiazione solare strappano elettroni da acqua
generando O. Questa è un’ossidazione dell’acqua e gli elettroni cominciano un percorso sulla membrana
dei tilacoidi. Questo percorso genera un gradiente di H+, (stroma=matrice). Si arriva al fotosistema I in cui
ricevono l’irraggiamento luminoso e ancora fanno un percorso in cui, alla fine, arrivano a produrre un
coenzima piridinico ridotto, che è il NADPH. Nei mitocondri, invece, si parte dal coenzima piridinico per
arrivare all’acqua, qui, invece, è l’opposto grazie all’energia presa dall’irraggiamento luminoso. Questo
NADPH è usato per la biosintesi della molecola di zucchero, mentre il gradiente di H+ fa funzionare un’ATP
sintasi simile a quella dei mitocondri: funziona
con la catalisi rotazione, ha una parte verso la
membrana e una verso lo stroma, forma ATP
usato per la biosintesi di molecole saccaridiche
in primis e poi anche altre molecole. Questo
meccanismo è chemio osmotico e si ritrova nei
mitocondri, in cui l’ATP usa il gradiente di H+,
nei cloroplasti, in cui l’ATP è fatto nello stroma,
118
nei batteri, in cui non si hanno organelli, ma hanno ATP sintasi e catena di trasporto degli elettroni sulla
loro unica membrana, cioè quella plasmatica. Quindi, gli organismi viventi ottengono la grossa quota di ATP
con i complessi dell’ATP sintasi che lavorano con gradienti di H+.
119
reduttasi, utile per le difese cellulari. Poi, questa via non è un ciclo, ma la fase non ossidativa è una serie di
passaggi in cui si parte da molecole di pentosi per arrivare a molecole di esosi. Inoltre, nella via non
ossidativa si usano le transchetolasi e le transaldolasi.
Si parte dal glucosio. Il primo passaggio è catalizzato da un enzima redox di classe I: il glucosio 6-fosfato
deidrogenasi, che è associato all’anemia emolitica e al favismo, che è un deficit e questi soggetti non hanno
questo enzima e quindi non possono mangiare fave, non possono prendere l’aspirina, ecc. In più, questi
soggetti non fanno NADPH come molecola di difesa verso i danni ossidativi. Dal punto di vista biochimico,
questa deidrogenasi ossida la posizione 1
del glucosio, portando via OH e formando
un doppio legame O. Si forma un lattone
(non sapere nome). Da qui, interviene una
lattonasi che apre l’anello e dove c’era il
doppio legame con O compare un gruppo
carbossilico, perché l’atomo di C
dell’anello è un atomo aldeidico e, se si
ossida, si ottiene un acido. La reazione
procede con un’altra deidrogenasi che usa
120
divisione, ma si hanno cellule con bisogno di NADP come cellule del tessuto adiposo o che devono
sintetizzare lipidi. Questa via deve fare NADPH o fare semplicemente il ribosio.
Nei globuli rossi, possono esserci i corpi di Heinz, cioè depositi di emoglobina non più attiva. Questi corpi
possono rompere la membrana generando l’anemia emolitica. Questo accade perché questi soggetti non
hanno la glucosio-6 fosfato funzionante. Quindi, non fanno NADPH che possa agire contro i ROS.
Nella via della fosforilazione si vede il CoQ interagisce sia con gli elettroni sia con l’O molecolare. Qualche
molecola di O può formare l’anione superossido, O2-. Questo è un O più aggressivo, che può dare a sua
volta il radicale OH. Queste specie ROS si formano nel mitocondrio anche in maniera inevitabile perché l’O
è reattivo, poi perché le cellule sono comparse sulla terra prima della comparsa dell’O molecolare, quindi
l’O garantisce la respirazione, ma a sua volta può provocare danni alle strutture cellulari con molecole
reattive. L’anione superossido, dentro lo stesso mitocondrio, è convertito in perossido di idrogeno dalla
superossido dismutasi. Il perossido di idrogeno, H2O2, è meno pericoloso, ma comunque dannoso. La
catalisi è nel citosol e converte il perossido in acqua, mentre nel mitocondrio c’è la glutattione perossidasi
che usa il glutattione per convertire il perossido in acqua. Il glutattione, per fare da substrato della
perossidasi, diventa ossidato e quindi nei mitocondri si ha la glutattione reduttasi che lavora con NADPH
che diventa NADP ossidato. Poi si vede che sulla membrana mitocondriale si ha un enzima della classe VII
che converte il pool del NAD in NADP attraverso il passaggio di protoni. Da una parte c’è NADH che diventa
NAD ossidato e dall’altro c’è NADP che diventa NADPH. Si vede anche l’altro ruolo del glutattione, quello
più generale, cioè la sua trasformazione in glutattione ossidato per andare a riarrangiare dei ponti S-S creati
nelle proteine, negli enzimi, ad esempio, per effetto dello stress ossidativo dovuto all’aggressività di
molecole come l’anione superossido o del radicale ossidrile. Dove ci sono residui di cisteina si possono
formare ponti S-S, cioè forme ossidate. Il glutattione ridotto, in quelle posizioni, può agire diventando
ossidato. Per riconvertirlo in glutattione ridotto si usa la glutattione reduttasi. Tutto questo gruppo di
enzimi, che si trova nella matrice mitocondriale, esiste anche nel citosol, in cui avviene la via dei pentosi
che fornisce NADPH, cioè fa lavorare la glutattione reduttasi per ristabilire il gluttatione ridotto. Esiste
anche una superossido dismutasi citosolica, non solo mitocondriale. Dove si hanno sistemi enzimatici che
vengono a contatto con O molecolare, allora può sfuggire una specie reattiva dell’ossigeno.
121
variazione di forma. Per cui gli acidi grassi insaturi sono più
disordinati di quelli saturi. Il gruppo acido è sempre un
gruppo carbossilico (sfera azzurra) ed è la parte polare e
poi si ha una coda idrocarburica. Si ha una situazione più
disordinata in acidi insaturi che macroscopicamente risulta
nella percezione degli oli e dei grassi: oli hanno una % più
alta di catene insature rispetto ai grassi solidi, come lo
strutto. Oli e grassi sono derivati di acidi grassi e la differenza sta nel numero di insaturazioni. Sono derivati
perché di solito, negli organismi, dalle piante ai batteri all’uomo, gli acidi grassi (COOH-CH2-CH2-CH2-CH2-
CH3 o, con doppio legame, COOH-CH2-CH=CH-CH2-CH2-CH3), per le loro caratteristiche, non stanno bene
in una cellula che è un sistema acquoso, quindi gli acidi grassi liberi si ritrovano sempre legati all’albumina
quando viaggiano nel nostro corpo. L’albumina è una grossa proteina, 66.000 Dalton, la principale del
nostro plasma sanguigneo e non fa parte della parte corpuscolata. Essa ha una struttura globulare senza siti
specifici per gli acidi grassi, che, invece, vengono assorbiti da essa e li veicola. Essa assorbe anche molti
farmaci, che il nostro organismo non sintetizza, quindi hanno bisogno di una vettore di trasporto. Gli acidi
grassi hanno un numero pari di C e questo deriva dalla loro via di biosintesi con cui vengono assemblati, o
disassemblati, due atomi di C alla volta.
LIPIDI DI RISERVA
La molecola lipidica più piccola è l’acido grasso, che, però, di per sé non è
libero nel nostro corpo. I lipidi di riserva sono i grassi e gli oli e sono derivati.
Essi sono triacilgliceroli o trigliceridi. Si hanno tre acidi grassi combinati a una
molecola di glicerolo, che è un punto di ingresso della gluconeogenesi ed è
un alcol con tre atomi di C. Nella struttura dei triacilgliceroli, l’acido grasso
combina il suo gruppo carbossilico a quello alcolico, formando un estere, del
glicerolo. In questo modo, questo modello del triacilglicerolo che è usato
come deposito energetico dentro le cellule, si elimina il contributo del
gruppo carbossilico, che è COO-, che viene mascherato e non è più polare perché viene legato all’OH del
glicerolo. Così si forma il trigliceride, che è non polare, idrofobico e insolubile. Quindi, nei sistemi biologici,
questa molecola diventa insolubile perché non riesce a interagire con H2O perché non polare e perciò si
deposita sotto forma di gocce lipidiche. Un esempio è l’adipocita, che è una cellula completamente piena di
trigliceridi sotto forma di un’unica goccia enorme che occupa quasi tutto il citoplasma, di cui ne rimane una
striscia piccola con le parti essenziali, come il nucleo. Una cosa simile avviene nei vegetali, in cui si hanno
porzioni, come i cotiledoni dei semi, che non sono a contatto con la luce, hanno bisogno di riserve
energetiche e, nei cotiledoni, si hanno depositi di grasso. In questo caso sono tante piccole gocce che
122
riempono il cotiledone. Il trigliceride serve anche come isolamento termico. Molti cibi contengono
triacilgliceroli ed è particolare la loro consistenza a T ambiente, che dipende dalla presenza di molti acidi
grassi insaturi, che danno una struttura più disordinata che ha meno propensione a solidificare: a T
ambiente sono liquidi, come olio d’oliva. La % di grassi insaturi diminuisce nel burro, che è solido a T
ambiente.
LE MEMBRANE BIOLOGICHE
Questo è l’altro
importante destino dei
trigliceridi. Le membrane
hanno un doppio strato
lipidico perché la
struttura delle membrane
ha molecole lipidiche con
una testa idrofilica, che
non è solo il COOH
dell’acido grasso, e due
code idrofobiche, che
sono due acili. Esse si assemblano per interazione idrofobica. Inserite nelle membrane, si hanno anche le
molecole di sterolo, poi ci sono proteine che attraversano completamente il doppio strato e altre che sono
periferiche, che interagiscono con la membrana. Ci sono anche dei dettagli: le catene oligosaccaridiche
sono sempre esposte verso l’esterno, mentre verso il citosol non ci sono zuccheri; la porzione saccaridica
può essere legata a proteine e a lipidi, quindi si hanno glicolipidi. Poi ci sono proteine con una coda, definite
proteine con ancora GPI, che è un glicofosfopenositolo. Quindi c’è un lipide inserito nella membrana, una
catena saccaridica legata covalentemente a una proteina. Queste sono proteine di membrana con un
legame covalente. Anche le proiteine periferiche hanno un legame covalente, ma queste sono legate
direttamente con il lipide e quindi sono verso il lato citosolico. Le proteine, quindi, sono asimmetriche nel
doppio strato, ma anche i lipidi lo sono. Questo è legato al fatto che proteine e lipidi possono spostarsi solo
lateralmente.
Le molecole lipidiche presenti nella membrana sono appartenenti a tre classi:
- Fosfolipidi. Essi hanno sempre un gruppo P. Essi, a loro volta, possono essere glicerofosfolipidi o
sfingolipidi. Essi hanno lo scheletro del glicerolo o della sfingosina (per gli sfingolipidi). I
123
glicerofosfolipidi hanno il glicerolo e poi si differenziano dai trigliceridi perché occupano solo due
posizioni con l’acido grasso, mentre la terza è legata a un P, così la struttura diventa polare,
addirittura carica, e si hanno anche solo due code idrofobiche. Bisogna saper disegnare il glicerolo,
il gruppo P e gli acidi grassi qualunque. Il P è indicato con X, perché può essere o solo P o P con
sostituenti, come colina, serina, glicerolo. Anche il fosfotidilinositolo, in cui il P è legato a un
inositolo, in più ha due gruppi P in più. Questi sono glicerofosfolipidi.
- Glicolipidi. Essi hanno zuccheri. Possono essere galattolipidi o sfingolipidi. Con la struttura del
glicerolo, ma senza il P, ci sono glicolipidi, che sono detti galattolipidi. Essi non sono fosfolipidi, ma
sono glicolipidi e hanno sempre la molecola del glicerolo, i due acidi grassi, ma manca il P e c’è
direttamente uno zucchero o più residui saccaridici attaccati. Questi sono galattolipidi e sono
molto presenti nelle cellule vegetali, soprattutto cloroplasti, perché siccome i vegetali sono
autotrofi, allora il P non viene usato, se non in poche quantità, ma viene risparmiato e c’è una sorta
di economia sul P, tanto che nemmeno nelle membrane si trovano tanti fosfolipidi. Poi, nella
porzione centrale della diapositiva, per fosfolipidi sia per glicolipidi, ci sono gli sfingolipidi, con P o
senza P, ma con legame della testa polare con uno zucchero o con una catena di zuccheri.
Tridimensionalmente, lo spazio occupato da uno sfingolipide è simile a quello di un fosfolipide,
quindi riescono a porsi nella membrana, ma gli sfingolipidi non hanno il glicerolo, ma hanno un
amminoalcol, cioè la sfingosina. Essa è con una catena di atomi C lunga di cui i primi tre sono i tre
atomi del C del glicerolo: il primo è la testa polare, il secondo è quello che poi si lega con l’acido
grasso, mentre poi la struttura continua fino al 18esimo atomo di C.
La testa polare è un gruppo OH, dato che è un alcol. Nel caso più semplice, si parla di cerammide,
se c’è un P, a sua volta sostituito, si ha la sfingomielina, così detta perché sono nelle membrane
della mielina che protegge gli assoni delle cellule nervose. Oppure, se non c’è P, ma ci sono
molecole saccaridiche allora gli sfingolipidi sono parte dei glicolipidi e hanno nomi, come
gangliosidi, sempre relativi al tessuto nervoso. Un’altra caratteristica che fa vedere un dettaglio che
si era già preso in considerazione per le proteine e per le glicoproteine: dato che sulla membrana ci
sono glicolipidi, allora sulle membrane dei globuli rossi si trovano degli sfingolipidi che sono
glicolipidi con i determinanti antigenici dei gruppi sanguigni (A, B, 0). Nel caso di A e B aumentano i
124
residui dei gruppi saccaridici, facendo sì che 0 possa essere donato a gruppi A e B, mentre non è
possibile il caso inverso.
- Steroli. Essi hanno un nucleo quasi planare rigido e
i batteri non li sintetizzano. La struttura del
colesterolo prevede quattro anelli esagonali e,
soprattutto, c’è un’unica posiziona, le 3, che ha
come sostituente il gruppo OH così che il
colesterolo possa essere inserito come lipide di
membrana. L’anello è la parte inserita nel doppio
strato e questo dà rigidità: più molecole sono
presenti, più la membrana è rigida. La porzione
delle proteine di membrana che attraversa il
doppio strato è la porzione idrofobica, che interagisce con le code. La porzione idrofobica può
essere fatta in diversi modi, che portano a diverse modalità per attraversare il doppio strato: con le
eliche che possono attraversare il doppio strato, ma anche con i foglietti beta.
La caratteristica che contraddistingue queste tre classi è quella di essere polari perché hanno una testa
posta verso il lato esterno e poi hanno la porzione idrofobica. Invece, i trigliceridi sono neutri, senza
polarità.
Il punto più reattivo di un lipide di membrana è il legame estereo. A livello di questi legami, inizia la
degradazione delle molecole lipidiche con un meccanismo idrolitico. Nelle proteine ho le proteasi, negli
zuccheri ho le glicosidasi, qui si hanno lipasi o fosfolipasi che rompono i legami esterei liberando l’acido
grasso dallo scheletro di glicerolo, ma non rompono i polimeri, come invece fanno gli altri enzimi. Si può
liberare la testa o addirittura il gruppo P.
Un’altra caratteristica tipica delle membrane sono le zattere lipidiche o raft lipidici. Il nome viene da
immagini di microscopie forza atomica in cui si vedono delle isole, che non sono fisse, ma si muovono come
zattere. Queste sono zone presenti in tutte le membrane e che si possono separare con la centrifugazione.
Esse hanno una composizione diversa dal resto della membrana: le code idrocarburiche sono più lunghe e
quindi questo lo fa sporgere dalla membrana sottostante perché, le code, sono ricche in sfingolipidi e in
colesterolo (per questo sono rigide). Hanno anche proteine di membrana ancorate con l’ancora GPI. Questi
si possono isolare, ma nella vita di una cellula, essi non sono fissi e ogni tanto ci possono essere molecole
che si avvicinano le une con le altre a costituire un raft lipidico. Questi raft si associano e si disassociano, è
difficile studiarli, ma hanno delle funzioni strutturali per favorire la trasmissione dei segnali dall’interno
all’esterno e viceversa. Quindi, questi raft facilitano la trasmissione del segnale. Dunque, i lipidi servono
125
come riserva, come lipidi di membrana e funzionano anche come molecole segnale. La prostaglandina, la
trombossane, la arachidonato e la leucotriene sono molecole lipidiche.
28.05.19
METABOLISMO DELLE MOLECOLE LIPIDICHE
I lipidi hanno una resa di E superiore a quella degli zuccheri, che, quando sono demoliti con il metabolismo
aerobico, rendono molte molecole di ATP. A parità di peso, i lipidi rendono sei volte di più perché per
essere demoliti richiedono più passaggi, in quanto le demolizioni delle molecole corrispondono a reazioni di
ossidazioni. Gli zuccheri, come il glucosio, sono molecole che hanno nella loro struttura molti OH, quindi
hanno già dell’O e sono parzialmente ossidati, mentre i lipidi sono una successione di tanti CH2, perché
sono catena idrocarburiche che sono prive di O, quindi, la cellula deve fare più passaggi per ossidare questi
atomi di C. A ogni passaggio, la cellula ha più occasioni per ricavare energia. La via metabolica più usata è la
via di ossidazione degli acidi grassi o betaossidazione, in cui le catene idrocarburiche sono ossidate fino a
CO2. Quando diventano molecole di acetil CoA, si inseriscono nel ciclo di Krebs e poi nella fosforilazione
ossidativa. Questa via è sfruttata da cellule che hanno bisogno di usare tanta energia e che hanno la
possibilità di usare gli acidi grassi, il che non possibile per tutti i nostri distretti (esempio cervello, che non
riesce a metabolizzare gli acidi grassi per una questione di superamento della barriera ematoencefalica, e
globuli rossi non possono).
126
destino della prima via: possono andare al tessuto adiposo o possono andare al muscolo, al cuore per poter
essere ossidati. C’è anche una terza provenienza: la mobilizzazione dagli adipociti perché consente di
recuperare i trigliceridi depositati nel tessuto adiposo e di portarli in circolo nei momenti di bisogno. Le
molecole lipidiche ferme, quindi, sono estratte dal tessuto adiposo e, con il circolo sanguineo, si muovono.
Gli acidi grassi riescono a entrare nelle cellule dell’epitelio intestinale, superando la membrana plasmatica.
Dopo essere entrati, non rimangono come tali, liberi come acidi grassi, ma sono ricostituiti sotto forma di
127
trigliceridi perché per essere distribuiti in circolo non lo sono come acidi grassi liberi e vengono assemblati
in strutture sferiche, dette lipoproteine. Questo assemblaggio avviene a livello della mucosa intestinale,
viene assemblato in chilomicroni (lipoproteine), che sono fatti da trigliceridi, soprattutto, ma anche
colesterolo, e poi sono anche assemblati con proteine (esempio ApoC-II). I chilomicroni sono più piccoli di
una cellula, ma sono comunque complessi di proteine capaci di interagire con il materiale lipidico grazie alle
loro superfici idrofobiche. Il sistema linfatico parte dall’intestino e poi comunica con il circolo sanguineo, ed
è il mezzo con cui i lipidi viaggiano nel sangue.
A temperatura corporea, grassi, come gli oli, saranno liquidi, quindi più facilmente solubili e più facilmente
assorbiti (olio è più digeribile del burro proprio per una questione fisica). Grassi, come burro e strutto,
fanno più fatica a essere assorbiti a livello della mucosa
intestinale, dato che hanno poche insaturazioni. La porzione
centrale della lipoproteina costituisce la parte insolubile che
tende a precipitare perché è apolare ed è fatta da trigliceridi,
anche esteri del colesterolo (in posizione 3 ha un OH che lo
rende polare, qui, quell’OH per andare nel core di una
lipoproteina, dev’essere mascherato, quindi viene esterificato
con un legame con un acido grasso). La lipoproteina ha solo uno
strato di fosfolipidi così le code sono rivolte verso il nucleo di
trigliceridi, mentre le teste sono a contatto con l’ambiente
acquoso. In questo monostrato ci sono le proteine, con sigle A,
B o C, e ci sono anche molecole di colesterolo, come se fosse un
pezzo di membrana.
Le lipoproteine, originate dall’intestino, sono i chilomicroni e, se si guardano nel plasma tutte le
lipoproteine, si vede che non ci sono solo chilomicroni, ma anche quelle assemblate a livello del fegato
(LDL). Tutte queste lipoproteine, che si estraggono dal sangue, sono classificate in base alla diversa densità.
Le meno dense sono quelle più ricche in materiale lipidico (i lipidi galleggiano, le proteine no), queste sono
le LDL e i chilomicroni. I loro costituenti sono: poca proteina (2-8%), ricche in trigliceridi, hanno anche poco
colesterolo e hanno apolipoproteine. Poi c’è la categoria delle lipoproteine a densità intermedia, le IDL, e
poi ci sono due categorie, le più famose, le HDL e le LDL. Esse hanno una percentuale più elevata di
materiale proteico, ma sono caratterizzate dall’essere destinate al trasporto del colesterolo. Le LDL sono
quelle del colesterolo cattivo, perché sono quelle che lo portano a tutti i tessuti, mentre le HDL sono del
colesterolo buono, perché recuperano il colesterolo dal corpo e lo portano al fegato per degradarlo.
Dopo tutto questo, la lipoproteina arriva nel sito dove dev’essere usata. Ma come fanno i trigliceridi,
trasportati dal chilomicrone, a entrare? C’è un sistema di riconoscimento e ancoraggio attraverso la parte
proteica del chilomicrone, cioè quella proteina, la Apo C-II, che funziona da ancoraggio. Arriva il
128
chilomicrone, cede il suo contenuto, si ferma sulla superficie della cellula muscolare, perché avviene
un’interazione tra un enzima, che è la lipoproteina lipasi (ancorato sulla superficie esterna con una coda
polisaccaridica), che funziona da sistema di ancoraggio, e la proteina del chilomicrone. Il chilomicrone si
ferma per un tempo sufficiente affinchè la lipasi idrolizzi le molecole di trigliceridi. Per effetto di questa
interazione, che avviene sulla superficie di contatto tra la superficie cellulare e il chilomicrone, si formano
di nuovo acidi grassi liberi o monoacilgliceroli, che vengono assorbiti. Gli acidi grassi liberi prodotti migrano
nell’endotelio e raggiungono o la cellula del tessuto adiposo o quella del tessuto muscolare. Se raggiungono
la seconda, devono essere demoliti formando CO2 e ATP, mentre, se raggiungono il primo, sono di nuovo
assemblati come trigliceridi e vengono così depositati come tessuto grasso (giallo trigliceridi, arancione
colesterolo).
I chilomicroni, dopo essersi scaricati dai trigliceridi, diminuiscono come dimensioni e sono chiamati
risultanze di chilomicroni, cioè lipoproteine più piccole (quelle rimaste in adesione con la superficie esterna
dell’endotelio), sono ricche in colesterolo e tornano al fegato, che rimaneggia e risintetizza tutte le
lipoproteine.
129
Per quanto riguarda la mobilizzazione, invece, è un evento regolato da un segnale ormonale. Il tessuto
adiposo viene demolito a seguito di un segnale. Si hanno due ormoni, già visti nel metabolismo degli
zuccheri, perché si parla di produzione di energia: adrenalina, in condizioni di stress, e glucagone, in
situazione di digiuno. Il percorso è lo stesso della trasduzione del segnale: interazione con il recettore di
membrana, si produce cAMP, si forma una proteina chinasi, che non attiva la fosforilasi del glicogeno, come
per la gluconeogenesi, ma attiva la
tracilglicerolo lipasi con eventi di
fosforilazione. La triacilglicerolo lipasi inizia a
lavorare ed è la prima lipasi intracellulare che
interviene (fino a qui erano tutte extracelluari).
Essa demolisce il triacilglicerolo e rimuove, uno
per volta, gli acidi grassi facendo diacilglicerolo
e poi monoacilglicerolo, fino all’acido grasso e
al glicerolo libero. A questo livello, interviene
l’albumina, che lega le molecole di acidi grassi
(fino a 10 molecole di acido grasso per molecola di albumina). Poi, quando l’albumina arriva in prossimità di
cellule muscolari o cardiache, le molecole di acido grasso entrano per semplice diffusione passiva. Si ha la
cellula adiposa, con il triacilglicerolo, e, per mobilizzazione, gli acidi grassi viaggiando nel sangue con
l’albumina, raggiungono tutti i tessuti per essere sottoposti all’ossidazione e per formare acetil CoA, che
dovrà fare ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa (CO2 e H2O). Il glicerolo, invece, torna al fegato ed
essenzialmente i suoi usi nel fegato sono per la glicolisi e per la gluconeogenesi.
Anche nel citosol non ci sono acidi grassi liberi perché formerebbero delle micelle, perciò, per essere
metabolizzate, ogni molecola è complessata con una molecola di acetil CoA, che è il trasportatore. Si deve
fare un legame covalente tra i due e, quindi, costa ATP. Il gruppo carbossilico dell’acido grasso interagisce
con una molecola di ATP, idrolizzata ad AMP e P. L’AMP si lega all’acido grasso, attivandolo. L’acido grasso
può essere legato covalentemente al CoA con un legame tioestereo (il CoA ha il gruppo SH reattivo che si
lega al COOH dell’acido grasso formando acil CoA). Gli enzimi
responsabili hanno una direzionalità verso la formazione
dell’acil CoA, è di classe VI, cioè una ligasi e ce ne sono
diverse in base alla lunghezza della coda acilica. Tutte le
molecole di acido grasso sono, comunque, complessate con
l’acetil CoA. Ora l’acido grasso deve entrare nel mitocondrio,
che è il sito dell’ossidazione. Sulla membrana interna
mitocondriale non ci sono trasportatori per gli acil CoA
perché il mitocondrio è il ricordo del batterio primordiale che
130
faceva respirazione aerobica che è stato inglobato dall’antica cellula che, invece, non ne era capace. Quindi,
i mitocondri sono separati dal citosol. Si usa, dunque, un sistema navetta per l’acil CoA (il CoA del citosol
non si mischia mai con il CoA del mitocondrio). Il sistema navetta usato è quello della carnitina, che è un
integratore per gli sportivi, perché è il sistema navetta che fa entrare gli acidi grassi nel mitocondrio, per
poi essere demoliti per fare energia. Dal punto di vista metabolico, la carnitina assomiglia a un
amminoacido e il nostro organismo fa carnitina, che è appunto un derivato amminoacidico. Se se ne
introduce di più con la dieta, se ne avrà di più a disposizione. C’è l’acil CoA che cede l’acile alla carnitina con
una transferasi, formando acil carnitina. Ora si trova sulla membrana interna una traslocasi, cioè una
proteina transmembrana, che funziona nel trasporto dell’acil carnitina (per ogni molecola di acil carnitina
introdotta nel mitocondrio, esce una molecola di carnitina libera all’esterno). Dentro il mitocondrio, l’acil
carnitina dev’essere modificata, perché se rimanesse così allora per ogni molecola di acido grasso che
entra, si consumerebbe anche una molecola di carnitina, ma avviene un’altra azione con un’transferasi che
lavora all’opposto di quella fuori: prende l’acile dalla carnitina, trasferendolo al CoA mitocondriale,
liberando la carnitina all’esterno.
L’acido palmitico è un acido grasso saturo con 10 atomi di C e si può demolire. Nella dieta si introduce
anche: acido stearico (20 atomi di C), acido laurico, ecc. Poi tra quelli insaturi, c’è il palmitico che ha 16
atomi C, l’oleico con 18 atomi di C con una insaturazione, l’oleico e linoleico (due saturazioni) hanno 18
atomi di C con diverse insaturazioni, poi l’acido arachidonico ha quattro insaturazioni e che viene
introdotto con la dieta. Ci sono, anche, acidi grassi poliinsaturi, che sono gli omega 3 e 6, sono essenziali da
introdurre con la dieta (sono acido linolenico e oleico).
131
- Ora questo C beta è già ossidato, è diventato molto reattivo così da far avvenire l’ultimo passaggio.
C’è una reazione di trasferimento con una tiolasi, che lavora trasferendo un’altra molecola di CoA e
nel far rompere questo il legame. Per effetto di questa rottura, si libera una molecola di acetil CoA
e rimane un acile che si è accorciato di due atomi di C. L’ossidazione dell’acido grasso, però, non è
ancora finita, perché con queste quattro reazioni che avvengono nella matrice mitocondriale,
portano ad avere l’acido grasso che interagisce con il CoA, diventando un acil CoA. Quindi, il tutto si
può ripetere.
Gli acidi grassi, con la beta ossidazione, sono, quindi, demoliti ripetendo ciclicamente queste quattro
reazioni per sei cicli. Tutte queste molecole di acetil CoA possono entrare nel ciclo di Krebs per essere a loro
volta ossidate e per fornire i coenzimi ridotti necessari per la fosforilazione ossidativa. Queste quattro
tappe, a ogni giro, danno la molecola di acetil CoA, ma danno anche una molecola di FADH2 e una di NADH,
che, visto che siamo nella matrice mitocondriale, essi andranno direttamente a cedere i loro elettroni alla
catena di trasporto degli elettroni, addizionandosi a quelli formatisi dal ciclo di Krebs. La prima
deidrogenasi che usa il FAD è una cosa già incontrata: quando si è parlato del complesso II della catena di
trasporto degli elettroni, si è visto che la succinil CoA deidrogenasi usa il FADH2 per formare succinato e
questo FADH2 porterà gli elettroni al CoQ. Tutto avviene nel mitocondrio e a ogni ciclo si staccano due
atomi di C accorciando la catena idrocarburica. Complessivamente, dalla demolizione degli acidi grassi, la
cellula ricava ATP.
CHETOGENESI
132
Si
deve
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volatile a differenza degli altri corpi chetonici così nell’alito si sente l’odore di acetone. Per combatterlo, si
dava acqua e zucchero perché così l’organismo prendere carboidrati che erano i substrati per il ciclo di
Krebs e l’acetil CoA, invece che accumularsi e formare corpi chetonici, entrava nel ciclo di Krebs.
I corpi chetonici si formano nel digiuno, ma anche per il diabete. In questo caso, una loro produzione non
controllata può portare a danni seri, come alla chetosi diabetica, che, se non curata, porta al coma e alla
morte. C’è questo danno perché i corpi chetonici rimangono in circolo (acetoacetato e beta idrossiacetato)
ed essendo composti acidi per il COOH, abbassano il pH del sangue, portando ad acidificazione, con cui si
hanno i problemi nel trasporto dell’O con l’emoglobina. Questi, eventi, se estremizzati, portano al coma e
alla morte. Quindi, i corpi chetonici hanno effetti positivi e negativi. Se si mantenesse l’acidosi a lungo,
senza introdurre zuccheri, allora si arriva alla chetosi del sangue. A digiuno, il nostro tessuto adiposo è
stimolato a demolire i grassi e a rilasciare glicerolo e acidi grassi. Gli acidi grassi in circolo arrivano ai tessuti
muscolari e al fegato. Nei mitocondri del fegato avviene la beta ossidazione, ma, dato che non si hanno
zuccheri, si accumula acetil CoA formando corpi chetonici, che vanno in circolo ed essi sono captati dalle
cellule scheletriche e cardiache (muscolari) e da quelle celebrali. In questi siti, a livello dei mitocondri, i
corpi chetonici sono convertiti in acetil CoA, entrando così nel ciclo di Krebs. Il fegato fa corpi chetonici, ma
non riesce a usarli, perciò li riversa in circolo. Nei soggetti diabetici, ai quali si deve somministrare insulina,
perché non viene prodotta, non si riesce a captare il glucosio né a livello dei tessuti adiposi né a livello del
fegato o delle altre cellule. Perciò, è come se fossero sempre in uno stato di digiuno anche se nel loro
sangue c’è glucosio. Il tessuto adiposo, allora, demolisce i suoi trigliceridi, in risposta di mancanza degli
zuccheri, e libera acidi grassi. A livello del fegato avviene la stessa cosa perché non è percepito il glucosio e
l’acetil CoA si accumula formando corpi chetonici.
SINTESI DEGLI ACIDI GRASSI
Si tratta di un processo simile in
procarioti ed eucarioti. La biosintesi
degli acidi grassi avviene nel citosol.
Si parte dal CoA: nella biosintesi
vengono addizionati due atomi di C
ogni volta, procedendo a ritroso
rispetto alla demolizione. Questi
enzimi, però, lavorano nel citosol,
non nel mitocondrio, come la
degradazione, e sono tutti associati
in un complesso multi-subunità in
cui ogni subunità ha una sua attività
differente. L’accumulo di grassi è
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possibile anche a partire da precursori saccaridici nel senso che non c’è glucosio che diventa acido gasso,
ma si hanno le reazioni che avvengono nel mitocondrio: glucosio entra come piruvato formando acetil CoA,
che entra nel ciclo di Krebs, si forma il citrato, che è un intermedio e che può uscire dal ciclo, per essere,
poi, convertito in acetil CoA e ossalacetato, per fare biosintesi degli acidi grassi. Tutto questo perché l’uomo
non ha il ciclo dell’acido gliossilico: da acetil CoA a zuccheri. Questo processo è altamente conservato nei
mammiferi, ma anche nei batteri. Per sintetizzare gli acidi grassi, questo complesso multi-enzimatico che è
nel citosol (complesso dell’acido grasso sintasi) può sintetizzare, dall’acetil CoA, un acido grasso di 16
atomi di C, del palmitato. Poi, per quelli più lunghi. Le fasi di allungamento catena e formazione dei doppi
legami, queste non avvengono nel citosol, ma sono nel reticolo endoplasmatico liscio e, in parte, nei
mitocondri.
30.05.19
METABOLISMO DELLE PROTEINE
Dal punto di vista energetico, le proteine non contribuiscono molto perché, mentre zuccheri e lipidi
costituiscono delle riserve nelle cellule (esempio adipociti), le proteine sono costituenti importanti perché
hanno ruoli strutturali e funzionali, ma non hanno ruoli di deposito. Estremizzando, però, si può
considerare, come un deposito di amminoacidi, il tessuto muscolare perché esso è infarcito di fibre
muscolari (actina, miosina) e, quindi, quelle proteine abbondanti possono essere un deposito. Quando il
nostro organismo ha consumato le risorse del tessuto adiposo, passa a consumare anche le proteine e il
tessuto muscolare e questo avviene addirittura prima che il tessuto adiposo sia completamente consumato
(esempio: quando si vuole perdere peso, per un po' il tessuto adiposo diminuisce, ma poi si comincia a
intaccare anche la massa muscolare ed effettivamente i muscoli perdono di tono se non si accompagna, alla
dieta alimentare, anche un’attività fisica). Quindi, le proteine non vengono usate quotidianamente dal
nostro corpo per fare energia, mentre sono usati lipidi e zuccheri. Comunque, l’uomo introduce, con la
dieta, delle proteine, che devono essere usate da tutte le cellule per andare a rimpiazzare le proteine che
quotidianamente sono degradate per turnover cellulare. Non si ha un sistema di deposito delle proteine a
cui la cellula possa attingere. Il concetto più importante è che le proteine devono sempre essere mantenute
in equilibrio: tanto introduco, tanto elimino per mancanza di possibilità di avere proteine in sovrappiù, che
invece sono un problema. Le proteine sono macromolecole, polimeri. Il discorso si sposta sugli
amminoacidi, cioè l’unità monomerica, che costituiscono le proteine con l’uso della sintesi proteica. Dalla
demolizione degli amminoacidi si ottengono intermedi che vanno sia nella via del piruvato (glicolisi e
gluconeogenesi), vanno sull’acetil Coa, o danno intermedi del ciclo di Krebs, danno anche coenzimi
piridinici ridotti che supportano la catena di trasporto degli elettroni. Guardando gli intermedi, si vede che
le frecce vanno anche nella direzione della biosintesi: alcuni intermedi del ciclo di Krebs sono usati per
sintetizzare amminoacidi.
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pancreas a rilasciare del bicarbonato, che ricostituisce un ambiente basico (pH 7). La presenza del cibo nel
tenue induce il rilascio dell’ormone colecistochinina che stimola la secrezione del succo pancreatico che
contiene gli enzimi idrolitici per le proteine (tripsina, chimotripsina e carbossipeptidasi e sono tre perché
hanno diverse specificità di azione, mentre per gli zuccheri, in maniera polimerica, si introduce amido fatto
da glucosio, mentre le proteine hanno 20 diversi amminoacidi che devono essere riconosciuti). Tripsina e
chimotripsina (tripsinogeno e chimotripsinogeno) vengono prodotte come zimogeni e attivate con
attivazione proteolitica. La tripsina è anche usata in laboratorio perché è altamente specifico nel
riconoscere il legame peptidico: taglia in corrispondenza di lisina e arginina. Mentre tripisina e
chimotripsina riconoscono legami peptidici in posizioni interne, le carbossipeptidasi tagliano le estremità C-
terminali togliendo un amminoacido alla volta, accorciando la catena. L’assorbimento avviene nel tenue,
ma non può avvenire per dei peptidi. Solo in caso di malfunzionamento della barriera dell’epitelio
intestinale, si assorbono peptidi più lunghi. Quando si assorbe un frammento di 4 o 5 amminoacidi essi
possono diventare determinanti antigenici e possono stimolare la produzione di anticorpi, provocando, poi,
reazioni allergiche. Sulla superficie delle cellule dei villi, funziona un altro enzima proteolitico che sono le
amminopeptidasi, che lavorano come le carbossipeptidasi e sono inseriti in membrana e tagliano un
amminoacido alla volta dall’estremità ammino terminale. Le cellule contengono proteine che devono
sottostare a un turnover e quindi una sorgente di amminoacidi nelle cellule è rappresentata dalla
degradazione delle proteine intracellulari. Le cellule sintetizzano e degradano continuamente le proteine,
che possono avere una vita breve (RNA pol da 1 a 3 ore) o una lunga (gliceraldeide 3-P deidrogenasi 130
ore). Le proteine del cristallino dell’occhio hanno, invece, una vita media pari alla nostra anagrafica. Ci sono
due modi di degradazione:
- Sono usati i lisosomi. Essi sono organelli delimitati da una singola membrana, hanno un ambiente
protetto più acido del citosol (pH 5) e hanno fino a 50 idrolasi diverse perché non degradano solo
proteine, ma anche materiale lipidico accumulato. I lisosomi lavorano in un ambiente acido e
questa è una sorta di protezione per la cellula: se per danni cellulari, la membrana dei lisosomi si
rompe, allora le idrolasi andrebbero nel citosol e porterebbe a danni, ma lavorando a pH acido e
dato che il citosol ha pH 7 allora la loro attività acidi viene contenuta.
- Si ha una degradazione citosolica che prevede una modifica
post-traduzionale con un legame covalente con l’ubiquitina,
con il processo dell’ubiquitinazione con conseguente
demolizione nel proteosoma, che non è un organello e
quindi non è delimitato da membrane. Questo è un
processo che prevede il legame dell’ubiquitina (76 aa) alla
proteina destinata alla degradazione. Si chiama ubiquitina,
perché si trova in tutti gli organismi ed è conservata, in tutti,
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una posizione del residuo di lisina 48 che è un punto per il legame dell’ubiquitina. Si tratta di un
processo che richiede ATP ed è indipendente dai lisosomi. L’ubiquitina si lega, con il suo estremo C-
terminale sporgente, al sito attivo dell’enzima. Ci sono tre enzimi diversi che intervengono nel
processo: E1, E2, E3. Questo serve perché il processo dev’essere possibile su una varietà ampia di
proteine e allora, se ci fosse un solo enzima che lega subito l’ubiquitina, questo non potrebbe
essere specifico per tutte le proteine della cellula. E1 dona ubiquitina, E2 la riceva ed E3 è l’enzima
che ha nel suo sito attivo la proteina condannata alla degradazione, che viene legata
covalentemente sul suo residuo di lisina all’ubiquitina. Questo legame è di tipo isopeptidico.
Questa successione fa sì che venga legata ubiquitina, ma non è sufficiente per la degradazione e
bisogna trasferire sulla proteina una piccola catena di ubiquitina a livello del suo residuo di lisina
48. C’è sempre un legame C-terminale-lisina 48. Questo evento si ripete e infatti si parla di poli-
ubiquitinazione. Studiando questo processo, si sono formulati diverse modalità di azione con cui le
proteine possano essere degradate. Si è visto che, esaminando le estremità N-terminali, che non
entrano in gioco nel processo, si notò la presenza di amminoacidi destabilizzanti che portano a una
vita media delle proteine breve, se inizia con amminoacidi stabilizzati, come serina, alanina, ecc,
allora la vita media sarà più lunga.
Dopo l’ubiquitinazione, la proteina è
degradata nel proteosoma, che ha una
forma cilindrica con associazione
quaternaria di più subunità proteiche. Il
proteosoma ha una porzione centrale, il
nucleo 20S, e da due cappucci, sopra e
sotto, definiti particelle regolatrici 19S.
Questo sistema è più aspecifico, ma riconosce la coda di ubiquitina, la proteina entra nel cilindro
dove, attraverso variazione conformazionali dipendenti dall’ATP, si realizzano eventi proteolitici
con cui la proteina è degradata. Dal proteosoma escono la proteina degradata in peptidi e le unità
di ubiquitine, poi nel citosol prosegue la demolizione a singoli amminoacidi. Una volta recuperati
nel citosol, i singoli amminoacidi possono esser usati per la biosintesi delle proteine. Questo
recupero avviene per il problema del gruppo amminico, che, se libero, è un problema per la cellula.
Quindi, la cellula fa parsimonia del suo metabolismo dell’azoto delle proteine. Se, invece, sono
superate le richieste dell’equilibrio dell’N e se arrivano troppi amminoacidi, allora questi
amminoacidi non vengono depositati e devono essere demoliti: si deve rimuove all’inizio il gruppo
amminico. Questo è il problema più grande perché poi il gruppo amminico dev’essere eliminato
con il ciclo dell’urea. Poi, lo scheletro carbonioso ha diversi destini: può essere ossidato
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completamente, facendo ATP, o questi scheletri sono usati per le biosintesi (degli acidi grassi o del
glucosio).
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della cellula epatica. Anche l’alanina, che proviene con la circolazione del sangue ed è un amminoacido
molto presente nel sangue, con la glutammina, entra nel fegato e subisce una reazione transaminasica. Al
posto di R si ha CH3 e anche lei reagisce con l’alfa chetoglutarato, che diventa glutammato mentre l’alanina
diventa piruvato (sapere formule).
La transaminasi per trasferire il gruppo amminico ha bisogno di un coenzima, che è PLP, cioè
piridossalfosfato, cioè un derivato della vitamina B6. Il PLP è il coenzima di tutte le transaminasi. Le
transaminasi sono dette anche amminotransferasi. Nel sito attivo, c’è la struttura del PLP (no formula). Il
PLP è piridossale, che, dalla chimica, si sa che sono aldeidi, infatti ha un gruppo aldeidico e, durante la
reazione delle transaminasi, esce l’amminoacido che ha perso il suo ammino gruppo ed entra l’alfa
chetoglutarato. Oltre alla reazione appena descritta, si può formare anche aspartato (un altro donatore
dell’urea) a partire
dall’ossalacetato. GOT e GTP sono
glutammico ossalacetico
transaminasi e la glutammico piruvico transaminasi. L’aspartato può reagire con alfa chetoglutarato,
diventando glutammato e ossalacetato, mentre l’alanina reagisce con alfa chetoglutarato che diventa
piruvato e glutammato. Perciò, esse sanno lavorare nei due sensi (lo ha detto per capire la reazione scritta
così).
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CICLO DELL’UREA
Durante questo ciclo, che avviene nel fegato, si produce
urea (C=O e due gruppi amminici). I due gruppi amminici
hanno due colori diversi: verde e azzurro. Questo perché
hanno due origini diverse.
Il ciclo parte dal mitocondrio, però non è localizzato tutto
qua, ma esso avviene in parte anche nel citosol del
fegato, in cui si rilascia urea. Nel primo step, l’ammonio
reagisce con la CO2, cioè l’acido carbonico, con cui si
sintetizza il carbamil fosfato, perché c’è un COOH legato a
un gruppo amminico. Si usa l’enzima carbamil fosfato sintetasi I. Questa molecola si combina con
l’ornitina, che è un amminoacido metabolico perché non è uno dei 20 che fanno proteine, ma compare qui
come un intermedio, un po' come l’ossalacetato del ciclo di Krebs. L’ornitina, che proviene dal citosol, entra
nel mitocondrio, in cui si combina per dare la citrullina. L’ornitina ha cinque atomi di C (sapere formula). Sul
gruppo amminico dell’ornitina si deve attaccare il carbamil fosfato, per dare la citrullina (sapere formula).
Attaccando il carbamil fosfato al gruppo amminico (con una reazione di condensazione), si vede che si
forma già la formula dell’urea. Però, se ci fosse un enzima che taglia a quel punto liberando l’urea, si ha un
problema perché si avrà una molecola che non sarà niente e così non si chiude il ciclo. Allora l’atomo di N
dell’ornitina lo si deve lasciare e si deve continuare ad aggiungere pezzi all’ornitina. La citrullina va nel
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citosol, dove si combina con l’acido aspartico, che porta un gruppo amminico che si lega alla citrullina,
formando l’argininosuccinato, in cui l’acido aspartico dona il suo ammino gruppo. Successivamente, si deve
rimuovere ciò che rimane dell’acido aspartico (si perde una molecola di fumarato) e tutto il complesso
diventa arginina, che ha tre atomi di N al suo terminale. La quarta reazione prevede il distacco dell’urea: è
una reazione di idrolisi che libera la molecola dell’urea e lascia intatto il gruppo amminico che fa sì che tutta
la molecola torni a essere l’ornitina. Per questo processo, si consuma molto ATP: già nel mitocondrio se ne
usano due per fare carbamil fosfato, poi si usa ATP anche per legare asparato alla citrullina. La nostra dieta
non dev’essere troppo ricca in proteine, se poi le cellule non hanno un ricambio accelerato di proteine.
C’era la gotta, che è una malattia delle articolazioni che, nel passato, era molto presente tra persone ricche
e agiate perché consumavano cibi ricchi in proteine quasi giornalmente, a differenza dei contadini. La gotta
era dovuta a un sovraccarico nel fegato di ciclo dell’urea che, se accumulata, porta a depositi di acido urico
sotto forma di salo a livello delle articolazioni, che si gonfiavano e si limitavano, così, i movimenti.
Il cerchio che unisce ciclo di Krebs e il ciclo dell’urea è lo shunt aspartato-arginino-succinato del ciclo
dell’acido citrico. La citrullina, combinandosi con l’aspartato, forma argininosuccinato, liberando il
fumarato può diventare malato, entrando così nel ciclo di Krebs. A sua volta, dal ciclo dell’acido citrico,
attraverso l’intermedio dell’ossalacetato, si esce dal ciclo dell’acido citrico, l’ossalacetato viene convertito
in aspartato con transaminazione e l’aspartato può uscire dal mitocondrio per fare quel secondo atomo di
N che entra nel ciclo dell’urea. In realtà, la cellula non ha bisogno di aspartato in più, che, invece, deriva dal
ciclo dell’acido citrico.
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per fermarsi prima e per riusare queste basi azotate già formate con questa reazione, che ha una doppia
freccia. Questa reazione è una fosforibosiltransferasi. Esistono, nelle nostre cellule, diversi enzimi di questa
categoria perché devono essere specifici per purine o pirimidine ed essi prendono la base azotata e la
trasferiscono sul ribosio, non sul ribosio 1-P, ma sul ribosio che ha tre fosforilazioni (cioè un
fosforibosilpirofosfato, PRPP). Il vantaggio di trasferire il P su questo tipo di molecola sta nel fatto che
direttamente dalla base azotata si ottiene subito il nucleotide, perché va via il pirofosfato, ma rimane P,
zucchero e base azotata che formano già il nucleotide. La via inversa prevede due passaggi perché si deve
tornare indietro fermandosi al nucleoside e poi lì si deve consumare ATP per legare il P diventando
nucleotide. Con la via di recupero, invece, non uso ATP. Questi enzimi transferasici sono importanti per cui
si sono identificate malattie genetiche legate alla carenza di questi enzimi delle vie di recupero, come la
malattia di Lesch-Nyhan, che porta a ritardo mentale.
Nella via di recupero si hanno due basi perché la transferasi lavora sia sulla guanina sia sulla ipoxantina. La
seconda non è una base azotata, ma è un precursore. C’è il composto PRPP che ha il pirofosfato in 1’ e il P
5’ e la transferasi trasferisce il P in 1’, facendo subito il nucleotide.
Gli enzimi delle vie biosintetiche dei nucleotidi sono i bersagli degli agenti chemioterapici e, in più, le purine
sono sintetizzate a partire da 5-
fosforibosilammina, mentre le
pirimidine partono da carbamil fosfato
e aspartato.
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