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Biochimica - appunti

PRINCIPI DI BIOCHIMICA (Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo


Avogadro)

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04.03.2019
BIOCHIMICA

Libri introduzione alla biochimica di Lehninger Nelson, cox (versione condensata).


Modalità d’esame scritto (risposta multipla, trascrivere reazioni) + orale (parte metabolica).
Esercitazioni laboratorio prenotazioni su dir.

INTRODUZIONE
Circa 4 miliardi di anni fa comparve la vita. La biochimica si interessa delle reazioni molecolari che
avvengono nella cellula.
La biochimica cerca di spiegare come le eccezionali caratteristiche degli organismi viventi derivino dalle
migliaia di molecole diverse che li costituiscono. Queste molecole, una volta isolate ed esaminate
singolarmente, si adattano a tutte le leggi fisiche e chimiche che regolano il comportamento della materia
inanimata. L’evento delle molecole, capaci di replicarsi è avvenuto in un ambiente circoscritto (da
membrane). Nell’acqua sono avvenute queste reazioni chimiche, di replicazione di molecole. La biologia
studia gli organismi viventi, i quali sono costituiti da cellule, contengono info genetica, si riproducono,
derivano da una cellula, si sono evoluti, sono capaci di utilizzare le molecole a scopi energetici per costruire
altre molecole ecc.
Tappe storiche:
- Nel ‘700 Hooke e van Leeuwenhoek. Osservarono le cellule.
- Nel 1838 Schleiden e Schwann formularono la teoria cellulare.

Teoria cellulare: le cellule sono le unità strutturali e fisiologiche di base di tutti gli organismi viventi, le
cellule sono sia entità distinte, sia i mattoni di organismi più complessi (all’epoca di Schleiden e Schwann si
pensava ancora che le cellule fossero il risultato di un auto-assemblaggio di materiale non-vivente, la vita
comparisse per generazione spontanea).

- Nel 1828 sintesi urea, Wohler dimostrò che l’urea poteva essere sintetizzata in laboratorio dal
cianato di ammonio.
- Nel 1897 i fratelli Buchner dimostrarono la fermentazione dello zucchero in etanolo in vitro, senza
usare microrganismi vivi ma frammentandoli.
- Nel 1859 Pasteur dimostrò che non esisteva un soffio vitale, ma la vita si generava da altre cellule
già esistenti. Nel suo esperimento prese un pallone di vetro con all’interno un terreno di coltura e
lo riscaldò per uccidere microrganismi. Nella porzione apicale del pallone c’era un collo per evitare
il contatto con il pulviscolo atmosferico. Il risultato dell’esperimento fu che dove veniva rotto il

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collo si notava la presenza di microrganismi mentre l’altro era sterile. Capì da questo esperimento
la riproduzione delle cellule.

Un tentativo di questo esperimento venne fatto da Redi sulle larve di mosche, ma non venne descritto:
aveva visto svilupparsi delle larve in un pezzo di carne (1668).

- Nel 1844-1858 Darwin pubblica il suo lavoro sull’evoluzione delle specie e comincia a diffondersi la
sua teoria per cui tutti gli esseri viventi discendono da un antenato comune e sono imparentati tra
loro (selezione naturale).
- Nel 1926 venne cristallizzato un enzima, l’ureasi da Sumner (un enzima che scinde l’urea).

Flusso informazione biologica si tratta dell’informazione biologica è scritta nel codice genetico e viene
tramessa da una cellula genitrice a una cellula figlia. Il genoma è la somma di tutte le molecole di DNA di
una cellula. Il genoma umano scritto con quattro lettere corrisponde a più di 3 miliardi di lettere. Tutte le
cellule contengono lo stesso genoma, eppure cellule diverse svolgono funzioni diverse. Mutazioni dei geni
sono la base su cui opera l’evoluzione.
- Nel 1850 Mendel formulò l’idea di gene con esperimenti di incroci.
- Nel 1900 si scoprì che i geni si trovano sui cromosomi.
- Nel 1869 Miescher isolò acidi nucleici.
- Nel 1953 Watson e Crick descrissero struttura a doppia elica del DNA.
Negli anni ’60 i biochimici hanno lavorato nel descrivere le vie metaboliche della cellula, che avvengono
simultaneamente. I reperti fossili arrivano fino a circa 185 milioni di anni fa.

REGNI: Bacteria, Archea, Eukarya.

Nell’evoluzione della vita il passaggio critico fu la comparsa di molecole che potevano riprodurre sé stesse
e anche servire da stampo per la sintesi di grandi molecole. Il secondo passaggio si realizzò quando le
molecole biologiche complesse vennero racchiuse da membrane. I cianobatteri sono capaci di fare
fotosintesi. Per circa 2 miliardi di anni dall’origine delle cellule tutti gli organismi furono PROCARIOTI
UNICELLULARI confinati negli oceani dove c’erano molecole complesse da usare come fonte di energia, al
riparo dagli effetti dannosi dei raggi UV in quanto non vi era ossigeno nell’atmosfera. 2,5 miliardi di anni fa
comparve la fotosintesi (si mette in gioco un metabolismo aerobico). Il metabolismo aerobico è più
efficiente di quello anaerobico e permise alle cellule di crescere in dimensioni. Si formò lo strato di ozono e
800000 milioni di anni fa fu possibile la vita sulla terraferma. L’RNA può essere stato il primo catalizzatore
biologico. L’RNA catalitico funziona da ribozima. L’RNA che funziona da stampo è capace di replicarsi,
funziona da stampo anche per le prime proteine. Le proteine riescono ad assumere forme nello spazio
diverse rispetto agli acidi nucleici.

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La forma delle molecole nello spazio è importante. Per quanto riguarda le dimensioni cellulari, esse sono
limitate dal rapporto tra superficie e volume. Il volume rimane lo stesso, ma cambia la superficie. La
presenza di una membrana è importante perché consente gli scambi con l’ambiente esterno. Più è
maggiore la superficie di scambio, maggiore sarà l’efficienza della cellula. In tutto questo, è prevalsa la
scelta di fare tante piccole cellule con una grande superficie di scambio.
Con l’occhio nudo si vedono fino a 200 micron, mentre con il microscopio ottico si vedono fino a 0,2 nm.
Con il microscopio elettronico si vede al di sotto dei nanometri gli organelli. Alcune tecniche di microscopia
ci fanno vedere gli assemblaggi delle molecole biologiche, (+ ripassare da soli organelli della cellula).

ELEMENTI
Gli elementi più abbondanti nell’universo sono l’idrogeno e l’elio. Essi sono anche i componenti principali
delle stelle. Gli elementi presenti nel nostro corpo umano sono carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto (C, H,
O, N). Questi quattro elementi formano legami covalenti e sono i costituenti delle cellule, formano
macromolecole biologiche.
Dal punto di vista molecolare la cellula è organizzata in:
- Monomeri: nucleotidi, amminoacidi, zuccheri.
- Macromolecole: DNA, proteine, cellulosa.
- Complessi sopramolecolari: cromatina, membrana plasmatica, parete cellulare.
- La cellula e i suoi organelli.
Componenti base delle cellule sono zuccheri, acidi grassi, amminoacidi, nucleotidi. Componenti complessi
sono, invece, cellule polisaccaridi, grassi, lipidi, membrane, proteine, acidi nucleici.
Il citosol (ambiente acquoso) di tutte le cellule contiene un migliaio di piccole molecole organiche.
Il metaboloma è lo studio di tutti i metaboliti presenti in un certo istante nella cellula. Gli oligomeri sono
polimeri con dimensioni più piccole.
05.03.2018

Ci sono tre notazioni grafiche in cui c’è tridimensionalità:

- A, in cui ci sono legami tra vari atomi


per capire la struttura, ad esempio se un atomo sporge
o no dal piano. Questa rappresentazione non è
importante per i biochimici, per cui invece sono
fondamentali i gruppi funzionali.
- B che sono rappresentazioni grafiche
molecolari. In questo modo, si può osservare la forma

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della proteina. I colori non sono casuali, ma servono per seguire una notazione valida a livello
mondiale. Perciò, H è grigio, C è nero, O è rosso e N è azzurro, alcune volte è giallo (modello CPK).
- C, definita notazione a spazio pieno in cui il diametro delle sfere dovrebbe essere proporzionale alle
dimensioni dell’atomo, altre volte è standard, ma dà un’idea di dove i diversi atomi siano collocati.

STEREOISOMERI, cioè composti con gli stessi legami chimici, ma con diversa configurazione. La loro
configurazione può essere cis o trans. Le nostre
cellule si sono evolute per riconoscere un
isomero piuttosto che un altro, in particolare ci
sono enzimi, cioè proteine che trasformano
molecole in altro, e, nel loro meccanismo di
azione, riconoscono isomeri trasformandone
uno e non l’altro. Così, ci si distingue dalle sintesi
industriali perché, per produrre un
amminoacido con processi industriali, si ottengono combinazioni di isomeri. In particolare, gli stereoisomeri
sono fondamentali perché differiscono ancora meno di altri tipi di isomeri perché differiscono solo nella
configurazione e hanno stessi legami chimici, cioè sono fatti dagli stessi gruppi funzionali. Al loro interno, il
primo esempio è dato dagli isomeri geometrici, che si formano in presenza di un doppio legame. Essi sono
isomeri geometrici perché non si può spostare spontaneamente da uno all’altro, ma bisogna rompere il
legame e sintetizzare di nuovo. Stessa parte, si parla di isomero cis, da parti opposte, si parla di isomero
trans. Un altro tipo di stereoisomeri presenti nelle cellule, sono le molecole chirali. Allora, il C ha quattro
legami e ha una sua configurazione tetraedrica e quando si ha una molecola con un atomo di C e ai quattro
legami ci sono quattro gruppi diversi, il C è detto centro chiralico.
Ci sono due configurazioni diverse,
perciò si parla di enantiomeri che
sono uno l’immagine speculare
dell’altra. Sono due molecole
diverse perché non è possibile
convertire una molecola nell’altra.
Quando si ha più di un atomo di C
con quattro sostituenti differenti vuol dire che si hanno più C come centri chiralici. Quando capita, si ha un
numero di configurazioni pari a 2 elevato a n, in cui n è il numero di centri chiralici. Oltre a enantiomeri,
esistono anche diastereoisomeri, che sono stereoisomeri, ma che non sono uno l’immagine speculare
dell’altro.

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Pasteaur studiò il fenomeno degli steroisomeri e scoprì una proprietà degli enantiomeri che sono capaci di
ruotare il piano della luce polarizzata e a lui dobbiamo una notazione perché capì che si distinguono due
enantiomeri per cui esistono dei sistemi di classificazione: il sistema D o L (destrogiro o levogiro). Questa è
l’osservazione fatta in luce polarizzata per vedere verso che direzione la molecola riesce a spostare il piano
della luce polarizzata. Gli amminoacidi sono quasi tutti della serie L, mentre gli zuccheri sono D. Quindi la
configurazione può essere cambiata solo con la rottura dei legami covalenti che legano i vari gruppi a C,
mentre la conformazione può essere cambiata semplicemente dalla rotazione attorno ai legami singoli,
quindi essa può avvenire spontaneamente. Le varie molecole biologiche, quindi, non sono fisse e statiche
come si vedono rappresentate, ma possono cambiare la loro conformazione in modo spontaneo con la
rotazione dei vari gruppi attorno si legami singoli. Tutto ciò, è importante per la vita della cellula.

Versatilità dei legami a carbonio:

La forza dei legami è legata a un’energia necessaria per rompere un legame a C e per rompere un triplo
legame ci vuole molta energia ed è per questo che nelle cellule ce ne sono pochi perché è troppo costoso.
Si trovano, quindi, legami con contenuti energici più bassi. Esempio: C-C è 348, mentre C-O è 352.

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GRUPPI FUNZIONALI

RUOLO DELL’ACQUA NEI PROCESSI BIOLOGICI


Il 70% delle cellule umane è formato da acqua,
infatti si trova il citosol che è un ambiente acquoso.
Ci sono certi dettagli dell’acqua molto importanti:
presenta, ad esempio, tre stati, cioè liquido, solido
e gassoso. Le molecole di acqua allo stato solido e
liquido sono tenute assieme da legami a H. I ponti a
idrogeno che si instaurano tra un atomo di
ossigeno e uno di H sono importanti nei sistemi
viventi. Nella forma tridimensionale, gli elettroni
dell’acqua sono quattro coppie, due libere e due
condivise, cosicché sull’H ci sia una parziale carica positiva, mentre sull’atomo di O, la carica è parzialmente
negativa: la condivisione è parziale perché la carica è spostata sull’ossigeno perché è più elettronegativo.
Ogni molecola di acqua, nello stato solido, interagisce con quattro molecole di acqua con legami a H. Per
questo la molecola dell’acqua è polare. Tra le due cariche si forma il ponte a H che è debole. Nell’acqua
liquida, le molecole sono molto più vicine le une alle altre, quindi ci sono legami a H, ma si formano e si
dissociano continuamente e se si deve estrarre un numero di legami a H da ogni molecola di acqua, il
numero di legami a H per ogni molecola di acqua diminuisce, infatti non è = 4, ma è = 3.4. La struttura
risulta, quindi, più disordinata, in più, l’acqua liquida è più densa di quella solida. Ciò è importante perché
quando scende la temperatura e l’acqua passa da liquida a solida, in un fiume o in un lago, il ghiaccio
galleggia per la sua minore densità. Questo, quindi, ha un’importanza biologica. L’acqua, perciò, ha
importanza sia sull’ambiente sia sull’uomo in sé, ad esempio per la sudorazione. Si può notare il fatto che,

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mettendo a confronto diverse caratteristiche fisiche di varie molecole di acqua, si notano che alcune
molecole non sono tenute assieme da ponti a idrogeno e questo incide sulle caratteristiche chimico-fisiche
(es. temperatura di ebollizione). La forza di coesione è presente nell’acqua liquida grazie ai ponti a idrogeno
e grazie a questa forza di coesione, l’acqua può risalire sui vasi o un tronco grazie alle radici (si spostano per
capillarità).
I legami a H si formano tra le molecole di acqua (solo) e, anche, tra molecole di acqua e altre molecole, ad
esempio l’ossigeno di un etere, ecc. Perciò, dove c’è un doppietto libero e dall’altra parte si ha un H con
parziale carica positiva, tra essi si può formare un legame debole, cioè a H. Questi legami sono importanti
per il passaggio da amminoacidi e proteine, perché ogni volta che si ha un passaggio da una struttura
monomerica a una polimerica, quel legame covalente della polimerizzazione serve per legare più monomeri
insieme. Questo avviene, ad esempio, nella condensazione e nell’idrolisi che non sono spontanee, nel fare
queste reazioni, gli enzimi compiono idrolisi per rompere i legami, per catalizzare così, una reazione. Tutto
ciò avviene in cellule in cui si trova il 70% di acqua. Condensazione, in cui si passa da ADP ad ATP
eliminando gli elementi dell’acqua, e idrolisi, catalizzata dall’idrolasi e consiste nell’aggiunta di elementi
dell’acqua. Esse sono alla base per la formazione delle molecole polari. Inoltre, i legami a H sono più forti
quando viene resa massima l’interazione elettrostatica.
07.03.19
L’acqua è una molecola polare e tutto
ciò che ha caratteristiche polari è
compatibile con l’ambiente acquoso
della cellula (citosol). L’acqua scioglie,
ad esempio il NaCl perché sostituisce
le interazioni soluto-soluto, con
interazioni acqua-solito. Ciò
determinò la formazione della prima
cellula. Nella foto di destra sono
presenti degli acidi grassi in cui si distinguono delle code idrofobiche.
Questo fa capire che, ad esempio, olio e acqua non sono miscibili. Le
molecole di acqua tendono a disporsi in modo ordinato e sono detti
clattrati. Mettere qualcosa in ordine non è favorito dal punto di vita
energetico, perché, con l’entropia, si tende sempre al disordine. Se si
aumentano le molecole di acidi grassi, essi possono interagire tra loro
attraverso il legame di interazione idrofobica. Perciò, le catene
idrocarburiche, le gialle a sinistra, si avvicinano, si dispongono così che le
teste e le code possano assumere la loro disposizione classica. Si parla, infatti, di molecole anfipatiche che,

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quindi, hanno una parte che interagisce positivamente con l’acqua e un’altra, invece, che la rifugge. Queste
interazioni liberano le molecole di acqua dalla situazione di ordine e, quindi, quando si cerca di sciogliere
molecole idrofobiche in acqua, esse sono favorita da interazioni idrofobiche. Essi si orientano a formare un
monostrato. Se aumento le molecole lipidiche, si passa da un monostrato a una sfera, cioè una micella
(foto di sinistra in alto), in cui le code idrofobiche dei composti anfipatici sono disposte tra loro all’interno e
le teste polari sono all’esterno. Si parla anche di liposomi, che sono delle vescicole costruite artificialmente
mettendo in una soluzione acquosa delle molecole lipidiche che si dispongono a formare vescicole per poi
inglobare all’interno del materiale. Questa caratteristica che hanno le molecole lipidiche di interagire tra
loro e di costruire delle vescicole dipende dal fatto che il tutto avviene in un ambiente con molecole di
acqua che favoriscono la situazione, aumentando il disordine. Un’altra caratteristica della molecola di
acqua è che esse possono ionizzarsi. Questa capacità di ionizzazione è molto piccola (solo due molecole su
10 alla 9 sono ionizzabili). Si può calcolare la costante di equilibrio ogni volta che una molecola si ionizza. La
soluzione tampone resiste a variazioni di concentrazione di ioni idrogeno quando si aggiungono un acido o
una base forte. Questa proprietà è detta potere o capacità tampone. Si parla anche di condizioni
fisiologiche che sono le condizioni alle quali noi viviamo, come temperatura e ambiente in generale. Il pH
della cellula dev’essere mantenuto in qualche modo perché le cellule non possono sopportare sbalzi di pH.
Dentro la cellula, infatti, ci sono molecole che funzionano da
tampone per mantenere l’equilibrio. La formula riportata
riguarda l’equazione di Henderson-Hasselbach. Essa esprime
la curva di titolazione di tutti gli acidi deboli e mostra, quindi,
perché il valore di pKa di un acido debole sua uguale al pH della soluzione quando (AH)=(A-). Il potere
tampone è massimo quando la concentrazione dell’acido e del sale sono eguali, cioè: pH=pka, che è la
costante di dissociazione dell’acido. Affinché un tampone sia utile, lo si deve utilizzare nell’intervallo del pH.
Dentro le cellule si hanno molecole, come le proteine e i loro amminoacidi, che funzionano da sistema
tampone: si tratta di miscele di acidi deboli e delle loro basi coniugate. Poi c’è il tampone fosfato (fluidi
intracellulari) e anche il tampone bicarbonato (plasma sanguineo), che lavora bene per gli scambi tra la CO2
e l’acido carbonico disciolto nel sangue. Alcuni gas, come la CO2, sono non polari, che difficilmente si
sciolgono nei fluidi biologici. Discorso diverso va per l’ammoniaca gassosa,
ad esempio, che è polare e che, quindi, si dissolve bene. Evolutivamente, si
sono organizzate strutture che veicolano questi gas, come la molecola
dell’emoglobina che fa da trasportatore dell’O2 molecolare. Quando, però,
CO2 o O2 devono andare nei polmoni per essere eliminati, in qualche modo
devono passare nel sangue. In questo caso, il tampone bicarbonato è molto
funzionale perché media gli scambi aerei tra polmoni e sangue. Un esempio
per cui questo tampone bicarbonato è importante, è quello con l’acido lattico perché funziona interagendo

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con ioni H+ per fare H2CO2. Questa dissocia in CO2, che, quando arriva a livello del polmone, passa dalla
fase liquida a quella gassosa. In questo modo, l’organismo si libera della CO2.
Si parla di salti protonici (spostamenti dei protoni) che è legata alla dissociazione dell’acqua. Si ha lo ione
idronio (H3+), molecola di acqua a cui si lega l’H+. Nelle reazioni cellulari, nei siti attivi degli enzimi, il
protone è veloce nel passare da una molecola all’altra. Essere rapido significa essere compatibile con la
cellula stessa. Tutte queste informazioni sono utili a noi, perché questo ha portato alla vita di oggi. Tutto ciò
è raffigurato nella foto di sinistra in alto. Inoltre, quando uno ione H+ si forma nell’acqua, questo viene
immediatamente idratato a ione idronio.
L’acqua funge anche da solvente polare, ad esempio lo ione sodio e cloro si sciolgono facilmente in acqua
perché vengono solfatati da essa. Questo è il meccanismo di azione come solubilizzante perché l’acqua ha
sia una carica positiva sia negativa, quindi riesce a solfatare sia molecole positive sia negative. Un’altra
caratteristica è legata all’osmoregolarità che avviene nelle cellule. La cellula è delimitata da una membrana
semipermeabile e le molecole di acqua riescono ad attraversarla, anche se non facilmente, con l’aiuto di
una pressione osmotica. Si hanno delle proteine a livello della membrana, chiamate acquaporine, che
facilitano il flusso dell’acqua. Le molecole di acqua sono, così, libere di muoversi. Alcune sostanze, però,
non riescono assolutamente ad attraversare la membrana e questi determinano una pressione osmotica
sulle membrane cellulari e l’acqua può muoversi da una soluzione molto diluita a una dove ci sono molte
molecole di sostanze diverse, come sali, vitamine, che determinano la concentrazione, quindi vanno verso
un compartimento così concentrato per diluirlo. Per diminuire, quindi, la pressione osmotica. Si crea, così,
una situazione di osmoregolarità e quando la concentrazione di soluti dentro la cellula è uguale a quella
dell’esterno, si dice che la cellula è immersa in una soluzione isotonica perché non si trova una pressione
che spinge le molecole a spostarsi in un altro compartimento. Quando, invece, la cellula è in una soluzione
ipertonica, allora la cellula si raggrinzisce per un movimento netto di acqua che dall’interno vanno
all’esterno per creare un equilibrio. Viceversa, se si mette una cellula in soluzione ipotonica con
concentrazione di soluti minore rispetto all’interno della cellula, allora la cellula comincia a gonfiarsi perché
le molecole di acqua entrano nella cellula per diluire l’interno della cellula. Poi questo crea un danno alla
cellula, perché si gonfia fino a quando non scoppia. Questo meccanismo è usato in laboratorio quando si
vuole studiare il sangue: globuli rossi in acqua distillata, questi esplodono perché sono in soluzione
ipotonica.
I legami deboli che si formano in soluzione acquosa sono importanti:
- Legami a idrogeno che si formano non solo tra le molecole di acqua, ma anche ogni volta che ho un
H e un doppietto elettronico. Non sono forti, ma le macromolecole sono grandi e possono, quindi,
formare numerosi legami.
- Interazioni ioniche o elettrostatiche che possono essere attrattive o repulsive.
- Interazioni idrofobiche che sono alla base del funzionamento di tutte le membrane.

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- Interazioni di Van der Waals che sono le più deboli e che sono interazioni tra atomi della cellula.
Nonostante siano deboli, sono tanti nelle macromolecole, quindi, diventano forti.

AMMINOACIDI E PROTEINE
La proteina è una parola che deriva da proteios, cioè sostanza primitiva della
nutrizione animale. Esse sono formate dalla successione di 20 amminoacidi. Le
proteine sono in grado di effettuare delle trasformazioni chimiche, mentre il
DNA non ne è in grado, ad esempio il luciferasi delle lucciole. Gli amminoacidi
nelle proteine sono tutti formati da un gruppo carbossilico, da un’ammoniaca,
da una catena laterale, un atomo di H e da un atomo di carbonio alfa che è l’atomo di carbonio che porta il
gruppo principale. Il gruppo R è quello diverso per i 20 amminoacidi. Quell’atomo di carbonio è
asimmetrico e si possono avere i due enantiomeri, i due stereoisomeri, cioè L o D. I sistemi viventi sono
organizzati così che tutti gli amminoacidi siano L-stereoisomeri, cioè ruotano il piano della luce polarizzata a
sinistra. Esistono anche amminoacidi D-stereoisomeri e si trovano nei batteri. Gli amminoacidi sono
classificati in base al gruppo R:
- Alifatici, non polari.
- Aromatici.
- Polari, non carichi.
- Carichi positivamente.
- Carichi negativamente.

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La glicina è quello più semplice che ha solo un atomo di H come sostituente, l’alanina è polare. Poi ci sono
quelli ramificati usati come integratori: valina, leucina e isoleucina e sono assorbiti bene nei muscoli. La
metionina è importante per la sintesi proteica. Poi c’è la prolina in cui il gruppo R ha un anello e in essa il
gruppo amminico non è libero, ma è chiuso in questo anello. Poi ci sono i polari come la serina che ha OH,
poi ci sono gli aromatici e, infine, quelli con carica positiva e negativa. Molto importante è sapere che i
batteri possono sintetizzarli tutti e 20 e un residuo amminoacidico è legato con un altro attraverso un
legame covalente.
11.03.19
Gli amminoacidi aromatici hanno l’anello aromatico e hanno
una proprietà utile in biochimica perché assorbono la luce
UV. Si usa lo spettrofotometro con cui si ottengono grafici in
cui in ascissa c’è la lunghezza d’onda espressa in nanometri e
in ordinata c’è l’assorbimento che non ha dimensioni (è la
quantità di radiazioni assorbita). Il triptofano, la tirosina e la
fenilalanina (in parte minore) ha una capacità di
assorbimento alta (280 nanometri). Gli altri 17 amminoacidi
non assorbono a 280 nanometri perché non hanno l’anello
aromatico, ma la caratteristica di assorbire a 280 nanometri è
tipica anche delle proteine. Si deve sapere che gli
amminoacidi possono assumere delle abbreviazioni, come si vede nella foto a sinistra. Nella tabella sono
anche presenti le quantità di questi amminoacidi all’interno delle
proteine. Molto dipende dal codice genetico, che è la tripletta di basi
azotate che codifica per ogni singolo amminoacido. Alcuni hanno più
triplette, quindi hanno più probabilità di essere codificati, altri, invece,
come la metionina, hanno solo una tripletta. Oltre a queste informazioni,
si trovano anche i pesi molecolari e le Pka per il COOH, per la NH3 e per le
catene laterali. Interessante è il valore di 6 per l’istidina: ciò vuol dire che
essa è capace di protonarsi e deprotonarsi in intervalli vicini alla
neutralità perché 6 è vicino al pH cellulare che è 7 (neutro). Molti enzimi,
infatti, lavorano grazie al comportamento acido-base dell’istidina. Anche
la cisteina è interessante perché ha una Pka intorno a 8 ed è sfruttato
perché la cisteina la si ritrova nel funzionamento degli enzimi perché può
perdere il protone nel gruppo solfidrilico.

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SPETTROFOTOMETRIA
Si tratta dello strumento più
importante e la tecnica è la
spettrofotometria. Ciò che fornisce
è un grafico di assorbimento e,
quindi, uno spettro. Appartiene alla
categoria degli spettrometri. Lo
spettro elettromagnetico serve per
vedere in che intervallo lo spettrofotometro lavora. La radiazione del visibile va dai 350 ai 900 nm e più una
radiazione è rappresentata da una lunghezza d’onda più piccola, vuol dire che la frequenza è maggiore e,
quindi, ha un’energia maggiore. Lo spettrofotometro usa un intervallo tra l’UV e il visibile: dai 390 ai 900
nm. Viene usato per quantificare, misurare, quanta radiazione in quel intervallo è assorbita dai campioni
biologici, che sono soluzioni perché si deve rappresentare ciò che avviene nella cellula. Dal punto di vista
del funzionamento, le parti sono:
- Una sorgente che emette nell’UV e nel visibile, come lampade allo xenon e deuterio (?).
- Provette a parallelepipedo e sono chiamate cuvette. Possono essere in vetro, plastica e quarzo,
l’importante è che siano trasparenti dalla radiazione elettromagnetica della lampada. La plastica
non va bene per gli UV, come anche il vetro. Bisogna usare il quarzo per i raggi UV.
- Monocromatore, che è un prisma capace, con il suo reticolo di diffrazione, di selezionare una sola
lunghezza d’onda specifica tra tutte quelle dell’UV e del visibile.
- In uscita si ha un foto tubo, rivelatore, che definisce quanta radiazione viene assorbita. Tutto
questo è convertito in un numero senza dimensione, l’assorbanza.

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Lo spettrofotometro può essere utilizzato per vedere se sono


assorbiti determinati amminoacidi aromatici. Perciò, è usato per
un’analisi qualitativa (ci sono o no), ma anche quantitativa perché
metto in relazione l’intensità della luce assorbita con il materiale
nella cuvetta, cioè con la concentrazione del materiale presente,
questa relazione quantitativa alla base
del funzionamento degli
spettrofotometri è la legge di Lambert Beer. Per
assorbanza si può intendere la densità ottica, cioè quando si vuole misurare quanto cresce una cultura di
batteri. La formula è quella a sinistra. Si parla anche di trasmittanza, che è il logaritmo di I1 su I0, mentre
l’assorbanza è l’opposto. La trasmittanza (T) è sempre indicata in percentuale. La trasmittanza varia tra 0 e
infinito (anche per questo l’assorbanza non ha un valore dimensionale) e, quindi, con una soluzione che
trasmette il 100% vuol dire che non viene assorbito nulla e che l’assorbanza è zero. Con una soluzione con
trasmittanza uguale a zero, l’assorbanza ha un valore infinito. In alcuni casi, se l’assorbanza è troppo alta, si
restituisce un valore di fuori scala. In tutto questo, è valida la legge di Lambert Beer che afferma: A= c x, in
cui  è il coefficiente di estinzione molare, che è un numero con delle dimensioni perché in genere vale
molarità alla -1 per cm alla -1 ed è tipico per le sostanze che possono essere analizzate in
spettrofotometria, A è l’assorbanza, mentre x (1 cm) è il percorso che la radiazione fa nel campione in linea
retta. Questo spiega perché gli spettrofotometri hanno la distanza di 1 cm perché così si semplifica la legge
di Lambert Beer. Nel grafico si nota che l’assorbanza è maggiore quando la concentrazione è maggiore.
L’assorbanza è direttamente proporzionale alla concentrazione. Le linee rosse sono quelle che possono
allontanarsi dalla retta e questi fenomeni sono detti deviazioni della legge di Lambert Beer. Alcune volte,
però, l’assorbanza non è direttamente proporzionale, ma ci sono deviazioni non prevedibili. Quindi,
convenzionalmente, le misure usate nei risultati finali sono quelle che vanno da 0 a 1 di assorbanza.
Lavorare con 3-4 unità di assorbanza è rischioso perché porta a deviazioni della legge, quindi bisogna usare
quelli tra 0 e 1.

La cisteina è facilmente ossidabile e, quindi, forma ponti disolfuro che sono l’unica modifica covalente
presente durante la maturazione delle proteine verso la loro forma tridimensionale. Il prodotto è ossidato e
ha un nome: dimero di cistina e ha un ponte disolfuro. Le proteine, quando hanno residui di cisteina, essi
possono ossidare con la formazione di ponti disolfuro che incidono sulla forma tridimensionale della
proteina. La cisteina è l’unico dei 20 amminoacidi a formare ponti disolfuro.

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Ci sono anche amminoacidi non comuni che non


hanno un codice e derivano da modifiche post-
trasduzionali, cioè c’è la sintesi proteica e poi,
prima che la sintesi sia arrivata nella destinazione
finale nella cellula, l’amminoacido subisce le
modifiche post-trasduzionali. Sono modifiche di
tipo covalente. Alcuni esempi di modifiche sono:
prolina e lisina che possono essere idrossilate e
l’OH è aggiunto covalentemente. Questi residui di
idrossilisina e prolina sono comuni nelle proteine
fibrose, come il collagene. Poi può esserci una
metilazione, con l’aggiunta di un gruppo metilico
alla lisina, formando la metil-lisina che si trova nei
muscoli. Poi c’è idrossiglutammato che viene ulteriormente idrossilato e questa modifica si trova nelle
proteine coinvolte nella coagulazione del sangue. Oppure nella desmosina che sono quattro lisine legate
insieme e questa struttura si ritrova in proteine del tessuto connettivo, di sostegno, come la elastina.
L’ultima è particolare perché è una seleniocisteina, cioè una formula simile alla cisteina, ma non ha SH, ma
c’è il selenio e sono abbastanza diffuse in po' in tutti i regni (animali, batteri, vegetali): questa non è una
modifica post-trasduzionale, ma durante la sintesi proteica viene aggiunto il seleniocisteina (si parla di
serina però a cui è aggiunto il selenio per fare seleniocisteina). Alcuni ricercatori dicono che la
seleniocisteina è il 21esimo amminoacido essenziale. Accanto a questo, la ricerca ha identificato il 22esimo
che è la pirrolisina. La selenocisteina è più diffusa della pirrolisina, che si trova nel mondo dei batteri e
basta.
Esiste anche l’addizione di un gruppo fosfato laddove ho un gruppo OH: è un evento importante
funzionalmente per gli eventi di fosforilazione che servono alla cellula per la trasmissione (trasduzione) del
segnale. Esiste anche la adenilazione che, però, è meno comune. Infine, esistono anche citrullina e
ornitinina e sono definiti amminoacidi
metabolici: sono sintetizzati come intermedi
della via metabolica del ciclo dell’urea. Si
tratta di un ciclo importante per la vita della
cellula perché l’urea è tossica quindi
dev’essere eliminata con il ciclo dell’urea,
durante il quale si formano ortinina e citrullina, cioè due amminoacidi che non sono mai usati dalla cellula
per la formazione delle proteine, ma solo per l’eliminazione dell’urea.

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Gli amminoacidi possono agire sia da acidi sia da basi, quindi possono agire da tamponi. Gli amminoacidi
all’interno della cellula e senza un gruppo R ionizzabile sono sotto forma di ione dipolare, quindi assumono
la forma zwitterionica e questo fa sì che siano definiti come sostanza anfotere, anfoliti (sia acidi sia basi).
Quando acquista un protone sarà sul gruppo COO-, quando lo perde, sarà su NH3+. Esistono le curve di
titolazione che sono valide per tutti gli amminoacidi: tramite esse si sa che, in ambiente acido, amminoacidi
e proteine sono carichi positivamente (come la glicina che NH2 in ambiente acido è protonato e il gruppo
carbossilico è COOH). Man mano che si sale con il pH (5.97 è il punto isoelettrico per la glicina, in cui le
cariche positive sono uguali alle cariche negative), si arriva alla carica negativa perché è avvenuta la
dissociazione del protone e il gruppo carbossilico si trova sotto la forma COO-. Se si supera il pH neutro,
verso un ambiente basico, si ha la Pka intorno a 6 per la glicina, in ambiente basico, amminoacidi e proteine
hanno carica negativa perché c’è la dissociazione del protone non solo sul gruppo carbossilico, ma anche
sul gruppo amminico. Per pH minore del punto isoelettrico/ionico (si tratta del rapporto tra le due pKa e
per amminoacidi coincide, per le proteine no perché conta la tridimensionalità), le proteine sono cariche
positivamente e la carica migra verso il catodo, cioè il polo negativo. Al punto isoelettrico la carica è zero,
mentre per pH superiori al pH isoelettrico, la carica netta è negativa. La carica, in base a dove è posta nel
gruppo carbossilico, va a influenzare l’amminoacido stesso.

FORMAZIONE DEL LEGAME PEPTIDICO


Si tratta di un legame covalente e corrisponde a una
condensazione dei monomeri, che sono i singoli
amminoacidi. Si elimina una molecola di acqua e sono
coinvolti il gruppo carbossilico di un amminoacido e il
gruppo amminico dell’altro. Questi due sono legati al C
principale. Si tratta del legame che tiene unite il carbonio e
l’azoto. Dal punto di vista tridimensionale, è un parziale
doppio legame perché gli atomi coinvolti sentono una
risonanza non solo tra C-O, ma anche tra O-N. Quando si
ha un singolo legame la possibilità di rotazione è presente,
mentre con un doppio legame è impossibile. I due atomi di
C alfa possono ruotare con i loro gruppi. In ogni peptide
che si forma, si ha un’estremità amminoterminale e una carbossiterminale. Si trovano sempre perché
l’atomo di C alfa mantiene libero il gruppo amminico, il C terminale ha impegnato il gruppo amminico e ha
libero il gruppo carbossilico. Quando le proteine sono sintetizzate nelle cellule, si parte sempre
dall’estremità amminoterminale (N-terminale), al carbossiterminale (C-terminale).

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Quando si uniscono residui amminoacidici si ottiene un peptide. La proteina è un polipeptide, si devono


avere almeno 100 amminoacidi in successione (si conteggia un valore intermedio di 110, calcolato tra
glicina e triptofano che sono il più piccolo amminoacido e il più grande). Si ha anche l’oligopeptide, formato
da circa dieci/venti residui amminoacidici. Questi ultimi sono più gettonati quando si parla di zuccheri o
acidi nucleici. Quando si parla di proteine, si deve sapere che possono essere fatte da un singolo peptide,
da una singola catena, o ci possono essere proteine che funzionano dall’associazione di più subunità che
interagiscono tra loro con legami deboli, NON covalenti. Sono le proteine multi subunità o
multimeri/oligomeri nel senso che una subunità è il monomero, due è un trimero, ecc. Si hanno
associazioni multimeriche o oligomeriche. Tuttavia, alcune proteine (insulina) contengono catene unite da
legami covalenti, per cui non si parla di subunità, ma di catene. L’insulina, infatti, è fatta da una catena alfa
e una beta legate covalentemente. Questo è dovuto al fatto che l’insulina è fatta da una catena, ma per
diventare ormone subisce una modifica post-trasduzionale con cui ne viene rimosso un pezzo, facendone
rimanere solo due catene tenute insieme da un ponte disolfuro, cioè un legame covalente. Ci sono anche le
proteine coniugate, che hanno gruppi chimici addizionali, detti gruppi prostetici che possono essere:
zuccheri, metalli e lipidi (lipoproteine, glicoproteine, metalloproteine). I metalli e le proteine non sono
legati covalentemente: ad esempio i metalli sono legati con un legame di coordinazione con cui essi
attraggono a loro gli elettroni della proteina.

STRUTTURA DELLE PROTEINE


Le proteine hanno diversi livelli di
struttura. La forma delle proteine
è molto importante, perché si
passa dalla definizione di
monomero a macromolecola,
perciò hanno una loro forma
tridimensionale importante per il
loro ruolo nella cellula. La forma
delle proteine risponde a un’organizzazione gerarchica, cioè presentano una certa regolarità nell’ambiente
biologico. L’ordine gerarchico è dato da quattro livelli strutturali:
- Struttura primaria è dettata dalla formazione dei legami peptidici ed è definita come la sequenza
amminoacidica. Si forma una catena polipeptidica lineare. Dal punto di vista metodologico, c’è la
possibilità di studiare le proteine facendo misure su tutti e quattro i livelli di struttura. Nel gene si
troverà una sequenza di nucleotidi che codifica alla lunga per la sequenza amminoacidica, da cui si
possono ricavare informazioni per risalire, ad esempio, su quanto due proteine che svolgono la

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stessa funzione si somiglino. Serve, quindi, per sapere quanto sono lontane le specie prese in
considerazione. Per confrontare le due sequenze ci sono diversi metodi, ad esempio scrivendo a
mano una sotto l’altra per vedere le differenze, ma è un processo lungo. Un altro metodo è con
l’utilizzo dei software delle banche dati, ad esempio Blast. Vedere sito per banchi dati UniProt.

12.03.19
- Struttura secondaria. La struttura secondaria descrive un segmento polipeptidico della proteina in
base alla sua organizzazione spaziale. Le conformazioni permesse sono quelle che avvengono con
una rotazione attorno ai legami, in una catena polipeptidica, di C alfa carbonio e C alfa azoto. Gli
angoli di rotazione sono l’angolo phi e l’angolo psi tra l’atomo di C alfa del carbonio e del C del
gruppo carbossilico dell’altro. In base a queste rotazioni, si hanno delle conformazioni diverse.
Queste rotazioni sono spontanee, non serve la rottura dei legami. Quindi, la catena polipeptidica,
data da una successione di carbonio alfa, può ruotare spontaneamente cambiando conformazione.
Non è possibile un angolo giro completo di 360 gradi, quindi non si può avere una conformazione
completa. Quindi, nel passato, un ricercatore, Ramachandran ha dato origine a un grafico ancora
usato oggi. Egli misurò gli angoli con un numero limitato di proteine, che erano state cristallizzate
intorno agli anni ’50. Questo grafico sulle x mette i valori dell’angolo phi e sulle y quelli dell’angolo
psi. Gli angoli permessi sono quelli tra -180 e +180k, anche se molti non avvengono a causa
dell’ingombro sterico. Nel grafico, le aree colorate sono quelle in cui le rotazioni sono permesse. Si
individuano quattro zone:
- In alto in cui si ha la conformazione dei beta foglietto.
- In basso a sinistra si ha un altro elemento di struttura
che è l’alfa elica destrorsa.
- In alto a destra si ha l’alfa elica sinistrorsa.
- Poi c’è la zona che corrisponde alla tripla elica del
collagene.

Poi si ha la piruvato chinasi (foto in basso). Nel grafico


ci sono i puntini neri che corrispondono all’alfa elica,
poi ha un po’ di foglietti beta e, fuori dalle aree
azzurre, ci sono altri puntini che rappresentano
amminoacidi come la glicina, che non ha ingombro
sterico e, quindi, intorno a essa, ci possono essere
rotazioni anche non consentite. Un altro
amminoacido è la prolina che ha un anello come

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gruppo R ed esso comprende l’N del legame peptidico.

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Gli elementi di struttura secondaria sono conformazioni


dovute alle rotazioni intorno agli angoli phi e psi di legame e
sono conformazioni stabilizzate dalla formazione di ponti a H
tra gli atomi dei legami peptidici: tra O del gruppo carbossilico
del legame peptidico e l’H di un gruppo NH sempre del legame

peptidico. Sono dei ripiegamenti che assumono una certa


porzione della catena polipeptidica: una serie di amminoacidi
messi vicini, si organizzano nello spazio con beta foglietto o alfa eliche. Ci sono catene, dette
disordinate, random, che non si organizzano in strutture, ma la maggior parte lo è. L’alfa elica è
una catena avvolta a elica destrorsa. Ogni giro completo dell’elica contiene 3,6 residui
amminoacidici. Nell’alfa elica, i gruppi R sporgono verso l’esterno. Si vedono anche i ponti H che
sono circa paralleli con l’asse dell’elica e sono importanti per mantenere la forma dell’elica e sono
tra l’O del legame peptidico e l’H di un legame peptidico sottostante. Questi ponti si instaurano
intracatena e, così facendo, i diversi amminoacidi interagiscono tra loro. In inglese, i termini sono
alfa-helix e beta-sheet. L’altra struttura è il foglietto beta, chiamato così perché ha una
conformazione più distesa rispetto all’alfa elica. Porzioni della catena polipeptidica si ripiegano
interagendo tra loro generando dei foglietti. Mentre nell’alfa elica ho una singola porzione che si
attorciglia, nei foglietti ho un’interazione tra più elementi generando un foglietto non
perfettamente piano, ma seghettato. Differentemente dall’alfa elica, qui, i ponti a H, sono disegnati
con il tratteggio e sono tra una catena e l’altra, quindi sono legami intercatena. In più, la loro
direzione è perpendicolare alla direzione della catena, mentre nell’alfa elica sono paralleli a essa.
Questo spiega perché si assume una forma a foglietto. Un’altra differenza è che i foglietti beta
possono essere antiparalleli o paralleli. I primi hanno una direzione che cambia, essa, infatti, si

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alterna. Nei secondi, invece, le porzioni hanno una direzione uguale in tutti i punti e durante il
ripiegamento, si genera una forma detta globulare perché è simile a una sfera. Il foglietto beta,
inoltre, è più disteso dell’alfa elica (nella immagine si vede). Ci sono anche alcuni elementi per fare
in modo che si ottenga una proteina di forma globulare. Infatti, nelle proteine globulari sono
comuni i ripiegamenti beta (beta-turn). Per assumere una forma ripiegata, ogni tanto ci devono
essere delle inversioni rapide dell’orientamento della sequenza amminoacidica. Queste inversioni
sono dette ripiegamenti beta o beta turn. Essi sono molto conservati e sono classificati in
ripiegamento beta di tipo 1 e di tipo 2. Bastano quattro amminoacidi per avere un ripiegamento
della sequenza. Sono stati classificati così perché essi devono contenere un residuo di glicina o di
prolina. Quindi, nel tipo 1, si hanno quattro amminoacidi in cui, in posizione 2 si ha una prolina, che
ha l’atomo di N del legame peptidico bloccato nella struttura ad anello perciò è rigida. Nel tipo 2,
invece, in posizione 3 ho la glicina, che non dà ingombro sterico. Nelle altre posizioni ho qualunque
altro amminoacido. La prolina nel ripiegamento beta è una prolina che qui si può definire come
isomero cis e qui si parla di configurazione, cioè di isomeri geometrici che si convertono l’uno
nell’altro solo con la rottura dei legami. Dentro le cellule c’è un enzima in grado di trasformare
isomeri cis in trans e viceversa. Aiuta, quindi, le proteine ad assumere la forma tridimensionale
corretta.
- Struttura terziaria. Le proteine possono essere classificate in fibrose, che hanno un ruolo

strutturale, si trovano per lo più nello spazio


extracellulare e sono molecole altamente allungate, e globulari. Nonostante questo, si possono
trovare esempi di proteine fibrose anche nel citoscheletro cellulare, come actina e miosina. Un
altro tipo sono le proteine globulari. Le proteine fibrose sono insolubili in acqua grazie alla presenza
di amminoacidi idrofobici sia sulla superficie interna sia su quella esterna. Ecco alcuni esempi di
proteine fibrose: la cheratina. Una caratteristica in comune tra le proteine fibrose è che, per
mantenere la forma allungata, sono formate da una sola struttura secondaria. La cheratina dei
capelli e di altri elementi è una proteina fibrosa e contiene cellule, con anche fibre. Le fibre più
grandi visualizzabili sono i filamenti intermedi (fatti da quattro protofibrille). Due alfa eliche si

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superavvolgono e il superavvolgimento è detto coiled coil, cioè avvolgimento avvolto. Così si


ottiene un avvolgimento che ha più resistenza. Il senso è sinistrorso. Poi, quando si associano due
coiled coil, cioè quattro molecole di cheratina, si ottiene un protofilamento che ha uno spessore di
20/30 A. Poi due protofilamenti fanno un protofibrilla. Quattro protofibrille fanno un filamento
intermedio. Nella cheratina si possono trovare interazioni covalenti mediate con i ponti disolfuro.
La loro struttura terziaria è abbastanza semplice e dominata da una secondaria, mentre la
quaternaria risulta essere abbastanza complesse perché è un insieme di complessi sopramolecolari.
L’altro esempio è il collageno in cui c’è l’elica, ma, ricordando il
Ramachandram plot, si nota la presenza di eliche con
avvolgimento sinistroso e si ottiene perché nella sequenza
amminoacididica ci sono molti residui di prolina, glicina,
idrossiprolina. Quindi si trattad i un coiled coil perché tre
catene si superavvolgono tra loro. Questi residui possono
occupare anche zone interne e, quindi, si può ottenere
superavvolgimento a tripla elica. Se ho tre eliche che si
superavvolgono in modo sinistrorso, esse, come avvolgimento
superelicoidale, si superavvolgono in modo destrorso, perché,
al contrario, si avrebbe un filamento più compresso, ma non
resistente. Si trovano interazioni tra le varie catene che sono covalenti e che tengono insieme le
varie catene, ma non sono ponti disolfuro, ma si hanno legami crociati che si instaurano tra i residui
modificati di idrossilisina e idrossiprolina. Le persone anziane hanno fibre di collagene ricche di
questi legami crociati, ma averne troppi è negativo perché fa sì che le fibre del collageno diventino
troppo fragili e rigide.
14.03.19
Cheratina e collageno usano un solo elemento di struttura secondaria e sono proteine fibrose: la
prima ha l’alfa elica, il secondo ha alfa elica sinistrorsa. Un’altra elica particolare è la fibroina della
seta, che si trova nella tela del ragno. La seta ha una consistenza diversa del corno di rinoceronte,
più che altro la fibroina della seta ha flessibilità, invece nel corno non c’è. Per ottenere la struttura
della fibroina della seta si usano i foglietti beta anche per ottenere il sottile filo della ragnatela. I
suoi foglietti beta sono più distesi, quindi danno flessibilità, e sono antiparalleli. Sono rappresentati
i ponti a H che servono per stabilizzare la struttura e i legami peptidici, ottimizzando le interazioni
di Van der Waals. Non si hanno legami trasversali di tipo covalente come nella cheratina o nel
collageno, perché non si hanno superavvolgimenti qui. L’altra caratteristica particolare è che per
rendere compatta la fibroina, i filamenti antiparalleli sono molto vicini, molto di più che in un
classico foglietto beta perché anche in questo caso è la composizione degli amminoacidi a essere

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ripetitiva sennò non si spiegherebbe la disposizione


spaziale molto ripetitiva. I gruppi R, infatti, sono: la
glicina che è l’amminoacido più piccolo e non ha
ingombro sterico, l’alanina che è poco più grande e la
serina è un idrossimetile, quindi anche qui serina e
alanina non sono grandi e così i foglietti interagiscono
tra loro in modo compatto. Queste tipologie di
proteine si possono trovare anche all’interno delle
cellule perché sono organizzazioni fibrose di
proteine. Le proteine globulari, invece, sono le
proteine di trasporto, come l’emoglobina, le
immunoglobuline, ecc. Nella struttura terziaria si
apprezza la tridimensionalità delle proteine. Hanno una forma importante graficamente perché
essa è la condizione principale per avere attività biologica. Le proteine, infatti, funzionano solo se
hanno la loro forma. Ci sono due tecniche che delucidano le strutture proteiche: la cristallografia ai
raggi X e la risonanza magnetica nucleare. La prima lavora sui cristalli, mentre la seconda lavora
sulle proteine in soluzione. Non si riuscirà mai ad avere una molecola solo della proteina come si
vedono nei testi didattici, l’importante, però, è lavorare su un solo tipo di proteina pura così da
ottenere risultati corretti. Rispetto ai cristalli di sale, i cristalli di proteine sono più gommosi perché
contengono anche acqua e possono essere colorati se sto studiando delle proteine coniugate, che
assorbono nel visibile come il cristallo azzurro. Gli esempi sono: i gialli sono proteine simili
all’emoglobina, ma si trovano nella linfa degli invertebrati, quella rossa contiene ferro, mentre la
figura b è la flavotossina. Non è facile ottenere cristalli perché si deve avere pazienza nella loro
formazione: si devono avere grandi quantità di proteina pura e poi non esiste una procedura da
seguire che mi consenta di ottenere cristalli, ma ci sono 99 soluzioni diverse in cui sciogliere la
proteina, si preparano gocce concentrate di proteine nei tamponi e poi si lasciano a T ambiente per
qualche mese, si aspettano mesi che evapori e si vede se cristallizza. Una volta ottenuto il cristallo,
per ricavare le informazioni sulla struttura tridimensionale della proteina, si usano i raggi X per
capire dove sono posizionati i vari atomi: qui sta la difficoltà, perché lo strumento usato è diverso
da quello degli ospedali, si chiama sincrotrone, che si trova a Trieste. Si ottengono dei reticoli di

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diffrazioni per cui si usano gli Armstrong come unità di misura. Bisogna avere un sistema di calcolo
che mi fornisca le coordinate nello spazio dell’atomo. La tecnologia della risonanza magnetica
nucleare (MNR), invece, non ha bisogno del cristallo, ma lavora in soluzione: si ottengono dei
grafici, che sono mappe complicate. L’MNR riesce a mappare le interazioni tra i vari atomi
generando mappe complicate e, al momento, si usa per ottenere la struttura di sole proteine che
pesano poco, cioè piccole, fino a 15.000 dalton visto che la maggior parte delle proteine dentro la
cellula hanno un peso di almeno 30-40.000 dalton. Esso lavora in soluzione dato che non c’è una
sola linea piatta nel grafico, ma ce ne sono tante che sembrano tremare e ciò corrisponde a
un’oscillazione che si trova all’interno delle proteine dato che la loro forma tridimensionale non è
fissa, ma oscilla un po'. Queste oscillazioni sono variazioni conformazionali dei legami singoli e sono
importanti perché le proteine lavorano nella cellula, ma non sono statiche, infatti, hanno piccole
oscillazioni che spiegano meglio e garantiscono il loro funzionamento, soprattutto quando le
proteine devono interagire con altre macro o micromolecole.
Si hanno poi le proteine globulari, che, per essere tali, devono avere sia elementi di foglietti beta
sia alfa eliche sia i ripiegamenti beta-turn, cioè modificazioni brusche della catena polipeptidica. Si
possono fare delle classificazioni tra quelle che sono miste, quelle che hanno per lo più
(principalmente) alfa eliche, ma non solo, o beta foglietti, ma non solo. Il citocromo C è particolare
perché non si trovano gli elementi di struttura secondaria, ma per colorare i bastoncini e le sfere si
devono mettere in evidenza i residui idrofobici
(in rosso) e idrofilici (in verde). Questi residui,
nel citocromo C, sono distribuiti, ma poi, per
l’effetto del ripiegamento, si vede che le sfere
rosse sono localizzate nella parte centrale (dove
si trova il gruppo eme in giallo), mentre i residui
idrofilici sono
quelli
più
esposti sulla superficie. Questo spiega come fanno le
proteine ad assumere la loro forma tridimensionale nelle
cellule: si parla di ripiegamento, cioè folding, è un
processo spontaneo per cui le proteine sono fatte sui
ribosomi e poi prendono una forma tridimensionale così
che dentro ci siano le parti idrofobiche e all’esterno
quelle idrofiliche. A differenza di quello che si è visto per
la struttura secondaria, in cui la forma era mantenuta da ponti H tra i legami peptidici, qui nella

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struttura terziaria delle proteine globulari, la stabilizzazione della forma la si ha per formazioni di
legami deboli, ma non tra i legami peptidici, ma tra i gruppi R. Si devono avere comunque delle
conferme con le tecniche di cristallografia o MNR per vedere effettivamente la forma della
proteina. La funzione delle proteine dipende dalla struttura, che dipende dalla sequenza
amminoacidica presente. Le proteine, oltretutto, hanno una loro conformazione stabile, o poche
conformazioni, e le interazioni che stabilizzano la struttura sono legami deboli. Gli unici legami
covalenti che si formano sono i ponti disolfuro tra i residui di cisteina, ma, al 90%, hanno legami
deboli a H. Infine, tra tutte le strutture delle proteine, si possono individuare alcuni modelli
strutturali comuni.

Le cellule sanno funzionare all’interno di un regime di funzionamento


perfetto e lavorano in un’economia perfetta che macchine artificiali non
riescono a riprodurre, quindi, anche se ci sono in alcune proteine con
sequenza amminoacidica diversa, queste possono essere ripiegate in
maniera molto simile in modo che possano svolgere la stessa funzione.
La proteina ha una sua conformazione, cioè un’organizzazione spaziale di
tutti gli atomi di una proteina. Le possibili conformazioni si ottengono per
rotazione attorno ai legami singoli. Una conformazione nativa predomina.
Per descrivere solo una porzione di proteina, parlo di dominio strutturale,
cioè una parte di catena polipeptidica di per sé stabile, che potrebbe essere un’entità indipendente dal
resto della molecola.
Si nota, nell’immagine sopra a destra, una proteina enzimatica, che interagisce con
nad+ (piccola molecola organica in nero, coenzima). Quando la proteina deve fare
un lavoro comune si ripiega nello spazio con questa forma. I foglietti beta sono
quelli con la freccia, mentre le alfa eliche usano il cilindro rosso. Solo quella in
rosso si ripiega, perché è un dominio strutturale ripiegato. Il concetto del folding,
definisce che la proteina, una volta sintetizzata, riesce a ripiegarsi e raggiungere la
sua conformazione nativa. Il folding dipende da interazioni deboli, da quelle
idrofobiche che fanno sì che si formi il nucleo centrale, da legami idrogeno, da
interazioni ioniche ed elettrostatiche. Queste avvengono tra i gruppi R. La
proteina, prima di arrivare alla sua forma definitiva, compie diversi passaggi. Gli
ultimi processi sono quelli più rapidi senza doppia freccia. Dal punto di vista
energetico, le frecce vanno verso il basso perché quella nativa è quella più
favorita. Quindi prima la struttura disordinata si organizza in eliche e foglietti, poi
questi cominciano ad interagire tra loro e si forma una struttura terziaria, che poi

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subirà delle modificazioni per arrivare a quella nativa più stabile dal punto di vista energetico e, quindi, la
preferita, infatti la proteina subisce varie modificazioni in vari passaggi a partire dalla sequenza
amminoacidica fino ad attivare alla struttura nativa.
Questo ripiegamento dipende anche dalla formazione di legami covalenti. In altri casi, nelle metallo
proteine, il ripiegamento può dipendere dalla coordinazione con metalli. Ad esempio, il Zn finger: nome di
un dominio, assomiglia a un dito di zinco, perché l’atomo di zinco è legato solo con legami di coordinazione,
che si ha con due istidine e due cistidine. Esse tendono a cedere elettroni verso il metallo e lo stabilizzano.
Questo dominio strutturale è comune nelle proteine che interagiscono con gli acidi nucleici. Il metallo serve
al ripiegamento. L’enzima ribonucleasi degrada l’RNA e la sua forma 3d è tenuta assieme anche da ponti
disolfuro. Nella prima immagine si vedono in rosso i quattro ponti disolfuro che stabilizzano la proteina. Se
si rompono i ponti disolfuro con agenti riducenti, avviene il processo di denaturazione e si ottiene una
proteina che perde la sua forma 3d; i ponti disolfuro sono ancora presenti, ma
non in posizione corretta. Questa forma denaturata può rinaturarsi se si toglie
l’elemento che denatura, riprendendo la forma originaria. Con il calore non si
rompono i ponti disolfuro, ma solo gli altri legami. Per una denaturazione più
spinta si usano altri agenti denaturanti. La sequenza determina la struttura
secondaria e terziaria originaria perché quelle informazioni sono già contenute
nella sequenza amminoacidica. Ci possono anche essere atomi di zinco legati
con legami di coordinazione generalmente tra cisteine e istidine (che sono
gruppi R), che tendono a cedere elettroni allo zinco per stabilizzarlo. Questa è
una cosa che avviene spesso negli acidi nucleici. Se tolgo lo zinco, la forma
sicuramente si modifica e la struttura terziaria si perde e, quindi, la proteina non
può più fare la sua funzione. La ribonucleasi, nella sua forma tridimensionale, è
tenuta insieme da ponti di S. Se chimicamente agisco dall’esterno e rompo i
ponti di S utilizzando un agente riducente, attuo un processo di denaturazione che fa sì che la proteina
perda la sua forma tridimensionale, o meglio non la perdo completamente, ma si modifica e si formano
nuovi legami in posizioni sbagliate e la proteina non svolgerà più la sua funzione. Se tolgo l’elemento
denaturante la proteina può tornare alla sua forma originaria svolgendo di nuovo la sua funzione. Come
indicato nella slide, la sequenza determina la struttura e se tolgo le condizioni che perturbano il mio
sistema posso riacquistare la struttura originaria. Esistono, anche, altri metodi, come quello di estrarre
proteine dalle cellule. Inoltre, la denaturazione (unfolding) e la rinaturazione (refolding) possono essere
svolti con composti chimici denaturanti, come mercaptoetanolo e urea. Questi esperimenti servono per
capire quanto sia stabile la struttura terziaria di una proteina.
18.03.19

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- Struttura quaternaria. Non tutte le proteine hanno


questo livello di struttura, solo quelle che hanno
subunità possono averle. Un esempio è la proteina
emoglobina, che lega O e lo trasporta ai vari tessuti. Si
tratta di una proteina fatta da quattro subunità che
non sono uguali, ma due sono di tipo alfa e le altre
due sono di tipo beta. Ciascuna subunità lega O e lo fa
grazie a un gruppo prostetico (in rosso). Le subunità
interagiscono solo con legami deboli. Non si possono
avere strutture quaternarie tenute assieme da legami covalenti, mentre nella struttura terziaria ci
sono ripiegamenti con legami covalenti. Nel caso della quaternaria, l’interazione è mediata da
legami deboli. Quando si estraggono proteine dalle cellule, esse hanno la struttura quaternaria
integra perché questa interazione, anche se debole, mantiene insieme le subunità nelle condizioni
in cui le cellule lavorano. Si hanno strutture quaternarie perché si ha un PM maggiore: per evitare
di dover sintetizzare un polipeptide molto lungo (con alte probabilità di errori durante la sintesi).
Quindi si fanno catene più corte che poi si associano in subunità più grandi. Si tratta di una
questione di economia. Studiando le strutture quaternarie, si è visto che, dal punto di vista
tridimensionale, sono organizzate con un certo grado di simmetria. Anche i capsidi virali sono
organizzati in base a questo concetto di economia. Il poliovirus ha una simmetria icosaedrica in cui
le subunità hanno un certo ordine, poi c’è il TMV con il suo capside, per il quale c’è anche la figura
in microscopio elettronico. Essi hanno una simmetria elicoidale a coprire l’RNA virale. Questa
disposizione ordinata rende possibile l’uso di sistemi che rilevano questo grado di ordine.
CARBOIDRATI
La produzione di carboidrati nella fotosintesi e la loro
ossidazione nel metabolismo costituiscono il principale
ciclo energetico della biosfera. Nei carboidrati si hanno C,
O e H, in generale. Sono le molecole più abbondanti
globalmente. La loro formula stechiometrica è (CH2O)n.
Essi sono il carburante per il funzionamento di tutti gli
organismi viventi: la molecola che tutti possono usare
per produrre l’energia è il glucosio, un carboidrato. Durante i processi energetici che avvengono nelle
cellule (respirazione), si ha l’ossidazione (dei sei atomi di C) completa del glucosio in presenza di ossigeno.
Durante ciò, si genera energia sotto forma di ATP. Si chiama ciclo del carbonio perché, a completare questo
ciclo, si produce CO2, che, nell’atmosfera, crea l’effetto serra aumentando la T terrestre. Questo capita
perché lavora male l’altro processo che usa la CO2 atmosferica (eliminata con il metabolismo anaerobico),

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cioè la versione più ossidata del carbonio, per effetto dell’energia che proviene dal Sole per fare il processo
opposto. Si riesce, dunque, a fissare il carbonio in zuccheri (processo della fotosintesi). Se si usano fonti di
energia rinnovabili vuol dire che provengono dalle piante. Se si usano, invece, le risorse fossili ottenute dal
petrolio, non si realizza l’economia circolare che chiude questo cerchio, ma uso risorse che vengono dalla
decomposizione di materiale vivente, ma hanno bisogno di molti anni per essere usate. Quindi, da un anno
all’altro non sono più utilizzabili.
Anche i carboidrati sono organizzati come polimeri o monomeri. La
versione monomerica, quindi le molecole più piccole, sono i
monosaccaridi, anche detti zuccheri semplici. I monosaccaridi
possono essere aldeidi o chetoni. Sono solidi normalmente e gli

atomi di C a cui sono legati i gruppi ossidrilici sono


spesso centro chiralici, cioè legati a quattro gruppi
differenti dando vita ai diversi stereoisomeri. Non
hanno catena ramificata e sono fatti da H, O e C. C’è una catena lineare di atomi di carbonio. Un esempio è
la gliceraldeide, che è la più semplice: ha il gruppo aldeidico e ha tre atomi di C (aldotriosio). Per la
gliceraldeide, si può parlare di un C che è un centro chiralico, quindi si ha una lettera, la D, che è la
configurazione, che si riferisce al gruppo Oh sostituente dell’atomo di C più lontano dal gruppo funzionale.
Nell’idrossiacetone, cioè un chetone, non si ha né D né L, perché non ha atomi di C asimmetrici, cioè centri
chirali. Si tratta dell’unico zucchero che non ha centri chiralici. Poi c’è il glucosio che ha sei atomi di C e il
suo isomero è il fruttosio, che è un chetone. Poi ci sono il ribosio e il desossiribosio, che sono i pentosi più
famosi. Gli zuccheri hanno una loro configurazione: la gliceraldeide ha degli stereoisomeri: isomeri ottici o
enantiomeri (figura a sinistra). In natura, gli zuccheri sono in configurazione D. Gli stereoisomeri dei
monosaccaridi sono classificati in base alla configurazione del centro chiralico più lontano dal gruppo
carbonilico. A lato, sono presenti tutti isomeri del glucosio, ma cambia la configurazione: ci sono il
mannosio, isomero detto epimero in C2 perché in posizione 2, rispetto al glucosio, cambia la posizione del
gruppo OH, e il galattosio, che è l’epimero del glucosio in posizione C4. Quando cambia l configurazione,
non si può avere il passaggio da una molecola all’altra spontaneamente, ma devo rompere i legami
covalenti. Gli epimeri sono isomeri in cui cambia la configurazione attorno a un atomo di carbonio.

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In soluzione acquosa, i monosaccaridi assumono una forma ciclica. Bisogna avere almeno cinque atomi di
carbonio per avere la possibilità della chiusura ad anello. Compare un nuovo legame tra il gruppo aldeidico
e il gruppo alcolico: un’aldeide e un alcol danno un semi acetale, cioè un emiacetale. Inoltre, si trova un
ulteriore atomo di carbonio asimmetrico e si formano, così due stereoisomeri anomeri alfa e beta. Si
ottengono due forme cicliche, detti anomeri (alfa e beta), che
differiscono per la posizione del gruppo -OH, che può essere
sopra o sotto l’anello. Nell’alfa, il gruppo ossidrilico è in basso, in
beta è in alto. Per effetto della mutarotazione, le due molecole
possono convertirsi l’una nell’altra. In figura, infatti, si trovano
delle frecce in due direzioni. Inoltre, la forma ciclica è più stabile
di quella lineare. Questi isomeri sono importanti nella formazione
dei legami che legheranno covalentemente diverse molecole di
monosaccaridi, cioè catene multimeriche. Importante è sapere
che: il sesto atomo (CH2OH) è un O a ponte che deriva dal
legame tra aldeide e alcol e che l’atomo di carbonio 1 può
esistere in configurazione alfa e beta. Inoltre, la numerazione è
importante. Anche gli zuccheri possono ciclizzare e, il fruttosio,
che è un chetosio con sei atomi di C, può chiudersi ad anello
facendo reagire l’OH in posizione 5 con il gruppo carbonilico, ma siccome nel fruttosio il gruppo carbonilico
non è in posizione 1, ma è in 2, l’anello che si ottiene quando ciclizza è un anello a cinque atomi. Non è più
l’anello del pirano, che ha anelli a sei membri, ma è del furano, che ne ha cinque (fruttofuranosio, cioè il
fruttosio quando è chiuso ad anello). Dal punto di vista dell’operatività biochimica, non è utile sapere
perfettamente il nome.
Si hanno gli enantiomeri, che sono l’uno l’immagine speculare dell’altro (D e L, quelli a D predominano). Poi
ci sono i diastereoisomeri che non sono l’uno l’immagine
speculare dell’altro. Poi ci sono gli anomeri, che
riguardano solo le forme cicliche. Infine, ci sono, in forma
ciclica nell’anello a sei atomi, due conformazioni diverse:
la conformazione a sedia e quella a barca. La prima è un
esagono simile a una sedia ed è la conformazione
favorita.
Si possono avere alcuni derivati, tra cui i principali sono gli esteri fosforici (zuccheri fosforilati). Essi sono
comuni nelle cellule perché funzionano da composti attivati, che hanno un livello energetico superiore agli
zuccheri semplici. Un esempio è la gliceraldeide-fosfato. Poi c’è il glucosio-1-fosfato, glucosio-6-fosfato e
fruttosio-6-fosfato. Tra i vari OH del glucosio, anche se tutti potrebbero reagire con il fosfato, le

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fosforilazioni più favorite sono in posizione 1 e 6. Questi composti, rispetto allo zucchero non fosforilato,
liberano energia quando rilasciano il gruppo fosfato.
Quando la struttura si chiude ad anello, si individua l’atomo di C1, contenente l’atomo carbonilico
dell’aldeide (è la parte più reattiva). Si vede la capacità riducente dell’atomo del C1 del glucosio che è
l’atomo più reattivo ed è l’atomo di C
riducente perché, se si mette in soluzione,
può ridurre lo ione rameico a ione rameoso
(Cu2+ -> Cu1+). L’atomo di C riducente guida
una reazione redox: l’atomo C1 si ossida e il Cu si riduce. Ossidandosi, si ha l’acido gluconico, non più il
glucosio. Questa reazione è importante perché era usata questa reattività con lo ione rameico per
quantificare la presenza di glucosio nel sangue o nelle urine dei pazienti diabetici. Non è una procedura del
tutto abbandonata oggi: nei laboratori dell’industria alimentare, si usa nei test la reazione con il Cu, che
prende il nome di reattivo di Fehling, perché è meno costosa dato che non si usano enzimi. L’ossidazione di
un aldoso con Cu(II) in condizioni blande e in ambiente alcalino (reattivo di Fehling) produce acido aldonico.
Gli acidi aldonici sono in equilibrio in soluzione con i corrispondenti lattoni: si avrà il
gluconolattone, al posto dell’acido gluconico. Sull’atomo di C1 si ha un C=O perché
si è ossidato. Un altro atomo di C del glucosio, che si può ossidare, è il C6, che non è
un atomo riducente, ma si può comunque ossidare. In posizione 6 compare un
gruppo carbossilico assumendo il nome di acido glucuronico, importante perché
queste forme uroniche in cui l’atomo C6 viene ossidato sono forme di eliminazione e
di trasformazione degli zuccheri.
Altre modifiche sono, ad esempio, la riduzione del gruppo carbonilico, sostituito dal gruppo OH. Assumono
il nome di alditoli (gruppo carbonilico è ridotto). Un esempio è il sorbitolo, che è un elemento che si
accumula nell’occhio con la cataratta. Poi ci sono gli amminozuccheri, che sono ampiamenti distribuiti nei
polisaccaridi naturali e in cui un gruppo amminico sostituisce l’OH. Poi ci sono altri, più complessi, che sono
amminozuccheri, come l’acido muramico, diffuso nella parete batterica. In più, nelle nostre cellule, si
hanno proteine legate a zuccheri che contengono acido sialico, chiamato così perché ha gruppo carbossilico
in forma ionizzata (?).
Si passa alla versione polimerica. Un esempio è quando si forma
l’emiacetale, che, se reagisce con un’altra struttura ad anello, può
formare l’acetale che è un disaccaride: si forma un legame
glicosidico che è covalente. Esso è un legame che avviene per
condensazione, come il legame peptidico, che, però, avviene tra
un gruppo
carbossilico e il

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gruppo ammino di due amminoacidi diversi. Qui, invece, si ha il legame glicosidico tra il gruppo ossidrilico
sostituente di un monosaccaride e la posizione 1 dell’altro, che ha un OH come anomero alfa o beta. Si ha
la reazione tra due monosaccaridi. I glicosidi si formano per eliminazione di una molecola di acqua tra il
gruppo ossidrilico di un saccaride e il gruppo ossidrilico di un altro composto. Il legame etere che si forma è
il legame glicosidico. Quando si uniscono due molecole di glucosio, si forma un legame glicosidico che dà
origine a un disaccaride, detto maltosio, che, però, rimane uno zucchero riducente perché si forma dal
legame tra C1 del glucosio e l’OH legato al C4. Il glucosio sulla destra, allora, ha il C1 libero perciò riducente
e mantiene questa caratteristica anche se nella coda si porta un glucosio, mentre quello sulla sinistra non è
più riducente perché il C1 è occupato. Il legame è alfa 1,4. Il maltosio non è l’unico disaccaride del nostro
corpo, ma c’è, ad esempio, il lattosio fatto da una molecola di galattosio e una di glucosio, è un beta
galattosio che reagisce con un beta lattosio. Il legame glicosidico impegna il beta del galattosio e il C4 del
glucosio. Il lattosio è uno zucchero riducente perché l’atomo di C1 del glucosio è libero e può ridurre. Poi
c’è il saccarosio, il comune zucchero, fatto da un legame tra glucosio e fruttosio (esosio, che, però, è un
chetone che si chiude con un anello a 5). Il saccarosio impegna l’atomo di C2 del fruttosio e il C1 del
glucosio, cioè i C del gruppo carbonilico. Non è più riducente perché non ha più libere estremità, se non il
C4 per il glucosio e il C5 per il fruttosio, che non sono riducenti. Il saccarosio è prodotto a livello delle foglie
per effetto della fotosintesi. L’ultimo disaccaride è il trealosio, che è lo zucchero usato dagli insetti nella
loro emolinfa. Non si hanno legami alfa 1,4, come nel lattosio, ma si impegnano le posizioni 1,1, quindi è un
alfa. Il saccarosio impegna la posizione alfa del primo glucosio e l’alfa dell’altro glucosio. C’è anche il
cellobiosio per cui si usano due molecole di glucosio, impegnando la posizione 1 e uno la 4 (beta 1,4). Il
maltosio, invece, deriva dalla digestione dell’amido ed è un disaccaride di glucosio, simile al cellobiosio,
che, però, si trova nella parete delle piante (hanno gli stessi legami). I legami beta 1,4 non si rompono
facilmente.
Si parla, poi di polisaccaridi o glicani quando più monosaccaridi
interagiscono tra loro. Si parla di omopolisaccaridi ed
eteropolisaccaridi. I primi sono polisaccaridi con lo stesso
monosaccaride, quindi sono abbastanza semplici, come amido e
cellulosa. I secondi, invece, hanno monosaccaridi diversi. Entrambi,
però, possono essere lineari o ramificati (mentre i monosaccaridi,
singolarmente, non possono essere ramificati). I polisaccaridi, a
differenza delle proteine, non hanno in generale una massa
molecolare definita. Inoltre, non esiste un codice genetico per i polisaccaridi, come invece c’è per le
proteine. In più, nelle proteine, ci sono enzimi che permettono la formazione dei legami in base al codice
genetico. La mancanza dello stampo, cioè del codice, ha influito sulle conoscenze che abbiamo dei

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polisaccaridi, soprattutto degli eteropolisaccaridi. Non esistendo dallo stampo, tutto dipende dall’efficienza
con cui lavorano gli enzimi che sintetizzano il legame glicosidico.

AMIDO E GLICOGENO
Sono omopolisaccaridi e hanno ruolo di riserva. Hanno legami alfa 1,4. Se
la cellula dovesse stoccare il glucosio che serve nel metabolismo come
singola molecola, dovrebbe contenere un numero elevato di molecole di
glucosio determinando una concentrazione di soluti troppo elevata che
influenzerebbe la pressione osmotica
cellulare. Quindi, il glucosio viene
stoccato come polimero di glucosio e in questa versione diventa una
catena di glucosio con molti atomi di C1 delle varie molecole, che sono
impegnati nei legami alfa 1-4, quindi si avrà una solo estremità
riducente. Questo polimero si aggroviglia diventando un granulo e non
interagisce negativamente con l’osmolarità della cellula. Quindi, si hanno granuli di amido e glicogeno che
possono essere ramificati nelle posizioni alfa 1,6. Si ottengono catene ramificate che si aggrovigliano:
amido (amilosio, lineare, e l’amilopectina, ramificata, entrambi sono polimeri del glucosio) nelle piante e
glicogeno nelle cellule animali ed è più ramificato dell’amido. L’amilosio ha legami alfa 1,4 non ramificati,
mentre le amilopectine sono ramificate, ma, come l’amilosio, hanno elevato PM. Il glicogeno, come
l’amilopectina, è un polimero di residui di glucosio con legami alfa 1,4 e con ramificazioni che originano da
legami alfa 1,6. Il glicogeno è più ramificato e compatto dell’amido. Nel caso nei vegetali si hanno
ramificazioni ogni 24,30 residui, mentre nelle cellule animali sono maggiori: ogni 8,12 residui. Si vedono
queste strutture, ad esempio, negli epatociti (figura in rosso), in cui i granuli di glicogeno sono colorati con
reazione PAS, ma per vedere la forma a granulo, si deve ricorrere alla microscopia elettronica. Nelle cellule
vegetali, i granuli di amido hanno una forma leggermente vitrea (a sinistra).
28.03.19
CELLULOSA E CHITINA
Essi hanno ruolo strutturale. Anche la cellulosa è
fatta da solo glucosio e non ha ruolo di riserva,
perché è il componente principale delle pareti
delle cellule vegetali. La differenza tra i modi con
cui si forma il polimero nella cellulosa o
nell’amido è: sempre posizione 1 e 4, ma
nell’amido e nel glicogeno ho legami di tipo alfa-
1,4, mentre qui le posizioni sono 1 e 4, ma il

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legame è in posizione beta con solo D-glucosio. Il legame beta-1,4 fa sì che, dal punto di vista strutturale, il
polimero della cellulosa sia perfettamente lineare e non riesce ad arrotolarsi a elica per formare granuli,
come avviene nell’amido e nel glicogeno, grazie anche alla formazione di ponti a H (i pallini azzurri
nell’immagine), che fanno stare su un piano il polimero della cellulosa. Addirittura, è talmente lineare che si
dice che abbia una struttura paracristallina delle fibre di cellulosa, perché una sua fibra ha almeno 32
catene disposte in modo ordinato e si riescono a vedere anche con il microscopio polarizzatore. Nella
parete cellulare, si trova anche emicellulosa, rappresentata in verde e non è perfettamente allineata come
la cellulosa e contiene zuccheri diversi, anche zuccheri a cinque atomi di C, oltre al glucosio classico (unico
componente della cellulosa). Ci sono le pectine in rosso e sono polimeri di acido poligalatturonico, cioè uno
zucchero con un gruppo carbossilico. Esse sono quelle che si trovano nella frutta per fare consistenza e
hanno proprietà addensanti. Essi sono tutti di natura zuccherina e un altro componente è la lignina, altro
polimero che, però, non è di origine zuccherina, ma sono polimeri di molecole aromatiche e sono usate in
industria perché, degradandole, si ottengono materiali usati come la plastica. In più, le fibre di cellulosa e di
emicellulosa sono importanti perché degradandole si ottengono monomeri di zuccheri usati per fare
carburanti o molecole usate nella vita comune. La cellulosa, con il suo legame beta-1,4, è sia un elemento
strutturale, perché dà sostegno alle cellule, sia una sorta di difesa perché i vertebrati, tra cui l’uomo, non
hanno enzimi per rompere questo legame. Questi enzimi che tagliano il legame beta-1,4 sono miscele di
cellulasi che sono prodotte dai batteri, che sono capaci di idrolizzare questo legame. Ci sono batteri del
suolo e quelli che vivono in anaerobiosi, come quelli che sono nel rumine degli animali. Anche l’uomo ha,
nell’apparato digerente, batteri nell’ultima parte dell’intestino in cui non avviene più l’assorbimento. Ci
sono anche alcuni funghi, che è capace di produrre cellulasi e trovano il glucosio, per il loro metabolismo
energetico, dalle piante. Quindi, i funghi, dal punto di vista commerciale, producono le cellulasi che si
trovano in commercio, ma sono interessanti anche quelle dei batteri. Anche le termiti contengono
microrganismi simbionti che permettono loro di mangiare e degradare il legno. Importante è realizzare
questa degradazione a livello dello stomaco per degradare già il glucosio. Invece per i polisaccaridi di riserva
(α 1-4): amido è già demolito parzialmente dalle amilasi in bocca, poi intestino tenue. Il glicogeno è
demolito dalla glicogeno fosforilasi a partire dalle estremità non riducenti.
La chitina, invece, è un omopolimero di N-acetilglucosammina. Ha una struttura lineare con legame beta-
1,4, ma il monomero non è il glucosio, ma N-acetilglucosammina, che è sempre un glucosio, ma in
posizione 2 c’è un gruppo amminico, che a sua volta è sostituito da un acetile. La chitina si trova nello
scheletro degli insetti e si trova anche nelle pareti dei funghi.

ETEROPOLISACCARIDI
Una categoria importante è quella dei glicosamminoglicani, che sono formati dalla ripetizione di unità
disaccaridiche, quindi non hanno molta varietà di zuccheri, ma sono formati da solo due tipi ripetuti. In più,

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non sono ramificati, ma sono eteropolisaccaridi lineari, come l’eparina. Tutti quanti contengono dei gruppi
amminici o gruppi amminici sostituiti. Si ritrovano negli animali e nell’uomo nella matrice extracellulare,
quindi cartilagine, tendine, pelle, pareti dei vasi sanguigni. Essi contribuiscono con la loro struttura lineare a
formare una sorta di trame gelatinosa (perché hanno gruppi OH che permettono loro di trattenere acqua
con la formazione di ponti a H). Hanno proprietà elastiche e nella matrice extracellulare (fatta da collageno,
di natura proteica, e dalla rete di natura saccaridica che ha tanti gruppi polari, cioè OH in più) si era trovato
il collageno. Sono catene lunghe, soprattutto l’acido ialuronico, che lubrifica le articolazioni e ammortizza
gli urti (250-25000 unità saccaridiche). Gli altri glicosamminoglicani sono costituiti da 50-1000 unità
disaccaridiche, tra cui c’è l’eparina, importante per la coagulazione sanguigna. Le piante non sintetizzano i
glicosamminoglicani, che sono, invece, prodotti dagli animali. Nelle pareti ci sono le pectine, che
potrebbero svolgere dei ruoli simili, ma dal punto di vista chimico hanno struttura diversa. Contengono dei
gruppi carichi negativamente o N perché sono acidi e ciò aiuta le catene dei glicosamminoglicani a
trattenere le molecole di acqua. La funzione più importante è che in questa porzione extracellulare la loro
organizzazione a trama riesce a trattenere molecole di acqua che a loro volta trasportano sostanze nutritive
disciolte nell’ambiente acquoso e riescono a fare una sorta di passaggio per le sostanze nutritive polari
permettendo loro di raggiungere le poche cellule dei tessuti di tipo connettivale, che non sono
direttamente irrorati dal sangue. Quindi, i glicosamminoglicani sono formati da ripetizioni di due unità
disaccaridiche: un acido uronico (tranne il cheratan solfato) e un amminozucchero N-acetilato. Essi
contribuiscono a mantenere la viscosità, la resistenza e l’adesività della matrice extracellulare.

GLICOCONIUGATI
Essi hanno zuccheri legati a macromolecole diverse, che possono essere proteine e lipidi. In quasi tutte le
cellule eucariotiche, catene di oligosaccaridi si legano a elementi della membrana plasmatica a formare uno
strato di carboidrati (glicocalice) che serve da superficie ricca di informazioni per le interazioni tra cellula e
ambiente esterno. Ci sono due tipi principali:
- Proteoglicani, che sono aggregati di proteine della
matrice extracellulare o della membrana cellulare in

cui una o più catene di glicosamminoglicani

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sono unite covalentemente a una proteina di membrana o a una di secrezione. L’aggregazione è di


dimensioni grandi, fino a decine di milioni di Dalton (il PM di una proteina media è di 50.000
Dalton). Così tanto grande che si riesce a vederlo con la semplice microscopia elettronica, che è sì
molto ingrandita, ma comunque è elettronica. Questi glicoconiugati dei proteoglicani si trovano
nella matrice extracellulare, che si aggiungono ai proteoglicani semplici che si possono trovare. C’è
una molecola di acido ialuronico, cioè un glicosamminoglicano, che è il nucleo centrale, su cui si
innescano, legati covalentemente, delle proteine a catene lineari, detti nuclei proteici. Su questi
rami, che dipartono dall’acido ialuronico, partono strutture che sono glicosamminoglicani, come il
cheraton solfato, che sono più piccoli. Questi proteoglicani, oltre che dispersi nella matrice
extracellulare, si trovano anche sulla superficie delle cellule, che sono immerse nella matrice
extracellulare, però sulla loro superficie esterna, con funzione di proteine integrali di membrana.
Con la loro parte proteica, sono direttamente inseriti nel doppio strato lipidico e si vede come una
catena polipeptidica attraversa il doppio strato lipidico e su di essa ci sono glicosamminoglicani
legati con legami covalenti: questa molecola è un sindecano (proteoglicano) e lo si trova come
componente della superficie delle cellule in quanto presenta un dominio extracellulare e uno
transmembrana. Il proteoglicano della superficie cellulare sporge in una matrice in cui ci sono altre
strutture, come le fibre di collageno, perché si ha una “consistenza” da mantenere. Se non ci fosse
l’aiuto di questa struttura, le sostanze nutritive non arriverebbero e il tessuto si ammalerebbe.
Nella pelle lo strato esterno dell’epidermide ha cellule le une vicino alle altre, mentre, nel derma, i
punti rossi, che sono i nuclei delle cellule, sono più disperse perché si ha una matrice cellulare fatta
da proteine e glicosamminoglicani. La parete dei batteri ha peptidoglicano, che ha una disposizione
diversa da gram+ e gram-. Nei gram+, la parete è molto più esposta e questo spiega perché
mantiene più la colorazione, mentre nei gram- si ha parete esterna e membrana citoplasmatica. Nei
gram+ si formano delle catene pentagliciniche, che si legano covalentemente con ponti a H, per
questo si chiama peptidoglicano, in tutto si hanno 9 amminoacidi, quindi troppo pochi per definirli
proteine. Tutto questo unisce covalentemente diversi tetrapeptidi. I batteri producono D alanina,
che conferisce resistenza alla loro parete. I D aminoacidi,
che non sono riconosciuti dai nostri enzimi proteolitici e da
quelli degli animali, rendono la parete resistente alle
proteasi, però il lisozima, che l’uomo ha evoluto, scinde il
legame β-1,4, scindendo in NAG e NAT. Essa si trova nella
saliva o nelle lacrime.
- Glicoproteine, che hanno dimensioni diverse dai
precedenti. Esse sono proteine che hanno, come modifica
post-traduzionale, quella di avere legati degli oligosaccaridi

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covalentemente e che presentano strutture ramificate. La porzione saccaridica è molto importante,


perché, se tolte, le cellule perdono la loro stabilità. Le porzioni saccaridiche legate alle proteine
sono importanti nei riconoscimenti
cellula-cellula e cellula-tessuto. Non
essendoci una codifica a livello genico,
tutte le glicoproteine, quando sono
estratte dalle cellule, hanno il difetto di
essere eterogenee e lo sono anche dal
punto di vista strutturale. Hanno una
microeterogeneità perché è diverso il
modo di trasferimento di enzimi da parte
di questi zuccheri. Questi zuccheri, legati
alla proteina, non sono tutti dello stesso tipo, ma le percentuali sono variabili. Queste glicoproteine
sono ramificate e questa è la prima cosa che le distingue dal peptidoglicano, in cui gli zuccheri sono
catene lineari e anche dai glicosamminoglicani perché la loro parte saccaridica non è ramificata.
Ottenere i cristalli delle glicoproteine è difficile perché ci sono questi rami di zuccheri che
trattengono molte molecole di acqua. Quindi, si sa poco della caratteristica tridimensionale. Nelle
glicoproteine ci sono due grosse categorie: le glicoproteine N-link (N glicosilazione) e le
glicoproteine O-link (O-glicosilazione). La cellula deve attaccare lo zucchero alla proteina e per fare
ciò il tutto avviene quando la catena polipeptidica si sta costruendo sui ribosomi. Per questo, la N-
glicosilazione è detta cotraduzionale perché avviene nel reticolo endoplasmatico simultaneamente
alla sintesi proteica e gli zuccheri sono aggiunti su residui di asparagina, che come gruppo R non ha
il gruppo carbossilico, ma ha il gruppo carbamminico, quindi ha un residuo di N (=> N-
glicosilazione). La N-glicosilazione può avvenire solo in presenza di asparagina perché si deve avere
un residuo di N. Poi ci dev’essere un amminoacido qualunque e poi una serina o una treonina.
Anche la cisteina è possibile perché ha il gruppo SH che assomiglia a quello OH della serina o della
treonina. Se trovo questa sequenza, potrebbe esserci legato un rametto di zucchero. Nella prima
figura, si nota la presenza residui saccaridici di acido sialico, che è comune nelle nostre
glicoproteine. Nella figura di lato, in verde si trova la catena polipeptidica nelle N-glicosilazione.
L’altra categoria è quella della O-glicosilazione in cui si ha un legame di tipo glicosidico dello
zucchero al peptide con l’O dei residui di serina, treonina o idrossilisina e si hanno legami meno
regolari. Si possono avere con un solo monosaccaride o ci possono essere una ramificazione
enorme di zuccheri attaccati. Questi eventi delle O-glicosilazioni, avvengono solo nel Golgi, quindi
sono modifiche post-traduzionali normali in cui la proteina è sintetizzata, esce, va nel Golgi in cui
poi avviene la O-glicosilazione. Si parla solo di apparato di Golgi e di reticolo perché le proteine

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stanno soprattutto sulla superficie delle cellule, ma sulla superficie extracellulare ci sono proteine
sintetizzate a livello del reticolo endoplasmatico rugoso, da cui migrano al Golgi e poi vanno
all’esterno. Manca un codice saccaridico, ma si sa che gli zuccheri sono importanti per il
funzionamento della proteina. Le funzioni degli oligosaccaridi sono: strutturali per schermare la
superficie di una proteina, limitare la libertà conformazionale di segmenti proteici, indirizzamento
verso la destinazione definitiva (es. lisosomi) e di riconoscimento come glicocalice, lectine (proteine
che legano carboidrati spesso presenti sulla superficie cellulare).
Gli oligosaccaridi sono anche determinanti
antigenici, come gli antigeni dei gruppi
sanguigni AB0. Sono componenti
oligosaccaridiche delle glicoproteine e dei
glicolipidi superficiali delle cellule di un
individuo (si hanno zuccheri legati
covalentemente a proteine o a lipidi sulla superficie cellulare). Essi sono rivolti verso l’esterno e quindi sono
coinvolti nel riconoscimento. Il glicocalice è la porzione glicolipidica che è legata sia a lipidi sia a proteine ed
esso arriva ad avere uno spessore di 140 nm. Inoltre, le loro porzioni saccaridiche si estendono tanto da
essere visualizzabili al microscopio elettronico. Sono le porzioni saccaridiche a identificare l’antigene del
gruppo sanguigno ed esse sono legate sia a proteine sia a lipidi: gli individui 0 hanno l’M-
acetilgalattosamina, un residuo di acido sialico, uno di glucosio e uno di galattosio, gli A hanno in più una
ramificazione con un residuo di N-acetil galattosamina, i B hanno solo un residuo di galattosio. Per questo i
tipo 0 hanno lo stesso nucleo saccaridico di quelli A e B
quindi è donatore universale. Esso, però, può prendere il
sangue da un tipo 0, altri darebbero una risposta
anticorpale perché ad esempio A ha un residuo di N-acetil glucosammina in più.
01.04.19
Dopo ogni tappa di purificazione di materiale proteico è opportuno valutare:
- Concentrazione proteica perché bisogna sapere quanta proteina ho perso durante l’estrazione e
perché, estrarre una proteina dal suo contesto, significa purificarla da tutte le altre molecole con
cui lavorava nel suo contesto naturale. Tutto questo aiuta nello studio preciso della singola
proteina.
- Attività enzimatica se il campione studiato è un enzima.
- Profilo elettroforetico (SDS-PAGE) che è un’altra tecnica.
Si usa uno spettrofotometro e le proteine sono incolori e assorbono a 280, quindi si devono usare pipette
di quarzo. Bisogna trovare un metodo quantitativo per superare questi problemi di assorbanza e incolore.

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Per determinare la concentrazione proteica: gli amminoacidi aromatici assorbono a 280 nm, ma sono solo
fenilalanina, tirosina e triptofano (con anello aromatico), gli altri non assorbono. Se si applica questo
metodo per determinare la concentrazione, si usa una cuvetta di quarzo perché si deve impostare la
lunghezza d’onda nell’UV a 280. Sono costose e si devono usare perché la plastica a 280 assorbe. Poi l’altro
problema è che per avere una misura, un valore numerico di concentrazione in milligrammi per ml o
microgrammi per microlitro si deve usare la legge di Lambert-Beer (A=ecd e quindi la concentrazione è
c=A/ed). L’epsilon dà problemi perché il coefficiente di concentrazione molare è un valore che è preciso per
le sostanze analizzate in spettrofotometria, ma per le proteine, che sono tutte diverse tra loro, come si può
avere un epsilon? Se si lavora su una sola tipologia di proteina, allora avrò l’epsilon, ma se lavoro su una
miscela di proteina, no. L’epsilon varia da 0.4 a 1.5 per le proteine. Se si assorbe 1 si può pensare che ha
una concentrazione di 1 milligrammo per ml, ma così non si è precisi, ma ci sono sistemi che alzano il livello
di precisione. Valgono due eccezioni:
- Lisozima il cui epsilon vale 2,65.
- Proteina parvalbumina che non ha residui aromatici e quindi epsilon è 0 perché non assorbe a 280.
Si possono usare metodi colorimetrici, che sono quantitativi e per essere precisi sono semiquantitativi
perché portano ad avere una concentrazione in milligrammi in ml, ma soffrono perché si lavora con una
miscela di proteina e quindi talvolta essa reagisce con il colorante in un certo modo in diverse occasioni. Per
sapere quante proteine ho devo usare questi metodi prendendo la miscela di proteine e metterla a
contatto con un colorante che interagisca con queste proteine. Dopo aver interagito, si vede un composto
colorato che si può quantificare allo spettrofotometro, si possono usare quindi cuvette non al quarzo e poi
si usa uno standard, che è la proteina BSA (Bovin serum albumin, sieroalbumina bovina, cioè di origine
bovina), perché in laboratorio si deve vedere come concentrazioni diverse di BSA interagiscono con il
colorante. Questo viene fatto ogni volta che si effettua un dosaggio proteico. Dopodiché, si usa questa
taratura per risalire alla concentrazione precisa del campione che si vuole misurare. I coloranti usati sono:
- Metodo di Bradford (fino agli anni ’60 c’era il metodo di Lori), detto anche metodo Dye-Binding: si
hanno cuvette con colori diversi. Si parte da un colore marroncino che è solo colorante per arrivare
al blu che reagisce con concentrazioni elevate di proteine. Si usa il blu di Coomassie brilliant blue
G250, che è anche il colorante usato in elettroforesi. Si hanno due lunghezze d’onda (465 nm forma
rossa e 595 nm forma blu). La forma blu è il Coomassie che interagisce con le proteine e la sua
formula chimica ha anelli aromatici e gruppi acidi con S. In totale, la molecola del Coomassie ha PM
di 695,59. Essa interagisce con le proteine con interazioni elettrostatiche con i gruppi acidi, che
dissociano l’H e quindi il colorante acido va a interagire con i gruppi carichi positivamente delle
proteine (sono i gruppi amminici degli amminoacidi basici), poi interagisce anche con interazione
idrofobica attraverso gli anelli aromatici presenti. Si forma un complesso colorante proteina e la
sua colorazione è blu: si passa dal rosso al blu. La formazione del complesso è stabile fino a un’ora

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di tempo, che è elevato. Il metodo Lori, invece,


richiedeva tempistiche più limitate perché erano
meno stabili. Questo metodo si può anche usare con
le piastre e quindi lavorando con concentrazioni da 5
fino a 100 microgrammi per ml. Più si lavora con
concentrazioni piccole, più è alto il rischio che
contaminanti possano interferire. Inoltre, alcune
proteine possono essere insolubili nell’ambiente
acido reattivo. Poi si devono costruire due rette di
taratura: in ascissa ci sono le concentrazioni di proteina e in ordinata ci sono i valori di assorbanza.
Man mano che aumenta la concentrazione di proteine, aumenta anche l’assorbanza. y=mx+n, in cui
n è l’intersezione con la retta e m è la pendenza. In exel viene restituito anche R, che è il parametro
identificante la bontà della retta. R dev’essere il più vicino possibile a 1, che non lo sarà mai, solo
quando ho due punti sperimentali. R indica quanto più una retta passa per due punti. Si dovrebbe
lavorare con un valore di R=0.99 in laboratorio.

ENZIMI
Ci sono proteine che sono enzimi, quindi sono catalizzatori biologici. Generalmente, le proteine enzimi sono
globulari e possono essere fatte da una sola catena o da più subunità e quindi avere una struttura
quaternaria oltre alla terziaria. Gli enzimi sono responsabili delle trasformazioni chimiche nelle cellule. Solo
poche sono spontanee e, quindi, ogni volta che c’è una reazione è coinvolto un enzima. Essi svolgono la
loro attività grazie alla struttura tridimensionale e poi, per quanto riguarda le trasformazioni nelle cellule,
esse sottostanno ai principi della termodinamica soprattutto alla definizione della variazione dell’energia
libera. Se delta G è positivo non è spontaneo il processo, se negativo sì. Si ha un
processo endoergonico se deltaG è positivo che richiede energia, invece se è
esoergonico allora deltaG è negativo. La cellula spesso ricorre all’accoppiamento delle reazioni per avere un
deltaG negativo: associa una reazione
esoergonica a una endoergonica per mettere a
disposizione l’energia liberata dalla prima alla
seconda che ne ha bisogno per avvenire.
In tutto ciò, su un grafico si vede in ordinata il
contenuto di energia libera e sulle ascisse c’è la
coordinata di reazione: non si passa dal
contenuto energetico (reagenti) a prodotti in
modo diretto. Lo svolgimento temporale è

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particolare: per passare da reagenti a prodotti si ha prima un incremento della deltaG, che è quando i
reagenti si attivano per poter reagire insieme (spesso indicati con l’asterisco), bisogna quindi superare la
barriera dell’energia di attivazione. Dopo i reagenti diventano prodotti. Gli enzimi riescono a fare la stessa
reazione: reagenti e prodotti sono uguali e quindi gli enzimi non modificano il deltaG di una reazione, ma
essi diminuiscono la barriera dell’energia di attivazione andando ad aumentare la velocità di reazione
senza, però, modificarne gli equilibri. Perciò, la reazione viene catalizzata avvenendo in un arco di tempo
più breve, compatibile con la vita delle cellule. Si hanno caratteristiche che differenziano gli enzimi dagli
altri catalizzatori del mondo industriale e organico: le principali differenze tra catalizzatori inorganici ed
enzimi sono la velocità di reazione più elevata, condizioni di reazione più moderate perché lavorano a T
ambiente e P atmosferica, maggiore specificità di reazione (per la struttura tridimensionale degli enzimi
che trasformano un substrato di un reagente in un prodotto) e possibilità di regolazione che dipende dalla
loro forma tridimensionale perché sono grandi gli enzimi rispetto ai reagenti che trasformano e hanno una
parte in più della loro struttura che può essere modificata e può interagire con altre molecole, così da
modificare e regolare gli stessi enzimi. Queste ultime due dipendono dal fatto che gli enzimi sono proteine.
Gli enzimi sono proteine, ad eccezione dei ribozimi che sono formati da RNA, dotati di attività catalitica. Per
la specificità di reazione, ci sono due modelli che indicano quanto un enzima sia specifico:
- Modello chiave serratura che
è il più antico, superato dal
modello ad adattamento
indotto. Esso era usato dai
primi biochimici che si
accorsero come gli enzimi
trasformavano un substrato.
Quindi, elaborarono un
modello paragonando la specificità dell’enzima con quella della chiave verso la serratura: si vede un
enzima che ha una porzione zigzagata che è il sito attivo dell’enzima che viene a contatto con il
substrato su cui l’enzima stesso agisce. La superficie del sito attivo è rivestita da residui
amminoacidici i cui gruppi funzionali costituenti legano il substrato e catalizzano la reazione
chimica. Questo modello è stato perfezionato quando si riuscì a studiare la struttura
tridimensionale degli enzimi con la cristallografia, ma non solo questa struttura, anche quella
tridimensionale di un enzima legato al suo substrato.
- Si vide che la specificità di un enzima è descritta dal modello dell’adattamento indotto in cui c’è la
forma del sito attivo, che però non coincide con il substrato, ma che diventa compatibile solo
quando il substrato interagisce con l’enzima, non prima. Questo secondo modello serve anche

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perché la cellula deve fare economia e certi enzimi devono trasformare più di un substrato, quindi
se il suo sito attivo fosse specifico solo di un substrato, allora servirebbero molti enzimi.

Nella glicolisi, si ha la esochinasi che trasforma il


glucosio in glucosio-6-fosfato, cioè lo fosforila. Si ha
l’esempio di lato dell’adattamento indotto della
glicolisi.

L’abbassamento dell’energia di attivazione non viene


indicata solo con una linea, ma si ha una serie di picchi e
questa è la spiegazione molecolare perché si sa che gli
enzimi hanno una struttura tridimensionale. Quelle
linee blu corrispondono ai meccanismi molecolari che
sono nel sito attivo dell’enzima per trasformare S
(reagenti) in P (prodotti). Tutto questo perché il sito
attivo dell’enzima non presenta una superficie lineare, ma è irregolare, quindi l’enzima agisce in modo
diverso in base ai picchi che trova. I reagenti prima di essere trasformati in P devono passare allo stato
di transizione più alto, definito anche stato attivato. Poi, da questo livello, passano a P, cioè al livello
energetico dei prodotti. La piccola barriera energetica non è una sola curva, ma sono tante e ognuna
corrisponde alle diverse variazioni conformazionali che fornisce il sito attivo quando ospita i substrati e
li deve convertire in prodotti.
04.04.19
La decomposizione del perossido di
H: esso fa male alle cellule, ma è una
specie attiva di O e si può generare
nell’organismo perché si vive in un
ambiente che ha O2 molecolare. Le
cellule devono decomporlo per
trasformarlo in acqua. La reazione
può avvenire senza catalizzatore, con catalizzatore organico (superficie di platino) o può essere catalizzata
dall’enzima catalasi che è nelle cellule ed è molto efficiente (nelle cellule ci sono enzimi più o meno
efficienti). Essa è un enzima di difesa e per questo è molto efficiente. Le colonne riportano la barriera
dell’energia di attivazione, è mostrato in kJ o chilocalorie. Senza catalizzatore ne richiede 18, con un
catalizzatore organico si passa a 11 (si abbassa la barriera), con l’enzima passa a 5,5, quindi riduce lo scalino

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da superare e questo si traduce in un aumento della velocità del processo. Gli enzimi non modificano il
deltaG tra substrati e prodotti.
Come hanno descritto i biochimici la velocità relativa della reazione visto che sono diversi tra loro? I due
ricercatori principali sono Leonor Michaelis e Maud Menten che definirono l’equazione della velocità
enzimatica. Essi vissero nei primi del ‘900, quindi non avevano enzimi cristallizzati e non sapevano dal
punto di vista molecolare cosa c’era nel sito attivo, ma erano fermi al concetto “chiave-serratura”. Anche
con queste limitazioni e con lo spettrofotometro, ricavarono l’equazione
della velocità. Essi lavorarono in modo rudimentale e con estratti con
enzimi non puri. Essi seguivano le variazioni dell’assorbanza: o
aumentava quella del substrato o quella del prodotto, tutto calcolato con lo spettrofotometro. Con questi
presupposti, ricavarono l’equazione e, a posteriori, altri ricercatori dimostrarono che è ancora valida la loro
equazione che, addirittura, riesce a
essere valida misurando la velocità di
una singola molecola di enzima. Essi
cercarono di scrivere la reazione
enzimatica, presero l’enzima contrassegnato che interagisce con il substrato, doppia freccia, si forma il
complesso ES (enzima-substrato). Si deve fare una precisazione perché essi non avevano la percezione della
molecolarità della reazione: oggi si sa che i complessi ES che si formano nel sito attivo (tutti con la doppia
freccia) sono più di uno. Alla fine, si arriva al complesso enzima-substrato che porta alla formazione dei
prodotti. Essi, poi, tolsero la doppia freccia di reazione, perché fecero un’approssimazione: con la
formazione di ES, la reazione diventa irreversibile verso la formazione esclusiva dei prodotti perché è una
reazione che avviene nella cellula, in cui la reazione non avviene solo, ma con tutte le altre reazioni della
cellula che prendono il prodotto di questa reazione e a loro volta lo trasformano. I prodotti, infatti, non
sono più disponibili per la reazione inversa, perché diventano substrati di altre reazioni. L’unica cosa che si
trasforma è il substrato perché diventa prodotto, mentre l’enzima torna a essere se stesso senza essere
sottoposto alla catalisi. Questo è un grosso guadagno energetico per la cellula, che non deve sintetizzare
tante molecole di enzima corrispondenti a tutte le molecole di substrato che vuole trasformare, perché
ogni volta gli enzimi tornano a essere uguali a se stessi.
La velocità è proporzionale alla concentrazione dei reagenti e la costante di proporzionalità è la costante di
velocità. Sulle frecce ci sono le costanti, cioè k1, k-1 e k2. In termini di formula, ci sono le definizioni di V1,
V-1 e V2, cioè le velocità (definite con il prodotto con la c, cioè la concentrazione). Quindi, k1, ad esempio, è
la velocità che definisce la reazione da substrato alla
formazione del complesso ES. Le lettere piccole nere sono
numeri reali che corrispondono ai valori delle concentrazioni
dei substrati (c). Nelle formule, viene scritto ciò che si instaura

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all’equilibrio e che si riesce a misurare con lo spettrofotometro. La concentrazione effettiva dell’enzima


sarà la concentrazione che si è messa meno quella impegnata nella formazione del complesso ES. Anche S
sarà concentrazione inziale del substrato meno c. Si può fare un’approssimazione:
siccome gli enzimi servono nella cellula in piccole concentrazioni, micromolari,
mentre i substrati sono in concentrazioni tre volte più grandi, millimolari, allora quando si fa una
sottrazione da un numero più grande da cui tolgo una concentrazione micro, non cambia. Allora il prodotto
V1 può essere semplificato e diventare K1(e-c)(s-c)=k1(e-c)s. Allora, nella teoria dello stato stazionario, se si
considera la reazione A, quando è raggiunto l’equilibrio, esso sarà il momento in cui la concentrazione di ES
non varia e la sua velocità di formazione è uguale a quella della sua decomposizione. Quindi, le reazioni che
portano alla formazione di ES sono di tipo 1, mentre, le -1 e 2 sono quelle che lo decompongono. ES si
mantiene costante perché V1=V-1+V2. Questo rapporto di costanti, in cui al numeratore ho la velocità di
decomposizione (dissociazione) e al denominatore ho quella della formazione, è un numero ed è la
costante di Km, cioè di Michaelis-Menten. La Km è importante per sapere quale enzima sia migliore di un
altro per un processo nella cellula. Essa è una costante di dissociazione di ES perché, al numeratore, ho la
velocità di dissociazione e, quando si paragonano diversi enzimi, si scelgono quelli che hanno un valore di
Km più piccolo, perché vuol dire che l’enzima riesce a stare più a lungo a contatto con il substrato e, quindi,
la velocità di dissociazione è più lenta. Km, infatti, è anche detta la misura dell’affinità dell’enzima con il
substrato. Poi, si mette in evidenza c, perché la concentrazione è la più difficile da misurare. Si cerca di
esprimere c che diventa uguale a ES fratto S+Km e c’è un passaggio intermedio in cui si raccolgono tutti i
termini che contengono la c. L’obiettivo era vedere il valore di c, ma l’unica cosa che si vede allo
spettrofotometro, è la formazione dei prodotti. Quindi, quello che è possibile monitorare con la
strumentazione è la velocità che corrisponde alla V2 (formazione dei prodotti). Quindi, si deve moltiplicare
la V2, sia a sinistra sia a destra, per k2. Quindi K2C=K2es/s+Km.
Il secondo parametro introdotto da essi è quello della velocità massima
(Vmax/Vm), che non è un’approssimazione, ma è il prodotto tra k2e ed è
la velocità massima perché è il massimo possibile da raggiungere perché
K2c è quella che si misura e che dipende da ES, invece, k2e è tutto
l’enzima di partenza. Allora, la velocità di Michaelis-Menten è
V=VmaxS/S+Km. Questa non è l’equazione di una retta, perché se si
mette sul grafico, su y c’è la velocità, mentre sulle ascisse si ha la
concentrazione del substrato. La concentrazione del substrato si trova
sia al numeratore sia al denominatore, quindi è l’equazione di
un’iperbole, non di una retta. La curva dimostra l’andamento della
velocità di una reazione enzimatica e, il grafico, dimostra che man mano
che aumenta il substrato, la velocità aumenta. Questo, però, non aumenta all’infinito, perché sennò avrei

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una retta, ma ho un andamento che va a saturazione. Si


avrà un asintoto. Va a saturazione perché vuol dire che a
un certo punto, le molecole di enzima nella reazione
finiscono perché i siti attivi sono occupati nelle molecole
del substrato e non si ha un aumento della velocità e
l’asintoto è la velocità massima che si può raggiungere, ma
è molto difficile da misurare sperimentalmente perché si
deve andare a concentrazioni molto elevate di substrato.
Si ricava ancora un’informazione importante, perché, dei
parametri introdotti, cioè Vmax che è l’asintoto, e la Km
che è la misura dell’affinità dell’enzima al substrato, in
realtà, è una concentrazione di substrato. Si tratta di
qualcosa di reale, per cui la velocità di reazione è ½ della velocità massima (Vm/2). Se si sostituisce,
nell’equazione V=VmS/S+Km, V con Vm/2 e si risolve, si ottiene Vm(s+Km)=2Vms, allora
Vms+KmVm=2Vms, allora KmVm=Vms, e quindi Km=S, quindi Km è uguale alla concentrazione del
substrato. Le reazioni di ordine 0 sono quelle in cui la velocità non dipende dalla concentrazione dei
reagenti, quelle di ordine 1, invece, dipendono dalla concentrazione dei reagenti. Le nostre cellule non
vanno oltre le reazioni di tipo 1 e se si analizza l’andamento della curva che va a saturazione, nel primo
tratto ha un andamento di ordine 1 (cinetica di primo ordine) e man mano che tende all’asintoto, l’ordine
di reazione diminuisce e, a saturazione, diventa di ordine 0, perché la velocità non aumenta e anche se
aumento la concentrazione del substrato, ho saturato tutti i siti disponibili delle molecole di enzima che
avevo. Si parte sempre dall’equazione della velocità per capire l’ordine di reazione. Per concentrazioni
basse di substrato, la cinetica è di ordine 1 nella prima fase, concentrazioni molto basse di substrato vuol
dire che sono molto più basse della Km, quindi, il denominatore (s+Km), S è molto più piccolo di Km che
diventa anche trascurabile. Quindi, la V diventa VmS/Km, in cui Vm e Km sono costanti e, quindi, essa
dipende dalla concentrazione del substrato. Qui è l’equazione di una retta, infatti, nel grafico, attaccata
all’origine sembra una retta. Poi se aumento la concentrazione del substrato, allora mi sposto a destra in
cui ho concentrazioni grandi, molto più grandi della Km che diventa trascurabile e V=VmS/S, quindi, V
dipende dalla Vm. Queste due sono le estremizzazioni.
L’ultimo concetto è stato quello di manipolare meglio i dati dell’equazione di Michaelis-Mentel. Bisogna
studiare l’enzima e caratterizzarlo. Si usa lo spettrofotometro, si usano le cuvette e si misura la velocità. Si
cerca di costruire il grafico, usando diversi valori di concentrazioni che daranno i valori della velocità. Tutti i
valori che si trovano si mettono nel grafico e, poi, devo costruire l’equazione della curva calcolandosi Vm e
Km, che sono parametri importanti. Ci sono dei problemi:

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- Se trovo Vm, trovo anche Km, ma il problema sta nel trovare la Vm, perché fino a che si
costruiscono i punti che nel grafico salgono è possibile, ma è difficile fermarsi per trovare l’asintoto.
Quando aumento le concentrazioni, non si riesce a sciogliere il substrato.
- Quando si arriva al massimo, si ottengono dati che vanno sopra o sotto l’asintoto e non si trova la
Vmax.
Lavorare con l’equazione dell’iperbole è difficile, così hanno cercato
di linearizzare, cioè trasformare l’equazione dell’iperbole in una
retta e il sistema usato di più è la linearizzazione dei doppi
reciproci, detta anche linearizzazione di Lineweaver-Burk: sulle y
ho 1/V e sulle x ho 1/S. Si parte sempre dall’equazione di Michealis-
Mentel: misero il reciproco di V e S sul grafico, allora dall’equazione
di Michealis-Mentel si ottiene il reciproco, cioè 1/V=S+Km/VmS,
cioè 1/V=S/VmS+Km/VmS. Tutto ciò diventa 1/V=1/Vm+ Km/Vm moltiplicato per 1/S. Questa è l’equazione
di una retta del tipo y=mx+n. Quindi, y=1/V, x=1/S, m=Km/Vm (cioè la pendenza) e l’intercetta è 1/Vm. Si
mette il reciproco delle concentrazioni di substrato e velocità, così si ottengono una serie di punti
attraverso i quali si fa passare una retta, che avrà come intercetta 1/Vm e la retta interseca l’asse delle y in
un solo punto, che è il reciproco della velocità massima. Da quel valore e usando anche la pendenza della
retta che è Km/Vm, si trova anche la Km. Così si caratterizza l’enzima.
08.04.19
Retta di taratura: si tratta di una retta che mi permette di mettere su grafico i valori di diluizione.
Ci sono tabelle che mi indicano le caratteristiche dell’enzima che si sta studiando: la Km, si può anche
elencare la Vmax e, accanto a esse, si trovano altri due elementi, la Kcat e il rapporto tra Kcat e Km. Kcat
corrisponde al numero di turnover, cioè le moli di substrato convertite in prodotto per mole di enzima in
un secondo. I valori sono espressi in sec-1. Il numero di turnover, cioè Kcat, corrisponderebbe alla K2 e per
determinare la Kcat ci devono essere concentrazioni alte di substrato per determinare il numero massimo
di moli. Questi valori servono perché scelgono quale sia l’enzima migliore da usare. Si deve cercare l’enzima
con la Km più piccola.
In questa tabella si fa un
confronto tra enzimi molto
efficienti: la chimotripsina è
un enzima digestivo, ad
esempio. Per la Km, bisogna
trovare valori piccoli e ci si
rende conto che la catalasi ha
una Km=25, mentre il

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lisozima è =6x10-3, che, quindi, risulta più affine al substrato. Si è introdotto il rapporto Kcat/Km, che è un
parametro che è definito efficienza catalitica e la reazione enzimatica che ha la migliore efficienza catalitica
è quella che ha il numero più alto di questo rapporto. Valori dell’efficienza catalitica della catalasi sono 10
alla 9 e non si riesce ad andare oltre, perché c’è il limite della diffusione. Quindi, la catalasi è l’enzima più
efficiente perché deve rimuovere perossido d’idrogeno che è tossico per noi.

CLASSIFICAZIONE DEGLI ENZIMI


Tutti gli enzimi delle cellule sono organizzati tradizionalmente in 6 classi, anche se è disponibile anche una
settima classe.
- Ossidoreduttasi (1), che sono gli enzimi più veloci e catalizzano redox in cui si ha uno che si ossida e
uno che si riduce. Esse per funzionare, hanno bisogno di coenzima, quindi di una molecola in più. I
coenzimi sono piccole molecole organiche che arrivano nel sito attivo e talvolta si parla di cofattori:
i coenzimi sono piccole molecole organiche con dimensioni simile al substrato, i cofattori, invece,
sono solo ioni di metallo, quindi sono più piccoli, ma hanno la stessa funzione. I coenzimi possono
anche intervenire nel meccanismo di azione anche di altre classi. Poi ci sono molecole, come la
biotina e l’acido pantotenico, che derivano da vitamine. Esse non possono essere sintetizzate dal
nostro organismo, quindi devono essere introdotte con la dieta. Esse, poi, con una o più reazioni
enzimatiche, sono trasformate in coenzimi, che sono indispensabili per le reazioni enzimatiche.
- Transferasi (2), che trasferiscono gruppi, come quello metilico. Esse possono anche trasferire un
intero monosaccaride o un nucleotide. Le chinasi sono trasferasi perché attaccano un gruppo
fosfato a un substrato.
- Idrolasi (3), che sono state studiate per prime perché sono lente e sono enzimi responsabili dei
processi digestivi. Sono chiamate così perché intervengono nella rottura dei legami covalenti delle
catene polimeriche. Altre rompono il legame peptidico e sono dette così perché, nel loro
meccanismo di azione, viene sempre coinvolta una molecola di acqua.
- Liasi (4), il cui termine vorrebbe dire “scindere”, in realtà esse possono sia rompere sia formare
legami covalenti (C-C, C-N, C-O). Non lavorano sul legame C-H, perché ha un’energia di legame
elevata difficile da rompere e da formare.
- Isomerasi (5), che formano un isomero, cioè la formula bruta rimane la stessa, ma spostano solo
dei gruppi.
- Ligasi (6), che si occupano dei legami e lavorano con un meccanismo di azione irreversibile (le
prime cinque classi, invece, lavorano sia in un verso sia nell’altro). Queste consumano ATP per
catalizzare la formazione di legami. Per esempio, quando si fanno carbossilazioni, allora è usata una
ligasi.

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- Traslocasi (7), che sono la nuova classe e lavorano sulle membrane e sono coinvolte nel trasporto
attraverso le membrane di sostanze, come ioni e piccole molecole. Questo trasporto avviene a
spese di una reazione enzimatica.
Esistono database di enzimi collegati a UniProt. A ciascun
enzima è attribuito un numero di quattro cifre preceduta da
EC (Enzyme Commision). Il primo numero è la classe, gli altri
si riferiscono alla sottoclasse, alla sotto sottoclasse e al tipo.
L’altro database è il BRENDA.
Dal punto di vista molecolare, nessuno dei 20 amminoacidi
può trasferire elettroni, quindi diventa un’esigenza che le
ossidoreduttasi lavorino con un coenzima o un cofattore o
con un metallo. Tutte le altre classi non hanno l’obbligo
dell’uso dell’enzima, perché possono usare gli amminoacidi
che si trovano a livello del sito attivo, come le idrolasi che idrolizzano un legame solo usando i residui
amminoacidici del sito attivo.
Non tutti gli amminoacidi sono attivi dal punto di vista catalitico, come la glicina che non fa nulla se non
avere la funzione strutturale per mantenere la forma del sito attivo. Ci sono, invece, amminoacidi che si
trovano coinvolti nel meccanismo catalitico, come i residui di serina, tirosina che hanno OH, altri come
l’istidina, perché essa ha il suo gruppo che si può protonare a pH fisiologico. Lisina, arginina, acido aspartico
e glutammico, hanno un gruppo acido e basico che si possono protonare o deprotonare e quindi, sono utili
ai fini della catalisi. Ci sono vitamine, come la biotina, che è il coenzima delle reazioni di carbossilazione (di
classe 6), la piritossina, invece, diventa piridossal fosfato ed è importante nelle reazioni di trasferimento del
gruppo amminico. Altri enzimi dipendono da metalli:
- Cu citocromo ossidasi.
- Fe catalasi, perossidasi.
- K piruvato chinasi.
- Mg esochinasi.
- Mn ribonucleotide reduttasi.
- Mo nitrogenasi.
- Ni ureasi.
- Zn carbonico anidrasi, alcol deidrogenasi.

La struttura del NAD, che è Nicotin-ammideadeninanucleotide, la


lettera D sta per dinucleotide, perché l’adenina con lo zucchero e P
fa il nucleotide, mentre la molecola del ribosio e nicotin ammide

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costituisce un altro nucleotide. Il NAD è il coenzima più famoso perché interviene in diverse redox (molti
enzimi di classe I lo usano) e poi esso, quando si modifica e diventa ridotto, cambia la sua assorbanza allo
spettrofotometro e questo fu di aiuto perché monitorare una reazione enzimatica con la molecola del NAD
che cambia la sua assorbanza era seguibile per la spettrofotometria. Non sempre il substrato che diventa
prodotto cambia la sua assorbanza.
Il NAD è in grado di ridursi accettando elettroni, diventando NADH e così, il suo spettro UV visibile, va
intorno a 340 e c’è un picco per la linea azzurra che è lo spettro di assorbimento del NADH, e poi c’è anche
a 360 che però è anche del NAD ossidato. Posizionando lo spettrofotometro a 340, si può osservare
l’andamento di una reazione enzimatica in cui è coinvolto il NAD. In base a se uso NAD ossidato o ridotto,
devo modificare l’assorbanza. Man mano che il NAD si consuma, l’assorbanza diminuisce.
EFFETTO DEL pH E DELLA TEMPERATURA
Si tratta di un’altra caratterizzazione degli enzimi. Ci sono i due assi con pH e
velocità. L’andamento che si misura è quello con una curva a campana e
generalmente studiando gli enzimi che lavorano nella cellula, si trova che
man mano che si passa da pH acido verso la neutralità, la velocità degli
enzimi aumenta. Aumentando, invece, il pH andando verso zone basiche, la
velocità diminuisce. Oltre l’informazione del massimo, i punti di flesso, cioè
evidenziati come pK nel grafico, possono dare info sulla tipologia del sito attivo o, per essere precisi,
possono dire se nel sito attivo, tra i 5 o 6 residui amminoacidici che possono essere coinvolti nella reazione,
quale ci sia lì. Se si ha un punto di flesso intorno a pH 4 si può pensare che nel sito attivo ci sia un residuo
acido, se verso il 6 si può avere un’istidina, verso il 10 si
ha una lisina, ecc. Tuttavia, si deve tenere conto che
l’intorno in cui si colloca il residuo può interferire sui
valori di pK.
In ordinata c’è la velocità e in ascissa c’è il pH, nel grafico
di fianco. La pepsina lavora nello stomaco e quindi
lavora a pH acido. Per cui la sua curva del pH ottimale ha
un massimo intorno al ph dello stomaco (2). A pH basici,
la sua attività cala.
In maniera analoga, si può fare il monitoraggio della T e si ottiene un
grafico in cui non si ottiene una curva a campana simmetrica, come per il
pH, ma si ottiene una curva non simmetrica e generalmente la fase in cui
l’attività diminuisce ad alte T è una discesa brusca e questo decremento
rapido della V dipende dalla denaturazione enzimatica. L’innalzamento
della T fa perdere la struttura tridimensionale e il sito attivo perde la sua

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forma diventando un sito non più attivo. Si può anche verificare che il coefficiente di T sia efficiente. Esso è
definito Q10 perché si valuta la differenza di velocità enzimatica quando si aumenta la T di 10 gradi. Viene
quindi facilitato l’incontro tra il substrato e l’enzima con un aumento della T. Poi si ha la denaturazione e,
quindi, si ha una diminuzione brusca. A livello industriale, questo viene molto applicato per studiare enzimi
termostabili che, pur aumentando la T, a 60 gradi sono ancora attivi, ma non sono molti. Si studiano gli
Archea che vivono nelle pozze dei vulcani perché sono microrganismi che vivono a T elevate e quindi hanno
enzimi che lavorano ad alte T.
C’è un’altra variabile che è l’effetto degli inibitori sull’attività enzimatica. Si è detto che c’è possibilità di
regolazione perché hanno una superficie grande e possono reagire, così, con il substrato e con altre
molecole. Queste altre molecole sono gli inibitori, che sono classificati in irreversibili e reversibili:
l’inibizione irreversibile può essere l’alzamento eccessivo della T che porta a distruzione della struttura
tridimensionale oppure quando si usano sostanze che si legano covalentemente con gli amminoacidi del
sito attivo non staccandosi più, sono, quindi, agenti chelanti che sono usati anche come veleni. Questo tipo
di modo di azione si può fare dall’esterno, come l’innalzamento della T. Normalmente le cellule, dopo aver
prodotto tutti gli enzimi necessari per i vari processi, devono avere un sistema che controlli il tutto perché
sennò collasserebbero. Quindi si deve adottare un sistema che vada a inibire in modo reversibile i propri
enzimi. Se li inibisco in modo reversibile, allontanando la molecola inibitore, l’enzima torna attivo. Questo è
un grande vantaggio per la cellula. Gli inibitori sono molecole piccole, sono ligandi che si legano al sito
attivo dell’enzima. L’inibizione reversibile è un meccanismo studiato in laboratorio con lo spettrofotometro
ugualmente a quando si costruisce il grafico della V in funzione della concentrazione del substrato. Tutto
ciò si fa quando si aggiunge al preparato di enzima e substrato anche l’inibitore. Tutto ciò vale sia per una
molecola di enzima sia per un numero n di enzimi. Ci sono reazioni reversibili:
- E+S doppia freccia ES -> E+P.
- E+I doppia freccia EI, in cui l’enzima può agire anche con la molecola dell’inibitore, formando un
complesso enzima e inibitore. Ovviamente si ha una V con una sua costante K3 alla formazione di EI
e una V inversa che è K-3. Il rapporto K3/K-3 è la costante di inibizione e quando si studia l’effetto
di una molecola che funziona da inibitore, devono essere caratterizzati in base alla loro costante di
inibizione.
- EI+S doppia freccia EIS, in cui il complesso EI è ancora capace di interagire con il substrato. Quindi,
il substrato può ancora entrare nel sito attivo. Si forma, quindi, un complesso EIS, che ha tre
elementi e anche qui si hanno K4 e K-4 che sono le costanti di V. Non si ha mai la formazione del
prodotto dopo l’interazione dell’inibitori.
- ES+I doppia freccia EIS, in cui si forma ES, che può attaccarsi all’inibitori. Quindi, anche qui, si forma
un complesso EIS. Con K5 e K-5 come costanti di V e dato che il terzo e quarto caso portano alla
formazione di un complesso a tre elementi, la costante di inibizione è la stessa.

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L’inibizione mista prevede che si


verifichino tutte le reazioni (secondo,
terzo e quarto caso). Nel disegno si
vede che l’enzima reagisce con il
substrato e con l’inibitore formando un
EIS, dall’altra parte l’enzima può
formare con l’inibitore formando un EI.
L’ultima possibilità è che EI interagisca
con substrato formando EIS. Questo
tipo di molecola inibitore che può interagire con l’enzima libero, ma anche con il substrato, è definita
inibitore misto.
I due casi sopra, invece, sono due
molecole di inibitore che si comportano in
modo diverso, cioè non possono
interagire con tutte le modalità possibili. Il
primo caso è l’inibizione competitiva con
l’inibitore competitivo e la maggior parte
di inibitori delle cellule lavorano in questo
modo. Questo inibitore è una molecola simile al substrato e quindi compete con il substrato per legarsi nel
sito attivo e si vede che può interagire o con il substrato o con l’inibitore, ma non con EI con S. Quindi, E
interagisce con I per formare EI. Per contrastare la presenza di un inibitore si aumenta la concentrazione
del substrato, che fa aumentare la possibilità di raggiungere il sito attivo. Dal punto di vista grafico,
l’inibizione competitiva si può vedere sia sul grafico della curva che va a saturazione, ma la curva è spostata
dall’asse y e la Km aumenta. Quando si trova un inibitore, allora la retta si alza e aumenta la pendenza,
però ha una particolarità: aumenta la pendenza, ma interseca l’asse dell’y nello stesso punto perché la
Vmax non cambia perché l’effetto è tutto sulla Km. Per sapere come un inibitore lavora, bisogna costruire il
grafico dei doppi reciproci e confrontarlo: se la retta interseca y nello stesso punto, allora l’inibitore
studiato è un inibitore competitivo e si inibisce la pendenza. Vedi grafici.
L’inibitore acompetitivo o incompetitivo,
invece, lo si riconosce perché, mettendo
sul grafico i valori, si ottiene una retta che
è parallela e non interseca più. In più, il
fattore di correzione non è più sulla
pendenza, ma è sull’intercetta. In questo
caso, è

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necessario che l’enzima interagisca con S e, dopo la formazione di ES, allora può interagire con I. Il tutto
avviene in una soluzione trasparente dentro la provetta e, andando a definire il comportamento
dell’inibitore, si dice che il sito attivo è occupato da S e poi, vicino, c’è l’interazione con I, che riconosce solo
ES. Dal punto di vista pratico, questo tipo di inibizione provoca una diminuzione della Km e questo
potrebbe sembrare strano, ma insieme a ciò si ha una diminuzione della velocità massima, perché se essa
diminuisce, ha senso l’inibizione. Ci si accorge della diminuzione della Vmx perché si ha la retta parallela più
alta. Questo tipo di inibizione va a inibire il legame dell’inibitore con il substrato e questo meccanismo può
essere ridotto, ma non bloccato, aumentando la concentrazione del substrato.
L’ultimo caso è l’inibizione non competitiva che è un caso limite
dell’inibizione mista. Questa inibizione la si riconosce dal grafico e
dall’equazione dei doppi reciproci in cui si vede che il fattore di
correzione è a livello dell’intercetta e della pendenza: si hanno due
rette che si intersecano essendo un caso limite proprio sull’asse delle
ascisse. Questo succede perché il fattore di correzione corregge allo
stesso valore (B). Macroscopicamente, si ha una diminuzione della
Vmax e non si ha effetto sulla Km. Rispetto all’inibizione mista dove A
e B sono diversi, nell’inibizione non competitiva, i 2 fattori hanno
lo stesso valore A=B. Il loro legame all'enzima genera un
cambiamento conformazionale dell'enzima stesso, che può avere
come conseguenza l'inibizione del legame tra enzima e substrato.
Non essendoci dunque competizione tra inibitore e substrato,
l'importanza dell'inibizione dipende esclusivamente dalla
concentrazione dell'inibitore stesso.
L’inibizione mista è il caso più generale in cui si ha il fattore di
correzione su pendenza e intercetta, ma sono diversi (A e B). Le
due rette che si ottengono (la retta inibita è quella con la pendenza più alta) sono così rappresentate: nel
caso nero si intersecano sopra l’asse x e nell’altro, si intersecano sotto. L’inibitore non competitivo è,
quindi, un caso limite di questo.

EFFETTI ALLOSTERICI
Gli enzimi che sfruttano l’interazione
con l’inibitore per essere bloccati
seguono la cinetica di Michaelis-
Menten, quindi hanno la curva che va
a saturazione. Questi enzimi non

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seguono la cinetica di Michaelis-Menten perché, esaminando il grafico, si vede che sulla sinistra c’è
l’andamento di Michaelis-Menten, mentre, sulla destra, c’è la curva sigmoide, che è propria degli enzimi
con effetti allosterici. Ci sono anche enzimi che hanno una sigmoide molto più attaccata all’asse delle y. Si
vede che la curva non è di Michaelis-Mentel perché, anziché partire con una V che sale progressivamente,
quasi lineare, qui, invece, all’inizio, anche aumentando la concentrazione del substrato, la V ha un’inerzia
iniziale e sale piano. Poi è caratterizzata da un aumento repentino della velocità, poi, trattandosi di un
enzima anche se allosterico, anche qui si va a saturazione perché, una volta che tutti i siti attivi delle
molecole di enzimi allosterici sono occupati, la V non aumenta più. La differenza è che in laboratorio ci si
rende conto che si usa un enzima allosterico costruendo grafici e si vede che la V sale poco nella parte
iniziale. Per la cellula, questi enzimi allosterici,
sono utili proprio perché hanno una V iniziale
che si discosta poco dallo 0 e poi hanno una
fase in cui la V aumenta molto (valori vicini a
quella della saturazione), come se quell’enzima
riuscisse ad accendersi e spegnersi per un
intervallo piccolo di concentrazioni di substrato.
Sono quindi enzimi che possono essere regolati
attivi-non attivi molto rapidamente. Quindi
sono utili alla cellula più che non il classico
enzima di Michaelis-Mentel in cui, per passare
da valori vicino allo 0 fino a saturazione, ci si
deve muovere in un intervallo ampio di
concentrazioni di substrato. Gli enzimi allosterici, invece, sono localizzati di solito nei punti di controllo delle
vie metaboliche, che sono percorsi di 7 passaggi, ognuno catalizzato da un enzima. Se si vedono le vie
metaboliche, di solito il primo enzima è allosterico che può essere regolato finemente perché può essere
inibito e attivato. Sono anche definiti veri e propri enzimi regolatori perché sono responsabili delle tappe di
regolazione delle vie metaboliche. Il prodotto finale nell’esempio può interagire
con il primo enzima e andare a inibirlo con l’inibizione da feedback con un ligando
o effettore allosterico. Se poi la cellula ha bisogno di farla ripartire, allora le cellule
interagiscono con altri ligandi che hanno un effetto positivo perché fa ripartire
l’enzima. Gli enzimi allosterici sono particolari perché hanno più siti di interazione
sulla loro superficie perché devono interagire sia con effettori positivi sia con quelli
negativi. Generalmente, questi enzimi allosterici hanno più subunità, quindi hanno
una struttura quaternaria.
L’immagine rappresenta il primo enzima allosterico (aspartato transcarbamilasi o

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ATCase) trovato ed è quello coinvolto nella biosintesi delle pirimidine. Si vede che la visualizzazione grafica
mostra con colori diversi ogni subunità: è fatto da 12 subunità. Questa è la prima tappa della biosintesi
delle pirimidine ed è per questo che è catalizzata da un enzima allosterico. L’oloenzima è fatto da 12
subunità: 6 subunità catalitiche (302 amminoacidi che formano trimeri) che sono quelle grandi e che
ospitano il sito attivo interagendo con aspartato e carbalmilfosfato; 6 subunità regolative (154
amminoacidi che formano dimeri) che riescono a interagire con gli effettori allosterici, che sono di due tipi:
CTP, nucleotide fatto con la citosina, che è una base azotata ed è una pirimidina quindi il CTP ha una
funzione inibitrice perché se nella cellula ci sono scorte di pirimidine, la via che le sintetizza non è
necessaria. Viceversa, l’ATP, fatto dall’adenina, ha un’attività positiva
perché fa aumentare l’attività catalitica dell’aspartato transcarbamilasi.
Questi due tipi di attività sono direttamente controllate le une con le altre
sull’aspartato transcarbamilasi perché alla fine, all’interno della cellula,
nella doppia elica del DNA, si ha l’appaiamento tra purina e pirimidina e,
quindi, la cellula deve avere una quantità uguale di purine e pirimidine. La
struttura di questo enzima è stata determinata da cristallografi italiani. In
più, le subunità regolative interagiscono anche con un metallo, come lo Zn,
di cui ce n’è un atomo per ogni subunità regolativa. Lo Zn non ha attività
catalitica, non è un cofattore, ma è un metallo con funzione strutturale
perché è inserito, interagisce con la subunità regolativa e la sua presenza
mantiene la forma corretta in modo che la subunità regolativa possa
interagire con quella catalitica. Quindi, se tolgo Zn, la forma tridimensionale si perde e la subunità
regolativa non si associa correttamente con la subunità catalitica. Poi si ha il grafico dell’aspartato
transcarbamilasi (sinistra): in alto c’è l’andamento classico con la curva sigmoide e per concentrazione di
substrato si intende la concentrazione dell’aspartato e sotto, invece, c’è l’effetto dovuto alla presenza di
CTP, inibente che dà la curva nera, che si allontana dall’asse delle y ed è una curva sigmoide e impiega più
tempo per arrivare a saturazione, e l’ATP, che attiva, sposta verso sinistra, cioè l’asse y, la curva sigmoide e
spostandola a sinistra, si rischia di perdere la percezione del primo tratto perché si avvicina molto e si
capisce poco l’inerzia iniziale. Per questi enzimi allosterici non si analizza l’equazione della V, ma basta
sapere che nel grafico si ha una curva sigmoide e che vanno a saturazione. Il meccanismo allosterico non è
riservato solo agli enzimi allosterici, ma si trova anche in proteine che hanno una struttura quaternaria,
come l’emoglobina, che porta O2 a tutte le cellule del nostro corpo. Essa ha un funzionamento allosterico
per il trasporto dell’O2. Poi ci sono altri esempi, come alcuni recettori sulle membrane che hanno un
meccanismo allosterico per l’interazione del recettore con un ligando. Ci sono due modelli che descrivono il
comportamento allosterico di una struttura quaternaria:

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- Concertato, che è di Monod, Changeux e Wyman prevede che l’enzima allosterico o la proteina
allosterica esista solo in uno stadio in cui tutte le subunità sono tese o rilassate. Nel momento in cui
il substrato si lega, si passa da T a R, però il cambiamento avviene contemporaneamente per tutte
le subunità, quindi non c’è una sequenza temporale.
- Sequenziale, in cui il modello di Koshland prevede che quando una subunità di struttura
quaternaria interagisce con un ligando con un’interazione debole, allora l’interazione provoca una
variazione conformazionale e questa variazione provoca una transizione della subunità che passa
dalla forma T, cioè tesa perciò scarsamente attiva e che senza substrato non è attiva, a R, cioè
rilassata che accoglie il substrato cioè il sito si adegua alla forma del substrato con cui interagisce
diventando cataliticamente attiva. Questa transizione è trasferita a tutte le subunità che
costituiscono la struttura quaternaria.
Il secondo meccanismo forse riesce a spiegare di più i meccanismi di inibizione allosterica, ma non c’è una
preferenza tra i due perché sono entrambi validi.
Gli enzimi allosterici sono coloro che non si fanno regolare dal legame con un inibitore, ma si fanno
influenzare dal legame reversibile, non covalente, con effettori o modulatori allosterici.

NUCLEOTIDI E ACIDI NUCLEICI


Gli acidi nucleici sono macromolecole biologiche e, dentro le
cellule, sono la seconda parte con maggior presenza. I
nucleotidi sono implicati in quasi tutti gli aspetti della vita
cellulare: reazioni redox, trasferimento di energia, vie di
segnalazione intracellulare, reazioni di biosintesi. I nucleotidi
sono ubiquitari. Il monomero del DNA o del RNA è fatto da
nucleotidi, che non sono amminoacidi perché a loro volta sono fatti da base azotata, uno zucchero e uno o
più gruppi P. Sono fatti da H, P, N e C. Lo zucchero è un pentosio, ribosio o desossiribosio. La numerazione
degli zuccheri è 1’, che si lega alla base azotata, il 2’ è la posizione che cambia (può o no avere OH), 3’, 5’,
che sono importanti per formare il polinucleotide. Oltre che essere coinvolti nella formazione degli acidi
nucleici, quindi essere depositari dell’info genetica, i nucleotidi si trovano come componenti di coenzimi,
come nel NAD in cui si hanno due nucleotidi. Lo si trova,
anche, nelle reazioni di trasduzione del segnale nelle
cellule e come componenti nelle reazioni di biosintesi.
Si possono avere le purine, che hanno due anelli, e le
pirimidine che hanno un solo anello. Sono basi azotate
perché tra gli atomi, che costituiscono l’anello, ci sono
atomi di N. T e U sono simili, ma diverse per un metile,

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cioè un -CH3 in più. Sono i nomi delle basi azotate, poi base azotate+zucchero+P si ha un nucleotide,
mentre base azotate+zucchero si ha un nucleoside. I deossi sono nel DNA, in cui, oltre alla T, i nucleotidi
sono deossi, diversamente dall’RNA, quindi mancano dell’OH in posizione 2’. Nel 2’ manca OH, mentre
nell’RNA c’è OH e il 2’ è la posizione più vicina alla base azotata, dopo la 1’. Se si vuole indicare il
nucleotide, si parla di adenilato (adenosina 5’ monofosfato), sennò il nucleoside è l’adenosina.
Il gruppo P può essere legato al 5’ o al 3’ e, visto che esso è carico negativamente, è neutralizzato da ioni
magnesio.
RUOLI dei nucleotidi:
- Molecola di scambio energetico, che è l’ATP che è un nucleotide (adenosina 3-fosfato). Dall’idrolisi
dei gruppi P di quest’ultimo (il primo, che è più vicino al ribosio e che è legato al -CH2 dello
zucchero, è legato al P con il doppio legame, formando un legame fosfomonoestere) si ottiene
molta energia (31 kJ per il primo, da ATP ad ADP, e per il secondo gruppo fosfato, da ADP ad AMP,
si hanno 31 kJ, quando da AMP si libera l’adenosina da sola, si ottengono 14 kJ) (legame
fosfoanidrinico tra lee molecole di fosfato). L’ATP è la molecola di scambio energetico della cellula.
- I nucleotidi sono coinvolti nella biosintesi degli zuccheri cioè delle strutture polisaccaridiche. Ogni
volta che uno zucchero dev’essere trasferito, si lega a un nucleotide perché gli si viene conferita
un’energia maggiore rispetto allo zucchero da solo. Ad esempio: ADP legato al glucosio, che viene
immagazzinato come amido. Negli animali, invece, gli zuccheri sono legati a un altro nucleotide che
è l’UDP.
- Nucleotidi usati come messaggeri, cioè sono nucleotidi regolatori come l’AMP ciclico fatto
dall’adenilato ciclasi. Questo nucleotide libero è trasformato (adenosin monofosfato). Un secondo
messaggero è il GMP ciclico. Un altro è il guanosin tetrafosfato.
- I nucleotidi rientrano nei coenzimi contenenti adenina. Questo perché erano le prime molecole
comparse sulla terra. Si ha il NAD con l’adenosina, un altro coenzima è il FAD, che ha adenosina. La
molecola più diffusa, a parte il concetto generale dei nucleotidi, è l’adenina, che, quindi, sarà,
quella più antica. NAD e FAD fanno reazioni redox e il coenzima A, invece, interviene nel
metabolismo dei lipidi funzionando come trasportatore delle molecole lipidiche. Anche il coenzima
A ha l’adenina (non chiede le formule accanto).
- Dal punto di vista fisico, si parla dello spettro UV dei nucleotidi. Lo spettro di assorbimento degli UV
è diverso perché, a differenza delle proteine che assorbono a 280 perché hanno gli amminoacidi
aromatici, i nucleotidi assorbono tra 254 e 260 nm.

STRUTTURA CHIMICA DI UN ACIDO NUCLEICO


Sono acidi perché hanno gruppi P che sono acidi fosforici. Il
legame di condensazione, tra due nucleotidi con rimozione di

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una molecola di acqua, si chiama legame fosfodiestere


perché il gruppo P è impegnato con due gruppi OH che
appartengono a due ribosi. Se si avesse un gruppo P legato a
un solo ribosio, si avrebbe un fosfomonoestere, come nella
AMP. Qui, invece, si ha un solo P legato a due zuccheri. Lo
zucchero impegna il 3’ con un gruppo P, che è a sua volta
legato con un atomo di C dello zucchero che sta sotto in 5’. Ogni nucleotide è rappresentato con una linea
verticale e ogni nucleotide è rappresentato in direzione 5’->3’. La linea verticale rappresenta le cinque
posizioni, cioè gli atomi di C, dello zucchero, nel 3’ c’è il legame fosfodiestereo con U (RNA). L’informazione
che mi dà la struttura con tutti gli atomi è che fa vedere i gruppi P che hanno cariche negative e quindi si
combinano bene con le cariche positive. Nel nucleo, ad esempio, interagiscono con proteine basiche per
bilanciare cariche negative. Gli acidi nucleici sono polianioni.
09.04.19
Dal punto di vista della struttura, c’è un’organizzazione strutturale che è
stata chiarita nel 1953-54 da Watson e Crick. Le osservazioni con il nome di
regole di Chargaff dicono che la composizione in basi azotate è fissa e ci si
rende conto che la quantità di T è uguale a A e che G è uguale a C. Nei
mammiferi, il contenuto C+G è 39-46%. Le basi puriniche e pirimidiniche
possono assumere forme tautomeriche diverse e, prove ai raggi X e di
NMR, dimostrarono che la forma chetonica predomina. Ci sono sempre due
forme: A e C risuonano con una forma ammino, che ha come sostituente il
gruppo amminico, e la forma immino in cui si ha il C del ciclo legato con
doppio legame a un NH. Lo stesso vale per G e T che hanno due forme:
forma chetonica, che ha C=O, o enolica, che ha un C legato con un legame
semplice a OH. I ricercatori scoprirono che la forma che predomina è la
forma chetonica insieme a quella amminica. Le basi azotate possono
interagire formando ponti a H: se si ha la forma chetonica, si ha l’O legato
con doppio legame e questo darà un ponte a H interagendo con un H, con
la forma enolica, invece, si ha il gruppo OH e sarà quell’H che interagisce con un ponte a H con un O. A
seconda della forma predominante, le basi possono interagire tra loro con ponti a H tra gruppi diversi.
Nel 1953/54, ci fu la pubblicazione su Nature di Watson e Crick che
determinarono la struttura della doppia elica con l’immagine di Rosalind
Franklin con l’uso dei raggi X. L’analisi ai raggi X identificò una doppia elica
regolare. Nonostante la sua scoperta, Rosalind Franklin non venne insignita del
Nobel, anche se morì di tumore a causa delle radiazioni usate per ottenere

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immagini come questa (destra). Watson e Crick costruirono la loro doppia elica con bastoncini e palline per
rappresentare gli atomi e le basi azotate.
11.04.19
Le basi azotate furono poste
all’esterno per poter interagire
meglio. Questa era un’ipotesi di
Watson e Crick, ma essa non
rispondeva alle misure
sperimentali. L’unico modello che
rispondeva perfettamente era
quello con la doppia elica in cui le
basi azotate erano poste
all’interno, appaiate in base alle
regole di Chargaff (A-T, G-C con la
stessa quantità). Così la distanza
era giusta e l’appaiamento era su un piano perpendicolare alla doppia elica. I pioli, cioè le basi azotate,
erano legate all’ossatura dell’elica, che è formata dagli zuccheri con legame fosfodiesterico con P. La
distanza di un giro completo della doppia elica è di 3.4 nm e i due
filamenti sono polinucleotidi che, anziché essere una linea retta, si
avvolgono a elica (come per le proteine e i carboidrati, in cui, però, c’è la
cellulosa che rimane lineare per il suo legame particolare). I due filamenti
sono antiparalleli: uno è 5’->3’, l’altro 3’->5’ perché ciascun filamento è
un’elica destrorsa. Il fatto fondamentale è che il DNA sia la molecola
informazionale perché trasferisce informazione genetica da una
generazione all’altra: il requisito è che i due filamenti sono appaiati con
ponte a H e sono complementari. Quindi, le molecole biologiche, per
garantire il concetto molecolare della vita, devono essere capaci di
replicarsi e di avere un’attività enzimatica. Con la formazione di ponti a H,
si vede che tra C-G ci sono quelli più forti perché hanno tre ponti a H, tra
T-A ce ne sono, invece, due. Le forme predominanti sono quelle
chetonica e quella amminica: ammina che con legame a H interagisce con il gruppo chetonico in tutte le
basi.
La doppia elica può avere tre forme:
- B, che è quella più stabile ed è quella di Watson e Crick.

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- Z, che è sinistrorsa per la successione del legame fosfodiestero di alcuni nucleotidi ripetuti. Essa si
trova fisiologicamente in alcune regioni della molecola del DNA.
- A, che è più compatta e si ottiene nelle soluzioni povere di H2O.

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Come depositario
dell’informazione
genetica, si deve parlare
di DOGMA della
biologia molecolare, che
fu formulato nel 1958: il
flusso delle informazioni
nelle cellule di tutti gli organismi va dal DNA, attraverso la trascrizione, si passa all’RNA, che è un acido
nucleico, poi, con la traduzione, è tradotto in proteine. Il flusso segue la linea della freccia. Il DNA può
fungere da stampo per se stesso: durante la divisione cellulare, si duplica così che il corredo genetico sia
uguale a quello delle cellule figlie. Si tratta di una linea continua. Poi si hanno linee tratteggiate, cioè l’RNA
e poi si ha il flusso che da RNA va con una linea tratteggiata perché sono casi particolari. L’RNA va verso il
DNA perché è il caso della trascrizione inversa, con enzimi che lavorano in questo modo. Questo è il
funzionamento base del virus dell’HIV. Dal punto di vista biochimico: la replicazione del DNA prevede che,
nel momento della divisione cellulare, il filamento rosso, parentale, venga mantenuto e che faccia coppia
con un filamento di neosintesi. Si ha l’apertura della doppia elica e, visto che c’è il requisito della stabilità
che è quello dell’appaiamento complementare, quando la doppia elica si apre, un filamento funziona da
stampo. Si ottengono due molecole di DNA uguali a quella originaria. Il filamento stampo vada 3’->5’, il
filamento che cresce va 5’->3’ perché i sistemi enzimatici di tutti gli organismi viventi hanno il DNA e si vede
che la direzione di crescita del filamento è sempre in direzione 5’->3’. Ogni volta che un nucleotide si
attacca, si stacca un pirofosfato (parlando dell’ATP si è visto e l’idrolisi di questi legami libera energia
necessaria per il legame fosfodiesterico per legare il nucleotide alla catena in crescita). Si stacca il
pirofosfato perché i gruppi pirofosfato si idrolizzano da soli in due gruppi fosfato liberi, liberando ancora
energia. Questa è un’azione che permette e facilita la formazione del legame fosfodiestere, per cui serve
molta energia. La reazione in cui arriva il nucleotide, che si deve legare al filamento in crescita, dev’essere
supportata dal sito attivo di un enzima, cioè la DNA pol. Le DNA pol aggiungono nucleotidi alla catena in
accrescimento catalizzando il legame fosfodiesterico.
Delle DNA pol è stata risolta la struttura (è stata
cristallizzata) in presenza anche di DNA. Esse sono

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formate da due subunità (verde e azzurro) ed esse


avvolgono, come una mano, il filamento di DNA, che
corre nel solco della DNA pol. Come mostrato nello
schema, si trova il nuovo filamento in rosso, quello
stampo e il primer: non si parte dal nucleotide numero 1
che si appaia e si attacca, ma c’è un RNA primer che fa
da supporto per attaccare il nuovo filamento in
costruzione. Tutto questo perché la DNA pol può
allungare il nuovo filamento sullo stampo e quindi deve
partire da qualcosa di preesistente (l’RNA primer forma
una breve doppia elica stampo e poi, essi, verranno
rimossi con enzimi che tagliano e idrolizzano il legame).
Questa reazione prevede la presenza di legami
covalenti, quindi richiede l’enzima DNA pol. Quando non
c’è questo enzima, allora sono rari gli eventi spontanei, perché si tratta di un legame forte rispetto ai
legami deboli.
Tutto questo va bene per la replicazione del filamento stampo 3’->5’, ma per l’altro no. La DNA pol lavora
solo in direzione 5’->3’, quindi per l’altro filamento, nel momento in cui si srotola la doppia elica, l’altro
viene sempre replicato in direzione 5’->3’, ma con piccoli frammenti, detti di Okazaki. Si appaiano i primer,
in verde, e su di essi si sintetizza un filamento nuovo. Alla fine, tutti i frammenti vengono legati con una
ligasi, rimuovendo i primer.
Può avvenire anche la trascrizione con cui, invece, dal DNA si dà RNA messaggero e poi, questo, viene
codificato in triplette. Anche questa avviene in direzione 5’->3’, trascrivendo in maniera fedele
l’informazione del DNA. L’enzima che catalizza la sintesi dell’RNA messaggero è la RNA pol. I batteri ne
hanno una, mentre negli eucarioti sono tre: hanno una forma globulare, simile alla DNA pol perché deve
avere un solco centrale in cui, con la linea tratteggiata, si vede il percorso della molecola di DNA, che funge
da stampo e, con una freccia, si vede la generazione della molecola di RNA messaggero. Per funzionare da
stampo, bisogna che, in un momento, non ci sia appaiamento. Perciò la doppia elica si apre e si forma la
bolla di replicazione, riconosciuta dall’RNA pol che avvolge, usa il filamento stampo che va da 3’->5’, perché
la RNA pol sintetizza solo in quella direzione, e poi comincia
la fase di allungamento e si genera la molecola dell’mRNA.
Le RNA pol sono enzimi processivi perché, a differenza di
quelli classici, il substrato è una molecola lineare (del DNA),
perciò non tutto il DNA può essere ospitato nel sito attivo e
questo DNA viene usato come stampo ripetutamente.

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Dunque, c’è un canale in cui scorrono sia l’enzima sia il filamento. Man mano che la RNA pol si sposta, esce
un filamento di mRNA. La trascrizione non è fatta a tappeto su tutto il DNA, ma ci dev’essere un sito di
inizio garantito da interazione con promotori e uno di terminazione.

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La traduzione, invece, consente in modo regolare di tradurre il messaggio della successione di nucleotidi
nell’mRNA in proteina. C’è un’intermediazione, cioè l’intervento di una molecola di tRNA, che sono piccoli,
ma sono sempre molecole lineari di RNA che assumono una forma a uncino. Essi, nello spazio, hanno una
loro forma tridimensionale ed esse sono date dalla successione di basi azotate ed essi possono appaiarsi in
modo fedele, con meccanismo complementare (A-U, C-G). I tRNA sono intermediari perché, legati al
filamento dell’RNA, portano anche un amminoacido. Si tratta di un appaiamento che avviene con una
tripletta: se funzionassero con l’appaiamento di una sola base, allora porterebbero al massimo 4
amminoacidi diversi, ma si sa che, invece, che le proteine sono fatte da 20 amminoacidi diversi. Anche
l’appaiamento 2 a 2 non va, perché genera al massimo 16 diverse coppie. Quindi, bisogna passare a un
appaiamento a 3, perché dà 64 possibili combinazioni, con cui si ottengono i 20 amminoacidi, anzi, ne
avanzano. Per questo, il codice genetico è degenerato perché ci sono più triplette che codificano per lo
stesso amminoacido. Alcuni amminoacidi hanno più di una tripletta, come la serina che è codificata da
quattro triplette. Andando ad analizzare il codice genetico tra base azotate e amminoacido, si nota che la
terza posizione della tripletta è detta base vacillante, perché i meccanismi consentono di sbagliare su
quella posizione, così, anche se sbagliato, dà lo stesso amminoacido. Il codice genetico è universale, quasi.
Ci sono poi alcune triplette particolari, come AUG, che codifica per la metionina e in più è quella di inizio
della traduzione. Tutte
le proteine iniziano con
AUG. Poi, se serve,
rimane, sennò viene
rimossa. Come triplette
di terminazione, si
hanno: UAA, UAG e
UGA. Se si cerca il
triptofano, si vede che il
suo amminoacido è codificato da una sola tripletta e anche la metionina è codificata da una sola tripletta (o
anche codoni). Si trova elencata anche la percentuale di presenza nelle proteine degli amminoacidi: questi
valori non sono tutti uguali e quelli più usati sono quelli che hanno il codice genetico degenerato, mentre,
amminoacidi come serina e triptofano, sono in minor quantità, perché codificati da una sola tripletta.
Importante è che si formi il legame peptidico tra gli amminoacidi portati dal tRNA. Per questo, c’è il

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ribosoma, che è più grande di un enzima. Esso


non è un organello, perché non ha la
membrana, ma è un complesso sovra
molecolare, fatto da un’associazione di
molecole di RNA (rRNA) e molecole proteiche.
Tutto insieme, questo complesso catalizza la
sintesi proteica con la formazione del legame
peptidico. Per questo funzionano come enzimi,
anzi come ribozimi, perché hanno attività catalitica e sono associazioni di RNA e proteine. Ci dev’essere
l’interazione tra mRNA, tRNA e la proteina neosintetizzata sul ribosoma. Il tRNA è un trifoglio, perché è
lineare e tende ad arrotolarsi, non assume una forma a elica, ma, ripiegandosi, alcune delle sue basi azotate
si appaiano (sugli steli si ha un appaiamento complementare, con formazione di ponti a H, che stabilizza la
struttura). In rosso, c’è la porzione dell’anticodone che si deve appaiare al codone dell’mRNA. I tRNA sono
tanti per ogni cellula (devono essere almeno tanti quanti sono gli amminoacidi) e si vede che c’è
l’appaiamento dell’anticodone. La cellula non ha 64 tRNA,
ma vale la regola della base vacillante, che, cambiando, mi
dà un anticodone diverso. L’amminoacido è nell’estremità
opposta dell’anticodone, così che non ci sia ingombro
sterico. CCA è sempre il sito di legame dell’amminoacido ed
è la parte terminale di ogni tRNA. Bisogna caricare il tRNA
con l’amminoacido e si ha una reazione di tipo biochimico:
l’anticodone è dalla parte opposta di CCA e il tRNA finisce
con un’adenosina, con il 3’ libero che ha OH, su cui si lega
l’amminoacido e questo costa energia alla cellula: si deve
usare un enzima di classe 6 (ligasi, in questo caso
amminoacil-tRNA-sintetasi). Quando intervengono questi
enzimi ligasi, essi consumano ATP e, quindi, sono detti
sintetasi (foto in alto). Per cui, ogni volta che c’è questo
termine, allora c’è stata una reazione di sintesi con consumo di ATP. Ci sono enzimi, invece, che sono
sintasi, che sintetizzano, ma senza consumo di ATP. Per legare il tRNA all’amminoacido non si usa un
gruppo R, ma si usa il gruppo carbossilico perché tutti gli amminoacidi ne sono muniti. Questo spiega
perché le proteine iniziano con N terminale per andare verso il C terminale, in cui il gruppo amminico è
libero. L’ossigeno, invece, fa da ponte con il ribosio dell’adenosina. Sul ribosoma, c’è la sintesi tra gruppo
amminico libero del secondo amminoacido che arriva e il gruppo carbossilico dell’adenosina. A questo
punto, il tRNA vuoto si stacca.

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29.04.19
Dal punto di vista biochimico, è importante la formazione del
legame peptidico: il primo amminoacido è una formilmetionina
o una metionina (AUG), che è portato dal tRNA a cui è legato
covalentemente, si lega al ribosoma, viene affiancato dal
secondo amminoacido, e grazie all’attività catalitica del
ribosoma, i due amminoacidi interagiscono con il legame
peptidico. Si lega con il COOH, che, legato al tRNA, si trova in
una sorta di attivazione ed è questo COOH che si stacca dal
tRNA che interagisce con il gruppo amminico dell’amminoacido
entrante (sempre dall’N-terminale verso il C-terminale). Il tutto
avviene sui ribosomi che normalmente hanno due subunità,
grande e piccola. Oggi si ha la struttura tridimensionale: anche
se sono grandi, essi sono stati cristallizzati, sono complessi non
solo fatti da proteina, ma hanno anche RNA oltre alle proteine.
Ora si sa l’esatta forma dei ribosomi. Essi hanno una subunità
maggiore e una minore sia nei procarioti sia negli eucarioti. Le
due subunità interagiscono tra loro, legandosi. Di solito, le proteine grandi nella cellula hanno una
dimensione di 200 mila dalton, quindi sono molto più piccole dei ribosomi. Per la caratterizzazione, è
difficile usare dimensioni così grandi: allora sono usati altri termini, come il termina 70S (più è grande il
numero più la struttura sarà pesante e avrà una massa maggiore). La S sta per SVEDBERG, che è un
coefficiente. Questa denominazione dipende da una tecnica usata molto in passato per definire il PM di
grosse molecole o di aggregati come i ribosomi. La tecnica è quella
dell’ultracentrifugazione. Esistono delle ultracentrifughe che fanno
ruotare il rotore, cioè il cestello, a una velocità tale che aumenta la
forza di gravità. Se si usa la centrifuga ad alti giri allora vuol dire che si
aumenta l’accelerazione di gravità (si può andare a 1000 volte perché
le ultracentrifughe superano le 100.000 G, che è l’accelerazione di
gravità). Per separare i ribosomi dal resto dei componenti della cellula,
si usano ultracentrifughe che raggiungono anche i 300.000 G con cui si
fanno precipitare i ribosomi. Esse permettono di calcolare la velocità
impiegata dai ribosomi per precipitare. I ribosomi batterici sono 70S
perché sono più leggeri e precipitano con una velocità di
sedimentazione di 70S, mentre quelli eucariotici sono 80S. In questo
modo si possono anche classificare gli altri organelli della cellula. I

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ribosomi, a loro volta, sono fatti dalle due subunità, che, se studiate singolarmente, sono caratterizzate da
un numero+S: la minore è 30S, la maggiore è 50S nei batteri e il totale non è 70S, ma perché la velocità è
data dal peso e dalla forma e questo spiega la presenza di questa discrepanza. Negli eucarioti, invece, si ha
la maggiore di 60S e la minore di 40S. Osservando la composizione delle subunità, si vede che entrambe
sono fatte da proteine e da molecole di RNA, detto rRNA. La visualizzazione della struttura tridimensionale
fa vedere i tre tRNA ospitati nella subunità maggiore, sulla minore, invece, in marrone chiaro si vede la
molecola dell’RNA, con il nastro le strutture proteiche e in rosso c’è l’mRNA. Sulla subunità 50S, si vedono
36 proteine diverse in quelli dei procarioti, negli eucarioti ce ne sono 49 e ci sono molecole di rRNA. Nella
minore, invece, si ha l’RNA 16S nei procarioti ed è quello usato nella genomica per l’identificazione delle
specie batteriche. Negli eucarioti si ha il 18S.
Una volta avvenuta la sintesi proteica, sulle proteine neosintetizzate possono avvenire delle modifiche post
traduzionali. Alcuni esempi sono:

- Fosforilazione.
- Proteolisi, che avviene per l’insulina, che regola i livelli di glucosio nel sangue. Essa è sintetizzata
come proinsulina e poi subisce un evento post traduzionale di rimaneggiamento che prevede la
rimozione di una porzione facendo rimanere solo la catena alfa e una beta tenute insieme da ponti
disolfuri, che sono anche essi modifiche post traduzionali.
- Glicosilazione, per cui c’è una N (nell’asparagina) o una O glicosilazione.

Il destino delle proteine sintetizzate nei ribosomi varia in base al fatto se i ribosomi sono nel citosol e sono
destinate al nucleo o ai mitocondri e
cloroplasti. Il destino finale delle
proteine è contenuto in brevi
sequenze amminoacidiche in N-
terminale. Le proteine sintetizzate nel
RER, invece, hanno una sequenza
segnale che va dai 15 ai 30
amminoacidi localizzate nell’N-

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terminale e nella proteina matura questa sequenza è rimossa. Quando la proteina è sintetizzata nel RER (in
cui avviene la N-glicosilazione), allora essa rimarrà in quel compartimento.
C’è da ricordare che la cellula produce proteine sia per se stessa sia proteine che devono essere trasportate
all’esterno e tutte fanno il percorso RER -> Golgi -> membrana plasmatica. Le proteine che hanno gli
zuccheri come modifica post traduzionale
(glicosilazione) hanno questo percorso.
Dalla doppia elica di DNA bisogna arrivare ai
cromosomi fatti da DNA associato a proteine.
Il DNA è acido, quindi, nella sua associazione
con le proteine basiche, il legame con le
cariche negative è favorito. Prima della fase S,
il cromosoma ha la forma a X e ha due
cromatidi fratelli. Questa struttura è
abbastanza grande per la microscopia
elettronica, mentre la doppia elica si vede
con la diffrazione perché ha uno spessore di
20 A, cioè 2 nm. La doppia elica si avvolge agli
istoni che sono basici formando i nucleosomi,
formati da 8 proteine istoniche con struttura
globulare, e un DNA linker (H1). Il DNA si
avvolge sul nucleosoma, che, a loro volta, si addensano formando una struttura con una larghezza di 30
nm, che forma delle fibre che si avvolgono come una sorta di molla. Si passa a uno spessore di 700 nm, fino
alle dimensioni dei cromatidi visualizzabili in microscopia elettronica che hanno uno spessore di 1400 nm.
Questi cromosomi sono quelli usati per la definizione del cariotipo: esso è formato da cromosomi
metafasici.

METABOLISMO
Tutti i passaggi del metabolismo sono catalizzati da enzimi. La cellula, in qualche modo, una volta che ha il
suo pool di enzimi sintetizzati con la sintesi proteica, deve far in modo che non tutti siano attivi
simultaneamente perché sennò spenderebbe energia per sintetizzare molecole che diventerebbero il
substrato di vie metaboliche. Ci sono gli enzimi classici e quelli allosterici che sono quelli con struttura
quaternaria che dà a loro la possibilità di interagire con substrato e con altre molecole che hanno la
capacità di regolare l’attività di questi enzimi, spegnendoli o accendendoli. All’occorrenza la cellula può far
interagire enzimi e inibitori per bloccare reversibilmente una reazione perché dal punto di vista economico
la cellula non può distruggere gli enzimi che non necessita in quel momento: può effettuare un’interazione

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con l’inibitore (enzimi classici) o può inibire o attivare un enzima (per gli enzimi allosterici). Sono dei mezzi
di regolazione regolabili. Le vie metaboliche sono tante e accanto ai sistemi di inibizione ci sono diverse
interazioni che permettono agli enzimi di essere regolati. Le vie metaboliche sono fatte da tante tappe
catalizzate da un enzima e, nei punti iniziali, ci sono enzimi regolatori che stabiliscono, a livello delle tappe
da catalizzare, se una via deve partire o se dev’essere silenziata e bloccata. Una modalità è quella con gli
enzimi allosterici che è il modo più rapido e possono essere attivati o repressi. Gli enzimi allosterici possono
essere regolati da effettori o da fosforilazione. Un’altra modalità è quella con enzimi regolati da
modificazioni covalenti reversibili. Questa richiede più tempo per essere effettuata e le modifiche covalenti
sono quelle post traduzionali, soprattutto le fosforilazioni: ci sono enzimi fosforilati e così possono essere
attivi. Analogamente, questo P si può rimuovere, spegnendo l’enzima. La modifica covalente richiede più
tempo perché, affinché avvenga, ha bisogno che ci sia un altro enzima che catalizzi quella modifica
covalente, mentre, nell’allosterica, si ha un effettore e un enzima con una relazione che non richiede
l’intervento di nessun enzima. Ci sono esempi di modifiche post traduzionali delle proteine, come
fosforilazione, adenilazione, uridilazione, metilazione, ADP-ribosilazione, che possono avvenire negli
enzimi. Le fosforilazioni sono famose perché sono eventi che guidano la trasduzione del segnale nelle
cellule: nell’uomo, ad esempio, c’è una trasmissione del segnale che permette di collegare tutte le parti del
corpo. I segnali dall’esterno non entrano nella cellula (pochi
riescono) perché la membrana plasmatica che fa da barriera e su
di essa ci sono recettori facendo sentire il loro effetto nella cellula
fino al nucleo: tutto questo si chiama trasduzione del segnale in
cui gli enzimi sono fosforilati e a loro volta fosforilano altri
substrati che sono enzimi. Questa è la cascata della trasduzione
del segnale. La fosforilazione è catalizzata da enzimi di classe 2,
transferasi, che prendono il nome di chinasi. La chinasi strappa un P dall’ATP legandolo alla serina e
attivando la fosforilazione. Nella cellula ci sono chinasi che fosforilano con un meccanismo transferasico e
che, però, non ci devono essere solo chinasi, ma ci devono essere anche enzimi che rimuovono il P per far
ritornare l’enzima alla situazione originaria. Questi enzimi sono idrolasi (classe 3), e sono le fosfatasi.
Questa interazione, inoltre, è covalente e reversibile perché la fosforilazione avviene per chinasi che
addizionano il P, ma ci sono, nella cellula, le fosfatasi che lo rimuovono perché è l’enzima contrario.
Un’altra regolazione è quella degli enzimi attivati per proteolisi che porta alla rimozione di una catena
peptidica, essa è un processo covalente, ma non reversibile. Gli enzimi del sangue, ad esempio, sono
attivati in questo modo. Anche quelli della digestione. I primi sono secreti nel sito della formazione del
coagulo, mentre i secondi a livello intestinale. Quelli della digestione sono la chimotripsina, dal
chimotripsinogeno, e la tripsina, dal tripsinogeno, che tagliano le proteine ingerite con la dieta e, per
questo, sono attivati per proteolisi perché, se fossero attivi nella cellula che li ha prodotti (che sono a livello

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del pancreas esogeno), allora andrebbero a digerire la cellula che li produce e porterebbero a danni. Il
suffisso -nogeno deriva da zimogeno che era un termine indicante gli enzimi inattivi, che poi, con proteolisi,
si attivano. Questa attivazione richiede del tempo perché è necessario un enzima che catalizzi la rimozione
della porzione.
Poi si hanno gli enzimi che si associano o no a proteine regolatrici. Per essere disattivati, devono interagire
con proteine che li silenziano per l’arco di tempo della vita cellulare. Questo richiede tempo perché ha
bisogno che la cellula sintetizzi la proteina regolatrice.
Poi c’è un metodo usato per regolare il metabolismo usando isoenzimi, cioè forme multiple della stessa
attività enzimatica. Essi devono essere sintetizzati e, perciò, è un processo che richiede tempo. Gli isoenzimi
differiscono nella sequenza amminoacidica, ma catalizzano la stessa reazione e hanno parametri cinetici
diversi. C’è, ad esempio, la lattico deidrogenasi che è un enzima di classe I. Ne esistono 5 forme, cioè 5
isoenzimi, che fanno la stessa reazione enzimatica. Ciascun isoenzima è codificato da un gene differente. Gli
isoenzimi differiscono per efficienza catalitica, ad esempio, e spesso sono nello stesso distretto
dell’organismo, mentre altre volte sono in organelli diversi, perciò si possono avere isoenzimi citosolici e
altri nei cloroplasti, ad esempio. La lattato deidrogenasi presenta concentrazioni diverse in base allo stadio
in cui l’organismo si trova, anche se ha sempre 4 subunità, rappresentate con quadrati (che ha la lettera H
indicante il cuore, mentre il pallino indica isoenzima non del muscolo cardiaco, ma muscolare scheletrico).
Nell’organismo adulto, si vede che le forme LDH1e LDH2 prevalgono e sono quelle del tipo cardiaco. In
assenza di O2, le lattato deidrogenasi del muscolo cardiaco lavorano meglio e poi, dopo la nascita, quello
muscolare lavora con O2. Ciascuna forma isoenzimatica corrisponde a delle tacche che permettono di far
vedere come migrano diversamente in diversi distretti del corpo.

Lo studio di questo enzima è importante quando si vuole vedere la sua distribuzione in pazienti a rischio
infarto: se delle due bande si ingrossa quella del cuore, allora c’è stato un danno alle cellule del cuore che
rilasciano nel sangue la forma atipica. Quindi, è un sistema di screening rapido.
L’ultimo sistema è quello del controllo della regolazione enzimatica. In tutti i casi ci dev’essere un enzima
per far avvenire la reazione. Questo ultimo modo è quello che richiede più tempo perché questa
regolazione può avvenire a più livelli. Il controllo della concentrazione degli enzimi può essere fatto a livello

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della trascrizione del gene, durante la quale c’è il controllo della sintesi. Sulla molecola enzimatica può
avvenire il turn over con cui l’enzima è degradato a singoli amminoacidi. Richiede tempo perché prevede
trascrizione del messaggero e, poi, la traduzione.
Nella cellula ci sono diversi compartimenti che sono caratterizzati da vie metaboliche differenti.
30.04.19
METABOLISMO
Le piccole molecole devono essere ridotte nella fase finale del
metabolismo, detta catabolismo perché le macromolecole vengono
distrutte formando molecole semplici, come CO2, H2O e NH3,
liberando ammoniaca. Il catabolismo usa una serie di reazioni che
sono ossidazioni, soprattutto, perché gli atomi di C delle
macromolecole sono di solito allo stato ridotto e, via via nei vari
passaggi verso la decomposizione delle macromolecole, diventano
ossidati fino alla forma più ossidata che è la CO2, eliminata dal
nostro organismo. Tutto porta alla resa netta di energia. Nelle
cellule c’è anche l’altra parte del metabolismo che è l’anabolismo,
con cui le cellule mantengono i componenti cellulari intatti nella
cellula. Perciò, con l’anabolismo formano molecole complesse a
partire da molecole semplici. Queste sono reazioni di tipo riduttivo perché si parte da molecole semplici,
come NH3 e CO2, per poi arrivare a intermedi metabolici, arrivando a monomeri e, infine, a composti
complessi, che sono le macromolecole biologiche. Per fare le biosintesi, serve energia. In questo modo si
esaminano anche le vie centrali, che convergono a livello della via metabolica dei carboidrati. Un altro
termine usato è il metabolismo intermedio, con cui si esaminano quali sono le reazioni che interessano
l’ultima parte, cioè come gli intermedi metabolici vengono formati o degradati. Bisogna distinguere tra
autotrofi ed eterotrofi. L’energia che si ottiene dal catabolismo è energia chimica sotto forma di ATP e
coenzimi, che sono tutti ridotti, senza NAD+, ma c’è il NADH. Sono ridotti perché si ottengono da reazioni di
ossidazione (del catabolismo). Per ottenere le macromolecole, nel catabolismo, è usato ATP, che alla fine è
scisso in ADP e i coenzimi sono nella forma ossidata, come NAD, NADP. La via catabolica non ha una via
esattamente uguale e contraria nell’anabolismo perché sennò si formerebbero dei cicli futili, perché la
cellula demolirebbe subito ciò che va a formare. La cellula potrebbe scegliere la strategia di posizionare una
via catabolica nel mitocondrio e di posizionare la corrispondente via anabolica nel citosol così può usare gli
stessi isoenzimi, risparmiando energia, però le due vie non si disturbano perché sono in due organelli
diversi.

ATP COME MOLECOLA PER GLI SCAMBI ENERGETICI

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La cellula deve usare l’ATP come energia chimica. L’ATP non è una riserva energetica, ma è una molecola di
scambio energetico. Le cellule non hanno dentro di loro grandi quantità di ATP, anzi quelli che hanno sono
piuttosto bassi e, se si prende una cellula muscolare, si vede che in pochi minuti essa, quando attiva,
consuma tutte le sue scorte di ATP, che viene scisso in ADP e P. Quando nelle cellule si hanno ADP e P, esse
possono sintetizzare ATP, la cui sintesi è la parte finale del metabolismo energetico. L’idrolisi di ATP dà
energia per far realizzare le reazioni endoergoniche, cioè non spontanee dell’anabolismo, cioè biosintesi. Le
attività che fanno le cellule e che hanno bisogno di ATP sono il movimento, il trasporto attivo e la biosintesi,
ad esempio. Anche la trasduzione del segnale ha bisogno dell’ATP. Si può ottenere ATP da ADP con
fotosintesi. Si è scelta l’ATP come molecola da un punto di vista evolutivo perché l’ATP è un nucleotide e
per i tipi di legami che vengono idrolizzati: gli ultimi due legami dell’ATP che portano alla liberazione del P
prevedono l’idrolisi di due legami di anidride, che libera tanta energia, e l’altro, l’ultimo gruppo P, è un
legame di tipo estereo. Per far avvenire reazioni, come la fosforilazione del glucosio, dentro la cellula non ci
sono vie specifiche per diverse molecole, ma tutte convergono nella via del glucosio. Nella via di
degradazione del glucosio, si passa da glucosio a glucosio 6-fosfato con un processo endoergonico. Quindi
la cellula non riuscirebbe a farlo spontaneamente, ma viene accoppiata all’idrolisi dell’ATP infatti, l’enzima
che catalizza la reazione sommatoria dei due processi, è una chinasi, che trasferisce il P dell’ATP sul
glucosio. Si ottiene un deltaG negativo, quindi un processo esoergonico. Da glucosio a glucosio 6-fosfato,
quindi, si ha un processo che diventa spontaneo perché ha un deltaG di -17. La struttura dell’ATP, in
particolare la reazione dell’ATP che perde l’ultimo P diventando ADP e P (reazione più diffusa), può avere
un deltaG, che è detto elevato potenziale del trasferimento del gruppo fosforico. Si ottiene tanta energia
per:
- Repulsione elettrostatica, perché nella struttura dell’ATP, i gruppi P hanno una carica positiva e
quindi già strutturalmente hanno problemi a stare vicini per repulsione. Allora, l’idrolisi del P
terminale è favorita perché c’è una repulsione elettrostatica. Di solito i nucleotidi nella cellula si
associano a ioni positivi per stare liberi nella cellula, le strutture reali quindi sono complessate col
magnesio. Idrolizzando il P e ottenendo ADP, la compensazione con il Mg riduce drasticamente la
repulsione.
- Stabilizzazione per risonanza, il gruppo P libero che si ottiene, viene stabilizzato da alcune strutture
di risonanza non possibili nel gruppo inserito nella molecola di ATP. Il doppio legame può risuonare
in tutte e quattro le posizioni quindi nel momento in cui gli elettroni nel doppio legame risuonano si
ha una struttura stabilizzata per risonanza.
- Stabilizzazione per idratazione, per cui le molecole di acqua si dispongono, di solito, intorno agli
elettroni. Se si ha una molecola che si divide in 2, allora le
molecole di acqua idratano queste due parti della molecola di
ATP che si è scissa.

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L’ATP si colloca, con i suoi -30,5 KJ, a metà e questo spiega come mai nelle cellule non funziona come
riserva, ma come scambio: nella cellula sono molte le reazioni ATP->ADP e contrario. Effettivamente, più in
alto dell’ATP, si hanno composti come fosfoenolpiruvato. Addirittura, la stessa idrolisi dell’ATP, libera più
energia quando si liberano entrambi i gruppi P. Anche per queste molecole, l’idrolisi del P, corrisponde a
una condizione più stabile della molecola. Quando si perde il P, il gruppo COOH che lo portava, con il suo
doppio legame, è libero di stabilizzarsi per risonanza facendo risuonare il doppio legame. C’è anche l’acetile
legato al CoA, che, una volta liberato, porta ad avere un gruppo COOH che si stabilizza per risonanza. Infine,
si ha la fosfocreatina, che è più complessa, e si ha, dopo la liberazione del P, la stabilizzazione per risonanza
del doppio legame non con l’ossigeno, ma con l’azoto.

TURNOVER DELL’ATP
Per un uomo di peso medio vengono consumati di solito 40 chilogrammi di ATP, che è una quantità enorme
e la velocità con cui viene consumato e rigenerato è di un chilo e mezzo all’h a riposo con il metabolismo
basale e 10 volte di più durante intensa attività. La vita media dell’ATP è molto breve. Come riserva
energetica, invece, c’è la fosfocreatina, che si trova molto nel muscolo (10 o 30 millimolare nei muscoli,
cioè 10 volte più concentrata dell’ATP delle cellule muscolari). Essa funziona come riserva perché è a un
livello più alto dell’ATP e avrà un potenziale di trasferimento del P più grande. Staccando il P, può andare
sull’ADP e può rigenerare l’ATP. La creatina si stocca come fosfocreatina nelle cellule poi si ha la creatina
chinasi, che trasferisce il P dalla fosfocreatina all’ADP, dando ATP e creatina (deltaG negativo).
Il grafico fa vedere come il nostro organismo,
quando in attività, usa le risorse energetiche. In
ascissa si ha una scala temporale e in ordinata si
ha il contenuto energetico: l’energia data
dall’ATP è in rosso ed è consumata in pochi
secondi, poi si vede che dopo comincia a essere
usata come energia la cretina fosfato che copre
il fabbisogno energetico dell’organismo quando
l’ATP è già consumato. Intanto, si comincia ad
avere una linea verde che è del metabolismo anaerobico, come la glicolisi che avviene nei muscoli.
All’inizio, essa non dà molta energia, ma non ce n’è bisogno perché si hanno ATP e creatina P. Poi, diventa
predominante. Poi comincia la linea nera che è del metabolismo aerobico: nel passaggio evolutivo da
organismo che avevano solo metabolismo anaerobico a quelli che possono usare O atmosferico, c’è stato
un grande salto di qualità. La linea nera, infatti, sale più in alto del metabolismo anaerobico, che invece si
stabilizza a un livello medio di energia, mentre la nera sale perché il metabolismo aerobico è più efficiente

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nel produrre energia. Nelle prime fasi di un’attività muscolare lavora, però, prima quello anaerobico e non
aerobico perché si deve aspettare che alle cellule arrivi l’ossigeno.
Alcune vie metaboliche hanno alcuni passaggi
regolati dalla carica energetica. Ci sono, infatti,
enzimi allosterici che hanno siti di legame che
riescono a sentire la presenza dell’ATP come
effettore allosterico e possono avere un effetto
positivo o negativo sulle vie metaboliche. La carica
energetica è un numero che va da 0, quando non si
ha ATP, ma si ha adenosin monofosfato, a 1,
quando si ha tutto ATP. Il numero si ottiene
rapportando la concentrazione dell’ATP più un mezzo della concentrazione dell’ADP (perché nonostante
abbia una capacità ridotta, può, comunque, rilasciare P) fratto la concentrazione di ATP, più ADP più AMP.
Nel grafico, si trovano elementi importanti: esso ha in ascissa la carica energetica e in ordinata la velocità
con cui avvengono le vie metaboliche, con la linea rossa e blu distingue tra le vie cataboliche, che fanno
ATP, e quelle anaboliche che la consumano. Quando si ha 0 di carica energetica, allora aumenta la velocità
delle vie cataboliche. Mentre sono al minimo le vie anaboliche, di biosintesi. Man mano che la carica
energetica cresce, allora fa sentire il suo effetto regolatorio con cui si diminuisce la velocità dei processi che
fanno ATP e diventa minima quando si arriva a carica energetica 1, quando si ha ATP. Ovviamente, è
massima la velocità dei processi anabolici quando si ha tutto ATP. Si ha un punto di intersezione che è una
sorta di effetto tampone perché quando si arriva a una carica energetica di 0,9 funge da tampone perché la
cellula è in equilibrio. Con una carica di 0 allora la cellula non può sintetizzare e, anzi, deve consumare ciò
che produce dall’esterno per produrre energia. Se hanno carica di 1, invece sono attivate le vie che
sintetizzano. L’equilibrio tra vie anaboliche e cataboliche è a 0,9.
Viene messo in evidenza la parte del metabolismo e si vede il destino
delle sostanze introdotte con la dieta. Queste vie sono tipiche di tutti gli
animali che hanno un sistema digerente, ma anche le singole cellule
messe in un terreno di coltura, assorbono le sostanze nutritive, come
grassi, demoliti ad acidi grassi e glicerolo, polisaccaridi, demoliti a
glucosio, e proteine, che sono demolite ad amminoacidi. Tutte queste vie
convergono sull’Acetil Coa, che ha grande potere di trasferimento del
CoA. Il CoA entra nel ciclo dell’acido citrico, il C è ossidato a CO2 e poi si
ottengono i coenzimi ridotti, i cui elettroni entrano nella fosforilazione
ossidativa, che è tipica solo degli organismi aerobi che interagiscono con l’O2 molecolare riducendolo a
H2O ottenendo ATP. I coenzimi ridotti, quindi, sono molto importanti perché sono capaci di trasferire gli

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elettroni. Il NAD (nicotinamide adenin dinucleotide) è fondamentale e ha il gruppo della nicotinammide che
ha un atomo di N nell’anello che ha la carica positiva ed ecco perché nelle reazioni si scrive NAD+ che è
quello che è ossidato e interviene nelle redox ricevendo su sé stesso gli elettroni, riducendosi. Ogni
molecola di NAD riceve il trasferimento di uno ione idruro. Quindi si avrà il NADH e di solito si scrive NADH
H+ perché accoglie solo un H. Il gruppo OH in posizione 2’ può essere fosforilato nella forma del NADP, cioè
NAD fosfato. Quindi, per quanto riguarda gli enzimi piridinici, si ha NAD+ che è il principale accettore di
elettroni nelle ossidazioni, e poi si ha il NADP che è il protagonista delle vie anaboliche, che essendo
riduttive, sarà il NADPH a entrare nelle reazioni di riduzione trasformandosi in NADP ossidato.
L’ultimo coenzima che entra in gioco perché trasportatore di elettroni è il FAD, con due forme (FAD e FMN).
Questi enzimi flavinici non sono liberi nella cellula, a differenza di NAD e NADP, cioè enzimi piridinici che
interagiscono con gli enzimi ossidoreduttasici solo quando devono catalizzare l’ossidazione. I coenzimi
flavinici, invece, interagiscono strettamente con gli enzimi con cui lavorano: alcune volte è un’interazione
debole e a volte sono legati covalentemente all’enzima. La differenza ulteriore al NAD è quella che, se il
NAD si riduce diventando NADH + H+, ricevendo solo un H, il FAD, invece, riceve entrambi gli idrogeni
diventano FADH2 e si ha anche FMNH2.
L’adenosina c’è nel FAD, nell’ATP, nel CoA e nel NADH. Perciò tutti i coenzimi hanno il nucleotide
adenosina: è un’analogia presente.
02.05.19
GLICOLISI
Si tratta del meccanismo con cui il glucosio, che è usato per ricavare
energia, viene convertito ad ATP: è la via che decompone il glucosio.
Ogni organismo sa usare il glucosio ed è la via che evolutivamente è
comparsa per prima: sono coinvolti 10 enzimi perché ci sono 10
tappe. Alcuni di questi enzimi sono i più antichi evolutivamente e si
sono mantenuti in tutte le specie. Si tratta di una via catabolica con
cui il glucosio è decomposto a piruvato, non a CO2, quindi da 6 atomi
di C si arriva a 3 atomi di C. Essa appartiene alla categoria delle
ossidazioni. Il piruvato, infatti, è più ossidato rispetto al glucosio.
Accanto c’è una via alternativa che è quella del ciclo dei pentoso fosfati con cui si arriva a uno zucchero a 5
atomi di C, cioè il ribosio 5-fosfato. La freccia verso l’alto rappresenta com’è possibile stoccare le riserve di
glucosio nella cellula perché, visto che esso è importante, le cellule hanno imparato un sistema per poter
accumularlo al loro interno per usarlo quando necessario. Le due forme di deposito sono il glicogeno e
l’amido. Entrambi sono polimeri di glucosio definiti omopolisaccaridi, cioè fatti solo da glucosio. Entrambi
sono ramificati e il primo lo è di più del secondo. L’amido è nei vegetali, mentre il glicogeno è nelle cellule
animali. Non si usa il glucosio da solo perché è uno zucchero riducente perché la posizione 1’ è quella

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riducente, quindi, è molto reattivo. Quindi, le piante usano il saccarosio che è un disaccaride non più
riducente perché blocca le posizioni riducenti del glucosio e del fruttosio.
Nel nostro organismo, ci sono tessuti che
sintetizzano glucosio e ci sono quelli che,
invece, lo usano come fonte di energia
primaria. I primi sono i globuli rossi che
non hanno organelli e per funzionare
usano solo la glicolisi. Poi c’è il cervello e
il tessuto nervoso che usano il glucosio.
Anche i muscoli, che, preferenzialmente,
usano la glicolisi come fonte primaria di E
in seguito a una loro contrazione, poi
usano anche altre molecole se la richiesta energetica va avanti. Ci sono anche tessuti che sintetizzano il
glucosio, come il fegato, che è la centrale metabolica (cervello sede degli impulsi). Quindi, nel fegato
avvengono le vie metaboliche. Il fegato sa sintetizzare il glucosio e, poi, c’è la parte della corticale dei reni
che sintetizza glucosio. La via opposta alla glicolisi è la gluconeogenesi, con cui si genera il glucosio. Tutte le
altre cellule devono internalizzare il glucosio dall’esterno con la dieta. Nella foto è rappresentata la via che i
nutrienti compiono quando vengono internalizzati. Si introducono polisaccaridi sotto forma di amido e
cellulosa, poi si introduce saccarosio (latte e zucchero) e si vede che a livello della bocca c’è una prima
digestione dell’amido, con la saliva (alcuni suoi legami vengono scissi), ma al lattosio, al glucosio e alla
cellulosa non succede niente. Nello stomaco, gli enzimi della saliva sono inibiti dal suo pH acido, poi si va
nell’intestino in cui, nella prima parte, avviene il grosso contributo alla digestione completando la
digestione con amilasi rilasciata dal pancreas esocrino che riversa il suo succo pancreatico nell’intestino (ha
tante idrolasi che degradano). Poi la digestione si completa sulle pareti dell’intestino non assorbendo
polisaccaridi, ma assorbendo gli zuccheri semplici. Quindi, sulla membrana rivolta al lumen intestinale, ci
sono enzimi che digeriscono i disaccaridi. A quel punto, l’intestino può assorbire glucosio come
monosaccaride, il fruttosio e il lattosio, mentre la cellulosa non viene degradata e digerita per il legame
beta 1,4 e non alfa 1,4. La cellulosa transita nell’intestino, arrivando nel crasso, in cui c’è una grande
quantità di microbiota, che vivono in simbiosi con le cellule del nostro corpo. Quando arriva nell’ultima
parte dell’intestino, essa è degradata dai batteri intestinali che la usano come fonte energetica, mentre il
resto è eliminato con le feci. Sull’intestino si ha la vena porta che raccoglie tutto il materiale assorbito a
livello intestinale e va al fegato, così, con la vena porta, gli zuccheri arrivano al fegato ridistribuendosi a
tutti i distretti con l’ausilio della circolazione. Il glucosio è una molecola polare che circola liberamente nel
sangue. Questo è un concetto importante per i diabetici, che devono mantenere costante il livello di
glucosio nel sangue. Mantenere costante il livello di glucosio nel sangue è fondamentale perché le cellule

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non lavorano senza glucosio e la glicolisi è la via comune a tutte le cellule del nostro organismo. Tutte
hanno bisogno di glucosio per prendere ATP. In particolare, alcune dipendono esclusivamente dal glucosio.
La concentrazione di glucosio deve mantenersi costante e proprio per questo, quando si è lontano dai pasti,
la quantità di glucosio nel sangue chiaramente diminuisce. A questo punto entra in gioco il fegato con le
sue riserve di glucosio. Il fegato, infatti, può sintetizzare glucosio a partire da sorgenti non saccaridiche. Per
noi funziona nei periodi di digiuno o tra un pasto e l’altro.
La molecola del glucosio ha
6 atomi di C e tanti H, è
polare ed esso entra nelle
cellule, che hanno una
membrana plasmatica di
natura lipidica: per
entrare, il glucosio deve
avere un trasportatore
specifico. Esso usa un trasportatore, un carrier, con un sito rivolto verso
l’esterno, esso interagisce con il glucosio, c’è, poi, una variazione
conformazionale che fa transitare il glucosio dentro la cellula. Ricorda un
po' le interazioni degli enzimi con i loro substrati. Ovviamente non esiste
un solo trasportatore, ma ce ne sono tanti differenti nella sequenza amminoacidica (isoforme diverse), ma
con struttura tridimensionale uguale. Di queste isoforme si ricordano diversi trasportatori identificati con
GLUT seguiti da diversi numeri. GLUT1 e GLUT3 trasportano sempre il glucosio, GLUT2 ha una costante con
valore più alto, quindi è meno affine e si attiva solo dopo i pasti quando il glucosio nel sangue sale molto.
GLUT4, invece, è regolato dall’insulina e normalmente, anziché essere posizionato sulla membrana
plasmatica, è contenuto in vescicole che migrano sulla membrana solo in seguito al segnale dell’insulina.
Quindi si aumentano il numero di trasportatori di glucosio e l’insulina serve per far diminuire il glucosio nel
sangue. Il GLUT5, invece, è affine al fruttosio e non al glucosio. Ciò deriva dal fatto che si introducono molti
frutti che contengono zuccheri e quindi si hanno i trasportatori specifici. A livello intestinale, il glucosio
arriva nelle cellule intestinali entrando senza il trasportatore del glucosio, ma con quello del Na. Poi, sulla
membrana rivolta verso il sangue, si trova il GLUT2, che è il trasportatore del glucosio, che, così, entra in
circolo.
La glicolisi ha 10 tappe con cui il glucosio è convertito in piruvato, che è un acido con COOH, un gruppo
chetonico e un CH3 (COOH-C=O-CH3). Il piruvato può avere destini diversi come l’ossidazione completa a
CO2 e H2O con l’interazione con O2 molecolare oppure il piruvato va in fermentazione in assenza di O2.
L’altra freccia che riguarda la fermentazione è quella che avviene nelle cellule muscolari che usano per lo
più glucosio. Esse non si fermano a piruvato e fanno la fermentazione lattica e non alcolica. Quindi le cellule

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muscolari riescono a fare la fermentazione lattica facendo acido lattico. Le 10 tappe sono divise in due
momenti:
- Una fase stadio I o fase preparatoria in cui viene consumato ATP perché il glucosio è preparato alla
sua decomposizione a piruvato.
- Stadio II in cui il glucosio non è più a 6 atomi di C, ma è fatta da due molecole a 3 atomi di C.
Questa è la fase in cui si recuperano le molecole di ATP. Questa è la fase di recupero in cui ogni
molecola di gliceraldeide 3-fosfato recupera 2 ATP, quindi si ha un guadagno di 4 molecole di ATP.
Dal glucosio, con la glicolisi, si ottengono due molecole di ATP.

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06.05.19
Ci sono anche reazioni irreversibili
insieme a quelle reversibili, ed ha
un'importanza per la via contraria della

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glicolisi cioè la gluconeogenesi. In questo processo intervengono le reazioni reversibili. Il piruvato può avere
2 destini:
- Ossidazione completa a CO2 e H20 che si ha con interazione con O2.
- Fermentazione in assenza di ossigeno (si ottiene etanolo o lattato, fermentazione alcolica o
lattica).

Dal glucosio durante la glicolisi si ottengono 2 molecole di ATP.


Nella prima parte, avviene una successione di reazioni, alcune irreversibili e altre reversibili. Vengono
sfruttati enzimi che sanno lavorare in modo reversibile. Le tre tappe irreversibili consumano ATP:

- Dal glucosio si ottiene glucosio-6 fosfato (fosforilazione): viene trasferito il gruppo fosfato in
posizione 6 e si consuma una molecola di ATP. L’esochinasi ha bisogno di Mg2+ per poter
funzionare, infatti, il vero substrato di reazione è MgATP2-.
- Dal glucosio 6-fosfato (aldoso) si ottiene fruttosio-6-fosfato (chetoso) grazie all’enzima
fosfoglucosio isomerasi che compie una reazione reversibile.
- Dal fruttosio 6 fosfato si ottiene fruttosio 1,6-bifosfato: l’enzima fosfofruttochinasi (enzima di
classe 2) aggiunge il gruppo fosfato in posizione 1. Questa reazione ha una regolazione
allosterica e, soprattutto, è considerata irreversibile.
- L’aldolasi (enzima di classe 4, liasi) scinde la molecola del fruttosio 1,6-bifosfato in due
molecole che sono il diidrossiacetone fosfato e la gliceraldeide 3-fosfato. C’è un punto in cui
l’anello viene tagliato a metà e aprendo la molecola rimane in alto una molecola e in basso una
molecola con gruppo aldeidico nuovo. Questa reazione è facilmente reversibile, nonostante
abbia una variazione dell’energia libera positiva, quindi non spontanea. Inoltre, con l’uso di
triosio fosfato isomerasi, è possibile convertire reversibilmente il diidrossiacetone fosfato a
gliceraldeide 3-fosfato, e vicerversa.

L’importante è ricordare la classe a cui appartiene l’enzima e il gruppo che trasferisce (es. fosfato), ma non
per forza il nome di esso: nella prima tappa la reazione è catalizzata dalle esochinasi. Nella seconda tappa
l’enzima catalizza la trasformazione del glucosio 6 fosfato nel suo isomero ed è di classe 5 (si ottiene un
anello a 5 atomi anziché 6).
Un metodo semplice per regolare l’attività enzimatica è usare enzimi allosterici, come l’esochinasi e la
fosfofruttochinasi. Importante è ricordare la classe a cui appartiene l’enzima e il gruppo che trasferisce
(esempio fosfato), ma non per forza il nome di esso: nella prima tappa la reazione è catalizzata dalle
esochinasi. Nella seconda tappa l’enzima catalizza la trasformazione del glucosio 6 fosfato nel suo isomero
ed è di classe 5 (si ottiene un anello a 5 atomi anziché 6). Per scrivere gruppo fosfato è sufficiente scrivere
P.

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PUNTI DI REGOLAZIONE

La prima tappa è con l'esochinasi (allosterico). Ha come profilo una


curva (dove in ordinata l'attività enzimatica e in ascissa la
concentrazione di glucosio, mM). Son riportati due enzimi, l'esochinasi I
e l'esocinasi IV (glucochinasi). L'esochinasi è sotto forma di due
isoenzimi, per essere più regolativa. L'esochinasi I ha comunque una
curva sigmoide, ma è talmente schiacciato verso l'asse delle y e può
sembrare un'iperbole, ma non lo è. L'esochinasi IV (glucochinasi) è
localizzata nel fegato, all'interno del nucleo degli epatociti e passa nel
citosol quando entra nel fegato una grossa quantità di glucosio. Importante è che il fegato riesca a
mantenere la concentrazione di glucosio nel sangue. Il fegato, rispetto ad altri organi, ha questa esochinasi
IV che lo aiuta ad abbassare il livello di glucosio di molto. La caratteristica dell'enzima è quella di continuare
a lavorare sempre e di non essere inibito allostericamente dal glucosio-6-fosfato. L'esochinasi di tipo I ha
quel difetto invece, il glucosio-6-fosfato lo inibisce allostericamente. Il fegato mantiene l'omeostasi del
glucosio nel sangue che deve essere 4-5 mm. L'esochinasi, essendo molto affine, interagisce subito con il
glucosio. Il glucosio con il suo gruppo fosfato rimane all'interno della cellula. Se rimanesse come glucosio
potrebbe di nuovo essere trasportato all'esterno da trasportatori
che lo riconoscono. La molecola di glucosio-6-fosfato è anche un
composto con un certo contenuto energetico che serve per gli
step successivi. Anche il pancreas endocrino, quello che deve
sintetizzare l'insulina, ormone che regola la concentrazione di
glucosio del sangue, è sensibile alla concentrazione ematica di
glucosio. Anche nell’isola di Langherans è presente la
glucochinasi.

Un'altra chinasi è la fosfofruttochinasi. Essa è formata da più subunità ed è ricca da siti allosterici e
catalitici. Andando a vedere il suo grafico, si vede una curva in rosso sigmoide e una curva verde simile a
un’iperbole (come l'altra chinasi). Nel caso di alta concentrazione di ATP si ha una curva sigmoide e l’enzima
funziona da inibitore allosterico. L'ATP è il prodotto della glicolisi. La concentrazione definisce la carica
energetica. Quindi il fatto che questo enzima sia regolato dall’ATP significa che la glicolisi è regolata dalla
carica energetica. Quando la carica energetica è alta (tanto ATP), la cellula non ha bisogno di investire sulla
glicolisi per ottenere altro ATP, quindi la molecola dall’ATP funziona da inibitore allosterico e fa allontanare
la curva sigmoide dall’asse delle y, e si deve avere una quantità più alta di substrato per avere la stessa

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attività enzimatica. Invece se la carica energetica è bassa (poco ATP), la curva sigmoide si sposta verso
l’asse delle y e lavora molto più efficientemente.
Andando avanti con le tappe, andiamo alla quinta tappa, dopo aver prodotto le due molecole di tre atomi
di carbonio, interviene un'isomerasi (classe V) chiamata triosio fosfato isomerasi, che è capace di
convertire le due forme (gliceraldeide 3-fosfato e diidrossiacetone fosfato). Serve per una certa economia,
per trasformare l'acetone in gliceraldeide. Questo enzima fa sì che i passaggi successivi della glicolisi si
concentrino tutti sulla gliceraldeide-3-fosfato.

Fase II, detta fase di recupero, con altre 5 reazioni, concentrate sulla gliceraldeide.
Il primo passaggio è di nuovo all'equilibrio e reversibile ed è un passaggio ossidativo, catalizzato
da gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi (enzima redox di classe I), che utilizza il coenzima NAD e lo fa
diventare NADH, controbilanciando l’ossidazione del gruppo aldeidico e trasformando la gliceraldeide
in acido 1,3-bisfosfoglicerato (tutte le reazioni avvengono nel citosol). Particolare è perché nel meccanismo

di azione compare il meccanismo piridinico, ma anche il fosfato inorganico. Essa è capace di lavorare con il
fosfato sia con l'arsenato, stessa colonna tavola periodica. Si tratta di un enzima molto antico. L’enzima
prevede l’intermedio di un gruppo fosfato ed è un enzima antico dal punto di vista filogenetico.
Il secondo passaggio è catalizzato da fosfoglicerato chinasi che utilizza ADP che forma ATP. Il substrato
diviene da 1,3-bifosfoglicerato a 3- fosfoglicerato. Si ottiene quindi una molecola di ATP, ed è avvenuta una
fosforilazione a livello del substrato. Quindi il substrato cede il suo P all’ADP.

Il terzo passaggio è catalizzato da fosfoglicerato mutasi, (enzima di classe V, isomerizzazione) che lo


trasforma in 2-fosfoglicerato.

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Il quarto passaggio è catalizzato dall'enzima enolasi (classe IV) che trasforma il 2-


fosfoglicerato in fosfoenolpiruvato. Si toglie una molecola d'acqua e si forma un doppio legame. Anche
l'enolasi è un enzima molto antico.

Quando c'è qualcosa che danneggia le cellule, come una condizione tumorale, ciò intacca le concentrazioni
di enolasi e di gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi. Come enzima, l'enolasi subisce modifiche post
traduzionali come fosforilazioni. Enolasi modificate appaiono in alcune cellule tumorali, quindi possono
essere dei biomarker per le malattie. Proteine moon-lighting (chiaro della luna) che hanno più di una
funzione in condizioni differenti.

Ultimo stadio è catalizzato dalla piruvato chinasi (trasferasi irreversibile) che, utilizzando una molecola di
ADP più un protone, converte il fosfoenolpiruvato in piruvato con il rilascio di ATP. Si tratta di una tappa
regolativa.

Per ogni molecola di glucosio, si ottengono due molecole di piruvato, 4-2 molecole di ATP, quindi resa netta
è 2, si rilascia anche 2 molecole di NADH, che è il coenzima piridinico ridotto e si ottengono dalla reazione
redox.

Ecco cosa succede al piruvato, che può essere completamente ossidato, e l’Acetil coA. Invece se si rimane
dentro il citosol, senza sfruttare ossigeno, allora si ha:

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- Diventa acetaldeide ed etanolo con la FERMENTAZIONE


ALCOLICA tipica dei lieviti. Passa con un intermedio in più
cioè l'acetaldeide e poi dopo, usando una tappa redox
con NADH, si ha etanolo.
- Diventa acido lattico e NADH con la FERMENTAZIONE
ANAEROBICA ciò che avviene nelle cellule muscolari e
eritrocitarie.
- Diventa acetil CoA, che diventa CO2 con una ulteriore
ossidazione (metabolismo aerobico nei mitocondri, ossidazione).

Gli step della fermentazione vengono studiati non tanto per ciò che producono, ma perché viene prodotto
NAD+ e nei nostri muscoli il piruvato viene trasformato in acido lattico. Questa trasformazione fa sì che il
NADH venga convertito in NAD+ ossidato. Quindi, la fermentazione non è importante per la formazione di
acido lattico, ma perché consente di rigenerare il NAD+ ossidato e di rendere indipendente il flusso della
glicolisi dai coenzimi pirimidinici. La lattato deidrogenasi (classe 1) va a ridurre l’acido piruvico (cambia
l’atomo di carbonio 2) in acido lattico e si ottiene una molecola di NAD+ ossidato usato per la glicolisi.
Succede lo stesso per la fermentazione alcolica, ma c’è uno step in più con una piruvato decarbossilasi,
l’acetaldeide diventa alcol e l’enzima alcol deidrogenasi porta alla formazione di etanolo. Quindi, le
fermentazioni sono i destini in assenza di ossigeno, dette glicolisi anaerobiche, ma la glicolisi non avviene
normalmente con l'ossigeno. Il significato della fermentazione è la produzione di NAD+. Le cellule muscolari
in contrazione svolgono la glicolisi in condizioni anaerobiche producendo piruvato, questo viene
trasformato poi in acido lattico. Questa trasformazione fa sì che venga consumato del NADH e questo
venga riconvertito in NAD+ ossidato. La glicolisi così può essere continuata grazie alla produzione di NADH.
La fermentazione quindi rende indipendente la glicolisi perché genera il NAD+.

FERMENTAZIONE OMOLATTICA: arrivati al piruvato (due molecole),


con la lattato deidrogenasi, si ossida a acido lattico (sempre due
molecole). Si ottiene una molecola di NAD+ che viene ossidato e viene
usato per la glicolisi.

FERMENTAZIONE ALCOLICA: il piruvato viene catalizzato da


piruvato decarbossilasi con la formazione di acetaldeide.
Passaggio successivo è con l'alcool deidrogenasi che porta alla

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formazione di etanolo e in contemporanea si ha la rigenerazione del NAD+.

07.05.19

Delle dieci reazioni della glicolisi, solo tre sono irreversibili: quella della piruvato chinasi, della
fosfofruttochinasi e della esochinasi. Queste reazioni sono catalizzate da enzimi allosterici. Per quanto
riguarda l’attività della fosfofruttochinasi, si deve focalizzare l’attenzione su ciò che succede a livello
muscolare, dato che i muscoli necessitano della glicolisi soprattutto quando entra in un’azione di scatto.
Nella cellula muscolare c’è un pochino di ATP che però è una molecola di scambio, non di riserva. Dopo
aver consumato l’ATP, si consuma il deposito di creatina fosfato e poi, per ricavare l’ATP per la deposizione,
si usa l’ADP fatto dalla glicolisi. Accanto a ciò che succede a livello di muscolo, bisogna vedere ciò che
succede nel fegato, che è la principale centrale metabolica. Il fegato ha il ruolo importante di fare la
gluconeogenesi che è la via contraria alla glicolisi (insieme ai reni).

A livello muscolare, la regolazione sulla fosfofruttochinasi dipende dalla concentrazione dell’ATP e quindi
dall’attività muscolare. Quando il muscolo è a riposo, quindi quando c’è tanto ADP, cioè carica energetica
(rapporto tra ATP e AMP), si va a inibire la glicolisi. Il segno + è accanto a molecole che hanno un effetto
positivo, - quando sono inibenti. Nel muscolo in attività, la bassa carica energetica va ad attivare la
fosfofruttochinasi. Nel muscolo a riposo, visto che la fosfofruttochinasi è inibita, allora si accumula del
fruttosio 6-fosfato e quindi anche glucosio 6-fosfato e, parlando dell’esochinasi, che è il primo enzima della
glicolisi, essa è inibita dal suo prodotto, quindi il fatto che la carica energetica inibisca la fosfofruttochinasi

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ha un effetto diretto su quest’ultima e uno indiretto perché fa accumulare tutto ciò che sta a monte (si
accumula glucosio 6-fosfato, che inibisce anche l’esochinasi). Il terzo enzima che può essere regolato è la
piruvato chinasi: la carica energetica elevata lo va a inibire impedendo il passaggio da fosfoenolpiruvato a
piruvato. Invece, per la carica energetica nel muscolo in attività, la bassa carica ha effetto contrario sulla
fosfofruttochinasi attivandola, e, a sua volta, il prodotto della fosfofruttochinasi, ha una freccia verde
positiva che attiva la piruvato chinasi. La glicolisi, quindi, è stimolata e non si hanno effetti sulla esochinasi
perché, anche se è il primo enzima della glicolisi ed è quella che attacca P al glucosio, non decide se il
glucosio prenderà la via della glicolisi per essere degradato, perché produce anche il glucosio 6-fosfato può
essere depositato nella cellula sotto forma di glicogeno. Quindi, l’esochinasi non è l’enzima fondamentale
per accendere o no la glicolisi, invece è la fosfofruttochinasi ad essere fondamentale. I passaggi intermedi
hanno enzimi che non hanno attività regolatoria per la glicolisi.

Nel fegato, invece, si ha l’esochinasi IV che non è inibita dal G6P e, quindi, anche se la glicolisi non è
incentivata, la glucochinasi continua a funzionare perché insensibile alla quantità del G6P. Il fegato può
stoccare il G6P come glicogeno. Poi la regolazione si complica: il fegato, infatti, deve essere una centrale
metabolica controllando la concentrazione di glucosio
nel sangue. Nel fegato è stata scoperta questa
regolazione da parte di una molecola, che è simile a un
intermedio della glicolisi perché è il fruttosio-2,6-
bifosfato, che non è una molecola intermedia, ma funge
da regolatore, effettore, ligando che va a interagire con
enzimi allosterici. Quindi, la cellula ha fatto economia. Il
F-2,6-BP attiva la fosfofruttochinasi, che ha tanti siti
allosterici quindi interagisce con diverse molecole.

Nel grafico si ha una curva a S in cui c’è l’attività della fosfofruttochinasi: sulle ascisse
c’è la concentrazione del substrato e si vede che, senza il regolatore, allora la curva è
quella rossa. Man mano che nel fegato il F-2,6-BP allora la curva si sposta verso l’asse
delle y diventando più efficiente e affine con un effetto attivante.

Il terzo enzima coinvolto è quello della piruvato


chinasi. Esso interagisce con l’ATP e quando si è a
riposo, la carica energetica inibisce, mentre in
attività la piruvato chinasi interagisce anche il F-

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1,6-BP in maniera allosterica e quest’ultimo ha un’attività stimolante. Il F-1,6-BP e ATP fungono da effettori.
Oltre alla regolazione allosterica, c’è anche una modifica covalente su un enzima allosterico. Questo
meccanismo rende più fine il funzionamento della piruvato chinasi. Essa ha un P senza specificare il residuo
amminoacidico con questa fosforilazione, ma è un unico gruppo fosfato e la piruvato chinasi fosforilata è
poco attiva. Mentre, senza la modifica covalente, è più attiva. Per rimuovere la modifica covalente, agisce
una idrolasi (classe III), per favorirla, invece, lavora una chinasi (classe II). La piruvato chinasi è una chinasi
che viene regolata da un’altra chinasi. Questa modifica covalente, che si fa sentire in particolare a livello del
fegato, svolge il suo ruolo soprattutto nel fegato e dipende dalla concentrazione del glucosio nel sangue: se
alta, allora viene rimossa la modifica covalente e la piruvato chinasi è attiva, se è bassa la concentrazione di
glucosio ematico, allora la fosforilazione è favorita ed essa blocca la piruvato chinasi perché, se nel sangue
si ha poco glucosio, il fegato non può investire sulla glicolisi.
A questo punto, si deve vedere la via metabolica contraria alla glicolisi e si è facilitati perché gli intermedi
sono gli stessi. Essa si chiama gluconeogenesi. Le frecce vanno dal basso verso l’alto perché è il processo
inverso della glicolisi: da piruvato a glucosio. Ovviamente, i passaggi che erano reversibili continuano a
essere gli stessi con la doppia freccia. La gluconeogenesi, con tutti gli step, da piruvato a glucosio, avviene
solo nel fegato e in parte nei reni. I passaggi interni, quelli che sono rappresentati in azzurro e che sono le
tappe reversibili, avvengono in tutte le cellule e sono gli stessi enzimi della glicolisi. Glicolisi e
gluconeogenesi si realizzano nel citosol e i loro enzimi sanno fare le varie reazioni lavorando all’equilibrio: si
lavora in un verso o nell’altro in base alla concentrazione dei reagenti nel citosol. Se è attiva la
gluconeogenesi, allora si lavora in senso contrario regolando in base alla presenza del substrato. Si tratta
della classica reazione di Michaelis-Mentel. Ovviamente, non ci sono quelle tappe irreversibili della glicolisi
che non possono avvenire. Ci sono, quindi, enzimi alternativi che servono a superare quell’ostacolo. Questi
enzimi sono a loro volta enzimi che lavorano in modo irreversibile. Nelle ultime due tappe, ad esempio, c’è
la glucosio 6-fosfatasi che è tipico di questo processo. Quindi, le cellule, per evitare di rimanere bloccate
negli equilibri delle tappe interne, investono sulla regolazione degli step irreversibili decidendo se attivare
la glicolisi o la gluconeogenesi.
Si parte dal fondo e si deve capire qual è il significato di gluconeogenesi. Essa produce glucosio e lo fanno
solo reni e fegato perché fare il glucosio, per un organismo eterotrofo come il nostro, si deve partire da
molecole che sono differenti dallo zucchero perché devono soddisfare il requisito del glucosio. L’organismo
cerca di fare il glucosio perché bisogna mantenere costante il tasso di zucchero. Non lo si può fare da
molecole zuccherine se non ci si sta nutrendo.
- Il glucosio è fatto da amminoacidi, cioè da macromolecole proteiche. I singoli amminoacidi
possono entrare nella gluconeogenesi. Possono essere convertiti in ossalacetato. Non si ha un
enzima che possa fare al contrario direttamente la reazione da acido piruvico (COOH-C=O-CH3) in
fosfoenolpiruvato. Si deve passare da uno step intermedio. Quindi, si vede che da piruvato si va a

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ossalacetato. Viene addizionato un C in più al


piruvato consumando ATP (ossalacetato: COOH-
C=O-CH2-COOH). Dall’ossalacetato si stacca
l’atomo di C in più usando GTP e facendo uscire
CO2 per riaggiustare i legami. In questo caso, il
GTP consumato è quello che serve a portare il
gruppo P perché poi si ottiene
fosfoenolpiruvato, che ha un P in più rispetto al
piruvato. La prima reazione è a opera di una
carbossilasi che si trova nella matrice
mitocondriale, attacca un C in più ed è una ligasi
(classe 6). Ha un meccanismo di azione
irreversibile, consuma energia (una molecola di
ATP, la glicolisi porta ad avere due molecole di
ATP, mentre la gluconeogenesi costa energia),
utilizza nel suo sito attivo il coenzima biotina
(non sapere struttura), che è dotato di una sorta
di braccia spaziatore, cioè una successione di
CH2. Questo coenzima permette di mantenere legata covalentemente la biotina al sito attivo della
carbossilasi e la biotina è legata a sua volta a una lisina, ottenendo una sorta di braccio ancora più
lungo e dotato di mobilità. In questo meccanismo della carbossilasi, si vede che nel primo step
l’acido carbonico (CO2) viene legato alla biotina (tipico delle reazioni di carbossilazione) perché non
c’è un sistema diretto per fissare questo gruppo carbossilico direttamente sulla molecola di
interesse, poi si ha lo spostamento in termini spaziali grazie al braccio spaziatore portando il gruppo
carbossilico in corrispondenza del sito 2. Il piruvato riceve il gruppo carbossilico e si forma
l’ossalacetato. C’è una particolarità: questa reazione della piruvato carbossilasi avviene all’interno
dei mitocondri e non nel citosol. Quindi avviene in un sito diverso della glicolisi permettendo la
regolazione reciproca delle due vie metaboliche. Poi l’ossalacetato non esce direttamente nel
citosol dal mitocondrio perché non ha un suo trasportatore, quindi ha bisogno di avere degli
shuttle, cioè navette per trasferire una molecola da un compartimento con membrana dall’interno
all’esterno. Quindi da ossalacetato, con una reazione redox, si ottiene il malato (COOH-H-C-OH-
CH2-COOH), passando da NADH+H+ a NAD+. Una volta fuori, è riconvertito a ossalacetato nel

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citosol (NAD+ a NADH+H+). Poi esso è convertito in fosfoenolpiruvato. La reazione che lo converte
in fosfoenolpiruvato è la carbossichinasi interagendo, anche, con la GTP. Per prendersi il P, stacca il
COOH che viene staccato sotto forma di CO2. In questo modo è superato il primo scoglio della
gluconeogenesi. Da fosfoglicerato a bifosfoglicerato si consuma ATP. Poi c’è lo step con cui può
entrare il glicerolo. Poi c’è la reazione della fosfofruttochinasi, ma ora si ha la reazione inversa che
avviene con una idrolasi (classe 3) con cui si stacca il P: non si ottiene ATP, ma viene solo idrolizzato
il gruppo P che viene liberato come P inorganico. La reazione è con una fosfatasi, che è la fruttosio-
1,6-bifosfatasi, che è l’enzima discriminante tra le cellule che sanno fare o no la gluconeogenesi ed
è espressa solo nel fegato e nel rene. Le altre cellule si fermano al glucosio 6-P non sapendo
produrre glucosio libero, che è quello da riversare nel sangue per mantenere il suo livello nel
sangue stabile (5 molari circa). La glucosio 6-fosfatasi, visto che è nel fegato e nei reni, che fanno
anche glicolisi, per evitare la generazione di un corto circuito futile, non è nel citosol, ma si trova
nella membrana del reticolo endoplasmatico. Essa, dunque, lavora rivolta verso il lume del reticolo
che è l’interno dei compartimenti vescicolari (sono un ambiente protetto rispetto al citosol e tutte
le reazioni descritte avvengono nel citosol, ma quando si
arriva al glucosio 6-P sulla membrana allora lavora la
fosfatasi che rimuove il P, formando glucosio libero che non
è substrato delle esochinasi ed è trasportato, con le
vescicole, fino alla membrana plasmatica con cui si fonde e
poi esce all’esterno grazie all’uso di trasportatori). Tutti gli
elementi che lavorano sulla fosfofruttochinasi sanno
lavorare al contrario sulla fosfatasi.
- Si ha l’acido lattico che può essere convertito in
piruvato.
- Si ha il glicerolo, che è un alcol a 3 atomi di C. Si
trova nella struttura dei lipidi, ma non si può assimilare a una molecola lipidica. Esso riesce a essere
convertito in diidrossiacetone fosfato.
Non si hanno molecole lipidiche o acidi grassi e non si possono demolire i nostri grassi, anche se sono tanti,
per fare glucosio. Questo è una sorta di problema per il metabolismo, ma, purtroppo, non si ha questa via
metabolica basata sull’uso dei grassi. Questo metabolismo si trova nei batteri e nelle piante, che usano
riserve di grasso per ottenere zuccheri.
09.05.19
La fosfatasi deve eliminare il P dal C 1 ed è importante. Le molecole che funzionano da effettori per questa
fosfatasi, funzionano come effettori anche per la fosfofruttochinasi affinchè l’azione sia reciproca. Oltre alla
carica energetica, si è visto che nel fegato funziona su questa fosfofruttochinasi la molecola del fruttosio

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2,6 bifosfato che è un ligando, funzionando da inibitore o da attivatore. Tra le molecole che funzionano
come modulatori, ci sono il fruttosio 2,6 bifosfato che funge da inibitore della gluconeogensi, perché se
presente, attiva la glicolisi, ma dato che i due enzimi coesistono nel citosol, allora esso deve inibire uno dei
due processi. Lo stesso capita con l’AMP e l’ATP: la prima inibisce la gluconeogenesi. C’è anche il citrato,
che, se presente, stimola la gluconeogenesi inibendo la glicolisi. Per la gluconeogenesi, la carbossichinasi e
la carbossilasi, entrambe le vie sono inibite dall’ADP.
Il fruttosio 2,6 bifosfato ha un ruolo fondamentale. In
presenza di esso, allora la curva sigmoide è spostata verso
sinistra. Analogamente, c’è il grafico sulla fosfatasi che è
l’enzima della gluconeogenesi, e se non c’è l’enzima, allora
è molto attivo, presente, se c’è, l’enzima è molto
rallentato. L’intermedio fruttosio 2,6 bifosfato (nel citosol)
decide se fare la glicolisi o la gluconeogenesi.

CICLO DI CORI
Cori è lo scienziato che scoprì questo
percorso ciclico che mette in
relazione glicolisi e gluconeogenesi
che avvengono la prima nel muscolo
e la seconda nel fegato, che sa fare
anche la glicolisi. L’investimento,
durante uno scatto o una corsa
veloce, sotto forma di ATP arriva
dalla glicolisi ed effettivamente il
muscolo fa la glicolisi (glucosio-
>piruvato->lattato, in tutto questo si ottengono 2 ATP e si va in fermentazione perché si deve rigenerare il
NAD+, che sostiene il flusso della glicolisi). La contrazione è rapida e il muscolo non fa ancora partire
l’attività dei mitocondri perché per farlo ha bisogno di O2 che arriva ai muscoli con il flusso sanguineo con
l’emoglobina. Il muscolo usa la glicolisi facendo lattato, che viene immesso in circolo, raggiunge il fegato,
dove l’acido lattico diventa piruvato con la lattico deidrogenasi (che è un enzima redox e funziona nella
fermentazione quando si lavora per produrre lattato da piruvato). Ora, dato che i muscoli hanno bisogno di
glucosio, allora il fegato deve fare glucosio con la gluconeogenesi: il piruvato entra e viene trasformato in
glucosio, usando energia. Il fegato mette in circolo in glucosio, che va nel muscolo e può essere demolito in
ATP per sostenere la contrazione del muscolo.

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Il metabolismo degli zuccheri delle cellule è incentrato sul glucosio e non c’è una via metabolica alternativa.
Comunque, galattosio e fruttosio entrano nella glicolisi perché sono importanti per l’apporto energetico.

DEGRADAZIONE DEL GLICOGENO


Si tratta di un omopolisaccaride fatto solo da glucosio e
la versione analoga è l’amido. I mammiferi hanno
grosse quantità di glicogeno nel fegato e nei muscoli.
Laddove si hanno le scorte di granuli di glicogeno, sono
fegato e muscoli. Sono una forma di riserva di glucosio
che, però, non dura lungo. Tutte le scorte, infatti,
scompaiono e vengono degradati con un’ora di attività
fisica. Il glicogeno e l’amilopectina differiscono solo nel
grado di ramificazione. Quando il muscolo è in attività,
necessita di glucosio e usa anche le scorte di glicogeno
fino a quando non le demolisce tutte. Quindi, in parte il
glucosio arriva dal ciclo di Cori e in parte dalla
demolizione del glicogeno.
Le estremità sono le quelle non riducenti perché la porzione libera è la 4 dell’anello del glucosio: la
posizione 1 è impegnata nel legame alfa 1,4. La posizione 4 è quella non riducente. L’enzima che demolisce
i granuli di glicogeno è la glicogeno fosforilasi, che lavora con una modalità processiva perché ha un
substrato grande (il granulo di glicogeno). Gli enzimi processivi sanno attaccare strutture grandi. Essa va ad
aggredire l’estremità non riducente del glicogeno e funziona, nella cellula vegetale, come un amido
fosforilasi. La sua modalità di azione è di trasferire un gruppo P e durante questo trasferimento si ha la
rottura del legame alfa 1,4 perché il P è trasferito sul legame sulla posizione 1 che è la più reattiva,
rompendo il glicogeno e distacca una molecola di glucosio 1-P (è un glucosio fosforilato). Nella cellula
muscolare o nel fegato, non si ha un solo enzima che lavora per ogni granulo di glicogeno. Si sistemano,
infatti, più enzimi in corrispondenza delle estremità riducenti. Si deve avere una estremità non riducente
libera e si ha bisogno delle due attività enzimatiche, che sono l’enzima deramificante e la
fosfoglucomutasi. Il primo trasferisce un pezzo della ramificazione su una ramificazione vicina perché la
glicogeno fosforilasi per funzionare ha il suo sito attivo che riconosce l’estremità non riducente. Questo
enzima si ferma perché non arriva fino in fondo perché le ramificazioni hanno dei legami alfa 1,6 e non alfa
1,4. La glicogeno fosforilasi non riesce a rompere un legame alfa 1,6 neanche per ingombro sterico perché
in prossimità in cui c’è la ramificazione, l’ingombro sterico non permette all’enzima di arrivare nel suo sito
attivo. Quindi l’enzima deramificante sposta un pezzo di ramificazione su un’altra ramificazione e lo sposta
dove ci sono legami alfa 1,6. Questo spostamento di 3, 4, 5 unità di glucosio fa sì che la glicogeno fosforilasi

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possa lavorare su una ramificazione lunga. Ora bisogna risolvere il problema del legame alfa 1,6 e l’enzima
deramificante, oltre che trasferire, svolge anche una seconda attività che è quella tipicamente glicosidasica
ed è un’attività alfa 1,6 glicosidasica perché spezza un legame alfa 1,6 liberando una molecola di glucosio
libero. Quindi, risolve un problema sterico. Così, la degradazione del glicogeno, mi dà glucosio libero
(diventando substrato dell’esochinasi nella glicolisi) e si ottiene anche glucosio 1-P che non può entrare
nella glicolisi così perché ci entra il glucosio 6-P. Allora, per completare la demolizione, interviene il secondo
enzima, cioè la fosfoglucomutasi che è un’isomerasi perché c’è bisogno di trasformare il glucosio 1-P in
glucosio 6-P. La fosfoglucomutasi ha un meccanismo di azione semplice perché nel sito attivo ha un residuo
di serina fosforilato. Essa ospita il substrato che è il glucosio 1-P e il gruppo P della serina è trasferito in
posizione 6. Così, alla fine del processo, visto che è un enzima, tornano uguali a come hanno iniziato la loro
attività catalitica. Quindi, la reazione finisce con il trasferimento del P presente in 1 sul residuo di serina.
Alla fine, dal sito attivo, esce il glucosio 6-P.

REGOLAZIONE DELL’ENZIMA GLICOGENO FOSFORILASI


Il fegato deve demolire glicogeno per ricavare glucosio da immettere in circolo. Questo enzima è un enzima
allosterico con una regolazione particolare. Esso ha le due transizioni tra forma tesa, che è meno attiva, e
quella rilassata, più attiva e la rilassata la si ottiene in modo allosterico, quando questo enzima interagisce
con alcuni ligandi che sono, nel muscolo, quelli relativi alla carica energetica, che se elevata, allora l’enzima
funziona da inibitore (ci sono siti allosterici che interagiscono in modo reversibile e che inibiscono l’attività).
Il glucosio 6-P funziona da inibitore e ha bisogno di un enzima idrolitico, la glucosio 6-fosfatasi, che si trova
anche a livello della gluconeogenesi. Nel fegato, la regolazione allosterica non è legata alla carica
energetica, ma il modulatore allosterico che lavora nel fegato è il glucosio semplice. Quindi, nella struttura
quaternaria della glicogeno fosforilasi c’è un sito che agisce in modo reversibile per legarsi al glucosio, che,
una volta legato, ha un’azione inibente. Questo enzima è attivato dalla AMP e inattivato da ATP e glucosio
6-P. Poi, come tutti gli enzimi chiave regolatori, anche la glicogeno fosforilasi accanto alla regolazione
allosterica, ne ha una covalente: anche questo enzima (che lavora come dimero perché ha due subunità
identiche) può subire una modifica covalente, che è una fosforilazione. In questo caso, la serina in posizione
14 può essere fosforilata: quando lo è l’enzima è più attivo e, addirittura, a questa forma più attiva
fosforilata è stato attribuito un nome, cioè forma di fosforilasi A per distinguerla dalla fosforilasi B che non
è fosforilata ed è quindi meno attiva. Quando si vuole diminuire l’attività dell’enzima, entra in gioco una
fosfatasi o può anche essere aggiunta una regolazione di tipo ormonale: nella cellula di fegato o di muscolo,
infatti, chi dice quando si deve attivare la fosfatasi che defosforila o la fosforilasi che fosforila? Tutto è
innescato a livello ormonale e gli ormoni che regolano il metabolismo dei carboidrati sono l’insulina, il
glucagone e l’adrenalina. L’insulina è secreta nel sangue dal pancreas esocrino, per il glicogeno è
importante il glucagone che degrada il glucosio. Infatti, l’insulina diminuisce il glucosio nel sangue (dopo i

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pasti), mentre il glucagone lo fa aumentare (a digiuno): quindi lavorano all’opposto. Nel muscolo, lavora in
modo analogo sul granulo di glicogeno l’adrenalina: le scariche di adrenalina sono un ricordo ancestrale di
quando si era uomini primitivi.
I vari passaggi di trasduzione
del segnale partono da una
superficie di una cellula, da un
recettore, che è collegato alle
proteine G, che sono collegate
all’attività di un enzima detto
adenilato ciclasi che catalizza
la sintesi del cAMP. Il cAMP è
un secondo messaggero (il
primo è glucagone e
adrenalina). Da lì si hanno i
passaggi della trasduzione del
segnale che deve amplificare
perché a ogni passaggio i substrati su cui lavora aumentano di 100/1000 volte. Quindi, una sola molecola di
glucagone può iniziare la sintesi di molte molecole di cAMP che attivano la pkA, cioè proteina chinasi A, che
è una trasferasi ed essendo una chinasi, andrà a fosforilare la fosforilasi chinasi diventando attiva lavorando
sulla fosforilasi B, fosforilandola e diventano la fosforilasi A. Quest’ultima fa sì che si ottengano molte
molecole di glicogeno fosforilasi attive che si attivano sul granulo di glicogeno in posizione di estremità non
riducenti che libereranno glucosio 1-P. Lo stesso segnale di glucagone o adrenalina a livello della pkA è
capace di andare a fosforilare l’enzima glicogeno sintasi che è sintasi del glicogeno, ma l’effetto della
fosforilazione è effetto inibente (modifica covalente) e il glucagone deve simultaneamente impedire che il
glucosio venga sintetizzato perché esso lo va a demolire.

13.05.19
L’interazione con il recettore del ligando si traduce
in una variazione conformazionale, che è poi
trasferita all’interno della cellula. La diapositiva
sopra è concentrata sul metabolismo del glicogeno
e si vede che lo stesso segnale ormonale, se è in
grado di attivare la demolizione del glicogeno,
allora simultaneamente va a bloccare la sintesi del
glicogeno e in modo analogo, nella cellula, si hanno

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segnali che attivano la glicolisi e che inibiscono la gluconeogenesi. Nella diapositiva, si vedono cinque vie
metaboliche e si vede che si mettono in relazione il digiuno e dove si hanno bassi livelli di glucosio e
dall’altro c’è. L’attività fisica che, invece, ha bisogno di glucosio: da una parte c’è il fegato, coinvolto nel
digiuno perché fa gluconeogenesi immettendo glucosio nel sangue (canale centrale), e la cellula muscolare,
che fa la contrazione. I segnali ormonali coinvolti nell’innescare queste vie metaboliche per sostenere
digiuno e attività muscolare sono glucagone e l’adrenalina (l’insulina invece è secreta quando c’è tanto
glucosio nel sangue). I due segnali sono nel sangue e hanno i loro recettori (rettangoli verdi): sul fegato ci
sono recettori per adrenalina e glucagone, mentre sulle cellule muscolari si ha il recettore dell’adrenalina.
Si notano, inoltre, le vie metaboliche attivate da questi ormoni:
- Nel fegato: demolizione del glicogeno, gluconeogenesi fatta fino alla fine. Si nota che il percorso del
lattato è quello del ciclo di Cori, che non è dentro la cellula, ma avviene mettendo in una sequenza
ciclica gli eventi metabolici che avvengono in muscolo e fegato (due distretti diversi).
- Nel muscolo: viene immesso il lattato nel sangue e ci sono due vie metaboliche, ciclo dell’acido
tricarbossilico e fosforilazione ossidativa, che avvengono nei mitocondri, non nel citosol, e fanno
parte del ciclo aerobico. Nel muscolo, inoltre, c’è la demolizione del glucosio a lattato, che viene poi
messo in circolo, da cui poi entra nel fegato, in cui si fa la gluconeogenesi, che rilascia glucosio che
ritornerà nel muscolo.

IDROLISI DI ATP IN MIOSINA-ACTINA COME MOTORE MOLECOLARE


L’ATP viene idrolizzato liberando energia, che verrà usata come energia
meccanica, cioè l’evento in cui il muscolo si contrae. Si vede a livello delle
proteine coinvolte nella contrazione muscolare che sono il sistema
dell’actina-miosina. Ci sono, però, altre cellule che lavorano così, come le
chinesine e le dineine, che usano anche loro l’idrolisi dell’ATP per il
movimento. Nella foto, si vede la miosina di forma allungata che, però,
finisce con due ripiegamenti globulari, dette teste della miosina, e in cui
si trova il sito di legame dell’ATP. Quindi, quell’ATP prodotto nel citosol
va a interagire con le teste della miosina che hanno attività di idrolisi
dell’ATP.
Ciascuna fibra muscolare, data dall’assemblaggio di più nuclei, ha, all’interno delle cellule, una struttura
fibrosa di filamenti di actina e di miosina. Dentro la fibra muscolare, quindi, ci sono le miofibrille. In
microscopia, si ottiene un’immagine regolare
con una striatura, che ha dato il termine di
filamenti spessi alla miosina e sottili per
l’actina. Lungo ogni miofibrilla, c’è la

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ripetizione di questa striatura, con zone chiare e scure, ed è così regolare da visualizzare l’unità funzionale,
il sarcomero, che è il responsabile della contrazione. A livello di ogni sarcomero, c’è un accorciamento di
quest’ultimo durante la contrazione per scorrimento dei filamenti sottili su quelli spessi. Ai lati del
sarcomero, c’è una piastra di appoggio, la linea Z, in cui sono legati covalentemente i filamenti sottili con
l’interazione di strutture proteiche. Il filamento spesso è dato dalla sovrapposizione e dall’aggregazione di
più molecole di miosina e sono disposte testa-coda, quindi alcune hanno la testa sulla destra altre verso
sinistra e c’è l’avvolgimento delle molecole di miosina, che hanno una porzione allungata, e quindi si
possono superavvolgere.
Nel dettaglio, la miosina e l’actina hanno una struttura tridimensionale. Ogni miosina ha sei catene, due
pesanti di cui ciascuna ha una testa globulare e una parte lineare, e poi ci sono quattro catene leggere, due
per ogni testa globulare. Le code della catena pesante presentano avvolgimento sinistrorso (come
cheratina). La parte lineare è un’alfa elica che ha avvolgimento destrorso e, dato che due alfa eliche devono
superavvolgersi, allora avranno un superavvolgimento sinistrorso. Catene leggere sono membri della
famiglia “EF-hand”, simili alla calmodulina, anche se non legano ioni metallici generalmente. La parte
globulare sa idrolizzare l’ATP ed è quella che interagisce con l’ATP. Si vede anche il sito di interazione con
l’ATP che è centrale ed è un
dominio che si ritrova in tante
proteine nella cellula: tutte le
proteine usano lo stesso tipo di
avvolgimento quando si prepara
una proteina che deve interagire
con l’ATP. Questo tipo di
avvolgimento è detto ansa P. Poi,
più superficialmente, c’è il sito di
legame con l’actina.

La testa della miosina è la parte tutta colorata e, nell’immagine, si vede


la miosina che interagisce con l’actina. Si nota che l’actina è con una
struttura filamentosa data dalla sovrapposizione di più unità globulari. La
parte viola è un monomero di actina, che quindi è formata
dall’assemblaggio di più monomeri. Le due subunità monomeriche
dell’actina sono due monomeri piccoli impegnati in ogni ciclo di idrolisi
della molecola di ATP. Quindi, quando la miosina idrolizza l’ATP, allora la
testa della miosina si muove nel filamento sottile facendo avvicinare i
dischi della linea Z perché assume ciclicamente conformazioni diverse

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per diverse affinità con l’actina.


Quando si cerca l’actina nei database si possono trovare le
definizioni di actina G, cioè globulare, e actina F. Mentre la
miosina è allungata, l’actina è globulare e ogni monomero con
forma globulare riesce a dare un assemblaggio di forma
filamentosa. Quando si parla di G ci si riferisce al monomero,
quando si parla di F, ci si riferisce all’actina polimerizzata
perché ogni monomero si assembla in un polimero. L’actina è
un insieme di proteine che hanno il loro
assemblaggio quaternario. Nel monomero
dell’actina si possono visualizzare quattro domini diversi e anche l’actina può legare l’ATP, però,
non può idrolizzarlo e il movimento non è legato all’attività di idrolisi dell’ATP. L’actina
polimerizza spontaneamente in filamenti polari e non necessita l’idrolisi dell’ATP. L’actina-ATP
polimerizza più velocemente di actina-ADP. L’actina può anche essere visualizzata come doppio
filamento che a sua volta, attorno all’actina, si hanno due proteine fibrose, che sono la
tropomiosina e la troponina (verde e rosso). Esse sono proteine che risentono dell’interazione
con gli ioni Ca che intervengono nella contrazione. Esse non sono le uniche proteine che si
trovano, ma sono le principali: esse durante il momento della contrazione, rendono disponibile e
accessibile il monomero di actina che deve interagire con la testa della miosina. Ogni monomero di actina,
infatti, può interagire con una testa della miosina. Quando c’è la contrazione, aumenta la concentrazione
intracellulare del Ca, queste due proteine percepiscono l’aumento, interagiscono con il Ca con una
variazione conformazionale che le fa spostare liberando il sito di interazione actina-miosina.

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Per effetto dell’idrolisi dell’ATP, viene rilasciato il P all’esterno e, contemporaneamente, si ha un


movimento meccanico della testa della miosina. Facendo così, oltre che portarsi in posizione
perpendicolare, inizia a interagire con un monomero di actina, che non sarà lo stesso con cui interagiva
prima di legarsi all’ATP, ma sarà con quello spostato più avanti. Poi si rilascia il P, rendendo più forte
l’interazione della testa della miosina e il filamento dell’actina. Poi, si ha il rilascio finale dell’ADP, con cui la
testa della miosina riprende la sua conformazione originaria, inclinata. Dal punto di vista meccanico la
miosina nella parte finale ritorna alla posizione inclinata e scivola progressivamente sul filamento di actina,
facendo accorciare il sarcomero. Macroscopicamente, tutto ciò avviene con la contrazione del muscolo.

IDROLISI DELL’ATP
Ci sono le strutture molecolari della testa della miosina
complessata con ATP e il magnesio, perché l’ATP è come sale di
Mg, che è un elemento che serve per bilanciare le cariche negative
sull’ATP. Il Mg, infatti, va a chelare l’ATP impedendo che questo
rimanga libero all’interno del citosol. C’è l’intervento di una
molecola di H2O, ma non solo, c’è anche l’intervento di un residuo
di serina della testa della miosina presente in quel sito di interazione con l’ATP. Si tratta di una sorta di

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interazione tra l’OH della serina e l’atomo di P, che dev’essere staccato. Questa interazione tra serina e P
facilita l’attacco della molecola di H2O perché destabilizza il legame tra ATP e questo P che è l’ultimo
gruppo. Alla fine, idrolizza e si vede che il P è ancora temporaneamente coordinato con il Mg che interagiva
con l’ATP, ma comunque non è più legato. Questo è il momento in cui si idrolizza il legame covalente per
ottenere ADP e P libero. Con vari studi, si è ottenuta una struttura globulare con il sito per il nucleotide, ma,
anziché avere l’ATP, si vede un’interazione tra ADP e vanadato. La posizione della catena data da C alfa in
fucsia e azzurro sono spostate quasi di 90 gradi verso il collo della testa della miosina e abbiamo il
filamento fucsia che si sposta in modo molto evidente. Questa è la variazione conformazionale molto
marcata e i 90 gradi sono rappresentati nello schema. In generale, l’idrolisi dell’ATP viene effettuata da un
enzima che è l’ATPasi.

CICLO DELL’ACIDO CITRICO


Tutti gli organismi aerobici, che sono la
maggior parte, attuano questo ciclo e
sanno usare l’O molecolare con i
mitocondri. Questo discorso vale
anche per le piante, che sanno usare la
CO2 e sanno produrre O molecolare,
ma sanno anche usare l’O perché
hanno i mitocondri, che hanno una
doppia membrana. Le vie metaboliche aerobiche hanno determinato il sopravvento di questi organismi
perché si ha una maggiore resa in ATP dando un grande vantaggio evolutivo. Questo ciclo è la prima parte
del metabolismo aerobico e avviene nella matrice mitocondriale, non sulla membrana. Esso non prevede
l’intervento diretto dell’O molecolare, sono reazioni di ossidazione, come la glicolisi che forma piruvato che
è più ossidato del glucosio. Sarà la fosforilazione ossidativa in cui è previsto l’intervento dell’O molecolare.
In grigio c’è la membrana mitocondriale interna, perché quella esterna ha molte proteine che consentono
di passare attraverso, mentre quella interna è più difficile da attraversare. Quella interna non ha, infatti,
trasportatori specifici per il passaggio di sostanze, mentre quella esterna sì. Poi, si vede l’interno in cui
avviene il ciclo dell’acido citrico, che è un ciclo perché, alla fine delle reazioni, si torna ad avere lo stesso
composto che si combina con ciò che arriva dal citosol. Sia il glucosio sia gli amminoacidi sia gli acidi grassi
possono fare il ciclo. La freccia indica che sia zuccheri sia lipidi sia amminoacidi possono essere convertiti in
acetil coenzima A (che ha due atomi di C). Chi entra nel ciclo dell’acido citrico è l’enzima dell’acetil
coenzima A. Poi, dalla matrice mitocondriale, le reazioni vanno nella membrana interna mitocondriale in
cui avviene la fosforilazione ossidativa, con intervento di O molecolare nella catena di trasporto degli

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elettroni, finendo con la produzione di ATP all’interno del mitocondrio. L’ATP prodotto dev’essere distinto
dall’ATP prodotto nel citosol con la fosforilazione da substrato.
Il piruvato diventa acetil coenzima A perdendo un atomo di C ed è anche un
passaggio ossidativo perché perde elettroni. L’acetile, poi, entra nel ciclo
dell’acido citrico e si ottengono due molecole di CO2, quindi si ha l’eliminazione
completa degli atomi di C, ossidati completamente a CO2. Si decompone tutto il
glucosio che sta in alto facendolo diventare CO2. Questo meccanismo ci dà
elettroni sotto forma di coenzimi ridotti e anche una molecola di ATP. La prima
reazione è quella di conversione del piruvato a acetil CoA, che è usato per
trasferire tutte le molecole lipidiche degli acidi grassi (l’acetile è la formula
minima). Nell’acetil coenzima A c’è un solo gruppo CH3 con un gruppo

carbossilico che si è esterificato. La reazione piruvato


deidrogenasica fa perdere un atomo di C al piruvato
sotto forma di CO2 del gruppo COOH, che si perde
appunto. Avviene anche un’ossidazione in cui si
trovano enzimi che lavorano con modi simili. Si tratta
di una reazione irreversibile e se la cellula investe sul metabolismo aerobico, converte piruvato ad acetil
CoA e non si torna più indietro. La reazione avviene su un complesso enzimatico fatto da molte subunità
ripetute più volte. Ogni subunità può realizzare un pezzo di conversione del piruvato ad acetil CoA. La
piruvato deidrogenasi è un assemblaggio di tante sfere non da confondere con il glicogeno primo perché
questo ingrandimento è più elevato, mentre i granuli del glicogeno sono più grandi e poi perché
nell’assemblaggio questi agglomerati sferici sono disposti più irregolarmente. Per far avvenire questa
reazione, la piruvato deidrogenasi ha tre attività (E1, E2 ed E3) differenti e ha bisogno di cinque coenzimi,
tra il CoA che si trova nella matrice mitocondriale come coenzima libero, poi un altro coenzima libero è il
NAD, che c’è anche nel citosol. Non c’è un trasporto libero tra il NAD del mitocondrio e quello del citosol
perché il mitocondrio ha il suo sistema della doppia membrana e quindi c’è bisogno di qualcosa che possa
trasferire queste molecole. La cellula, quindi, mantiene separati questi due compartimenti, anche perché il
mitocondrio si è formato da una simbiosi. Altri coenzimi, tre, non sono liberi, ma sono legati alle strutture
proteiche della piruvato deidrogenasi: FAD, che è semplice perché è inserito nella struttura proteica,
lipoato e TPP, cioè tiamminpirofosfato. L’acetil CoA (CoASH) ha una forma nucleotidica perché ha
un’adenosina, poi ha un acido pantotenico e poi ha un SH, che è un gruppo sulfidrilico terminale ed è il
gruppo reattivo. Il TPP, come tutti i coenzimi, ha strutture sintetizzate dalle nostre cellule, ma i precursori
vengono da molecole che non sappiamo sintetizzare, come l’acido pantotenico, che è una vitamina, che
viene poi convertita a coenzima dopo la sua degradazione. La parte importante da sapere è che ha un

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anello, detto tiazolico, in cui c’è zolfo e in teoria, ma anche in pratica, è il punto reattivo perché sa legarsi
con gruppi acidi o aldeidici. Poi c’è il lipoato che ha una catena lipidica, detto acido lipolico, e finisce con un
anello che ha un ponte disolfuro S-S, che può essere ossidato, cioè chiuso, o può essere ridotto come SH-
SH.

MECCANISMI MOLECOLARI CHE CONVERTONO PIRUVATO AD ACETIL CoA


Le tre attività enzimatiche sono rappresentate
da cerchi colorati messi vicini e la vicinanza ha
un suo vantaggio: se le reazioni disperse
avvengono tutte localizzate vicine
spazialmente, allora aumenta la velocità di
produzione del prodotto. Per questo ci sono
reazioni che avvengono sulla membrana,
mentre altre usano enzimi solubili, che se
avvengono in complessi vicini associati con
strutture quaternarie, allora facilitano la
velocità di resa dei prodotti.
- Il piruvato dev’essere decarbossilato con l’uso del tiamminpirofosfato, che è il coenzima con anello
tiazolico e ha un atomo di C che si lega a quello che resta del piruvato che ha perso il COOH.
Rimane, dunque, un CH3 e quello che era il gruppo chetonico del piruvato. Ora questo gruppo
chetonico è diventato aldeidico ed è rappresentato come H-C-OH.
- Poi c’è il secondo passaggio con l’uso del lipoato. Esso ha un ponte disolfuro, quindi può ossidare
quel gruppo aldeidico staccandolo e aprendo il ponte S-S. Così sarà legato come C=O-CH3, diventa
così un gruppo acetilico, cioè un gruppo carbonilico legato al lipoato.
- Poi si attiva l’acetil CoA dall’esterno, che è il primo enzima libero a intervenire e l’acetile si lega al
CoA senza l’uso di energia perché si fa un legame tioestere, quindi dello stesso tipo. Allora, il
lipoato è rimasto nella sua versione con S-S ridotto, quindi SH-SH e visto che le reazioni enzimatiche
devono finire con la ricostituzione dell’enzima nella sua forma iniziale, bisogna ossidare per
riottenere S-S. Quindi, il lipoato, con il suo braccio, si porta in corrispondenza del sito del FAD che si
ossida riportandolo alla sua versione originaria.
- Il FAD così diventa FADH2. Interviene, allora, il NAD ossidato che va a ridurre il FAD. Quindi, si avrà
la produzione di NADH+ H+ e il FAD ridotto che torna a essere ossidato (con il passaggio 6).
Così si ha l’acetil CoA che deve entrare nel ciclo. Il glucosio all’esterno, cioè nel citosol, diventa piruvato,
che dentro il mitocondrio è convertito in acetil CoA. Ora si può vedere il ciclo dell’acido citrico. Due atomi di
C dell’acetile devono combinarsi con quattro atomi di C portati dall’ossalacetato (sapere intermedi e

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formule). C2 e C4 danno il citrato o acido citrico che ha sei atomi di C. Si hanno due momenti in cui vengono
persi in successione un atomo di C come CO2 passando da C5 a C4 e si ottengono coenzimi ridotti: 3
molecole di NADH, 1 di FADH2 e una molecola di ATP.
- All’inizio si ha acetil CoA a cui si somma l’ossalacetato con quattro atomi di C per ottenere l’acido
citrico (COOH-CH2-C-CH2-COOH, al terzo C sono legati un OH e un COOH) che ha tre gruppi
carbossilici. Il secondo C dell’ossalacetato porta alla formazione di COOH-C-OH dell’acido citrico.
L’acetil CoA è stato solo usato come trasportatore del C e l’enzima è una trasferasi, la citrato
sintasi, che trasferisce l’acetile sull’ossalacetato.
- Il secondo passaggio è catalizzato dalla aconitasi con cui ottengono l’acido isocitrico o isocitrato, in
cui il gruppo OH, che prima stava sullo stesso di C, viene spostato sull’altro. L’aconitasi è
un’isomerasi e nel suo sito attivo ha un cluster Fe-S che lavora come un metallo enzima e in alto ha
la capacità di coordinarsi con il citrato, cioè con il substrato che dev’essere convertito in isocitrato.
La particolarità del cluster Fe-S è che trasferiscono elettroni e questo, dell’aconitasi, è quello che lo
fa più velocemente di tutti. Si tratta di una isomerizzazione.
- Poi si ha l’isocitrato deidrogenasi e questa è una tappa redox. Si tratta del momento in cui si fa una
molecola di NADH e in cui viene eliminato un atomo di C come CO2. Dopo questa tappa, infatti, si
hanno cinque atomi di C e non più sei, quindi, quell’OH viene ossidato e non è più un gruppo
alcolico, ma diventa un gruppo chetonico e si ottiene un alfa-chetoglutarato. Poi si ha ancora una
tappa ossidativa per cui si produce un’altra molecola di NADH ed esce una molecola di CO2. Quindi
si passa a un C4 ed è una reazione catalizzata dal complesso della alfa-chetoglutarato deidrogenasi
che è il complesso analogo della piruvato deidrogenasi: va via una molecola di CO2 ed entra il CoA,
per cui si ottiene il succinil CoA. Va via infatti l’altro COOH, sostituito dal CoA. Avviene
un’ossidazione perché il C=O diventa un gruppo carbossilico acido quando si lega al CoA (da
chetone si ossida a gruppo acido). L’isocitrato deidrogenasi e la chetoglutarato deidrogenasi sono
enzimi di classe 1. Il primo porta a un’ossidazione, mentre l’altro porta a una decarbossilazione.
- Poi si ha una sintetasi con la succinil CoA sintetasi che coinvolge la molecola di ATP e non si
sintetizza nulla perché il nome dell’enzima è quello della reazione che porta alla formazione del
succinil CoA. Così si ottiene il succinato o acido succinico, che ha quattro atomi di C. Dato che è una
sintetasi, è questo il punto in cui si fa una molecola di ATP perché serve energia alla sintetasi. In
alcuni tipi cellulari viene prodotto ATP, mentre in altri mitocondri viene fatto GTP che è analogo. Si
tratta di una fosforilazione a livello del substrato.
- Da qui in poi le reazioni sono ossidative, ma che devono trasformare l’acido succinico ad acido
ossalacetico o ossalacetato, che ha quattro atomi di C in cui uno è più ossidato. Quindi la cellula
non riesce con una singola reazione, ma lo fa prima con una succinato deidrogenasi, che è di classe
1, ma invece di fare NADH fa FADH2 e ha una particolarità: è l’unico del ciclo a essere localizzato

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sulla membrana interna mitocondriale. Esso ossida il succinato introducendo un doppio legame
portando all’acido fumarico o fumarato.
- Si ha la reazione della fumarasi, che è una liasi, che va a introdurre una molecola di H2O, quindi
introduce un gruppo OH passando da acido fumarico a malato o acido malico.
- Poi si fa un’altra ossidazione che produce di nuovo NADH perché usa NAD ossidato e si ossida il
malato diventando un gruppo chetonico, ristabilendo l’ossalacetato. Per questo si usa un enzima
che è il malato deidrogenasi.

Il guadagno: 3 NADH, 1 FADH2, 1 ATP e vanno via 2 molecole di CO2.


La regolazione è abbastanza semplice per entrambi i passaggi: quello che sta fuori dal ciclo, cioè quello
della piruvato chinasi, e quello dell’acido citrico.
- Il primo, che viene abbreviata come PDH, subisce una regolazione da modifica covalente, quindi la
piruvato deidrogenasi se fosforilata si inattiva e ci sarà una chinasi che fosforila la piruvato
deidrogenasi inattivandola e ci sarà una fosfatasi che rimuove il P attivando l’enzima. Oltre alla
regolazione da modifica covalente, ha la possibilità di essere regolata con meccanismo allosterico.
La carica energetica, quando si ha tanto ATP, allora si inibisce la reazione piruvato deidrogenasica
perché non si deve investire sul ciclo per ottenere altra energia. Analogamente, avviene per la alfa
chetoglutorato deidrogenasi e per la isocitrato deidrogenasi. Gli enzimi allosterici, che sono
inibitori, hanno il NADH che serve per ottenere l’ATP, quindi se si ha tanto NADH allora questo
funziona da inibitore allosterico. Questo vale per lo step deidrogenasico, per tutti e tre. Poi si ha

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l’attività inibente da parte del prodotto: si ha ad esempio il succinil CoA che funziona da inibitore.
Viceversa, l’ATP funziona da attivatore.

16.05.19
Il ciclo dell’acido citrico ha un ruolo anche nella
biosintesi. Si trova al centro e proprio per questo
esso è la parte ultima del metabolismo e tutto
ciò che rappresenta sostanza nutritiva viene
rimaneggiate arrivando all’acetile nel
mitocondrio e lì vengono consumate a CO2.
Occupa la posizione centrale e dopo aver
contribuito all’eliminazione delle sostanze
nutritive ha anche un ruolo biosintetico. La cellula, infatti, non usa questo ciclo solo per eliminare, ma essa
lo sfrutta anche per la biosintesi. Le vie anaboliche sono le frecce rosse e in azzurro sono le tappe del ciclo
di Krebs. Dai vari intermedi metabolici del ciclo, partono le vie di biosintesi per formare, ad esempio, i
lipidi, che vengono prodotti quando la cellula fa il ciclo di Krebs, usa i suoi intermedi in maniera sufficiente.
Quando nel mitocondrio della cellula per le sue esigenze, il numero di molecole di citrato, ad esempio, è
sufficiente per sostenere le richieste di ATP nel ciclo di Krebs, allora quello che è in più può essere usato
dalla cellula per produrre grassi. Questo è importante dal punto di vista cellulare, perché gli zuccheri in
eccesso introdotti con la dieta, diventano grassi. Oltre ai grassi, si ottengono amminoacidi e basi azotate.
Dal succinil CoA si ottengono gli intermedi per costituire il gruppo eme per il trasporto dell’O2, mentre nelle
piante c’è il riferimento della clorofilla. L’ossalacetato può essere convertito in altri amminoacidi e basi
azotate e poi con la gluconeogenesi si ottiene glucosio dall’ossalacetato con cui è legato al piruvato con una
freccia che fa una reazione anaplerotica, che significa di riempimento, cioè se manca dell’ossalacetato per
sostenere il ciclo di Krebs, allora lo si deve rimpiazzare e l’unico modo per farlo è con la via della
gluconeogenesi e in particolare la prima reazione di
carbossilazione del piruvato con la piruvato carbossilasi che
produce ossalacetato. Quindi, il ciclo è importante perché
elimina CO2 e poi perché produce intermedi del ciclo che
hanno un ruolo nella biosintesi. C’è una via che ci differenzia
dalle piante e dai batteri, che non c’è nell’uomo, ed è il ciclo
del gliossilato, che è un altro impedimento metabolico che ci
contraddistingue: non c’è un sistema per produrre zuccheri e
questo rafforza la tendenza metabolica dell’uomo che va dagli
zuccheri alla loro trasformazione in grassi. Le vie metaboliche

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sono rimaste quelle dell’uomo primitivo, il cui interesse era quello di formare riserve metaboliche tutte le
volte che poteva. Così il nostro metabolismo si è evoluto per stoccare riserve in modo efficiente. Questa via
del gliossilato è ciclica ed è una sorta di bypass del ciclo di Krebs, che viene tagliato a metà. Gli organismi,
come le piante e i batteri, che hanno questa via possono produrre da lipidi gli zuccheri, cosa che l’uomo
non può. Questa via è nella cellula batterica o in organelli detti gliossisomi, per la cellula vegetativa. Viene
fatta con due enzimi: l’isocitrato liasi e il malato sintasi. Nei primi step del ciclo si ha somiglianza con il ciclo
di Krebs, in cui si ha il citrato, convertito in isocitrato e di solito, nel ciclo di Krebs, si elimina la prima
molecola di CO2, ma in questo ciclo no perché l’isocitrato liasi scinde il citrato in succinato e gliossilato, che
è COOH-CHO. Poi c’è il malato sintasi, che combina l’acido gliossilico con un’altra molecola di acetil CoA:
due atomi di C con altri due C formano l’acido malico o malato. Poi la via usa di nuovo un enzima del Krebs
che è il malato deidrogenasi che da malato fa ottenere ossalacetato. Non si ha eliminazione di CO2. Per
ogni ciclo, invece, esce una molecola di succinato e quindi si recupera una molecola a quattro atomi di C.
Nelle cellule vegetali, il gliossilato esce dai gliossisomi, va nel mitocondrio in cui sfrutta di nuovo il ciclo di
Krebs e poi l’ossalacetato in più viene usato per la produzione di glucosio. Tutto questo dice che questa via
del gliossilato non consuma l’acetile a CO2, ma costruisce con l’acetile che poi sfruttando la gluconeogenesi
diventa glucosio. Quindi è un sistema per convertire i grassi in zuccheri. Le molecole di acetil CoA sono
quelle che possono derivare anche dalla demolizione dei grassi: l’acetil CoA, che entra di solito in Krebs,
deriva da glucosio, da grassi o da amminoacidi. Alle piante e ai batteri interessa quello che proviene dai
grassi e le piante che hanno questa via hanno l’ossalacetato usato nella gluconeogenesi che deriva dal ciclo
del gliossilato che deriva dalla demolizione dell’acetil CoA. Quindi, i grassi danno due molecole di acetil
CoA. Sapere le formule dell’immagine.

FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA
Dentro i mitocondri, avviene la fosforilazione ossidativa che conclude il
metabolismo energetico. Ossidativa perché prevede l’intervento
dell’ossigeno molecolare e fosforilazione perché fa ATP da ADP. Il numero
delle creste che si trovano nei mitocondri è legato all’attività respiratoria
della cellula e questo processo avviene nella membrana interna,
organizzata in creste, del mitocondrio. Tra la membrana interna e quella
esterna si ha lo spazio intermembrana, mentre quella esterna è
attraversabile da tutti i metaboliti cellulari perché presenta molte proteine
di trasporto, come le porine, mentre sull’interna ci sono i trasportatori
specifici per i vari intermedi dei processi metabolici. La membrana interna
è fatta dal 70% di proteine e dal 30% di lipidi. Queste proteine non sono,
dunque, libere nella matrice. La fosforilazione ossidativa ha componenti

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che la fanno: proteine sotto forma di complessi che sono state purificate e studiate analizzando
l’organizzazione dei mitocondri solubilizzando le membrane, separandone i componenti, sia con il metodo
della centrifugazione seguito dalla cromatografia. Si vedono diverse provette e ciascuna corrisponde a un
complesso proteico coinvolto nella fosforilazione. Si hanno quattro provette che sono i quattro complessi
con enormi agglomerati, strutture quaternarie, con più subunità associate. In alcuni casi è detto ATP sintasi
o complesso cinque. I primi quattro servono per trasferire elettroni, mentre l’ultimo interagisce con P e
ADP formando ATP.
Dal ciclo dell’acido citrico, si ottengono un ATP, tre di NADH e un FADH2, cioè si hanno quattro molecole di
coenzimi ridotti, attraverso cui è possibile avere il trasferimento degli elettroni. Il NADH interagisce con i
quattro complessi della fosforilazione che definiamo i quattro complessi della catena di trasporto degli
elettroni. La fosforilazione ha un primo momento con la catena di trasporto e l’ultimo complesso è quello
che fa la sintesi dell’ATP. Se si vuole studiare in termini di Volt, allora si usano elettrodi per misurare i
potenziali redox dovuti al trasferimento di elettroni.
Le cellule hanno quattro modi per trasferire gli elettroni, per cui non è necessario avere enzimi per
effettuarlo perché è un processo non classificato come reazione enzimatica, ma si hanno comunque
molecole che hanno la capacità di trasferire gli elettroni:
- Li trasferiscono direttamente come elettroni nelle coppie redox, come Cu+ + Fe3+ <-> Cu2+ + Fe2+.
In queste coppie redox nelle cellule si possono avere metalli inseriti nelle proteine e quindi, quando
sono vicine due proteine con metalli, allora gli elettroni si spostano da questi atomi metallici.
- Li trasferiscono indirettamente sotto forma di atomi di H. Un atomo di H è fatto da un protone (H+)
e da un elettrone (e-). Questo è legato agli enzimi redox, cioè dove gli elettroni si muovono come
atomi di H.
- Li trasferiscono sotto forma di ione idruro (2 e- e H-). Questo avviene nelle reazioni che
coinvolgono il NAD ossidato.
- Li trasferiscono come una combinazione diretta tra un riducente organico con l’O molecolare
(esempio: l’ossidazione di un idrocarburo ad alcool) dove l’O è l’accettore di elettroni. L’O
molecolare riesce a interagire con un substrato, allora in quella reazione enzimatica, l’enzima può
generare un trasferimento di e- usando O molecolare.
In generale il termine equivalente riducente viene usato per indicare un elettrone che partecipa ad una
redox senza considerare in particolare se avviene secondo le modalità sopraindicate. I coenzimi piridinici e
flavinici hanno un equivalente riducente, cioè elettroni che possono essere usati nei loro processi. Il NADH
è un forte agente riducente che ha il compito di donare elettroni quindi ha un potenziale di riduzione
negativo: -0.320 Volt. O2 è un forte agente ossidante e ha il compito di accettare elettroni. Quindi, esso ha
un potenziale di riduzione positivo: +0.816 Volt. Il potenziale redox più è negativo, più vorrà dire che è alta
la sua possibilità di trasferire elettroni perché sono negativi e quindi si allontaneranno da un sistema che ha

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carica negativa. Più il potenziale è positivo più è grande l’affinità degli elettroni. Quindi, in una catena di
trasporto non esiste un passaggio diretto da NADH a O molecolare perché c’è un salto troppo grande di
energia tra i due e la cellula invece di sfruttarlo, genera un trasporto a più passaggi così da riuscire a
sfruttare meglio il salto energetico, recuperando energia. L’O2 ha molta affinità per gli elettroni quindi ha
un potenziale positivo. Vale l’opposto per il NADH, che ha bassa affinità. Tutte le reazioni di riduzione sono
capaci di dare elettroni e vanno verso l’ossigeno. Da NAD gli e- riducono il FAD. Sui mitocondri, quindi, si
hanno quattro complessi che trasportano elettroni fino ad arrivare all’acqua. Sarà l’ultimo complesso che
ha la capacità catalitica per sintetizzare l’ATP.
Questa rappresentazione disegna i
quattro complessi: il NADH cede
l’elettrone al complesso inserito nella
membrana e questo elettrone è
trasportato al coenzima Q, poi passa
al complesso giallo. Attraverso la
proteina sulla superficie della
membrana, va all’ultimo complesso in
cui interagisce con l’ossigeno
molecolare, che cede l’elettrone
trasformando l’O in H2O. Di tutto questo, facendo tutti i passaggi attraverso i vari complessi, si ottiene il
trasferimento di H+ verso lo spazio intermembrana. Così, si crea una concentrazione elevata di H+, cioè
protoni, che acidificano lo spazio intermembrana e creano anche una variazione elettrica di membrana che
si colloca nello spazio intermembrana, quindi, poi,
rientreranno, sfruttando un gradiente elettrochimico,
con l’ultimo complesso dell’ATP sintasi, nella sintesi.
Grazie a questo gradiente si ottiene la sintesi dell’ATP.
Gli elettroni si muovono secondo un potenziale redox
attraverso un processo spontaneo che non richiede
energia, che invece viene generata. Ogni salto porta la
possibilità di recupero energetico. Si vede che i quattro
complessi hanno un nome enzimatico: complesso della
NADH-Q riduttasi, perché tutto il complesso riduce il
coenzima Q; succinato deidrogenasi che si trova anche nel Krebs ed è l’unico enzima presente nella
membrana (tutti gli enzimi del Krebs sono invece liberi) e questa trasforma l’acido succinico in acido
fumarico usando FAD; citocromo C riduttasi che riduce il citocromo C; citocromo C ossidasi che interagisce
con l’O molecolare, che va a ossidare di nuovo il citocromo C e riduce l’acqua.

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Nessuno dei 20 gruppi R degli amminoacidi sa


trasferire elettroni perciò c’è la necessità di
coenzimi e di altre molecole organiche (gruppi
prostetici) che sappiano trasferire elettroni,
come i metalli. Rispetto allo schema
semplificato, si ha uno schema con le strutture
tridimensionali che significa che le molecole
sono state cristallizzate. Lato N è la matrice e lato P è lo spazio intermembrana perché durante il
trasferimento c’è anche il passaggio degli elettroni: nella matrice si ha il lato negativo perché ha perso H+.
Nella foto si vede che non è stata risolta la parte nella membrana. Gli elettroni dal complesso 1 vanno
direttamente sul quadrato giallo indicato come coenzima Q (additivo di molte creme e cosmetici) o
ubichinone. Il coenzima Q non è una proteina e non è inserito in una proteina, ma lo è in una membrana:
esso facilita il trasferimento degli e- facilitando il metabolismo energetico delle cellule e il trasferimento
degli elettroni all’O molecolare per formare ATP. Si tratta di una molecola piccola con una sequenza
ripetuta facendola assomigliare a una molecola lipidica ed è in grado di ricevere tutti e due gli e- del FADH2.
Gli elettroni vanno non dal NAD, ma fanno tutto il percorso nel complesso 1 e poi vanno al coenzima Q, che
è l’elemento mobile perché piccolo e, grazie alla sua natura lipidica, si muove tra i lipidi. Il complesso 2,
legato alla succinico deidrogenasi, è inserito in membrana (è risolta la parte di alfa-eliche) e gli elettroni
sono presi dalla reazione che trasforma il succinato in fumarato e vanno sul FAD che diventa FADH2 ed essi
vanno sul complesso Q. Questo complesso non trasferisce elettroni all’esterno. Dal complesso Q, gli e-
vanno sul citocromo C, poi sul complesso 3 e poi sul 4.
20.05.19
Tra questi 4 complessi, che sono associazioni quaternarie di
strutture proteiche, gli elettroni sono trasportati. Visto che i
complessi sono grandi, non c’è il salto dell’elettrone dal complesso 1
al 3, ad esempio. In realtà, essi sono dislocati sulla membrana e per
garantirne il trasferimento si usano degli elementi mobili, come il
coenzima Q (ubichinone, cioè ubiquitario, cioè in tutti gli organismi
con il metabolismo aerobio). Sul coenzima Q, seguendo le frecce
blu, arrivano e- dal complesso 1 e dal 2. Poi il Q trasferisce e- al
complesso 3 e dal 3 al 4 non c’è una linea continua degli e-, ma essi vanno su una piccola proteina mobile,
che è il citocromo C. Il citocromo C non è inserito nel doppio strato lipidico, non è solubile e interagisce con
il complesso 3 caricandosi dell’e- e trasferendolo al 4. Il citocromo C fa questo perché ha il gruppo eme
come gruppo prostetico. Nel citocromo C si ha un gruppo legato covalentemente alla catena peptidica, ci
sono residui di cisteina legati al gruppo prostetico, che è piatto, si chiama struttura tetrapirrolica o

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porfirina. Esso è una sorta di anello planare formato dai quattro pirroli, che sono gli anelli con l’atomo di N,
ogni pirrolo si coordina con un atomo di Fe, che riesce a trasferire gli elettroni (i residui amminoacidici non
sanno trasferire da soli gli elettroni, ma hanno bisogno di altre strutture). Si passa da Fe2 a Fe3. Tutti hanno
in comune l’anello pirrolico, ma cambiano i sostituenti esterni (non sapere la struttura). Il citocromo C
funziona da trasportatore di elettroni quindi.

COMPLESSO I
Il NADH, che è il trasportatore di e- sotto forma di idruro, interagisce dal lato della matrice con il primo
complesso e l’elettrone deve poi attraversarlo per arrivare a Q. Si tratta di un percorso guidato su gruppi
prostetici differenti dagli amminoacidi associati al complesso I che sono capaci di trasferire e-. Questo
complesso si chiama anche NADH deidrogenasi o NADH ubichinone ossidoreduttasi. Questo complesso,
essendo una deidrogenasi, appartiene ora alla classe VII degli enzimi perché oltre a ricevere gli elettroni dal
NADH, esso può traslocare i protoni nello spazio intermembrana. Si tratta di un traslocatore di protoni. Gli
elettroni, ceduti dal NADH, passano su un flavin mononucleotide, che deriva dalla riboflavina ed è una
chinasi. Il loro percorso avviene su centri Fe-S, già citato con l’enzima aconitasi nel ciclo dell’acido citrico e
che trasferisce elettroni il più velocemente possibile. Di centri Fe-S ce ne sono tanti: si parte da un centro
normale che è un atomo di Fe e nessun atomo di S perché quel Fe è coordinato a quattro cisteine (il legame
di coordinazione non è covalente, ma in realtà è un legame che permette a un metallo di completare il suo
doppietto più esterno). Si può anche avere un centro con due atomi di Fe e due atomi di S, contrassegnato
con la lettera b, senza considerare lo S appartenente alla cisteina. Questi complessi Fe-S sono gabbie
differenti dagli atomi di S che costituiscono il gruppo SH delle cisteine.
Un altro caso è quello in cui si hanno quattro atomi di Fe e quattro di S con geometria cubica e in cui si ha la

coordinazione con le cisteine e questo si trova nell’aconitasi. Questi centri in generale hanno potenziali
redox da -0,65 a +0,45V. Dato che gli elettroni si muovono da potenziali negativi a quelli positivi, allora essi
saltano da un centro all’altro seguendo il potenziale di riduzione andando verso potenziali più positivi. Non
si può definire con precisione il potenziale redox associato all’atomo di Fe in a o in b o in c perché questi
potenziali variano in funzione dell’intorno proteico in cui sono collocati. Il complesso I è fatto da 42
subunità con due gruppi prostetici (flavin mononucleotide e Fe-S). Il numero di protoni trasferiti nello
spazio intermembrana non è fisso.

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COMPLESSO II
Esso porta gli elettroni sul coenzima Q ed è un secondo punto di ingresso degli elettroni nella catena
respiratoria. Questa volta, questo complesso è rappresentato dalla succinico deidrogenasi, che è un enzima
del ciclo dell’acido citrico che viene trasformato in acido fumarico. La succinico deidrogenasi è l’unico
enzima a essere collocato nella membrana interna mitocondriale. La succinico deidrogenasi contiene FAD,
che diventa FADH2 e trasferisce elettroni al CoQ. Anche questo complesso, pur essendo più piccolo del
primo perché ha solo 5 subunità, oltre al FAD, esso ha centri Fe-S. Questo complesso non può traslocare
protoni nello spazio intermembrana e quindi se gli elettroni entrano nella catena di trasporto come NADH,
passano nel complesso I e da subito vanno nello spazio intermembrana, se entrano come FADH2 dal
complesso II, allora non si ha subito il trasporto nello spazio intermembrana. Questo contribuisce al potere
di produrre ATP del NADH rispetto al FADH2: il NADH riuscirà a produrre più ATP rispetto al FADH2, che
invece si perde la possibilità di trasferire elettroni nello spazio intermembrana.

COMPLESSO III
Esso può trasferire protoni nello spazio intermembrana ed esso è detto anche ubichinone citocromo C
ossidoreduttasi. Ha 11 subunità, 250.000 Dalton, ha centri Fe-S e oltre a questi ha anche gruppi eme. Nella
parte più interna, con le alfa eliche nella membrana, si hanno gruppi eme b in rosso. C’è anche il CoQ con
cui interagisce. Quindi, gli elettroni, da questo percorso sul complesso III, vanno sul citocromo C che è
evidenziato in alto. Ci sono
anche gruppi eme c1. Il
risultato netto è semplice:
il QH2 è ossidato a Q, due
molecole di citocromo c
vengono ridotte e si trova
il trasferimento dei
protoni nello spazio
intermembrana.

COMPLESSO IV
Da qui gli elettroni con il citocromo C passano sul citocromo c ossidasi e il complesso IV ha 13 subunità e
contiene atomi di Cu oltre che a gruppi Fe-S. Il citocromo C trasporta un solo elettrone per volta, mentre
l’ubichinone ne porta anche due. Il citocromo C va sul rame, passa sui gruppi eme, va su un altro atomo di
rame ed è lì che si vede che l’atomo di rame che è all’interno, può interagire anche con l’ossigeno
molecolare. Si tratta della prima volta in sui si vede l’ossigeno atmosferico che entra in una reazione del
metabolismo ossidativo. Gli elettroni trasportati seguendo il potenziale redox, partono dal NADH che ha un

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suo potenziale negativo arrivando fino a ridurre l’O molecolare che ha potenziale estremamente positivo
(0.8 V). L’O molecolare è ridotto e si ottiene acqua. A questo punto, ciò che rimane sono questi H+, cioè
protoni, che durante il trasporto degli elettroni, sono trasferiti all’esterno formando un gradiente
protonico ed elettrochimico perché la concentrazione di H+ è maggiore nello spazio intermembrana
rispetto alla matrice ed è elettrico perché così si crea un lato P, positivo all’esterno, e uno N negativo
all’interno.
A livello del complesso II, quando entra il FADH2 con gli elettroni, entrano anche, non solo con il complesso
della succinico deidrogenasi, ma anche con una catena di trasporto degli elettroni che deriva dalla
demolizione dei lipidi che è nella matrice. Poi, sulla superficie verso lo spazio intermembrana, si ha un altro
enzima con il FAD che è coinvolto nella trasformazione del glicerolo 3-P a gliceraldeide 3-P: è la glicerolo 3-
P deidrogenasi. Questo, quindi, è un altro modo per incanalare gli elettroni nella catena respiratoria,
riducendo il CoQ.

TRASPORTO DELL’OSSIGENO: EMOGLOBINA E MIOGLOBINA

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Ora si deve vedere come l’O molecolare viene trasportato negli organismi. L’O
non si scioglie bene nelle cellule e quindi, anche a livello di batteri, si hanno
strutture proteiche che interagiscono con esso. Anche negli animali ci sono
sistemi, come l’emolinfa. L’emoglobina è, per l’uomo, l’elemento deputato al
trasporto dell’ossigeno molecolare ed è una proteina di tipo allosterico perché
ha un meccanismo con il suo ligando, che è l’ossigeno, di tipo allosterico.
Accanto a essa, c’è anche la mioglobina, che trasporta l’ossigeno a livello dei
muscoli e non nel sangue. I muscoli hanno bisogno di ATP e usano glicolisi e anche metabolismo aerobico.
L’ossigeno arriva con il sangue ai muscoli, in cui viene diffuso in maniera efficiente usando la proteina
mioglobina, che è sempre una globina ed è stata una delle prime proteine a essere studiata. La mioglobina
ha una sola catena polipeptidica, quindi non ha struttura quaternaria e lega l’O molecolare, ma non ha un
meccanismo allosterico. Essa è fatta da alfa eliche ripiegate e ha un gruppo prostetico, che è di nuovo eme.
Gli amminoacidi non possono legare l’O, il Fe o il Cu, che, invece, hanno una forte tendenza a legare l’O
attraverso il gruppo eme dell’emoglobina che lega l’O. Il gruppo eme ha una forma planare e i vertici sono
atomi di N che si coordinano con un atomo di Fe in
quattro punti. Nel gruppo eme, il Fe è Fe2 e, essendo
questo l’atomo da usare per legare l’O e non avendo
una transizione come quella del citocromo C, per
funzionare bene bisogna evitare una sua ossidazione
(Fe3). Si hanno due coordinazioni assiali sopra e sotto
al gruppo eme e sono queste che consentono al Fe del
gruppo eme di coordinarsi con l’O molecolare. Nel gruppo eme, in realtà, si ha l’atomo di Fe che sporge per
0,4 A, ma quando si lega l’O, allora si allinea perfettamente. Quei due atomi rossi sopra il piano sono i due
atomi dell’O. Non si ha un legame covalente con la catena polipeptidica, ma si ha solo un legame di
coordinazione con l’istidina, in posizione conservata, che è definita anche istidina prossimale perché vicino
al gruppo eme.
L’O molecolare è mantenuto in posizione verticale perché è coordinato contemporaneamente con un altro
residuo di istidina (istidina distale) conservato. Questi legami di coordinazione servono per mantenere fisso
l’O molecolare nel gruppo eme. Questa coordinazione è importante perché consente di evitare che gli
elettroni, dal Fe, si spostino sull’O molecolare e, quindi, si evita il formarsi di una molecola reattiva per
l’ossigeno: è un superossido, perciò una specie reattiva dell’O che appartiene alle molecole ROS. Essa è
molta reattiva e provoca danni alle macromolecole biologiche (lipidi e proteine). Quindi, le nostre cellule
devono fare in modo che l’O molecolare non vada a ossidare il Fe2 in Fe3 perché sennò si trasformerebbe
in ione superossido diventando dannoso. Quando si forma, si crea la metaemoglobina o metamioglobina:
la mioglobina conferisce la corolazione rossa al muscolo, ma può diventare marrone, perché è dovuto al

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formarsi della meta mioglobina (globina che si è ossidata grazie all’O). Se ciò accade, quando il gruppo eme
ha il Fe3, allora non può più trasportare ossigeno.
L’emoglobina è formata da quattro subunità, ciascuna contiene un
gruppo eme, quindi, ogni subunità lega una molecola di O molecolare.
Essendo essa una proteina allosterica, il grafico di legame con l’O è
come il grafico della velocità enzimatica in funzione del substrato: qui
non si ha il substrato, ma si ha l’O che deve andare nel sito attivo
dell’emoglobina, cioè il gruppo eme. In ascissa c’è O, in ordinata si ha
una % di saturazione delle molecole con l’O molecolare. Si vede che la
curva di legame è con l’O e l’emoglobina ha una curva sigmoide, spostata più lontana dall’asse y (cioè è
meno affine e ha una velocità inferiore), quindi, l’emoglobina è meno efficiente della mioglobina nel legarsi
all’O. La mioglobina ha un’iperbole quasi tutta schiacciata verso l’y. Questo ha anche un suo uso: nel
sangue si ha l’emoglobina, arriva ai muscoli e, attraverso i capillari, l’O passa sulla mioglobina dei muscoli,
perché essa è più affine. Tutte le molecole di emoglobina nel sangue raggiungono il 50% di saturazione a 26
torr.
Questo grafico mostra il vantaggio evolutivo nell’aver dato
all’emoglobina il compito di trasportare O nel sangue. Il
vantaggio è che l’emoglobina è una proteina allosterica e quindi
lega l’O con un meccanismo cooperativo. Quando si è a livello
dei polmoni con una pressione di O a 100 torr, osservando la
curva dell’emoglobina, si vede che essa è al 100% tutta legata
con O molecolare. All’atto dell’espirazione, il sangue negli alveoli
si carica completamente di O. Se si va a livello dei tessuti, in cui la
percentuale di O scende molto (a 20 torr), seguendo la curva dell’emoglobina, essa non è più saturata al
100%, ma perde l’ossigeno cedendolo ai tessuti per un 66% (66 molecole su 100 di emoglobina cedono O ai
tessuti). Se nel sangue ci fosse la stessa mioglobina dei
muscoli, allora la curva sarebbe la verde: nei polmoni
non c’è problema, ma nei tessuti sì. Infatti, a 20 torr nei
tessuti, si vede che dove si incontra la linea verde si è
perso solo un 7% delle molecole di O legate alla
mioglobina. Quindi, la mioglobina non sarebbe
efficiente nel trasferire l’O perché è troppo affine.

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Quando si lega l’O, ogni subunità cambia la propria conformazione. Nell’emoglobina deossi c’è una
rotazione di 15 gradi, come se le subunità si avvitassero su se stesse dopo il legame con l’O. Questo legame
induce un cambio da forma T, tesa, a R, rilassata. Quando il Fe si allinea, sposta con sé anche l’istidina
prossimale. Come per gli enzimi allosterici, anche per l’emoglobina vale la descrizione sia con il modello
sequenziale di Koshland sia quello concertato di Monod, Wyman e Changeaux: in un caso si ha la
transizione di tutte e quattro le subunità nel momento del legame con O, nell’altro avviene
progressivamente. Essendo allosterica, allora oltre al punto in cui c’è il legame con O, ci sono anche siti per
effettori allosterici, che ne modulano l’attività, che non è enzimatica perché l’emoglobina non è un enzima.
I modulatori allosterici che reagiscono con la superficie dell’emoglobina favoriscono o inibiscono il legame
con l’O molecolare. L’effettore più importante è la molecola 2,3-BPG, che è il bifosfoglicerato. Nella
struttura tridimensionale non interagisce con il gruppo eme in cui c’è l’O, ma interagisce in una posizione
centrale della struttura dell’emoglobina, in particolare fa da ponte
tra le subunità beta. Il suo ruolo è quello di abbassare l’affinità
dell’emoglobina verso l’O molecolare. Quando si studia
l’emoglobina, si studia quella dei globuli rossi ed è l’emoglobina che
effettivamente lega il 2,3-BPG, cioè è come se fosse depotenziata e
all’organismo va bene così perché, essendo depotenziata, essa può
cedere a livello dei tessuti O in grandi quantità. Il responsabile, oltre
alla struttura quaternaria, è nel 2,3-BPG perché, con i metodi di
purificazione e togliendo il 2,3-BPG, si vede che l’emoglobina si
avvicina al meccanismo della mioglobina, diventando più affine. Quando arriva nei tessuti con p=20 torr
essa è molto affine e lascia solo un 8% di O. Il 2,3-BPG ha anche un
ruolo fisiologico importante nel trasferimento del sangue dalla
mamma al feto: la mamma dà O molecolare al feto con la
circolazione sanguigna e questo avviene grazie al fatto che
l’emoglobina materna è la classica emoglobina con il 2,3-BPG,
mentre, quella del feto, ha una struttura diversa. Essa ha sempre
una struttura quaternaria, ma con due catene alfa e due gamma.
Le gamme non legano il 2,3-BPG per cui i globuli rossi del feto
sono più affini all’O molecolare. Così, attraverso il cordone, il sangue materno è a contatto con quello del
feto, si ha il trasferimento di O, oltre che di sostanze nutritive. Questo trasferimento non sarebbe ottimale
se l’emoglobina del feto fosse uguale a quella materna.

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L’avvelenamento da CO, monossido di carbonio, altera il trasporto di O e si lega nello stesso sito di legame
per l’O. Si lega con maggiore affinità rispetto all’O e il suo legame sposta la curva di saturazione verso
sinistra, perché è più affine. Una caratteristica che, invece, riguarda gli effettori positivi o negativi, è quella
che va sotto il nome di effetto BOHR, di tipo allosterico. Man mano che il pH diventa più acido, la curva di
legame con l’O si allontana da y, quindi, l’ambiente acido rende l’emoglobina meno affine all’O. Quando,
nel corpo, si hanno casi di acidosi, il trasporto dell’O molecolare ne risente. A livello dei polmoni, invece, si
trova il punto più affine all’emoglobina.

Nel muscolo si ha poco ATP, che, quindi, viene subito consumato. Si usa poi la creatina P, la glicolisi e,
infine, il metabolismo aerobico. Quindi, l’O deve arrivare al muscolo, dove viene ceduto. L’emoglobina con
l’O arriva in prossimità del tessuto muscolare, lì c’è una p= 20 torr e quindi l’emoglobina si scarica per il
66% dell’O. L’O, però, non entra liberamente nelle cellule muscolari perché dev’essere veicolato: passa
allora sulla mioglobina. La mioglobina porta l’O nei muscoli, dove ce n’è bisogno, interagendo, così, con la
catena di trasporto degli elettroni. Gli elettroni vanno sull’O, lo riducono ad acqua, e, l’altro prodotto di
rifiuto della respirazione aerobica, è la produzione di CO2, che a differenza del CO, non compete con lo
stesso sito per l’O, ma si lega anche lei all’emoglobina su siti diversi (in particolare si lega all’estremità
ammino-terminale delle quattro catene). Non è tanta la CO2 che riesce a essere legata all’emoglobina. Una
quota di CO2 rimane nei globuli rossi e, se rimanesse come CO2 gassosa, allora nel sangue si potrebbero
formare bolle di CO2. Per evitarlo, nei globuli rossi esiste un enzima efficiente, chiamato anidrasi
carbonica, che idrata la CO2 con estrema efficienza per cui si forma acido carbonico, che poi è subito in
equilibrio come bicarbonato (HCO3- e H+), che funziona quindi come sistema tampone. Poi, una quota di
CO2 si lega covalentemente con l’emoglobina. Quando si arriva ai polmoni, il sangue venoso carico di CO2,
cede anidride carbonica, che viene espulsa con l’espirazione. Poi, è eliminata anche la CO2 dell’emoglobina,
che si carica di O molecolare perché nei polmoni c’è un p=100 torr (quasi tutta l’emoglobina si ricarica).
Una particolarità a livello dei globuli sta nella sindrome dell’anemia falciforme. In questo caso, il numero
dei globuli rossi diminuisce perché essi non hanno la classica forma concava, ma hanno una forma a falce.
Questa loro forma (anche a punta) è dovuta a una mutazione di un solo amminoacido nella catena
polipeptidica dell’emoglobina: c’è una valina in 6 al posto dell’acido glutammico. Questa sostituzione
provoca vari problemi: i globuli rossi vengono distrutti e il soggetto diventa anemico. Tutto succede perché

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l’emoglobina, quando mutata, assume una forma tridimensionale diversa, detta emoglobina S, ed è una
molecola quaternaria appiccicosa, cioè forma aggregati che poi precipitano. Essa è appiccicosa perché le
quattro subunità mutano forma, essi formano aggregati sotto forma di catene (non sono semplici grumi),
che sono catene di emoglobina che si aggrega come se polimerizzasse. Si vede che si rompe la membrana,
rompendo il globulo rosso. Questa malattia, però, si è mantenuta fino a noi, nonostante sia molto grave,
perché a volte, questi problemi molecolari genetici sono, dal punto di vista della pressione evolutiva, dei
vantaggi: in questo caso il vantaggio sta nel fatto che i soggetti che sono eterozigoti per l’emoglobina
falciforme, sopravvivono e in più essi non si ammalano di malaria.

COMPLESSO V
Le strutture, nel 1979, non si conoscevano bene, ma si sapeva dell’esistenza del complesso V che deve
sintetizzare l’ATP. Il complesso V è anche detto ATP sintasi: è fatto da proteine di membrana e aveva anche
una parte sporgente nella matrice. Ci sono diverse ipotesi per terminare la fosforilazione ossidativa:
- Accoppiamento chimico.
- Accoppiamento conformazionale.
- Accoppiamento chemio osmotico, che si è rivelato quello corretto.

FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA 2

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La teoria chemio osmotica fu proposta da Peter Mitchell nel 1961 e poi


egli ricevette il Nobel nel 1978. L’ATP sintasi è il complesso V e attraverso
questo gli elettroni, accumulati nello spazio intermembrana, rientrano
nella matrice. Questo non comporta dispendio energetico, perché
durante tutti i passaggi si è generato un gradiente grazie al quale gli H+
rientrano. La porzione che sporge verso l’interno della matrice è chiamata
parte F1 ed è quella responsabile della sintesi dell’ATP, mentre la F0 è
quella che fa entrare i protoni, gli H+. Mitchell parlava anche di forza

elettromotrice (F.E.M.). Metti immagine 2. La parte F1 è stata cristallizzata


e ha una sorta di stelo, che è la subunità gamma fatta da un’elica
attorcigliata su se stessa. Poi c’è un esamero fatto da tre subunità alfa e da
tre beta alternate. Ogni subunità può legare l’ATP o l’ADP, ma solo le beta
sono quelle responsabili della catalisi, cioè della sintesi dell’ATP. Quindi, le
alfa legano, ma non sintetizzano. In corrispondenza della subunità beta, si
ha la reazione ADP+P che porta ad ATP, poi c’è una subunità delta che
interagisce con la parte inserita nella membrana e poi c’è una subunità
epsilon che interagisce con la gamma. La F0 è quella sensibile
all’oligomicina ed è quella con il canale per il passaggio dei protoni con le subunità che sono di numero
diverso in base ai tipi cellulari anche all’interno della stessa specie. Le epsilon fanno anche ruotare la
gamma. La subunità c, il canale, è legato a una subunità a inserita in membrana, dalla quale parte quella
sorta di ancoraggio che è il braccio b2. Si tratta di un ancoraggio che tiene ferma la corolla con le subunità,
mentre gira lo stelo. La F1 ha tre siti attivi che catalizzano a turno la sintesi di ATP (chiamata anche catalisi
rotazionale, a livello dei mitocondri, per distinguerla dal meccanismo di produzione di ATP che è nella
glicolisi, ma si chiama fosforilazione da substrato).

CATALISI CONFORMAZIONALE
Nello schema c’è la corolla, le subunità beta, ce ne sono tre, sono quelle
attive, ma non contemporaneamente: in ogni istante si trovano in tre
conformazioni diverse perché questa catalisi è associata a modifiche
conformazionali. Si ha una variazione che porta alla sintesi dell’ATP. Ci sono
le tre beta che si trovano in conformazioni diverse:
- T, tesa, ma stretta (tight) in cui si vede che l’ADP è talmente vicino al
gruppo P, che viene sintetizzato il legame covalente dell’ultimo gruppo P e
si forma, così, ATP.

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- L, che è quella lassa, in cui si trova l’ADP e il P che sono presenti nel sito attivo però sono in forma
lassa, non stretta, quindi non si legano.
- O, open, che può rilasciare i prodotti, cioè ATP, e di caricarsi di ADP e P.

Ciò che fa variare le subunità in queste conformazioni è l’interazione con lo stelo gamma: esso cambia la
sua conformazione diventando così stretta da consentire la sintesi di ATP. I diversi momenti di questa
catalisi sono illustrati in un’altra immagine, dove si parte dalla coformazione iniziale: il petalo è disteso e
poi, muovendosi in senso antiorario, si va verso la conformazione L in cui ADP e P
non erano vicini, ma ora lo diventano e l’ATP è sintetizzato. Simultaneamente, la
subunità gialla passa nella conformazione O e quindi rilascia l’ATP prodotto. La O
diventa L, esce l’ATP, O può ospitare così un ADP e un P, e ora, arrivati nell’ultima
rappresentazione, si ha la rotazione di nuovo di 120 gradi. Quindi in O va l’altro
petalo, rilascia ATP, quello che era verde diventa in conformazione stretta
facendo ATP e quello che era O diventa L. A ogni giro completo, di 360 gradi,
vengono sintetizzate tre molecole di ATP.
Come fanno, però, gli H+ a far ruotare il tutto? Le due strutture in basso, la gialla e
la marrone, sono le subunità alfa e beta, che interagiscono con l’ATP e che hanno
il sito che lega ATP. Poi è definita la subunità c, quella azzurra, e sono due pezzi di
elica avvolti su se stessi. Quello che ruota è l’anello delle subunità c. Il
meccanismo prevede: entra l’H+ in corrispondenza di a, seguendo il suo
gradiente. Esso viene poi trasferito alla subunità c, che è in corrispondenza e si ha una sorta di spazio nella
catena polipeptidica dovuto a residui amminoacidi. Ogni subunità a presenta un canale protonico che porta
dal citosol al centro della membrana. Ciascuna subunità c, caricata con il protone, arriva in corrispondenza
della subunità a, dove cede l’H+, che passa, poi, all’interno della matrice. Questo protone adiacente della
subunità c esce dal secondo canale della subunità a e raggiunge il versante N, in cui la concentrazione di H+
è relativamente bassa. Si vede sempre un flusso di un protone che entra in a e uno, diverso, che esce da a.
Macroscopicamente, si vede un flusso di H+. I protoni vengono pompati nello spazio intermembrana che
rientreranno, con l’ATP sintasi, nella matrice. Il numero di protoni necessario per produrre una rotazione
completa è uguale al numero delle subunità c presenti nell’anello.

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Contando e facendo stechiometria, si deve memorizzare che sull’ATP sintasi, stechiometricamente e


collegando il flusso di e- alla molecola di NADH, si formano 2,5 molecole di ATP da ogni NADH, mentre dal
FADH2, che entra nel complesso II e perde la fuori uscita di protoni del complesso I, sfruttando, così, solo
quello del complesso III e IV, esso fa solamente 1,5 molecole di ATP. Tenendo a mente questo: la glicolisi fa
due molecole di ATP per ogni glucosio, mentre la respirazione aerobica, che parte dal glucosio nel citosol e
finisce nel mitocondrio con Krebs e con la fosforilazione ossidativa, fa 30 molecole di ATP (esso è in
vantaggio per le specie che lo usano). Nel flusso della glicolisi si formano anche due molecole di NADH che
servono poi nel conteggio finale. Si ha la conversione del piruvato in acetil CoA con la piruvato deidrogenasi
e si ottengono anche 2 molecole di NADH (avviene nel mitocondrio), che entra nella catena di trasporto di
e- formando 2,5 molecole di ATP. Ogni molecola di glucosio dà 30 molecole di ATP con la fosforilazione
ossidativa.
27.05.19
Nel conteggio complessivo, c’è anche il NADH che si sviluppa nel citosol: questo NADH è quello che
dev’essere ricostituito se la glicolisi avviene in condizioni anaerobiche (fermentazione). Se si fa il
metabolismo aerobico, si deve conteggiare il NADH prodotto nel citosol allora. Citosol e mitocondri sono
separati dalla doppia membrana e il NADH prodotto nel citosol rimane lì perché separati. Nel corso
dell’evoluzione, mitocondri e cloroplasti rimangono negli ambienti protetti con scambi molto regolati e
addirittura essi del loro personale DNA: non sono autonome, ma sono comunque più separati degli altri
organelli. Quindi, il NADH, e lo stesso vale per il CoA, rimane nel citosol o nel mitocondrio in base a dove si
trova. Anche per certi isoenzimi c’è sempre la variante citosolica e quella mitocondriale proprio perché il
trasporto tra i due è basso. Quindi, questo NADH non può entrare neanche nella catena di trasporto degli

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elettroni. Per conteggiare il NADH, allora la cellula


usa i sistemi navetta o shuttle. Quindi, il NADH è
usato per la reazione del glicerolo 3-fosfato
deidrogenasi, di classe I, che riduce il
diidrossiacetone fosfato (a livello dell’atomo di C
con il doppio legame con O) a gruppo alcolico
formando il glicerolo fosfato, che riesce a entrare
nel mitocondrio e non entra proprio nella matrice
perché trova un enzima collocato sulla membrana
interna mitocondriale che fa la stessa funzione: è
sempre una glicerolo 3-fosfato deidrogenasi che riconverte il glicerolo 3-fosfato a diidrossiacetone fosfato.
Questo secondo enzima che fa la reazione contraria non usa il NAD come coenzima, ma usa il FAD. Allora,
riportando la reazione a diidrossiacetone fosfato, è sintetizzata una molecola di FADH2, che entra nella
catena di trasporto degli elettroni. Non è l’unico sistema navetta della membrana interna, ma c’è quello
alternativo che forma due molecole di ATP in più: è il sistema della malato-aspartato. Qui compare il NADH
della glicolisi che viene usato per far avvenire la reazione della malato deidrogenasi che si trova nel ciclo di
Krebs e c’è anche l’isoenzima citosolico e converte l’ossalacetato in malato. Questo espediente è utile
perché esiste sulla membrana interna il trasportatore del malato, che è così internalizzato e poi, all’interno,
è riconvertito in ossalacetato con la produzione di NADH.
Si vede che il trasportatore che trasporta il malato funziona per far uscire una molecola di alfa
chetoglutarato, che è un chetoacido e per
far entrare malato. Si tratta di una
trasformazione tra un alfa cheto acido e
un amminoacido, che è una reazione
tipica del ciclo degli amminoacidi. Per
fare questa trasformazione (da
ossalacetato ad alfa chetoglutarato),
entrano in gioco glutammato e aspartato
che devono esserci nel mitocondrio.
L’ATP deve uscire perché una quota è usata nel mitocondrio, ma ce n’è bisogno, per le biosintesi, anche al
di fuori del mitocondrio. Per uscire usa il sistema ATP/ADP traslocasi che è ottimale perché per ogni
molecola di ATP che butta fuori, fa entrare una molecola di ADP, che è il substrato da fosforilare durante la
fosforilazione ossidativa. Esistono anche altri trasportatori, non per tutto, ma ad esempio ce n’è uno del
piruvato, del fosfato, del malato e del citrato.

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REGOLAZIONE
Ci dev’essere la catena di trasporto di elettroni per avere anche il funzionamento dell’ATP sintasi. La
fosforilazione ossidativa e il trasporto sono dipendenti uno dall’altro quindi se si blocca uno, si blocca anche
l’altro. La produzione di ATP, dal punto di vista molecolare, non usa l’O, che si trova alla fine del trasporto
della catena degli elettroni. Se si blocca la catena di trasporto, non si forma il gradiente di H+ e non si può
così formare ATP. Il flusso attraverso questi processi è alto quando sono alti FADH2 e NADH. Questa è una
regolazione legata alla disponibilità del substrato, perché se si hanno tanti coenzimi ridotti, essi alimentano
la produzione di ATP. Al tempo stesso, se la carica energetica è bassa e non si ha ATP, ma si ha ADP, anche
questo entra nei mitocondri favorendo l’attività della produzione di ATP con respirazione aerobica.
Ci sono molti inibitori, che vanno a inibire la catena di trasporto, altri inibiscono l’ATP sintasi e alcuni sono
famigliari:
- Antimicina, antibiotico, che blocca il passaggio da Q-citocromo c ossidoreduttasi a citocromo c-
ossidasi. Esso va a inibire la catena di trasporto.
- Cianuro, che blocca laddove avviene l’incontro con O molecolare e lavora sulla citocromo ossidasi.
Qui lavora anche CO.
Queste molecole bloccano la formazione del gradiente di H+ impedendo l’azione dell’ATP sintasi.
- Nell’ATP sintasi, il canale protonico è bloccato dall’oligomicina, che è un inibitore della respirazione
mitocondriale ed è un antibiotico, che però lavora a livello dell’ATP sintasi.
Poi ci sono altre due categorie:
- Inibitori del trasferimento di ATP al citoplasma, che inibiscono l’ATP traslocasi e l’ATP rimane solo
nel mitocondrio. Essi sono antibiotici.
- Agenti disaccoppianti, che sono erbicidi che funzionano perché bloccano il metabolismo
mitocondriale delle piante. Questo ha un’azione particolare perché è un agente disaccoppiante,
vuol dire che la fosforilazione avviene, si genera il gradiente di H+, che però non riesce a essere
sfruttato per far funzionare l’ATP sintasi. Questo è in senso negativo, in realtà nel nostro corpo, si
ha un evento che riguarda una parte del tessuto adiposo bruno (soprattutto sul petto), in cui
avviene fisiologicamente un evento disaccoppiante: si vede che la catena di trasporto è sintetizzata,
si genera il gradiente, poi c’è l’ATP sintasi con F1 e F0. L’agente disaccoppiante localizzato nel
tessuto adiposo bruno è una proteina di membrana, la termogenina, che va a costituire un bypass
perché gli H+ portati nello spazio intermembrana, rientrano nella matrice passando attraverso la
termogenina e non con l’ATP sintasi. La termogenina non fa ATP, ma fa calore. Questo è un
vantaggio perché il nostro corpo può aver bisogno di calore soprattutto se si vede la localizzazione
del tessuto adiposo bruno, detto così perché molto ricco in mitocondri (in cui lavora l’agente

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disaccoppiante della termogenina)


che hanno tutti i citocromi con i loro
gruppi eme, che hanno una
colorazione marrone perché
interagenti con il Fe. Se esposti al
freddo, l’attività di questo tessuto
diventa evidente. Questo è evidente
anche nei neonati che non hanno un
sistema di regolazione di temperatura maturo. Anche alcune specie, come i cavoli che si raccolgono
in inverno, riescono a sopravvivere al freddo rispetto ad altre specie perché hanno l’agente
disaccoppiante che fa calore.

Il sistema della produzione di ATP e, soprattutto, l’accoppiamento del gradiente di H+ per fare ATP non è
una prerogativa nei mitocondri, ma si trova anche a livello dei cloroplasti. A livello delle foglie, (piante
hanno i mitocondri) si hanno i cloroplasti, che hanno la doppia membrana e in più hanno i tilacoidi. Sulla
membrana dei tilacoidi si hanno diverse proteine, tra le quali proteine che trasportano i protoni e che
possono creare un gradiente di H+. Sulla membrana si hanno i fotosistemi I e II che contengono il pigmento
della clorofilla che è simile al gruppo eme: anello tetrapirrolico con Mg e non Fe e assorbe luce. Il
meccanismo della generazione di un gradiente e dell’energia chimica ed elettrica, sono sfruttati anche dai
cloroplasti per fare ATP. Gli elettroni partono non dal NADH, ma sono strappati dalla molecola di H2O
(fotolisi dell’acqua) in cui la luce e l’irraggiamento della radiazione solare strappano elettroni da acqua
generando O. Questa è un’ossidazione dell’acqua e gli elettroni cominciano un percorso sulla membrana
dei tilacoidi. Questo percorso genera un gradiente di H+, (stroma=matrice). Si arriva al fotosistema I in cui
ricevono l’irraggiamento luminoso e ancora fanno un percorso in cui, alla fine, arrivano a produrre un
coenzima piridinico ridotto, che è il NADPH. Nei mitocondri, invece, si parte dal coenzima piridinico per
arrivare all’acqua, qui, invece, è l’opposto grazie all’energia presa dall’irraggiamento luminoso. Questo
NADPH è usato per la biosintesi della molecola di zucchero, mentre il gradiente di H+ fa funzionare un’ATP
sintasi simile a quella dei mitocondri: funziona
con la catalisi rotazione, ha una parte verso la
membrana e una verso lo stroma, forma ATP
usato per la biosintesi di molecole saccaridiche
in primis e poi anche altre molecole. Questo
meccanismo è chemio osmotico e si ritrova nei
mitocondri, in cui l’ATP usa il gradiente di H+,
nei cloroplasti, in cui l’ATP è fatto nello stroma,

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nei batteri, in cui non si hanno organelli, ma hanno ATP sintasi e catena di trasporto degli elettroni sulla
loro unica membrana, cioè quella plasmatica. Quindi, gli organismi viventi ottengono la grossa quota di ATP
con i complessi dell’ATP sintasi che lavorano con gradienti di H+.

VIA METABOLICA DEI PENTOSI


Quando il glucosio non dev’essere
stoccato, allora segue la glicolisi o la via
dei pentoso fosfati. I pentosi sono
zuccheri a 5 atomi di C, così si forma
ribosio 5-fosfato, che si trova nei
nucleotidi. Tutte le cellule in attiva
proliferazione hanno, quindi, bisogno di
questa via per fare ribosio per fare acidi
nucleici. Questa via ha una parte
ossidativa e una non ossidativa. Quella
ossidativa parte dal glucosio 6-fosfato
arrivando al ribosio 5-fosfato. Questo
pezzo della via dei pentosi, detta fase
ossidativa, usa il coenzima piridinico
NADP. Si è nel citosol e si vede che ci sono due passaggi che fanno NADPH perché si ottiene ciò che nella
diapositiva è in rosa: ribosio e 2 NADPH. I coenzimi ridotti servono per le vie biosintetiche. Per le ossidazioni
servono i coenzimi ossidati, mentre per le riduzioni, cioè le biosintesi, si usano i coenzimi ridotti. Questo
coenzima piridinico ridotto ottenuto non è usato nella catena di trasporto degli elettroni, ma è usato per
fare le biosintesi, in particolare delle molecole lipidiche, come acidi grassi o steroli. Poi l’altro impiego del
NADPH è quella di far funzionare l’enzima glutattione reduttasi, che è un tripeptide e svolge un ruolo
importante nella difesa delle cellule dai danni ossidativi. Per cui, visto che tra i tre amminoacidi che lo
fanno c’è la cisteina, che è l’unico aa che porta alla formazione di ponti S-S, dentro le cellule nel citosol si
hanno allora molecole di glutattione, cioè 2 GSH, e molecole di GSSG, cioè glutattione ossidato con i S-S tra
due molecole di glutattione. C’è sempre una quota di glutattione ossidato e una ridotta: la seconda è
importante perché così queste molecole possono subire il danno ossidativo da parte di ROS, salvando le
cellule perché il potere ossidante delle ROS è scaricato sulla molecola di glutattione ridotto, ossidandosi.
Questo non è un danno perché esistono nelle cellule degli enzimi, come la glutattione reduttasi, che
converte il glutattione ossidato a quello ridotto, ripristinando una quota di glutattione ridotto. Questo
enzima, per funzionare, ha bisogno del coenzima che è il NADPH. La via dei pentosi, allora, fa ribosio, ma fa
anche del NADPH, usato come coenzima nelle biosintesi dei lipidi e come coenzima dell’enzima glutattione

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reduttasi, utile per le difese cellulari. Poi, questa via non è un ciclo, ma la fase non ossidativa è una serie di
passaggi in cui si parte da molecole di pentosi per arrivare a molecole di esosi. Inoltre, nella via non
ossidativa si usano le transchetolasi e le transaldolasi.

Si parte dal glucosio. Il primo passaggio è catalizzato da un enzima redox di classe I: il glucosio 6-fosfato
deidrogenasi, che è associato all’anemia emolitica e al favismo, che è un deficit e questi soggetti non hanno
questo enzima e quindi non possono mangiare fave, non possono prendere l’aspirina, ecc. In più, questi
soggetti non fanno NADPH come molecola di difesa verso i danni ossidativi. Dal punto di vista biochimico,
questa deidrogenasi ossida la posizione 1
del glucosio, portando via OH e formando
un doppio legame O. Si forma un lattone
(non sapere nome). Da qui, interviene una
lattonasi che apre l’anello e dove c’era il
doppio legame con O compare un gruppo
carbossilico, perché l’atomo di C
dell’anello è un atomo aldeidico e, se si
ossida, si ottiene un acido. La reazione
procede con un’altra deidrogenasi che usa

NADP e questa volta avviene la rimozione del gruppo carbossilico


come CO2. Si passa da esosio a pentoso e in più c’è l’ossidazione
dell’atomo di C per cui si forma il ribulosio. Dal ribulosio si passa
facilmente al ribosio perché è un isomero del ribosio. Gli altri passaggi
sono guidati da transchetolasi: si vede uno xilulosio da cui si stacca la
parte del chetosio, da 5 a 3 atomi di C e la parte si trasferisce sul
ribosio, che da 5 va a 7 atomi di C. La transaldolasi è simile, ma non
trasferisce solo il gruppo con i due atomi di C, ma è trasferito quello
con tre atomi di C. Quindi, questi due enzimi sono coinvolti nel
trasferimento di un gruppo chetonico o di uno aldonico. Questo viene
usato quando: se la cellula è in attiva proliferazione, questa via sfrutta la fase ossidativa per fare ribosio 5-
fosfato, non investendo nella fase non ossidativa. Questa via è più significativa dove non c’è rapida

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divisione, ma si hanno cellule con bisogno di NADP come cellule del tessuto adiposo o che devono
sintetizzare lipidi. Questa via deve fare NADPH o fare semplicemente il ribosio.
Nei globuli rossi, possono esserci i corpi di Heinz, cioè depositi di emoglobina non più attiva. Questi corpi
possono rompere la membrana generando l’anemia emolitica. Questo accade perché questi soggetti non
hanno la glucosio-6 fosfato funzionante. Quindi, non fanno NADPH che possa agire contro i ROS.
Nella via della fosforilazione si vede il CoQ interagisce sia con gli elettroni sia con l’O molecolare. Qualche
molecola di O può formare l’anione superossido, O2-. Questo è un O più aggressivo, che può dare a sua
volta il radicale OH. Queste specie ROS si formano nel mitocondrio anche in maniera inevitabile perché l’O
è reattivo, poi perché le cellule sono comparse sulla terra prima della comparsa dell’O molecolare, quindi
l’O garantisce la respirazione, ma a sua volta può provocare danni alle strutture cellulari con molecole
reattive. L’anione superossido, dentro lo stesso mitocondrio, è convertito in perossido di idrogeno dalla
superossido dismutasi. Il perossido di idrogeno, H2O2, è meno pericoloso, ma comunque dannoso. La
catalisi è nel citosol e converte il perossido in acqua, mentre nel mitocondrio c’è la glutattione perossidasi
che usa il glutattione per convertire il perossido in acqua. Il glutattione, per fare da substrato della
perossidasi, diventa ossidato e quindi nei mitocondri si ha la glutattione reduttasi che lavora con NADPH
che diventa NADP ossidato. Poi si vede che sulla membrana mitocondriale si ha un enzima della classe VII
che converte il pool del NAD in NADP attraverso il passaggio di protoni. Da una parte c’è NADH che diventa
NAD ossidato e dall’altro c’è NADP che diventa NADPH. Si vede anche l’altro ruolo del glutattione, quello
più generale, cioè la sua trasformazione in glutattione ossidato per andare a riarrangiare dei ponti S-S creati
nelle proteine, negli enzimi, ad esempio, per effetto dello stress ossidativo dovuto all’aggressività di
molecole come l’anione superossido o del radicale ossidrile. Dove ci sono residui di cisteina si possono
formare ponti S-S, cioè forme ossidate. Il glutattione ridotto, in quelle posizioni, può agire diventando
ossidato. Per riconvertirlo in glutattione ridotto si usa la glutattione reduttasi. Tutto questo gruppo di
enzimi, che si trova nella matrice mitocondriale, esiste anche nel citosol, in cui avviene la via dei pentosi
che fornisce NADPH, cioè fa lavorare la glutattione reduttasi per ristabilire il gluttatione ridotto. Esiste
anche una superossido dismutasi citosolica, non solo mitocondriale. Dove si hanno sistemi enzimatici che
vengono a contatto con O molecolare, allora può sfuggire una specie reattiva dell’ossigeno.

METABOLISMO DEI LIPIDI


Per quanto riguarda i lipidi, a differenza degli zuccheri, delle proteine e degli acidi nucleici, non formano
macromolecole con legami di condensazione. I lipidi non polimerizzano e l’unica cosa che danno come
aggregato sovramolecolare è la formazione di membrane, che non sono catene di molecole lipidiche legate
covalentemente, ma sono tante molecole lipidiche disposte in ambiente acquoso così da mantenere le
porzioni idrofobiche non polari lontane dall’ambiente acquoso. I legami sono legami idrofobici e sono
deboli. L’acido grasso può essere saturo o insaturo, in cui si hanno doppi legami, la cui presenza porta a una

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variazione di forma. Per cui gli acidi grassi insaturi sono più
disordinati di quelli saturi. Il gruppo acido è sempre un
gruppo carbossilico (sfera azzurra) ed è la parte polare e
poi si ha una coda idrocarburica. Si ha una situazione più
disordinata in acidi insaturi che macroscopicamente risulta
nella percezione degli oli e dei grassi: oli hanno una % più
alta di catene insature rispetto ai grassi solidi, come lo
strutto. Oli e grassi sono derivati di acidi grassi e la differenza sta nel numero di insaturazioni. Sono derivati
perché di solito, negli organismi, dalle piante ai batteri all’uomo, gli acidi grassi (COOH-CH2-CH2-CH2-CH2-
CH3 o, con doppio legame, COOH-CH2-CH=CH-CH2-CH2-CH3), per le loro caratteristiche, non stanno bene
in una cellula che è un sistema acquoso, quindi gli acidi grassi liberi si ritrovano sempre legati all’albumina
quando viaggiano nel nostro corpo. L’albumina è una grossa proteina, 66.000 Dalton, la principale del
nostro plasma sanguigneo e non fa parte della parte corpuscolata. Essa ha una struttura globulare senza siti
specifici per gli acidi grassi, che, invece, vengono assorbiti da essa e li veicola. Essa assorbe anche molti
farmaci, che il nostro organismo non sintetizza, quindi hanno bisogno di una vettore di trasporto. Gli acidi
grassi hanno un numero pari di C e questo deriva dalla loro via di biosintesi con cui vengono assemblati, o
disassemblati, due atomi di C alla volta.

LIPIDI DI RISERVA
La molecola lipidica più piccola è l’acido grasso, che, però, di per sé non è
libero nel nostro corpo. I lipidi di riserva sono i grassi e gli oli e sono derivati.
Essi sono triacilgliceroli o trigliceridi. Si hanno tre acidi grassi combinati a una
molecola di glicerolo, che è un punto di ingresso della gluconeogenesi ed è
un alcol con tre atomi di C. Nella struttura dei triacilgliceroli, l’acido grasso
combina il suo gruppo carbossilico a quello alcolico, formando un estere, del
glicerolo. In questo modo, questo modello del triacilglicerolo che è usato
come deposito energetico dentro le cellule, si elimina il contributo del
gruppo carbossilico, che è COO-, che viene mascherato e non è più polare perché viene legato all’OH del
glicerolo. Così si forma il trigliceride, che è non polare, idrofobico e insolubile. Quindi, nei sistemi biologici,
questa molecola diventa insolubile perché non riesce a interagire con H2O perché non polare e perciò si
deposita sotto forma di gocce lipidiche. Un esempio è l’adipocita, che è una cellula completamente piena di
trigliceridi sotto forma di un’unica goccia enorme che occupa quasi tutto il citoplasma, di cui ne rimane una
striscia piccola con le parti essenziali, come il nucleo. Una cosa simile avviene nei vegetali, in cui si hanno
porzioni, come i cotiledoni dei semi, che non sono a contatto con la luce, hanno bisogno di riserve
energetiche e, nei cotiledoni, si hanno depositi di grasso. In questo caso sono tante piccole gocce che

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riempono il cotiledone. Il trigliceride serve anche come isolamento termico. Molti cibi contengono
triacilgliceroli ed è particolare la loro consistenza a T ambiente, che dipende dalla presenza di molti acidi
grassi insaturi, che danno una struttura più disordinata che ha meno propensione a solidificare: a T
ambiente sono liquidi, come olio d’oliva. La % di grassi insaturi diminuisce nel burro, che è solido a T
ambiente.

LE MEMBRANE BIOLOGICHE
Questo è l’altro
importante destino dei
trigliceridi. Le membrane
hanno un doppio strato
lipidico perché la
struttura delle membrane
ha molecole lipidiche con
una testa idrofilica, che
non è solo il COOH
dell’acido grasso, e due
code idrofobiche, che
sono due acili. Esse si assemblano per interazione idrofobica. Inserite nelle membrane, si hanno anche le
molecole di sterolo, poi ci sono proteine che attraversano completamente il doppio strato e altre che sono
periferiche, che interagiscono con la membrana. Ci sono anche dei dettagli: le catene oligosaccaridiche
sono sempre esposte verso l’esterno, mentre verso il citosol non ci sono zuccheri; la porzione saccaridica
può essere legata a proteine e a lipidi, quindi si hanno glicolipidi. Poi ci sono proteine con una coda, definite
proteine con ancora GPI, che è un glicofosfopenositolo. Quindi c’è un lipide inserito nella membrana, una
catena saccaridica legata covalentemente a una proteina. Queste sono proteine di membrana con un
legame covalente. Anche le proiteine periferiche hanno un legame covalente, ma queste sono legate
direttamente con il lipide e quindi sono verso il lato citosolico. Le proteine, quindi, sono asimmetriche nel
doppio strato, ma anche i lipidi lo sono. Questo è legato al fatto che proteine e lipidi possono spostarsi solo
lateralmente.
Le molecole lipidiche presenti nella membrana sono appartenenti a tre classi:
- Fosfolipidi. Essi hanno sempre un gruppo P. Essi, a loro volta, possono essere glicerofosfolipidi o
sfingolipidi. Essi hanno lo scheletro del glicerolo o della sfingosina (per gli sfingolipidi). I

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glicerofosfolipidi hanno il glicerolo e poi si differenziano dai trigliceridi perché occupano solo due
posizioni con l’acido grasso, mentre la terza è legata a un P, così la struttura diventa polare,
addirittura carica, e si hanno anche solo due code idrofobiche. Bisogna saper disegnare il glicerolo,
il gruppo P e gli acidi grassi qualunque. Il P è indicato con X, perché può essere o solo P o P con
sostituenti, come colina, serina, glicerolo. Anche il fosfotidilinositolo, in cui il P è legato a un
inositolo, in più ha due gruppi P in più. Questi sono glicerofosfolipidi.
- Glicolipidi. Essi hanno zuccheri. Possono essere galattolipidi o sfingolipidi. Con la struttura del
glicerolo, ma senza il P, ci sono glicolipidi, che sono detti galattolipidi. Essi non sono fosfolipidi, ma
sono glicolipidi e hanno sempre la molecola del glicerolo, i due acidi grassi, ma manca il P e c’è
direttamente uno zucchero o più residui saccaridici attaccati. Questi sono galattolipidi e sono
molto presenti nelle cellule vegetali, soprattutto cloroplasti, perché siccome i vegetali sono
autotrofi, allora il P non viene usato, se non in poche quantità, ma viene risparmiato e c’è una sorta
di economia sul P, tanto che nemmeno nelle membrane si trovano tanti fosfolipidi. Poi, nella
porzione centrale della diapositiva, per fosfolipidi sia per glicolipidi, ci sono gli sfingolipidi, con P o
senza P, ma con legame della testa polare con uno zucchero o con una catena di zuccheri.
Tridimensionalmente, lo spazio occupato da uno sfingolipide è simile a quello di un fosfolipide,
quindi riescono a porsi nella membrana, ma gli sfingolipidi non hanno il glicerolo, ma hanno un
amminoalcol, cioè la sfingosina. Essa è con una catena di atomi C lunga di cui i primi tre sono i tre
atomi del C del glicerolo: il primo è la testa polare, il secondo è quello che poi si lega con l’acido
grasso, mentre poi la struttura continua fino al 18esimo atomo di C.

La testa polare è un gruppo OH, dato che è un alcol. Nel caso più semplice, si parla di cerammide,
se c’è un P, a sua volta sostituito, si ha la sfingomielina, così detta perché sono nelle membrane
della mielina che protegge gli assoni delle cellule nervose. Oppure, se non c’è P, ma ci sono
molecole saccaridiche allora gli sfingolipidi sono parte dei glicolipidi e hanno nomi, come
gangliosidi, sempre relativi al tessuto nervoso. Un’altra caratteristica che fa vedere un dettaglio che
si era già preso in considerazione per le proteine e per le glicoproteine: dato che sulla membrana ci
sono glicolipidi, allora sulle membrane dei globuli rossi si trovano degli sfingolipidi che sono
glicolipidi con i determinanti antigenici dei gruppi sanguigni (A, B, 0). Nel caso di A e B aumentano i

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residui dei gruppi saccaridici, facendo sì che 0 possa essere donato a gruppi A e B, mentre non è
possibile il caso inverso.
- Steroli. Essi hanno un nucleo quasi planare rigido e
i batteri non li sintetizzano. La struttura del
colesterolo prevede quattro anelli esagonali e,
soprattutto, c’è un’unica posiziona, le 3, che ha
come sostituente il gruppo OH così che il
colesterolo possa essere inserito come lipide di
membrana. L’anello è la parte inserita nel doppio
strato e questo dà rigidità: più molecole sono
presenti, più la membrana è rigida. La porzione
delle proteine di membrana che attraversa il
doppio strato è la porzione idrofobica, che interagisce con le code. La porzione idrofobica può
essere fatta in diversi modi, che portano a diverse modalità per attraversare il doppio strato: con le
eliche che possono attraversare il doppio strato, ma anche con i foglietti beta.

La caratteristica che contraddistingue queste tre classi è quella di essere polari perché hanno una testa
posta verso il lato esterno e poi hanno la porzione idrofobica. Invece, i trigliceridi sono neutri, senza
polarità.
Il punto più reattivo di un lipide di membrana è il legame estereo. A livello di questi legami, inizia la
degradazione delle molecole lipidiche con un meccanismo idrolitico. Nelle proteine ho le proteasi, negli
zuccheri ho le glicosidasi, qui si hanno lipasi o fosfolipasi che rompono i legami esterei liberando l’acido
grasso dallo scheletro di glicerolo, ma non rompono i polimeri, come invece fanno gli altri enzimi. Si può
liberare la testa o addirittura il gruppo P.
Un’altra caratteristica tipica delle membrane sono le zattere lipidiche o raft lipidici. Il nome viene da
immagini di microscopie forza atomica in cui si vedono delle isole, che non sono fisse, ma si muovono come
zattere. Queste sono zone presenti in tutte le membrane e che si possono separare con la centrifugazione.
Esse hanno una composizione diversa dal resto della membrana: le code idrocarburiche sono più lunghe e
quindi questo lo fa sporgere dalla membrana sottostante perché, le code, sono ricche in sfingolipidi e in
colesterolo (per questo sono rigide). Hanno anche proteine di membrana ancorate con l’ancora GPI. Questi
si possono isolare, ma nella vita di una cellula, essi non sono fissi e ogni tanto ci possono essere molecole
che si avvicinano le une con le altre a costituire un raft lipidico. Questi raft si associano e si disassociano, è
difficile studiarli, ma hanno delle funzioni strutturali per favorire la trasmissione dei segnali dall’interno
all’esterno e viceversa. Quindi, questi raft facilitano la trasmissione del segnale. Dunque, i lipidi servono

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come riserva, come lipidi di membrana e funzionano anche come molecole segnale. La prostaglandina, la
trombossane, la arachidonato e la leucotriene sono molecole lipidiche.

28.05.19
METABOLISMO DELLE MOLECOLE LIPIDICHE
I lipidi hanno una resa di E superiore a quella degli zuccheri, che, quando sono demoliti con il metabolismo
aerobico, rendono molte molecole di ATP. A parità di peso, i lipidi rendono sei volte di più perché per
essere demoliti richiedono più passaggi, in quanto le demolizioni delle molecole corrispondono a reazioni di
ossidazioni. Gli zuccheri, come il glucosio, sono molecole che hanno nella loro struttura molti OH, quindi
hanno già dell’O e sono parzialmente ossidati, mentre i lipidi sono una successione di tanti CH2, perché
sono catena idrocarburiche che sono prive di O, quindi, la cellula deve fare più passaggi per ossidare questi
atomi di C. A ogni passaggio, la cellula ha più occasioni per ricavare energia. La via metabolica più usata è la
via di ossidazione degli acidi grassi o betaossidazione, in cui le catene idrocarburiche sono ossidate fino a
CO2. Quando diventano molecole di acetil CoA, si inseriscono nel ciclo di Krebs e poi nella fosforilazione
ossidativa. Questa via è sfruttata da cellule che hanno bisogno di usare tanta energia e che hanno la
possibilità di usare gli acidi grassi, il che non possibile per tutti i nostri distretti (esempio cervello, che non
riesce a metabolizzare gli acidi grassi per una questione di superamento della barriera ematoencefalica, e
globuli rossi non possono).

PERCORSO DELLE MOLECOLE LIPIDICHE


Si parla di trigliceridi, anche perché quando si mangia si introducono molecole
lipidiche, che contengono trigliceridi. Seguendo la freccia, si vede il percorso dei
trigliceridi ingeriti con la dieta. Si vede che a livello dell’intestino tenue avviene
l’assorbimento delle molecole lipidiche. Questi trigliceridi viaggiano nel circolo
sanguineo o nel tessuto linfatico sotto forma di chilomicroni (lipoproteine a bassa
densità) e possono avere due destini: vengono immagazzinati nel tessuto adiposo
come triacilgliceroli, facendo aumentare il peso corporeo, oppure vanno nel
fegato, nel cuore o nei muscoli dove vengono usati come fonte di energia, perché
sono sottoposti alla beta ossidazione (sono convertiti in CO2 e H2O, per fare ATP).
Questa è la prima via, la seconda via, invece, parte dal fegato, a livello del quale
avviene la sintesi ex-novo dei triacilgliceroli. Il fegato è un organo metabolico per
eccellenza e può fare tutte le vie metaboliche. Il fegato può sintetizzare e mettere
in circolo i triacilgliceroli, che viaggiano sempre in circolo sotto forma di aggregati, lipoproteine, detti LDL,
cioè low density lipoproteins. Il fegato assembla le LDL e le immette nel sangue, così hanno lo stesso

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destino della prima via: possono andare al tessuto adiposo o possono andare al muscolo, al cuore per poter
essere ossidati. C’è anche una terza provenienza: la mobilizzazione dagli adipociti perché consente di
recuperare i trigliceridi depositati nel tessuto adiposo e di portarli in circolo nei momenti di bisogno. Le
molecole lipidiche ferme, quindi, sono estratte dal tessuto adiposo e, con il circolo sanguineo, si muovono.

PRIMO PERCORSO: DIETA


Affinchè si demoliscano i trigliceridi, bisogna far sì che le loro molecole siano ospitate nel sito attivo degli
enzimi, che idrolizzano i trigliceridi, liberando l’acido grasso dal glicerolo. Gli enzimi sono proteine, quindi
sono solubili e allora il concetto tra enzima solubile e molecola del trigliceride non solubile ha bisogno di un
aiuto, che viene dai sali biliari fatti dalla cistifellea. La bile funziona da agente emulsionante, perciò è simile
ai detergenti. Essa, con le sue molecole, ha una parte idrofobica, interagente con i trigliceridi, e una polare,
che sta bene in soluzione nel lume intestinale e funziona come piattaforma di attracco per gli enzimi che
idrolizzano i trigliceridi. Si vede la formazione delle micelle tra sali biliari, che sono piatti perché le loro
molecole hanno una struttura steroidea, cioè hanno i quattro anelli condensati del colesterolo, e
trigliceridi. Gli anelli dei sali biliari non si chiamano più colesterolo, da cui però derivano, e diventano colato
di sodio, ad esempio. La parte steroidea è quella idrofobica e rigida, ma il sale biliare ha tanti OH polari
attaccati, perché ha subito tante modifiche covalenti (è diventato un detergente, per metà polare e per
metà apolare). L’acido colico si posiziona tra lumen e trigliceride e, poi con la parte polare (OH), funziona
con gli enzimi pancreatici. Il pancreas esocrino, con il dotto pancreatico, riversa il succo pancreatico
(idrolasi che tagliano le molecole). Questo succo contiene anche lipasi (classe III), che vanno a rompere il
legame estereo tra acido grasso e glicerolo.
I sali biliari, prodotti nella cistifellea, sono il rimaneggiamento del colesterolo e sono la sua via di
eliminazione perché, mentre siamo in grado di demolire gli acidi grassi fino a CO2, il nostro organismo ha
perso la capacità di demolire il colesterolo, che è importante, ma si riesce a sintetizzare, ma non si riesce a
demolirlo perché non abbiamo più gli enzimi che aprono le strutture ad anello (difficili metabolicamente).
L’unico sistema per eliminarlo è quello di trasformarlo, nel fegato, in sale biliare, cioè vengono addizionati
gruppo OH (lo si elimina con le feci).

Gli acidi grassi riescono a entrare nelle cellule dell’epitelio intestinale, superando la membrana plasmatica.
Dopo essere entrati, non rimangono come tali, liberi come acidi grassi, ma sono ricostituiti sotto forma di

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trigliceridi perché per essere distribuiti in circolo non lo sono come acidi grassi liberi e vengono assemblati
in strutture sferiche, dette lipoproteine. Questo assemblaggio avviene a livello della mucosa intestinale,
viene assemblato in chilomicroni (lipoproteine), che sono fatti da trigliceridi, soprattutto, ma anche
colesterolo, e poi sono anche assemblati con proteine (esempio ApoC-II). I chilomicroni sono più piccoli di
una cellula, ma sono comunque complessi di proteine capaci di interagire con il materiale lipidico grazie alle
loro superfici idrofobiche. Il sistema linfatico parte dall’intestino e poi comunica con il circolo sanguineo, ed
è il mezzo con cui i lipidi viaggiano nel sangue.
A temperatura corporea, grassi, come gli oli, saranno liquidi, quindi più facilmente solubili e più facilmente
assorbiti (olio è più digeribile del burro proprio per una questione fisica). Grassi, come burro e strutto,
fanno più fatica a essere assorbiti a livello della mucosa
intestinale, dato che hanno poche insaturazioni. La porzione
centrale della lipoproteina costituisce la parte insolubile che
tende a precipitare perché è apolare ed è fatta da trigliceridi,
anche esteri del colesterolo (in posizione 3 ha un OH che lo
rende polare, qui, quell’OH per andare nel core di una
lipoproteina, dev’essere mascherato, quindi viene esterificato
con un legame con un acido grasso). La lipoproteina ha solo uno
strato di fosfolipidi così le code sono rivolte verso il nucleo di
trigliceridi, mentre le teste sono a contatto con l’ambiente
acquoso. In questo monostrato ci sono le proteine, con sigle A,
B o C, e ci sono anche molecole di colesterolo, come se fosse un
pezzo di membrana.
Le lipoproteine, originate dall’intestino, sono i chilomicroni e, se si guardano nel plasma tutte le
lipoproteine, si vede che non ci sono solo chilomicroni, ma anche quelle assemblate a livello del fegato
(LDL). Tutte queste lipoproteine, che si estraggono dal sangue, sono classificate in base alla diversa densità.
Le meno dense sono quelle più ricche in materiale lipidico (i lipidi galleggiano, le proteine no), queste sono
le LDL e i chilomicroni. I loro costituenti sono: poca proteina (2-8%), ricche in trigliceridi, hanno anche poco
colesterolo e hanno apolipoproteine. Poi c’è la categoria delle lipoproteine a densità intermedia, le IDL, e
poi ci sono due categorie, le più famose, le HDL e le LDL. Esse hanno una percentuale più elevata di
materiale proteico, ma sono caratterizzate dall’essere destinate al trasporto del colesterolo. Le LDL sono
quelle del colesterolo cattivo, perché sono quelle che lo portano a tutti i tessuti, mentre le HDL sono del
colesterolo buono, perché recuperano il colesterolo dal corpo e lo portano al fegato per degradarlo.
Dopo tutto questo, la lipoproteina arriva nel sito dove dev’essere usata. Ma come fanno i trigliceridi,
trasportati dal chilomicrone, a entrare? C’è un sistema di riconoscimento e ancoraggio attraverso la parte
proteica del chilomicrone, cioè quella proteina, la Apo C-II, che funziona da ancoraggio. Arriva il

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chilomicrone, cede il suo contenuto, si ferma sulla superficie della cellula muscolare, perché avviene
un’interazione tra un enzima, che è la lipoproteina lipasi (ancorato sulla superficie esterna con una coda
polisaccaridica), che funziona da sistema di ancoraggio, e la proteina del chilomicrone. Il chilomicrone si
ferma per un tempo sufficiente affinchè la lipasi idrolizzi le molecole di trigliceridi. Per effetto di questa
interazione, che avviene sulla superficie di contatto tra la superficie cellulare e il chilomicrone, si formano
di nuovo acidi grassi liberi o monoacilgliceroli, che vengono assorbiti. Gli acidi grassi liberi prodotti migrano
nell’endotelio e raggiungono o la cellula del tessuto adiposo o quella del tessuto muscolare. Se raggiungono
la seconda, devono essere demoliti formando CO2 e ATP, mentre, se raggiungono il primo, sono di nuovo
assemblati come trigliceridi e vengono così depositati come tessuto grasso (giallo trigliceridi, arancione
colesterolo).
I chilomicroni, dopo essersi scaricati dai trigliceridi, diminuiscono come dimensioni e sono chiamati
risultanze di chilomicroni, cioè lipoproteine più piccole (quelle rimaste in adesione con la superficie esterna
dell’endotelio), sono ricche in colesterolo e tornano al fegato, che rimaneggia e risintetizza tutte le
lipoproteine.

SECONDO PERCORSO: DAL FEGATO


A livello del fegato si assemblano strutture simili ai chilomicroni, i chilomicroni rimanenti, che fanno lo
stesso percorso dei chilomicroni. Le LDL, poi, portano il colesterolo ai tessuti periferici, con cui
interagiscono in un modo particolare: c’è un riconoscimento, ma anziché avere l’idrolisi con la lipasi, qui si
ha l’endocitosi mediata da recettori. Così il colesterolo entra nelle cellule periferiche. Le LDL sono
colesterolo cattivo perché talvolta l’endocitosi con recettori non funziona bene, magari anche per casi di
ipercolesterolemia famigliare, quindi problemi genetici. Ci sono, invece, casi in cui semplicemente c’è solo
una disfunzione nel meccanismo di internalizzazione per cui un po' funziona e un po' no per cui si ha un
accumulo di LDL in circolo. A queste LDL, che rimangono in circolo, succede che, circolando, vengono
ossidate, si deteriorano e vengono inglobate dai globuli bianchi e poi tendono a precipitare nelle pareti dei
vasi formando delle placche aterosclerotiche. Così queste placche ostruiscono il circolo sanguineo e sono
alla base delle malattie cardiovascolari. Le HDL, invece, sono colesterolo buono perché captano il
colesterolo dalle zone periferiche e lo riportano al fegato. Le
HDL sono fatte da piccole quantità di colesterolo e da una
grossa quantità di proteine.

TERZO PERCORSO: MOBILIZZAZIONE DAL TESSUTO ADIPOSO


L’assunzione e il trasporto dei lipidi non ha un sistema di
controllo a monte perché le lipoproteine viaggiano nel sangue,
interagiscono con i tessuti periferici e scaricano i trigliceridi.

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Per quanto riguarda la mobilizzazione, invece, è un evento regolato da un segnale ormonale. Il tessuto
adiposo viene demolito a seguito di un segnale. Si hanno due ormoni, già visti nel metabolismo degli
zuccheri, perché si parla di produzione di energia: adrenalina, in condizioni di stress, e glucagone, in
situazione di digiuno. Il percorso è lo stesso della trasduzione del segnale: interazione con il recettore di
membrana, si produce cAMP, si forma una proteina chinasi, che non attiva la fosforilasi del glicogeno, come
per la gluconeogenesi, ma attiva la
tracilglicerolo lipasi con eventi di
fosforilazione. La triacilglicerolo lipasi inizia a
lavorare ed è la prima lipasi intracellulare che
interviene (fino a qui erano tutte extracelluari).
Essa demolisce il triacilglicerolo e rimuove, uno
per volta, gli acidi grassi facendo diacilglicerolo
e poi monoacilglicerolo, fino all’acido grasso e
al glicerolo libero. A questo livello, interviene
l’albumina, che lega le molecole di acidi grassi
(fino a 10 molecole di acido grasso per molecola di albumina). Poi, quando l’albumina arriva in prossimità di
cellule muscolari o cardiache, le molecole di acido grasso entrano per semplice diffusione passiva. Si ha la
cellula adiposa, con il triacilglicerolo, e, per mobilizzazione, gli acidi grassi viaggiando nel sangue con
l’albumina, raggiungono tutti i tessuti per essere sottoposti all’ossidazione e per formare acetil CoA, che
dovrà fare ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa (CO2 e H2O). Il glicerolo, invece, torna al fegato ed
essenzialmente i suoi usi nel fegato sono per la glicolisi e per la gluconeogenesi.
Anche nel citosol non ci sono acidi grassi liberi perché formerebbero delle micelle, perciò, per essere
metabolizzate, ogni molecola è complessata con una molecola di acetil CoA, che è il trasportatore. Si deve
fare un legame covalente tra i due e, quindi, costa ATP. Il gruppo carbossilico dell’acido grasso interagisce
con una molecola di ATP, idrolizzata ad AMP e P. L’AMP si lega all’acido grasso, attivandolo. L’acido grasso
può essere legato covalentemente al CoA con un legame tioestereo (il CoA ha il gruppo SH reattivo che si
lega al COOH dell’acido grasso formando acil CoA). Gli enzimi
responsabili hanno una direzionalità verso la formazione
dell’acil CoA, è di classe VI, cioè una ligasi e ce ne sono
diverse in base alla lunghezza della coda acilica. Tutte le
molecole di acido grasso sono, comunque, complessate con
l’acetil CoA. Ora l’acido grasso deve entrare nel mitocondrio,
che è il sito dell’ossidazione. Sulla membrana interna
mitocondriale non ci sono trasportatori per gli acil CoA
perché il mitocondrio è il ricordo del batterio primordiale che

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faceva respirazione aerobica che è stato inglobato dall’antica cellula che, invece, non ne era capace. Quindi,
i mitocondri sono separati dal citosol. Si usa, dunque, un sistema navetta per l’acil CoA (il CoA del citosol
non si mischia mai con il CoA del mitocondrio). Il sistema navetta usato è quello della carnitina, che è un
integratore per gli sportivi, perché è il sistema navetta che fa entrare gli acidi grassi nel mitocondrio, per
poi essere demoliti per fare energia. Dal punto di vista metabolico, la carnitina assomiglia a un
amminoacido e il nostro organismo fa carnitina, che è appunto un derivato amminoacidico. Se se ne
introduce di più con la dieta, se ne avrà di più a disposizione. C’è l’acil CoA che cede l’acile alla carnitina con
una transferasi, formando acil carnitina. Ora si trova sulla membrana interna una traslocasi, cioè una
proteina transmembrana, che funziona nel trasporto dell’acil carnitina (per ogni molecola di acil carnitina
introdotta nel mitocondrio, esce una molecola di carnitina libera all’esterno). Dentro il mitocondrio, l’acil
carnitina dev’essere modificata, perché se rimanesse così allora per ogni molecola di acido grasso che
entra, si consumerebbe anche una molecola di carnitina, ma avviene un’altra azione con un’transferasi che
lavora all’opposto di quella fuori: prende l’acile dalla carnitina, trasferendolo al CoA mitocondriale,
liberando la carnitina all’esterno.
L’acido palmitico è un acido grasso saturo con 10 atomi di C e si può demolire. Nella dieta si introduce
anche: acido stearico (20 atomi di C), acido laurico, ecc. Poi tra quelli insaturi, c’è il palmitico che ha 16
atomi C, l’oleico con 18 atomi di C con una insaturazione, l’oleico e linoleico (due saturazioni) hanno 18
atomi di C con diverse insaturazioni, poi l’acido arachidonico ha quattro insaturazioni e che viene
introdotto con la dieta. Ci sono, anche, acidi grassi poliinsaturi, che sono gli omega 3 e 6, sono essenziali da
introdurre con la dieta (sono acido linolenico e oleico).

OSSIDAZIONE DEGLI ACIDI GRASSI O BETA OSSIDAZIONE


Tutti gli eventi ossidativi, che si ripetono ciclicamente, sono sull’atomo di C beta. Nella numerazione di un
acido grasso, si prende un numero 1, da mettere sul C in cui c’è la funzione principale. Negli amminoacidi, il
C alfa è quella più vicino al C che porta il gruppo funzionale. L’ossidazione degli acidi grassi riguarda l’atomo
del carbonio beta che sarebbe la posizione 3.
- Questa ossidazione prevede una deidrogenazione iniziale di classe I, questa ossido reduttasi usa il
FAD come coenzima che diventa FADH2 e, come primo risultato, con l’ossidazione si arriva alla
formazione di un doppio legame tra la posizione alfa e beta.
- Poi c’è una reazione di idratazione con aggiunta di una molecola di H2O sull’atomo del C beta. Così
si rimuove il doppio legame e si aggiunge un OH. L’atomo di C beta, rispetto a quello di partenza
che era ridotto, ora è più ossidato perché ha un OH.
- C’è un’altra deidrogenazione, ma questa usa il NAD come coenzima formando così NADH sempre
sull’atomo di C beta. Da gruppo alcolico, si passa, quindi, a gruppo chetonico.

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- Ora questo C beta è già ossidato, è diventato molto reattivo così da far avvenire l’ultimo passaggio.
C’è una reazione di trasferimento con una tiolasi, che lavora trasferendo un’altra molecola di CoA e
nel far rompere questo il legame. Per effetto di questa rottura, si libera una molecola di acetil CoA
e rimane un acile che si è accorciato di due atomi di C. L’ossidazione dell’acido grasso, però, non è
ancora finita, perché con queste quattro reazioni che avvengono nella matrice mitocondriale,
portano ad avere l’acido grasso che interagisce con il CoA, diventando un acil CoA. Quindi, il tutto si
può ripetere.
Gli acidi grassi, con la beta ossidazione, sono, quindi, demoliti ripetendo ciclicamente queste quattro
reazioni per sei cicli. Tutte queste molecole di acetil CoA possono entrare nel ciclo di Krebs per essere a loro
volta ossidate e per fornire i coenzimi ridotti necessari per la fosforilazione ossidativa. Queste quattro
tappe, a ogni giro, danno la molecola di acetil CoA, ma danno anche una molecola di FADH2 e una di NADH,
che, visto che siamo nella matrice mitocondriale, essi andranno direttamente a cedere i loro elettroni alla
catena di trasporto degli elettroni, addizionandosi a quelli formatisi dal ciclo di Krebs. La prima
deidrogenasi che usa il FAD è una cosa già incontrata: quando si è parlato del complesso II della catena di
trasporto degli elettroni, si è visto che la succinil CoA deidrogenasi usa il FADH2 per formare succinato e
questo FADH2 porterà gli elettroni al CoQ. Tutto avviene nel mitocondrio e a ogni ciclo si staccano due
atomi di C accorciando la catena idrocarburica. Complessivamente, dalla demolizione degli acidi grassi, la
cellula ricava ATP.

CHETOGENESI

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Si
deve

considerare una reazione che avviene nel


fegato. I lipidi sono demoliti, fanno acetil
CoA, che viene ossidato nel ciclo di Krebs
e nella fosforilazione, per fare ATP. In particolari condizioni, che sono per lo più di digiuno, il nostro fegato
fa molecole dette corpi chetonici con un processo chiamato chetogenesi. Essi sono prodotti perché l’acetil
CoA, che normalmente è usato per fare biosintesi o per ottenere ATP, non può consumare tutto l’acetil CoA
dentro il ciclo di Krebs perché è troppo, dato che ogni molecola di acetil CoA che entra deve legarsi a
ossalacetato che deriva dal metabolismo degli zuccheri. Se l’individuo non mangia, il ciclo di Krebs è lento e
le molecole di acetil CoA, che sono nel fegato, non possono fare ATP, quindi si accumulano, formando corpi
chetonici. Essi si formano nei mitocondri dal legame di più molecole di acetil CoA: sono tre molecole di
acetil CoA legate assieme. La prima reazione è una che funziona in modo inverso alla tiolasi della beta
ossidazione perché essa sa lavorare anche in senso inverso: due molecole di acetil CoA sono complessate
insieme formando l’acetoacetil, cioè una molecola con quattro atomi di C. Poi, a questa molecola di
acetoacetil, si lega un’altra molecola di acetil CoA senza usare la tiolasi, ma usa un altro enzima che forma
una molecola più difficile ed è l’idrossimetilglutaril CoA, che è un beta idrossi beta metil con un gruppo OH
e uno CH3 in posizione beta e poi è un glutarile perciò è una catena di cinque atomi di C. Questo passaggio
porta alla formazione del precursore del corpo chetonico: l’idrossimetilglutaril CoA, che potrà essere usata
anche per la sintesi del colesterolo. Una volta sintetizzata, la molecola di acetil CoA addizionata viene
rimossa di nuovo perché è il punto in cui la via della chetogenesi si differenzia da quella della biosintesi del
colesterolo. Rimuovendo l’acetil CoA, non si ha più una molecola legata al CoA, ma si ha una catena di
quattro atomi C, cioè l’acetoacetato, che è già un corpo chetonico dato che ha un gruppo chetonico.
L’acetoacetato, per via enzimatica, si trasforma poi in betaidrossibutirrato, perciò viene ridotto con
formazione di un gruppo OH. Questo è ancora un gruppo chetonico anche se ha perso il gruppo chetonico.
Si può anche allontanare, dall’acetoacetato con una decarbossilazione, una CO2 formando l’acetone, che è

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volatile a differenza degli altri corpi chetonici così nell’alito si sente l’odore di acetone. Per combatterlo, si
dava acqua e zucchero perché così l’organismo prendere carboidrati che erano i substrati per il ciclo di
Krebs e l’acetil CoA, invece che accumularsi e formare corpi chetonici, entrava nel ciclo di Krebs.
I corpi chetonici si formano nel digiuno, ma anche per il diabete. In questo caso, una loro produzione non
controllata può portare a danni seri, come alla chetosi diabetica, che, se non curata, porta al coma e alla
morte. C’è questo danno perché i corpi chetonici rimangono in circolo (acetoacetato e beta idrossiacetato)
ed essendo composti acidi per il COOH, abbassano il pH del sangue, portando ad acidificazione, con cui si
hanno i problemi nel trasporto dell’O con l’emoglobina. Questi, eventi, se estremizzati, portano al coma e
alla morte. Quindi, i corpi chetonici hanno effetti positivi e negativi. Se si mantenesse l’acidosi a lungo,
senza introdurre zuccheri, allora si arriva alla chetosi del sangue. A digiuno, il nostro tessuto adiposo è
stimolato a demolire i grassi e a rilasciare glicerolo e acidi grassi. Gli acidi grassi in circolo arrivano ai tessuti
muscolari e al fegato. Nei mitocondri del fegato avviene la beta ossidazione, ma, dato che non si hanno
zuccheri, si accumula acetil CoA formando corpi chetonici, che vanno in circolo ed essi sono captati dalle
cellule scheletriche e cardiache (muscolari) e da quelle celebrali. In questi siti, a livello dei mitocondri, i
corpi chetonici sono convertiti in acetil CoA, entrando così nel ciclo di Krebs. Il fegato fa corpi chetonici, ma
non riesce a usarli, perciò li riversa in circolo. Nei soggetti diabetici, ai quali si deve somministrare insulina,
perché non viene prodotta, non si riesce a captare il glucosio né a livello dei tessuti adiposi né a livello del
fegato o delle altre cellule. Perciò, è come se fossero sempre in uno stato di digiuno anche se nel loro
sangue c’è glucosio. Il tessuto adiposo, allora, demolisce i suoi trigliceridi, in risposta di mancanza degli
zuccheri, e libera acidi grassi. A livello del fegato avviene la stessa cosa perché non è percepito il glucosio e
l’acetil CoA si accumula formando corpi chetonici.
SINTESI DEGLI ACIDI GRASSI
Si tratta di un processo simile in
procarioti ed eucarioti. La biosintesi
degli acidi grassi avviene nel citosol.
Si parte dal CoA: nella biosintesi
vengono addizionati due atomi di C
ogni volta, procedendo a ritroso
rispetto alla demolizione. Questi
enzimi, però, lavorano nel citosol,
non nel mitocondrio, come la
degradazione, e sono tutti associati
in un complesso multi-subunità in
cui ogni subunità ha una sua attività
differente. L’accumulo di grassi è

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possibile anche a partire da precursori saccaridici nel senso che non c’è glucosio che diventa acido gasso,
ma si hanno le reazioni che avvengono nel mitocondrio: glucosio entra come piruvato formando acetil CoA,
che entra nel ciclo di Krebs, si forma il citrato, che è un intermedio e che può uscire dal ciclo, per essere,
poi, convertito in acetil CoA e ossalacetato, per fare biosintesi degli acidi grassi. Tutto questo perché l’uomo
non ha il ciclo dell’acido gliossilico: da acetil CoA a zuccheri. Questo processo è altamente conservato nei
mammiferi, ma anche nei batteri. Per sintetizzare gli acidi grassi, questo complesso multi-enzimatico che è
nel citosol (complesso dell’acido grasso sintasi) può sintetizzare, dall’acetil CoA, un acido grasso di 16
atomi di C, del palmitato. Poi, per quelli più lunghi. Le fasi di allungamento catena e formazione dei doppi
legami, queste non avvengono nel citosol, ma sono nel reticolo endoplasmatico liscio e, in parte, nei
mitocondri.
30.05.19
METABOLISMO DELLE PROTEINE
Dal punto di vista energetico, le proteine non contribuiscono molto perché, mentre zuccheri e lipidi
costituiscono delle riserve nelle cellule (esempio adipociti), le proteine sono costituenti importanti perché
hanno ruoli strutturali e funzionali, ma non hanno ruoli di deposito. Estremizzando, però, si può
considerare, come un deposito di amminoacidi, il tessuto muscolare perché esso è infarcito di fibre
muscolari (actina, miosina) e, quindi, quelle proteine abbondanti possono essere un deposito. Quando il
nostro organismo ha consumato le risorse del tessuto adiposo, passa a consumare anche le proteine e il
tessuto muscolare e questo avviene addirittura prima che il tessuto adiposo sia completamente consumato
(esempio: quando si vuole perdere peso, per un po' il tessuto adiposo diminuisce, ma poi si comincia a
intaccare anche la massa muscolare ed effettivamente i muscoli perdono di tono se non si accompagna, alla
dieta alimentare, anche un’attività fisica). Quindi, le proteine non vengono usate quotidianamente dal
nostro corpo per fare energia, mentre sono usati lipidi e zuccheri. Comunque, l’uomo introduce, con la
dieta, delle proteine, che devono essere usate da tutte le cellule per andare a rimpiazzare le proteine che
quotidianamente sono degradate per turnover cellulare. Non si ha un sistema di deposito delle proteine a
cui la cellula possa attingere. Il concetto più importante è che le proteine devono sempre essere mantenute
in equilibrio: tanto introduco, tanto elimino per mancanza di possibilità di avere proteine in sovrappiù, che
invece sono un problema. Le proteine sono macromolecole, polimeri. Il discorso si sposta sugli
amminoacidi, cioè l’unità monomerica, che costituiscono le proteine con l’uso della sintesi proteica. Dalla
demolizione degli amminoacidi si ottengono intermedi che vanno sia nella via del piruvato (glicolisi e
gluconeogenesi), vanno sull’acetil Coa, o danno intermedi del ciclo di Krebs, danno anche coenzimi
piridinici ridotti che supportano la catena di trasporto degli elettroni. Guardando gli intermedi, si vede che
le frecce vanno anche nella direzione della biosintesi: alcuni intermedi del ciclo di Krebs sono usati per
sintetizzare amminoacidi.

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Gli amminoacidi e le proteine sono composti da C, H, O e N. N è un costituente che si trova in proteine, ma


anche degli amminozuccheri. Anche le basi azotate e gli amminoacidi hanno N come costituente. Il
problema è rappresentato dall’N e l’ammoniaca, che si ottiene dalla demolizione degli amminoacidi, non
sviluppa ATP, ma è un problema per le cellule, che non possono accumulare grosse quantità di NH3 perché
è tossica (essa supera la barriera ematoencefalica portando, anche, a morte del soggetto). Bisogna evitare
che la degradazione degli aa porti a quantità troppo elevate di NH3, che dev’essere eliminata con le urine,
non come NH3, ma come urea. La via dell’urea è costosa dal punto di vista energetico. Talmente costosa,
per cui vale il concetto che per i composti azotati bisogna lavorare in equilibrio: introduco una quantità
paragonabile a quella necessaria per la
via di biosintesi. L’N degli amminoacidi
da dove arriva? Con la fotosintesi si
riesce a organicare la CO2
trasformandola in zuccheri, per le
piante, mentre l’uomo non può. Quindi,
si deve introdurre cibo che contiene
proteine e amminoacidi. Si introduce
anche cibo che ha acidi nucleici, ma la
loro quantità è piccolissima. Le piante e
i batteri riescono a inserire NH3 in una
struttura degli amminoacidi, mentre noi
dobbiamo eliminarla. L’uomo deve
introdurre proteine e amminoacidi con
cibi di origine vegetale. L’atmosfera è fatta da azoto, non da ammoniaca. Le varie forme inorganiche che si
possono avere di N sulla terra e che si trasformano l’una nell’altra, sono nella diapositiva sopra. Si ha N
atmosferico, che è il costituente principale dell’atmosfera, però esso, come molecola, è fatta da due atomi
di N tenuti assieme da un triplo legame. Questo è un problema: mentre le piante riescono a lavorare con la
CO2 (tutto sommato anche i mammiferi reagiscono con la CO2 con la carbonico anidrasi che la trasforma in
acido carbonico), non si riesce ad aggredire il triplo legame. Ci riescono solo i batteri azotofissatori, che,
direttamente, attuano una riduzione. Questi batteri sono alcuni batteri del suolo, come Klebsiella e
Azotobacter, e quelli che vivono nel nodulo radicale con radici nel suolo, come il Rhizobium, poi ci sono
anche i Cianobatteri. La riduzione dell’azoto è estremamente difficile a causa del triplo legame.
Industrialmente, si effettua il processo di Haber e si usano 450 gradi e 270 atm per fare N2+3H2->2NH3.
Questi batteri sanno fare la reazione perché hanno la nitrogenasi, che è un enzima: si tratta di
un’associazione di componenti 1 (Mo-Fe) che è la nitrogenasi, mentre la componente 2 (Fe) è la
nitrogenasi reduttasi che riduce la nitrogenasi vera e propria. La nitrogenasi realizza al suo interno un

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trasporto elettronico con una serie di proteine che


contengono i centri Fe-S. Questa catena è talmente
efficiente, che riduce N atmosferico perché si portano
elettroni direttamente su quel triplo legame. Il sistema della
nitrogenasi è stato perso nel corso dell’evoluzione e per
carpire la possibilità di riprodurre l’attività di questo enzima
si studiano questi organismi, anche perché questo enzima
lavora a 25 gradi e a 1 atm, quindi a condizione economiche.
La Mo-Fe proteina della componente 1 ha un ferro molibdeno, cioè si ha un atomo di molibdeno, che è il
centro catalitico del cluster ed è quello che interviene nel far reagire l’N molecolare. Si hanno anche siti di
interazione degli ATP dato che è un processo che richiede consumo di E anche se avviene a condizioni
ambientali. Per ridurre una molecola di N gassoso sono consumate 16 molecole di ATP e la nitrogenasi per
lavorare così consuma molta ATP. Inoltre, nel sito attivo della nitrogenasi, che è dove c’è il molibdeno,
dev’essere mantenuto lontano l’ossigeno. Per fare ciò, interviene la leghemoglobina che sequestra
l’ossigeno. L’N atmosferico diventa NH3 grazie ai batteri, che fanno diventare NH3 il substrato di altri
batteri, quelli nitrificanti, che ossidano NH3 a nitriti (n.o. +3) e poi a nitrati (n.o. +5) presenti nel suolo.
Nitrati e nitriti, a loro volta, sono catabolizzati, non solo da batteri, ma anche da piante, per cui possono
essere riconvertiti in NH3. Le piante usano per lo più nitrati e nitriti del suolo e hanno gli enzimi per poterli
ridurre. Quando si coltivano i campi è pratica comune concimare con nitrati e nitriti. Poi ci sono altre due
frecce per cui alcuni batteri denitrificanti che convertono i nitriti in N atmosferico e poi ci sono i batteri
anammox, che chiudono il ciclo usando ammoniaca e nitriti assieme per dare N atmosferico. Organicare
l’NH3 è ancora un ruolo che fanno solo piante e microrganismi: quindi, l’NH3 è inserita nello scheletro degli
amminoacidi come gruppo amminico solo dalle piante e dai batteri. Nel momento in cui si introducono le
proteine con la dieta, e quindi anche gli amminoacidi (che se inseriti singolarmente, darebbero un gusto
amaro), queste hanno una loro composizione in amminoacidi e per noi, dei 20 amminoacidi usati per fare
proteine, la metà sono essenziali, perciò devono essere introdotti con la dieta (sono quelli con la struttura
più complicata quindi la cellula ha perso la capacità di sintetizzarli, come isoleucina, triptofano, tirosina,
ecc). Le proteine introdotte sono ad alto valore nutritivo se contengono tutti gli amminoacidi essenziali.
Spesso, proteine di origine vegetale, non hanno tutti gli amminoacidi essenziali. Le proteine della dieta
sono degradate ad amminoacidi liberi. A livello dello stomaco, la presenza del cibo induce il rilascio di un
ormone, la gastrina, che fa sì che venga rilasciato acido cloridrico, che abbassa di netto il pH (si arriva a un
valore di 1), e quindi si denaturano le proteine che perdono la loro forma tridimensionale. In più, per la
gastrina, si riversa nello stomaco un primo enzima, il pepsinogeno che idrolizza il legame peptidico. Questo
enzima, per effetto dell’abbassamento del pH, si attiva diventano pepsina. Poi le proteine, con il resto del
cibo, vanno nell’intestino tenue. All’inizio del tenue, si rilascia la secretina, che è un ormone che induce il

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pancreas a rilasciare del bicarbonato, che ricostituisce un ambiente basico (pH 7). La presenza del cibo nel
tenue induce il rilascio dell’ormone colecistochinina che stimola la secrezione del succo pancreatico che
contiene gli enzimi idrolitici per le proteine (tripsina, chimotripsina e carbossipeptidasi e sono tre perché
hanno diverse specificità di azione, mentre per gli zuccheri, in maniera polimerica, si introduce amido fatto
da glucosio, mentre le proteine hanno 20 diversi amminoacidi che devono essere riconosciuti). Tripsina e
chimotripsina (tripsinogeno e chimotripsinogeno) vengono prodotte come zimogeni e attivate con
attivazione proteolitica. La tripsina è anche usata in laboratorio perché è altamente specifico nel
riconoscere il legame peptidico: taglia in corrispondenza di lisina e arginina. Mentre tripisina e
chimotripsina riconoscono legami peptidici in posizioni interne, le carbossipeptidasi tagliano le estremità C-
terminali togliendo un amminoacido alla volta, accorciando la catena. L’assorbimento avviene nel tenue,
ma non può avvenire per dei peptidi. Solo in caso di malfunzionamento della barriera dell’epitelio
intestinale, si assorbono peptidi più lunghi. Quando si assorbe un frammento di 4 o 5 amminoacidi essi
possono diventare determinanti antigenici e possono stimolare la produzione di anticorpi, provocando, poi,
reazioni allergiche. Sulla superficie delle cellule dei villi, funziona un altro enzima proteolitico che sono le
amminopeptidasi, che lavorano come le carbossipeptidasi e sono inseriti in membrana e tagliano un
amminoacido alla volta dall’estremità ammino terminale. Le cellule contengono proteine che devono
sottostare a un turnover e quindi una sorgente di amminoacidi nelle cellule è rappresentata dalla
degradazione delle proteine intracellulari. Le cellule sintetizzano e degradano continuamente le proteine,
che possono avere una vita breve (RNA pol da 1 a 3 ore) o una lunga (gliceraldeide 3-P deidrogenasi 130
ore). Le proteine del cristallino dell’occhio hanno, invece, una vita media pari alla nostra anagrafica. Ci sono
due modi di degradazione:
- Sono usati i lisosomi. Essi sono organelli delimitati da una singola membrana, hanno un ambiente
protetto più acido del citosol (pH 5) e hanno fino a 50 idrolasi diverse perché non degradano solo
proteine, ma anche materiale lipidico accumulato. I lisosomi lavorano in un ambiente acido e
questa è una sorta di protezione per la cellula: se per danni cellulari, la membrana dei lisosomi si
rompe, allora le idrolasi andrebbero nel citosol e porterebbe a danni, ma lavorando a pH acido e
dato che il citosol ha pH 7 allora la loro attività acidi viene contenuta.
- Si ha una degradazione citosolica che prevede una modifica
post-traduzionale con un legame covalente con l’ubiquitina,
con il processo dell’ubiquitinazione con conseguente
demolizione nel proteosoma, che non è un organello e
quindi non è delimitato da membrane. Questo è un
processo che prevede il legame dell’ubiquitina (76 aa) alla
proteina destinata alla degradazione. Si chiama ubiquitina,
perché si trova in tutti gli organismi ed è conservata, in tutti,

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una posizione del residuo di lisina 48 che è un punto per il legame dell’ubiquitina. Si tratta di un
processo che richiede ATP ed è indipendente dai lisosomi. L’ubiquitina si lega, con il suo estremo C-
terminale sporgente, al sito attivo dell’enzima. Ci sono tre enzimi diversi che intervengono nel
processo: E1, E2, E3. Questo serve perché il processo dev’essere possibile su una varietà ampia di
proteine e allora, se ci fosse un solo enzima che lega subito l’ubiquitina, questo non potrebbe
essere specifico per tutte le proteine della cellula. E1 dona ubiquitina, E2 la riceva ed E3 è l’enzima
che ha nel suo sito attivo la proteina condannata alla degradazione, che viene legata
covalentemente sul suo residuo di lisina all’ubiquitina. Questo legame è di tipo isopeptidico.
Questa successione fa sì che venga legata ubiquitina, ma non è sufficiente per la degradazione e
bisogna trasferire sulla proteina una piccola catena di ubiquitina a livello del suo residuo di lisina
48. C’è sempre un legame C-terminale-lisina 48. Questo evento si ripete e infatti si parla di poli-
ubiquitinazione. Studiando questo processo, si sono formulati diverse modalità di azione con cui le
proteine possano essere degradate. Si è visto che, esaminando le estremità N-terminali, che non
entrano in gioco nel processo, si notò la presenza di amminoacidi destabilizzanti che portano a una
vita media delle proteine breve, se inizia con amminoacidi stabilizzati, come serina, alanina, ecc,
allora la vita media sarà più lunga.
Dopo l’ubiquitinazione, la proteina è
degradata nel proteosoma, che ha una
forma cilindrica con associazione
quaternaria di più subunità proteiche. Il
proteosoma ha una porzione centrale, il
nucleo 20S, e da due cappucci, sopra e
sotto, definiti particelle regolatrici 19S.
Questo sistema è più aspecifico, ma riconosce la coda di ubiquitina, la proteina entra nel cilindro
dove, attraverso variazione conformazionali dipendenti dall’ATP, si realizzano eventi proteolitici
con cui la proteina è degradata. Dal proteosoma escono la proteina degradata in peptidi e le unità
di ubiquitine, poi nel citosol prosegue la demolizione a singoli amminoacidi. Una volta recuperati
nel citosol, i singoli amminoacidi possono esser usati per la biosintesi delle proteine. Questo
recupero avviene per il problema del gruppo amminico, che, se libero, è un problema per la cellula.
Quindi, la cellula fa parsimonia del suo metabolismo dell’azoto delle proteine. Se, invece, sono
superate le richieste dell’equilibrio dell’N e se arrivano troppi amminoacidi, allora questi
amminoacidi non vengono depositati e devono essere demoliti: si deve rimuove all’inizio il gruppo
amminico. Questo è il problema più grande perché poi il gruppo amminico dev’essere eliminato
con il ciclo dell’urea. Poi, lo scheletro carbonioso ha diversi destini: può essere ossidato

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completamente, facendo ATP, o questi scheletri sono usati per le biosintesi (degli acidi grassi o del
glucosio).

Gli amminoacidi entrano nel ciclo di


Krebs, se vengono ossidati, mentre,
dall’altra parte, i gruppi amminici
entrano nel ciclo dell’urea. Il ciclo
dell’urea e quello dell’acido citrico
sono collegati dallo shunt aspartato-
arginino-succinato del ciclo
dell’acido citrico. A livello del fegato,
deputato all’eliminazione dei gruppi
amminici, entrano gli amminoacidi
che arrivano dalle proteine digerite e
poi si hanno due tipi di ingresso:
alanina e la glutammina. Questo
perché dei 20 amminoacidi non sono
tutti alla stessa concentrazione, ma ci
sono aa come alanina e glutammina
che sono più presenti perché il nostro corpo usa questi due amminoacidi e converte gli altri in questi
amminoacidi e li usa per un trasporto facilitato. Effettivamente, le nostre capacità metaboliche sono
concentrate sulla glutammina e sull’acido glutammico. Bisogna arrivare al glutammato. Poi dalla cellula del
fegato si vede che avvengono diverse reazioni e in uscita ci sono urea, ione ammonio e acido urico. A
seconda del tipo di organismo, si specifica qual è la via di eliminazione dell’N: nei pesci non si produce urea,
ma eliminano N come NH3, così fanno anche i girini delle rane. Noi siamo ureotelici e quindi non
eliminiamo lo ione ammonio, quindi eliminiamo l’urea. Il fegato fa il ciclo dell’urea per trasformare N da
gruppo amminico a urea, che dal circolo sanguineo viene filtrata dai reni. Infine, c’è un altro percorso, cioè
la modalità di eliminazione dell’N che hanno i rettili e gli uccelli. Le piante, invece, non hanno questo
bisogno perché assimilando nitrati e nitriti convertendolo in NH3, ne assorbono la quantità necessaria per il
loro sviluppo e non se ne trovano mai in eccesso.

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Prima reazione: qualunque amminoacido


che arriva al fegato, per essere eliminato si
usa l’alfa chetoglutarato che porta a una
reazione in cui un amminoacido dona il suo
gruppo amminico a un alfa chetoglutarato,
che diventa glutammato, mentre
l’amminoacido diventa un alfa cheto acido.
Questa reazione avviene nel citosol ed è a
opera di una transferasi e il nome della
reazione è transaminazione con
transaminasi (che si trovano nel fegato),
che trasferiscono il gruppo amminico da un
amminoacido qualunque su un alfa
chetoacido qualunque, che è l’alfa
chetoglutarato, perché quando riceve il
gruppo amminico diventa glutammato. Quindi le transaminasi servono a convertire gli amminoacidi uno
nell’altro usando alfa chetoacidi e, quindi, servono per portare un gruppo amminico sul glutammato. Ho un
amminoacido, cioè un alfa chetoacido (in alfa ha un gruppo chetonico): amminoacido + alfa chetoglutarato
<-> COOH-C=0-R + glutammato (alfa chetoglutarato diventa glutammato). Qui, il gruppo amminico non si è
liberato, ma è stato fatto passare sul glutammato, che le cellule del fegato sanno gestire. Poi, questo
gruppo amminico si deve staccare per eliminarlo. Il passaggio successivo è il trasferimento nel mitocondrio
epatico in cui il glutammato subirà una deamminazione ossidativa, dato che sono nel catabolismo. La
deamminazione prevede un amminoacido qualunque che reagisce con un enzima redox dato che usa il
flavinmononucleotide ossidato come coenzima che stacca il gruppo amminico. Nel fegato ci sono diverse
deaminasi, dette L amminoacido ossidasi, ma non sono abbondanti perché se fosse questa la prima via,
allora gli amminoacidi sarebbero subito spezzati. Dentro il fegato, lavora molto la deamminazione sul
glutammato. Una volta ottenuto il glutammato, esso torna a essere alfa chetoglutarato perdendo il gruppo
amminico. Anche questa è una deamminazione ossidativa ed è la reazione di deamminazione prevalente
che avviene nel fegato ed è catalizzata da un enzima, chiamato L-glutammato deidrogenasi. Esso usa o il
NAD o il NADP ed esce il gruppo ammonio ricostituendo l’alfa cheto acido iniziale, che potrà così rientrare
nel ciclo di Krebs. Il nostro fegato lavora in questo senso ossidativo per cui si stacca il gruppo amminico,
mentre nei batteri e nelle piante, essi hanno la glutammato deidrogenasi che prende NH3 e la lega all’alfa
chetoglutarato, quindi lavora in senso inverso. Altra caratteristica importante è che la glutammato
deidrogenasi lavora nei mitocondri del fegato in cui avviene la demolizione degli zuccheri, ma avviene
anche la demolizione degli acidi grassi e degli amminoacidi. Le transaminasi, invece, lavorano nel citosol

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della cellula epatica. Anche l’alanina, che proviene con la circolazione del sangue ed è un amminoacido
molto presente nel sangue, con la glutammina, entra nel fegato e subisce una reazione transaminasica. Al
posto di R si ha CH3 e anche lei reagisce con l’alfa chetoglutarato, che diventa glutammato mentre l’alanina
diventa piruvato (sapere formule).
La transaminasi per trasferire il gruppo amminico ha bisogno di un coenzima, che è PLP, cioè
piridossalfosfato, cioè un derivato della vitamina B6. Il PLP è il coenzima di tutte le transaminasi. Le
transaminasi sono dette anche amminotransferasi. Nel sito attivo, c’è la struttura del PLP (no formula). Il
PLP è piridossale, che, dalla chimica, si sa che sono aldeidi, infatti ha un gruppo aldeidico e, durante la
reazione delle transaminasi, esce l’amminoacido che ha perso il suo ammino gruppo ed entra l’alfa
chetoglutarato. Oltre alla reazione appena descritta, si può formare anche aspartato (un altro donatore
dell’urea) a partire
dall’ossalacetato. GOT e GTP sono
glutammico ossalacetico
transaminasi e la glutammico piruvico transaminasi. L’aspartato può reagire con alfa chetoglutarato,
diventando glutammato e ossalacetato, mentre l’alanina reagisce con alfa chetoglutarato che diventa
piruvato e glutammato. Perciò, esse sanno lavorare nei due sensi (lo ha detto per capire la reazione scritta
così).

Si deve ancora vedere come arriva al fegato l’ammino


gruppo attraverso la glutammina, che arriva un po' da
tutti i tessuti extraepatici, e in particolare essa serve a
veicolare l’NH3 che eventualmente si genera, ad
esempio, a livello del tessuto celebrale. Tutti gli altri
tessuti, per liberarsi dell’eventuale ammoniaca, hanno
l’enzima glutammina sintetasi, di classe VI. Questo
enzima ha un procedimento irreversibile dal glutammato va a glutammina consumando ATP: lega NH3 su R
del glutammato formando glutammina e liberando P inorganico. La reazione richiede anche ioni
manganese, Mn2+. Questo enzima è detossificante dall’ammoniaca e, quindi, subisce una fine regolazione:
è multi-subunità e ha un’organizzazione cilindrica senza uno spazio all’interno con un esamero sopra e uno
sotto. Esso è soggetto a regolazione allosterica sia a regolazione da parte di modifiche covalenti. Si vede
che questo enzima necessita del glutammato. Si deve considerare il trasporto dell’NH3 al fegato: la
glutammina va in circolo, entra nel fegato dove deve ritrasformarsi in glutammato senza la reazione della
glutammato deidrogenasi, che stacca il gruppo amminico legato al C alfa, mentre nella glutammina si deve
staccare il gruppo amminico che è sul gruppo R. Per fare questo si usa la glutamminasi, che è una idrolasi di
classe III, che rilascia il gruppo amminico sotto forma di ione ammonio. La diapositiva sopra parla di un ciclo

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glucosio-alanina: questo ciclo fa entrare come protagonista la gluconeogenesi. Avviene la reazione


transaminasi tra glutammato e piruvato e il piruvato prende il gruppo amminico dal glutammato
diventando alanina, con la reazione alanina amminotransferasi. L’alanina, che va in circolo, arriva al fegato
e avviene la reazione transaminasica contraria: alanina e alfa chetoglutarato reagiscono per dare piruvato e
glutammato. Il piruvato formato alimenta la gluconeogenesi che fa glucosio, va in circolo e arriva al
muscolo dove è usato per la glicolisi e dove verrà convertito in piruvato, di cui una quota non va in
fermentazione, ma viene transamilata ad alanina. Analogamente al ciclo di Cori, il ciclo glucosio-alanina è
analogo perché è un sistema per rifornire il muscolo, che si sta contraendo di glucosio quando il soggetto
non si sta alimentando, a partire da alanina, non da lattato, come per il ciclo di Cori.
Ciò che rimane a monte dello scheletro carbonioso cos’è? Gli scheletri carboniosi possono avere destini
diversi e possono essere degradati in modo differenti (danno gli intermedi delle reazioni): vanno alla
gluconeogenesi e sono detti amminoacidi glucogenici, o sono amminoacidi chetogenici se fanno corpi
chetonici, oppure vanno in un verso o nell’altro, sono entrambi (non sapere se un amminoacido è l’uno o
l’altro). Si deve sapere solo che l’alanina è transamilata nel fegato a piruvato così da poter entrare nella
gluconeogenesi.

CICLO DELL’UREA
Durante questo ciclo, che avviene nel fegato, si produce
urea (C=O e due gruppi amminici). I due gruppi amminici
hanno due colori diversi: verde e azzurro. Questo perché
hanno due origini diverse.
Il ciclo parte dal mitocondrio, però non è localizzato tutto
qua, ma esso avviene in parte anche nel citosol del
fegato, in cui si rilascia urea. Nel primo step, l’ammonio
reagisce con la CO2, cioè l’acido carbonico, con cui si
sintetizza il carbamil fosfato, perché c’è un COOH legato a
un gruppo amminico. Si usa l’enzima carbamil fosfato sintetasi I. Questa molecola si combina con
l’ornitina, che è un amminoacido metabolico perché non è uno dei 20 che fanno proteine, ma compare qui
come un intermedio, un po' come l’ossalacetato del ciclo di Krebs. L’ornitina, che proviene dal citosol, entra
nel mitocondrio, in cui si combina per dare la citrullina. L’ornitina ha cinque atomi di C (sapere formula). Sul
gruppo amminico dell’ornitina si deve attaccare il carbamil fosfato, per dare la citrullina (sapere formula).
Attaccando il carbamil fosfato al gruppo amminico (con una reazione di condensazione), si vede che si
forma già la formula dell’urea. Però, se ci fosse un enzima che taglia a quel punto liberando l’urea, si ha un
problema perché si avrà una molecola che non sarà niente e così non si chiude il ciclo. Allora l’atomo di N
dell’ornitina lo si deve lasciare e si deve continuare ad aggiungere pezzi all’ornitina. La citrullina va nel

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citosol, dove si combina con l’acido aspartico, che porta un gruppo amminico che si lega alla citrullina,
formando l’argininosuccinato, in cui l’acido aspartico dona il suo ammino gruppo. Successivamente, si deve
rimuovere ciò che rimane dell’acido aspartico (si perde una molecola di fumarato) e tutto il complesso
diventa arginina, che ha tre atomi di N al suo terminale. La quarta reazione prevede il distacco dell’urea: è
una reazione di idrolisi che libera la molecola dell’urea e lascia intatto il gruppo amminico che fa sì che tutta
la molecola torni a essere l’ornitina. Per questo processo, si consuma molto ATP: già nel mitocondrio se ne
usano due per fare carbamil fosfato, poi si usa ATP anche per legare asparato alla citrullina. La nostra dieta
non dev’essere troppo ricca in proteine, se poi le cellule non hanno un ricambio accelerato di proteine.
C’era la gotta, che è una malattia delle articolazioni che, nel passato, era molto presente tra persone ricche
e agiate perché consumavano cibi ricchi in proteine quasi giornalmente, a differenza dei contadini. La gotta
era dovuta a un sovraccarico nel fegato di ciclo dell’urea che, se accumulata, porta a depositi di acido urico
sotto forma di salo a livello delle articolazioni, che si gonfiavano e si limitavano, così, i movimenti.

Il cerchio che unisce ciclo di Krebs e il ciclo dell’urea è lo shunt aspartato-arginino-succinato del ciclo
dell’acido citrico. La citrullina, combinandosi con l’aspartato, forma argininosuccinato, liberando il
fumarato può diventare malato, entrando così nel ciclo di Krebs. A sua volta, dal ciclo dell’acido citrico,
attraverso l’intermedio dell’ossalacetato, si esce dal ciclo dell’acido citrico, l’ossalacetato viene convertito
in aspartato con transaminazione e l’aspartato può uscire dal mitocondrio per fare quel secondo atomo di
N che entra nel ciclo dell’urea. In realtà, la cellula non ha bisogno di aspartato in più, che, invece, deriva dal
ciclo dell’acido citrico.

METABOLISMO DEI NUCLEOTIDI


L’uomo non ha bisogno di introdurre acidi nucleici con la dieta, mentre necessita quegli acidi grassi
essenziali, come gli omega 3 e 6 e gli amminoacidi essenziali. Comprensibile è il motivo: gli acidi nucleici
sono i componenti del nostro DNA, quindi sono essenziali. Ci sono precursori che sintetizzano gli acidi
nucleici con una biosintesi ex novo. Si vede che si parte da componenti degli amminoacidi, carbamil
fosfato, zuccheri che poi devono essere assemblati assieme per fare ribonucleotide poi, con modifiche,
convertire questi in desossiribonucleotidi. L’uomo sintetizza ex novo o de novo le basi azotate. Queste vie
sono costose e, quindi, si usano anche vie di recupero. Si introducono nucleotidi, si demoliscono fino ad
avere zucchero e base azotata (percorso analogo con le proteine). Non si prosegue nella degradazione della
base azotata, ma si recuperano con un sistema: ci sono idrolasi che rompono il legame fosfodiestere
(desossi-ribonucleasi pancreatiche). Così si ottengono gli oligonucleotidi da cui per effetto di fosfodiesterasi
(esonucleasi) si ottengono i singoli nucleotidi monofosfati. Poi si usano idrolasi che rimuovono il P, per
ottenere il nucleoside. Poi si hanno fosforilasi che portano ad avere solo la base azotata. Se la demolizione
va oltre, si formano composti come acido urico e ureidopropionato, però la cellula ha il corredo enzimatico

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per fermarsi prima e per riusare queste basi azotate già formate con questa reazione, che ha una doppia
freccia. Questa reazione è una fosforibosiltransferasi. Esistono, nelle nostre cellule, diversi enzimi di questa
categoria perché devono essere specifici per purine o pirimidine ed essi prendono la base azotata e la
trasferiscono sul ribosio, non sul ribosio 1-P, ma sul ribosio che ha tre fosforilazioni (cioè un
fosforibosilpirofosfato, PRPP). Il vantaggio di trasferire il P su questo tipo di molecola sta nel fatto che
direttamente dalla base azotata si ottiene subito il nucleotide, perché va via il pirofosfato, ma rimane P,
zucchero e base azotata che formano già il nucleotide. La via inversa prevede due passaggi perché si deve
tornare indietro fermandosi al nucleoside e poi lì si deve consumare ATP per legare il P diventando
nucleotide. Con la via di recupero, invece, non uso ATP. Questi enzimi transferasici sono importanti per cui
si sono identificate malattie genetiche legate alla carenza di questi enzimi delle vie di recupero, come la
malattia di Lesch-Nyhan, che porta a ritardo mentale.
Nella via di recupero si hanno due basi perché la transferasi lavora sia sulla guanina sia sulla ipoxantina. La
seconda non è una base azotata, ma è un precursore. C’è il composto PRPP che ha il pirofosfato in 1’ e il P
5’ e la transferasi trasferisce il P in 1’, facendo subito il nucleotide.
Gli enzimi delle vie biosintetiche dei nucleotidi sono i bersagli degli agenti chemioterapici e, in più, le purine
sono sintetizzate a partire da 5-
fosforibosilammina, mentre le
pirimidine partono da carbamil fosfato
e aspartato.

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