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Citologia ed Istologia Lezione 2:

La citologia è indispensabile per la comprensione di istologia e di embriologia e morfogenesi.

Le costruzioni si fanno partendo dalle fondamenta, dallo scheletro. In genere la cellula spesso nei libri di
testo scolastici viene rappresentata come una struttura ovoidale o sferica e questa è una approssimazione,
poiché nella realtà, l’aspetto delle cellule e le dimensioni possono variare enormemente. Ad esempio,
quelle nervose sono ricche di prolungamenti, estroflessioni, adibite alla ricezione e al trasporto degli
stimoli; quelle muscolari presentano una forma cilindrica, poiché sono dei sincizi funzionali ovvero tante
cellule che si sono fuse tra di loro per formare la struttura finale e via dicendo.

Le cellule sono tantissime, tramite link è possibile vedere tutte le tipologie, popolazioni cellulari in un corpo
umano  utile a capire il livello di differenziazione che si può avere un animale, un mammifero, ma anche
all’interno degli invertebrati si ha questa varietà molteplice e continuando a scendere nella scala zoologica,
per esempio anche i vermi più semplici, come i nematodi, sono importanti, non solo per ragioni di salute
ma ci sono dei modelli sperimentali di notevole rilevanza, in cui vengono utilizzati per la ricerca scientifica.

Iniziando il discorso vero e proprio sulla citologia, qui c’è il dubbio vero e proprio, ovvero come cominciarlo.
Una maniera classica è quello di parlare delle membrane, altri dal nucleo.

Si parla di membrane e non di membrana al singolare, perché le membrane biologiche formano varie
strutture e delimitano la cellula, ovvero quella plasmatica poi ci sono altre due membrane che delimitano il
nucleo e formano il cosiddetto involucro nucleare e poi abbiamo la lista di tutti quegli organelli
membranosi, come Apparato di Golgi, endosomi, perossisomi, lisososmi, reticolo endoplasmatico etc.
ovvero sono formati da una parete di membrana. La membrana isola un ambiente e dunque all’interno di
questi organuli ci possono essere delle caratteristiche di composizione chimica che differenzia dal
citoplasma esterno e questo è importante poiché consentirà diverse funzioni, dato che questi organuli
hanno moltissime funzioni ben precise.

La membrana plasmatica, ovvero quella che delimita la cellula, è un elemento a cui ‘’dobbiamo molto’’
perché ha reso possibile la vita sulla terra e la vita come la vediamo sul nostro pianeta è stata una conquista
che ha richiesto moltissimi anni, a partire dal fatto che la terra stessa ha dovuto formarsi e poi ci sono
volute le condizioni adatte per far nascere la vita oggi come la conosciamo. Si è visto che nelle condizioni
primordiali c’è un generarsi spontaneo di molecole organiche e a questo proposito c’è un celebre
esperimento, che ha riprodotto in laboratorio l’atmosfera primordiale della terra con le composizioni di ciò
che vi era, ovvero acqua, ammoniaca etc ed effettivamente si venivano a creare delle molecole organiche in
maniera normale, quali amminoacidi, nucleotidi e così via. Queste molecole hanno però poi la caratteristica
di polimerizzare, infatti dagli amminoacidi si formano i polipeptidi e i nucleotidi formano i polinucleotidi, tra
cui probabilmente il primo ad essersi formato di questa classe è l’Rna; infatti, probabilmente il nucleo deve
essere stato formato solo dall’acido ribonucleico e poi successivamente è apparso anche il Dna, però non
c’erano solo queste due categorie, ma anche il nucleo ed è qui che derivano le membrane. La presenza di
lipidi, in particolare di una categoria in particolare, quelli complessi, hanno la caratteristica speciale di
disporsi in doppio strato, questo perché la molecola dei lipidi complessi è una struttura particolare, ovvero
è anfipatica e cioè una molecola che presenta due poli, una testa ed una coda. La prima è idrofila, mentre la
seconda è idrofoba. Questi brodi primordiali, questi lipidi complessi, in ambiente acquatico, la parte idrofila
ha piacere di essere a contatto con l’acqua, viceversa, quella idrofoba cerca di evitarlo e di conseguenza di
ha una disposizione caratteristica, in cui le teste vanno a rivolgersi a contatto con l’acqua, mentre le code si
racchiudono all’interno per evitare l’acqua. Tuttavia, il doppio strato non è sufficiente poiché ai lati ci sono
delle aperture che potrebbe permettere il passaggio di acqua e allora questo doppio strato, si chiude su se
stesso a formare delle ‘’sfere’’, in modo che l’interno sia completamente isolato dall’ambiente acquoso
esterno, attraverso una vera e propria parete. Questo doppio strato di fosfolipidi complessi, quindi,
chiudendosi va a raccogliere anche altri componenti di questo brodo primordiale che casualmente erano
presenti. Tra questi vi sono polipeptidi, polinucleotidi, quali RNA. In queste popolazioni di liposomi che
racchiudono le sostanze, tra cui RNA che sono autoreplicanti, che funge da enzima per la sintesi delle
proteine; naturalmente accade che ci sono RNA che funzionano meglio rispetto a degli altri, andando a
creare una sorta di concorrenza, competizione tra queste sferule di liposomi che contengono il brodo
primordiale e dunque vengono a formarsi le prime cellule. L’Rna è meno stabile del Dna, pertanto ben
presto esso si è fermato nell’evoluzione perché mantiene quella più stabile e di conseguenza più adatta a
contenere dell’informazione per la codifica delle proteine. Le prime cellule formatosi però sono abbastanza
semplici, anche se per ottenerle si è richiesto tantissimo tempo e sono proprio i procarioti. La prima
atmosfera era priva di ossigeno e quindi essere erano anaerobiche basate su processi quali glicolisi e
fermentazione. I primi procarioti avevano molto probabilmente una membrana che poteva introflettersi, e
tramite delle invaginazioni della membrana, si sono formate delle membrane all’interno della cellula e
queste, per abitudine della membrana, si sono racchiuse andando a formare i precursori degli organuli.
Alcune di queste invaginazioni hanno accolto anche il Dna o l’Rna, ovvero formando proprio le cellule
eucariote. Infatti, questa è una delle differenze, rispetto alle procariote, oltre ad avere un nucleo definito,
cosa non presente nei protisti o nei batteri. Una volta che si è ottenuta la cellula eucariote, ovvero la
formazione dei multicellulari, il gioco è fatto, anche se anche questo ha richiesto moltissimo tempo.

Come si è arrivata a questo tipo di organizzazione, è ancora un mistero. Se portassimo tutta questa storia su
un orologetto di 12h, c’è innanzitutto la formazione della cellula, nelle prime due ore, dando il via alla vita e
dopo di che subito si sono formati i procarioti, andando ad occupare metà della storia del nostro pianeta,
costituendo un mondo a batteri, dopodiché dopo altre due ore e mezza a partire da questi procarioti si
sono formate quelle eucariote e da cui a sua volta si sono formati i multicellulari con tutta l’evoluzione
vegetale e animale, noi come esseri umani, andiamo ad occupare gli ultimi due minuti.

Tornando alle membrane, esse sono delle strutture difficilissime da studiare, poiché ciò si può farlo solo al
microscopio elettronico molto buono, essendo molto piccola; infatti, lo spessore è di 7-8 nm (Da ricordare
che 1 micrometro= millesima parte del millimetro, mentre il nm è la millesima parte del micrometro.),
ovvero è estremamente sottile. Membrana cellulare, non necessariamente plasmatica, vista al microscopio
elettronico a trasmissione; si è riusciti a tagliare una membrana. Essendo un microscopio elettronico non ci
sono i colori, poiché gli elettroni passano più o meno velocemente e impressionano lo schermo formando i
vari tipi di grigio, a cui noi poi diamo dei falsi colori. Le osservazioni al microscopio della membrana
biologica è fatta da tre strati. Questo è il classico esempio di antefatto, o meglio questi due strati è perché si
depositano i metalli pesanti però questo ha influenzato le ipotesi della struttura della membrana. Le
membrane sono molto facili da isolare dagli eritrociti, che sono dei sacchetti pieni di emoglobina, i quali si
mettono su una soluzione molto diluita, questi si rigonfiano e scoppiando ci permettono di isolarle. A fine
800 si iniziò ad analizzarle e si vide che la composizione lipidica era predominante in queste membrane e si
arrivò a pensare che fosse formata da un monostrato lipidico, poi si studiò meglio e si vide che erano lipidi
complessi e quindi un doppio strato e dunque a metà 900 con l’avvento della microscopia elettronica si
arrivò alle immagini e essere ispirano questo tipo di modello, cioè doppio strato di lipidi complessi racchiusi
da uno strato di proteine sopra e sotto, anche se poi si vide che non era corretto. Nella realtà, infatti, è vero
che le proteine possono stare sopra e sotto alle due facce, ma esistono anche quelle che si affondano più o
meno nel doppio strato lipidico e addirittura altre la attraversano del tutto. A questa conclusione ci si è
arrivata grazie a studi chimici, attraverso ad esempio una tecnica particolare che è la ‘’criofrattura’’ (infatti
tutte le scoperte scientifiche derivano tutte dalle tecnologie), ovvero una tecnologia molto raffinata che
consiste nel congelare le membrane, spaccandole in due e dopo molti tentativi si riesce ad ottenere che
una membrana sono spaccati i due strati di lipidi complessi e separate e le due facce sono ombreggiate da
metalli pesanti e questi si possono osservare al microscopio elettronico a scansione e si vede la superficie.
Si vide che nelle due facce c’erano delle protrusioni ed erano le proteine che erano fuoriuscite dal doppio
strato lipidico oppure c’erano dei buchi, ovvero laddove le proteine erano state strappate ed erano rimaste
attaccate all’altro ‘’monolayer’’. (Monostrato= singolo strato di atomi e molecole strettamente
impacchettati.) Questa tecnica è stata la prova che tutte le membrane hanno una struttura a mosaico fluido
in cui ci sono i lipidi complessi, le proteine che possono essere più o meno immerse nel doppio strato
lipidico e fluido perché si è visto che tutte queste varie molecole non sono immobili, ma si spostano. La
composizione chimica è formata anche da steroidi e glucidi, questo perché alle proteine e ai lipidi possono
essere collegate altre classi di molecole.

I lipidi complessi come definizione è molto generale; infatti, nella realtà, sono formati da fosfolipidi,
sfingolipidi e glicolipidi. I fosfolipidi derivano dai trigliceridi, che sono altro che grassi, e c’è il glicerolo con
tre molecole di acido grasso; una di queste molecole di acido grasso nei fosfolipidi viene sostituito da un
gruppo fosfato che viene collegato ad un generico gruppo X, che cambia e quindi per questo si hanno vari
tipi di lipidi  quelli complessi, come i fosfolipidi, i quali sono di varia natura. Quelli più comuni nelle membrane
sono: fosfatidilcolina, fosfatidilserina, fosfatidiletanolamina e fosfatidilinositolo.

Poi ci sono gli sfingolipidi, ovvero i lipidi complessi che hanno perso due catene di acidi grassi e si è unita la
‘’sfingosina’’; questi sono per esempio delle macromolecole che entrano nelle membrane dei neuroni.

Infine, ci sono i glicolipidi, in cui alla sfingosina è legata una molecola di galattosio.

Gli acidi grassi che in genere vengono sostituiti possono essere anche loro di diversi tipi: possono essere, infatti, delle
catene più o meno lunghe e possono essere saturi o insaturi. Saturi, quando tra tutti gli atomi di C vi è un legame
semplice, negli insaturi un legame doppio. La presenza del doppio legame crea una curvatura che conferisce un certo
grado di fluidità; da qui si ha che i grassi saturi sono molto più densi, es il burro, che è quasi solido, al contrario quelli
insaturi sono molto più fluidi, come ad esempio l’olio. Sono pertanto le insaturazioni di questi ultimi a determinare un
aumento della fluidità. Interviene poi un altro lipide, il colesterolo, che al contrario inibisce la fluidità.

Questo discorso sulla fluidità è molto importante quando parliamo di membrane; essa, infatti, permette un maggiore
o minore movimento delle macromolecole all’interno del doppio strato e ciò è fondamentale per moltissimi processi
biologici. Bisogna tenere a mente, che la membrana biologica è un confine tra l’interno e l’esterno, i quali possono
essere quelli della cellula o degli organuli, tra le funzioni, possono tradurre segnali e quindi passarli all’interno e quindi
è fondamentale che possano muoversi queste macromolecole.

Anche la temperatura influisce sulla fluidità: più essa è alta e più la membrana è fluida, mentre viene inibita quando è
bassa, oltre che dalla lunghezza degli acidi grassi, più sono lunghi e meno è fluida e più sono corti e più è fluida, e così
anche per il colesterolo, ovvero più ce ne è e meno la membrana è fluida e viceversa.

I lipidi possono effettuare diversi tipi di movimenti nel doppio strato: possono ruotare, movimento facile, possono
spostarsi nel monolayer che se è piuttosto fluida è molto semplice, ma a volte può essere necessario che essi debbano
spostarsi da un monolayer all’altro, ovvero il cosiddetto movimento flip-flop, ed è il movimento più difficile perché
richiede energia perché devono passare con la testa in un ambiente privo di acqua. Spesso, infatti, i fosfolipidi sono
prodotti solo su un monolayer e quindi poi dopo deve essere ristabilito l’equilibrio. Tutti questi movimenti e
soprattutto questo movimento di flip flop permette che nel bilayer (doppio strato) vi sia una differenza tra un
monolayer e l’altro; ovvero la faccia rivolta verso l’esterno è differente da quella rivolta verso l’interno.

Mettendo a confronto varie zone, quali mielina, reticolo endoplasmatico, mitocondri, epatociti, eritrociti ed un
batterio, vediamo come varia il livello di colesterolo e addirittura in quelle di E. Coli è totalmente assente. Questi
fosfolidi possono variare molto, come la sfingomielina e così i glicolipidi.

Qualsiasi membrana trattiamo, ha sempre il modello a mosaico fluido, ma se ne andiamo ad analizzare la


composizione chimica, questa è diversa sia da cellula a cellula, ma anche da organulo a cellula e tra organuli e organuli
e in misura maggiore la varietà tra la composizione chimica di un monolayer della stessa membrana e l’altro
monolayer.

Le proteine possono essere intrinseche ed estrinseche o transmembrana, altre che appoggiano solo fino ad un certo
punto e altre solamente accostate. La parte della proteina che è all’interno del doppio strato è necessariamente
idrofobo trovandosi in un ambiente che lo è a sua volta; mentre le parti esterne sono idrofile; ovviamente quelle
semplicemente accostate sono proteine che ha caratteristiche totalmente e completamente idrofile, ma le altre se la
vogliono attraversare devono avere almeno una zona idrofoba.
Le proteine, i polipeptidi, hanno una struttura che si dispone secondo un foglietto a zig-zag, ovvero una struttura beta,
oppure formare una elica, cioè l’alfa elica. Una proteina transmembrana può avere una struttura ad alpha elica, e
quindi la catena avvolta ad elica, attraversa la membrana; ma può essere anche il caso in cui la proteina
transmembrana è formata da una catena ad apha elica, che si affonda e ritorna poi indietro tornando all’esterno e si
parla in questo caso di proteina bypassanti. Poi, sia le proteine ad aplha elica e quelle a beta foglietto possono, invece
che passare attraverso la membrana, organizzarsi a formare una sorta di canale o meglio poro all’interno della
membrana avvolgendosi circolarmente.

Per quanto riguarda le proteine che si appoggiano solo o che si inseriscono solo parzialmente, ovvero quelle
estrinseche, possono essere a loro volta appartenenti a diverse categorie: interazione attraverso proteine anfipatiche,
interazione tramite un anello idrofobo, formazione di legami covalenti con i lipidi di membrana, quelle appoggiate solo
interazione di tipo elettrostatico. Quindi, è naturale che per isolare quelle che formano legami covalenti è necessaria
molta fatica e che al contrario quelle che hanno solo interazioni di tipo elettrostatiche sono molto deboli e semplici da
analizzare e poi ci sono tutte le situazioni intermedie. Le proteine sono legate al doppio strato in maniera differente.

Le proteine si muovono sul doppio strato grazie alla fluidità e questo si è visto fondendo insieme due cellule, una
umana e l’altra di topo, le cui proteine di entrambi erano state marcate con dei fluorocromi diversi, quella di topo era
verde e quella umana era rossa; ciò che accadde dopo la fusione, guardando al microscopio a fluorescenza, si
osservava che vi era una cellula per metà verde e per metà rossa e dopo un po’ di tempo si è osservata che questa
cellula non aveva più questa divisone, ma erano tutte mescolate e questo dimostrava che normalmente le proteine di
membrana si muovono nel doppio strato. Uno dei tanti esempi della prova del modello a mosaico fluido e dalla
fluidità. Da parecchio tempo ormai si è visto che le proteine non sono sparse più o meno casualmente, ma possono
essere raggruppate in ‘’zattere lipidiche’’; alcune proteine sparse, altre transmembrana, alcune estrinseche in cui
vengono avvolte da lipidi e raggruppate e questo è possibile poiché questi lipidi sono ricchi di colesterolo e
glico/sfingolipidi; questi lipidi sono poco fluidi e formano come un cerchietto attorno a queste proteine tenendole
unite. Possono essere raggruppate proteine sia esterne alla membrana che interne.

Infine, c’è la componente glucidica che si può collegare in catene oligosaccaridiche sia ai lipidi complessi che alle
proteine stesse. La caratteristica è che in genere la componente glucidica è sul versante esterno di una membrana
biologica, ma ci sono sempre le eccezioni come, per esempio, nella membrana di alcuni organuli, questo strato di
glucidi che prende il nome di glicocalice si trova all’interno. I glucidi presenti possono essere anche proteoglicani,
ovvero c’è una proteina lineare che può attraversare la membrana a cui sono legate delle sequenze oligosaccaridiche
piuttosto piccole oltre che glicoproteine, ovvero le proteine sono convolute e presentano delle catene ramificate
sempre di oligosaccaridi. Doppia classificazione almeno in questo ambito.

Essi svolgono diverse funzioni, tra cui una piuttosto importante, ovvero tutta la zona pellucida dell’ovocita è costituita
da glicoproteine e proteoglicani e queste rappresentano come segnale di riconoscimento per gli spermatozoi, che si
collegano a questa componente glucidica e permette il celebre affollamento degli spermatozoi e poi successivamente
la penetrazione di uno solo di questi che darà poi origine alla fusione del nucleo femminile e maschile portando alla
nascita dello zigote.

Quello che è diventato il brodetto primordiale, in cellula, è stata la membrana plasmatica e con le cui invaginazioni si
sono formati i vari organuli e la separazione del materiale genetico in un unico compartimento, ma essendo la
membrana un confine, essa un riconoscimento dell’ambiente circostante e in alcuni casi anche l’adesione con le altre
cellule e ci sono cellule che non aderiscono ad altre cellule ma a una matrice extracellulare, come nel tessuto
connettivo, nell’osseo e cartilagineo. Recepiscono anche stimoli, riconoscono sostanze, segnali e devono permettere
l’entrata e l’uscita di sostanze delle membrane, altrimenti sarebbero delle membrane impermeabili, non ci sarebbe
nessuno scambio e non ci sarebbe compatibilità con la vita. È importante la regolazione e il trasporto di sostanze.
Eccezione fatta per la delimitazione è chiaro che tutte le altre funzioni appena elencate sono mediate dalle proteine.

Esistono varie modalità con cui vengono regolati il passaggio delle sostanze: diffusione semplice, diffusione facilitata,
che si divide poi in trasporto attivo e passivo.

La diffusione semplice che quando la membrana è situata in due ambienti in cui la concentrazione è diversa da una
parte all’altra questa membrana permette il passaggio di una sostanza dalla zona più concentrata a quella meno
concentrata senza dispendio energetico; per quanto riguarda i gas, o le molecole apolari, come ad esempio gli
anestetici, o piccole molecole polari come l’acqua o l’etanolo, tutte queste molecole passano attraverso questa
modalità. Queste sono le sostanze che attraversano in maniera molto facile la membrana.

Quando le molecole diventano più grandi, come ad esempio il glucosio, il passaggio non avviene più attraverso la
membrana per diffusione, ma hanno bisogno di proteine trasportatori transmembrana, il cui legame con la sostanza
provoca un cambiamento conformazionale della proteina e la rilascia nell’altro lato dell’ambiente; esso avviene
sempre senza dispendio energetico, perché parliamo sempre di un trasporto che avviene da una zona a
concentrazione maggiore ad una a concentrazione minore. C’è un altro meccanismo di questo trasporto che avviene
attraverso le proteine canali, ovvero alcune a alpha elica o beta foglietto, che si avvolgono su sé stesse a formare un
poro e questi pori formati permettono i l passaggio di macromolecole sempre senza energia.

A volte però si ha la necessità che un passaggio di una sostanza, soprattutto di ioni, avvenga da una zona meno
concentrata a quella più concentrata, ovvero la membrana deve rispondere ad una esigenza di concentrare ancora di
più questo ione. Si parla per questa modalità di pompe ed è un trasporto attivo che richiede energia. Queste pompe
riescono grazie all’energia a trasportare contro gradiente; grazie a molecole quali ATP, ovvero un nucleotide fatto da
tre gruppi fosfati, adenosintrifosfato e la rottura di un gruppo, l’allontanamento del P, è una reazione fortemente
esoergonica che fornisce questa energia; l’ATP viene prodotta grazie a tutto un meccanismo specifico.

I canali ionici, le proteine canali, ovvero i trasporti passivi non sono sempre aperti, la loro apertura e chiusura può
essere controllata a seconda del voltaggio, ovvero un controllo elettrico, un controllo attraverso un ligando, cioè un
recettore che si unisce ad un ligando e ne permette l’apertura o addirittura meccanico.

Questi appena visti però non sono gli unici modi di trasporto. C’è un altro meccanismo molto importante, ovvero il
trasporto vescicolare, che ha funzioni importantissime quali l’assunzione e l’eliminazione di sostanze. Il processo per
cui la membrana, introduce o espelle sostanze si parla in generale di endocitosi ed esocitosi. Questa endocitosi però si
divide nello specifico in pinocitosi, fagocitosi ed endocitosi propriamente detta.

La pinocitosi, letteralmente ‘’cellula che beve’’, si forma una vescicola che viene portata nel citoplasma che consente
di internalizzare particelle liquide, è un trasporto aspecifico. Se però una cellula ha bisogno di grandi quantità di acqua,
di soluzioni disciolte nell’acqua può bere, assumere liquidi, tramite questo meccanismo.

Osservando l’immagine fatta al microscopio elettronico a trasmissione, vediamo la sezione di un capillare, il quale è
avvolto dalla cellula endoteliale. Riusciamo ad osservare il nucleo, ma sono presenti anche tantissimi altri piccoli
cerchi, alcuni sono ancora aperti, ovvero la vescicola si sta ancora formando, altre invece sono chiuse. Le vescicole di
pinocitosi una volta che si sono formate possono essere trasportate nel citoplasma, ma a volte si possono fondere con
la membrana plasmatica del lato opposto, come nel caso appunto delle cellule endoteliali e rilascia il contenuto
all’esterno del capillare. Questo è il meccanismo definito di transcitosi. Le vescicole di pinocitosi oltre a fare un
trasporto attraverso la membrana, possono fondersi con altri organuli, tra cui i lisosomi, ovvero organuli particolari
per la degradazione cellulare.

La fagocitosi è il meccanismo che le cellule usano per internalizzare sostanze, particelle o microorganismi e questo
processo fa sì che per esempio di meccanismi di autodifesa, se penetra un batterio gli anticorpi lo circondano e sulla
membrana della cellula che lo fagociterà ci sono delle proteine di membrana che riconoscono il frammento singolo
dell’immunoglobulina e attaccano il batterio. Dopodiché si innalza la membrana, questo grazie ad una rete di filamenti
di actina che fa si che essa si alza e avvolga il batterio e poi questa vescicola formatosi si fonde con i lisosomi e qui
grazie agli enzimi lisosomiali, lo distruggono. Anche per mediare le particelle avviene lo stesso meccanismo, ovvero
vengono captate, internalizzate e in questo caso il fagosoma si fonde con il lisosoma e sono sempre distrutte dagli
enzimi. Le cellule che occupano questa postazione sono i granulociti, in particolare quelli neutrofili. Altre cellule poi
che sempre effettuano la fagocitosi sono i macrofagi. Ci sono meccanismi di difesa non solo per corpi estranei ma
anche per cellule invecchiate e che vanno eliminate. Esiste poi anche il meccanismo dell’auto fagocitosi, cioè quel
meccanismo che distrugge gli organuli all’interno della cellula. I macrofagi possono inglobare molte sostanze e
particelle, ma non possono ere digerite e così fondono in queste cellule in cui sono accumulati detriti, come le cellule
epitelioidi o di Langerhans. Nell’immagine di microscopia ottica c’è una struttura al centro, il rosa è il citoplasma e ci
sono diversi nuclei, poiché le Langerhans sono fatte da cellule plurinucleati.

L’endocitosi propriamente detta è un meccanismo che utilizza dei recettori specifici ed è mediata da una molecola, la
clatrina, che per questo motivo questo meccanismo è definito clatrina dipendente. Ci sono delle proteine che si
avvicinano alla cellula, vengono riconosciute da un recettore, ognuno di questi legami tra molecola e recettore fa sì
che si posizionano al di sotto le proteine di membrana queste molecole di clatrina che avvolgono la vescicola che
pertanto diviene indipendente e questa vescicola poi andrà in un certo distretto. Nel frattempo, una volta
internalizzata nella cellula, le molecole di clatrina vengono dissolte, poiché vengono riciclate. La clatrina è un
‘’triscele’’, ovvero una proteina fatta da ramificazioni che combinandosi formano delle cellule esagonali che sembra
una sorta di ‘’basket’’ attorno alla vescicola. Ci sono anche altri meccanismi simili; quello della creatina è stato il primo
ad essere identificata, ma ci sono altri organuli che formano vescicole grazie ad altre proteine. (es nel Golgi)

Il viaggio delle vescicole però continua, quando la clatrina viene dissociata e riciclata, ed incontrano un organulo
membranoso, l’endosoma. Ci sono endosomi precoci ed endosmi tardivi. L’endosoma precoce sono delle grosse
vescicole, delle sorti di cisterne piuttosto superficiali, rivolte verso la membrana plasmatica. Le vescicole che si
formano per endocitosi dalla membrana plasmatica: gli endosomi che incontrano per prima sono naturalmente quelli
più superficiali e cioè quelli precoci. Una volta incontrato la vescicola viene ancorata in maniera veloce da una sorta di
proteina presente sulla membrana dell’endosoma, poi successivamente iniziano ad intervenire altre molecole, le
proteine *, le quali sono a livello della membrana del lisosoma e della membrana della vescicola e si avvolgono,
ancorando fortemente questa vescicola a livello della membrana endosomica e quindi finalmente la vescicola inizia a
fondersi e a liberare il contenuto.

La vescicola quando si è liberata dalla clatrina può fondersi a livello dell’endosoma precoce e da qui si pensa che si
formino altre vescicole, delle invaginazioni, che trasportano il loro contenuto a degli endosomi più interni, più
profondi, ovvero gli endosomi tardivi e questi successivamente si fondono con i lisosomi. Si pensa anche che ci sia
tutto un ciclo di vita dell’endosoma, ovvero l’endosoma precoce si trasforma in tardivo e quindi anche attraverso
questo meccanismo si ha un trasporto delle sostanze ai lisosomi. Probabilmente coesistono, il modello stabile in cui ci
sono endosomi precoci, tardivi e vescicole di trasferimento con quello dinamico, cioè si formano degli endosomi
superficiali però a mano a mano si approfondano perché si formano nuovi endosomi precoci. Da prestare attenzione al
PH, che infatti è leggermente acido negli endosomi precoci (6,2), per poi diventare molto più alto negli endosomi
tardivi (5.5) e ancora molto più acido nei lisosomi (4.7). Questo aumento del Ph, per acidificare, avviene attraverso la
presenza degli ioni idrogeno, che devono essere portati all’interno. Naturalmente parlando di ioni, parliamo di un
trasporto contro gradiente, e saranno delle pompe a effettuare questo compito.

Esistono poi i corpi multivescicolari, i quali si formano poiché negli endosmi si può avere una gemmazione e quindi si
formano delle vescicole contenute all’interno degli endosmi; le quali poi si possono fondere con i lisosomi della cellula
oppure essere esocitati come esosomi e fondersi con la membrana plasmatica di altre cellule; questo è un campo
relativamente nuovo della citologia perché questi multivescicolari fanno sì che ci sia una comunicazione vescicolare fra
le cellule. La comunicazione può essere di vario tipo, può essere anche per contatto, attraverso giunzioni serrate che
permettono lo scambio di piccole molecole e ioni; ma ci può essere un traffico di sostanze sia nelle vicinanze, come in
un tessuto, le quali le loro cellule rilasciano delle sostanze che agiscono e permettono la comunicazione, ma ci sono
anche gli ormoni che sono secreti da apposite cellule, che una volta rilasciate nel letto vascolare, la circolazione
sanguigna, li porterà anche in distretti molto lontani su cui agire.

Esiste anche una fagocitosi, una sorta di endocitosi interna in cui il mitocondrio viene avvolto dal reticolo
endoplasmatico e viene trasportato ad un lisosoma la membrana che si è formata attorno al mitocondrio e si fonde
con quella lisosomiale e poi viene distrutto, ma anche in questo caso si parla di autofagia o macrofagia, ma c’è anche
una microfagia cioè di piccole particelle che attraverso una endocitosi interna possono venire trasportate nei lisosomi
o addirittura delle proteine possono passare attraverso una membrana ed essere trasportate da alcune cicline, ovvero
endoteline particolari.

I lisosomi, ovvero gli organuli deputati alla degradazione cellulare, organuli piccolini, delle vescicole che contengono
enzimi idrolitici che agiscono in ambiente acido, ecco perché il loro ph deve essere acido, se casualmente il lisosoma si
dovesse rompere nel citoplasma questi enzimi non potrebbero più agire, proprio perché lì il ph non è acido, ed è una
forma di protezione della cellula. Per cui una sostanza o una sostanza o un organulo può arrivare ai lisosomi con
meccanismi complessi. Si possono osservare soprattutto al microscopio elettronico oppure ci sono colorazione dei
tessuti, di sezioni istologiche che possono far identificare con una maggiore o minore colorazione se ci sono molti o
pochi lisosomi. Questo ambiente acido che protegge anche la membrana plasmatica, lo strato glucidico della
membrana, è un caso particolare, è interno. Abbiamo detto che se il lisosoma per caso dovesse riversare il suo
contenuto all’esterno i suoi enzimi non funzionerebbero, però esiste un caso particolare, ovvero quella degli
osteoclasti, cioè le cellule deputate alla distruzione dell’osso, poiché esso è un processo fisiologico e le ossa vengono
continuamente distrutte e rimodellate; se questo bilanciamento dovesse venire alterato, si svilupperebbero i
fenomeni di osteoporosi. Questa distruzione dell’osso avviene perché i lisosomi si fondono con la membrana
plasmatica e rilasciano il loro contenuto all’esterno e lo fanno in una maniera particolare: l’osteoclasto si impalca alla
superficie dell’osso e si crea un ambiente particolare che viene acidificato e in questo ambiente acido, gli enzimi dei
lisosomi possono finalmente agire distruggendo la parte calcarea dell’osso.
I lisosomi sono molto importanti ed infatti se ci sono dei difetti genetici per alcune idrolasi si verifica un accumulo
enorme di sostanze che portano a situazioni patologiche. Basta, infatti, un piccolo malfunzionamento dovuto ad un
piccolo cambiamento per alterare tutto il resto.

Un altro organulo deputato alla degradazione delle sostanze è il perossisoma, che contiene enzimi ossidativi che
attraverso la catalasi è in grado di scindere il perossido di idrogeno in acqua. Sono organuli presenti nelle cellule
proprio deputate alla produzione di sostanze e alla degradazione. Dal reticolo endoplasmatico si formano delle
vescicole per gemmazione e all’interno entrano delle proteine.

Fin ora abbiamo visto organuli coinvolti nella degradazione e nella comunicazione, ora iniziano quelli coinvolti nella
sintesi cellulare.

Il reticolo endoplasmatico, per ora ci interessa del citoplasma di queste cellule. Può essere vista tramite microscopia
elettronica, tutte quelle linee convolute lo rappresentano. Attraverso il microscopio ottico non posso osservarlo però
con una colorazione specifica io coloro delle sostanze presenti all’interno del reticolo endoplasmatico e si vedono
delle macchiette in questo caso rossicce, o blu e questo sta indicare che in una cellula c’è abbondante quantità di
reticolo endoplasmatico che hanno preso una denominazione particolare, ovvero le zone di Nissl, che prende il nome
dallo studioso che le notò.

Il reticolo endoplasmatico è formato da membrane, è infatti un organulo membranoso. Si organizzano secondi dei
tubuli o delle cisterne, cioè una membrana che incurva e forma uno spazio contenuto. Bisogna dire che sul reticolo
endoplasmatico che forma le cisterne aderiscono sulla parte esterna i ribosomi, ecco perché prende il nome di reticolo
endoplasmatico ruvido, mentre quello che ne è privo è denominato liscio. Queste due tipologie di reticolo coesistono
nelle cellule, però ci sono alcune che hanno a volte il reticolo endoplasmatico ruvido molto più sviluppato rispetto al
liscio e viceversa.

In una sezione di un tubulo che può essere orientato nello spazio, la probabilità che la sezione avvenga perfettamente
sull’asse lungo è più alta, ma quando in una immagine ho tutte queste sezioni lunghe, è difficile che tutti i tubuli del
reticolo endoplasmatico siano paralleli.

I ribosomi sono formati da una subunità maggiore e una subunità minore ed è il luogo in cui avviene la sintesi proteica.
Non tutti i ribosomi sono attaccati al reticolo endoplasmatico, ma ci sono anche i ribosomi liberi nel citoplasma che
vivono e agiscono liberi e che si legano sullo stesso Rna formando i poliribosomi, ognuno dei quali scorre in direzione
5’-3’ del filamento e forma una proteina. Il destino delle proteine sintetizzate dai poliribosomi hanno un destino
particolare, una volta che si sono formati nel citoplasma stanno bene lì, oppure possono andare nel nucleo, nel
mitocondri, nei cloroplasti se parliamo di cellule vegetali e a livello dei perossisomi, sempre grazie a delle proteine
trasportatrici. Nel globulo rosso, si ha poco reticolo endoplasmatico ruvido, ma si osserva al microscopio tantissimi
puntini neri, ovvero i ribosomi, ed il classico esempio di una cellula che sintetizza direttamente sui poliribosomi,
poiché ha esigenze molto rapide, dovendo accumulare tanta emoglobina e per fare spazio a quest’ultima deve
perdere il più possibile, perfino il nucleo. E ciò provoca un aspetto completamente differente rispetto ad una cellula
dotata di moltissimo reticolo endoplasmatico. Alcune delle proteine formate a livello citoplasmatiche, grazie alle
chaperonine, posso essere trasportante anche all’interno del reticolo endoplasmatico. Un ribosoma inizialmente
libero nel citoplasma, ma sul polipeptide c’è una particolare sequenza che viene legata da un altro polipeptide
plasmatico, che prende contatto con una proteina transmembrana del reticolo endoplasmatico ruvido, legandolo. E’
grazie a questo legame che viene captato e può entrare nel reticolo endoplasmatico, la cui membrana si ripiega
opportunamente. I polipeptidi che sono sintetizzati a livello del reticolo endoplasmatico ruvido vengono rilasciati nel
lume, alcune devono formare le proteine di membrana del reticolo, a volte passano una sola volta altre sono delle
proteine più in basso etc.

Nel RER le proteine vengono glicosilate, grazie all’addizione di una catena oligosaccaridica. Abbiamo dalle proteine
speciali, le chaperonine che non solo trasportano ma consentono anche l’avvolgimento. Nel RER le proteine vengono
controllate, ovvero se le proteine sono difettose dopo la sintesi, vengono trasferite nel citoplasma dove vengono
collegate con l’ubiquitina, andando poi a livello dei proteosomi, ovvero delle strutture proteiche che hanno la funzione
di degradare queste proteine difettose. Anche le proteine sintetizzate a livello del RER hanno un destino particolare,
vanno all’apparato di Golgi, dove si formano vescicole di secrezione, lisosomi oppure delle vescicole che vanno verso
la membrana plasmatica. La sintesi proteica a livello del RER è molto più complessa rispetto a quella che avviene nel
citoplasma. Le proteine che vengono sintetizzate hanno degli appositi segnali, che li indirizza al giusto distretto. Anche
nel caso delle proteine sintetizzate a livello citoplasmatiche vi è comunque una sequenza segnale che ne decide il
destino. Se questa sequenza, una corta serie di amminoacidi è in posizione n-terminale per esempio questa andrà,
verso il reticolo endoplasmatico ruvido; oppure se è CH-terminale andrà nei perossisomi; può esserci anche il caso in
cui vi sono più peptidi segnali intercalati alla normale sequenza amminoacidica che sarà destinata ad essere importata
nel nucleo con un meccanismo particolare.

Il reticolo endoplasmatico liscio è formato da una serie di tubuli e una delle sue funzioni è la degradazione delle
sostanze. Nel reticolo endoplasmatico ruvido abbiamo delle sorti di cisterne, mentre in quello liscio questi tubuli sono
fusi assieme a formare una sorta di rete che si vede al microscopio elettronico; i tubuli vengono sezionati verso diverse
direzioni, infatti, quando sono in direzione trasversali esse appaiono come dei cerchietti, dei tondini, mentre se la
sezione è più o meno tangenziale, appare come una struttura allungata: sembrano dei tubicini. Accanto si può notare
il reticolo endoplasmatico ruvido, fatto da cisterne con i puntini neri che sono i ribosomi.

Il liscio serve per la sintesi degli ormoni steroidei, e questo soprattutto nelle ghiandole con questo tipo di secrezione;
anche per la metabolizzazione di sostanze liposolubili, dunque detossificazione e metabolismo del glicogeno,
soprattutto nelle cellule epatiche. Poi c’è la formazione di fosfolipidi e smistamento, che ne esistono di vari tipi. Un
meccanismo di smistamento è la formazione di vescicole che all’interno della cellula si muovono grazie ai filamenti del
citoscheletro. Alcuni lipidi secreti dal monolayer superiore del REL possono diffondersi per semplice comunicazione,
grazie alla sola fluidità, quando il monolayer è in continuità con il restante REL e RER, i lipidi neosintetizzati si possono
distribuire. La sintesi dei fosfolipidi avviene sul monolayer citoplasmatico del REL e si possono diffondere in orizzontale
stesso nel monolayer, però questa è una situazione che non può reggere perché c’è un affollamento molto maggiore
nel monolayer e quindi prima di tutto bisogna ripristinare l’equilibrio e ci sono degli apposti enzimi che fanno questo
in maniera specifica; noi sappiamo che la composizione di ciascun monolayer è diversa, è specifica e quindi sempre
con un meccanismo di flip-flop, i lipidi vengono posizionati nel monolayer definitivo e si ha un aggiustamento della
composizione. Se però devono essere portati in un punto più lontano dal luogo di formazione sono necessarie delle
proteine di trasporto che portano il fosfolipide, lipide complesso ad un’altra membrana.

Esiste poi anche un terzo meccanismo che trasporta questi lipidi tramite vescicole.

Un altro organulo membranoso, l’apparato di Golgi, è strettamente associato al reticolo endoplasmatico, soprattutto il
ruvido, ma anche a quello liscio. È quindi coinvolto in tutti i processi di sintesi della cellula. Gli organuli possono essere
visualizzati solo con la microscopia elettronica; tuttavia, al microscopio ottico con opportune colorazioni si può
colorare l’apparato: nell’immagine osserviamo, si vedono tante cellule adese all’epididimo, e gli spermatozoi nel lume
e in queste cellule ci sono i nuclei poco colorati, mentre l’apparato di Golgi risulta molto acceso nei colori. Da queste
cellule capiamo che queste cellule hanno un apparato di Golgi molto sviluppato, ma non riusciamo a capire la forma,
la morfologia; infatti, per vederla è necessario la microscopia elettronica e vediamo che è formato da una serie di pile,
cisterne incurvate e dilatate in periferia; in più vediamo che sulle due facce di pile di cisterne notiamo dei buchi
bianchi, che sono le vescicole. In una fotografia elettronica di falsi colori, ovviamente tutto appare più chiaro e
riusciamo a distinguere bene, le cisterne colorante in giallo ed intorno le vescicole e il reticolo endoplasmatico in
piccola quantità. Dallo studio di numerose immagini di microscopia elettronica, si è fatto l’immagine 3D dell’apparato
di Golgi: serie di cisterne incurvate ed impilate con i margini dilatati, numerose vescicole ai due lati delle pile di
cisterne. L’apparato di Golgi è spesso ravvicinato al reticolo endoplasmatico e la faccia che è rivolta verso quest’ultima
è detta faccia cis, dalla parte opposta c’è la faccia trans, il resto delle cisterne rappresenta il compartimento
intermedio. Vediamo anche delle sorti di fenestrature, cioè dei tubuli che si dipartono dalle cisterne e che ripiegandosi
si fondono o con la stessa cisterna o con le cisterne adiacenti; e così dalla microscopia elettronica si è risalita a quella
che è la forma dell’apparato di Golgi. Naturalmente questa forma può variare da cellula a cellula; infatti, se la cellula
ha una forte attività biosintetica, addirittura ce ne possono essere più di uno, viceversa se è in uno stato quiescente,
l’apparato di Golgi è molto ridotto. Per capire le funzioni, la microscopia elettronica può solo suggerire, ma ci sono altri
metodi per scoprile, come ad esempio le colture cellulari. In questo caso è una cellula ghiandolare, che viene incubata,
dove ci sono dei radioisotopi, una radioattività, per un periodo molto breve, di appena 3 minuti e poi li si tolgono da
questo medium radioattivo e si osservano. Poi si fa la stessa cosa dopo che le cellule sono rimaste nel medium
radioattivo per 7 minuti e poi per 120 minuti, ovvero ad intervalli differenti. Questo significa che le sostanze che ha
utilizzato questi isotopi radioattivi che sono stati collegati ad amminoacidi e sintetizzando le proteine hanno utilizzato
questi amminoacidi marcati, i quali si è visto che in un primo tempo stanno nel reticolo endoplasmatico ruvido, perché
la cellula che è metabolicamente attiva, sta sintetizzando delle proteine sfruttando questi amminoacidi marcati.
Queste proteine neosintetizzate sono in questo distretto perché c’è un abbondante attività biosintetica reticolare;
successivamente dopo un po’ di tempo si vede che la marcatura si è spostata nell’apparato di Golgi e dopo ancora un
po’ di tempo invece la si ritrova nelle vescicole, o granuli. Questa è la prova sperimentale che le proteine sono
sintetizzate prima nel RER, poi passano all’apparato di Golgi e qui dai granuli di secrezione. I granuli di secrezione, dal
RER arrivano alla faccia cis, non si sa bene come passano attraverso le cisterne e da quelle della faccia trans si formano
i granuli di secrezione; queste vescicole si muovono dal RER all’apparato di Golgi si forma una vescicola, che viene
formata con un meccanismo molto simile a quello osservato nell’endocistosi propriamente detta, ovvero bisogna
pensare al basket di clatrina, ma qui ci sono altre proteine che fanno una cosa analoga, ovvero la COPII, che forma un
basket, ma è specifica per le vescicole che vengono formate dal RER; una volta che si sono formate queste vescicole e
sono state attorniate dalla COPII, questa vescicola viene trasportata da un microtubulo che non è altro che un
elemento del citoscheletro e si libera la vescicola dalla COPII e qui la membrana della vescicola viene a contatto con la
zona cis dell’apparato i Golgi e si fonde e rilascia quindi il contenuto nel Golgi. Se dal RER si dipartissero solo e soltanto
vescicole che si fondono al Golgi questo RER avrebbe difficoltà ad esistere, ovvero si impoverisce continuamente per
delle porzioni di membrana e per quanto sintetizzata non riuscirebbe a stare a ritmo e quindi si ha anche il processo
inverso e cioè dalla regione cis del Golgi si formano delle vescicole, le quali a loro volta sono contornate da una altra
proteina, la COPI, che sempre accompagnata dai filamenti del citoscheletro arriva al RER e si fonde, rientrando al suo
interno; un modo se non altro per restituire porzioni di membrana al RER. Abbiamo visto dalle prove sperimentali che
le proteine neoformate vengono trasportate dalla regione cis a quella trans; ma su questo concetto ci è stato una
evoluzione del pensiero, infatti inizialmente si credeva che le cisterne maturassero, cioè dalla regione cis si formavano
nuove cisterne che sospingevano quelle più vecchie ed essendo sospinte queste cisterne portavano al loro interno le
proteine che quindi arrivavano alla regione trans, poi è subentrata la visione per cui le cisterne erano stabili ed una
volta che si sono formate rimangono nella loro sede e quelle che si muovono sono le vescicole e non solo ci sono
quelle che dal RER vanno al Golgi, ma anche quelle transfert, ovvero quelle che vanno da una cisterna all’altra e
portano tutte le proteine; però ultimamente sembra che si sono visti sia il modello stabile che del modello più antico
dinamico e quindi è probabile che nella realtà coesistono entrambe le modalità e questo è l’aspetto di molti fenomeni
naturali, ma siamo noi quali esseri umani a voler fare per forza delle classificazioni rigide.

I tubuli anche possono effettuare un coagulo di piccole molecole; la formazione di fenestrazioni si ha grazie ai tubuli.

Questa proteina arriva finalmente alla zona trans e qui si formano delle vescicole che avranno un certo destino. Alcune
si fondono alla membrana plasmatica e non hanno tanto la funzione di esocitare delle sostanze, ma quanto di
apportare classi di macromolecole alle membrane (trasporto dei lipidi etc., che si formano per diffusione del
monostrato per fenomeni di flip flop, da proteine trasfert nell’ambito del citoplasma o addirittura da vescicole che
possono trasportarli fino alla membrana plasmatica. Altri granuli possono andare ai lisosomi e possono essere
esoscitati e quindi rilasciano all’esterno della cellula una sostanza. La maniera dell’esocitosi può essere regolata.

Vediamo il motivo per cui le vescicole fanno tutta questa fatica per arrivare al Golgi: le proteine dopo aver subito delle
modifiche nel RER, ne hanno altre nel Golgi, come ad esempio la fosforilazione, altre aggiunte di zuccheri e poi ancora
ulteriore elaborazione e separazione. Il Golgi lo possiamo definire come un laboratorio chimico che assieme al RER
elabora le proteine. Possiamo capire il motivo per cui le cellule hanno mantenuto una maniera così complessa ed
energeticamente dispendiosa di smistare le proteine sintetizzate, con un controllo ed elaborazione molto precisa.

Ci sono due vie di secrezione delle vescicole: una continuativa e una secretoria regolata. Con la prima via, si ha che il
granulo si forma nella regione trans, si avvicina alla membrana plasmatica, esocitosi e rilascio all’esterno; mentre la
seconda abbiamo che il granulo resta ferma nel citoplasma, finché non arriva un messaggio alla cellula che dice a
questi granuli che a mano a mano si sono accumulati che possono andare alla membrana plasmatica, fondersi e essere
rilasciati. I granuli al microscopio si osservano come dei pallini neri.

Le vescicole, le proteine del Golgi che vanno ai lisosomi: tramite una via costitutiva ed una endosomica, ovvero quella
non costitutiva, endosomiale.
La prima abbiamo la formazione di una vescicola nella zona trans, arriva alla membrana plasmatica e la vescicola si
fonda e queste proteine arrivano sulla membrana, ad un certo punto però si ha un fenomeno di endocitosi
propriamente detto, clatrina dipendente e questa si fonde con gli endosmi precoci e rilascia il contenuto al loro
interno. L’altra forma una vescicola che non si fonde con la membrana plasmatica, ma vanno direttamente a farlo con
gli endosomi precoci o con quelli tardivi. Poi ci sono le proteine enzimatiche nei lisosomi, le quali hanno una modalità
particolare, poiché quest’ultimi sono glicosilati da un mannosio-6-fosfato e tramite una vescicola rivestita da clatrina si
fondano con gli endosomi tardivi e a questo livello vengono liberati dalla componente glucidica e qui internalizzati
all’interno dei lisosomi dove formeranno gli enzimi lisosomiali. (Possono essere le pompe ad H, che sono delle
proteine di membrana) Le proteine che entrano nella composizione della membrana plasmatica, può accadere che
vengano richiamate: è una peculiarità. Le proteine enzimatiche invece vanno dal Golgi direttamente agli endosomi con
la peculiarità che hanno una sorta di cappuccio glucidico, ovvero l’M-6-P e che viene liberato dove il ph è già
abbastanza acido da permettere di svolgere l’attività. Dagli endosomi tardivi ai lisosomi, il trasporto con cui avviene ha
diverse ipotesi, o sempre è l’endosoma tardivo che piano piano si trasforma in lisosoma oppure si fonde con altre
vescicole lisosomiali primordiali, non ancora funzionali.

Il mitocondrio: si pensa che egli in origine è stato un organismo procariote primitivi che sono stati fagocitati da una
cellula primordiale, alcuni sostengono sempre procariote, altri eucariote, che una volta fagocitato non è stato
distrutto, ma si è sviluppata una muta simbiosi, dove entrambi ne sono risultati avvantaggiati. Ci sono diverse
indicazioni che vanno a riprova di questa teoria, ma ci sono anche molti studiosi che rifiutano questa idea.

I mitocondri sono di origine materna, perché lo spermatozoo deve contribuire solo a corredo cromosomico, il suo Dna,
tutto il resto è della mamma, che infatti è dell’ovocita che è una cellula grande, anche nelle cellule che non hanno
grandi quantità, come quelle di mammifero, sono comunque molto grandi, con numerosi organuli che devono
sopperire al fatto che dallo spermatozoo si riceve solo il codice genetico. Questo pure però è solo un dogma, degli
studi recenti però hanno scoperto che in alcuni casi i mitocondri possono essere di apporto anche paterno, in caso di
patologie di malattie mitocondriali, queste erano portate dal padre. Ovviamente, è un caso molto raro, con
un’incidenza molto bassa, ma comunque una eccezione che può verificarsi.

Anche qui sempre solito discorso, ovvero si osservano con il microscopio elettronico, ma si vedono sempre anche con
quella ottica usando delle colorazioni particolari; al microscopio elettronico a trasmissione i mitocondri se vengono
sezionati in maniera sagittale o parasagittale sembrano di forma bastoncellare, se la sezione è trasversale appariranno
come dei tubuli e già si vede che all’interno, dalle pareti, ci sono delle strutture, che sono poi chiaramente visibili con il
microscopio elettronico a scansione, o anche dei ripiegamenti che non sono altro che le creste mitocondriali. Queste
creste servono ad aumentare la superficie, poiché sulla loro superficie ci sono molti elementi che servono al
mitocondrio e pertanto più ce ne sono e meglio è. Di fatti, il numero delle creste è in relazione alla richiesta energetica
della cellula: una quiescente avrà dei mitocondri con poche creste, che non arrivano nemmeno al centro del lume,
mentre quando ci sono creste molto ravvicinate o uno addossate all’altro, siamo difronte ad una cellula
metabolicamente attiva. In alcuni mitocondri la forma di queste estroflessioni può cambiare, invece di formare una
sorta di cisterna, può anche assumere una forma tubulare ed è sempre un modo per aumentare la superficie. Questo
particolare aspetto morfologico dei mitocondri è presente nelle cellule a secrezione steroidea. Quindi, attraverso tutte
le osservazioni fatte con i due microscopi si è potuto ricostruire l’aspetto 3D dell’organulo. Il mitocondrio è un
organulo membrano dotato di due membrane, una esterna ed una interna, che si innalza in pieghe rivolte verso il
lume del mitocondrio e che prendono il nome di creste; tra la membrana esterna e quella interna vi è uno spazio
identificabile che prende il nome di spazio intermembrana; al centro, all’interno di quella interna, c’è la cosiddetta
matrice. La composizione chimica delle molecole della matrice e dello spazio intermembrana sono diverse e hanno
anche una diversa funzione e anche così la composizione delle membrane esterne ed interne. Quella esterna è una
membrana molto simile alle altre membrane del RE e presenta enzimi e recettori e quello che ha di caratteristico è la
presenza di porine, ovvero quelle proteine transmembrana che si avvolge a delimitare un poro, da cui nasce il nome,
sono dei canali non selettivi che quindi consentono il passaggio di molecole di media grandezza. Questa membrana,
dunque, consente a molte sostanze di passare dal citoplasma allo spazio intermembrana e viceversa. La composizione
della membrana interna ha un alto contenuto in proteine ed è simile a quella dei batteri essendo priva di colesterolo e
questa dovrebbe essere un ulteriore conferma della teoria endosimbiotica; poi ha un fosfolipide importante, ovvero la
cardiolipina che la rende impermeabile agli ioni e questo è molto importante perché servirà alle funzioni che deve
espletare il mitocondrio. La matrice contiene diverse copie di Dna, ed è circolare, un ulteriore prova che deriva da un
procariote simbiotico. Ci sono numeri enzimi, il Dna effettua una sintesi proteica a livello della matrice, poiché ha tutti
gli elementi per effettuarla. I mitocondri non sono autosufficienti, il loro Dna non è sufficiente per produrre tutte le
proteine di cui hanno bisogno, ma dipendono molto dalla cellula. La sintesi delle proteine destinate ai mitocondri, è
infatti una sintesi che avviene sui poliribosomi liberi nel citoplasma, che poi vengono trasportate dalle proteine
chaperonine e qui attraversa un sistema particolare di proteine canale, ovvero il Tim/Tom complesso e così possono
pervenire fino alla matrice mitocondriale. I mitocondri sono dispersi nella cellula, collegati dal citoscheletro, possono
anche spostarsi lungo di esso per accorrere alle zone dove è richiesta maggiore azione energetica; di fatti i mitocondri
sono accumulati nei posti dove è richiesta molta energia, come ad esempio lo spermatozoo, il quale è una cellula
piccola, ma è dotata di una enorme coda che per muoversi ha necessità di energia e quindi essi si posizionano attorno
alla parte iniziale della coda, andando a formare degli anelli. Un altro esempio sono le cellule dei tubuli renali, c’è un
epitelio, ci sono le cellule e nella parte basale, sopra in alto a destra bisogna immaginare il lume del tubulo, in basso
rivolto verso la membrana plasmatica, c’è un capillare e poiché queste cellule devono effettuare trasporti tra l’interno
e l’esterno e viceversa, serve molta energia e quindi ci sono tutti i mitocondri posizionati nella parte basale delle
cellule. Il numero dei mitocondri può variare secondo le richieste metaboliche, oltre a poter variare il numero delle
creste e varia perché si possono scindere oppure fondersi tra di loro, diminuendo il numero. I batteri poi danneggiati o
invecchiati vengono poi fagocitati dal REL in un processo di autofagocitosi.

È vero che il mitocondrio è noto soprattutto come la centrale energetica della cellula, ma essa non è l’unica funzione.
Numerose funzioni di tipo metaboliche che sintetizzano il gruppo eme fondamentale per l’emoglobina, biosintesi di
ormoni; nella matrice ci sono sali Ca2+accumulandoli per la cellula e poi hanno una importante azione nei fenomeni
dell’apoptosi o detta anche morte cellulare programmata, che è diversa dalla necrosi e da fenomeni di infiammazione,
che è al contrario quasi fisiologico quando serve ed è fondamentale durante lo sviluppo embrionale, nella morfogenesi
infatti ci sono delle popolazioni cellulari che devono morire per apoptosi; può sembrare un inutile dispersione
energetica, ma in natura se esiste un processo ha una motivazione e ciò che oggi avviene è stato selezionato dopo
tantissimi processi evolutivi.

Per quanto riguarda la funzione energetica, abbiamo innanzitutto una glicolisi anaerobia che avviene nel citoplasma e
si viene a formare il piruvato che viene trasportato all’interno del mitocondrio e subisce il ciclo di Krebs, ovvero una
serie di trasformazioni a livello della matrice mitocondriale; dopodiché c’è a livello delle creste mitocondriali, si ha un
trasporto di elettroni e una chemiosintesi. Tutti questi processi sono definiti energetici poiché producono energia con
la sintesi di molecole di ATP, adenosintrifosfato: 2 ATP nella glicolisi, 2 nel Ciclo di krebs considerando una sola
molecola di glucosio e nelle creste ben 32 molecole, ecco perché c’è bisogno di così tanto spazio nelle creste, poiché è
dove si ha la maggiore produzione energetica. Ovviamente, non è solo il glucosio a dare energia, ma anche i grassi, le
proteine, che entrano nel ciclo di krebs in altre maniere. Da tutta la glicolisi che avviene nel citoplasma, le 2 molecole
di ATP formatosi e due molecole di NADH, che sono accettori di elettroni, permettono la formazione del piruvato, il
quale diventa acetil-CoA, che entra nella matrice e subisce delle trasformazioni cicliche ed in tutto questo ciclo si
formano altre 2ATP e NADH e FADH2 e si arriva finalmente alla membrana mitocondriale interna, la quale ha una
elevata concentrazione di proteine, ci sono numerosissime proteine transmembrane, tutte coinvolte nella catena
respiratoria e ci sono le molecole di NADH che liberano ioni H+ ed elettroni a livello di queste proteine. Gl ioni H+
attraverso queste proteine transmembrana, vanno nella zona intermembranosa e rimangono lì, poiché abbiamo già
detto che la membrana interna è impermeabile agli ioni, creando un accumulo. Gli elettroni vengono trasportati da
una proteina all’altra e tutto questo processo fa sì che si arrivi ad un complesso proteico e gli ioni che hanno una
grossa concentrazione passano attraverso questo complesso proteico; è un passaggio secondo gradiente, è una
pompa all’inverso, è una sorta di turbina e pertanto non necessita di energia, bensì la rilascia.

Il nucleo: è una proprietà unica degli eucarioti, esso ha dato un vantaggio selettivo, per due ragioni principali. Gli Rna
vengono innanzitutto processati e solo quelli maturi passano nel citoplasma, mentre nei procarioti, dal dna circolare si
forma subito l’rna senza questi passaggi. L’involucro nucleare permette selettivamente l’entrato di proteine di
trascrizione, vi è quindi una regolazione molto più raffinata della espressione genica nelle cellule eucariote.
Dall’ambiente esterno arrivano dei messaggi che stimolano l’espressione di alcuni geni ed una volta che si esprimono,
gli mrna vengono ulteriormente elaborati e poi attraversano l’involucro nucleare per andare nel citoplasma e
sintetizzare le proteine; ci sono poi anche tanti altri rna che restano nel nucleo, le cui funzioni ancora non sono note;
esistono poi microRNa e alcuni di questi sono dei fattori di regolazione. L’instaurarsi di questa struttura avvolgere il
materiale genetico all’interno di un doppio involucro ha dato dei grossi vantaggi, anche se molto dispendioso a livello
energetico, dà la possibilità di modulare l’espressione genica in maniera molto raffinata ed è da qui che si ha il
differenziamento cellulare e da qui di diventare neuroni, globuli rossi etc. si sono potuti avere i multicellulari, i vegetali
etc. Il nucleo è delimitato da una doppia membrana e nella quale vi è il materiale genetico. Il Dna associato alle
proteine prende il nome di cromatina e poi ci sono nel nucleo, delle strutture visibili al microscopio ottico, che sono i
nulceoli, ovvero il luogo in cui si formano sia i ribosomi che l’RNA ribosomiale, fondamentali per la sintesi proteica ed
anche altri corpi nucleari, che però restano nel nucleo. Diverse popolazioni cellulari presentano diverse posizioni del
nucleo, non per forza centrale; ad esempio, in un epitelio abbiamo delle estroflessioni ed il lume, la porzione apicale e
basale, il nucleo va ad occupare la posizione basale. Negli adipociti, cellule vuote, abbiamo una grossa gocciola lipidica
al centro e attorno hanno altre cellule e la membrana plasmatica, sottilissima e solo al margine della foto, si osserva
un triangolino, riusciamo ad individuare il nucleo con pochissimo citoplasma, perché questa cellula deve accumulare
grasso e quest’ultimo schiaccia tutto il citoplasma, nucleo compreso che di conseguenza è estremamente schiacciato e
periferico. E poi gli eritrociti in un capillare sono delle cellule così tanto differenziate che sono diventati dei sacchetti
pieni di emoglobina, i globuli rossi dei mammiferi, quelli degli altri invertebrati sono un po’ meno differenziati poiché
posseggono ancora il nucleo; ci sono cellule quindi che addirittura non hanno più alcun nucleo o addirittura possono
esserci cellule con due nuclei o più di due. Il rapporto tra il volume del nucleo e quello citoplasmatico può variare,
alcune ne hanno di più altre di meno. (Nucleo enorme e citoplasma super sottile e viceversa) Quando ce ne è poco
siamo difronte ad una cellula indifferenziata che ancora non ha avuto tempo di produrre tutte le proteine, di formare
gli organuli. Andando dalla periferia verso l’interno: abbiamo una membrana esterna ed una interna. Quella esterna è
in continuità con il RER e può presentare sulla sua superficie i ribosomi, quella interna invece ne è priva. Tra le due
membrane c’è una cavità, ovvero la cisterna perinucleare che è continuità con il lume del RE. Se andiamo a vedere più
in profondità, c’è il lume del reticolo che poi diventa la cisterna; al di sotto della membrana interna c’è una sorta di
rete fibrosa che può essere vista al microscopio elettronico a scansione, che prende il nome di lamina nucleare ed è
formata da filamenti del citoscheletro, intermedi, che prendono il nome di ‘’lamìne’’. La membrana esterna ad un
certo punto si ripiega su stessa e trapassa ad essere membrana interna; c’è sulla superficie come una sorta di cisterne,
perché questo ripiegamento fa sì che venga identificato delimitato un poro, perché poi nell’asse Z continua la
membrana dell’involucro nucleare. Questo poro viene delimitato da tante proteine, le quali possono essere
visualizzate al microscopio elettronico. La lamina nucleare è collegata sia alle proteine transmembrana della
membrana interna ed è anche collegata alla cromatina nucleare, cioè a dna e proteine. La formazione di questi pori è
un altro argomento molto dibattuto: probabilmente si mettono in contatto delle proteine di fusione che provocano la
fusione delle membrane esterne ed interna e formano così una sorta di perforazione che viene subito tappezzata da
una serie molto cospicua di proteine. Le sostanze dal citoplasma al nucleo e viceversa possono passare dalla
membrana, grazie ai meccanismi di trasporto visti, però è più difficile visto che ce ne sono due da oltrepassare e
devono passare anche molecole abbastanza grosse dal nucleo al citoplasma quali gli mRna con le proteine
trasportatrici, mentre dal citoplasma nella direzione inversa devono passare delle proteine che possono essere
enzimatiche, ma anche strutturali, come quelle che costituiscono la cromatina. Pertanto, si deve avere una
facilitazione del passaggio, ecco il ruolo dei pori che sono una via relativamente facile. È una vita regolata. Gli ioni e le
piccole molecole passano per diffusione passiva, mentre le macromolecole le subunità ribosomiali passano con
meccanismi di trasporto attivo. C’è un denso traffico tra le due zone; ad esempio, le proteine a destinazione nucleare
sono prodotte sui poliribosomi che vengono rilasciate nel citoplasma e hanno un segnale peptidico che è un segnale di
localizzazione nucleare che viene riconosciuto da una proteina, l’importina alpha, la quale si lega a questa sequenza di
segnale e la trasporta. Successivamente si legherà ad una proteina del poro nucleare e fa sì che il passaggio avvenga
all’interno del nucleo con più facilità. Tutto questo naturalmente richiede energia, che è fornito dal GTP, che si
trasforma in GDP. In questo caso la proteina sarebbe un enzima. Vediamo invece un caso opposto di rilascio ad
esempio quella dell’rna, già associato a proteine, che viene riconosciuto da un’altra proteina, stavolta una esportina,
che aiuta questo complesso ad uscire dal poro nucleare. Una volta che è uscito, l’esportina ritorna nel nucleo e la
proteina con l’rna rimane nel citoplasma. I pori sono una zona di traffico intenso ed è ovvio che una cellula
metabolicamente attiva deve avere numerosi pori ed una invece quiescente pochi. Il numero dei pori durante la vita
cellulare può essere modificato.

La cromatina: il dna è piuttosto lungo, nell’uomo è circa 2m, mentre il nucleo è piuttosto piccolo e dunque è
necessario ripiegarlo e si usano per questo delle apposite proteine che prendono il nome di istoni. Questi formano un
cilindretto, ci sono 4 istoni in duplice copia impilate ed intorno a questo cilindretto si avvolge il filamento di Dna; è
come una sorta di rocchetto da cucito a cui si avvolge il filo. Si ottengono queste palline con questo Dna avvolto e la
struttura viene ulteriormente compattata, grazie ad un’altra proteina istonica, ovvero l’H1. Si viene a formare quindi
tutta una serie di rocchetti piccolini, strettamente avvolti, ottenendo la prima compattazione del Dna. Poi c’è un
ulteriore compattazione, attorno ad uno scaffold proteico, e da qui già inizia a sapersi molto poco e ancora di meno si
sa dei meccanismi di compattazione a livello cromosomico. Un altro livello di condensazione è quello del nucleo dello
spermatozoo, in cui il Dna è molto molto compatto, ovvero ha una compattazione maggiore rispetto a quella dei
cromosomi, perché lo spermatozoo deve essere una cellula piccola ed un grosso flagello per trasportare il patrimonio
genetico. La cromatina è visibile facilmente al microscopio ottico soltanto durante la mitosi, quando si condensa ed è
facilmente colorabile ed ecco che da qui il nome ‘’cromosoma’’. Il cromosoma quando deve affrontare la divisione
mitotica è formata da due cromatidi, uniti a livello del centromero; attraverso la microscopia elettronica a scansione,
si possono osservare perfino i telomeri, ovvero le porzioni terminali dei cromosomi che contiene dna ripetitivo e che
diminuisce ad ogni divisione cellulare, fenomeno correlato all’invecchiamento. Al microscopio ottico invece
osserviamo le varie fasi in fluorescenza. La cromatina durante la mitosi inizia ad addensarsi, diventa poi sempre più
evidente e nella metafase si dispongono sul fuso mitotico, a formare questa sorta di piastra e poi sempre grazie alle
fibre del fuso i cromatidi vengono separati e smistati ai due poli opposti del fuso; infine, si avrà la citodiersi, con la
divisione delle due cellule figlie e che avranno il corredo cromosomico formato da tutti i cromatidi, che adesso
prendono il nome di cromosomi. I cromosomi si studiano proprio durante la mitosi, in particolare durante la metafase
o l’anafase e si possono anche colorare con colorazioni molto particolari, che identifica con diversi colori i diversi
cromosomi e quindi da una piastra metafasica, se la sezione è trasversale, a fuso, abbiamo una determinata
situazione, si effettuano le foto e poi si ritagliano e si mettono in ordine di grandezza, ovvero si crea un cariotipo. È
molto importante per individuare anomalie cromosomiche; il numero di cromosomi può variare enormemente tra le
diverse specie. I cromosomi oltre che variare di numero possono variare anche di aspetto; in un cariotipo li mettiamo
in ordine di grandezza, ce ne sono alcuni più corti altri più lunghi; ma anche la posizione del centromero è un criterio è
di identificazione del cromosoma: se è centrale sono detti metacentrici, poi abbiamo i submetacentrici, gli arcocentrici
e i telocentrici. In alcuni casi ci sono anche delle strutture, i satelliti, tutti elementi che facilitano l’identificazione,
anche senza colorazioni specifiche. Negli anni 60 si facevano studi utilizzando colorazioni generali e si riuscivano a
distinguere i vari cromosomi grazie a queste varie caratteristiche morfologiche. Per le cellule la mitosi è un periodo, la
loro vita è tra due mitosi che in alcune popolazioni cellulari, può mancare, poiché sono arrivate ad essere così
differenziate che così rimarranno per tutta la loro vita, come ad esempio i neuroni, i quali non si dividono più, al
massimo possono morire, ma non nascere e quindi hanno una interfase indefinitiva che prende il nome di fase G0, ma
in generale tutte le cellule tra una mitosi e l’altra hanno un periodo che viene definito interfase. Il nucleo interfasico
contiene tutti i cromosomi che visualizziamo durante la mitosi in maniera dispersa, però con una sua logica interna. Da
alcuni studi che hanno utilizzato le colorazioni specifiche per ciascun cromosoma, queste applicate su un nucleo
interfasico danno una immagine, che poi evolve. La cromatina di ogni ‘’cromosoma’’, tra virgolette perché non
possiamo parlare di cromatina/cromosoma ogni colore è in una specifica regione, non è dispero dappertutto, anche
perché se fossero disperse non le identificheremo nemmeno, ma si osserverebbe solo un groviglio di colori. Si deduce
che la cromatina di ogni cromosoma è organizzata in quelli che si definiscono territori. I territori con la microscopia
elettronica non si possono vedere, in quanto si possono osservare solo con delle marcature particolari. Le gradazioni
che si osservano con questa microscopia sono un grigio molto scuro e dei grigi più chiari. In microscopia elettronica si
parla di elettrodensità, ovvero sezioni che vengono ombreggiate con metalli pesanti, con sostanze elettropache, come
per esempio l’osmio; lì dove c’è molto materiale addensato si attacca molto osmio e viceversa dove sono più disperse,
si attacca meno osmio, pertanto, dove c’è molto osmio gli elettroni passano con difficoltà e quindi l’immagine risulta
scura e viceversa. La cromatina è più o meno addensata, e non è mai addensata come quella dei cromosomi o nello
spermatozoo, è sempre dispersa. Quando è decondensata ne permette la lettura da parte dei complessi enzimatici per
la sintesi degli Rna. Si definisce un nucleo dove è presenta parte chiara, eucromatina, mentre la cromatina scura è
l’eterocromatina. L’eucromatina permette la trascrizione, è una cellula metabolicamente attiva e lo si capisce non solo
dalla presenza di cromatina chiara, ma anche dal numero di pori nucleari. (ogni asterisco ne sta ad indicare uno) Tra
un poro nucleare e l’altro c’è invece della cromatina addensata. Il poro nucleare è una zona in cui vi si trova
eucromatina. Al contrario dove c’è cromatina scura, si distinguono pochissimi pori (appena tre nell’immagine del PPT).

Il fatto che noi vediamo che ci sia la cromatina addensata vicino alla membrana interna tra un poro e l’altro capiamo
che la lamina nucleare interagisce con la cromatina, cioè la mantiene più condensata e quindi può agire sullo stato di
condensazione o di decondensazione. L’eucromatina si è visto che è trascrizionalmente attiva, l’eterocromatina è
inattiva per meccanismi epigenetici e che può essere attiva, ma c’è anche quella costituiva, che rimane sempre così; ed
infatti anche in una cellula metabolicamente attiva vi è sempre una percentuale di cromatina che è condensata e
questo perché o è un dna ripetuto o povero di geni o è quello che formerà i centromeri ed i telomeri dei mitocondri.

Abbiamo parlato di interfase e di mitosi e queste non sono altro che periodi del ciclo cellulare. Una cellula che è nata
da una divisione cellulare attraversa il periodo dell’interfase fino a che le viene detto di moltiplicarsi e quindi di dar
loro luogo a due cellule figlie. L’interfase è suddivisa in vari periodi, uno dei quali è imprescindibile ovvero non può
non esserci, ed è la fase S, ovvero quella di sintesi del Dna, se poi vuole passare a fare la mitosi. Spesso però prima
della fase di sintesi può esserci un periodo, anche abbastanza lungo, di accrescimento, (G1), sintesi di Rna e proteine,
ovvero deve costruire tutte le strutture adatte per poi fronteggiare la fase di sintesi. Dopodiché ci può essere un
secondo periodo G2, ove avviene la produzione delle proteine necessarie per effettuare la mitosi. In generale
quest’ultima è più breve della prima. Attenzione però, alcune cellule dopo la fase G1, possono andare in uno stato di
quiescenza, ovvero andare in un periodo definito G0, però da questo periodo di quiescenza si può anche uscire grazie
a dei segnali e si può anche rientrare nel ciclo e affrontare le fasi S e G2. Questo è un ciclo che richiede continui
controlli, infatti piccole sballature di questi processi possono portare gravi danni non solo alle cellule presenti, ma
anche a quelle future; ci sono dei punti di controllo in fase G1, per esempio controlla se la cellula è sufficientemente
grande, se ci sono i necessari nutrienti, se ci sono i fattori di crescita, se ci sono eventuali danni al Dna e se si possono
riparare; dopo aver superato questi primi controlli entra in fase S, poi in G2, ma prima di affrontare la fase M, deve
subire altri controlli, ovvero se c’è qualche errore qui esso poi si trasmetterebbe alle cellule figlie; infine, ci sono dei
controlli per quanto riguarda l’assemblaggio del fuso che permette poi di terminare. Questi punti di controllo sono
effettuati da proteine, le cicline e dagli enzimi CDK. Le cicline aumentano in una fase del nucleo, del ciclo cellulare, ove
si associano e le CDK vengono fosforilale e questo comporta la distruzione della ciclina e quindi una sua diminuzione.
La CDK causa, nel frattempo, fosforilazione di altre proteine, quindi innesca tutti altri processi cellulari e permette per
esempio nella fase di controllo in G1 di entrare nella fase di sintesi; queste CDK sono a loro volta influenzate dalla
concentrazione di cicline. Si chiamano cicline perché la loro quantità è ciclica: aumentano e diminuiscono e ci sono vari
tipi di cicline. Sui corpi nucleari, i nucleoli, ovvero l’RNA nucleare, esistono, ma non si conoscono bene. Si pensa che
questi corpi nucleari siano coinvolti nei fattori di trascrizione; quindi, una regolazione nella trascrizione genetica e
sono probabilmente adibiti al silenziamento genetico e modificano l’RNA, ma per ora si è ancora nel campo della
ricerca. I nucleoli si conoscono un po’ meglio e abbiamo capito che forma i ribosomi e R-RNA e anche dei piccoli rna e
delle subunità dei ribosomi. I nucleoli sono un altro indice di attività metabolica della cellula. Negli ovociti, infatti, c’è
una fase in cui hanno molti nucleoli perché hanno bisogno di molti ribosomi poiché necessitano di una sintesi proteica
molto elevata; oppure nei neuroni.

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