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MATERIA VIVENTE

è riconoscibile per alcune caratteristiche morfologiche e funzionali, quali:


• ADATTABILITÀ: capacità di interagire con l'ambiente modificando se stesso e l'ambiente per
garantire continuità dei processi vitali.
• IRRITABILITÀ o ECCITABILITÀ: capacità di modificarsi in risposta a variazioni di ambiente,
detta anche stimolo, grazie all'energia propria.
• MOTILITÀ: capacità di spostarsi e far spostare strutture e molecole nello spazio.
• ASSORBIMENTO: capacità di assumere sostanze dall'ambiente esterno.
• SECREZIONE: capacità di riversare nell'ambiente sostanze diverse da quelle preesistenti in
esso (no fotosintesi)
• CATALISI: capacità di far avvenire reazioni chimiche impossibili in condizioni abituali di
temperatura e pressione grazie a enzimi catalizzatori.
• GENERAZIONE DI FENOMENI ELETTRICI: capacità di generare differenze di potenziale e
correnti elettriche.
• RIPRODUZIONE: originare nuova materia vivente con caratteristiche simili a quella
preesistente.
• MOLTEPLICITÀ e VARIETÀ: numerose copie simili ma non identiche tra loro.

La comparsa di nuove strutture e nuove funzioni con base molecolare ereditabili porta alla
generazione della diversità (evoluzione).

LA CELLULA

XVII - Robert Hooke con microscopio ottico osserva un tappo da sughero e vede una serie di
strutture accostate tra loro, ,e chiama cellule, da cells.
XIX - TEORIA CELLULARE - la cellula è l'unità strutturale e funzionale fondamentale della
materia vivente (Schleiden e Schwann) e Ogni cellula ha origine da un'altra cellula (Virchow).

Tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule disposte in strutture ordinate detti tessuti.
A costituire i tessuti concorre anche la matrice extracellulare (ECM) interposta tra le cellule, poi
ci sono fluidi biologici come il sangue che contengono pure cellule.
La cellula è la più piccola porzione di materia dotata di vita autonoma e per vivere ha bisogno di
istruzioni, le informazioni ereditarie o genetiche contenute nel DNA o RNA, altre sono acquisite
dall'ambiente in cui la cellula vive.

COMPOSIZIONE DELLE CELLULE E MATRICE EXTRACELLULARE

ACQUA = maggior parte del peso della cellula e dell'organismo. Ha struttura a dipolo con un
lato carico positivamente e uno negativamente. Da ciò dipendono:
- capacità di legarsi tra loro e con altre molecole tramite attrazioni elettrostatiche e legami a
idrogeno
- fluidità tra 0° e 100°C
- va incontro a dissociazione in ioni OH- e H+ che si lega con un'altra molecole d'acqua
formando uno ione idronio (H30)+.

La concentrazione dei protoni dipende dagli ioni idronio espressa dal pH. Neutro=7; eccesso di
ioni (H30)+ acido = <7; eccesso di basi OH- base = >7. pH interno delle cellule è come quello
del sangue, circa 7,35.

MACROMOLECOLE sono raggruppate in 4 categorie: proteine, lipidi, carboidrati, acidi nucleici.

Queste formano con l'acqua una sospensione colloidale. I colloidi sono liquidi viscosi o
gelatinosi (sol) e deformabili ed elastici (gel).
CELLULE EUCARIOTICHE E PROCARIOTICHE.

- Nucleo ricco di acidi nucleici, principalmente DNA.


- Citoplasma circonda il nucleo
- Protoplasma insieme di nucleo e citoplasma.

Tutte sono delimitate da una membrana cellulare che le separa dall'ambiente circostante e
chimicamente differente. Le cellule procariotiche come i batteri, il materiale genetico non è
separato dal citoplasma.

MEMBRANA CELLULARE (o plasmatica) e membrana citoplasmatica (o plasmalemma) è una


sottile pellicola che riveste completamente la cellula separandola dall'ambiente esterno,
regolandone gli scambi.

La membrana ha una struttura a mosaico fluido costituita da un doppio strato lipidi bipolari o
anfipatici, principalmente fosfolipidi.

Lo strato più esterno è l'unico che contiene glicolipidi ed è costituito da fosfatidilcolina (un tipo di
glicerofosfolipide) e di sfingomielina.

Lo strato lipidico interno (protoplasmatico) è l'unico a contenere fosfatidilserina,


fosfatidilinositolo e fosfatidiletanolammina.

Tutte le membrana delle cellule eucariotiche contengono colesterolo che ne modifica la fluidità
irrigidendola. Alla temperatura corporea i lipidi di membrana si trovano in uno stato semifluido e,
potendosi spostare permettono il movimento delle proteine. I movimenti da uno stato all'altro
della membrana ("flip-flop") sono invece più limitati e sono catalizzati da particolari enzimi detti
flippasi. Le proteine adagiate sull'uno o sull'altro versante del doppio strato lipidico sono dette
proteine estrinseche, mentre quelle immerse nel doppio strato o che lo attraversano a tutto
spessore sono dette proteine intrinseche.

Le proteine estrinseche (o periferiche) possono essere solubilizzate semplicemente


innalzando la forza ionica del mezzo solvente in quanto il legame tra proteine e lipidi di
membrana è di tipo elettrostatico (ponti di idrogeno, attrazioni tra dipoli, legami ionici).

Le proteine intrinseche (o integrali) possono essere separate dalla componente idrofobica solo
con l'uso di tensioattivi, il che indica che tali proteine sono unite ai lipidi da legami idrofobici, più
forti.

Sulla superficie esterna della membrana si trova uno strato ricco di glucidi, detto glicocalice,
costituito dalle catene glicidiche di glicoproteine e di glicolipidi e quindi unito alla porzione
lipoproteica della membrana tramite legami covalenti. Il glicocalice è portatore di carica elettrica
di segno negativo grazie a residui di acido sialico, dotato di un gruppo carbossilico, e a residui
glucidici solfati. Può essere rimosso senza ledere la vitalità cellulare, mediante enzimi
proteolitici; ma in breve tempo (per i mammiferi, entro un giorno) il glicocalice si riforma e le
cellule riprendono tutte le loro funzioni. La rimozione del glicocalice è impiegata per dissociare
le cellule al fine di trasferirle in coltura.

Se si perfora la membrana con una punta sottile, i bordi della lesione scivolano l'uno verso
l'altro e si saldano: si possono pungere cellule con aghi di vetro, con una punta del diametro di
pochi micron, a fini sperimentali o terapeutici (come in alcune tecniche di fecondazione
artificiale).

ULTRASTRUTTURA: in sezioni esaminate al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) la


cellula è delimitata da una lamina tristratificata. I due stati esterni sono elettrondensi, mentre lo
strato intermedio è elettrontrasparente (chiaro). I due strati densi corrispondono alle regioni
polari, mentre lo strato chiaro corrisponde alle regioni apolari della membrana. L'immagine
trilaminare (al TEM) rivela la sola porzione lipoproteica della membrana, e corrisponde alla
"membrana cellulare" visualizzata in microscopia elettronica. L’analisi di sezioni in cui siano
mantenute e dimostrate componenti glucidiche fa vedere sulla superficie extracellulare della
membrana il glicocalice, di spessore per lo più compreso tra 10 e 20 nm.

La tecnica del freeze-fracture consente di avere una visione “di piatto” della membrana che
mette in evidenza la distribuzione intramembrana delle proteine.

IMPALCATURA DI SOSTEGNO: una serie di proteine filamentose, distese nel citoplasma a


ridosso della membrana plasmatica, sono unite a proteine intrinseche di membrana tramite altre
proteine intermedie: si forma così uno scheletro di membrana che conferisce stabilità
meccanica, concorre a ridurre la mobilità di alcune proteine di membrana e, essendo una
struttura elastica, permette alla membrana di deformarsi reversibilmente in rapporto ai
cambiamenti di forma della cellula. Lo scheletro di membrana meglio studiato è quello dei
globuli rossi e ad esso appartiene la proteina filamentosa detta spectrina.

PERMEABILITÀ SELETTIVA: la zona idrofobica al centro della membrana non è di ostacolo al


passaggio di piccole molecole apolari quali i gas respiratori (O, e CO2) e l'azoto (N2). La
membrana si lascia permeare anche da piccole molecole polari, purché non si tratti di ioni; è il
caso dell'acqua (18 dalton) e di piccole molecole neutre idrosolubili (ovvero idrofile) come
l'etanolo (46 dalton) e il glicerolo (92 dalton).

La membrana è invece impermeabile a ioni di qualsiasi dimensione e a molecole organiche


polari più grandi di quelle sopra citate. Per far passare queste sostanze esistono dei sistemi
costituiti da proteine intrinseche transmembrana, singole o in complesso tra loro, che
costituiscono canali e trasportatori.

I CANALI presentano un tratto a cilindro cavo, che è idrofobico sulla superficie esterna che
guarda il doppio strato lipidico ed è invece idrofilo sulla superficie interna, che delimita il
percorso seguito dalle sostanze in transito. Canali specifici sono dedicati al passaggio di diversi
ioni; in alcuni tipi cellulari esistono anche canali che permettono un flusso di acqua (acqua-
porine; proteine canale) assai più intenso di quello altrimenti possibile. I canali possono essere
aperti o chiusi in risposta a stimoli extra- ed intracellulari.

I trasportatori sono capaci di cambiare forma e trasportare attraverso la membrana ioni o


molecole organiche polari capaci di legarsi ai siti di legame del trasportatore stesso.

- Le sostanze apolari attraversano la membrana senza consumo di energia seguendo un


gradiente di concentrazione (trasporto passivo).

- Le sostanze polari attraversano la membrana secondo un gradiente di concentrazione o di


carica elettrica con velocità maggiore di quella attesa per semplice diffusione (trasporto
facilitato). Ciò dipende dalla presenza di canali o trasportatori, altrimenti non attraverserebbero
la parte idrofobica della membrana. Gradiente di concentrazione e (per molecole ionizzate)
carica elettrica si sommano algebricamente a costituire un gradiente elettrochimico.

Grazie ai trasportatori, inoltre:

- altre molecole sono trasportate attraverso la membrana contro un gradiente elettrochimico,


con consumo di energia (trasporto attivo). Quelli in grado di sfruttare fonti di energia per
ottenere il movimento sono detti pompe di membrana.
Alcuni trasportatori associano più molecole nel trasporto: nella stessa direzione sono detti
simporto; in direzione opposta sono detti antiporto.

POTENZIALE DI MEMBRANA: la principale pompa di membrana delle cellule degli organismi


animali è la cosiddetta pompa del sodio e del potassio, che trasferisce ioni sodio all'esterno
della cellula e ioni potassio all'interno ottenendo l'energia necessaria dall'idrolisi di ATP; per le
sue caratteristiche è definita Na+/K+ ATPasi, Mg2+ dipendente, ouabaino-sensibile (la ouabaina
è una molecola vegetale che blocca questa pompa). L'attività della pompa del sodio e del
potassio e l'esistenza di canali selettivi per i singoli ioni porta ad una differente concentrazione
di cariche elettriche tra le due facce della membrana, cioè fra il citoplasma e l'ambiente
extracellulare. ++All'equilibrio, la membrana mostra una differenza di potenziale detta
potenziale di membrana, di alcune decine di milliVolt (mV) e con l'interno negativo rispetto
all'esterno. Variazioni del potenziale di membrana, determinate da modificazioni della
permeabilità agli ioni sodio e potassio, possono essere usate dalla cellula per trasferire
informazioni da un punto all'altro della sua superficie, per trasmettere informazioni tra cellule
vicine, per attivare meccanismi di trasporto facilitato e per regolare funzioni all'interno della
cellula stessa.

LA MEMBRANA PLASMATICA COME SEDE DI RICONOSCIMENTO E DI INTERAZIONE TRA


CELLULA E MOLECOLE EXTRACELLULARI

Il legame tra la membrana e molecole esterne alla cellula è importante per l'adesione delle cellule tra
loro e a superfici non cellulari (come la ECM) e per il riconoscimento di molecole solubili, comprese
quelle capaci di stimolare una risposta da parte della cellula. La membrana cellulare è coinvolta nel
riconoscimento e nella decodifica di segnali provenienti dall'ambiente esterno.

Il ligando è una molecola extracellulare che si unisce specificamente ad una molecola di una cellula;

Il sito di legame è una molecola che si unisce a un ligando; questo prende il nome di recettore se
l'unione tra un ligando e un sito di legame determina una risposta da parte della cellula (movimento,
variazioni del metabolismo, proliferazione o altro ancora).

Il termine recettore si usa anche quando questa molecola è situata in un compartimento


intracellulare, ad esempio nel citoplasma, come nel caso di ormoni lipidici e/o dell'ormone tiroideo
dove il ligando (ormone) non trova ostacolo ad attraversare la membrana plasmatica. Il contatto tra
molecole segnale e recettori innesca una serie di reazioni a cascata che permette la traduzione del
segnale. Molte vie di trasduzione di segnali sono complesse e danno origine ad una o più cascate
molecolari.

CITOPLASMA E CITOSOL. Il citoplasma cellulare risulta costituito da una fase omogena detta
matrice citoplasmatica o citosol e da fasi morfologicamente definite che costituiscono gli organelli e
le inclusioni. Nella matrice citoplasmatica è inoltre presente una fitta rete di filamenti proteici che
vanno a costituire il citoscheletro. Il citosol è una soluzione acquosa all'interno del quale si svolge la
maggioranza delle reazioni biosintetiche della cellula; contiene infatti migliaia di enzimi che
intervengono nel metabolismo cellulare e anche proteine citoscheletriche e le diverse classi di RNA
responsabili della sintesi proteica. Ci sono anche vari organuli, tra questi il nucleo, assieme al
reticolo endoplasmatico, all'apparato di Golgi, ai lisosomi e ai perossisomi costituisce il sistema
membranoso del citoplasma, un insieme di cavità delimitate da membrana che suddivide il
citoplasma in vari compartimenti. Altri organuli delimitati da membrana sono i mitocondri, strutture
altamente dinamiche che rappresentano le centrali energetiche della cellula. Organuli non
membranosi presenti all'interno del citoplasma cellulare sono i ribosomi, i principali responsabili
della sintesi delle proteine. Questi organuli possono trovarsi "liberi" nel citoplasma o associarsi alle
membrane del reticolo endoplasmatico. Infine all'interno del citosol troviamo delle inclusioni, quali
granuli di glicogeno e gocciole lipidiche, elementi non rivestiti da membrana che rappresentano sedi
di accumulo di nutrienti.

Sono identificabili con microscopio elettronico e nelle cellule molto ricche di ribosomi, cioè in quelle impegnate nella sintesi di
grandi quantità di proteine, la presenza di abbondante acido ribonucleico si manifesta con una affinità del citoplasma per i
coloranti basici, cioè con una basofilia citoplasmatica.

RIBOSOMI E LA SINTESI DELLE PROTEINE

I RIBOSOMI Le proteine determinano la struttura delle cellule e della matrice extracellulare, e


catalizzano la sintesi e il metabolismo delle proteine stesse e di tutte le altre molecole proprie della
materia vivente. Dalle proteine dipende quindi ogni aspetto della struttura chimica e microscopica e
della funzione della materia vivente. L'informazione genetica contenuta nel DNA sotto forma di una
sequenza di nucleotidi viene trascritta, cioè copiata in una catena di nucleotidi a formare una
molecola di mRNA che esce dal nucleo e si porta nel citoplasma. Qui organuli specializzati, i
ribosomi, provvedono a sintetizzare la catena peptidica disponendo gli aminoacidi nell'ordine
segnato dalla sequenza dei nucleotidi del mRNA. I ribosomi sono granuli di piccole dimensioni,
circa 15 nm di diametro, formati da alcune molecole di rRNA e da numerose (oltre 70) proteine, che
si assemblano fra loro nel nucleolo e provvedono alla sintesi delle proteine. Le dimensioni dei
ribosomi e delle molecole di RNA sono misurate indirettamente tramite il coefficiente di
sedimentazione, espresso in Svedberg (S): i dati di seguito riassunti riguardano i ribosomi citopla-
smatici delle cellule eucariotiche (sono diversi per i ribosomi mitocondriali). L'RNA dei ribosomi è
RNA ribosomiale (rRNA). Ogni ribosoma (80 S) è costituito da due subunità, una maggiore (60 S,
contenente RNA 28 S, 5 S e 5,8 S) ed una minore (40 S, contenente RNA 18 S), che si uniscono
insieme durante la sintesi delle proteine e restano invece separate quando i ribosomi non sono attivi.
Per la sintesi delle proteine sono necessari anche RNA messaggero (mRNA) e RNA transfer (tRNA,
detto anche RNA solubile). I tre tipi di RNA sono sintetizzati nel nucleo a partire dalle sequenze di
geni corrispondenti. Successivamente I'RNA messaggero interagisce con i ribosomi, con i tRNA e
con altri fattori per dirigere la sintesi delle catene polipeptidiche delle proteine (traduzione del
messaggio genetico). Spesso diversi ribosomi sono uniti ad uno stesso filamento di mRNA per
sintetizzare più copie della medesima proteina (una copia per ciascun ribosoma): questi gruppetti di
ribosomi uniti insieme si chiamano poliribosomi o polisomi. La sintesi delle proteine richiede come
prima tappa la formazione di una catena di aminoacidi (catena peptidica): la successione degli
aminoacidi è la struttura primaria di ciascuna proteina. Questa catena poi si ripiega in configurazioni
progressivamente più complesse, dando origine alla struttura secondaria e alla struttura terziaria; più
unità con la propria struttura terziaria possono associarsi a formare la proteina completa, "nativa"
cioè quale si presenta appena estratta - integra - dalla materia vivente: quest'ultima è la struttura
quaternaria, dalla quale dipendono la forma e le proprietà funzionali di ciascuna proteina. Peraltro le
strutture di ordine superiore dipendono dalla struttura primaria e una volta costituita la catena
peptidica questa possiede le proprietà necessarie per la configurazione definitiva della molecola. Il
processo di sintesi delle proteine in sintesi:

• Trascrizione: viene sintetizzato un filamento di RNA quale copia complementare di un tratto di


DNA corrispondente ad un gene.

• Splicing: vengono rimossi i tratti di RNA non destinati ad essere usati per la sintesi di una proteina
(detti introni) e sono saldati insieme i vari tratti destinati ad essere usati per la sintesi stessa (detti
esoni): si forma così I'RNA messaggero (mRNA). Non sempre gli esoni di una molecola di RNA
sono usati tutti contemporaneamente per la sintesi di una proteina: alcuni RNA possono subire il
cosiddetto splicing alternativo; ogni mRNA dirigerà la sintesi di una proteina distinta.

• Trasferimento dell'RNA nel citoplasma: I’RNA si sposta dal nucleo nel citoplasma, dove svolgerà
la sua funzione. Nel nucleo sono sintetizzate anche vari tipi di molecole di RNA cioè di RNA
ribosomiale, che si combinano con proteine a formare subunità ribosomiali; anche queste si spostano
dal nucleo al citoplasma ove svolgeranno la loro funzione. Anche le molecole di tRNA cioè di RNA
transfer sono sintetizzate nel nucleo e poi si spostano nel citoplasma per svolgere la loro funzione
insieme ai ribosomi ed al mRNA.

• Unione dell'mRNA ai ribosomi: una molecola di mRNA si unisce alla subunità ribosomiale
minore, successivamente questo complesso si unisce ad una subunità ribosomiale maggiore ed a
questo punto può iniziare la sintesi della proteina corrispondente all'informazione portata dal mRNA.

• Traduzione: gli aminoacidi corrispondenti alle varie unità di informazione del mRNA sono
trasportati al ribosoma da tRNA e sono uniti l'uno all'altro nell'ordine specificato dal mRNA, a
formare la proteina corrispondente. Ogni unità di informazione del mRNA, corrispondente ad un
aminoacido, è detta codone ed è costituita da una tripletta di nucleotidi adiacenti. Ogni molecola di
tRNA è caratterizzata dalla presenza di una tripletta di basi complementari a un codone, detta
anticodone, e dalla capacità di legarsi ad un determinato aminoacido, corrispondente a quello
significato dal corrispondente codone. Al termine della serie dei codoni corrispondenti alla serie di
aminoacidi, un codone particolare (detto codone di arresto) segnala la fine del messaggio e a questo
punto la proteina sintetizzata si stacca dal ribosoma, quindi anche I'mRNA e le due subunità
ribosomiali si separano tra loro e si rendono disponibili per un nuovo ciclo di sintesi.

• Ripiegamento della proteina: i filamenti peptidici delle proteine devono ripiegarsi per assumere la
conformazione definitiva; speciali proteine, dette chaperonine, aiutano la nuova proteina ad
assumere la forma corretta (struttura secondaria e terziaria) tra le varie strutture di ordine superiore
termodinamicamente possibili. I ribosomi possono associarsi a cisterne di reticolo endoplasmatico,
formando il reticolo endoplasmatico rugoso: questo organulo provvede alla sintesi delle proteine da
esportazione, un termine che in prima istanza definisce quelle da riversare all'esterno della cellula
ma che è venuto ad includere quelle intrinseche e quelle estrinseche della faccia esterna della
membrana cellulare e quelle degli endosomi e dei lisosomi. La sintesi delle proteine da esportazione
inizia come quella di qualsiasi proteina, però poi segue alcune tappe speciali per permettere
l'inserimento dentro le cavità del reticolo endoplasmatico delle proteine stesse mentre sono
sintetizzate.

MODIFICAZIONI POST-TRADUZIONALI DELLE PROTEINE Le proteine neosintetizzate devono


ripiegarsi per assumere le corrette strutture di ordine superiore. Le strutture termodinamicamente
possibili sono diverse; il corretto ripiegamento è favorito da chaperonine. Qualora il ripiegamento
non avvenga correttamente e la proteina neosintetizzata risulti irrimediabilmente malformata, le
stesse chaperonine guidano quella proteina verso la distruzione ad opera di proteasi. La
degradazione delle proteine a corti peptidi è svolta da complessi molecolari citoplasmatici detti
proteasomi. Molte catene peptidiche una volta terminata la sintesi vanno incontro ad altre
trasformazioni post-traduzionali per completare la struttura della proteina attraverso la formazione di
ponti disolfuro, l'unione con gruppi prostetici, la polimerizzazione, la fosforilazione, la rimozione di
porzioni mediante una proteolisi controllata; le proteine di organuli membranosi possono anche
subire l'aggiunta di gruppi idrossilici (idrossilazione), di catene glucidiche (glicosilazione) e di
gruppi solfonici (solfatazione), oppure legarsi a lipidi.

COMPARTIMENTAZIONE DEL CITOPLASMA Il citoplasma è suddiviso in compartimenti da un ricco


corredo di membrane che circoscrivono cavità di varia forma; i compartimenti delimitati da
membrana sono immersi nello ialoplasma, che costituisce un altro compartimento. Le membrane
endocellulari, strutturate secondo il modello del mosaico fluido descritto per il plasmalemma, sono
peculiari per caratteristiche morfologiche e molecolari a seconda del compartimento a cui
appartengono. Quanto alla forma delle strutture delimitate da membrana possiamo avere: tubuli,
cilindri ad estremità arrotondate, con un diametro trasversale di poche decine di nanometri e una
lunghezza variabile; vescicole, sferette, cisterne, formazioni ampie ed appiattite il cui aspetto di
"sacchetti sgonfi" le fa definire anche come sacculi, vacuoli, sferici e visibili al microscopio ottico.

Una rete di tubuli e cisterne forma il Reticolo Endoplasmatico (RE), organo membranoso che si
trova in tutte le cellule eucariotiche dove costituisce circa il 50% della superficie di membrana della
cellula e circa il 10% del suo volume. Tale struttura assieme all'apparato di Golgi entra a fare parte
del cosiddetto apparato anabolico della cellula. Il RE viene considerato il più grande organo
cellulare, esso svolge differenti funzioni:

- Traslocazione di proteine, ad es. proteine secretorie, attraverso la membrana

- Integrazione di proteine nelle membrane cellulari

- Assemblaggio e modificazione di proteine all'interno del lume

- Sintesi di fosfolipidi e steroidi al lato citosol della membrana

- Stoccaggio di ioni calcio e loro rilascio regolato nel citosol

- Metabolismo dei carboidrati.

Il RE può esser a considerato a ragione uno dei più sofisticati sistemi intracellulari e la sua efficacia
consiste essenzialmente in due caratteristiche:

1. compartimentazione di ambienti chimici differenti per l'assemblaggio e la maturazione di


differenti proteine

2. RE (come del resto molti sistemi intracellulari) è una struttura polarizzata e dinamica. Polarizzata
in quanto è costituito da un versante rivolto verso il nucleo che presenta una morfologia e una
funzione differenti rispetto al versante rivolto verso la periferia cellulare;

dinamica in quanto varia molto in termini quantitativi e qualitativi a seconda del tipo di cellula, ed è
in grado di frammentarsi e di riassemblarsi adattandosi alle esigenze funzionali.

La presenza o meno di ribosomi vincolati alla superficie del RE rivolta verso il citosol determina la
creazione di due distinte tipologie di RE in continuità l'uno con l'altro, definiti rispettivamente
Reticolo Endoplasmatico Ruvido o Rugoso e Reticolo Endoplasmatico Liscio.
Altre strutture delimitate da membrana sono l'apparato di Golgi, gli endosomi, i lisosomi e i
perossisomi. Nelle cavità di questi organuli sono concentrate determinate molecole e avvengono
specifiche reazioni chimiche; in alcuni casi le membrane offrono un supporto strutturale a complessi
enzimatici per l'ordinato svolgersi di certe reazioni, indipendentemente dalla faccia su cui queste
avvengono. Tutti questi organuli fanno parte di un continuum che include pure la membrana
cellulare, in quanto di momento in momento si collegano tra loro tramite vescicole mobili. La faccia
della membrana rivolta verso lo ialoplasma è chiamata faccia P e quella rivolta verso l'interno delle
formazioni membranose è detta faccia E. La sede della formazione della membrana è in ogni caso
una porzione del reticolo endoplasmatico. Un altro tipo di organuli delimitati da membrana sono i
mitocondri; peculiari per struttura, funzione e origine, non appartengono allo stesso continuum
menzionato sopra per cui saranno trattati a parte.

RETICOLO ENDOPLASMATICO RUVIDO O RUGOSO (RER) Le proteine sintetizzate dai ribosomi liberi
nello ialoplasma sono destinate a rimanere nello ialoplasma stesso (comprese le proteine del
citoscheletro), oppure a spostarsi nei mitocondri o nel nucleo. Anche le proteine estrinseche della
faccia citoplasmatica della membrana cellulare e delle membrane endocellulari sono sintetizzate da
questi ribosomi e aderiscono secondariamente alla membrana, così pure alcune proteine secrete
mediante gemmazione dalla superficie cellulare. Parte dei ribosomi aderisce alle membrane del
reticolo endoplasmatico a formare il RER. Questo è la sede della sintesi delle proteine intrinseche di
membrana, di quelle estrinseche della faccia opposta al citoplasma (faccia E), di quelle destinate a
rimanere dentro le cavità degli organuli membranosi (con l'eccezione di quelle dei perossisomi) e di
quelle destinate alla secrezione mediante esocitosi. L'informazione per indicare che una proteina
deve essere sintetizzata nel RER è codificata nel suo mRNA e tradotta come sequenza segnale
contenuta nella proteina stessa. Essa viene interpretata grazie ad un sofisticato macchinario
molecolare. Anche le proteine sintetizzate da ribosomi liberi e dirette verso il nucleo e altri organuli
membranosi posseggono delle sequenze segnale, diverse da quelle per il reticolo endoplasmatico.

La sintesi delle proteine da esportazione: SCHEMA CARTACEO

Le membrane del reticolo endoplasmatico sono più sottili di quella cellulare e più ricche di lipidi
e sono quasi del tutto prive di rivestimento glucidico sulla faccia E.

La funzioni svolte nel lume del RER consistono principalmente in:

- Ripiegamento delle catene polipeptidiche sintetizzate dai poliribosomi vincolati alla


membrana.

- Assemblaggio di subunità proteiche.


- Formazione di ponti disolfuro, grazie alla presenza di un ambiente intraluminale ossidante.

- Idrossilazione di amminoacidi.

- Glicosilazione.

- Degradazione di proteine "imperfette" attraverso il sistema proteasoma ubiquitina.

Le catene polipeptidiche prodotte dai ribosomi vincolati alla membrana, dopo essere trasferite
nel lume del RER (traslocazione co-traslazionale) assumono la corretta configurazione
tridimensionale ad opera di specifiche chaperonine del tutto simili a quelle presenti nel citosol.
Possono essere incorporate nel RER anche catene polipeptidiche provenienti da poliribosomi
liberi, in questo caso si parla di traslocazione post-traslazionale.

Una volta assunta la loro conformazione tridimensionale le proteine vengono trasferite all'interno dei
tubuli del reticolo endoplasmatico liscio e in seguito vescicolate, oppure racchiuse all'interno di
vescicole che saranno poi destinate in prevalenza all'apparato di Golgi. Questo trasporto come verrà
descritto più avanti è bidirezionale e porta al riciclaggio di proteine accessorie presenti all'interno o
alla superficie delle vescicole stesse.

II RER rappresenta inoltre un sistema di protezione contro la produzione di proteine malfunzionanti;


se una proteina non assume la corretta conformazione tridimensionale infatti viene destinata alla
degradazione, questo processo coinvolge differenti proteine (Binding Immunoglobulin Protein BIR,
proteine disulfuro isomerasi, chaperonine) e nel complesso viene definito come sistema proteasoma
ubiquitina. Si tratta in definitiva di un sistema di protezione che si attiva con il riconoscimento di
proteine con struttura "anomala" e che porta per prima cosa al blocco dell'attività di sintesi,
contemporaneamente le proteine da rimuovere vengono marcate mediante la ubiquitina, trasferite al
di fuori del RER mediante chaperonine ed infine avviate al sistema di degradazione costituito dal
proteasoma. Le modificazioni post-traduzionali delle proteine da esportazione iniziate nel RER
continuano nell'apparato di Golgi.

RETICOLO ENDOPLASMATICO LISCIO (REL) Una parte del reticolo endoplasmatico è priva di
ribosomi ed è definita reticolo endoplasmatico liscio (REL). La membrana del REL è di aspetto
simile a quella del RER, ma si distingue per la composizione chimica. Il REL si forma per
gemmazione da quello rugoso e va incontro a rapido rinnovamento; il RER provvede alla sintesi
delle proteine costituenti la membrana e di quelle presenti nel lume di quello liscio. Poiché il reticolo
liscio può assolvere varie funzioni, che dipendono dal tipo cellulare e dalla attività svolta in ciascun
momento, anche la composizione delle sue membrane varia da cellula a cellula e da momento a
momento, soprattutto nella componente proteica. Nelle cellule del fegato (dette epatociti) le
membrane del REL contengono l'enzima glucosio-6-fosfatasi, che trasforma il glucosio-6-fosfato -
derivato dalla depolimerizzazione del glicogeno - in glucosio (senza fosfato), che può passare in
circolo e venire assorbito e utilizzato dalle altre cellule dell'organismo. Nelle altre cellule che
accumulano glicogeno il glucosio-6-fosfato è destinato solo all'uso interno della cellula, perché non è
espressa la glucosio-6-fosfatasi. Nell'epatocita avvengono reazioni di detossificazione, catalizzate da
enzimi contenuti nel REL. II REL partecipa alla sintesi dei lipidi; ad esempio nelle cellule assorbenti
dell'intestino (dette enterociti) e negli epatociti i lipidi così sintetizzati si uniscono a proteine a
formare lipoproteine. Nelle cellule che sintetizzano ormoni steroidi (derivati dal colesterolo), molti
enzimi per tali sintesi sono localizzati nel REL.

Il REL è sede di immagazzinamento di ioni calcio, massimamente nei tessuti muscolari ma anche in
altri tessuti grazie all'attività di pompe per questi ioni, di proteine calcio-leganti, che permettono di
immagazzinarli senza creare squilibri osmotici, e di canali per il calcio, che si aprono allorché questo
ione deve passare nello ialoplasma. Oltre alla contrazione muscolare, il calcio è utilizzato come
segnale per attivare numerose funzioni cellulari e, oltre che dal reticolo endoplasmatico, può
provenire anche dall'esterno della cellula e dai mitocondri.

MANCA PARTE PC
ADELE
Compartimento TRANS

Il compartimento trans (IGM) rappresenta la principale via di uscita per le proteine ed i lipidi
provenienti dal Golgi; i percorsi caratteristici delle vescicole che gemmano dal TGN sono rivolti
verso la periferia cellulare sia in direzione del polo apicale e le superfici baso laterali sia verso i
compartimenti secretori dove le vescicole sono dirette a costituire il sistema endosomiale della
cellula.

Ovviamente ogni destinazione è mediata da differenti carrier proteici.

Dal punto di vista morfologico la struttura del

TGN è alquanto complessa; può essere descritto come una rete anastomotica presente al lato trans
del dittiosoma in continuità con l'ultima cisterna del Golgi, costituito quindi sia da tubuli sia da una
cisterna. La trasformazione della cisterna in tubuli dipende da meccanismi basati sulla composizione
sia proteica sia lipidica di membrana.

La caratteristica strutturale delle cisterne trans che le distingue da tutte le altre cisterne del Golgi è
rappresentata dalla presenza di un rivestimento di clatrina, presente anche nella componente tubulare
del versante trans, oltre che sulle vescicole che da essa gemmano.

Le vescicole rivestite di clatrina che gemmano dal TGN fungono da meccanismo di trasporto al
sistema edosomiale verso il quale si dirigono, e dopo avere qui ceduto il proprio contenuto, fanno
ritorno al TGN pronte per un nuovo giro.

Funzioni dell'apparato di Golgi

L'apparato di Golgi interviene nella maturazione delle proteine prodotte dal RER grazie a
modificazioni post-traduzionali, nella loro condensazione e nello smistamento verso i diversi
compartimenti cellulari e i lisosomi.

L'attività enzimatica post-traduzionale comprende l'idrolisi, parziale e controllata, la N-glicosilazione


e la O-glicosilazione; nella cisterna trans in aggiunta si completa l'assemblaggio delle molecole
tramite l'aggiunta di acido sialico (sializzazione) e ioni solfato (solfatazione). Nell'apparato di Golgi
sono inoltre completamente sintetizzati i glicosamminoglicani oltre alla unione di molecole di natura
proteica e lipidica con la formazione di lipoproteine che potranno essere incorporate nella membrana
plasmatica oppure far parte del secreto cellulare.

La condensazione dei prodotti secretori è caratteristica delle cellule che immagazzinano il prodotto
in granuli citoplasmatici definiti granuli secretori la cui membrana è costituita dalle cisterne golgiane
e che vengono poi secreti per esocitosi. Si parla in questo caso di secrezione regolata. In molte
cellule, i prodotti appena maturati chimicamente nell'apparato di Golgi vengono secrete direttamente
senza sostare nel citoplasma; in questo caso si parla di secrezione costitutiva e dall'apparato di Golgi
in questo caso gemmano piccole vescicole che vengono esocitate senza che il prodotto vada incontro
a condensazione.

Le molecole che vanno incontro a maturazione nell'apparato di Golgi, rappresentate nella quasi
totalità da proteine, possono essere smistate verso 3 differenti destinazioni finali:

1) Se sono molecole libere contenute all'interno di vescicole o in granuli secretori si dirigono con
questi verso la periferia cellulare dove verranno esocitate come proteine da esportazione.

2) Se possiedono il segnale di smistamento verso i lisosomi resteranno all'interno di questi e di


conseguenza negli endosomi.
3) Se sono legate alla membrana andranno a rinnovare la componente proteica del plasmalemma nei
suoi vari domini.

Non è ancora del tutto chiara l'estrema complessitá dei meccanismi che regolano il traffico di
materiali all'interno e in uscita dall'apparato di Golgi ma sono stati proposti 4 differenti modelli,
tenendo conto che il traffico non è unidirezionale, ma accanto a un flusso "anterogrado" si riconosce
anche un flusso "retrogrado" come una specie di riciclaggio delle vescicole.

Il primo modello, forse il più antico e risalente ai primi anni '80, viene definito anche modello del
trasporto anterogrado fra compartimenti stabili. L'apparato del Golgi è visto come un insieme di
cisterne stabili che operano in tandem, ciascun compartimento contiene un unico set di proteine
golgiane residenti.

Da ogni cisterna gemmano vescicole contenenti materiali e rivestite da COPI che vengono
trasportate alla cisterna successiva e così via, maturando progressivamente fino ad arrivare al IGN
dove vengono veicolate al loro destino. Si ipotizza che le vescicole COP si spostino
bidirezionalmente, con COPI anterograde che trasportano vescicole secretorie e COPII retrograde
che muovendosi in direzione opposta riciclano le differenti componenti implicate nel trasporto.

Il secondo e il terzo modello sono sostanzialmente simili, vengono definiti rispettivamente di


progressione e maturazione delle cisterne, e progressione e maturazione delle cisterne con trasporto
tribulare eterotipico. Nella prima variante le cisterne sono descritte come dei trasportatori
temporanei; vescicole COPII e altre vescicole RE si fondono per formare una nuova cisterna cis che
gradualmente matura in una cisterna TGN, che successivamente si disintegra per formare vescicole
secretorie ed altri tipi di trasportatori. Mentre nella variante con trasporto tubulare eterotipico le
cisterne del dittiosoma sono unite lateralmente da connessioni laterali che mediano il trasferimento in
modo verticale dei materiali da una cisterna all'altra; questo meccanismo tuttavia non è esclusivo, ma
si associa alla gemmazione laterale di vescicole e può fornire una spiegazione al traffico "retrogrado"
di proteine golgiane residenti.

Il quarto ed ultimo modello, definito del "mixed Gole" è sicuramente il più recente (Parterson et al
2008) ed anche il più rivoluzionario, prevede una completa revisione dei modelli precedenti.

L'apparato del Golgi funziona come un unico compartimento sia contiene sia domini di maturazione
sia domini di trasporto; le vescicole ER che provengono dal reticolo endoplasmatico si dividono fra i
due domini, di maturazione e di trasporto, e successivamente escono ad ogni livello in modo
stocastico per raggiungere la loro destinazione finale.

Tutt'ora nessun modello è in grado di spiegare completamente tutto ciò che succede nell'apparato di
Golgi, tuttavia possiamo ipotizzare che non esista un solo modello, ma che ogni singola cellula
adegui i meccanismi di trasporto golgiano alla propria funzione, o che diversi meccanismi possono
coesistere nella stessa cellula.

Endocitosi ed esocitosi

Vescicole e granuli secretori raggiungono la superficie cellulare e qui vanno incontro ad esocitosi. La
loro membrana si fonde con quella cellulare risultandovi incorporata e il contenuto è riversato
all'esterno senza alcuna interruzione del rivestimento cellulare.

A seconda della funzione specifica e delle esigenze peculiari della cellula il processo della esocitosi
garantisce sia la fuoriuscita di prodotti di secrezione, sia il ricambio di porzioni di membrana.

Dalla superficie cellulare porzioni di membrana vengono riassorbite con il processo della endocitosi,
inverso alla esocitosi, in modo da mantenere stabile l'area della membrana. Mediante endocitosi si
formano vescicole e vacuoli che possono essere o meno rivestite da clatrina. Il processo di
gemmazione di vescicole dalla membranaplasmatica dipende dall'azione meccanica di una famiglia
di proteine dette dinamine che, mediante idrolisi di GTP, catalizzano questa reazione detta anche
fissione. Nelle cellule a funzione secernente si parla di endocitosi accoppiata alla esocitosi.

Le proteine di membrana sono recuperate e riutilizzate insieme alle vescicole che dalla superfice
cellulare riportano membrana alla faccia trans dell'apparato di Golgi per nuovi cicli secretori, così
come dalla faccia cis dell'apparato di Golgi vescicole gemmano e ritornano al reticolo
endoplasmatico; vi è anche un movimento di vescicole in senso trans-cis tra le varie cisterne
dell'apparato di Golgi. Di regola solo membrane simili tra loro possono fondersi, perciò membrana
recuperata dalla superficie cellulare non può approdare alla faccia del Golgi cis né al reticolo
endoplasmatico e neppure accade l'inverso.

Coinvolgimento del citoscheletro nella regolazione della via secretoria

Il citoplasma contiene formazioni proteiche filamentose che costituiscono un' impalcatura, detta nel
suo complesso citoscheletro. Le diverse componenti del citoscheletro concorrono alla corretta
localizzazione ed al movimento delle vescicole e dei granuli secretori impegnati nelle varie tappe
della esocitosi, così come delle membrane da recuperare nella successiva endocitosi.

Fagocitosi, pinocitosi, micropinocitosi


In alcuni casi la cellula proietta all'esterno delle sottili espansioni di citoplasma, dette pseudopodi,
rivestite dalla membrana cellulare e contenenti microfilamenti, con le quali circonda oggetti visibili
al microscopio ottico quali batteri, detriti di cellule, porzioni di ECM o particelle inerti. I lembi delle
espansioni si saldano tra loro e il materiale extracellulare viene segregato in una formazione
delimitata da membrana che è trasferita più internamente nel citoplasma. Questo processo, detto
fagocitosi, serve ai protozoi per il loro nutrimento mentre negli organismi pluricellulari è impiegato
per rimuovere materiale potenzialmente dannoso o alterato. L'oggetto fagocitato viene accolto in un
vacuolo fagico (fagosoma), precisamente in un vacuolo eterofagico (etero-fagosoma) perché
contiene materiale diverso da quello proprio della cellula. Il termine vacuolo non è del tutto
appropriato, trattandosi di una formazione che non appare vuota, ma è ormai consacrato dall'uso.

Quando si formano dei vacuoli citoplasmatici apparentemente vuoti si parla allora di pinocitosi e,
quando le vescicole di endocitosi sono submicroscopiche, di micropinocitosi.

Fagocitosi, pinocitosi e micropinocitosi sono forme di endocitosi, ma spesso il termine endocitosi è


impiegato come sinonimo della sola micropinocitosi. Con l'endocitosi (in tutte le sue forme) la
cellula recupera parte della membrana cellulare; inoltre con la fagocitosi assorbe materiale
extracellulare particolato e con la pinocitosi e la micropinocitosi assorbe sostanze in soluzione. Per
dare un'idea dell'entità del processo si consideri che un macrofago, un tipo di cellula particolarmente
attiva nell'endocitosi, può rimuovere una quantità di membrana pari alla sua area superficiale in circa
mezz'ora.

Endosomi

Nel citoplasma ci sono numerose formazioni cave che sono raggiunte rapidamente dal materiale
assorbito per micropinocitosi e che sono dette endosomi, hanno forma di tubuli o piccoli vacuoli ed
un interno a pH intorno a 5 grazie a pompe che trasferiscono protoni dallo ialoplasma all'interno
degli endosomi. Negli endosomi giungono anche enzimi idrolitici attivi a pHacido (come nei
lisosomi, ma qui il corredo enzimatico è limitato), che determinano una parziale idrolisi del materiale
endocitato.

Alcuni endosomi sono localizzati vicino alla superficie cellulare e sono raggiunti entro pochi minuti
dall'endocitosi: sono detti endosomi precoci. Altri endosomi sono situati più in profondità, vicino
all'apparato di Golgi, e sono raggiunti in una ventina di minuti; questi sono detti endosomi tardivi.
Vescicole gemmano dagli endosomi precoci fondendosi con quelli tardivi. In alcuni endosomi tardivi
si verifica una gemmazione della membrana limitante all'interno dell'organulo, si forma così un
corpo multivescicolare.
Gli endosomi sono una sede di smistamento del materiale in essi contenuto e delle molecole di
membrana che vi fanno tappa. Oltre a potersi spostare verso altri endosomi, le vescicole possono
trasferirsi di nuovo alla superficie cellulare; nel caso di cellule con la superficie suddivisa in più
versanti questo processo può concludersi sullo stesso versante da cui è partita l'endocitosi
(ricircolazione) oppure su un versante diverso (transcitosi). Altre possibili destinazioni sono
l'apparato di Golgi, ove la membrana è riusata per nuovi cicli secretori, ed i lisosomi, dove il
materiale che arriva viene definitivamente degradato. Anche i fagosomi vanno incontro ad
acidificazione del contenuto fondendosi con endosomi, e poi si fondono con lisosomi. Peraltro gli
endosomi sono assai più piccoli dei fagosomi per cui il processo endocitotico non è facilmente
riconoscibile morfologicamente. Anche al momento della fusione con i lisosomi si ha uno squilibrio
dimensionale che fa apparire i lisosomi come inglobati dal fagosoma.

Lisosomi

I lisosomi (dal greco lysis, dissoluzione, e soma, corpo) sono organuli membranosi di forma
rotondeggiante contenenti enzimi idrolitici (proteasi, nucleasi, glicosidasi, lipasi, fosfatasi, ecc) in
grado di idrolizzare una grande varietà di molecole biologiche.

Questi organelli degradano macromolecole organiche entrate nella cellula attraverso vescicole
endocitiche, elementi di grande dimensione (batteri, detriti ecc) provenienti dall'esterno della cellula
attraverso la fagocitosi, componenti della stessa cellula attraverso il processo dell'autofagocitosi.

Gli enzimi litici comprendono più di 40 glicoproteine attive in ambiente acido, con un valore
ottimale di pH intorno a 5, mantenuto costante da pompe protoniche ATP dipendenti presenti sulla
membrana. Le idrolasi lisosomiali non sono attive al valore di pH neutro presente nel citosol, in
modo tale da proteggere la cellula da eventuali rilasci di enzimi litici per la rottura dei lisosomi.

Le proteine strutturali associate alla membrana lisosomiale sono altamente glicosilate così da
resistere alla digestione da parte delle proteasi. Molto importanti sono anche le proteine di trasporto
che traslocano i prodotti della degradazione enzimatica (glucidi, aminoacidi, nucleotidi) dal lume
lisosomiale al citosol. La stessa membrana è resistente alla digestione litica grazie alla presenza di
colesterolo e dell'acido liso-bis fosfatidico. I lisosomi sono molto eterogenei per forma, dimensioni e
contenuto. In microscopia ottica sono spesso identificati per la positività alla reazione istochimica
per le fosfatasi acide che, legandosi al piombo, generano un precipitato, e sono colorabili con la
reazione PAS che evidenzia la componente oli-gosaccaridica delle glicoproteine.

La metodica istochimica specifica per mettere in evidenza i lisosomi è la dimostrazione dell'attività


della fosfatasi acida, cioè la capacità di idrolizzare esteri dell'acido fosforico. Questa attività
enzimatica può essere dimostrata sia al microscopio ottico sia a quello elettronico.
Il numero e la distribuzione dei lisosomi all'interno delle cellule è variabile: quando sono poco
numerosi si trovano nelle vicinanze dell'apparato del Golgi dal quale originano, nelle cellule
specializzate nell'attività fagocitaria quali macrofagi e granulociti neutrofili sono presenti in tutto il
citoplasma.

Sono state identificate numerose malattie causate da mutazioni di geni che codificano per le idrolasi
lisosomiali, in questi casi uno specifico substrato non può essere degradato e si accumula in maniera
progressiva nei lisosomi con conseguenze anche molto gravi (tesaurismosi).

I lisosomi come sede di accumulo di materiali indigeribili

Quando i lisosomi si fondono con le vescicole contenenti materiale appena fagocitato formano i
fagosomi e ne digeriscono il contenuto.

Talvolta non tutto il materiale fagocitato può essere digerito da parte delle idrolasi lisosomiali perchè
composto da sostanze inerti quali polveri minerali, coloranti, lipidi ossidati che, quindi, si
accumulano nei lisosomi. I lipidi ossidati in questo modo si trasformano in epossidi, per i quali la
cellula non ha enzimi idrolitici, e si accumulano nei lisosomi apparendo come granuli di colore dal
giallo al marroncino, detti lipofuscine. I lisosomi contenenti materiale depositato e non ulteriormente
digeribile sono detti corpi residui.

In alcune cellule che hanno a disposizione vie di secrezione che portano fuori dall'organismo,come
nel fegato e nel rene, i lisosomi possono andare incontro ad esocitosi.

Autofagocitosi

L'autofagocitosi consiste nell'inglobamento di materiale citoplasmatico e organulare all'interno di


vacuoli a doppia membrana denominati autofagosomi. Attraverso il riconoscimento delle proteine
SNARE si fondono con i lisosomi e il loro contenuto è degradato nelle molecole costituenti che,
rilasciate nel citoplasma, possono essere riutilizzate. L'autofagocitosi si attiva in seguito ad insulti
tossici, digiuno, presenza di abbondante materiale alterato nel citoplasma ed ha il significato di
risposta rapida di rimozione di grandi quantità di citoplasma e di componenti cellulari alterati che
altrimenti potrebbero compromettere il normale svolgimento delle funzioni cellulari.

Nel citoplasma si formano talora dei vacuoli a parete liscia contenenti organuli ed elementi
ialoplasmatici destinati alla degradazione, denominati vacuoli autofagici o autofagosomi. Gli
autofagosomi seguono lo stesso percorso indicato per gli eterofagosomi, fino ai lisosomi. Il processo
di autofagocitosi porta alla eliminazione rapida di grandi quantità di citoplasma; si attiva in risposta
ad insulti tossici, a restrizione nutritizia, a riduzione dell'attività cellulare e alla formazione nel
citoplasma di accumuli di materiale alterato, qualsiasi sia la causa dell'alterazione.

Perossisomi

I perossisomi sono formazioni sferiche delimitate da una membrana, a contenuto elettronopaco,


ricchi di ossidoreduttasi. Nella maggior parte delle cellule sono più piccoli del limite di risoluzione
del microscopio ottico (microperossisomi); quelli più grandi si trovano nel fegato e nel rene. Gli
enzimi servono alla degradazione di sostanze potenzialmente tossiche per l'organismo; alcuni sono
attivi su molecole normalmente non presenti nella cellula, come D-amminoacidi. I perossisomi si
formano per gemmazione dal reticolo endoplasmatico; gli enzimi sono sintetizzati da ribosomi liberi
nello ialoplasma e vanno incontro a traslocazione post-traduzionale attraverso la membrana di questi
organuli, grazie all'intervento sia di chaperonine che prevengono il ripiegamento delle molecole
nello ialoplasma, sia di sequenze segnale per il corretto indirizzamento, sia di canali di traslocazione
nella membrana dei perossisomi.

Inclusioni citoplasmatiche

Con il termine inclusioni sono indicate delle strutture cellulari derivate dall'accumulo di sostanze
sovente elaborate dalla cellula stessa o provenientidall'esterno. A questa categoria appartengono le
gocce lipidiche ed il glicogeno formate da sostanze di riserva (glucidi e lipidi) e alcuni pigmenti.

I glucidi sono immagazzinati sotto forma di glicogeno soprattutto nelle cellule epatiche e muscolari.
Il glicogeno può essere evidenziato istologicamente su preparati allestiti con la tecnica pas o con il
blu di toluidina.

I lipidi invece sono accumulati sotto forma di trigliceridi e rappresentano la principale riserva
energetica dell'organismo. Le inclusioni lipidiche sono particolarmente abbondanti nelle cellule
adipose dove occupano gran parte del citoplasma.

Nei preparati fissati con i comuni metodi istologici i lipidi sono estratti dai solventi organici per cui
rimangono gli spazi vuoti residuati dalla dissoluzione. Le goccie lipidiche sono preservate con
l'utilizzo del microtomo congelatore o altri metodi che evitano l'uso di solventi lipofili. Nella
microscopia elettronica è impiegata la fissazione con osmio. Le lipofuscine si repertano più
frequentemente nelle cellule che non si dividono e la loro presenza aumenta con l'età dell'individuo e
questo fa ritenere che si tratti di residui indigeribili di organuli cellulari degenerati. Questo pigmento
si accumula in granuli di colore giallastro o marrone chiaro.
L'emosiderina è un pigmento bruno-dorato che si accumula nei macrofagi della milza, del fegato e
del midollo osseo e deriva dalla degradazione dell'emoglobina dei globuli rossi che hanno esaurito il
loro ciclo vitale. I granuli di emosiderina possono essere individuati attraverso tecniche istochimiche
in grado di evidenziare il ferro in essi contenuto.

I mitocondri

I mitocondri (dal greco mitos - filo e condros - granello) sono organuli cellulari fondamentali
presenti nel citoplasma di tutte le cellule eucariotiche aerobiche. Essi svolgono molteplici funzioni
tra cui, la più importante, è quella energetica generando ATP attraverso processi di ossidazione a
partire da substrati metabolici glicidici e lipidici. Degna di nota è anche la loro funzione di serbatoio
di ioni (Ca2+ e Mg2+) che possono essere accumulati e scambiati con l'ambiente intracellulare.

Aspetti morfologici e citochimici

I mitocondri sono presenti in numero variabile nelle cellule del nostro corpo e sono assenti soltanto
nei globuli rossi e nei cheratinociti maturi. I mitocondri presentano un'estrema mutevolezza nella
forma (sferica, ovale, bastoncellare), nella distribuzione e nelle dimensioni. Il pleomorfismo
mitocondriale è dimostrato dalla elevata capacità di variare le caratteristiche morfologiche e
chimiche, in relazione sia al citotipo di appartenenza, sia risentendo delle richieste energetiche della
cellula.

I mitocondri sono costituiti da due membrane lipoproteiche, la membrana esterna e la membrana


interna, che racchiudono a loro volta due compartimenti: lo spazio intermembrana (camera esterna) e
lo spazio della matrice (camera interna).

La membrana esterna contiene delle proteine canale (denominate porine mitocondriali) che
permettono il passaggio di molecole elettricamente neutre. La membrana mitocondriale esterna non
presenta sostanziali differenze morfologiche rispetto alle altre membrane endocellulari.

Lo spazio intermembrana (o camera esterna) si trova tra la membrana mitocondriale esterna e la


membrana mitocondriale interna, contiene l'enzima creatinchinasi, l'adenilato chinasi e la proteina
trasportatrice di elettroni citocromo c, importante segnale intracellulare di apoptosi.

La membrana interna è priva di colesterolo mentre contiene il fosfolipide cardiolipina che le


conferisce una elevata impermeabilità. La membrana interna forma numerose pieghe (creste) che si
proiettano nella camera interna mitocondriale aumentandone notevolmente la superficie. Indagini
ultrastrutturali ad alta definizione hanno evidenziato che le creste presentano un restringimento nel
punto i cui gemmano dalla membrana interna (pedicello della cresta). Le proteine presenti hanno la
funzione di trasportare elettroni e protoni (proteine delle catene respiratorie), sintetizzare ATP (ATP
sintetasi) e regolare il passaggio di metaboliti l'interno e l'esterno della camera interna mitocondriale.
La membrana mitocondriale interna, inoltre, contiene nel suo spessore segnalatori proteici antivirali
(o MAVS, dall'inglese mitochondrial antiviral signaling). Al TEM è evidente la presenza di
aggregati proteici (ATP sintetasi) denominati particelle elementari, aggettanti nella matrice, dalla
forma bastoncellare.

La matrice mitocondriale (o camera interna), delimitata dalla membrana interna e dalle sue creste, è
costituita da un gel viscoso nel quale si trovano 5-10 copie di DNA mitocondriale (simile a quello
dei batteri), granuli osmiofili elettrondensi contenenti fosfato di calcio e altri cationi, enzimi del ciclo
dell'acido citrico e della B-ossidazione degli acidi grassi e ribosomi.

La morfologia dei mitocondri può variare in base al suo stato funzionale: in presenza di un basso
livello di attività respiratoria la camera interna aumenta di ampiezza, le creste sono ben evidenti e la
camera esterna si riduce (forma ortodossa); se invece la fosforilazione ossidativa è stimolata, lo
spazio intermembrana aumenta considerevolmente e le creste si riducono di ampiezza e dimensione
(forma condensata). Nel digiuno prolungato i mitocondri perdono rapidamente le creste e la
membrana interna diviene liscia.

Origine e dinamicità

È ampiamente accettata l'ipotesi endosimbiontica dell'origine dei mitocondri, che suppone la loro
evoluzione da un batterio aerobio (Eubacterium) in simbiosi con cellule eucariote ancestrali. Questa
teoria è suffragata dal fatto che il DNA mitocondriale è circolare, contiene 37 geni ed è in grado di
duplicarsi e di sintetizzare 13 proteine (enzimi coinvolti nella catena respiratoria), 2rRNA e 22tRNA,
che vengono utilizzati per la traduzione del mRNA mitocondriale. Inoltre, i ribosomi mitocondriali
hanno caratteristiche intermedie tra quelli batterici e quelli eucariotici e il meccanismo di divisione e
ripartizione del DNA nei mitocondri ha forti analogie con la divisione batterica. II DNA
mitocondriale è incluso in strutture (nucleoidi) che contengono proteine in grado di srotolare la
doppia elica di DNA (proteine twinkle). Mutazioni del mtDNA sono spesso causa di malattie
genetiche trasmesse per via materna in quanto i mitocondri derivano esclusivamente da quelli
dell'ovocita.

Come già sottolineato, la morfologia così come il numero dei mitocondri, sono strettamente correlati
con lo stato funzionale della cellula. Il processo che porta alla divisione dei mitocondri prende il
nome di fissione ed è regolato da specifici prodotti genici: Dynamin Related Protein 1 (DRP1) e
Fission 1 (FISI1). La DMP1 è una proteina omologa alla dinamina che, analogamente a questa, si
assembla a spirale attorno al punto di separazione del mitocondrio formando un anello di divisione.
Il suo reclutamento sembra dipendere dalla presenza di FIS1 nella zona di fissione. La divisione del
mitocondrio avviene solo dopo che si è verificata la divisione del DNA mitocondriale e consente a
tutte le cellule somatiche di dotarsi di un corredo di mitocondri adeguata allo specifico fenotipo
cellulare. Tale fenomeno è inoltre importante nel processo di morte cellulare programmata. Quando
invece i mitocondri si uniscono a formare reti interconnesse si parla di fusione; questo fenomeno è
regolato dalle mitofusine 1 e 2 e da proteine della famiglia delle dinamine come Optic Atrophy
(OPA) 1 e 2.

In particolari situazioni uno dei due processi può prevalere sull'altro come ad esempio in caso di
apoptosi dove la fissione è prevalente.

La distribuzione dei mitocondri all'interno delle cellule dipende dalle esigenze energetiche della
cellula, per cui nelle cellule muscolari striate sono allineati lungo le miofibrille, nello spermatozoo
nella porzione intermedia, nelle cellule tubulari renali nel labirinto basale. Durante la mitosi si
riscontra una maggiore concentrazione di mitocondri nei dintorni del fuso mitotico e alla fine della
divisione cellulare, sono distribuiti in quantità approssimativamente uguali nelle due cellule figlie.

Aspetti funzionali

Le attività svolte dal mitocondrio richiedono quindi una precisa localizzazione dei complessi
enzimatici importati dal citoplasma o sintetizzati all'interno del mitocondrio. L'importazione diretta
delle proteine che derivano dalla sintesi proteica citoplasmatica all'interno della matrice
mitocondriale avviene attraverso il complesso TOM/TIM, costituito da proteine di traslocazione
situate sulla membrana esterna (Translocase of Outer Membrane - TOM) e interna (Translocase of
Inner Membrane - TIM) del mitocondrio.

L'ATP, che costituisce la più importante riserva di energia per la cellula, viene prodotta da una serie
di reazioni a livello delle creste mitocondriali (detta anche respirazione cellulare), richiede ossigeno
e sfrutta l'energia degli elettroni che viene liberata dalle ossidazioni che avvengono nella matrice
mitocondriale (Ciclo di Krebs).

Sulla superficie della membrana mitocondriale interna rivolta verso la matrice si trova il complesso
dell'ATPsintasi (F.F,-ATP sintasi), mentre nello spessore della stessa membrana, intercalati in modo
ordinato tra le particelle E F, si identificano complessi multiproteici responsabili della trasferimento
di elettroni da un substrato accettore ad uno donatore detti complessi respiratori. Questi oltre a
trasferire elettroni fino all'ossigeno, che è l'ultimo accettore, rappresentano sedi di pompaggio di
protoni nello spazio intermembrana. I complessi I (NADH deidrogenasi), III (citocromo b-c,) e IV
(citocromo c ossidasi) generano un gradiente elettrochimico attraverso la membrana interna che
viene utilizzato dalla F.F,-ATP sintasi per generare ATP a partire da ADP e Pi. I complessi I, II
(succinato deidrogenasi), III e IV sono liberi di muoversi sul piano della membrana e non sono
collocati in rapporto obbligatoriamente stretto tra loro.

Il trasferimento di elettroni è mediato da trasportatori quali il Coenzima Q e il citocromo c.

La matrice mitocondriale, oltre al ciclo di Krebs, svolge anche funzione di deposito di calcio,
partecipando all'omeostasi di questo ione in collaborazione con il REL con il quale i mitocondri sono
fisicamente collegati attraverso complessi proteici (mitofusina 2) che possono operare il
trasferimento di Ca2+. Se la capacità di immagazzinamento del REL è insufficiente i mitocondri
attraverso questi complessi possono operare il trasferimento di Ca2+ alla camera esterna e da qui a
quella interna, attraverso un meccanismo antiporto Ca2+/H+ che scambia i due ioni a livello della
membrana mitocondriale interna.

Altre importanti funzioni del mitocondrio sono relative al suo ruolo nella conversioni di catabolici e
la sintesi di molecole.
I mitocondri infatti svolgono
- fasi iniziali della sintesi degli steroidi a partire dal colesterolo e partecipano alla conversione di
alcuni precursori in ormoni steroidei. Questa funzione, particolarmente sviluppata nelle cellule
steroidogeniche (e.g. corticale del surrene), si associa ad una caratteristica morfologia delle creste
mitocondriali (creste tubulari);
- sono sede di alcune reazioni del ciclo dell'urea;
- partecipano alla sintesi delle gruppo eme. (fa parte di numerose proteine: emoglobina, mioglobina,
citocromo c)
- deposito di ferro, che viene convertito in solfuro di ferro necessario alla funzione di alcune
proteine.

Infine i mitocondri svolgono funzioni che regolano le attività cellulari quali:


- proliferazione cellulare: il mitocondrio modula il rilascio del calcio dai depositi intracellulari, che
è un importante mediatore di segnali intracellulari che controllano la proliferazione.
- apoptosi: il mitocondrio partecipa a questo processo rilasciando mediatori indispensabili per la sua
induzione e progressione. Nello specifico il rilascio di proteine (es citocromo c) dallo spazio
intermembrana al citoplasma determina l'attivazione di un complesso proteico citoplasmatico
(apoptosoma) che attiva l'enzima procaspasi 9 e di conseguenza l'apoptosi. I mitocondri regolano
l'attivazione delle caspasi attraverso la produzione di proteine della famiglia delle Bcl2 che
possono avere sia una attività pro-apoptotica (BAX e BAK) che antiapoptotica (BCL2).
L'attivazione dell'apoptosi sembra dipendere dal rapporto relativo di queste due categorie di
proteine.
Bcl-2 → famiglia di geni e corrispettive proteine codificate che regolano la permeabilità della
membrana mitocondriale esterna.
CITOSCHELETRO
Il citoplasma contiene una rete tridimensionale e dinamica di polimeri proteici, che costituiscono il
citoscheletro. Il citoscheletro trasmette le forze applicate e/o generate dalle cellule e resiste alle
deformazioni, connettendo il citoplasma ed il nucleoplasma, attraverso la membrana, alla matrice
extracellulare (ECM). È responsabile del mantenimento e del cambiamento della forma cellulare e
della disposizione degli organelli. Le componenti principali del citoscheletro sono i microfilamenti, i
microtubuli ed i filamenti intermedi, la cui dinamica è regolata da numerose proteine
citoplasmatiche.

MICROFILAMENTI
Microfilamenti di actina hanno una struttura ad elica costituita da due catene destrorse, orientate
dall'estremità (+) alla estremità (-). Una rete di microfilamenti, nella cortex citoplasmatica, lega il
plasmalemma e lo rinforza, restringe la motilità delle proteine di membrana e regola il flusso di
vescicole. Fasci di microfilamenti stabili sostengono i microvilli e le stereociglia. La
polimerizzazione dei microfilamenti determina la formazione di pseudopodi ed è associata al
movimento cellulare e alla fagocitosi. L'interazione con le miosine determina lo sviluppo di forze
contrattili responsabili del movimento di organelli, dei cambiamenti di forma cellulare, del
movimento cellulare e della citodieresi. L'actina è espressa da 6 geni diversi. Quattro isoforme di a-
actina sono presenti nei tessuti muscolari; le isoforme B- e y- sono espresse nelle cellule non-
muscolari. La sequenza è molto conservata. L'actina è presente come monomero (G-actina) o come
polimero (F-actina). La G-actina lega il Mg2+ e l'ATP. Dopo l'inserimento nel microfilamento,
l'ATP viene idrolizzato. Perciò nei microfilamenti è presente ADP-actina, eccetto che alla estremità
(+) o plus end che contiene ATP-actina. La velocità di aggiunta dei monomeri è maggiore a questa
estremità (che per tale motivo viene identificata con il segno (+) rispetto a quella opposta).
L'estremità (-) o minus end, formata da monomeri di ADP-actina, è instabile e tende a dissociarsi. Di
conseguenza tra le due estremità si verifica uno spostamento di subunità assimilabile al flusso
prodotto da un meccanismo a vite senza fine (treadmilling). Ad esempio, il treadmilling è
responsabile dell'avanzamento del lamellipodio nelle cellule in movimento. I microfilamenti possono
essere studiati osservando gli effetti, in cellule viventi, di molecole come la citocalasina-D e la
latrunculina che ne provocano la scomparsa. La falloidina, invece, ne impedisce la
depolimerizzazione. lamellipodio = estensioni temporanee della membrana cellulare coinvolte nel
movimento delle cellule prodotte dall'azione di microfilamenti di actina del citoscheletro.

Superfamiglia delle miosine: le proteine della "superfamiglia" della miosina sono motori proteici
che adoperano come binario i microfilamenti. Nell'uomo sono espressi circa 40 geni per miosine di
12 classi che comprendono più isoforme. Le miosine di classe I, II e V sono presenti in tutti gli
eucarioti. La miosina II è responsabile della contrazione e della citodieresi. Le miosine I e V sono
responsabili del traffico citoplasmatico di vescicole. Le miosine VI, VII e XV sono localizzate nelle
stereociglia delle cellule capellute dell'orecchio interno. Tutte le miosine, eccetto la miosina VI, si
muovono verso l'estremità (+) dei microfilamenti.
Le miosine sono costituite da una o due catene pesanti associate a diverse catene leggere. Tutte le
miosine condividono la presenza di una testa che lega l'actina, idrolizza l'ATP e genera forza
meccanica. La testa fa parte della catena pesante, che presenta anche una coda.
Le molecole della miosina I hanno una sola testa. Le code possono legare i fosfolipidi delle
membrane oppure un secondo microfilamento.Le funzioni delle miosine I sono associate al traffico
di vescicole, come nel corso della fagocitosi e della macropinocitosi. Una isoforma della miosina I
connette i microfilamenti alla membrana dei microvilli.
La miosina V è un dimero. La coda lega la proteina Rab27a delle membrane. La miosina V è
responsabile dello spostamento di vescicole e di organelli, come i melanosomi nei melanociti.
La miosina VI sembra associata al traffico delle vescicole golgiane e alla endocitosi. È la sola
miosina che si sposta verso il minus end.
Le molecole di miosina II si legano con disposizione antiparallela attraverso le code e formano dei
filamenti bipolari. Le teste interagiscono con microfilamenti di opposta polarità e sviluppano forze
contrattili. Nelle cellule epiteliali, filamenti di miosina II e di actina formano una cintura contrattile
nella regione della zonula adherens*. Nelle cellule in vitro, filamenti di miosina II interagiscono con
i microfilamenti per formare le stress fibers**. Nelle cellule in citodieresi, un anello contrattile di
actina e miosina II è responsabile della divisione del citoplasma. Le isoforme muscolari della
miosina II costituiscono i miofilamenti spessi dei sarcomeri.

*zonula adherens (giunzioni aderenti o zonula aderente) complessi proteici che si verificano nelle giunzioni cellula-cellula,
giunzioni cellula-matrice nei tessuti epiteliali ed endoteliali
**stress fibers: fasci contrattili di actina e miosina II non muscolare che si trovano nelle cellule non muscolari.

I MICROTUBULI: cilindri cavi e rigidi costituiti da subunità globulari di ɑ- e β-tubulina (proteina


globulare l'unità fondamentale delle strutture del citoscheletro dette microtubuli).
Anche i microtubuli hanno una polarità. Nella maggior parte delle cellule in interfase si formano a
partire da un centro di organizzazione microtubulare (MTOC) associato al centrosoma, da dove si
allungano radialmente con il plus end verso la periferia. Questo orientamento e questa origine non
sono costanti. Nelle cellule ciliate sono i corpuscoli basali ad operare come organizzatori dei
microtubuli dell'assonema. Negli epiteli cilindrici i microtubuli hanno origine in prossimità del
plasmalemma apicale e si allungano verso la base della cellula. I microtubuli possono essere stabili
come nell’assonema delle ciglia e dei flagelli, nelle bande marginali delle piastrine e nell'assone dei
neuroni, oppure instabili, ed avere una emivita di qualche minuto, come la maggior parte dei
microtubuli del citoplasma e del fuso mitotico. Associati a motori proteici, sono implicati nella
mitosi e nel movimento citoplasmatico di organelli come il reticolo endoplasmatico, il Golgi, gli
endosomi, i mitocondri.
Essendo i dimeri di tubulina disposti secondo uno schema testa-coda/testa-coda, ad un’estremità del microtubulo sporgerà un
monomero di tubulina ɑ, e all'estremità opposta sporgerà un monomero di tubulina β, determinando una polarità del
microtubulo (per convenzione positiva e negativa).
Una volta che gli eterodimeri si organizzano a formare il microtubulo, la molecola di GTP viene idrolizzata a GDP perdendo
un gruppo fosfato e provocando un cambiamento strutturale dell'eterodimero che rende più instabili i legami che tengono
insieme il microtubulo.
Si avrà che l'estremità positiva, dove il microtubulo si sta allungando con l'aggiunta di nuove tubuline, risulta stabile perché la
molecola di GTP non è ancora stata idrolizzata, mentre verso l'estremità negativa vi saranno maggiori dimeri che legano GDP
già idrolizzata e il microtubulo trovandosi in condizioni di instabilità può andare incontro a rapide depolimerizzazioni. Questo
fenomeno di allungamento e accorciamento alle due estremità è noto come "treadmilling".

TUBULINE ɑ e β sono presenti in tutti gli eucarioti e la loro sequenza è molto conservata.
La y-tubulina è coinvolta nella nucleazione dei microtubuli. Le tubuline δ ed ɛ sono presenti nei
centrioli. Ogni tubulina è espressa da un gene diverso. Nei mammiferi vi sono 6 isoforme di ɑ- e
altrettante di β-tubulina. La subunità costitutiva 'dei microtubuli è l'eterodimero delle tubuline ɑ- e
β-, legate al GTP. Tutti i dimeri si legano con lo stesso orientamento cosicché ogni microtubulo è
polarizzato ed ha una estremità (+) o plus end ed una (-) o minus end. L'idrolisi del GTP, dopo la
polimerizzazione, modula la dinamica dei microtubuli. Come nel caso dei microfilamenti, anche nei
microtubuli, quando le estremità sono libere, si verifica il treadmilling: i dimeri polimerizzano
all'estremità (+) e si dissociano a quella (-). Il plus end è interessato dal fenomeno della instabilità
dinamica che determina l'alternarsi di lente fasi di allungamento e rapide fasi di disgregazione,
scandite dalla successione di catastrofi e di salvataggi. Spesso, quindi, i microtubuli delle cellule
interfasiche hanno un'emivita di circa 10 minuti. La loro polimerizzazione è favorita dalla presenza
di frammenti di microtubuli preesistenti e di MTOC. La dissociazione dei dimeri dal minus end è
bloccata quando questo è connesso al MTOC, quindi il treadmilling è possibile solo se il microtubulo
perde la connessione tra il minus end e il MTOC.

Nelle cellule, oltre ai microtubuli singoli, sono presenti strutture stabili formate da coppie di
microtubuli (nell'assonema) e triplette di microtubuli (nei centrioli e nei corpuscoli basali). Ogni coppia o
tripletta presenta un microtubulo completo costituito da 13 protofilamenti (microtubulo A), e uno o
due microtubuli a parete incompleta (microtubuli B e C) costituiti da 10 protofilamenti.
La stabilità di questi microtubuli e la loro associazione richiede la presenza di altre proteine, le
microtubule-associated proteins (MAPs). Lo studio sperimentale dei microtubuli si avvale di
molecole come la colchicina che impedisce la polimerizzazione e ad alte concentrazioni i
microtubuli scompaiono, mentre a basse concentrazioni, i microtubuli permangono e le cellule in
divisione vengono bloccate in metafase. E il taxolo che stabilizza i microtubuli e ne inibisce la
depolimerizzazione.

Microtubule-Associated Proteins (MAPs) regolano la dinamica dei microtubuli e la loro


interazione con altre strutture. Ogni cellula possiede un proprio profilo di espressione di queste
proteine. Le MAPs stabilizzanti rendono meno frequenti le catastrofi. Alcune possiedono un dominio
che lega il microtubulo ed un dominio che si proietta lateralmente. La lunghezza del braccio laterale
regola la distanza tra i microtubuli, quando si assemblano in fasci. Nei neuroni, la MAP2 si trova nei
dendriti e diverse isoforme della tau sono presenti negli assoni. Queste hanno un dominio laterale
più corto delle MAP2 e consentono la formazione di fasci di microtubuli più compatti di quelli
presenti nei dendriti.

Centri organizzatori dei microtubuli (MTOC) contengono complessi proteici che favoriscono la
nucleazione e l'allungamento durante la polimerizzazione dei microtubuli.
Il principale MTOC delle cellule animali è la regione del centrosoma, al centro geometrico della
cellula, da dove i microtubuli si allungano verso la periferia. Il centrosoma contiene spesso una
coppia di centrioli, il diplosoma, circondati da una matrice pericentriolare. Il materiale
pericentriolare contiene i complessi y-TuRC, responsabili della polimerizzazione dei microtubuli. La
regione di citoplasma, priva di organelli ed inclusi occupata dal centrosoma è la centrosfera. Le
proteine della centrosfera interagiscono con il Golgi. Di solito le cellule interfasiche hanno un
centrosoma con una coppia di centrioli. Alcune cellule plurinucleate, come gli osteoclasti, o
poliploidi, come i megacariociti, possiedono più di una coppia di centrioli. Al contrario, alcune
cellule epiteliali, le cellule muscolari e l'ovocito fecondato non presentano centrioli. Ogni centriolo è
costituito da 9 triplette di microtubuli stabili che delimitano una struttura cilindrica. I due centrioli
sono a contatto attraverso l'estremità prossimale e sono orientati ad
angolo retto l'uno rispetto all'altro. In molte cellule epiteliali sono
presenti, in prossimità del plasmalemma apicale, diverse centinaia
di MTOC indipendenti dal centrosoma. Da questi hanno origine
microtubuli che si allineano secondo l'asse della cellula e ne
determinano la polarità. I microtubuli dell'assonema di ciglia e
flagelli si formano a partire dai corpuscoli basali.
KINESINE E DINEINE mediano il trasporto di proteine, vescicole e organelli lungo i microtubuli
fungendo da “motori microtubulari”. Il movimento delle
ciglia e dei flagelli dipende dalle dineine dell'assonema. Sono
state identificate almeno 14 famiglie di kinesine; la kinesina-
I è un dimero di due catene pesanti ognuna delle quali lega
una catena leggera. Le catene pesanti formano due teste
globulari che legano le tubuline e l'ATP. Le code legano la
membrana delle vescicole da trasportare. La kinesina-I si
muove verso l'estremità (+) dei microtubuli. Le kinesine N e
M si muovono solo verso l'estremità (+) dei microtubuli.
Quelle di tipo C si muovono invece verso l'estremità (-). Sulla base delle attività, le kinesine possono
essere classificate in citoplasmatiche e mitotiche.
La DINEINA è responsabile del trasporto microtubulare in direzione del minus end. Le dineine
citoplasmatiche sono grandi proteine multimeriche composte da 2 catene pesanti e diverse catene
intermedie e leggere. Le teste sono responsabili del movimento. La dineina può collegarsi alle
vescicole solo attraverso la dinactina, un complesso proteico che lega le catene leggere della dineina
alle membrane (ed ai cromosomi).

FILAMENTI INTERMEDI sono le componenti più stabili del citoscheletro e sono implicati in
compiti di sostegno e trasduzione di forze meccaniche. Tendono a formare dei fasci tra l'involucro
nucleare ed il plasmalemma (membrana plasmatica), dove terminano sulle giunzioni aderenti. Hanno un
diametro intermedio tra quello dei microfilamenti e dei microtubuli. La loro composizione è
eterogenea e tessuto-specifica e la loro dinamica dipende da
cicli di fosforilazione reversibile. Dato che, al loro interno,
la disposizione delle proteine è simmetrica, non hanno una
polarità. Si associano a diverse proteine (Intermediate Filament-
Associated Proteins o IFAPs), ma nessuna di esse è una proteina
motrice. Le proteine dei filamenti intermedi costituiscono
una super-famiglia divisa in diverse classi sulla base della
sequenza. Nell'uomo sono espresse da circa 70 geni diversi.
Sono tutte proteine fibrose che condividono un dominio
centrale ad α-elica affiancato da domini globulari N- e C-
terminali. La loro sequenza è ampiamente divergente.

Tipologie: l'espressione delle proteine dei filamenti


intermedi è tessuto-specifica ed è correlata allo stadio differenziativo. La loro identificazione con
metodi immunoistochimici consente di tracciare l'origine di cellule tumorali e di orientare il
trattamento. I filamenti intermedi possono essere omopolimeri o eteropolimeri di proteine dello
stesso tipo o di tipo diverso.
Le lamine (F.I. tipo V), localizzate nella lamina fibrosa dell'involucro nucleare e nel nucleoplasma,
sono ubiquitarie. Le lamine A e C formano una rete bidimensionale legata alla membrana nucleare
interna attraverso le lamine B. Queste legano diverse proteine della membrana nucleare che si
connettono, direttamente o attraverso altre proteine, ai microfilamenti, ai microtubuli ed ai filamenti
intermedi citoplasmatici. La lamina fribrosa mantiene l'integrità dell'involucro nucleare ed
interagisce con i pori nucleari e con la cromatina.

Le cheratine acide (F.I. tipo 1) e neutre-basiche (F.I. tipo II) sono espresse dalle cellule epiteliali. I
filamenti cheratinici (tonofilamenti) sono eteropolimeri di cheratine acide e basiche e possono
collegarsi in fasci (tonofibrille). Circa 10 isoforme di cheratine sono espresse nelle unghie, nei capelli e nei peli e
almeno 20 isoforme, le citocheratine, sono espresse negli epiteli di rivestimento .

Gli schemi di espressione dipendono dal tipo di epitelio e dallo stadio maturativo.

Le proteine di tipo III, vimentina, desmina, GFAP (glial fibrillary acidic protein), periferina, formano sia
omopolimeri che eteropolimeri. La vimentina è presente nelle cellule di origine mesenchimale,
nell'endotelio, nei leucociti. La desmina è espressa nei tessuti muscolari. I filamenti desminici
mantengono le miofibrille collegate tra loro ed al sarcolemma durante la contrazione. Il
collegamento al sarcolemma richiede diverse proteine, come la anchirina e la paranemina. La
GEAP è espressa dagli astrociti e in alcune cellule di Schwann. Gli oligodendrociti sono privi di
filamenti intermedi. La periferina è coespressa con le proteine dei neurofilamenti, nei neuroni del
Sistema Nervoso Periferico.
I neurofilamenti (FI. tipo IV) sono presenti solo nei neuroni e sono costituiti dalla proteina NF-L che
polimerizza con la NF-M o con la NF-H. Le proteine NF-M e NF-H possiedono lunghi domini C-
terminali che legano i neurofilamenti in fasci (neurofibrille). Negli assoni, il dominio laterale della
NF-H lega i neurofilamenti ai microtubuli. Il livello di espressione dei neurofilamenti è correlato al
diametro dell'assone ed alla velocità di conduzione.
La polimerizzazione e la depolimerizzazione dei filamenti intermedi è collegata al ciclo cellulare
attraverso processi di fosforilazione e defosforilazione. Nel corso della profase mitotica, le lamine
nucleari vengono fosforilate. Questo determina la disaggregazione della lamina fibrosa. L'attivazione
in telofase di una fosfatasi specifica determina la formazione delle nuove lamine nucleari fibrose. I
filamenti intermedi possono associarsi in fasci (tonofibrille, neurofibrille) o in reti tridimensionali,
possono collegarsi ai microtubuli ed ai microfilamenti e si connettono all'involucro nucleare ed al
plasmalemma, specie in corrispondenza delle giunzioni. Questi rapporti sono mediati da proteine
associate ai filamenti intermedi come le plachine e la plectina.

Funzioni: i filamenti intermedi possono svolgere funzioni meccaniche, citoarchitetturali, intervenire


nella migrazione cellulare e nella modulazione di segnali extracellulari.
● Supporto meccanico: es. i filamenti di cheratine abbondanti nei cheratinociti epidermici e
mostrano una diversa espressione e composizione nelle cellule basali rispetto alle cellule più
differenziate. La trama di cheratine che si estende attraverso l'intero citoplasma è integrata tra le
varie cellule attraverso i desmosomi e mediante emidesmosomi tra cellule dello strato basale e lamina
basale.
● Citoarchitettura: (disposizione delle cellule in un tessuto o alla costruzione molecolare di una singola cellula) es. nei
neuroni motori, la crescita dei processi assonali richiede la presenza di filamenti intermedi con i
microfilamenti e i microtubuli. La loro interazione con questi elementi del citoscheletro è mediata da
proteine quali la plectina e il BAGP1.
● Migrazione cellulare: es. i linfociti circolanti sono in grado di resistere a stress emodinamici e
meccanici grazie alla presenza di una trama di vimentina che assume la conformazione di una gabbia
alla periferia del citoplasma. In seguito ai fenomeni chemiotattici la vimentine vengono fosforilate e
rapidamente spostate nella zona perinucleare posteriore rispetto al sito di passaggio (extravasazione)
in modo da modificare le proprietà viscoelastiche del citoplasma.
● Modulazione del segnale: i filamenti intermedi possono legarsi a proteine recettoriali di membrana
che intervengono nei meccanismi di trasduzione del segnale e modularne la funzione e l'attività
influenzando il processo che trasduce i segnali extracellulari verso gli effettori terminali localizzati
all'interno della cellula. Questo meccanismo, mediato dall'associazione con altre proteine, può ad
esempio regolare la risposta delle cellule epiteliali ai segnali pro-apoptotici.

Attività cellulari che coinvolgono il citoscheletro


CITOSCHELETRO E MEMBRANA PLASMATICA
Il plasmalemma resiste alle forze meccaniche applicate grazie all'interazione con una rete
bidimensionale di proteine specializzate; es telaio realizzato dalla spectrina, in associazione con
oligomeri actinici ed altre proteine, nella membrana del globulo rosso. Molte altre cellule presentano
proteine spettrino-simili come la distrofina nel tessuto muscolare.
II citoscheletro del cortex citoplasmatico restringe la diffusione delle proteine di membrana, sia
legandole direttamente, sia creando dei compartimenti (corrals) permanenti o transitori, al cui
interno è limitata la diffusione. Il corraling concentra, in aree definite, le molecole coinvolte nella
segnalazione cellulare. Le componenti citoscheletriche (filamenti di actina e filamenti intermedi)
interagiscono sia con i sistemi di giunzione intercellulare sia con i sistemi di giunzione cellula-ECM.
In quest'ultimo caso, le zone di adesione cellula-ECM possono essere piccole e transitorie, come nei
podosomi o più ampie e stabili, come nelle giunzioni miotendinee o nelle adesioni focali.

Citoscheletro e locomozione
Il primo stadio della locomozione è l'avanzamento del plasmalemma generato dalla polimerizzazione
dell'actina. La membrana sul fronte di avanzamento può formare filopodi, lamellipodi o pseudopodi,
(estroflessioni citoplasmatiche membranose) al cui interno i microfilamenti formano aggregati mono, bi-, o
tridimensionali. I filopodi sono caratteristici dei coni di crescita degli assoni dei neuroni e dei
fibroblasti. I lamellipodi vengono formati sia dalle cellule epiteliali sia dai fibroblasti. Gli
pseudopodi sono tipici delle amebe e dei leucociti. La forza per l'avanzamento del lamellipodio è
fornita dall'aggiunta di nuove subunità di actina alle estremità dei microfilamenti, in prossimità del
plasmalemma. I microfilamenti terminano a contatto di adesioni focali, attraverso cui avviene
l'adesione al substrato. Lo spostamento in avanti del citoplasma
è provocato dall'interazione dei
microfilamenti con filamenti di miosina II, che si dispongono
nella regione posta tra la base del lamellipodio ed il citoplasma
del corpo cellulare.
Quando questi si contraggono, le adesioni focali nella regione
dell'uropodio (“coda” della cellula) si staccano dal substrato (de-
adesione) e la porzione caudale della cellula si sposta in avanti.
Le forze di contrazione sviluppate dalle stress fibers
modificano la struttura del substrato e possono es. allineare le
fibre di collagene della matrice. L'organizzazione del substrato
influenza la direzione del movimento.

Citoscheletro e specializzazioni dei domini della


superficie cellulare
La polarità apico-basale delle cellule epiteliali è
regolata, secondo modalità solo parzialmente note,
dall'interazione tra proteine associate alla membrana
e citoscheletro.
La polarità planare, che egualmente coinvolge il
citoscheletro, è responsabile dell'orientamento delle
cellule in un foglietto epiteliale e, ad esempio,
dell'orientamento del battito ciliare delle cellule
dell'epitelio nella stessa direzione, o della
omogeneità dell'orientamento delle stereociglia delle cellule capellute dell'orecchio interno.

Dominio apicale: è generalmente il compartimento esposto al contenuto degli organi cavi che
riveste. Presenta diversi tipi di specializzazioni che sono strettamente associate alle funzioni delle
cellule. Le specializzazioni di membrana possono essere presenti anche a livello di domini di cellule
non di tipo epiteliale (es. osteoclasti).
Si possono identificare:
• microvilli
• ciglia
• stereociglia.
◾ Microvilli: estroflessioni della membrana plasmatica, immobili, associati alla capacità di
assorbimento e, infatti, il loro numero e la loro estensione variano in relazione al potere assorbente
della cellula. La membrana cellulare dei microvilli, data la funzione di assorbimento, è ricca di
proteine di trasporto ATP-dipendenti. L'ultrastruttura di ciascun microvillo è caratterizzata da un asse
centrale costituito da circa 30-40 microfilamenti di actina collegati tra di loro mediante ponti
trasversali formati da proteine leganti l'actina in maniera Ca 2+ dipendente (es fimbrina e villina), le quali
stabilizzano la struttura del microvillo. Inoltre i microfilamenti sono uniti, mediante ponti formati da
altre proteine (come la miosina I associata alla calmodulina), alla porzione citoplasmatica della membrana
cellulare alla membrana del microvillo. Alla base di ciascun microvillo i microfilamenti si
intersecano con i microfilamenti della trama terminale stabilizzati da molecole di spectrina che
ancorano anche la trama terminale alla membrana plasmatica tra la base degli stessi microvilli. In
corrispondenza della intersezione si trovano molecole di miosina, che presumibilmente permettono
lo scorrimento reciproco dei due gruppi di microfilamenti, cioè di quelli dei microvilli su quelli della
trama terminale.
Negli epiteli con una capacità assorbente molto elevata costituiscono una struttura intensamente colorabile ed evidenziabile
anche al microscopio ottico detta orletto striato o orletto a spazzola.

◾ Ciglia: estroflessioni mobili della membrana plasmatica presenti es sulla superficie apicale di
cellule epiteliali coinvolte nel movimento di materiale sulla superficie dell'epitelio stesso. Le ciglia
sono inoltre evidenziabili a livello delle tube di Falloppio e dell'utero, dove con il loro movimento
consentono il trasporto della cellula uovo e dell'embrione.

Le ciglia sono estroflessioni digitiformi più lunghe rispetto ai microvilli, evidenziabili anche al
microscopio ottico e caratterizzati da una ultrastruttura analoga a quella presente nella porzione
assile del flagello degli spermatozoi. Ogni ciglio presenta una porzione libera ed una porzione
infissa nella cellula, che comprende il corpuscolo basale; quest'ultimo ha la stessa struttura di un
centriolo e da esso prende origine il filamento assile del ciglio. Sezionando trasversalmente l'asse
centrale della porzione libera delle ciglia, si evidenzia una struttura ordinata costituita da microtubuli
che viene indicata come assonema e la cui struttura è simboleggiata con la dizione 9+2. Al
microscopio elettronico sono infatti riconoscibili 9 coppie di microtubuli periferici e due microtubuli
centrali tra loro separati. Ciascuna coppia di microtubuli periferici è costituita da un microtubulo
indicato con la lettera A e un microtubulo indicato con la lettera B, quest'ultimo posto verso l'esterno
dell'assonema rispetto al microtubulo A. Il microtubulo A è costituito da 13 filamenti di tubulina. Il
microtubulo B di ogni coppia periferica invece è incompleto essendo formato da soli 10 o 11
protofilamenti e condividendo i protofilamenti restanti con il microtubulo A della medesima coppia.
Ciascuna coppia di microtubuli periferici quindi risulta formata da due microtubuli fusi fra di loro. I
microtubuli centrali invece sono indipendenti fra loro, completi e paralleli e avvolti da una guaina
interna costituita da materiale amorfo. Dai microtubuli A di ciascuna coppia periferica si proiettano,
a intervalli regolari, raggi di connessione che legano ciascuna coppia periferica con la guaina interna.
Il microtubulo A di ciascuna coppia periferica è inoltre legato al microtubulo B della coppia
adiacente da ponti di nexina (distribuiti anch'essi ad intervalli regolari) che stabilizzano
ulteriormente la struttura dell'assonema. Da ciascun microtubulo A, infine, si proiettano due braccia
di dineina (proteina con attività ATPasica) che permettono il legame transitorio con il microtubulo B
della coppia adiacente e il movimento tra i due microtubuli. Tale legame è
alla base della capacità di movimento delle ciglia. Cicli successivi di attacco,
flessione e stacco delle braccia di dineina rispetto al microtubulo B adiacente
permettono infatti lo scorrimento laterale dei microtubuli determinando la
flessione delle ciglia. Quindi il movimento ciliare non è associato alla
modifica di alcuna struttura all'interno delle ciglia ma solo ad uno
scorrimento dei microtubuli A rispetto ai microtubuli B. Il movimento
risultante avviene su di un piano perpendicolare a quello passante per i due
microtubuli centrali ed è simile ad un colpo di frusta. Il movimento di ritorno delle ciglia è invece
dovuto alla presenza dei ponti di nexina.
La medesima struttura è riscontrabile anche nel flagello presente negli spermatozoi. Ciò che contraddistingue il flagello
dalle ciglia è il tipo di movimento che nel caso del flagello è di tipo ondulatorio.
— La struttura 9+2 dell'assonema si estende per tutta la porzione libera delle ciglia, mentre cambia
bruscamente a livello di una lamina di materiale proteico, situata presso il punto di ingresso
dell'assonema nel citoplasma apicale e denominata piastra basale. Qui la coppia centrale di
microtubuli si interrompe e le 9 coppie periferiche si continuano nel corpo basale che ha la stessa
struttura di un centriolo. A questo livello a ciascuna coppia periferica di microtubuli si aggiunge un
altro microtubulo C, situato verso l'esterno rispetto ai due precedenti. Sezionando quindi le ciglia a
livello del corpo basale si evidenziano 9 triplette di microtubuli periferici tenuti insieme dai ponti di
nexina. In alcuni epiteli ciliati, soprattutto a livello dell'epitelio respiratorio, l'insieme regolare dei
corpi basali è riscontrabile al microscopio ottico come una linea basofila alla base delle ciglia. Dalla
parte opposta della porzione libera il corpo basale termina in una struttura formata da filamenti
proteici che costituiscono la cosiddetta radichetta ciliare. Il loro ruolo sembra essere quello di
coordinare il movimento delle ciglia in maniera tale da generare un movimento metacronale cioè in
grado di creare un'onda sulla superficie dell'epitelio ciliato.

Il malfunzionamento della fine struttura delle ciglia della porzione apicale delle
cellule epiteliali è associato a diversi tipi di malattie indicate come ciliopatie. Oltre
alla struttura sopra descritta su numerosi tipi cellulari è presente un singolo ciglio
(monociglio), con assonema a struttura 9+0, cioè caratterizzato dall'assenza della
coppia di microtubuli centrale. Il monociglio è immobile, tranne che nelle cellule
del nodo di Hensen, la porzione craniale della linea primitiva, coinvolte nella
lateralizzazione corretta di fattori induttori che portano alla rottura della simmetria per diversi organi
(abbozzo cardiaco, abbozzo intestinale, abbozzi polmonari) durante lo sviluppo embrionale. Il
monociglio immobile funziona quale meccanosensore nelle cellule del tessuto osseo (osteociti).

◾ Stereociglia: estroflessioni fisse della membrana plasmatica, strutturalmente identiche ai


microvilli, ma molto più lunghi. Presentano un asse centrale costituito da microfilamenti di actina
stabilizzati tra di loro da molecole di fimbrina e associati alla membrana plasmatica che li ricopre da
una proteina differente rispetto a quella presente nei microvilli. Le stereociglia si trovano sul
dominio apicale delle cellule dell'epididimo e del dotto deferente nell'apparato riproduttore maschile,
nonché sulla superficie apicale delle cellule epiteliali sensoriali dell'orecchio interno.

Dominio laterale: rappresenta il compartimento attraverso il quale le cellule possono entrare in


contatto tra di loro. Le giunzioni che consentono il contatto cellule-cellula sono:
• giunzioni occludenti o tight junction o zonule occludentes
• giunzioni ancoranti (zonulae adhaerentes o desmosomi)
• giunzioni comunicanti o gap junctions o nexus.

– Giunzioni occludenti: sigillano completamente lo spazio intercellulare esistente tra le cellule


epiteliali. A questo livello viene persa la tipica struttura trilaminare della membrana plasmatica delle
due cellule contigue in quanto i due foglietti extracellulari di ciascuna membrana si legano tra di
loro, formando un'area di saldatura tra le membrane dei domini laterali che limita la permeabilità
intercellulare e trasforma l'insieme delle cellule così unite in uno strato impermeabile. La
distribuzione delle giunzioni occludenti è tipicamente a cintura attorno alla cellula e fa in modo da
dividere il dominio apicale dal dominio laterale anche dal punto di vista di composizione molecolare
della membrana plasmatica. Infatti la saldatura tra le due membrane adiacenti inibisce la naturale
diffusione dei lipidi e delle proteine nel doppio strato fosfolipidico. Giunzioni occludenti si trovano
nelle cellule degli epiteli degli organi cavi (es intestino), dove impediscono alle molecole presenti
nel lume di passare in maniera aspecifica nella matrice extracellulare del tessuto connettivo e da qui
nel circolo sanguigno e, in direzione opposta, impediscono alle molecole del liquido extracellulare di
entrare nel lume dell'organo; sono inoltre presenti tra le cellule endoteliali della barriera emato-
encefalica e tra le cellule del Sertoli della barriera emato-testicolare. Infine si formano anche tra i
blastomeri più esterni della morula e tra le cellule del trofoblasto durante il fenomeno della
compattazione che avviene nella prima settimana di sviluppo embrionale, e che è fondamentale per
la formazione del blastocele all'interno della blastocisti, per il successivo sviluppo dei tre foglietti
embrionali.

Osservando al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) un preparato ottenuto mediante la


tecnica di “freeze-fracturing” le giunzioni occludenti appaiono come delle linee organizzate in una
rete.
Da un punto di vista molecolare sono formate da numerose proteine tra le quali vi sono proteine
integrali (es. occludine, claudine, tricellulina, proteine di adesione dette junctional adhesion molecules, in sigla JAM) e
proteine estrinseche (es proteine della zonula occludens, Z01, Z02, ZO3) che costituiscono uno strato sul
versante citoplasmatico della membrana che unisce le giunzioni occludenti ai microfilamenti di
actina.
La famiglia delle claudine comprende 27 proteine espresse nelle diverse cellule dei mammiferi. Le
claudine sono delle proteine integrali con 4 domini transmembrana, due anse extracellulari e le
estremità C- ed N-terminale citoplasmatiche. Le due anse extracellulari sono responsabili della
formazione della adesione nelle giunzioni occludenti. Le claudine si dividono in:
a) claudine “pore-forming” che costituiscono dei pori paracellulari per il passaggio di cationi,
anioni ed acqua;
b) claudine “pore-sealing”la cui presenza aumenta l'impermeabilità della giunzione.
È stato dimostrato che in diversi tipi di tumore l'espressione delle claudine è alterata (aumentata o
diminuita) ma nei geni codificanti per queste proteine non è stato trovato alcun tipo di mutazione.
Inoltre un ruolo centrale delle claudine nell'organizzazione e nella regolazione della permeabilità
dell'epitelio intestinale è stato dimostrato in topi knockout (inattivazione completa) per claudina-15 che
presentano una lunghezza e un diametro dell'intestino tenue superiore al normale e una maggiore
permeabilità paracellulare.
Le occludine sono delle proteine con 4 domini transmembrana che sono state scoperte per prime
quali componenti delle giunzioni occludenti. II dominio citoplasmatico C-terminale, si lega alla
proteina ZO-1 della placca citoplasmatica che a sua volta si lega all'actina. La porzione
citoplasmatica dell'occludina è ricca di siti di fosforilazione (serina, tirosina e treonina) mediante i quali
l'occludina può venire regolata. È giusto sottolineare che nonostante diversi studi abbiano dimostrato
il coinvolgimento delle occludine nella traduzione di segnali attraverso la membrana cellulare, in
maniera inaspettata topi occludina -/- presentano alcune cellule epiteliali con tight junction (giunzioni

strette) morfologicamente normali e con una funzione di barriera corretta.


La tricellulina (di cui esistono diverse isoforme) è una anch'essa una proteina con 4 domini
transmembrana che è presente nelle giunzioni a cui partecipano 3 cellule; la sua presenza è stata
anche dimostrata in alcune giunzioni occludenti tra due sole cellule.
Le molecole di adesione JAM (esistenti in 3 isoforme: A, B, C) contengono un segmento
transmembrana, un dominio N-terminale extracellulare ed un dominio C-terminale citoplasmatico.
Mediante quest'ultimo le molecole JAM sono in grado di interagire con le proteine sulla faccia
citoplasmatica della membrana mentre mediante il dominio extracellulare possono essere coinvolte
in interazioni omotipiche o eterotipiche con integrine. La loro espressione è stata dimostrata sia in
cellule endoteliali sia in cellule del sangue (tra cui leucociti e piastrine); permettono quindi la
formazione di giunzioni anche tra cellule differenti ed entrano a far parte del processo di adesione tra
le cellule del sangue e l'endotelio.
- Tra le proteine estrinseche citoplasmatiche associate alle giunzioni occludenti si annoverano delle proteine che
contengono il dominio PDZ (ZO-1, ZO-2, ZO-3; multi-PDZ domain protein, MUPP-1; membrane-associated guanylate
kinase, MAGI-1) mediante il quale tali proteine legano le proteine transmembrana ai componenti del citoscheletro.
Associate a queste proteine si trovano anche proteine legate a diverse vie di segnalazione, come Rho, Rac e cdc42, ed altre
proteine linker come miosine non muscolari e la cingulina.

Giunzioni ancoranti: permettono la distribuzione omogenea delle forze che agiscono su un


determinato tessuto; quindi sui citoscheletri collegati c’è una distribuzione su un’area maggiore delle
forze (pressione, sfregamento, tensione). E grazie a queste giunzioni, ad esempio, che le cellule
epiteliali sono in grado di costituire lamine che resistono sollecitazioni meccaniche proteggendo i
tessuti sottostanti. Nella loro costituzione hanno un ruolo fondamentale proteine transmembrana
appartenenti alla famiglia delle molecole di adesione (cell adhesion molecules, CAM) e componenti del
citoscheletro che differiscono a seconda del tipo di giunzione. Si distinguono:
- zonulae adhaerentes, giunzioni ancoranti, distribuite "a cintura" attorno alle cellule e in cui sono
coinvolti i microfilamenti di actina
- desmosomi (maculae adhaerentes), giunzioni ancoranti "a forma di bottone" in cui sono coinvolti i
filamenti intermedi tipici di ciascun tessuto.

Zonula adhaerens: sono giunzioni che permettono di legare meccanicamente le cellule tra di loro e
sono distribuite in maniera continua lungo tutto il perimetro cellulare. Componenti essenziali delle
zonulae adhaerentes (come dei desmosomi) sono le caderine, glicoproteine transmembrana
(appartenenti alle CAM) presenti nelle membrane citoplasmatiche delle cellule contigue. In
particolare, negli epiteli la molecola di adesione presente nelle zonulae adhaerentes è la E-caderina
che si lega con la porzione extracellulare alle molecole analoghe della cellula adiacente, mentre con
la porzione citoplasmatica si lega ai microfilamenti di actina del citoscheletro mediante delle
proteine linker (catenine di tipo α, β, у). Il legame tra le porzioni extracellulari delle molecole di E-
caderina è regolato dalla concentrazione di ioni calcio.
Le zonulae adhaerentes sono importanti anche per il riconoscimento cellulare e per il controllo della
proliferazione e migrazione cellulare. L'inibizione dell'espressione della E-caderina è un punto
cruciale della transizione epitelio mesenchimale durante la terza settimana di sviluppo embrionale,
durante la quale dalle cellule dell'epiblasto si differenziano le cellule di mesenchima.
È inoltre coinvolta anche nell'invasione e nella metastatizzazione dei tumori di origine epiteliale.
Oltre che negli epiteli la zonula adhaerens si riscontra anche a livello del tessuto muscolare striato
cardiaco dove, insieme ai desmosomi, unisce i cardiomiociti. In tale sede la giunzione non si
sviluppa attorno al perimetro delle cellule ma forma una placca tra miocardiociti consecutivi lungo la
stessa fibra.
Osservata al microscopio elettronico la porzione citoplasmatica della zonula adhaerens è caratterizzata da materiale
elettrodenso (placca densa) dovuto agli accumuli della proteina linker catenina e delle actin binding protein vinculina e α-
actinina, molecole mediante le quali le caderine interagiscono con i microfilamenti di actina.

Desmosomi o maculae adhaerentes: giunzioni ancoranti che coinvolgono aree limitate della
membrana plasmatica delle cellule contigue. Queste giunzioni, scoperte nello strato spinoso
dell'epidermide, sono tipicamente presenti anche in molti altri tessuti, epiteliali e di altro tipo come
tra i cardiomiociti. L'ultrastruttura dei desmosomi è determinata dalla presenza di proteine
transmembrana appartenenti alla classe delle caderine (desmocolline e desmogleine) che interagiscono
con il loro dominio extracellulare con molecole simili della cellula contigua. L'importanza
dell'espressione di una determinata caderina è dimostrata ad esempio dal fatto che nei diversi strati
dell'epidermide vengono espresse caderine differenti che probabilmente sono correlate con la
citomorfosi cornea. Il legame delle caderine è calcio dipendente. La porzione intracitoplasmatica
delle caderine coinvolte nei desmosomi converge in una struttura (placca di adesione) più spessa ed
elettrondensa di quella presente nella zonulaa adhaerens. Qui le caderine interagiscono con proteine
citoplasmatiche (desmoplachine e placoglobina) che ne permettono il legame ai filamenti intermedi.
Nei desmosomi presenti a livello degli epiteli i filamenti intermedi sono di cheratina (tonofilamenti),
mentre nel caso dei desmosomi del tessuto muscolare striato cardiaco i filamenti intermedi sono
costituiti dalla desmina.
Altre caratteristiche ultrastrutturali che differenziano i desmosomi dalle zonulae adhaerentes
consistono nella maggiore distanza tra le membrane delle cellule contigue e nella presenza di una
marcata linea intermedia elettrondensa nello spazio extracellulare della giunzione.

Giunzioni Comunicanti o gap junction o nexus: mettono in comunicazione due cellule adiacenti
attraverso numerosi canali intercellulari idrofilici. Ciascun canale è costituito a sua volta da due
emicanali proteici transmembrana (connessoni) presenti su ciascuna cellula e allineati fra loro e
permettono il passaggio di ioni o di molecole di piccole dimensioni; sono formati da 6 proteine
transmembrana (connessine) che sporgono sia sul lato citoplasmatico sia su quello extracellulare
della membrana e che permettono di far interagire connessoni di cellule adiacenti. A livello delle gap
junction le membrane cellulari delle cellule sono separate da uno spazio (gap) ridotto. Mediante le
gap junction le cellule (non solo epiteliali) sono in grado di interagire e trasmettere dei segnali
attraverso dei punti a bassa resistenza. Giunzioni comunicanti, abbondanti soprattutto in cellule
epiteliali, cellule muscolari lisce e striate cardiache, cellule nervose, osteociti e tra cellula uovo e
cellule del cumulo ooforo, permettono a queste cellule di accoppiarsi elettricamente e/o
metabolicamente. Le sinapsi elettriche presenti in alcune aree del sistema nervoso sono un esempio
di gap junction. L'apertura o la chiusura dei connessoni sono controllate mediante modificazioni post
traduzionali (principalmente fosforilazione) delle connessine che li costituiscono e che ne mutano la
conformazione spaziale. Tali modificazioni possono venire indotte da variazioni del voltaggio
(canali voltaggio dipendenti), del pH o della concentrazione del calcio. Queste giunzioni sono
importanti anche durante la follicologenesi e il differenziamento embrionale mettendo in
comunicazione rispettivamente cellule follicolari ed ovocita e cellule del trofoblasto e
dell'embrioblasto.

Dominio basale: è il compartimento mediante il quale le cellule interagiscono con la lamina basale
dei tessuti connettivali attraverso due tipi di specializzazione gli emidesmosomi e le adesioni focali.
Emidesmosomi: giunzioni ancoranti caratterizzate da una struttura asimmetrica; sono denominati
emidesmosomi in quanto morfologicamente corrispondono a metà di un desmosoma pur essendo
diversi a livello molecolare con esso. Le proteine transmembrana di queste giunzioni, costituite da
proteine della famiglia delle integrine e non delle caderine come nei desmosomi, sono ancorate dal
lato citoplasmatico a filamenti di cheratina mentre dal lato extracellulare interagiscono con molecole
della lamina basale (prevalentemente laminina -5). Al microscopio elettronico gli emidesmosomi
presentano sul versante citoplasmatico della membrana una regione elettrondensa costituita da
proteine che mediano il legame tra le integrine e il citoscheletro. Gli emidesmosomi sono presenti
nelle cellule epiteliali ma anche nelle cellule del tessuto muscolare e dei nervi periferici. In questi
tessuti tramite gli emidesmosomi possono essere trasmessi dei segnali dalla matrice extracellulare al
citoscheletro delle cellule. La composizione molecolare degli emidesmosomi è tessuto specifica.

Adesioni focali (chiamate anche contatti focali o placche di adesione) sono giunzioni ancoranti
presenti sia nelle cellule epiteliali sia nei fibroblasti e nelle cellule dei tessuti muscolari. I contatti
focali sono costituiti da proteine transmembrana appartenenti alla famiglia delle integrine e da
proteine (tra cui vinculina, tensina e talina) che si dispongono in una placca di adesione e
costituiscono un ponte tra le integrine e i filamenti di actina del citoscheletro. Le adesioni focali sono
molto importanti sia per il movimento delle cellule su un substrato sia per il loro ancoraggio. Queste
giunzioni infatti permettono di legare molecole appartenenti alla matrice extracellulare
(principalmente fibronectina, laminina e collagene) ai filamenti di actina che costituiscono le
cosiddette fibre da stress (stress fibers). Sono riconducibili a contatti focali anche i podosomi che si
formano tra gli osteoclasti e la matrice ossea.

— — — — — — — — — — NUCLEO E CROMOSOMI — — — — — — — — — —

Il Nucleo interfasico
Nucleo contiene il materiale genetico e i componenti molecolari necessari al funzionamento
cellulare. Al suo interno si possono riconoscere del materiale ben colorabile con i coloranti basici
(es. ematossilina) che viene detto cromatina e uno o più corpiciattoli, anch'essi colorabili con
ematossilina, detti nucleoli. La struttura del nucleo viene mantenuta ordinata dalla presenza di un
nucleo-scheletro immerso in un ambiente apparentemente privo di struttura, il nucleoplasma o succo
nucleare, ed è separato dal citoplasma da un involucro nucleare. La forma del nucleo tende ad essere
simile a quella della cellula in cui è contenuta, anche se esistono forme irregolari, come nei
granulociti. Solitamente localizzato al centro della cellula, è spostato verso il polo basale nelle
cellule secernenti, mentre negli adipociti si trova a ridosso della membrana plasmatica. Nel nucleo si
trovano le molecole di DNA che contengono le informazioni necessarie alla sintesi dei vari RNA e
quindi delle proteine (ad eccezione delle poche codificate dal DNA mitocondriale). Il primo processo
è definito trascrizione ed avviene esclusivamente all'interno del nucleo, mentre la sintesi delle
proteine, cioè la traduzione dell'informazione contenuta nel DNA, avviene, nel citoplasma. Il nucleo
è coinvolto nella divisione cellulare in modo tale da garantire o alle cellule figlie lo stesso patrimonio
genetico delle cellula madre (cellule somatiche) o il suo corretto dimezzamento (cellule gametiche).
Se una cellula resta priva di nucleo sopravvive finché si mantengono gli RNA e le proteine che
contiene al momento in cui ha perso il nucleo, ma non è in grado di sostituirle via via che si
degradano e, inoltre, non è in grado di dare origine a nuove cellule. Il nucleo può quindi mancare
nelle cellule altamente specializzate in grado di sopravvivere per un periodo di tempo limitato, prive
ormai della capacità di dividersi (ad es.: gli eritrociti dei Mammiferi; i cheratinociti dello strato
corneo dell'epidermide). Per contro, sono note cellule binucleate, come gli epatociti e le cellule dello
strato più superficiale dell'epitelio di transizione. Alcuni tipi cellulari sono dotate di un numero
ancora maggiore di nuclei ed, in questo caso, si parla di sincizi o di plasmodi, a seconda del
meccanismo che ha portato alla plurinuclearità. Un sincizio risulta della fusione di più cellule che
mettono in comune il loro citoplasma, mantenendo l'individualità di tutti i loro nuclei; ne è un
esempio la fibra muscolare del tessuto striato scheletrico. Un plasmodio deriva da una cellula
capostipite nella quale si sono verificate ripetute divisioni nucleari cui non ha fatto seguito la relativa
citodieresi; ne sono un esempio i megacariociti, che nel midollo osseo sono deputati alla produzione
delle piastrine.

Involucro nucleare circonda il nucleo, è costituito da due membrane affrontate costituite per il 70%
da proteine e per il 23% da lipidi, in prevalenza fosfolipidi, separate da uno spazio perinucleare,
cisterna perinucleare, in continuità con il reticolo endoplasmatico rugoso (RER). La membrana
interna dell'involucro nucleare, sul versante nucleoplasmatico è rivestita da un reticolo di filamenti
intermedi, la lamina nucleare. I due foglietti dell'involucro nucleare sono interrotti a livello di
particolari strutture dinamiche, i pori nucleari, finalizzati all'attività di trasporto di molecole
specifiche tra nucleo e citoplasma. Il loro numero può variare in base sia ai diversi citotipi sia
all'attività delle cellule stesse: cellule quiescenti per lungo tempo ne sono quasi totalmente prive.

Poro nucleare. Il poro nucleare è una struttura a simmetria ottagonale definito annulus o complesso
del poro. Esso è caratterizzato da otto strutture proteiche, costituite da oltre 100 differenti proteine
dette nucleoporine, che circondano un canale centrale. Attraverso i pori nucleari diffondono
liberamente molecole idrofile con velocità inversamente proporzionale alla loro massa. Grazie ad
interazioni con specifiche proteine di trasporto (importine ed esportine), anche grosse
macromolecole o grosse strutture sopramolecolari (ad es. le subunità ribosomiali), dotate di sequenze
segnale specifiche, possono attraversare nelle due direzioni i pori. L'energia necessaria al trasporto
bidirezionale viene fornita dall'idrolisi di GIP.

Lamina nucleare è una struttura fibrosa densa di natura proteica che forma una rete spessa. Questa
rappresenta un supporto nucleoscheletrico capace di mediare l'interazione tra il versante interno
dell'involucro stesso e la cromatina. In corrispondenza dei pori nucleari la continuità della lamina è
interrotta, così come quella della cromatina (spazi intercromatinica) in modo da non ostacolare il
traffico tra l'interno del nucleo ed il citoplasma. La lamina nucleare è costituita da filamenti
intermedi formati da proteine, le lamine A, B e C. Le lamine nucleari vengono rapidamente
mobilizzate nel corso di fenomeni di riorganizzazione nucleare, quali mitosi e apoptosi. Nel caso
dell'apoptosi o morte cellulare programmata, diminuiscono le dimensioni del nucleo (picnosi) ed
aumenta la sua basofilia, a causa della condensazione irreversibile della cromatina. Queste
modificazioni del nucleo, che preludono alla sua frammentazione in porzioni delimitate
dall'involucro nucleare, sono accompagnate da depolimerizzazione della lamina nucleare, operata da
una famiglia di enzimi, le caspasi, con attività proteolitica nei confronti delle lamine stesse.

Cromatina e cromosomi

Il quantitativo di materiale genetico contenuto nei nuclei degli organismi eucarioti è caratteristico per
ogni specie. Le singole molecole di DNA non sono linearmente disposte nel contesto nucleare, bensì
sono sottoposte ad una serie di avvolgimenti ad opera di proteine che le impacchettano saldamente,
conferendo loro un differente aspetto, secondo la fase del ciclo cellulare. La compattazione è
necessaria per rendere possibile il contenimento all'interno del nucleo dell'insieme delle molecole di
DNA (46 nell'uomo), che, disposte linearmente, supererebbero 1,8 m di lunghezza. Il primo livello di
avvolgimento vede il filamento a doppia elica complessato ad un nucleo proteico costituito da un
ottamero di proteine basiche, gli istoni nucleosomici (H2A,H2B,H3,H4). La presenza di un ulteriore
istone, H1, determina una struttura di ordine superiore rispetto alla fibra nucleosomica. La struttura
primaria della cromatina di una data regione cromosomica consiste quindi di una serie di
nucleosomi spaziati linearmente legati a specifiche proteine strutturali e/o funzionali (istoni, proteine
architetturali, fattori di trascrizione, polimerasi) e, per raggiungere il livello di compattazione cromosomica,
le fibre cromatiniche attraversano una serie di gerarchiche transizioni strutturali, che formano
complessi secondari di cromatina localmente condensati, fino alle strutture terziarie globalmente
condensate.

Cromatina interfasica: presente nell'interfase (fase GI, Se G2 del ciclo cellulare), quando la cellula
esprime attivamente i suoi geni, duplica il DNA e sintetizza proteine, i cromatidi sono despiralizzati,
sotto forma di lunghi filamenti aggrovigliati più o meno lassamente. Non è più possibile distinguerli
singolarmente al microscopio ottico se non tramite la reazione di Feulgen, una colorazione
istochimica che li mostra in forma di piccoli ammassi oppure di sottili filamenti che nell'insieme
costituiscono appunto la cromatina. All'interno del nucleo la cromatina non è distribuita in modo
casuale ma in compartimenti specifici territori detti domain nucleari. Possono distinguersi
due diversi tipi di cromatina:
∎ eterocromatina, organizzata in grossi granuli o zolle più intensamente
colorate e che rimane condensata durante l'intero ciclo cellulare
∎ eucromatina, che in interfase appare meno densa, formata da filamenti
sottili, sparsi e poco colorabili ed è contenuta fra le zolle di
eterocromatina. Ai differenti stati di aggregazione della cromatina
corrispondono differenti attività di espressione genica. Infatti, i geni,
eventualmente compresi nelle zone di eterocromatina, inaccessibili agli
enzimi della trascrizione, restano silenti,

al contrario di quelli presenti nelle zone di eucromatina, che vengono espressi.


— L'eterocromatina è distinta in: facoltativa e costitutiva.
⁕ L'eterocromatina facoltativa corrisponde a porzioni specifiche che possono trascrivere, o rimanere
condensate, in modo selettivo a seconda dei diversi tessuti o anche dei differenti stadi di sviluppo
nello stesso tessuto o tipo cellulare.
⁕ L'eterocromatina costitutiva, invece, è presente in tutte le fasi del ciclo cellulare e in tutti gli stadi
dello sviluppo, su regioni corrispondenti di entrambi i cromosomi omologhi, generalmente a livello
dei centromeri, dei telomeri e in vicinanza delle regioni organizzatrici del nucleolo. Anche nel
nucleo interfasico si localizza in tipiche posizioni: sotto alla lamina nucleare fibrosa,
interrompendosi, come la lamina nucleare, in corrispondenza dei pori, oppure vicina al nucleolo e nei
cromocentri, costituiti da zolle di grandezza variabile immerse nel nucleoplasma. Si ritiene che
rappresenti un tipo di cromatina fondamentalmente strutturale, ma, attualmente, il suo significato
biologico non è ancora del tutto chiarito.

Oltre agli istoni la cromatina contiene altre proteine quali enzimi per la sintesi di DNA
(duplicazione) e quella di RNA (trascrizione), e fattori trascrizionali che regolano quali tratti di DNA
sono impegnati nella sintesi di RNA e quali no. La trascrizione consiste nel processo di sintesi di
RNA a partire da un solo filamento di DNA eucromatinico. Avviene ad opera di enzimi detti RNA
polimerasi in grado di catalizzare l'assemblaggio dei nucleotidi, che nelle cellule eucariote sono
3:
→ RNA polimerasi I determina la sintesi di RNA ribosomiali (rRNA)
→ RNA polimerasi II è responsabile della sintesi di RNA messaggero (mRNA)
→ RNA polimerasi III sintetizza RNA transfer (tRNA) e l'rRNA 5S.
Durante tale processo si generano inoltre una serie di piccoli RNA nucleari:
– (snRNA) che si associano a specifiche proteine regolando la stabilità e la trascrizione degli mRNA;
– micro-RNA (miRNA), che controllano la stabilità e la traduzione degli mRNA in generale;
– small endogenous interfering RNA (endo-siRNA) che promuovono la degradazione degli RNA trascritti da
geni ripetitivi;
– gli small exogenous interfering RNA (exo-siRNA) che sono indotti dalla presenza nella cellula di alcuni
virus e di DNA a doppia catena iniettato sperimentalmente ed hanno anche un'azione antivirale;
– Piwi-interacting RNA (piRNA), così detti dal sottogruppo di proteine con cui si associano per svolgere la
loro funzione, che sono in parte coinvolti nella idrolisi di RNA, o nella inattivazione dei trasposoni, o in
funzioni ancora da definire.

I trasposoni sono sequenze di DNA che possono cambiare la posizione all'interno del genoma,
talvolta così generando o correggendo mutazioni o alterando le dimensioni del genoma. Nella specie
umana formano circa metà del genoma. Anche i retrovirus possono essere considerati dei trasposoni.
Cromosomi mitotici: molecole di DNA che si rendono visibili durante la mitosi, sotto forma di
strutture bastoncellari altamente condensate.
Un cromosoma opera come unità strutturale distinta: ciascun cromosoma deve essere in grado di
replicarsi e le copie così replicate devono potersi separare e dividere correttamente nelle cellule
figlie. Il compattamento della cromatina nei cromosomi protegge le molecole del DNA dalla loro
frammentazione nel momento in cui migrano ai poli opposti del fuso mitotico e permette
l'appaiamento ordinato fianco a fianco dei cromatidi fratelli, cioè le due molecole identiche di DNA,
ottenute dalla replicazione del DNA durante l'interfase. I due cromatidi, in questa fase, sono uniti fra
loro per mezzo di una formazione definita centromero, consistente in una specifica sequenza di DNA
necessaria a dirigere il movimento di ciascun cromatidio lungo il fuso mitotico.
Il centromero costituisce anche la costrizione primaria, una strozzatura che divide il cromosoma in
due bracci. Possono essere presenti, in alcuni cromosomi, anche costrizioni secondarie, che non
determinano la piegatura dell'asse del cromosoma. Le estremità dei cromosomi si definiscono
telomeri che contengono sequenze nucleotidiche ripetute ricche di G e di T. Durante le serie di
divisioni cellulari, i telomeri si accorciamento gradualmente e quando la lunghezza della sequenza
telomerica raggiunge un valore critico, la cellula cessa di dividersi. Nei cromosomi delle cellule
germinali, invece, la lunghezza del DNA telomerico rimane costante, garantendo ai gameti
l'immortalità.
Le cellule somatiche possiedono un corredo diploide di cromosomi, cioè due copie di ciascun
cromosoma, una di origine materna e l'altra paterna. 22 coppie di cromosomi sono omologhi e sono
definiti autosomi. L'unica coppia di cromosomi non omologhi è composta dai cromosomi X e Y,
definiti eterocromosomi. L'insieme dei 46 cromosomi umani prende il nome di cariotipo e si rende
apprezzabile in mitosi. Ma anche in interfase i cromosomi, benché despiralizzati e dunque non
identificabili singolarmente, non perdono la loro individualità e tendono ad occupare territori distinti
grazie all'interazione di specifici punti di attacco con l'involucro nucleare. Recenti acquisizioni
dimostrano, inoltre, l'esistenza di una sorta di matrice nucleare proteica o nucleoscheletro sulla quale
i cromosomi sarebbero ordinati.

Matrice nucleare o nucleoscheletro

Dopo estrazioni specifiche, nei nuclei residua un materiale insolubile di natura proteica, in grado di
legare sequenze di DNA chiamate SAR o MAR (regioni associate allo scaffold o alla matrice),
ricche di A-T. Queste sequenze potrebbero costituire la base delle anse trascrizionali e
garantirebbero un ancoraggio del materiale genetico all'involucro nucleare. La disposizione spaziale
della cromatina a ridosso dell'involucro nel nucleo di cellule dello stesso tessuto indica
un’interazione non casuale che coinvolge il riconoscimento tra regioni centromeriche della cromatina
e proteine della lamina fibrosa ed è fondamentale nella regolazione dell'espressione genica. Ad
esempio, sia la replicazione del DNA sia la sua attività trascrizionale si verificano in posizioni
precise all'interno del nucleo. Gli stessi cromosomi occupano posizioni ben distinte all'interno di un
nucleo interfasico. Di sicuro rilievo per l'organizzazione interna dei nuclei interfasici è l'attacco di
specifiche sequenze nucleotidiche all'involucro e a porzioni precise della matrice nucleare. Questa
disposizione sembrerebbe indispensabile nell'organizzare logisticamente i cromosomi per così
favorire una corretta duplicazione del DNA nonché un'efficiente espressione dei geni.

Nucleolo: al microscopio ottico, all'interno del nucleo si nota in posizione eccentrica una struttura
sferica, non delimitata da membrane, definita nucleolo, circondato da zolle di eterocromatina
associata al nucleolo. Solitamente la maggior parte dei nuclei possiede un solo nucleolo, benché
esista un preciso rapporto con il grado di poliploidia. Oltre al numero, anche le dimensioni del
nucleolo possono variare a causa della sua struttura dinamica, che è in relazione con l'attività
sintetica della cellula: ha maggiori dimensioni nelle cellule nervose e in tutte quelle caratterizzate da
un'intensa sintesi proteica, mentre è ridotto in quelle in cui tale attività è scarsa. Nel nucleolo avviene
sia la trascrizione e lo splicing dei geni mediamente ripetuti che codificano per gli rRNA, sia
l'assemblaggio di questi ultimi con proteine per formare le subunità ribosomali.
La sua funzione è anche la sede di produzione o di modificazione di altri tipi di RNA, come gli RNA
transfer o di assemblaggio di complessi RNA-proteine.

Al microscopio elettronico si distinguono tre diverse porzioni:


– centri fibrillari, comprendenti tutto o la maggior parte del DNA costituito da regioni definite
organizzatori nucleolari, dove sono concentrati i geni che codificano per gli RNA ribosomali;
– componente fibrillare densa, comprendente le fibrille di RNA neoformato, oltre a quelle parti
dell'organizzatore nucleolare eventualmente non comprese nei centri fibrillari;
– componente granulare costituita dai prodotti del “processing” dell'rRNA sotto forma di granuli,
precursori delle subunità ribosomali.
– componente detta amorfa (meno costante) perché priva di strutture, essenzialmente proteica ed
attribuibile al nucleoscheletro.
Il nucleolo, come l'involucro nucleare, si dissolve all'inizio della mitosi per ricostruirsi al termine
della divisione in telofase.
In una cellula diploide umana, i geni degli RNA sono distribuiti su 5 coppie di cromosomi omologhi,
precisamente sui cromosomi 14, 15, 16, 21 e 22. In ognuno di questi cromosomi i geni per I'RNA
ribosomale si collocano nella porzione del cromosoma oltre la costrizione secondaria, nel satellite. E
a questo livello che in telofase, con la fusione dei cromosomi nell'organizzatore nucleolare, si
riforma il nucleolo scomparso durante la mitosi. La localizzazione delle costrizioni secondarie e
della regione organizzatrice del nucleolo è costante e tipica della specie.retterà

— — — — — — — — DIVISIONE CELLULARE E APOPTOSI — — — — — — — —

Generalità.
L'essere umano, come tutti gli organismi pluricellulari, è composto da miliardi di cellule adibite a
funzioni diverse e che derivano tutte da un'unica cellula, lo zigote, a sua volta generato dall'unione di
un gamete femminile (ovocita) e di un gamete maschile (spermatozoo). Durante le prime ore dopo la
fecondazione, lo zigote va quindi incontro a ripetute divisioni cellulari, note come cariocinesi o
mitosi (mito: filo; in riferimento all'aspetto "filamentoso" dei cromosomi, visibili nelle cellule in
divisione). La MITOSI è un processo che consiste in una serie ordinata di modificazioni del nucleo e
del citoplasma, al termine della quale si formano due cellule figlie ciascuna contenente la stessa
informazione genetica della cellula madre e una dotazione di organuli indispensabili per iniziare una
vita autonoma. Durante l'embriogenesi e la vita fetale, la frequenza di divisioni cellulari è molto alta,
in quanto si sviluppano ex novo organi ed apparati, mentre durante la vita adulta, quando è
necessario soltanto il rinnovamento fisiologico delle cellule, la frequenza di divisioni cellulari
diminuisce in modo sensibile. Affinché la cellula madre possa dividersi in due cellule figlie
contenenti lo stesso corredo genetico, è necessario che essa prima duplichi il proprio corredo e solo
successivamente attui la mitosi. Questi due eventi rappresentano quindi fasi ben distinte e
cronologicamente ordinate della vita della cellula e sono intervallati da fasi di check point, per le
verifiche del corretto svolgimento dei processi avvenuti. Si può quindi definire per ciascuna cellula
un ciclo cellulare, cioè una successione di eventi che può ripetersi più volte, sempre secondo un
ordine ben preciso ed invariabile. Il ciclo cellulare è anche definito come l'intervallo temporale tra
due divisioni cellulari successive ed è convenzionalmente suddiviso in due fasi principali:
– la mitosi (o fase M), in cui la cellula si divide;
– l'intercinesi o interfase, il periodo interposto tra una mitosi e l'altra, durante la quale la cellula
svolge le proprie funzioni specifiche e, se opportunamente stimolata, duplica il proprio DNA e
sintetizza i nuovi componenti cellulari in preparazione alla fase M.
A sua volta, l'intercinesi consta di tre diverse fasi:
1. la fase GI (G = gap), il cosiddetto primo intervallo subito dopo la fine di una mitosi;
2. la fase S (S = sintesi), durante la quale avviene la duplicazione del DNA;
3. la fase G2, il cosiddetto secondo intervallo o gap 2.
La durata del ciclo può variare molto sia a seconda del tipo cellulare che si prende in considerazione,
sia a seconda degli stimoli ambientali che agiscono sulla cellula: (nell'uomo il ciclo cellulare degli enterociti è di
circa 12 ore, quello dei fibroblasti in coltura di circa 20 ore, quello degli epatociti di circa un anno) . La fase che ha una
variabilità maggiore e che quindi influenza in modo significativo la durata del ciclo cellulare è la
fase G1; le altre fasi hanno invece una durata più costante nei diversi tipi cellulari (la fase M si
protrae tipicamente per circa 1 ora). Le cellule che sospendono la loro attività proliferativa,
temporaneamente o definitivamente, vengono considerate fuori dal ciclo ed entrano in una
condizione particolare, definita fase G0.

La regolazione del ciclo cellulare dipende dall'interazione tra specifiche proteine, in primo luogo
cicline e chinasi ciclino-dipendenti partecipano a questa regolazione anche altre proteine.

Divisione cellulare
Cromosomi: nelle cellule in attiva proliferazione il contenuto del materiale genetico e il suo aspetto
morfologico variano considerevolmente nelle diversi fasi del ciclo cellulare. Il contenuto di DNA
nelle cellule umane in fase G1 è rappresentato da 46 cromosomi (corredo cromosomico 2N), mentre
alla fine della fase S e in fase G2 ogni cromosoma è presente in due repliche (corredo cromosomico
4N). Anche il suo aspetto morfologico differisce molto nelle diverse fasi del ciclo: durante
l'interfase, infatti, esso appare sotto forma di cromatina interfasica, mentre durante la fase M è
condensato per formare i cromosomi mitotici. Gli aspetti microscopici dei cromosomi, cioè il loro
numero, la loro forma e le loro dimensioni, sono di rilevante interesse istologico e il loro studio viene
effettuato su preparati (detti cariotipi), allestiti a partire da cellule in metafase, durante la quale i
cromosomi appaiono sotto forma di due cromatidi appaiati, identici tra loro. Ogni cromatidio è una
struttura cilindrica ad estremità arrotondata con la lunghezza variabile. Il calibro del cromatidio è
uniforme, salvo per un restringimento, detto costrizione primaria, in corrispondenza del centromero,
a livello del quale il cromatidio si flette. Alcuni cromosomi possono presentare una costrizione
secondaria, cioè un secondo restringimento, che però non determina né una flessione, né una fusione
dei cromatidi. I diversi cromosomi differiscono tra loro per la lunghezza e per la posizione del
centromero:
si definiscono cromosomi metacentrici quelli che hanno il centromero circa a metà lunghezza e
cromosomi acrocentrici quelli che hanno il centromero spostato verso un'estremità; la specie umana
non possiede cromosomi telocentrici, cioè con il centromero al termine dei cromatidi (presenti
invece in altre specie animali). Quando il centromero non è né centrale, né molto vicino ad una
estremità del cromosoma, si parla di cromosomi submetacentrici o subacrocentrici. In
corrispondenza del centromero, su ciascun versante del cromosoma, si aggrega un complesso di
proteine a formare il cinetocore ("kinetochore"), al quale si legano i microtubuli delle fibre
cromosomiche del fuso durante la mitosi. Tranne che nelle cellule sessuali che danno origine ad un
nuovo organismo e nei loro immediati precursori, i cromosomi si possono ordinare a coppie in base
alla forma e alle dimensioni. Nelle cellule della specie umana si trovano 46 cromosomi: di questi, 22
coppie consistono di cromosomi identici in tutti gli individui, denominati autosomi o cromosomi
somatici, l'ultima coppia invece è costituita da cromosomi identici negli individui di sesso femminile
e diversi tra loro negli individui di sesso maschile. Questi ultimi due cromosomi sono definiti
eterocromosomi o cromosomi sessuali. Negli individui di sesso femminile gli eterocromosomi sono
grandi e metacentrici (cromosomi X); negli individui di sesso maschile si trova un cromosoma X ed
un altro piccolo cromosoma acrocentrico, detto cromosoma Y. Per questo, il cariotipo normale
umano viene indicato come 44A + XX nel sesso femminile e 44A + XY nel sesso maschile, dove la
sigla "A" sta per autosomi.

LA MITOSI o cariocinesi è un processo continuo che consta di quattro fasi denominate,


nell'ordine, profase, metafase, anafase e telofase.
— PROFASE: si sviluppa appieno l'apparato della sfera, che in interfase è rappresentato da una
coppia di centrioli e dal centrosoma, talvolta anche da una zona circostante di citoplasma granuloso,
definita centrosfera che compare regolarmente e si forma intorno ad essa una raggiera di fibre, note
come radiazioni della sfera, costituite da fascetti di microtubuli orientati con l'estremità plus rivolta
verso la periferia della cellula e l'estremità minus rivolta verso i centrosomi. È importante
sottolineare che, in profase, a livello della centrosfera sono presenti due centrosomi, ciascuno
contenente una coppia di centrioli: durante la fase S, infatti, in prossimità di ciascuno dei due
centrioli preesistenti, si forma un secondo centriolo, portando di fatto alla presenza di quattro
centrioli organizzati in 2 coppie. All'inizio della profase, le coppie di centrioli della centrosfera
iniziano ad allontanarsi reciprocamente, spostandosi ai poli opposti della cellula madre, definendo
così il piano di divisione cellulare e le aree in cui si formeranno i nuclei delle cellule figlie. Le
radiazioni della sfera si riorganizzano intorno alle coppie di centrioli, formando due raggiere
incomplete di fibre, dirette verso la superficie cellulare (aster), e un fuso di fibre comprese tra i
centrosomi (fuso mitotico o acromatico). Come le radiazioni della sfera, anche le fibre del fuso sono
costituite da fascetti di microtubuli, che hanno l'estremità plus rivolta verso il centro del fuso e
l'estremità minus rivolta verso i centrosomi. Le fibre del fuso mitotico possono essere fibre continue
(intercentrosomiche o interpolari o centrali) oppure fibre cromosomiche (o mantellari). Le fibre
cosiddette continue sono costituite da microtubuli che radiano da ciascun centrosoma fino oltre metà
del fuso acromatico verso l'altro centrosoma e si associano per mezzo di proteine motrici
intertubulari ad analoghi microtubuli che radiano dal centrosoma opposto. Le fibre cromosomiche
invece originano da ciascuno dei due poli e terminano libere. Durante la profase anche il nucleo va
incontro a una serie di modificazioni. Nell'uomo, come in tutti gli organismi eucarioti superiori,
l'involucro nucleare viene infatti completamente frammentato e la compartimentalizzazione del
materiale genetico viene transitoriamente meno. Si assiste al disassemblaggio delle proteine che
formano il complesso del poro, a quelle che formano la lamina nucleare ed al distacco della
cromatina dall'involucro nucleare. Buona parte di questi eventi sono mediati dall'azione della
proteina chinasi CDK1 (Ciclin Dependent Kinasi). I filamenti delle lamine nucleari, a seguito della
fosforilazione da parte di CDK1, si dissociano in dimeri: le lamine A e C vengono immediatamente
liberate come dimeri nel citosol, mentre le lamine B rimangono transitoriamente associate alle
membrane dell'involucro nucleare. Anche numerose proteine del poro, fosforilate da parte di CDK1,
sono disassemblate in subunità. Scompaiono il nucleolo e la cromatina; quest'ultima viene sostituita
da una serie di formazioni filamentose, i cromosomi, che si fanno progressivamente più spessi e più
corti. Essi rappresentano un aspetto dello stesso materiale nucleoproteico che forma la cromatina,
spiralizzato in massimo grado. L'apparato del Golgi si frammenta in piccoli gruppi di vescicole. La
fine della profase è quindi caratterizzata dalla scomparsa dell'involucro nucleare e dalla
condensazione del materiale genetico sotto forma di cromosomi, che si trovano liberi nella matrice
citoplasmatica.
— METAFASE: le fibre cromosomiche prendono contatto con i cromosomi, che vengono quindi
disposti all'equatore del fuso mitotico. Questo processo avviene in quanto le estremità plus dei
microtubuli appartenenti alle fibre cromosomiche si allungano e si accorciano in modo casuale a
livello della regione del fuso mitotico. Quando queste estremità entrano in contatto con il cinetocore
di un cromosoma, vi si legano saldamente attraverso proteine motrici (dineine e chinesine). Ciascun
cromosoma è raggiunto da fibre cromosomiche (derivanti da centrosomi opposti) su entrambi i
cinetocori del proprio centromero e viene in seguito trasportato nell'area centrale del fuso mitotico,
chiamata piastra metafasica o equatoriale. A livello del centromero sono localizzate un gruppo di
proteine, le coesine, che svolgono la funzione di collante tra i due cromatidi del cromosoma. Quando
le coesine vengono degradate, il centromero si divide in senso longitudinale rispetto all'asse
maggiore del cromosoma e i due cromatidi acquisiscono piena indipendenza. Questo evento dà inizio
all'anafase.
— ANAFASE: i due cromatidi fratelli, ciascuno corrispondente ad un cromosoma delle future
cellule figlie, si separano e migrano verso i poli opposti del fuso. Questo movimento è determinato
dai microtubuli che formano le fibre del fuso. Le dineine a livello del cinetocore scorrono infatti
sulle fibre cromosomiche in direzione minus trascinando il cromatidio verso il corrispettivo
centrosoma; contemporaneamente i microtubuli delle fibre cromosomiche si accorciano, andando
incontro a depolimerizzazione via via che il cromatidio si sposta (anafase A). Successivamente si
assiste ad un allontanamento dei poli del fuso (anafase B), dovuto ad un duplice meccanismo, che
coinvolge le fibre intercentrosomatiche e quelle astrali. I microtubuli intercentrosomici che derivano
dai due poli opposti del fuso scorrono l'uno sull'altro in modo antiparallelo grazie a proteine motrici
(chinesine) e contemporaneamente si allungano per il fenomeno di polimerizzazione di tubuline
all'estremità plus; a livello degli aster invece proteine motrici (dineine), che interagiscono con
elementi del citoplasma corticale, esercitano una trazione verso l'estremità minus dei microtubuli
delle fibre astrali, contribuendo ad allontanare i poli del fuso. L'anafase si protrae fino a che non si
conclude il movimento dei cromosomi.
— TELOFASE: si formano i nuovi involucri nucleari intorno a ciascun gruppo di cromosomi, si
disassembla il fuso mitotico e, a seguito della despiralizzazione dei cromosomi, ricompare la
cromatina e si organizzano i nucleoli. La cellula si strozza in corrispondenza dell'equatore,
suddividendosi definitivamente in due cellule figlie attraverso il fenomeno noto come citodieresi. La
corretta ripartizione degli organuli (lisosomi, reticolo endoplasmatico, ribosomi) e dei gruppi di
vescicole dell'apparato di Golgi all'interno delle cellule figlie è garantita dai microtubuli del fuso,
lungo i quali gli organuli si spostano attraverso l'adesione a proteine motrici. Successivamente le
vescicole dell'apparato di Golgi si fondono tra loro per riformare le cisterne. La citodieresi avviene
grazie a un anello di filamenti di actina e miosina orientati in modo circonferenziale, che,
interagendo reciprocamente, determinano uno strozzamento del citoplasma e un'introflessione della
membrana plasmatica verso il centro della cellula. Le porzioni di membrana plasmatica provenienti
dai lati opposti della cellula si incontrano al centro dell'anello e si fondono su un piano
perpendicolare a quello del fuso mitotico, determinando così la definitiva separazione delle cellule
figlie. Il fuso mitotico, oltre a determinare l'esatta posizione dell'anello contrattile, ne favorisce
l'organizzazione e la stabilizzazione, come dimostrato dal fatto che il trattamento delle cellule con
agenti che inducono depolimerizzazione dei microtubuli indeboliscono l'anello contrattile. Nella
maggioranza delle cellule l'anello si forma nella parte mediana della cellula, in corrispondenza della
regione equatoriale (divisione simmetrica). In particolari tipi di cellule il fuso mitotico -e di
conseguenza l'anello contrattile- non occupano la posizione equatoriale, determinando la divisione
della cellula madre in due cellule figlie di dimensioni diverse (divisione asimmetrica). Questo
meccanismo consente di segregare la maggior parte degli organuli e del materiale citoplasmatico in
una sola delle cellula figlie, come avviene per gli ovociti, oppure consente di regolare un diverso
destino differenziativo per ciascuna delle due cellule figlie, come avviene nelle cellule staminali.

MEIOSI: la maggior parte delle cellule del nostro organismo sono cellule somatiche: hanno cioè un
corredo cromosomico diploide (2N), formato da 46 cromosomi, ognuno dei quali costituito da 2
cromatidi fratelli (2C). Queste cellule si dividono esclusivamente per mitosi. Durante le prime fasi
dello sviluppo embrionale, si differenzia anche una popolazione formata da cellule germinali, adibite
alla produzione di cellule sessuali, i gameti, destinate alla riproduzione sessuata. Le cellule germinali
immature sono cellule diploidi, ma sono in grado di compiere una particolare divisione cellulare, la
meiosi, che porta alla formazione di quattro cellule figlie, i gameti appunto, ciascuna con corredo
cromosomico aploide (1N), formato da 23 cromosomi, ognuno con solo un cromatidio (1c) (Figura
5.8). Nel sesso maschile le quattro cellule che derivano da una meiosi maturano tutte a spermatozoi,
capaci di concorrere alla formazione di un nuovo organismo. Nel sesso femminile invece solo una
delle quattro cellule matura come cellula uovo, utile alla formazione di un nuovo organismo, mentre
le altre degenerano (globuli polari). Quando i gameti maschili e i gameti femminili sono maturi,
acquisiscono la capacità di unirsi tra loro, generando un nuovo organismo, lo zigote, in cui è
ripristinato un corredo cromosomico diploide (2N, 2c). L'importanza della meiosi non risiede
soltanto nella possibilità di mantenere il corretto corredo genetico caratteristico delle cellule
somatiche, ma anche nel permettere un suo riassortimento, attraverso un processo definito crossing
over (vedi dettaglio oltre), che conferisce enormi vantaggi evolutivi alla specie. La meiosi consiste in
due divisioni cellulari successive non intervallate da una duplicazione del DNA. Sia la prima
divisione meiotica (meiosi I) che la seconda divisione meiotica (meiosi II) constano di quattro fasi:
profase, metafase, anafase e telofase. La prima divisione meiotica è anche definita riduzionale, in
quanto determina una riduzione del corredo cromosomico da 2N (46 cromosomi), 4C a 1N (23
cromosomi) 2C, mentre la seconda è definita equazionale, in quanto non riduce il corredo
cromosomico, ma il contenuto di DNA, che da 2c viene dimezzato a 1c.
— PROFASE I: particolarmente lunga e complessa,che consta a sua volta di cinque fasi:
i) fase di leptotene i cromosomi si spiralizzano e gli omologhi iniziano ad appaiarsi;
ii) fase di zigotene i cromosomi omologhi sono definitivamente appaiati, formando delle strutture
caratteristiche note come sinapsi, che coinvolgono quindi i quattro cromatidi della coppia di
cromosomi omologhi;
iii) in pachitene si verificano i fenomeni di crossing over, ossia di scambio di porzioni di DNA tra
cromatidi di cromosomi omologhi. La presenza delle sinapsi favorisce la fusione dei cromatidi in
alcuni punti (detti chiasmi), a livello dei quali avviene inizialmente un'interruzione del cromatidio,
seguita poi da una saldatura di una estremità di un cromatidio con quella complementare dell'altro
cromatidio. Gli scambi possono avvenire tra tutti e quattro i cromatidi della tetrade e, quando
coinvolgono i cromatidi non fratelli, si verifica un trasferimento di geni da un genoma all'altro. Il
meccanismo di crossing over rappresenta quindi il principale fattore di variabilità genetica, in quanto
alla fine del processo i cromatidi in un cromosoma omologo possono non contenere più materiale
genetico identico. Durante la fase di diplotene le sinapsi di dissolvono ed i cromosomi omologhi
iniziano un processo di separazione, anche se rimangono uniti in corrispondenza dei chiasmi; in
diacinesi si dissolve l'involucro nucleare.
— METAFASE I: i cromosomi vengono allineati in piastra metafasica, in modo tale che i
cromosomi omologhi siano appaiati e posti l'uno di fronte all'altro; i chiasmi vengono quindi risolti.
A differenza di quanto avviene durante la metafase mitotica, i due cromatidi di ciascun cromosoma
restano uniti tra loro (ovvero non si dividono i centromeri) e sono invece i cromosomi che vengono
ripartiti tra le cellule figlie, un membro di ciascuna coppia per ciascuna delle cellule figlie.
— ANAFASE I: i cromosomi (formati da 2 cromatidi fratelli) sono dislocati ai poli del fuso ed in
telofase I si formano due cellule figlie con 23 cromosomi (1N), ciascuno con una quantità 2c di
DNA. Durante la successiva interfase non si ha duplicazione del DNA (manca cioè la fase S) e i
cromosomi si presentano all'inizio della seconda divisione meiotica esattamente come erano al
termine della prima, ciascuno costituito da due cromatidi uniti a livello del centromero.
— PROFASE II: è praticamente assente, mentre la cariocinesi si svolge come in una normale
mitosi. Alla fine della metafase II si dividono i centromeri e ciascun cromatidio, che diventa da solo
un cromosoma, viene spostato ad un polo del fuso durante l'anafase II. Con la telofase II si conclude
il processo di divisione meiotica, che termina con la formazione di quattro cellule figlie aploidi (IN)
con 23 cromosomi e una quantità 1C di DNA.

IL CICLO CELLULARE: insieme degli eventi ordinati che regolano divisione (ciclo
cromosomico) ed aumento della massa cellulare (ciclo di crescita) in relazione a stimoli interni e/o
esterni, affinché le cellule figlie siano vitali e contengano ognuna un'identica copia di DNA
caratteristica delle cellule parentali. Per il normale sviluppo degli organismi pluricellulari, la
progressione del ciclo cellulare deve essere altamente ordinata ed accuratamente regolata, in modo
che le fasi si succedano a tempi opportuni. Diversi sono i meccanismi di sorveglianza che
consentono una proliferazione cellulare in accordo con le esigenze dell'organismo: controlli
intrinseci verificano l'esecuzione corretta di una fase prima di permettere il passaggio alla fase
successiva; controlli estrinseci agiscono in risposta a segnali provenienti dall'ambiente extracellulare
come la presenza di sostanze nutritive, l'interazione con altre cellule ed il raggiungimento di una
massa cellulare opportuna.
Tra i meccanismi di controllo intrinseco, l'attività dei complessi CDK/ciclina costituisce senza
dubbio il fattore principale di progressione tra le varie fasi del ciclo cellulare; rappresentano una
classe di proteine chinasi che vengono sintetizzate in modo costante per tutta la durata del ciclo
cellulare e che si attivano soltanto quando formano un complesso con un'altra classe di proteine,
chiamate cicline. Le cicline sono proteine sintetizzate e degradate ritmicamente nelle diverse fasi del
ciclo e inducono quindi un'attivazione periodica e transitoria delle CDK a cui si legano. Nelle fasi
del ciclo cellulare sono presenti diverse e specifiche combinazioni di CDK/ciclina deputate allo
svolgimento dei particolari eventi che caratterizzano quella determinata fase. In estrema sintesi, il
meccanismo di funzionamento del complesso CDK/ciclina può essere così schematizzato: una
determinata ciclina viene sintetizzata dalla cellula in un certo periodo del ciclo e la sua
concentrazione citoplasmatica aumenta; si lega ad una specifica CDK e si forma così un complesso
attivo, che da una parte fosforila una serie di proteine bersaglio per procedere da una fase del ciclo
cellulare alla successiva e dall'altra attiva invece enzimi che promuovono la proteolisi della ciclina
stessa, impedendo così l'ulteriore formazione del complesso CDK/ciclina e disattivando di fatto
attività di CDK. L'attività delle CDK può anche essere regolata negativamente mediante il legame
con specifiche proteine inibitorie, CKI (cyclin-dipendent kinase inhibitor). Altre classi di proteine,
tra le quali Cdc (ciclo di divisione cellulare), sono in grado di concorrere alla regolazione dei
complessi CDK/ciclina.
Cdc6, ad esempio, è una proteina instabile rapidamente degradata nel passaggio G1-S. E necessaria
per la replicazione del DNA all'inizio della fase S, in quanto oltre ad essere implicata nella
formazione del complesso di pre-replicazione, concorre anche a rimuoverne il blocco indotto da
CDK. Una volta iniziato il processo di replicazione del DNA, i livelli di CDK della fase S si alzano,
inducendo la fosforilazione di Cdc6, che si distacca dal sito di iniziazione e viene traslocata fuori dal
nucleo, garantendo così che la duplicazione del DNA avvenga una sola volta per ciclo. I check point
consentono quindi alla cellula di regolare la progressione del ciclo cellulare, arrestandolo in una
determinata fase finché questa non sia correttamente completa. Tuttavia è possibile che durante i
processi molecolari che si svolgono in una certa fase, si verifichino "errori" irreparabili, come ad
esempio danni a carico del DNA. In questo caso si alzano i livelli di una proteina, p53, nota anche
come il guardiano del genoma, che si comporta essenzialmente da fattore di trascrizione per geni, le
cui proteine svolgono il ruolo di effettore del danno. Tra queste proteine è annoverata p21, capace di
inibire il complesso CDK2/ciclina E, arrestando la progressione del ciclo cellulare in fase GI.
Contemporaneamente, p53 attiva la trascrizione di geni quali BAX, NOXA, APAFI che sono
responsabili dei segnali di morte cellulare programmata, l'apoptosi. Una mutazione a carico del gene
p53 è una tappa importante della cancerogenesi, in quanto previene l'apoptosi e permette la
riproduzione di cellule con mutazioni a livello del DNA. Le cellule che entrano in fase G0
smantellano il sistema molecolare di controllo del ciclo, questo consente loro la possibilità di
scongiurare una inappropriata entrata in mitosi senza la necessità di una costante inibizione del
passaggio tra G1 e S.

Segnali per la regolazione delle attività cellulari

SEGNALI CELLULARI: le cellule di un organismo pluricellulare hanno necessità di coordinarsi


tra loro per regolare la proliferazione, il differenziamento, la funzione e la morte di ciascun
elemento, nell'interesse dell'intero organismo. Per raggiungere questo scopo le cellule si scambiano
informazioni, che regolano i vari aspetti della loro vita. Inoltre le cellule sono in grado di ricevere
segnali dall'ambiente esterno ed interno del corpo, che permettono all'organismo di adattarsi
all'ambiente e alle singole cellule di rispondere alle sollecitazioni applicate all'intero organismo (ad
esempio accelerazioni, compressioni, somministrazione di alimenti e di bevande, variazioni della
temperatura ambiente e così via). Per rispondere ai cambiamenti nel loro ambiente circostante, le
cellule devono essere in grado di ricevere ed elaborare segnali che hanno origine al di fuori dei loro
confini. Le singole cellule spesso ricevono molti segnali contemporaneamente e quindi integrano le
informazioni che ricevono in un piano d'azione unificato. Tutte le cellule di un organismo
multicellulare sono costantemente esposte a una varietà di segnali extracellulari che devono
interpretare e tradurre in una risposta adeguata al loro ambiente. Questi segnali possono essere fattori
solubili generati localmente (ad esempio, trasmissione sinaptica) o distante (ad esempio ormoni e
fattori di crescita), ligandi sulla superficie di altre cellule o la matrice extracellulare stessa. Per
raggiungere questo obiettivo, le cellule mantengono sulla loro superficie una varietà di recettori che
rispondono specificamente agli stimoli individuali. Questi recettori rientrano in specifiche famiglie,
in base principalmente al modo in cui generano i segnali intracellulari che danno poi origine a
particolari risposte funzionali. Inoltre, l'attività di un determinato recettore può essere modulata in
vari modi da altre vie di segnalazione, generando la flessibilità richiesta da un sistema così
complesso. Le informazioni possono essere trasmesse attraverso vari meccanismi; quelli principali
sono rappresentati da molecole segnale, che legandosi a specifiche proteine recettoriali che si
trovano sulle cellule bersaglio le stimolano a comportarsi in un modo specifico, e da correnti
elettriche che vengono recepite dalla membrana delle cellule bersaglio e generano fenomeni elettrici
a carico di queste stesse membrane, che a loro volta inducono determinati comportamenti da parte
dell'intera cellula. Ciascun tipo cellulare è fornito di una serie specifica di proteine recettoriali capaci
di rispondere in maniera selettiva a una serie di molecole complementari. Le molecole segnale
vengono sintetizzate dalla cellula e mediante secrezione liberate nello spazio extracellulare, dove
sono in grado di raggiungere la cellula bersaglio. A seconda del bersaglio possiamo distinguere vari
tipi di segnalazione (e di secrezione):

• autocrina, se la cellula che produce il segnale ne è anche il bersaglio. Nella segnalazione autocrina,
le molecole segnale si legano ai recettori presenti sulla stessa cellula che le ha prodotte;
• paracrina, se il bersaglio è costituito da cellule vicine alla fonte. Nella segnalazione paracrina, i
mediatori chimici interessati, le citochine, sono metabolizzate velocemente in modo da operare solo
sulle cellule in loco. La segnalazione sinaptica rientra in un tipo particolare d'interazione paracrina,
dove i neurotrasmettitori agiscono soltanto sulle cellule adiacenti mediante aeree di contatto
specializzate denominate sinapsi;
• endocrina, se il bersaglio è molto distante dalla fonte del segnale. Nella segnalazione endocrina le
molecole segnaletiche, gli ormoni, sono veicolate dal sangue in tutti i distretti corporei al fine di
raggiungere la cellula bersaglio. È usata delle ghiandole del sistema endocrino.
I ligandi che veicolano segnali intercellulari possono essere rappresentati da molecole sulla
membrana di un'altra cellula, da molecole solubili e da molecole della matrice extracellulare; il loro
effetto è mediato dalla interazione con specifici recettori cellulari. Nel caso di ligandi presenti sulla
superficie di cellule o nella matrice extracellulare, le molecole di adesione fungono anche da
recettori e sono in grado di determinare variazioni della organizzazione interna e del comportamento
cellulare.Le molecole solubili vengono secrete da vari tipi cellulari e si diffondono fino a
raggiungere elementi bersaglio. Queste molecole possono essere inquadrate in varie categorie:

• I neurotrasmettitori sono secreti da neuroni e diffondono a brevissima distanza per stimolare


cellule immediatamente a ridosso delle porzioni di neuroni che li liberano.
• Gli ormoni sono invece molecole secrete da vari tipi cellulari (prevalentemente epiteliali, ma anche
connettivali, muscolari e nervose) situate in organi specifici e che passano nel circolo sanguigno,
potendo raggiungere cellule bersaglio in tutto l'organismo. Alcuni ormoni inoltre possono svolgere
un'azione stimolante o inibente anche sulle cellule vicine a quella secernente. Si parla come detto
precedentemente di azione endocrina in senso stretto quando il bersaglio è raggiunto tramite il
torrente circolatorio, di azione paracrina quando il bersaglio è raggiunto per diffusione all'interno di
un tessuto.
• Gli autacoidi sono piccole molecole segnale, ad azione paracrina e con breve durata di azio-ne. Tra
essi ci sono diverse molecole generate enzimaticamente a partire dai lipidi di membrana, quali i
derivati dell'acido arachidonico e il fattore attivante le piastrine (PAF: platelet activating factor).
• Le citochine sono molecole peptidiche secrete da globuli bianchi o da cellule derivate da globuli
bianchi e che hanno come bersaglio altre cellule simili.

Studi su queste molecole hanno inoltre rivelato che questa molecole funzionano non solo nel sistema
immunitario ma anche nel sistema ematopoietico, endocrino ed epatico. Queste molecole esercitano
il loro ruolo biologico attraverso specifici recettori espressi sulla superficie delle cellule bersaglio. Le
citochine possono regolare diversi processi biologici come morte e sopravvivenza cellulare,
proliferazione cellulare e differenziazione cellulare; inoltre, diverse citochine possono agire sullo
stesso tipo di cellula per indurre una risposta simile.
Diverse citochine, oltre che da cellule come sopra specificate, possono essere secrete anche da altri
tipi cellulari e possono avere come bersaglio anche cellule di altro tipo. Citochine ad azione
chemotattica prendono il nome di chemochine. Anche il tessuto adiposo produce molecole
peptidiche regolative, che prendono il nome di adipochine; queste molecole possono anche essere
inquadrate tra gli ormoni.
• I fattori di crescita sono stati messi in evidenza inizialmente da studi in vitro e sono molecole
peptidiche capaci in primo luogo di regolare la proliferazione o l'apoptosi di numerosi tipi cellulari.

Molte molecole inizialmente identificate quali fattori di crescita si sono rivelate poi capaci di
regolare anche altre attività cellulari, come il differenziamento e specifiche funzioni, e d'altra parte
anche ormoni, citochine e adipochine possono regolare la proliferazione e la sopravvivenza cellulare,
quindi esistono delle similitudini tra queste diverse categorie di molecole.
Anche citochine, adipochine e fattori di crescita possono agire per via endocrina e per via paracrina;
inoltre possono avere azione autocrina, cioè come detto precedentemente avere come bersaglio la
cellula stessa che li produce. Questo potrebbe essere un modo per segnalare la presenza di un numero
variabile di cellule che contemporaneamente secernono queste molecole: il prodotto di una sola
cellula può non essere sufficiente a innescare una risposta, quello di tante cellule insieme sì.
Una categoria particolare di molecole segnale sono alcuni gas, attivi a concentrazioni da nano- a
micro-molare e tossici a più alte concentrazioni. Il primo scoperto come molecola segnale è il
nitrossido, detto anche ossido nitrico, ossido di azoto o monossido di azoto. Questo gas passa
attraverso la membrana cellulare e nel citoplasma reagisce con la guanilato-ciclasi, che genera
guanosin-monofosfato ciclico (cGMP) il quale fa da secondo messaggero del nitrossido, da cui
dipende l'attivazione della protein chinasi cGMP-dipendente (PKG), capace di fosforilare serina e
treonina vari substrati. Un altro gas che prodotto nell'organismo a bassa concentrazione funge da
molecola segnale è il monossido di carbonio (CO). Anche il monossido di carbonio ha come
recettore la guanilato-ciclasi e come secondo messaggero il cGMP. Un terzo gas che funge da
molecola segnale è l'acido solfidrico (idrogeno solforato, solfuro di idrogeno: H,S); ha effetto diretto
su varie proteine, è un antiossidante ed attiva con meccanismo recettoriale un canale di membrana
per il potassio (KATP; l'ATP inibisce la permeabilità del canale).
Segnali elettrici possono essere scambiati tra cellule sia attraverso giunzioni comunicanti (gap
junction), sia mediante influenze determinate da campi elettromagnetici. Se il potenziale di
membrana di una cellula varia, varia anche quello delle cellule ad essa collegate con giunzioni
comunicanti e se da questo potenziale dipende una qualche funzione (ad esempio movimento, o
secrezione, o altro ancora) questa si svolge coordinatamente tra le varie cellule così collegate. Campi
elettromagnetici si formano ogni volta che in una cellula varia bruscamente il potenziale di
membrana per l'apertura di canali ionici; questa variazione dipende quindi dal movimento di ioni e
pertanto si ha una vera e propria corrente elettrica, che genera intorno a sé un campo
elettromagnetico. In alcune membrane esistono canali per ioni che sono sensibili al campo
elettromagnetico (cosiddetti canali regolati dal voltaggio) e così permettono ad una cellula di reagire
a variazioni transitorie del potenziale di membrana delle cellule adiacenti o addirittura a variazioni
del potenziale in aree diverse della membrana della medesima cellula. Inoltre, campi
elettromagnetici si formano quando strutture mineralizzate sono sottoposte a flessione, come avviene
durante sollecitazioni meccaniche ripetute del tessuto osseo. La ragione della formazione di questi
campi risiede in una disuguale disposizione di cariche sulla superficie distesa e su quella compressa
di una struttura mineralizzata sottoposta a flessione, fenomeno detto piezoelettricità.
Questi campi elettromagnetici rappresentano uno stimolo per regolare l'attività di cellule del tessuto
osseo. L'applicazione di campi elettromagnetici magnetici alternati dall'esterno può essere usata in
alcuni casi per stimolare la rigenerazione di questo tessuto.
Meccanismi di trasduzione del segnale: i segnali di natura elettrica, come detto sopra, agiscono
principalmente, se non esclusivamente, attraverso canali ionici regolati dal voltaggio.
I segnali di natura chimica agiscono tramite i recettori; questi sono localizzati sulla membrana
cellulare della cellula bersaglio per quasi tutti i segnali, che non riescono a varcare la membrana
cellulare; sono invece localizzati nel citoplasma per quelle molecole che possono penetrare
attraverso la membrana cellulare, cioè per gli ormoni steroidi, per l'ormone tiroideo, per gli autacoidi
di natura lipidica, per i gas e per i fattori regolativi derivati da vitamine liposolubili. Da vitamine
liposolubili derivano l'acido retinoico (dalla vitamina A) e la diidrossivitamina D3 (dalla vitamina
D3). I recettori di membrana, sono proteine integrali di membrana che attraversano la membrana
cellulare e si legano sul versante esterno della membrana al ligando. In seguito all'unione con il
ligando, i recettori di membrana diventano capaci di far variare la concentrazione di alcune molecole
o ioni nel citoplasma (cosiddetti secondi messaggeri) e questi a loro volta influenzano il
funzionamento dei vari compartimenti intracellulari. Il secondo messaggero, è una molecola
all'interno delle cellule che agisce per trasmettere segnali da un recettore a una cellula bersaglio. Il
termine secondo messaggero è stato coniato dopo la scoperta di queste sostanze al fine di
distinguerle dagli ormoni e da altre molecole che funzionano al di fuori della cellula come "primi
messaggeri" nella trasmissione di informazioni biologiche. Molte molecole del secondo messaggero
sono piccole e quindi si diffondono rapidamente attraverso il citoplasma, consentendo alle
informazioni di muoversi rapidamente all'interno della cellula. Inoltre, i secondi messenger possono
avere più bersagli a valle, ampliando così l'ambito della trasmissione del segnale. È stato
caratterizzato un gran numero di molecole che fungono da secondi messaggeri, inclusi nucleotidi
ciclici (ad esempio, adenosina monofosfato ciclico, o cAMP, e guanosina monofosfato ciclico o
cGMP), ioni (ad esempio, Ca2+), molecole derivate dal fosfolipide (ad esempio, inositolo trifosfato)
e persino un gas, ossido nitrico (NO). Lo ione calcio Ca2 ha un ruolo critico nelle risposte rapide di
neuroni e cellule muscolari. A riposo, le cellule mantengono una bassa concentrazione di Ca2+ nel
citoplasma, spendendo energia per pompare questi ioni fuori dalla cellula. Quando attivati, i neuroni
e le cellule muscolari aumentano rapidamente la loro concentrazione citoplasmatica di Ca2+ aprendo
canali nella membrana cellulare, che consentono agli ioni Ca2+ esterni alla cellula di entrare
rapidamente. Il cAMP è sintetizzato dagli enzimi adenilil ciclasi, che sono a valle delle proteine G
(proteine leganti il nucleotide della guanina) e dei recettori. Ad esempio, quando l'epinefrina si lega
ai recettori beta-adrenergici nelle membrane cellulari, l'attivazione delle proteine G stimola la sintesi
di CAMP mediante l'adenilil-ciclasi. Il cAMP appena sintetizzato è quindi in grado di agire come un
secondo messaggero, propagando rapidamente il segnale di adrenalina alle molecole appropriate
nella cellula. Questa via di segnalazione stimolante porta alla produzione di effetti come l'aumento
della frequenza e della forza di contrazione del cuore che sono caratteristici dell'epinefrina.
Come gas, l'ossido nitrico (NO) si distingue tra i secondi messaggeri per essere in grado di
diffondersi attraverso le membrane cellulari, il che consente alle informazioni del segnale di
attraversare le cellule vicine. Altri esempi di secondi messaggeri includono diacilglicerolo (DAG) e
inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3), entrambi prodotti dall'enzima fosfolipasi, anch'essa una proteina di
membrana. IP3 provoca il rilascio di Ca2+ un altro secondo messaggero, dalle riserve intracellulari.
Insieme, DAG e Ca2+ attivano un altro enzima chiamato protein chinasi C (PKC). Si possono anche
generare cascate di messaggeri: il secondo fa aumentare la concentrazione del terzo e via di seguito,
fino al risultato finale. Alcuni secondi messaggeri sono generati a partire da lipidi di membrana:
l'inositol-trisfosfato (l'inositolo è un alcol ciclico, presente negli inositolfosfatidi), il diacilglicerolo e
probabilmente la sfingosina.
Tra i meccanismi con cui agiscono i secondi messaggeri va ricordata l'attivazione di chinasi
citoplasmatiche, cioè di enzimi fosforilanti. Alcune delle molecole prodotte attraverso queste
reazioni enzimatiche possono trasferirsi nel nucleo e regolare la trascrizione del genoma. Nel
citoplasma sono poi continuamente attive fosfatasi, che staccano i gruppi fosfato dalle proteine e
quindi fanno cessare l'effetto dello stimolo una volta che questo non è più rinnovato dalla continua
disponibilità del ligando. I recettori citoplasmatici, una volta che si sono uniti al loro ligando,
attivano funzioni citoplasmatiche, inoltre alcuni complessi ligando-recettore si trasferiscono nel
nucleo dove regolano la trascrizione del genoma.

APOPTOSI: (dal greco apoptosis "caduta") o morte cellulare programmata (si svolge seguendo un
programma prestabilito) è un processo caratterizzato da varie modificazioni morfologiche: un
generale addensamento del citoplasma nel quale compaiono anche dei vacuoli; la ridistribuzione
della cromatina alla periferia del nucleo, mentre appare vuoto il centro del nucleo stesso (cosiddetta
cromatolisi); la frammentazione del nucleo (cosiddetta cromatorressi); infine la frammentazione di
tutta quanta la cellula. I frammenti cellulari sono detti corpi apoptotici e sono fagocitati da altre
cellule in modo da non liberare nei tessuti sostanze irritanti o dannose per altre cellule. A livello
molecolare le modificazioni più caratteristiche sono una drastica diminuzione della permeabilità
della membrana cellulare, un aumento del calcio citoplasmatico, una disidratazione del citoplasma, la
formazione di legami crociati tra proteine, l'idrolisi del DNA tra un nucleosoma e l'altro e la
traslocazione della fosfatidilserina dalla faccia interna a quella esterna della membrana plasmatica.
Alla fosfatidilserina sulla superficie cellulare si lega una proteina solubile detta annessina V, che
serve a far riconoscere la cellula apoptotica da parte di quelle circostanti che quindi la fagocitano.
L'apoptosi è un processo attivo, che coinvolge numerosi enzimi e richiede la sintesi di nuove
proteine. L'intero processo apoptotico, essendo un meccanismo attivo richiede energia, quindi non
può avvenire in mancanza di ATP, in assenza di sintesi proteica e nemmeno se l'organizzazione
cellulare risulta troppo danneggiata. Per questa ragione, se la cellula risulta troppo danneggiata non è
in grado di attivare il processo apoptotico o morte cellulare programmata, ma andrà incontro ad
autofagia e necrosi. L’apoptosi è mediata da enzimi proteolitici chiamati caspasi, che promuovono la
morte cellulare scindendo le proteine specifiche nel citoplasma e nel nucleo. Le caspasi si ritrovano
in tutte le cellule come precursori inattivi, o procaspasi, che solitamente sono attivati dalla scissione
operata da altre caspasi, promuovendo una cascata proteolitica di caspasi. Il processo di attivazione è
iniziato da stimoli di morte extracellulari o intra-cellulari, che causano l'aggregazione e l'attivazione
delle procaspasi da parte delle molecole adattatrici intracellulari. Le caspasi sono solitamente
responsabili dei processi di avvio e regolatori dell'apoptosi, ossia delle modificazioni preletali e letali
della morte cellulare. L'apoptosi può essere attivata attraverso la via intrinseca o estrinseca (intrinsic
or extrinsic pathway).
La via estrinseca è indotta da fattori (Tumor Necrosis Factor-TNE, Fas ligand- FASL) che si legano
a specifici recettori presenti sulla superficie cellulare che attraverso la traduzione del segnale attivano
le caspasi. Nel caso della via intrinseca, invece, segnali intracellulari (danni al DNA, specie reattive
dell'ossigeno - ROS), concorrono ad attivare l'apoptosi tramite il trasferimento del citocromo c nel
citoplasma dal mitocondrio. Il citocromo c lega e attiva apoptotic protease-activating factor 1 (Apaf-
1), formando un “apoptosoma” che attiva la caspasi 9 iniziatrice, che da quindi il via alla cascata
della caspasi. Il controllo e la regolazione di questi eventi apoptotici mitocondriali avviene attraverso
i membri della famiglia di proteine Bcl-2. La famiglia di proteine Bcl-2 regola la permeabilità della
membrana mitocondriale e può essere pro-apoptotica o an-ti-apoptotica. La famiglia delle proteine
Bcl-2 include fattori anti-apoptotici Bcl-2, Bcl-x, Bcl-XL, Bel-w, e pro-apoptotici Bax, Bak, Bid,
Bad e Bim.
Queste proteine hanno un ruolo fondamentale poiché possono attivare il processo apoptotico o
interromperlo. Il principale meccanismo d'azione della famiglia delle proteine Bcl-2 è mediato dalla
regolazione del rilascio di citocromo c dai mitocondri attraverso l'alterazione della permeabilità della
membrana mitocondriale.Il cancro è un esempio in cui i normali meccanismi di regolazione del ciclo
cellulare sono disfunzionali, con iperproliferazione delle cellule elo riduzione della rimozione delle
cellule. In effetti, si ritiene che la soppressione dell'apoptosi durante la carcinogenesi svolga un ruolo
centrale nello sviluppo e nella progressione di alcuni tumori. Esistono numerosi meccanismi
molecolari che le cellule tumorali utilizzano per sopprimere l'apoptosi. L'apoptosi è solo un tipo di
morte cellulare ed è caratterizzata dagli eventi sopramenzionati, ma la cellula può andare in contro a
morte cellulare anche per autofagia o per necrosi. La morte cellulare associata ad autofagia è un
processo lento, generalmente attivato in carenza di nutrienti o fattori di crescita, e avviene per
digestione degli organuli citoplasmatici ad opera di autofagosomi in maniera analoga a quanto
avviene per eliminare organuli danneggiati o aggregati di prodotti tossici. L'apoptosi e l'autofagia
sono considerate tipologie di "morte cellulare programmata", mentre la necrosi è considerata una
morte cellulare "non programmata" a causa di un'attività deregolamentata.La necrosi (termine greco
che significa morte) è considerata una morte cellulare accidentale o non programmata, che consegue
ad insulti talmente gravi di tipo ipossico o ischemico, come anche a condizioni di stress meccanici,
termici o tossici. La membrana diventa permeabile, la cellulasi rigonfia conseguentemente si ha una
lisi della membrana plasmatica che provoca una liberazione del contenuto nel tessuto. In alcuni casi
però anche la necrosi può essere regolata da stimoli esterni alla cellula e quindi avvenire in modo
programmato, la cosiddetta necroptosi. La morte cellulare e la sua sopravvivenza sono le
caratteristiche fondamentali di metazoi per mantenere l'omeostasi dei tessuti. Diversi studi eseguiti
sull'apoptosi e autofagia hanno evidenziato come siano processi altamente regolamentati e controllati
da meccanismi molecolari ben definiti. Quindi, l'apoptosi e l'autofagia sono considerati come
meccanismi di "morte cellulare programmata" mentre la necrosi viene considerata come un
meccanismo di morte cellulare "non programmata" a causa di un'attività deregolamentata. Il termine
necroptosi è stato coniato dalla fusione dei termini necrosi ed apoptosi, dato che condivide le stesse
caratteristiche morfologiche con questi due processi.
La necroptosi viene inibita dalla Necrostatin-1 (Nec-1) che inibisce a sua volta l'attività di RIPK1
(receptor-interacting protein kinase 1), questo suggerisce che è un processo di necrosi ben regolato o
programmato.Questa forma di necrosi funziona contro infezioni mediate da agenti patogeni,
caratterizzate morfologicamente da gonfiore cellulare seguito da rottura del plasma di membrana. È
noto che il coinvolgimento del recettore come Fas, TNF e TRAIL può portare alla morte cellulare
attraverso il reclutamento di caspasi-8 che porta all'avvio del percorso apoptotico estrinseco. Diversi
studi hanno dimostrato che l'inibizione della molecola di caspasi-8 sposta l'apoptosi estrinseca verso
la modalità di morte cellulare per necrosi dovuta all' attivazione di RIPK3 e MLKL. L'iniziazione di
necroptosi è mediata da ligandi immunitari, compresi Fas, TNF e LPS, che portano all'attivazione di
RIPK3 che attiva mediante fosforilazione la MLKL. MLKL fosforilato trasloca nel foglietto interno
della membrana plasmatica e altera l'integrità della cellula. Sebbene RIPK3 e MLKL sono necessari
per indurre la morte cellulare programmata, la necroptosi è avviene solo in determinati tipi di tessuto
che esprimono RIPK3/MLKL.
In circostanze normali, caspasi-8 attiva l'apoptosi bloccando la necroptosi e tagliando RIPK1.
Esistono due condizioni necessarie per l'avvio della necroptosi: (1) l'espressione di RIPK3 e (2)
l'inibizione della molecola di caspasi-8. Numerosi studi in vitro hanno riportato che l'inibizione delle
molecole di caspasi-8 potrebbe provocare l'attivazione di RIPK3, come protagonista della necroptosi.
Invece studi in vivo hanno dimostrato che l'inibizione della caspasi-8 potrebbe non essere sempre
obbligatoria per innescare la necroptosi.

Meccanismi dell'istogenesi
Lo sviluppo dell'organismo umano ha luogo a partire dallo zigote (embrione unicellulare) e non
dipende solo da una sequenza di divisioni mitotiche che conducono ad un aumento numerico delle
cellule, ma richiede che esse si distinguano dalla cellula di partenza ed acquisiscano caratteristiche
morfologiche, biochimiche e funzionali che le rendano diverse nei rispetti di quelle che le hanno
precedute, ma anche di molte altre della stessa generazione (differenziamento diacronico e
sincronico, rispettivamente). Queste differenze sono legate all'attività di geni specifici e maturano nel
corso della vita di ogni singola cellula, indipendentemente dal fatto che le informazioni contenute nel
genoma rimangano sostanzialmente identiche in tutte le cellule derivate dallo zigote. Cambiamenti
dell'espressione genica, primariamente dovuti al controllo della trascrizione in RNA messaggeri,
caratterizzano tutti gli eventi cruciali dello sviluppo. In ultima analisi, è il proteoma, cioè l’insieme
delle proteine prodotte in ogni singola cellula in un dato momento, che interviene
nell’organizzazione generale, controllando la forma, le attività metaboliche, la duplicazione e tutte le
altre funzioni delle cellule. Queste ultime devono poi assumere una disposizione spaziale precisa e
deporre talvolta matrice extracellulare per formare strutture più complesse (tessuti). I tessuti a loro
volta vanno a costituire gli organi. Questi ultimi si formano inizialmente in scala ridotta nel corso
dell'organogenesi e vanno poi incontro ad accrescimento. Lo sviluppo embrionale è un processo
sostanzialmente stereotipato nell'ambito di ogni specie, ma i meccanismi di regolazione possono
andare incontro a modulazione individuale, specialmente quando si renda necessario compensare
eventuali aberrazioni incidentali o localizzate. Dal punto di vista topografico, ad ogni stadio di
sviluppo, l'embrione può essere suddiviso in aree organogenetiche o campi morfogenetici, il cui
numero aumenta progressivamente restringendosi il loro raggio di azione con il differenziamento di
tessuti ed organi specifici. Gli organi si associano, almeno funzionalmente, a formare i sistemi o
apparati.
A partire dalla forma sia esterna che interna dell'embrione, si osservano numerosi cambiamenti
prima che si configurino le caratteristiche proprie dell'organismo adulto. Infatti, tutta una serie di
processi quali sollevamenti, ripiegamenti, migrazioni, invaginazioni, evaginazioni, tubulazioni,
cavitazioni, variazioni di posizione, etc. sono implicati nella morfogenesi o genesi delle forme. Per la
precisione la genesi delle forme include in senso lato la costituzione di tutte le strutture organizzate
nello spazio che si osservano durante lo sviluppo, iniziando dalla forma delle proteine fino ad
arrivare a quella di tutto l'organismo. L'intero piano di formazione del corpo embrionale è controllato
da geni specifici, i geni dell'organizzazione spaziale o geni del pattern. Il processo del patterning
implica la definizione degli assi dell'embrione e garantisce che i tessuti e gli organi si sviluppino
nella corretta posizione e con il corretto orientamento all'interno dell'organismo.

Unipotenza, totipotenza, pluripotenza


I due gameti sono cellule aploidi la cui unica funzione è quella di partecipare al processo di
fecondazione; esse sono unipotenti. Con la fecondazione viene ristabilito il corredo cromosomico
diploide, condizione necessaria per un corretto sviluppo, ma l'entrata in attività dei diversi geni viene
programmata in modo armonico affinché l'informazione genetica sia utilizzata in modo appropriato e
coordinato. Il genoma va incontro a modificazioni di tipo epigenetico che determinano l'attivazione
o la disattivazione della funzione dei diversi geni senza interferire con la loro sequenza. Subito dopo
l'unione dei due gameti, si assiste ad un processo di riprogrammazione nucleare, il cui risultato è il
recupero di una potenzialità differenziativa che conduce alla condizione di totipotenza del germe
(zigote), e cioè la capacità di formare sia i tessuti embrionali che quelli extraembrionali di supporto
(come la placenta o il sacco amniotico), condizione che si mantiene fino allo stadio di 8 cellule. La
totipotenza embrionale, e cioè la capacità di formare tutti i tessuti del nuovo individuo, è in realtà
una pluripotenza e viene perduta in fasi successive ed in diversi gruppi di cellule. Fino alla fine della
prima settimana di sviluppo la massa cellulare interna la conserva in alto grado, ma, nella seconda
settimana, essa viene rapidamente persa da un numero crescente di cellule. La <– figura mette a
confronto quanto accade nello sviluppo dell'embrione con gli eventi che si verificano nella
clonazione riproduttiva allorché si utilizza la tecnica del trasferimento nucleare (nuclear transfer), per
l'inserimento in una cellula uovo privata del proprio nucleo di quello estratto da una cellula somatica
adulta, allo scopo di ottenere una copia genetica del donatore della cellula somatica. Lo stesso tipo di
tecnica può essere impiegato nella clonazione terapeutica al fine di ottenere cellule staminali
embrionali con il corredo genetico desiderato, superando così il problema della incompatibilità
immunologica che si potrebbe presentare con l'impiego di cellule staminali provenienti da un
individuo diverso da quello che richiede l'intervento terapeutico. Le principali modificazioni
epigenetiche sono la metilazione del DNA e l'acetilazione e metilazione degli istoni, le quali
influiscono sulla trascrizione del genoma come un vero e proprio codice di controllo.
Le modificazioni epigenetiche possono essere ereditate attraverso la mitosi e passare dalla cellula
madre alle cellule figlie consentendo il mantenimento attraverso le generazioni di uno specifico
profilo di espressione genica. Il DNA dei gameti è altamente metilato, ma subito dopo la
fecondazione si verifica una rapida rimozione dei gruppi metilici delle citosine (demetilazione)
seguita da una più lenta rimetilazione. Proprio grazie a questo fenomeno le cellule che derivano dalle
divisioni di segmentazione dello zigote acquistano la proprietà della totipotenza che mantengono
fino allo stadio ad 8 cellule; a seguire la totipotenza
si trasforma in pluripotenza, quindi il destino
differenziativo diventa più limitato. I genomi
presenti nel gamete maschile ed in quello femminile
sono equivalenti, ad eccezione dei geni appartenenti
ai cromosomi sessuali; tuttavia un gruppo limitato di
geni è espresso solo in uno dei genomi parentali,
essendo silenziato nell'altro. Questi geni sono definiti
imprinted e con l'espressione imprinting genomico
si definisce il fenomeno per cui solo la copia materna
o paterna di un gene viene trascritta in un embrione: I geni imprinted non vengono modificati nel
corso della riprogrammazione nucleare e, pur essendo limitati nel numero, controllano l'espressione
di numerosi altri geni; un risultato importante della loro espressione è rappresentato dallo sviluppo
armonico del corpo dell'embrione nei rispetti dei tessuti che vanno a formare la placenta.
L’imprinting genomico, e quindi il contributo specifico portato da ciascuno dei due genomi parentali,
condiziona lo sviluppo embrionale. Dopo la fecondazione, all'atto della emissione del II globulo
polare, può verificarsi l'espulsione di uno dei 2 pronuclei per un effetto di trascinamento. Il corredo
rimasto può duplicarsi, ma è incompatibile con uno sviluppo normale, appartenendo ad uno solo dei
genitori. Nel topo è stato dimostrato che il pronucleo maschile è distinguibile per le sue maggiori dimensioni,
e quindi si può procedere all'asportazione selettiva di uno dei due pronuclei e trapiantarlo in un uovo
contenente un pronucleo dello stesso sesso. Gli zigoti che contengono solo pronuclei maschili generano
esclusivamente tessuti extraembrionali, mentre quelli contenenti pronuclei femminili danno vita a
strutture embrionali molto sviluppate, ma a strutture placentari molto ridotte.
Prime fasi della segmentazione e primi eventi differenziativi.
Formazione dei 3 foglietti germinativi

Volendo ricordare nei dettagli la successione degli eventi relativi alla prima settimana di sviluppo, a
distanza di 30-35 ore dalla fecondazione, lo zigote va incontro ad una prima divisione mitotica che si
traduce nella formazione di 2 blastomeri, che posseggono una taglia che è circa la metà rispetto a
quella dell'uovo fecondato. Dopo circa 10 ore i primi 2 blastomeri si dividono e danno vita a 4
blastomeri. Le successive divisioni di segmentazione, che non sempre sono sincrone, sono
distanziate anch'esse di una decina di ore e portano alla costituzione di 8, 16, 32 blastomeri che
manifestano una progressiva riduzione del loro diametro e che risultano ancora circondati dal
rivestimento glicoproteico, la zona o membrana pellucida, che accompagnava l'uovo anche dopo
l'esplosione del follicolo ovarico. In sostanza, attraverso una serie di duplicazioni cellulari si forma la
morula, così denominata per il suo aspetto simile al frutto della mora e costituita da blastomeri
lassamente aggregati e costellati di microvilli. Durante il terzo giorno la morula va incontro al
fenomeno della compattazione che consiste in profondi cambiamenti di tipo strutturale e metabolico.
Dal punto di vista metabolico si registrano essenzialmente un aumento della sintesi di RNA e
proteine e delle variazioni nella composizione lipidica delle membrane plasmatiche degli elementi
cellulari più esterni della morula stessa, che sono a contatto con la zona pellucida. Questi si
appiattiscono, sviluppano una polarità, aumentano la loro adesività, il che determina l'impossibilità
di distinguerne i confini che, precedentemente, erano ben visibili. A livello molecolare si assiste nel
versante baso-laterale della membrana plasmatica ad una concentrazione della E-caderina, molecola
di adesione calcio-dipendente, ma anche all'espressione di altre molecole coinvolte nella costituzione
di complessi di giunzione (formati da zonule occludenti, zonule aderenti e desmosomi), che
garantiranno la massima coesione. Questi blastomeri vanno a formare il trofoblasto che si interessa
dell'ancoraggio dell'embrione alla parete materna ed è quindi coinvolto nella formazione della
placenta e cioè l'organo che supporta gli scambi gassosi e metabolici tra madre e feto. Le cellule più
interne della morula sviluppano giunzioni comunicanti, che facilitano un rapido passaggio
intercellulare di ioni o piccole molecole è sono formate da proteine denominate connessine la cui
alterazione influenza negativamente il prosieguo dello sviluppo. Tali cellule andranno a formare la
massa cellulare interna o embrioblasto ed alcune strutture extraembrionali ad esso associate (sacco
vitellino, amnios e allantoide). Poco dopo la compattazione, si verifica un ulteriore cambiamento. Le
cellule dello strato trofoblastico presentano a livello delle membrane plasmatiche delle pompe
sodio/potassio e canali per il passaggio di acqua (acquaporine). In virtù di tutto questo, si assiste
all'accumulo di acqua in piccoli spazi situati tra le cellule collocate più internamente; tali spazi
confluiscono in un'unica cavità che prende nome di blastocele, mentre gli clementi cellulari vengono
spinti ad ammassarsi verso quello che si definisce il polo embrionale. Gli eventi descritti sono
guidati dall'espressione di specifici set di geni che comprendono l'Na/K-ATPase gene family e
l'aquaporin gene family.
L’embrione a questo stadio (quarto/quinto giorno) è denominato blastocisti. Il primo evento
differenziativo è rappresentato proprio dalla distinzione tra trofoblasto ed embrioblasto ed in questa
distinzione gioca un ruolo importante l'espressione di una serie di fattori di trascrizione e fattori di
crescita. Ricordiamo innanzitutto il fattore di trascrizione Oct4 (Octamer-binding transcription factor
4), la cui espressione viene attivata a seguito di processi di demetilazione. Oct4 interagisce con altri
fattori di trascrizione quali Nanog (dal celtico: tir na nog, "terra dell'eterna giovinezza') e Sox2 (Sex
determining region Y-box 2). Oct4, Sox2 e Nanog sono presenti nella massa cellulare interna, di cui
mantengono la pluripotenza, ma non nel trofoblasto. Inoltre Oct4 promuove, mediante l'induzione
della sintesi di FGF4 (Fibroblast Growth Factor 4), la proliferazione cellulare in quella zona di
trofoblasto che è a contatto con l'embrioblasto e che è più attivamente coinvolta nella formazione
della placenta. Le cellule del trofoblasto esprimono il gene Cdx2 che codifica per un fattore di
trascrizione (caudal type homeobox transcription factor 2), che ne induce il differenziamento. Una
volta costituitasi la blastocisti, i fattori di crescita Attivina e Nodal, che appartengono alla famiglia
del Transforming Growth Factor beta (TGF-B), determinano nella massa cellulare interna una
espressione elevata di Oct4, Sox2 e Nanog. BMP4 (Bone Morphogenetic Protein 4) promuove
l'espressione di Cdx2 nel trofoblasto, dove i geni della pluripotenza vengono inibiti. La blastocisti,
che fluttua nella cavità uterina, per poter proseguire nello sviluppo deve necessariamente impiantarsi
nella parete dell'utero materno. Tuttavia, a questo scopo deve prima liberarsi della zona pellucida, il
che avviene mediante la cosiddetta schiusa della blastocisti (quinto giorno). Il fenomeno consiste
nella fuoriuscita della blastocisti dal rivestimento glicoproteico ad opera di enzimi proteolitici
prodotti dal trofoblasto.
Al sesto giorno la blastocisti appare orientata con il polo embrionale verso l'epitelio endometriale
uterino. I microvilli del trofoblasto si annodano letteralmente alle protrusioni espresse dall'epitelio
dell' endometrio (uterodomi). La penetrazione invece inizia al settimo giorno ed è frutto della
liberazione di enzimi che digeriscono il rivestimento epiteliale e scavano nel connettivo uterino.
Verso la fine della prima settimana e l'inizio della seconda, il trofoblasto a livello del polo
embrionale si differenzia in citotrofoblasto e sinciziotrofoblasto.Il citotrofoblasto è uno strato attivo
dal punto di vista proliferativo e da esso nascono le cellule che, perdendo i loro confini, entrano a far
parte del sinciziotrofoblasto. Il sinciziotrofoblasto è responsabile della distruzione delle cellule
epiteliali e connettivali dell'endometrio (che consente la migrazione della blastocisti) e della
fagocitosi dei detriti. In relazione alla distruzione cellulare vengono liberate grandi quantità di lipidi,
carboidrati e proteine che costituiscono una fonte di nutrimento per la blastocisti. La mucosa uterina
reagisce alla penetrazione del trofoblasto andando incontro al processo di decidualizzazione, che ha
l'obiettivo di creare un ambiente utile alla sopravvivenza dell'embrione e di limitare l'attività invasiva
del trofoblasto.
Verso l'inizio della seconda settimana l'embrioblasto si distacca dal citotrofoblasto e, parallelamente
alla comparsa della cavità amniotica, esso va incontro ad una distinzione in due foglietti, l'epiblasto
superiormente e l'ipoblasto inferiormente, formando così il disco bilaminare o disco embrionale.
Successivamente, mediante il processo di gastrulazione, si assisterà all'invaginazione delle cellule
dell'epiblasto attraverso un solco (la linea o stria primitiva), con la formazione dell'endoderma (che
va a sostituire l'ipoblasto) e di un nuovo strato detto mesoderma, che si interpone tra l'epiblasto
stesso, da cui si costituisce infine l'ectoderma, e l'endoderma.
– Dall'ectoderma, in particolare dall'ectoderma di rivestimento, si originano l'epidermide, i peli, le
unghie, la ghiandole sudoripare e sebacee, le ghiandole mammarie, i placodi otici ed ottici, i placodi
olfattori, lo stomodeo ed il proctodeo.
– Dal neuroectoderma e cioè da quell'area dell'ectoderma situata cranialmente al nodo di Hensen,
area dove si configura la placca neurale, originano il tubo neurale e le creste neurali, che danno
primariamente vita al sistema nervoso, oltre ad altre importanti strutture localizzate al di fuori di tale
sistema. Dall'endoderma derivano il rivestimento epiteliale degli organi dell'apparato respiratorio e
digerente e le ghiandole ivi presenti, la vescica urinaria e le componenti epiteliali della tiroide, delle
tonsille, delle paratiroidi, del fegato e del pancreas. Infine dal mesoderma derivano i tessuti
connettivi, inclusi quelli specializzati nel sostegno meccanico (cartilagine e osso), i tessuti muscolari,
il sangue e il sistema cardiocircolatorio, nonché la corticale del surrene e l'apparato urogenitale, con
l'eccezione delle cellule che formano i gameti.Sono poco conosciuti i meccanismi che regolano il
passaggio delle cellule dell'embrioblasto dallo stato di pluripotenza a quello di elementi costitutivi
dei tre foglietti embrionali ed in particolare non è noto come i network trascrizionali si riorganizzino
a questo scopo.
Il differenziamento dell'epiblasto e dell'ipoblasto è legato all'espressione di Nanog e GATA6 (globin
transcription factor 6), rispettivamente, due fattori che si inibiscono reciprocamente. Nel topo è stato
dimostrato che le proteine Oct4 e Sox2 orchestrano il differenziamento nel senso che la loro la
presenza contemporanea mantiene la pluripotenza, mentre l'espressione differenziale di solo una
delle due induce uno specifico destino cellulare. Oct4 inibisce il differenziamento neuroectodermico
e promuove quello mesodermico; Sox2 si comporta in maniera opposta.
Il terzo foglietto germinativo, e cioè il mesoderma, si costituisce entro la terza settimana dalla
fecondazione, periodo in cui l'embrione inizia a svilupparsi in tre dimensioni. La gastrulazione è
controllata da una serie di molecole segnale che appartengono alle seguenti famiglie: Bone
Morphogenetic Proteins (BMP), Sonic Hedgehog (Shh), Fibroblast Growth Factors (FGF) e Wnt
(Wingless and integrated). Come già detto, essa si verifica a partire dalla comparsa sull'epiblasto
della linea primitiva. La linea primitiva si colloca nella porzione caudale dell'embrione e termina in
una depressione circondata da un rilievo (il nodo primitivo o nodo di Hensen). Dal nodo di Hensen
origina un cordoncino cellulare situato tra ectoderma ed endoderma, la notocorda, che si allunga
cranialmente, fino a raggiungere la placca procordale. Il mesoderma si distribuisce ai due lati della
linea primitiva e migra lateralmente, cranialmente e caudalmente, ma non penetra a livello della
placca procordale, che diventerà la membrana bucco-faringea, nè a livello della membrana
cloacale posizionata caudalmente alla linea primitiva. Queste due membrane, che vedono una stretta
adesione tra ectoderma ed endoderma, sono destinate a chiudere cranialmente e caudalmente
l'intestino primitivo. Il capo dell'embrione si sviluppa dalla parte opposta a quella in cui si disegna la
linea primitiva, che quindi definisce l' asse craniolcaudale dell'embrione identificandone
l'orientamento nello spazio.La determinazione dell'asse dorsolventrale sembra essere specificata da
molecole rilasciate dal nodo di Hensen e dalla notocorda. L'asse destro/sinistro, ultimo ad essere
determinato, appare cruciale nella futura distribuzione asimmetrica dei visceri sui due lati. Nella
definizione di quest'asse risulta importante il coinvolgimento di specifiche ciglia primarie presenti
sulla faccia ventrale del disco embrionale bilaminare, nell'area vicina al nodo di Hensen, di qui il
nome di ciglia nodali. Il movimento di queste ciglia genera uno spostamento di fluidi verso sinistra,
che viene intercettato da recettori i quali danno vita ad una serie di segnali che differiscono da quelli
in atto sul lato destro dell'embrione. Già durante la formazione della linea primitiva vengono
elaborati fattori di crescita della superfamiglia del TGF-beta ed in particolare Nodal, che condiziona
la formazione del mesoderma e delle strutture situate a destra e a sinistra nell'embrione.Il nodo di
Hensen svolge il ruolo di Organizzatore Primario del corpo embrionale: coordina e promuove i
movimenti tipici della gastrulazione, suddivide i foglietti germinativi nelle principali aree organo-
formative e collabora nella induzione della formazione del tessuto nervoso a partire dal vicino
ectoderma.
L'ectoderma infatti può avere due diversi destini: diventare epidermide o tessuto nervoso. La
formazione dell'epidermide è legata all'attività della proteina BMP4, una citochina simile al TGF-
beta, che interviene anche nel determinismo dell'asse dorso-ventrale dell' embrione, in concerto con
la succitata proteina Shh, e successivamente nell'ossificazione endocondrale e nello sviluppo del
muscolo. La formazione della placca neurale è invece riconducibile all'inattivazione funzionale di
BMP4 a livello delle cellule ectodermiche disposte sull'asse cranio-caudale, da parte di antagonisti
quali Chordin (prodotta dall'Organizzatore Primario), Noggin (prodotta dalla notocorda) e
Follistatin (una proteina isolata originariamente dal liquido follicolare, ma espressa in quasi tutti i
tessuti e nota anche come Activin Binding Protein). Le cellule della placca neurale, in presenza di
FGF, danno origine alla parte del tubo neurale da cui si sviluppa il midollo spinale; mentre la
porzione da cui origina l'encefalo si sviluppa in assenza di FGF e in presenza di altri segnali induttivi
(ad es. Cerberus). Dalla terza settimana fino all'ottava dopo la fecondazione inizia il periodo
organogenetico in cui viene definita la forma generale degli organi e quella esterna del corpo umano;
il periodo istogenetico vero e proprio, invece, non si esaurisce con la nascita, ma si prolunga
variamente durante la vita post-natale, a seconda degli organi presi in considerazione.

Il differenziamento

Uno degli obiettivi importanti dell'embriologia è lo studio del differenziamento ed è opportuno


sottolineare il contributo dato in questo ambito da Hans Spemann, il quale scoprì che il manifestarsi
di tratti cellulari distintivi visibili al microscopio è preceduto dalla comparsa di differenze non
individuabili mediante le tecniche tradizionali, ma dimostrabili sperimentalmente.
Tale fase venne denominata determinazione (o differenziamento invisibile) e si stabilì che esiste per
ogni tipo di cellula la possibilità di definire un ambito temporale prima del quale le cellule possono
modificare il loro orientamento in termini istologici, ma dopo il quale esse assumono specifiche
caratteristiche di tipo morfologico, biochimico e funzionale e quindi si differenziano.
La determinazione quindi precede la comparsa delle caratteristiche visibili del differenziamento.
Sia la determinazione che il differenziamento sono guidati da una serie di meccanismi molecolari
intrinseci o estrinseci. Se i meccanismi sono intrinseci (differenziamento indipendente), si tratta di
RNA, proteine o altre molecole, chiamati determinanti citoplasmatici, i quali hanno un potenziale
differenziativo o morfogenetico e possono essere presenti in modo diseguale nelle cellule figlie dopo
la mitosi, il che implica che tali cellule seguano un diverso destino; si parla pertanto di divisione
asimmetrica. I determinanti citoplasmatici assumono una particolare importanza nel
differenziamento delle cellule staminali. Nel caso invece che i meccanismi differenziativi siano
estrinseci, si parla di differenziamento dipendente o induzione.
L'induzione consiste nell'interazione a corto raggio fra gruppi di cellule, nel senso che alcune di esse
inviano determinati segnali che influenzano la forma e le attività di altre cellule, inclusa la
proliferazione. Si può senza dubbio sostenere che lo sviluppo embrionale è il risultato di una cascata
di induzioni. Tuttavia, per poter rispondere ad un segnale induttivo, una cellula deve essere
competente, e cioè deve aver acquisito in modo attivo tale capacità. L'esempio classico è quello della
induzione del cristallino, che si forma a partire da una piccola area di ectoderma situata al di sopra
della vescicola ottica, una estroflessione del cervello embrionale. Se la vescicola ottica viene rimossa
prima del contatto con l'ectoderma, quest'ultimo non si differenzia in cristallino; se invece essa viene
trapiantata in un regione dell'embrione differente, ad es. sotto l'ectoderma della zona dorsale, il
differenziamento in cristallino si verifica proprio in tale zona. Tuttavia non tutto l'ectoderma è
predisposto a dare origine al cristallino: a livello del capo, il gene Pax6 conferisce all'ectoderma la
competenza necessaria, mentre in assenza di Pax6 l'ectoderma non risponde ai segnali emessi dalla
vescicola ottica. Il cristallino, a sua volta, produce dei fattori che innescano nelle cellule vicine lo
sviluppo della cornea, della retina e del nervo ottico e questo costituisce un esempio di come un
segnale induttivo spesso provochi una cascata di interazioni cellulari. Altro esempio significativo di
induzione al differenziamento, in questo caso reciproco tra due strutture, è rappresentato dalla
gemma ureterica e dal blastema metanefrico, che daranno origine rispettivamente al sistema
collettore dell'urina e ai nefroni renali che la producono. Se la gemma ureterica è assente, i nefroni
non si sviluppano nel blastema, mentre, se il blastema viene rimosso, la gemma ureterica non si
ramifica. Più precisamente, il blastema metanefrico spinge la gemma ureterica a crescere e a
ramificarsi, andando a formare i tubuli e i dotti collettori, mentre le porzioni più distali delle
ramificazioni della gemma ureterica provocano la condensazione del mesenchima e la formazione
delle vescicole renali, che rappresentano le strutture da cui si svilupperanno la capsula di Bowman, i
tubuli contorti prossimali e distali e le anse di Henle. In particolare, il posizionamento della gemma
ureterica nella porzione caudale del dotto del mesonefro è legato alla espressione del recettore ad
attività tirosin-chinasica codificato dal protooncogene c-ret, a sua volta regolata da BMP4. Il
recettore lega il GDNF (Glial cell line-Derived Neurotrophic Factor), la cui espressione è controllata
da Pax2 nel blastema metanefrico. Le interazioni che si stabiliscono tra le cellule indicano che il
comportamento cellulare nel differenziamento, come del resto nella proliferazione, non è del tutto
autonomo, ma risente del contesto in cui la cellula risiede. In sostanza la cellula viene raggiunta da
informazioni veicolate tramite meccanismi di segnalazione rappresentati in prima istanza
dall'interazione tra molecole extracellulari e recettori (di membrana o intracellulari). L'interazione
genera a sua volta un segnale intracellulare che induce risposte specifiche (ad es. sintesi di RNA
messaggeri specifici). Tra le molecole extracellulari oltre ai fattori di crescita e/o differenziamento,
in parte già citati, vanno ricordati gli ormoni. Queste molecole vengono prodotte con meccanismi di
secrezione di tipo endocrino o paracrino ed alcune di esse controllano anche la morte cellulare
programmata (apoptosi). Una ulteriore via di informazione è rappresentata da interazioni dirette
cellula/cellula che si estrinsecano mediante l'espressione sulla superficie cellulare di taluni gruppi
molecolari, i quali vengono riconosciuti da recettori dislocati sulla superficie di cellule vicine e
trasmettono segnali regolativi intracellulari.
Questo può tradursi anche nella formazione di giunzioni intercellulari, fondamentali nell'istogenesi.
Esiste poi anche l'interazione tra cellule e matrice extracellulare, nella quale il legame si articola tra
recettori di superficie dislocati sulla superficie della cellula e molecole presenti nell'ambiente
extracellulare. Infatti, affinché si costituisca un tessuto, le cellule specializzate che lo formano
devono interagire in maniera ordinata tra loro o con la matrice extracellulare. Devono quindi operare
meccanismi di riconoscimento e di adesione, processi mediati da specifiche molecole di adesione
(cell adhesion molecules, CAM). Le molecole di adesione formano parte essenziale delle giunzioni
ancoranti, sia sul versante laterale delle cellule che su quello basale (mediando il rapporto con la
membrana basale); sono quindi assolutamente determinanti nello stabilire la citoarchitettura tessutale
che è alla base delle funzioni del tessuto stesso. Il dominio extracellulare delle CAM interagisce con
domini simili che appartengono alle CAM delle cellule vicine. Se il legame si verifica tra differenti
tipi di CAM, viene definito eterotipico, mentre esso viene definito omotipico se si articola tra CAM
dello stesso tipo. I domini citoplasmatici sono legati attraverso una varietà di proteine intracellulari a
componenti del citoscheletro e.tramite questa connessione, le CAM controllano e regolano varie
attività cellulari oltre l'adesività, quali la proliferazione e la migrazione. Ogni tessuto, a partire dalle
prime fasi dello sviluppo embrionale, esprime specifiche CAM e alterazioni di questa espressione
hanno risvolti patologici. Allo stato sono stati identificati circa 50 tipi di CAM e classificati in 4
principali famiglie: caderine, integrine, selectine e la superfamiglia delle immunoglobuline. Inoltre le
CAM intervengono nella generazione della risposta immunitaria e nell'apoptosi. Oltre a giunzioni
intercellulari, durante l'istogenesi si possono formare dei complessi sistemi di giunzione, come già
descritto a proposito del trofoblasto. Nel tessuto muscolare cardiaco i dischi intercalari o strie
scalariformi rappresentano dei sistemi che comprendono sia giunzioni che supportano la coesione dei
miocardiociti che giunzioni costituenti zone di bassa resistenza elettrica che consentono la rapida
diffusione dell' impulso da una cellula all'altra. Attraverso il differenziamento si formano
popolazioni cellulari ben individuabili, che trasmettono le loro caratteristiche specifiche alla
progenie. Durante le ultime tappe del differenziamento quasi tutte le cellule perdono la loro capacità
proliferativa (differenziamento terminale). È da sottolineare che alcuni tessuti vedono nel loro
contesto più di una popolazione cellulare, che può riconoscere origini embriologiche differenti.
Secondo il cosiddetto “paradigma standard del differenziamento” il passaggio di una cellula o di un
tessuto da una forma immatura a quella differenziata, che comporta funzioni specifiche, sarebbe una
sorta di processo irreversibile. Tuttavia, è stato osservato che una cellula differenziata può andare
incontro ad una riduzione delle sue proprietà molecolari e/o funzionali. Tale riduzione può essere di
portata limitata e riguardare l'attività di pochi geni o molto più drammatica. In sostanza, una cellula
differenziata può tornare in uno stato di minor differenziamento nell'ambito del proprio lineage (de-
differenziamento). Accanto a questo meccanismo esiste anche il trans-differenziamento, che consiste
nella regressione di una cellula differenziata al punto in cui essa può cambiare lineage,
differenziandosi in un tipo cellulare diverso. Con il termine “riprogrammazione” va invece intesa la
possibilità di indurre una cellula differenziata a tornare allo stato di pluripotenza, dal quale possa poi
differenziarsi in quasi tutti i tipi cellulari. La conoscenza di questi meccanismi risulta
particolarmente utile nella medicina rigenerativa il cui obiettivo è quello di rimpiazzare cellule o
tessuti danneggiati.

Morfogeni. Ruolo di Sonic Hedgehog, di BMP4 e BMP7 nel patterning.


Alcune molecole quali TGF-beta, Shh, BMP, attive durante i processi di istogenesi, la cui attività è
modulata da numerosi antagonisti, prendono il nome di morfogeni e controllano destini cellulari
diversi in forza della loro concentrazione o della durata d'azione sulle cellule bersaglio.
Lo sviluppo del tubo neurale fa seguito alla formazione della placca neurale, che si costituisce verso
il diciottesimo giorno di sviluppo come un ispessimento ovoidale dell'ectoderma, dorsalmente alla
notocorda e cranialmente al nodo di Hensen (da cui la notocorda si diparte).
Esiste un parallelismo stretto tra l'evoluzione della notocorda e quella della placca neurale. La
placca neurale si insolca ed i suoi margini, le pliche neurali, sono destinati a fondersi, costituendo il
tubo neurale. La notocorda produce Shh che induce la placca neurale soprastante a formare il
pavimento (lato ventrale) del tubo neurale e a sintetizzare anch'esso Shh. Proteine specifiche
vengono espresse a livello del pavimento, quali FP1, FP2 e SCI. Le cellule che compongono
l'epitelio del tubo neurale hanno bisogno di informazioni per dare vita ai diversi tipi di neuroni lungo
l'asse dorso-ventrale. Ancora una volta interviene Shh ma in collaborazione con molecole della
famiglia Wnt e con BMP4 e BMP7, determinanti nella regionalizzazione del tessuto nervoso e
provenienti dall'ectoderma. A seconda della loro posizione, le cellule saranno raggiunte da una
combinazione di concentrazioni diverse dei due morfogeni, che determinerà l'attivazione di diversi
fattori di trascrizione responsabili delle caratteristiche dei vari tipi di neuroni spinali. Segnali
provenienti dall'ectoderma inducono invece nella parte dorsale del tubo neurale l'espressione di Pax3
e Pax7, che caratterizzano il differenziamento delle cellule della cresta neurale.

Ruolo dei geni Hox nel patterning


Gli omeogeni dei vertebrati sono simili ai geni omeotici della Drosophila melanogaster e sono
caratterizzati dalla presenza dell'omeobox e cioè una sequenza di 183 nucleotidi. I geni Hox sono
omeogeni ed intervengono nel patterning. In particolare, quelli espressi nel sistema nervoso centrale
dei mammiferi lo suddividono in regioni morfologiche distinte, i rombomeri, così come i geni
omeotici della Drosophila ne suddividono il corpo in diversi segmenti. I geni Hox codificano per
proteine che legano il DNA agendo da fattori di trascrizione. Essi sono disposti in gruppo lungo una
stessa regione cromosomica e si verifica una colinearità tra posizione del gene ed espressione lungo
l'asse antero-posteriore.

Mantenimento dei tessuti e cellule staminali: si stima che nell'organismo umano esistano diecimila
miliardi di cellule. Esse sono il frutto di divisioni cellulari controllate che portano alla costituzione
ed al mantenimento di tessuti e di organi. Da quanto già esposto, si evince che alle diverse
popolazioni cellulari sono assegnati compiti differenti, legati a specifici programmi genici.
Relativamente ai tessuti, una prima classificazione si deve a Giulio Bizzozero. Tale classificazione fu
proposta nel 1894 ma ha resistito per molto tempo. Essa divideva i tessuti in: labili, stabili e perenni
e si fondava sulla frequenza delle mitosi osservate al microscopio. Per tessuti labili si intendevano
quelli soggetti ad un continuo rinnovamento, quali molti epiteli, laddove, nella normalità, gli
elementi cellulari che muoiono vengono rimpiazzati da nuovi elementi che consentono di mantenere
costante il numero cellulare nella popolazione. Stabili venivano considerati i tessuti capaci di
rinnovarsi solo in condizioni particolari (quali il parenchima epatico), mentre perenni erano i tessuti
considerati non in grado di rinnovarsi, quali il tessuto nervoso. Attualmente, si ritiene invece, sulla
base dell'impiego di tecniche quali l'incorporazione di timidina tritiata o la marcatura genetica, che
quasi tutti i tessuti siano soggetti a rinnovamento e che tale rinnovamento si verifichi o per divisione
di cellule già differenziate o tramite una sostituzione operata dalle cosiddette cellule staminali. In
particolare, durante l'accrescimento corporeo alcuni tipi cellulari si dividono ed aumentano nel
numero (popolazioni cellulari in espansione), ma, al termine dell'accrescimento, cessano quasi
completamente di dividersi.Essi però conservano la loro capacità mitotica, che possono riprendere in
caso di danno circoscritto, come accade nel parenchima epatico. La proliferazione è sostenuta da
cellule già differenziate ed interviene nelle popolazioni che corrispondono a quelle stabili secondo
Bizzozero, quali la maggior parte degli epiteli ghiandolari, i mesoteli, le cellule secernenti insulina
del pancreas endocrino, gli endoteli dei vasi, i fibroblasti, gli osteoblasti, i condroblasti e le cellule
muscolari lisce. Rimane da chiarire se per riprendere a proliferare sia necessario per gli elementi
differenziati retrocedere per così dire ad elementi meno maturi, ad es. cellule che abbiano un
fenotipo mesenchimale, che, dopo essersi divise, vadano incontro ad un processo di
differenziamento. Dopo l'arresto dello sviluppo, alcuni tipi cellulari perdono la capacità di dividersi
ed il loro numero è destinato a diminuire con l'età, poiché la morte cellulare non è compensata dalla
proliferazione. La durata della loro vita coincide quindi con quella dell'organismo cui appartengono e
per tale motivo essi sono definiti popolazioni cellulari statiche o perenni (cellule nervose,
cristallino).Vanno invece sotto il nome di popolazioni in rinnovamento quelle i cui elementi
differenziati non sono in grado di dividersi, vanno incontro a morte e necessitano pertanto di essere
sostituiti continuamente. L'operazione di sostituzione viene condotta da un limitato subset cellulare,
le cellule staminali. In queste popolazioni vanno certamente inclusi gli epiteli di rivestimento
dell'apparato gastroenterico e respiratorio e l'epidermide, ma anche gli elementi figurati del sangue.
Negli epiteli e nel tessuto ematopoietico il rinnovamento è rapido e quindi l'attività delle cellule
staminali è più intensa; in altri tessuti essa è meno frequente. Le fibre muscolari striate, un tempo
considerate elementi perenni, si accrescono durante lo sviluppo ad opera di cellule non differenziate
(cellule satelliti) e questi elementi, che hanno caratteristiche di staminalità, intervengono anche nei
fenomeni di riparazione. Studi relativamente recenti hanno individuato cellule staminali in differenti
aree cerebrali di organismi adulti proponendo una visione più dinamica del tessuto nervoso.
Le cellule staminali manifestano delle peculiarità: sono capaci di dividersi pressoché illimitatamente
(self-renewal), non sono differenziate e sono governate da programmi genici che ne mantengono lo
stato di immaturità, sebbene si ritenga che questi programmi possano differire nei vari tipi di
staminali. Inoltre, in particolari condizioni, possono dare vita ad elementi differenziati. Le cellule
staminali sono innanzitutto presenti nell'embrione e nel feto, ma si trovano anche nel cordone
ombelicale, nella placenta e nella membrana corio-amniotica. Come già detto esse sono reperibili
anche nei tessuti adulti e, secondo la cosiddetta “ipotesi delle cellule staminali tumorali”, sarebbero
all'origine dello sviluppo e della progressione dei rumori.II fatto che le cellule staminali possano
riprodursi indefinitamente mantenendo caratteri di immaturità e allo stesso tempo dare vita ad
elementi che imboccano la via del differenziamento è dovuto alla loro capacità di potersi dividere
secondo due modalità: divisione simmetrica e divisione asimmetrica. Nella divisione simmetrica la
cellula staminale si divide dando origine a due cellule figlie che sono immature come la cellula
madre o, alternativamente, si indirizzano verso un percorso differenziativo; nella divisione
asimmetrica invece la cellula staminale dà origine a due cellule figlie di cui una rimane immatura
come la madre, mentre l'altra va incontro a progressivo differenziamento. Durante lo sviluppo
embrionale, allorché venga richiesto un aumento del numero cellulare, si verificano senza dubbio
delle divisioni simmetriche e questo accade anche durante la riparazione delle ferite e la
rigenerazione tessutale. La maggior parte delle cellule staminali dei tessuti adulti va invece incontro
a divisioni asimmetriche. L'adozione di uno dei due tipi di divisione dipende dallo stadio dello
sviluppo e dagli stimoli ambientali.In base al loro potenziale differenziativo, le cellule staminali
vengono classificate in: totipotenti, pluripotenti, multipotenti e unipotenti. Lo zigote ed i blastomeri
derivanti dalle prime divisioni di segmentazione sono totipotenti, infatti da essi si formano sia i
tessuti embrionali che quelli extra-embrionali. Le cellule della massa cellulare interna, dove si
formano i tre foglietti germinativi (ectoderma, endoderma e mesoderma), sono pluripotenti in quanto
possono differenziarsi in tutti i tipi cellulari dell'organismo, ma non nelle cellule trofoblastiche. Le
cellule staminali pluripotenti vanno successivamente incontro ad una perdita della loro potenzialità
differenziativa sulla base di meccanismi non completamente noti, ma presumibilmente attribuibili
all'attivazione di fattori trascrizionali che inducono l'espressione di proteine con funzioni
specializzate, responsabili del differenziamento istogenetico. Le staminali che si interessano del
rinnovamento tessutale nell'adulto (cellule staminali adulte o della vita post-natale) sono dette
multipotenti, in quanto esse possono differenziarsi solo negli elementi del tessuto cui appartengono,
dove rappresentano un pool di riserva dal quale derivano le cellule differenziate. Le cellule staminali
ematopoietiche, da cui originano tutti gli elementi figurati del sangue, rappresentano un classico
esempio di staminali multipotenti. Infine, le staminali unipotenti sono quelle che danno origine ad un
solo tipo cellulare differenziato, quali, ad es., i cheratinociti. Bisogna tuttavia sottolineare che la
potenzialità differenziativa di una cellula staminale può cambiare in relazione al microambiente in
cui si trova e alla plasticità del genoma e cioè al numero di geni che sono attivabili. Le cellule
staminali sono capaci di sopravvivere per lungo tempo in fase di quiescenza e sono peraltro in grado
di riparare attivamente il proprio DNA, estrudere certi tipi di farmaci o inattivarli più efficacemente
rispetto agli altri tipi cellulari. La percentuale di cellule staminali presente nei diversi tessuti è
minima e la sede in cui esse sono collocate è ben definita. Nell'epidermide tale sede è rappresentata,
secondo alcuni Autori, non solo dallo strato germinativo o basale, ma anche da una zona del follicolo
pilifero denominata bulge, posta inferiormente allo sbocco della ghiandola sebacea; nell'epitelio
della mucosa intestinale la sede è rappresentata dalla parte più profonda delle cripte in cui sono state
distinte posizioni diverse per le staminali attive e per quelle quiescenti, mentre nell'epitelio
endometriale si trova nel fondo delle ghiandole uterine. Il microambiente che circonda le cellule
staminali, denominato nicchia (stem cell niche), assume un ruolo cruciale nel mantenimento delle
peculiarità di queste cellule e nel controllo delle loro attività; in particolare le indirizza verso l'uno o
l'altro tipo di mitosi che esse possono teoricamente intraprendere. La nicchia protegge le cellule
staminali da danni esterni e le mette al riparo da eventuali influenze che potrebbero modificarne le
proprietà e le capacità. Il concetto di nicchia è stato proposto per la prima volta nel sistema
ematopoietico umano, ma, allo stato, sono state identificate staminali e loro nicchie in varie sedi
quali il tessuto muscolare, il sistema nervoso centrale, l'epitelio intestinale e la regione denominata
bulge dei follicoli piliferi, già menzionata. Le cellule staminali nella nicchia si adagiano su una
membrana basale cui aderiscono mediante recettori integrinici e ricevono specifici segnali da cellule
vicine, dette anche cellule nutrici. La microarchitettura della nicchia prevede la presenza di matrice
extracellulare, che regola la disponibilità di varie citochine, ed una specifica irrorazione ed
innervazione. Cambiamenti della nicchia possono influenzare sostanzialmente il comportamento
delle cellule staminali e favorirne la proliferazione o il blocco del differenziamento, fino alla
trasformazione in cellule staminali tumorali. Tra i vari segnali che provengono dalla nicchia un posto
di rilievo assumono i fattori Wnt, una classe di citochine che svolge un ruolo essenziale nel controllo
della proliferazione e del differenziamento. In particolare, nelle cellule staminali embrionali queste
citochine mantengono l'autorinnovamento e la pluripotenza; inoltre il trattamento di progenitori
ematopoietici con Wnt ne prolunga la staminalità e favorisce i trapianti di midollo. L'attività di
mitogeni o la rimozione di fattori che inibiscono la proliferazione rappresenta l'input per le cellule
staminali per uscire dalla quiescenza, In caso di danno tessutale, staminali, adeguatamente
bersagliate da fattori di crescita tra i quali i più noti sono l'FGF e l'EGF(Epidermal Growth Factor),
riprendono l'attività proliferativa. In questo contesto operano anche fattori inibitori quali il TGF-
beta, che potrebbe invece avere un ruolo nella permanenza in fase di quiescenza. Tra le cellule
staminali e la loro progenie differenziata esiste una popolazione intermedia, le transient o transit
amplifying (TA) cells e cioè cellule in fase di amplificazione transitoria, che sono figlie delle
staminali, già determinate per il differenziamento, ma non ancora specializzate. Questo consente di
aumentare il numero delle cellule destinate al rinnovamento tessutale, pur con un numero limitato di
mitosi delle cellule staminali. Le TA cells hanno una capacità di autorinnovamento limitata nel
tempo ed una maggiore propensione verso il differenziamento: ne sono un esempio le cellule dello
strato germinativo o basale dell'epidermide. Il processo di differenziamento delle cellule staminali
appare controllato, oltre che dai fattori morfogenetici, anche dalle proprietà della matrice
extracellulare, dai contatti cellula/ cellula e dalle forze meccaniche che agiscono sul tessuto. Questi
meccanismi possono anche condizionare gli elementi staminali ad imboccare una via differenziativa
che spontaneamente non avrebbero intrapreso (meccanismo istruttivo) ovvero restringere la scelta
autonoma del destino differenziativo sulla base di caratteristiche del microambiente (meccanismo
selettivo). Le cellule staminali sono attrici del rinnovamento tessutale, ma anche della rigenerazione
e della riparazione. Sembra che ciascun tipo differente di epitelio abbia un suo specifico meccanismo
di rigenerazione a partire dalle staminali locali, ma che almeno nella cute, nella cornea, nel polmone
e nell'intestino cooperino alla rigenerazione anche cellule derivate dal midollo osseo.
Nell'epidermide sono state recentemente individuate due classi di cellule staminali: la prima
mantiene l'integrità degli strati più esterni, mentre la seconda è responsabile più propriamente della
riparazione. Le staminali di questa seconda classe sono meglio protette e si differenziano in tutti i tipi
cellulari presenti nel tessuto. Una enorme mole di dati sperimentali è presente in letteratura
relativamente alle cellule staminali ed appare evidente come esse, una volta isolate e caratterizzate,
possano rappresentare un modello utile allo studio dell'espressione genica, del differenziamento,
dell'effetto dei farmaci, etc. Tuttavia l'interesse della comunità scientifica e anche dell'opinione
pubblica si è in qualche modo concentrato sull'impiego terapeutico delle cellule staminali e cioè sulla
possibilità di derivarle da diverse fonti e spingerle verso uno specifico differenziamento per poi
poterle utilizzare nella sostituzione di cellule o tessuti danneggiati o addirittura nell'allestimento di
organi. Una pietra miliare nella storia delle cellule staminali è stata senza dubbio rappresentata dalle
ricerche condotte da Thomson e coll., che nel 1998 hanno condotto alla possibilità di isolare cellule
staminali embrionali dalla massa cellulare interna di blastocisti umane, espanderle in coltura e
indirizzarle a differenziare in tutti i tipi di cellule che originano normalmente dai tre foglietti
germinativi. L'uso delle cellule staminali embrionali umane è stato tuttavia ritenuto da molti
eticamente inaccettabile e si è aperto un serrato dibattito sulla opportunità di impiegare tali cellule o,
alternativamente, orientarsi verso l'impiego di cellule staminali derivate da tessuti adulti. Più
recentemente, impiegando cellule adulte differenziate, riconvertite allo stadio di pluripotenza, sono
state ottenute cellule molto simili alle cellule staminali embrionali. Varie tecniche possono essere
impiegate a tale scopo, ma il metodo più usato è quello di introdurre in cellule somatiche adulte
fattori di trascrizione che le riconducano alla pluripotenza, il che non comporterebbe alcuna
implicazione etica. In particolare nel 2006 è stato dimostrato da S. Yamanaka e coll. che, attraverso
l'espressione di fattori quali Oct4, Sox2, KIf4 (Kruppel-like factor 4) e Myc (myelocytomatosis),
ottenuta mediante il trasferimento dei relativi geni, è possibile riprogrammare cellule differenziate in
cellule pluripotenti (induced pluripotent stem cells, iPS). Le iPS manifestano potenzialità
terapeutiche molto ampie e, nel tempo, grazie al miglioramento delle tecniche usate per produrle,
esse sono state impiegate in modelli animali di malattie umane.
Tuttavia sussistono ancora dei problemi relativamente ai meccanismi di riprogrammazione del
genoma che si verificano in queste cellule ed è stato anche dimostrato che esse manifestano una certa
instabilità genetica. Le cellule staminali sembrano avere un ruolo anche nella genesi, nello sviluppo e
nella progressione del cancro. I tumori umani sono caratterizzati da una spiccata eterogeneità che si
estrinseca a livello morfologico, molecolare e clinico. Per spiegare tale eterogeneità sono state
proposte due teorie che non necessariamente si escludono. La cosiddetta ipotesi della evoluzione
clonale (clonal evolution hypothesis) sostiene che la maggior parte delle cellule presenti in un tessuto
possano dare vita ad un cancro proliferando estesamente ed andando incontro ad una selezione su
basi genetiche ed epigenetiche. L'ipotesi delle cellule staminali tumorali (cancer stem cell
hypothesis) suggerisce invece che il cancro non abbia origine da una cellula qualunque della
popolazione tessutale, ma piuttosto da un ridotto subset con capacità di autorinnovamento e
differenziamento, per l'appunto le cellule staminali, le quali sarebbero le candidate ideali per
raccogliere nel corso della loro vita una serie di mutazioni e potrebbero intraprendere la via di un
differenziamento aberrante e comprendente vari livelli di maturazione. In sostanza l'eterogeneità
tumorale sarebbe il frutto della competizione e della selezione di cellule con diverso fenotipo sotto
l'influenza delle condizioni incontrate dalle cellule durante lo sviluppo della neoplasia. Tuttavia le
cellule staminali tumorali potrebbero andare incontro a selezione clonale nel processo di
autorinnovamento e differenziamento e parte della loro progenie acquisire le alterazioni genetiche o
epigenetiche che conducono all'assunzione delle caratteristiche definitive delle cellule tumorali.
Cellule staminali tumorali sono state isolate e caratterizzate a partire dalle leucemie ad andare a
tumori solidi, quali il cancro della mammella, del colon, i tumori testa/collo, il glioblastoma, il
cancro della prostata. Importanti funzioni regolatorie sembrano avere per alcune cellule staminali
tumorali geni quali Bri-1, Tie-2, Notch, ma questi geni operano anche in altri tipi cellulari e non sono
peculiari della staminalità. Le cellule staminali tumorali sono resistenti ai trattamenti convenzionali e
si ritiene siano responsabili delle recidive e della colonizzazione a distanza (metastasi). Esiste quindi
l'urgenza di individuare terapie specificamente orientate a colpire queste popolazioni al fine di
eradicare il cancro, risparmiando le staminali normali. Allo stato, comunque, questo non è facile,
poiché i due tipi cellulari condividono alcune caratteristiche. Sono stati sinora illustrati i meccanismi
che conducono le cellule a proliferare o a differenziarsi, ma è bene ricordare che esse possono
attivare anche un tipo diverso di programma e cioè quello che conduce all'apoptosi o morte cellulare
programmata. Questo programma è specificamente controllato da una serie di geni sia pro- che anti-
apoptotici. Tra i fattori che stimolano l'apoptosi vanno ricordati il TNF (Tumor Necrosis Factor) ed il
suo recettore specifico di membrana, che insieme al recettore Fas è il principale esempio dei
recettori di morte, death receptors; mentre, nel campo dei segnali anti-apoptotici, può essere citato ad
es. INGF (Nerve Growth Factor). Anche le proteine della famiglia Bel-2 hanno un effetto inibitorio
sull'apoptosi; esse sono localizzate sulla membrana mitocondriale esterna ed agiscono in forma
dimerica prevenendo il rilascio nel citosol del citocromo-c, contenuto nei mitocondri. Se il
citocromo-c diffonde nel citoplasma, esso si lega ad Apaf-1 e questo complesso attiva le caspasi, una
famiglia di protesi che causano la morte cellulare, modificazioni della membrana plasmatica,
dissoluzione dell'involucro nucleare e degradazione del DNA genomico. In alcune cellule,
l'attivazione delle caspasi avviene mediante la traduzione del segnale dei recettori di morte.
L'apoptosi è dunque un fenomeno attivo per tutta la vita di un organismo e risulta indispensabile ai
fini dell'omeostasi tessutale; alterazioni dell'espressione dei geni che la controllano possono
intervenire nell'insorgenza del cancro. L'apoptosi comporta frammentazione del DNA e riduzione del
volume cellulare. Tuttavia i contenuti della cellula rimangono nel suo interno contrariamente a
quanto accade nella morte causata da danni quali ipossia, tossine, virus, etc. e cioè in caso di necrosi.
La necrosi implica la dispersione dei contenuti cellulari nello spazio extracellulare, il che provoca
una risposta infiammatoria. L'apoptosi assume un rilievo determinante durante lo sviluppo poiché
costituisce il meccanismo attraverso il quale vengono eliminate delle strutture transitorie o si procede
al rimodellamento degli organi. Un esempio in tal senso può essere rappresentato dal vasto
riassorbimento del trabecolato che, durante lo sviluppo del cuore, in un embrione di 1 mese, assume
una notevolissima consistenza oppure dalla cavitazione del tubo gastroenterico dovuta a processi di
vacuolizzazione che seguono a fasi di attiva proliferazione responsabili dell'occlusione del lume. Un
programma apoptotico è presente in forma latente in ogni cellula dell'organismo e rappresenta
l'evento finale del processo di invecchiamento cui sono soggette le cellule. Con il tempo, infatti, esse
vanno incontro ad un progressivo deterioramento delle loro funzioni, con ridotta capacità di riparare i
danni genetici e di rispondere allo stress. In questa dinamica viene attualmente attribuito un ruolo
importante ai radicali liberi, prodotti dal normale metabolismo per incompleta riduzione
dell'ossigeno a livello dei mitocondri ed in grado di danneggiare membrane, organuli e acidi nucleici.
A questo meccanismo si associa il danno al DNA mitocondriale. Con la senescenza si assiste ad una
perdita graduale della omeostasi tessutale e della funzionalità di diversi organi. In particolare, le
cellule staminali diventano incapaci di proliferare e le loro cellule figlie perdono la capacità di
differenziare lungo uno specifico lineage; questo stato può essere causato da modificazioni a livello
sistemico, ma anche risultare come conseguenza di un processo patologico localizzato.

7 Tessuti epiteliali

I tessuti epiteliali sono costituiti da cellule a mutuo contatto, e questo ne permette il riconoscimento
non solo quando questi tessuti si organizzano in lamine, ma anche quando formano aggregati
tridimensionali cavi o solidi. In base alle caratteristiche morfologiche (e di conseguenza molecolari)
delle cellule da cui sono formati, i tessuti epiteliali presentano funzioni diverse:
• protezione e barriera;
• assorbimento;
•secrezione;
• ricezione di stimoli.

In particolare le cellule si possono organizzare a formare tre tipi di tessuti epiteliali:


• tessuti epiteliali di rivestimento (epidermide, epitelio delle tonache mucose e sierose, endotelio dei
vasi sanguigni e linfatici, capsula di Bowman e tubuli renali, epitelio ovarico, epitelio del labirinto
membranoso);
• tessuti epiteliali ghiandolari (parenchima delle ghiandole endocrine ed esocrine);
• tessuti epiteliali sensoriali (cellule specializzate intercalate in epiteli di rivestimento, e.g cellule dei
calici gustativi, cellule acustiche dell'organo del Corti).

Caratteristiche generali
Gli epiteli sono formati da cellule poliedriche a stretto contatto tra loro senza matrice extracellulare.
L'adesione tra le cellule è resa possibile da molecole di adesione e da particolari giunzioni
intercellulari che oltre a permettere l'ancoraggio delle cellule consentono la comunicazione tra di
esse e ne stabilizzano la polarità. Comunque fra le cellule epiteliali è presente una matrice fibrillare
costituita prevalentemente da acido jaluronico che determina lo stato di idratazione del tessuto. Gli
epiteli sono tessuti privi di vascolarizzazione, quindi per il loro mantenimento sono dipendenti dai
capillari del tessuto connettivo che è presente sempre (tranne rare eccezioni) al di sotto dei tessuti
epiteliali di rivestimento e a ridosso di quelli ghiandolari. Il rifornimento di metaboliti e di gas e
l'eliminazione dei prodotti di rifiuto sono assicurati mediante diffusione attraverso il liquido
interstiziale che è presente nei ridotti spazi intercellulari. Le cellule dello strato basale di ciascun
epitelio poggiano su di una struttura cellulare chiamata membrana basale la cui costituzione è
dipendente sia dal tessuto epiteliale (lamina basale) che dal tessuto connettivo (lamina reticolare).
Gli epiteli sono tessuti caratterizzati da una elevata capacità di rinnovamento. Per questo tra le
cellule epiteliali che poggiano sulla membrana basale ci sono cellule staminali in grado di dividersi
mitoticamente e di dare origine a cellule capaci di differenziarsi. La velocità di rinnovamento è
caratteristica di ciascun epitelio.

Polarità cellulare: caratteristica delle cellule epiteliali che si manifesta con una distribuzione
asimmetrica degli organelli cellulari e con diverse specializzazioni di membrana. Tale polarità è
particolarmente vistosa nelle cellule epiteliali cilindriche e secernenti. Sono identificabili 3 domini di
membrana caratterizzati da diverse specializzazioni e da una diversa composizione molecolare che
permettono a ciascun dominio (apicale, laterale e basale) di svolgere funzioni specifiche. La
distinzione tra dominio apicale e laterale è mantenuta dalla presenza di giunzioni occludenti (vedi
Capitolo 3) che limitano la redistribuzione delle componenti, principalmente proteiche, della
membrana plasmatica, fra questi due domini.

Derivazione embriologica: tutti e tre i foglietti embrionali contribuiscono al differenziamento degli


epiteli. Dal foglietto ectodermico derivano le cellule dell'epidermide e dei suoi annessi, l'epitelio
delle fosse nasali, l'epitelio della cornea e del cristallino, l'epitelio dell'orecchio interno, l'epitelio del
vestibolo della cavità orale, delle gengive, del palato duro e del terzo distale del canale anale;
l'epitelio adamantino interno da cui si differenziano gli ameloblasti che producono lo smalto dei
denti; il parenchima della ghiandola parotide; le cellule della adenoipofisi.
Dal foglietto endodermico si differenziano gran parte degli epiteli che fanno parte delle tonache
mucose, cioè quelli che rivestono cavità che comunicano con l'esterno. Hanno derivazione
endodermica gli epiteli dell'apparato respiratorio (escluse le fosse nasali), di quello digerente (esclusi
parte della cavità orale e del canale anale), di parte dell'apparato urinario (vescica ed uretra), di parte
dell'apparato genitale femminile (vestibolo della vagina), della cavità timpanica e delle tube uditive;
da questo foglietto inoltre derivano le ghiandole salivari (ad eccezione della parotide), il fegato, il
pancreas, la tiroide, le paratiroidi e le cellule reticolari del timo.
Dal foglietto mesodermico si differenziano gli epiteli (che prendono il nome di mesoteli) che
rivestono le tonache sierose, cioè tonache che rivestono cavità che non comunicano con l'esterno
(peritoneo, pleure e pericardio). Inoltre dal mesoderma si differenziano anche l'epitelio che riveste i
vasi (endotelio), quello che ricopre le ovaie (erroneamente chiamato epitelio germinativo), gran parte
degli epiteli dell'apparato urinario e di quello genitale (escluse vesci-ca, uretra, vestibolo della
vagina), la corticale del surrene e la componente somatica degli epiteli germinali (cellule del Sertoli
e cellule follicolari).

Epiteli di rivestimento - Caratteristiche dei domini della superficie cellulare

DOMINIO APICALE: rappresenta il compartimento rivolto verso il lume dell'organo cavo rivestito
o verso l'esterno dell'organismo nel caso dell'epidermide. Il dominio apicale delle cellule più
superficiali di ciascun epitelio risulta quindi esposto al contenuto degli organi cavi che riveste o
all'ambiente esterno. A seconda degli epiteli, tale dominio presenta diversi tipi di specializzazioni
strettamente associate alle funzioni delle cellule e che sono distinguibili in:
• microvilli;
• ciglia;
• stereociglia.

Microvilli: estroflessioni della membrana plasmatica del dominio apicale a forma di dita di guanto,
immobili, associati alla capacità di assorbimento. Il loro numero e la loro estensione variano molto a
seconda del potere assorbente dell'epitelio. Epiteli con una capacità assorbente molto elevata
(epitelio intestinale e tubulo contorto prossimale renale) presentano microvilli molto abbondanti
(fino a qualche migliaia per cellula) e lunghi fino a 1-2 mm, che nel loro insieme costituiscono una
struttura intensamente colorabile ed evidenziabile anche al microscopio ottico a forte ingrandimento.
Tale struttura, vista la disposizione ordinata dei microvilli, è indicata come orletto a spazzola oppure,
mutuando dalla terminologia anglosassone, orletto striato.
Cellule epiteliali invece con una scarsa attività di assorbimento presentano il dominio apicale
caratterizzato da un numero di microvilli ridotto e dalla forma più tozza. La membrana cellulare dei
microvilli, data la funzione di assorbimento, è ricca di proteine di trasporto ATP-dipendenti.
Inoltre nelle cellule assorbenti dell'epitelio intestinale (enterociti) e dei tubuli renali la membrana
cellulare dei microvilli è ricoperta da uno spesso glicocalice, di natura glicoproteica e glicolipidica,
in cui sono presenti anche enzimi fondamentali per la funzione del tessuto epiteliale stesso. A livello
dei microvilli degli enterociti sono riscontrabili per esempio enzimi responsabili delle tappe finali di
digestione di alcune macromolecole (dipeptidasi, disaccaridasi). Anomalie nella sintesi e/o nella
funzione di questi enzimi determinano sindromi da malassorbimento come, ad esempio l'intolleranza
al lattosio (disaccaride formato da galattosio e glucosio): nei pazienti affetti da questa malattia gli
enterociti non sono in grado di sintetizzare l'enzima lattasi (oligosaccaridasi che converte il lattosio
in glucosio e galattosio), per cui il disaccaride del latte non viene assorbito e per motivi osmotici
causa diarrea. Il ruolo fondamentale dei microvilli nell'assorbimento è sottolineato dal fatto che
questa funzione è compromessa quando gli enterociti non riescono a sviluppare queste
specializzazioni, come negli stadi più avanzati della celiachia (malattia da intolleranza al glutine) nei
quali non solo è evidente l'appiattimento dei villi intestinali ma anche la riduzione dei microvilli a
livello della superficie libera degli enterociti.Ciglia. Le ciglia sono presenti sulla superficie apicale di
cellule epiteliali coinvolte nel movimento di muco (e di materiale ad esso associato) sulla superficie
dell'epitelio stesso. Il loro movimento sincrono a livello dell'epitelio respiratorio che riveste cavità
nasali, rinofaringe, laringe, trachea, bronchi e bronchioli sposta il muco (con le particelle estranee
intrappolate) verso l'orofaringe. Nell'apparato riproduttore femminile le ciglia presenti a livello delle
tube di Falloppio e dell'utero con il loro battito trasportano invece la cellula uovo e in caso di
fecondazione concorrono a trasportare il prodotto del concepimento.

Ciglia si presentano come estroflessioni a forma di dito di guanto più lunghe rispetto ai microvilli.
Data la loro lunghezza sono evidenziabili anche al microscopio ottico. Ogni ciglio presenta una
porzione libera ed una porzione infissa nella cellula, che comprende il corpuscolo basale, da cui
prende origine il filamento assile (assonema) del ciglio. Il corpuscolo basale ha la stessa struttura di
un centriolo. Dalla parte opposta rispetto alla porzione libera, il corpuscolo basale termina in una
struttura formata da filamenti proteici che costituiscono le cosiddetta radichetta ciliare il cui ruolo
sembra essere quello di coordinare il movimento delle ciglia in maniera tale da generare un
movimento metacronale, cioè in grado di creare un'onda sulla superficie dell'epitelio ciliato. Il
malfunzionamento della fine struttura del dominio apicale delle ciglia nelle cellule epiteliali è
associato a diversi tipi di malattie indicate come ciliopatie. Tra queste, con il termine di discinesia
ciliare primaria si raggruppano una serie di malattie ereditarie: ad esempio nella sindrome di
Kartagener, patologia autosomica recessiva, l'assenza delle braccia di dineina determina l'incapacità
di trasportare il muco a livello dell'apparato respiratorio, con conseguenti problemi respiratori
(bronchite e sinusite cronica, dilatazione bronchiale); pazienti maschi affetti da questa sindrome
manifestano anche sterilità dovuta alla presenza del medesimo difetto a livello del flagello degli
spermatozoi, mentre pazienti donne risultano comunque in parte fertili in quanto il trasporto del
prodotto del concepimento è dovuto in gran parte alla contrazione della muscolatura dell'apparato
riproduttore femminile. Metà dei pazienti affetti da sindrome di Kartagener manifestano anche situs
inversus viscerum, ossia un'anomalia della disposizione degli organi interni rispetto all'asse di
simmetria destra-sinistra. Questa malformazione è conseguenza del malfunzionamento (immobilità)
del singolo ciglio (monociglio, con assonema a struttura 9+0), a livello delle cellule del nodo di
Hensen (struttura embriologica fondamentale per determinare l'asse di simmetria destra-sinistra).
Stereociglia: estroflessioni della membrana plasmatica, identiche ai microvilli come struttura interna
ma molto più lunghi. Stereo-ciglia si trovano sul dominio apicale delle cellule dell'epididimo e del
dotto deferente nell'apparato riproduttore maschile. In questa sede sembra che le stereociglia siano
associate ai fenomeni di maturazione degli spermatozoi e al riassorbimento del liquido seminale.
Sono denominate stereociglia anche le speciali estroflessioni sulla superficie apicale delle cellule
epiteliali sensoriali dell'orecchio interno.

DOMINIO LATERALE: rappresenta il compartimento attraverso il quale le cellule epiteliali


entrano in contatto tra di loro. Il plasmalemma della superficie laterale presenta proteine
transmembrana che legandosi a proteine analoghe presenti sulle cellule adiacenti contribuiscono alla
costituzione dei dispositivi di giunzione. Tra le giunzioni cellulari del dominio laterale si
annoverano:
• giunzioni occludenti o tight junction o zonulae occludentes;
• giunzioni ancoranti (classificabili in zonulae adhaerentes e maculae adhaerentes o desmosomi);
• giunzioni comunicanti o gap junction o nexus.Le giunzioni possono trovarsi singolarmente sul
dominio laterale di alcune cellule ma possono fare parte anche di sistemi giunzionali, strutture nelle
quali giunzioni di diversa tipologia sono associate, come si osserva ad esempio negli enterociti.

Giunzioni occludenti: sigillano completamente il già scarso spazio intercellulare esistente tra le
cellule epiteliali. La distribuzione delle giunzioni occludenti è tipicamente a cintura attorno alla
cellula e il numero delle linee di adesione (“strands”) della rete varia da epitelio ad epitelio e, anche
nello stesso epitelio, a seconda delle condizioni fisiologiche. Questa distribuzione isola il dominio
apicale rispetto al dominio laterale; la saldatura tra le due membrane adiacenti blocca infatti la
naturale diffusione dei lipidi e delle proteine nel doppio strato fosfolipidico. La presenza delle
giunzioni occludenti rende l'epitelio impermeabile e permette di creare una barriera bloccando la
diffusione paracellulare. In questo modo negli organi cavi (ad esempio nell'intestino) le giunzioni
occludenti dell'epitelio impediscono alle molecole presenti nel lume di passare in maniera aspecifica
nella matrice extracellulare del tessuto connettivo e da qui nel circolo sanguigno e in direzione
opposta impediscono alle molecole del liquido extracellulare di entrare nel lume dell'organo. Le
giunzioni occludenti presenti tra le cellule endoteliali della barriera emato-encefalica e tra le cellule
del Sertoli della barriera emato-testicolare permettono di separare dei comparti in maniera tale da
proteggere rispettivamente il sistema nervoso centrale e le cellule germinali in via di
differenziamento. Giunzioni occludenti si formano anche tra i blastomeri più esterni della morula e
tra le cellule del trofoblasto durante il fenomeno della compattazione che avviene nella prima
settimana di sviluppo embrionale e che è fondamentale per la formazione del blastocele all'interno
della blastocisti, fenomeno essenziale per il successivo sviluppo dei tre foglietti embrionali (vedi
Capitolo 6).Da un punto di vista molecolare la giunzioni occludenti sono formate da numerose
proteine tra le quali vi sono proteine transmembrana (integrali) (e.g. occludine, claudine, tricellulina,
proteine di adesione dette Junctional Adhesion Molecules-JAM) e proteine estrinseche (e.g. proteine
della zonula occludens, ZO1, Z02, ZO3) che costituiscono uno strato sul versante citoplasmatico
della membrana che unisce le giunzioni occludenti ai microfilamenti di actina; queste proteine non
determinano però la formazione di una placca densa visibile al microscopio elettronico, come invece
avviene in altri tipi di giunzione.

Modificazioni ultrastrutturali delle giunzioni occludenti sono tipiche di alcune malattie in cui si
rileva una disfunzione della barriera epiteliale. Ad esempio nel Morbo di Crohn, patologia
infiammatoria dell'intestino caratterizzata da alterazione dell'alvo (dissenteria), la ridotta espressione
delle claudine “pore sealing” (claudine 4, 5 e 8) determina un aumento della permeabilità
dell'epitelio intestinale. I componenti molecolari delle giunzioni occludenti sono anche il bersaglio di
alcuni virus come il Papilloma virus, e di alcuni batteri come l'Helicobacter pylori e il Clostridium
perfringens. Alcuni ceppi di Papilloma virus rappresentano uno dei maggiori fattori di rischio per il
tumore dell'utero; la trasformazione tumorale delle cellule è caratterizzata da un accumulo della
proteina Z02 e da una sua delocalizzazione dalle giunzioni occludenti indotta da oncoproteine
prodotte dal virus; non è chiaro il rapporto tra queste modificazioni e lo sviluppo di tumori.
L'Helicobacter pylori, interagendo mediante le tossine Cag A e Vac A con la porzione citoplasmatica
delle JAM e con Z01, determina un indebolimento della barriera gastrica che può indurre gastrite,
ulcere e carcinomi gastrici. L'enterotossina prodotta da diversi ceppi di Clostridium perfringens,
responsabili di alcune intossicazioni alimentari, lega molecole di claudina non permettendo la loro
incorporazione all'interno delle giunzioni occludenti e permettendo così all'acqua di attraversare in
abbondanza l'epitelio per via paracellulare.Giunzioni ancoranti. Le giunzioni ancoranti permettono di
distribuire uniformemente tra le cellule le forze che agiscono su un determinato tessuto. E grazie a
queste giunzioni che le cellule epiteliali costituiscono lamine in grado di resistere a sollecitazioni
meccaniche proteggendo i tessuti sottostanti. Mediante le giunzioni ancoranti infatti i citoscheletri
delle cellule vengono collegati, permettendo di distribuire su un'area maggiore le forze (pressione,
sfregamento, tensione) applicate ad un'area ristretta. Nella loro costituzione hanno un ruolo
fondamentale proteine transmembrana appartenenti alla famiglia delle molecole di adesione (Cell
Adhesion Molecules, CAM) e componenti del citoscheletro che differiscono a seconda del tipo di
giunzione. Tra le giunzioni ancoranti si annoverano:
- zonulae adhaerentes, giunzioni ancoranti, distribuite " cintura" attorno alle cellule e in cui sono
coinvolti i microfilamenti di actina desmosomi (maculae adhaerentes), giunzioni ancoranti “a forma
di bottone” in cui sono coinvolti i filamenti intermedi tipici di ciascun tessuto.

Zonula adhaerens: giunzioni che permettono di legare meccanicamente le cellule epiteliali fra di
loro; dove sono presenti complessi giunzionali sono disposte nel dominio laterale al di sotto delle
giunzioni occludenti (cioè verso il dominio basa-le). La definizione zonulae adhaerentes è dovuta
alla loro disposizione continua lungo tutto il perimetro cellulare. Le membrane citoplasmatiche delle
cellule unite a livello della zonula adhaerens sono divise da uno spazio di circa 20 nm. Componenti
essenziali delle zonulae adhaerentes (come anche dei desmosomi) sono le caderine, glicoproteine
transmembrana (appartenenti alle CAM) presenti nelle membrane citoplasmatiche delle cellule
contigue. In partico-lare, negli epiteli la molecola di adesione presente nelle zonulae adhaerentes è la
E-caderina che si lega alla porzione extracellulare delle molecole analoghe della cellula adiacente.
La sua porzione citoplasmatica si lega invece ai microfilamenti di actina del citoscheletro mediante
delle proteine linker (catenine). In questo modo la E-caderina riesce ad unire i citoscheletri di cellule
contigue permettendo di modulare l'adesione cellulare. Il legame tra le porzioni extracellulari delle
molecole di E-caderina è regolato dalla concentrazione di ioni calcio.

Desmosomi o maculae adhaerentes: giunzioni ancoranti che coinvolgono aree più limitate della
membrana plasmatica di cellule contigue. Queste giunzioni sono state scoperte nello strato spinoso
dell'epidermide dove la loro presenza in numero elevato contribuisce alla definizione di
prolungamenti cellulari chiamati “spine” caratteristici del secondo strato dell'epidermide che per
questo viene definito spinoso. L'ultrastruttura dei desmosomi è caratterizzata dalla presenza di
proteine transmembrana appartenenti alla classe delle caderine (desmocolline e desmogleine) che
interagiscono mediante il loro dominio extracellulare con molecole simili della cellula contigua.
L'importanza dell'espressione di una determinata caderina è dimostrata dal fatto che nei diversi strati
dell'epidermide vengono espresse caderine differenti che sono correlate con la citomorfosi cornea. Il
legame delle caderine è calcio dipendente. La porzione intracitoplasmatica delle caderine coinvolte
nella formazione dei desmosomi converge in una struttura (placca di adesione) più spessa ed
elettrondensa di quella presente nella zonula adhaerens. A livello della placca di adesione le caderine
epiteliali interagiscono con proteine citoplasmatiche (desmoplachine e placoglobina) che ne
permettono il legame ai filamenti intermedi di cheratina (tonofilamenti).
L'importanza della corretta ultrastruttura dei desmosomi è dimostrata da un gruppo di dermatosi
bollose ad eziologia autoimmune conosciute come pemfigo. La manifestazione della malattia
consiste nella perdita dei contatti tra i cheratinociti (acantolisi) con la conseguente formazione di
vesciche nella cute ed in altre mucose. Dimostrazione del coinvolgimento delle giunzioni ancoranti è
il segno di Asboe-Hansen, che consiste nella possibilità di allargare una bolla di pemfigo tramite
pressione sul bordo laterale. Tra queste dermatosi bollose il pemfigo volgare comporta il distacco dei
cheratinociti dello strato spinoso mentre nel pemfigo foliaceo i cheratinociti interessati sono quelli
dello strato granuloso. È stato dimostrato che il pemfigo volgare è legato alla presenza di
autoanticorpi anti-desmogleina 1 e 3 (espressi dai cheratinociti dello strato spinoso) mentre nel
pemfigo foliaceo sono presenti auto-anticorpi solo anti-desmogleina 1 (la caderina maggiormente
espressa nello strato granuloso). È stato inoltre dimostrato il coinvolgimento dei desmosomi, cosi
come delle zonulae adherentes, nei processi di trasformazione e di metastatizzazione delle cellule
tumorali.

Giunzioni comunicanti o gap junction o nexus: mettono in comunicazione due cellule adiacenti
mediante numerosi (alcune centinaia) canali intercellulari idrofilici. Ciascun canale è costituito a sua
volta da due emicanali proteici transmembrana (connessoni) presenti su ciascuna cellula e allineati
fra loro. Ciascun connessone è formato da 6 proteine transmembrana (connessine) che sporgono sia
sul lato citoplasmatico che su quello extracellulare della membrana e che permettono di far interagire
connessoni di cellule adiacenti (vedi Capitolo 3). L'apertura o la chiusura dei connessoni è
controllata da modificazioni post traduzionali (principalmente fosforilazione) delle connessine che
ne mutano la conformazione spaziale. Tali modificazioni possono venire indotte da variazioni del
voltaggio (canali voltaggio dipendenti), del pH o della concentrazione del calcio. Ciascun
connessone può essere costituito da connessine tutte identiche (connessone omo-merico) o da
connessine differenti (connessone eteromerico). Nei tessuti sono espresse isoforme diverse delle
connessine (circa 20 nell'uomo). Nella maggior parte dei casi le gap junction mettono in
comunicazione cellule appartenenti allo stesso tessuto (riconoscimento omotipico) ma tali giunzioni
esistono anche tra cellule di diversa natura (riconoscimento eterotipico). In questo caso le connessine
di un connessone saranno chimicamente diverse da quelle che costituiscono il connessone adiacente.
Per esempio, la connessina 43 (Cx43), che è l'unica connessina espressa dalle cellule del Leydig nel
testicolo, è presente nell'epitelio seminifero nelle gap junction che, mettono in comunicazione le
cellule del Sertoli tra loro e con le cellule della linea germinale (spermatogoni e spermatociti).
L'importanza delle gap junction è dimostrata dalla varietà di patologie associate a mutazioni dei geni
che codificano per le diverse connessine. Ad esempio mutazioni a livello del gene che codifica per la
connessina 26 (Cx26) (nota anche come GJB2, gap-Junction protein beta 2) sono la causa di circa
l'80% dei casi di sordità congenita autosomica recessiva che coinvolge il trasportatore del potassio
nelle cellule di sostegno dell'organo del Corti. Mutazioni del gene per la connessina 50 (Cx50),
espressa a livello del cristallino, sono responsabili del 25% dei casi di cataratta congenita.

DOMINIO BASALE: è il compartimento mediante il quale le cellule (nel caso degli epiteli
pluristratificati quelle dello strato più profondo) interagiscono con la membrana basale attraverso
delle specializzazioni di membrana chiamate emidesmosomi. Altre giunzioni ancoranti di questo
dominio sono le adesioni focali. Invece le pieghe basali rappresentano specializzazioni coinvolte nei
processi di trasporto ionico.

Emidesmosomi: giunzioni ancoranti caratterizzate da una struttura asimmetrica; sono denominati


emidesmosomi in quanto morfologicamente corrispondono a metà di un desmosoma pur
differenziandosi a livello molecolare da esso. Le proteine transmembrana di queste giunzioni,
costituite da proteine della famiglia delle integrine, e non delle caderine come nei desmosomi, sono
ancorate mediante il dominio intracellulare a filamenti di cheratina mentre il dominio extracellulare
interagisce con molecole della lamina basale (prevalentemente laminina 5). Al microscopio
elettronico gli emidesmosomi presentano sul versante citoplasmatico della membrana una regione
elettrondensa costituita da proteine che mediano il legame tra le integrine e il citoscheletro. Gli
emidesmosomi sono presenti nelle cellule epiteliali ma anche nelle cellule del tessuto muscolare e
dei nervi periferici. Negli epiteli la porzione transmembrana degli emidesmosomi è composta da
integrina a B, e nella regione elettrondensa sono presenti diverse proteine tra cui la plectina (che si
lega alle integrine transmembrana) e in alcuni tipi di emidesmosomi (Tipo 1) anche gli antigeni 1 e 2
del pemfigoide bolloso (rispettivamente Bullous Pemphigoid Antigen 1-BPAG1 o BP230, e Bullous
Pemphigoid Antigen 2- BAG2 o BP180). La plectina, scoperta come proteina che interagisce con i
filamenti intermedi, è in grado di interagire con tutti gli elementi del citoscheletro potendo così
influenzare le caratteristiche meccaniche e dinamiche del citoscheletro in risposta a stimoli che
derivano dalla matrice extracellulare. La proteina BPAG2, nelle giunzioni dove è presente, attraversa
la membrana citoplasmatica ed è unita ai filamenti intermedi mediante la proteina BPAG1. La
presenza di autoanticorpi che riconoscono una delle due proteine degli emidesmosomi epiteliali
BPAG1 e BPAG2 determina la patologia autoimmune conosciuta come pemfigoide bolloso (Figura
7.11) che a differenza del pemfigo non presenta acantolisi. La perdita di contatto infatti si manifesta
tra i cheratinociti dello strato basale e la membrana basale.

Adesioni focali: (chiamate anche contatti focali o placche di adesione) sono giunzioni ancoranti
presenti nella membrana del dominio basale delle cellule epiteliali; mediante le adesioni focali le
cellule dello strato più profondo degli epiteli interagiscono con la matrice extracellulare. Le adesioni
focali sono costituite da proteine transmembrana appartenenti alla famiglia delle integrine e da
proteine (tra cui vinculina, tensina e talina) che costituiscono un ponte tra le integrine e i filamenti di
actina del citoscheletro. Le adesioni focali sono importanti negli epiteli in quanto coinvolte nella
modulazione dei segnali provenienti dalla matrice extracellulare.

Pieghe basali: o infolding, sono specializzazione del dominio basale delle cellule epiteliali coinvolte
nel trasporto attivo di acqua e ioni. Sono costituite da ripiegamenti della membrana citoplasmatica
all'interno della cellula, perpendicolari alla membrana basale. Tra le pieghe si trovano numerosi
mitocondri. Le pieghe basali rappresentano una specializzazione che aumenta la superficie
utilizzabile per il trasporto transmembrana e i mitocondri in questa sede forniscono l'ATP necessario
per il trasporto attivo. Un numero elevato di pieghe basali a osservabile al microscopio ottico nei
dotti intralobulari delle ghiandole salivari. Questi dotti sono chiamati striati proprio per l'abbondanza
delle pieghe che conferiscono un aspetto striato alla porzione basale del citoplasma. Pieghe baso-
laterali si riscontrano a livello dei tubuli contorti prossimali e distali del rene.

Rinnovamento e riparazione
Gli epiteli di rivestimento hanno tutti la capacità di rinnovarsi, grazie alla presenza (nello strato più
profondo nel caso di epiteli pluristratificati) di cellule staminali. Questa capacità varia a seconda
della sede e dello stato funzionale. L'epidermide è certamente uno degli epiteli con un turnover
molto spiccato. Le cellule basali si differenziano in squame cornee mediamente in 28 giorni. Il
tempo di differenziamento può però variare (20-70 giorni) a seconda della sede, in base agli stimoli
meccanici a cui è sottoposta l'epidermide e in base all'età dell'individuo. La capacità di
rigenerazione è molto elevata anche nell'epitelio intestinale dove le cellule vengono rinnovate ogni
2-4 giorni grazie alla presenza delle cellule staminali presenti nella porzione profonda delle cripte di
Lieberkühn (ghiandole tubulari ramificate tipiche dell'intestino tenue) e delle ghiandole tubulari
semplici del colon. Un tempo di turnover invece molto più lungo caratterizza i mesoteli (pleura,
peritoneo e pericardio). Durante il processo di rinnovamento degli epiteli, giunzioni come gli
emidesmosomi e gli stessi desmosomi sono sottoposti ad un continuo turnover per consentire il
differenziamento delle cellule e il loro spostamento nell'ambito dell'epitelio.
La proliferazione cellulare all'interno degli epiteli è influenzata da fattori di crescita prodotti dalle
cellule del tessuto connettivo sottostante. A seguito di lesioni epiteliali, la riparazione del tessuto
comporta la partecipazione delle cellule (di quelle basali se ci sono più strati), della membrana basale
e della matrice extracellulare del tessuto connettivo sottostante insieme a fattori di crescita. Tra
questi, nel caso esemplificativo dell'epidermide, si annoverano il KGF (Keratinocyte Growth Factor)
e l'EGF (Epidermal Growth Factor) che insieme con la Vitamina A (precursore dell'acido retinoico,
importante agente differenziativo durante lo sviluppo sia prenatale che postnatale) inducono i
processi differenziativi dei cheratinociti.

Classificazione degli epiteli di rivestimento


Gli epiteli di rivestimento si classificano in base:
• al numero di strati cellulari:
• alla morfologia delle cellule (principalmente di quelle superficiali se gli strati sono più d'uno).

In base al numero di strati cellulari distinguiamo:


• Epiteli semplici sono costituiti da un unico strato di cellule che poggiano tutte sulla membrana
basale. Appartengono agli epiteli semplici anche i cosiddetti epiteli pseudostratificati, epiteli
costituiti da cellule di diversa altezza che poggiano tutte sulla membrana basale ma delle quali solo
alcune raggiungono la superficie libera;
• Epiteli composti o pluristratificati sono costituiti da due a più strati cellulari. In questi epiteli solo
le cellule dello strato più profondo sono appoggiate alla membrana basale. Appartiene agli epiteli
composti anche l'epitelio di transizione (tipico delle vie urinarie e per questo detto anche urotelio) la
cui morfologia e numero di strati cellulari variano a seconda dello stato funzionale dell'organo
(vescica e uretere) che riveste.

In base alla morfologia delle cellule gli epiteli di rivestimento si dividono in:
• Epiteli pavimentosi (o squamosi) quando le cellule che li costituiscono hanno come dimensione
maggiore la larghezza;
• Epiteli cubici (o isoprismatici) quando le tre dimensioni (altezza, larghezza e profondità) delle
cellule che li costituiscono si equivalgono;
• Epiteli cilindrici (o batiprismatici) quando le cellule che li costituiscono hanno come dimensione
maggiore l'altezza.

È bene sottolineare che negli epiteli composti la classificazione in base alla forma delle cellule si
effettua osservando le cellule più superficiali, cioè quelle rivolte verso il lume dell'organo o la
superficie del corpo. Le cellule appoggiate alla membrana basale di tutti gli epiteli composti sono
infatti cubiche o cilindriche. Lo strato basale - quando presente - contiene cellule staminali che
permettono la rigenerazione dell'epitelio e che danno origine a cellule che si differenziano negli strati
cellulari più superficiali.Oltre ai due criteri sopracitati alcuni epiteli semplici si classificano anche in
base alle presenza di particolari specializzazioni della superficie apicale delle cellule.

È inoltre importante ricordare che la classificazione morfologica delle cellule non deve ingenerare il
concetto errato che le cellule siano fisse nel tempo in quanto la morfologia delle cellule è correlata
con il loro stato funzionale. Alcuni epiteli di rivestimento possono andare incontro a metaplasia, cioè
alla trasformazione, in un altro tessuto differenziato dello stesso tipo (epitelio di rivestimento) in
risposta ad uno stimolo esterno. Tale trasformazione può essere reversibile. Fenomeni di metaplasia
sono stati ampiamente studiati nell'epitelio di rivestimento del terzo inferiore dell'esofago (esofago di
Barrett) e nell'epitelio dell'endocervice (giunzione squamo-colonnare). In alcuni casi la metaplasia va
considerata un fenomeno patologico che può preludere alla trasformazione neoplastica.

— Epitelio pavimentoso semplice: è costituito da un unico strato di cellule piatte che poggiano tutte
sulla membrana basale. La disposizione delle cellule in questo epitelio ricorda le piastrelle di un
pavimento. Le cellule presentano il nucleo ovoidale nella parte centrale della cellula che risulta più
spessa rispetto ai margini, che sono generalmente irregolari e presentano giunzioni intercellulari.
Dato lo spessore estremamente ridotto, l'epitelio pavimentoso semplice è particolarmente adatto a
facilitare il passaggio di metaboliti e molecole gassose. Sono epiteli pavimentosi semplici:
l'endotelio, il mesotelio, l'epitelio degli alveoli polmonari, il foglietto parietale della capsula di
Bowman e l'epitelio del labirinto membranoso dell'orecchio.
L'endotelio è l'epitelio pavimentoso semplice che riveste i vasi sanguigni, i vasi linfatici e le cavità
del cuore. Nel caso dei capillari più piccoli è anche possibile che una cellula endoteliale delimiti da
sola il lume del capillare. Le cellule endoteliali presentano l'asse maggiore disposto parallelamente
all'asse del vaso e presentano il nucleo nella parte centrale della cellula, che protrude nel vaso. Le
cellule endoteliali sono caratterizzate da margini irregolari che permettono di aumentare la superficie
di contatto fra cellule contigue e sono unite da giunzioni del tipo occludente e ancorante (zonulae
adhaerentes e desmosomi) conferendo una certa resistenza meccanica ai vasi. Nelle cellule
endoteliali è attivo il meccanismo della transcitosi mediante il quale molecole presenti nel circolo
sanguigno vengono trasportate al tessuto connettivo circostante (ed anche in direzione opposta)
accoppiando un fenomeno di endocitosi ad un fenomeno di esocitosi sul versante opposto della
cellula. Le giunzioni occludenti non sono perfettamente a tenuta (cosiddette leaky junctions) tranne
che nei vasi sanguigni del sistema nervoso centrale, ove le cellule endoteliali sono unite mediante
giunzioni occludenti che costituiscono una componente fondamentale della barriera emato-
encefalica, la quale protegge il SNC dall'ingresso di sostanze potenzialmente nocive e impedisce
anche l'ingresso di molti farmaci. A livello del parenchima polmonare, ed in particolare nei setti
interalveolari, le cellule endoteliali sono a ridosso di un altro epitelio pavimentoso semplice
costituito dai pneumociti di 1° tipo (che rivestono gli alveoli polmonari) con i quali costituiscono la
cosiddetta barriera aria-sangue. In questa sede due epiteli pavimentosi semplici (cellule endoteliali e
pneumociti di 1° tipo) sono separati semplicemente dalla lamina basale prodotta da entrambi i tipi di
cellule epiteliali (come avviene anche nei glomeruli renali). È così possibile un passaggio per
diffusione molto efficiente dell'ossigeno (dall' alveolo al sangue) e dell'anidride carbonica (dal
sangue all'alveolo). È da notare che l'epitelio alveolare contiene anche cellule più voluminose,
pneumociti di 2° tipo, che secernono una sostanza tensioattiva (surfactante) necessaria per la buona
funzione del polmone.
Il mesotelio è l'epitelio pavimentoso semplice che riveste le cavità sierose che delimitano le grandi
cavità interne del nostro organismo non comunicanti con l'esterno, rappresentate dalle cavità
pleuriche, pericardica e peritoneale, oltre alla tunica vaginale del testicolo. La funzione del mesotelio
non è legata al trasporto di metaboliti o sostanze gassose come nel caso dell'endotelio ma alla
riduzione dell'attrito. II mesotelio è infatti ricoperto da un velo di liquido

— Epitelio cubico semplice: è costituito da un unico strato di cellule pressoché cubiche con il nucleo
sferico posto al centro della cellula. A seconda delle sedi le cellule possono essere dotate di ciglia o
di microvilli, o essere prive di differenziazioni superficiali. Questo tipo di epitelio è tipico dei dotti di
ghiandole esocrine, dei dotti collettori renali e di alcune porzioni del tubulo renale (tubulo contorto
prossimale e distale). Nell'apparato genitale maschile epitelio cubico semplice riveste i tubuli retti e
la rete testis e ha funzione secretiva esocrina, come pure a livello delle vescichette seminali, ove
peraltro si può considerare un epitelio ghiandolare piuttosto che di rivestimento. Nell'apparato
genitale femminile l'epitelio germinativo (così chiamato perché in passato si pensava erroneamente
che le cellule della linea germinale si differenziassero da questo epitelio), che riveste le ovaie, è
anch'esso cubico semplice, a differenza del restante epitelio peritoneale che è pavimentoso semplice.
A livello dell'apparato respiratorio, epitelio cubico semplice ciliato riveste i bronchioli terminali
mentre la variante non ciliata riveste i bronchioli respiratori.

— Epitelio cilindrico semplice: costituito da un unico strato di cellule la cui altezza è maggiore delle
altre due dimensioni. Le cellule appaiono quindi come strutture colonnari che poggiano sulla
membrana basale. Il nucleo allungato delle cellule cilindriche semplice è disposto nella porzione
basale delle cellule. Le cellule cilindriche spesso sono unite fra di loro da sistemi giunzionali. Le
funzioni (secrezione, assorbimento, trasporto) dell'epitelio cilindrico semplice variano a seconda delle
specializzazioni (microvilli, ciglia) presenti sulla superficie libera delle cellule. L'epitelio cilindrico
semplice è infatti presente nell'organismo umano in due differenti varianti:
• Epitelio cilindrico semplice non ciliato (costituito da cellule che possono essere dotate di
microvilli, oppure avere attività secernente);
• Epitelio cilindrico semplice ciliato.

. Epitelio cilindrico semplice non ciliato: è presente in particolare nei dotti escretori delle ghiandole,
a livello della mucosa gastrica (cellule di rivestimento) ed intestinale (enterociti). Le cellule epiteliali
di rivestimento della mucosa gastrica sono cellule cilindriche disposte in unico strato, specializzate
nella produzione di muco neutro che protegge la mucosa gastrica dall'azione degli acidi e degli
enzimi prodotti dalle ghiandole gastriche che sboccano nelle fossette gastriche. Anche le cellule di
rivestimento della mucosa gastrica sono polarizzate, con il nucleo disposto nella porzione basale e
con una porzione apicale occupata dal prodotto di secrezione. Data la composizione (acqua e
mucine) del muco la porzione apicale di tale cellule è scarsamente colorabile con le colorazioni di
routine mentre è apprezzabile dopo colorazione PAS (acido periodico-reattivo di Schiff). Le cellule
di rivestimento inoltre presentano sulla loro superficie apicale corti microvilli (forniti di abbondante
glicocalice) e sono unite fra di loro da giunzioni occludenti e da zonulae adherentes. Gli enterociti,
cellule assorbenti dell'intestino, sono cellule specializzate nella digestione e nell'assorbimento. La
loro porzione apicale è caratterizzata da numerosi (alcune migliaia) microvilli che nel loro insieme
costituiscono il cosiddetto orletto a spazzola osservabile al microscopio ottico. In questa sede, i
microvilli sono associati alla componente glucidica dell'abbondante glicocalice che è evidenziabile
mediante colorazione PAS. Sui microvilli degli enterociti e nel glicocalice sono localizzati enzimi
coinvolti nella demolizione finale di proteine e zuccheri e sistemi di trasporto per l'assorbimento
degli amminoacidi e degli zuccheri semplici. I grassi presenti nel lume intestinale, emulsionati dalla
bile (prodotta dal fegato e riversata nel duodeno), sono trasformati dalle lipasi pancreatiche rilasciate
nel duodeno in monogliceridi e acidi grassi che penetrano negli enterociti dove vengono esterificati a
trigliceridi nel reticolo endoplasmatico liscio. I trigliceridi così formati negli enterociti vengono uniti
a proteine nell'apparato del Golgi formando i chilomicroni, che vengono quindi rilasciati nei vasi
chiliferi (presenti nella tonaca propria della mucosa intestinale) e, successivamente, nei plessi
linfatici della sottomucosa intestinale. Glicerolo ed acidi grassi a catena corta vengono invece
assorbiti per diffusione semplice dagli enterociti e passano direttamente nei capillari sanguigni.
L'assorbimento selettivo da parte degli enterociti è reso possibile, oltre che dagli enzimi e dalle
proteine di trasporto specifiche presenti sulla superficie apicale di queste cellule, anche dalla
presenza di complessi giunzionali sul loro dominio laterale ed in particolar modo dalla presenza di
giunzioni occludenti. Queste ultime impediscono il libero passaggio di molecole nello spazio
paracellulare facendosi sì che l'assorbimento intestinale sia guidato dagli enterociti stessi. È
importante però sottolineare che la permeabilità di tali giunzioni può essere regolata da numerosi
stimoli extracellulari, quali ad esempio quelli dovuti a cambiamenti della concentrazione del
glucosio nel lume intestinale o a molecole come le citochine. E infine importante ricordare che gli
enterociti sono le cellule più abbondanti nell'epitelio intestinale ma non le uniche. Infatti tra gli
enterociti si trovano anche cellule mucipare caliciformi, ghiandole esocrine unicellulari che
producono muco che riveste l'epitelio intestinale proteggendolo dall'autodigestione, da lesioni o da
potenziali agenti patogeni. Il numero delle cellule mucipare caliciformi aumenta andando dal
duodeno all'ileo e queste cellule prevalgono sugli enterociti a livello dell'intestino crasso.

. Epitelio cilindrico semplice ciliato: riveste le tube uterine e parte dell'utero. Il movimento delle
ciglia presenti sulla superficie libera delle cellule cilindriche ha la funzione di spostare la cellula
uovo e, in caso di fecondazione, il prodotto del concepimento (in collaborazione con la peristalsi
della muscolatura tubarica) verso il sito di annidamento nell'utero. In queste sedi inoltre le cellule
cilindriche ciliate sono intervallate a cellule cilindriche prive di ciglia, secernenti muco con funzione
adesiva e nutritiva nei confronti della cellula uovo o del prodotto del concepimento. In questo
epitelio la proporzione tra i due tipi di cellule, le dimensioni cellulari e il numero delle ciglia variano
a seconda della fase del ciclo ovarico e sono quindi influenzati dagli ormoni ovarici.Epitelio
cilindrico semplice ciliato si ritrova anche nell'apparato respiratorio a livello dei bronchioli. In questa
sede il movimento delle ciglia ha la funzione di rimuovere eventuali inquinanti che possono essere
entrate nell'apparato respiratorio con l'aria inalata.

— Epitelio cilindrico pseudostratificato: è costituito da cellule che poggiano tutte sulla membrana
basale, ma di cui solo alcune arrivano alla superficie libera dell'epitelio. Il termine pseudostratificato
deriva dal fatto che, nelle sezioni istologiche osservate al microscopio ottico, i nuclei appaiono
situati a differenti altezze, come in un epitelio pluristratificato. I nuclei disposti più in profondità
appartengono a cellule staminali che sono responsabili del ricambio dell'epitelio. Come per l'epitelio
cilindrico semplice anche le funzioni (secrezione, assorbimento, trasporto) dell'epitelio cilindrico
pseudostratificato variano a seconda delle specializzazioni (microvilli, ciglia o stereociglia) presenti
sulla superficie libera delle cellule. Anche questo tipo di epitelio è presente nell'organismo umano in
due differenti varianti:
• Epitelio cilindrico pseudostratificato non ciliato (costituito da cellule che possono essere dotate di
microvilli o stereociglia);
• Epitelio cilindrico pseudostratificato ciliato.

. Epitelio cilindrico pseudostratificato non ciliato: riveste alcuni tratti extratesticolari delle vie
genitali maschili (dove le cellule sono dotate di stereociglia), precisamente l'epididimo e il dotto
deferente. In questa sede le stereociglia, mediante fenomeni di secrezione e di assorbimento nei
confronti del liquido seminale, sono coinvolte nella maturazione degli spermatozoi ed in particolare
nell'acquisizione della motilità.

. Epitelio cilindrico pseudostratificato ciliato. L'epitelio cilindrico pseudostratificato ciliato riveste


la maggior parte delle vie aeree superiori, la laringe, la trachea ed i bronchi e rappresenta l'epitelio
tipico dell'apparato respiratorio, motivo per il quale viene anche chiamato epitelio respiratorio. In
queste sedi le cellule cilindriche ciliate sono intervallate con cellule mucipare caliciformi che
producono muco. Le ciglia, che battono in un'unica direzione, hanno il compito di trasportare il
muco con le particelle ivi intrappolate verso l'esterno per essere espettorato o verso la faringe per
essere ingerito. Il numero delle cellule ciliate e delle cellule caliciformi mucipare può variare a
seconda dei soggetti. Per esempio negli individui fumatori il numero di cellule ciliate diminuisce
mentre aumenta il numero delle cellule mucipare caliciformi determinando un accumulo di muco
nelle vie aeree.
Epitelio squamoso pluristratificato o pavimentoso composto, è costituito da un numero variabile di
strati cellulari a seconda delle sedi in cui si trova. Le cellule squamose costituiscono lo strato più
superficiale dell'epitelio. Le cellule dello strato più profondo (che poggiano sulla membrana basale)
sono costituite da cellule generalmente cubiche o cilindriche, che comprendono le cellule staminali
che sono in grado di dividersi mitoticamente e di rigenerare l'epitelio. Questo strato è detto basale
(per la posizione) o germinativo (per una delle sue funzioni). Le cellule degli strati intermedi,
derivanti dalle cellule degli strati più profondi dell'epitelio, subiscono un differenziamento
progressivo. Data la struttura e lo spessore, generalmente elevato, questo epitelio svolge una
funzione principalmente di protezione da agenti fisici, chimici, biologici e - nella variante
cheratinizzata (o corneificata) - permette di ridurre la perdita di liquidi. Un'altra conseguenza
dell'elevato spessore di questi epiteli è rappresentata dall'esigenza di dover nutrire anche gli strati più
superficiali dell'epitelio da parte del tessuto connettivo sottostante. Nelle immagini al microscopio
ottico è chiaramente visibile come la struttura di separazione (membrana basale) tra gli epiteli
squamosi pluristratificati e il tessuto connettivo sottostante non è lineare ma è costituita da creste
epiteliali e papille connettivali (o dermiche) che si alternano nell'interfaccia tra i due tessuti che
rimangono comunque separati dalla membrana basale. In questo modo si aumenta la superficie di
contatto tra i due tessuti, incrementando da una parte la resistenza meccanica e dall'altra la superficie
a disposizione per gli scambi metabolici.
L'epitelio squamoso pluristratificato esiste in due varianti:
• Epitelio squamoso pluristratificato non cheratinizzato;
• Epitelio squamoso pluristratificato cheratinizzato.

. Epitelio squamoso pluristratificato non cheratinizzato riveste la cavità orale, la faringe, l'esofago,
il tratto distale del retto, la vagina, il tratto distale dell'uretra femminile e maschile e la cornea. Le
cellule dello strato più profondo che poggiano sulla membrana basale includono cellule staminali che
differenziandosi perdono la loro capacità mitotica e sostituiscono le cellule degli strati più
superficiali che vengono eliminate. Le cellule dello strato intermedio sono disposte in tre o più file.
Tra le cellule degli strati più profondi dello strato intermedio sono molto abbondanti i desmosomi
che invece tendono a diminuire negli strati superficiali. La forma delle cellule cambia, divenendo
sempre più appiattita verso gli strati più superficiali. Le cellule squamose di questo tipo di epitelio
posseggono ancora un nucleo anche nello strato più superficiale che ne testimonia la vitalità,
presentano scarsi desmosomi e vengono perse dalla superficie dell'epitelio. Infine le cellule
superficiali possono presentare accumuli di glicogeno che le rendono poco colorabili nelle
preparazioni di routine.

. Epitelio squamoso pluristratificato cheratinizzato costituisce l'epitelio di rivestimento del corpo


umano (epidermide). Inoltre questo tipo di epitelio, caratterizzato da diverso spessore e diversi gradi
di cheratinizzazione, si può riscontrare anche in altre sedi come la mucosa orale che riveste le
gengive, il palato duro e la superficie dorsale della lingua, a causa delle sollecitazioni meccaniche
dovute alla masticazione dei cibi solidi. L'epitelio squamoso pluristratificato cheratinizzato si
differenzia dalla variante non cheratinizzata per la presenza sulla superficie dello strato corneo,
costituito da cellule appiattite (squame cornee) non più vitali, caratterizzate dall'assenza di nucleo e
di altri organelli cellulari. Le cellule dello strato corneo appaiono ricche di componenti del
citoscheletro, in particolare di cheratina, filamento intermedio tipico degli epiteli, e sono fortemente
disidratate (l'acqua rappresenta circa un terzo del peso, contro oltre i due terzi delle altre cellule).

Epidermide
L'epidermide è costituita principalmente da cheratinociti che subiscono il processo di citomorfosi
cornea, cioè di corneificazione, passando dallo strato basale agli strati più superficiali: spinoso,
granuloso, lucido (presente solo nella pelle spessa, palmo delle mani e pianta del piede) e corneo.
Durante questo differenziamento le cellule perdono la capacità di dividersi e sintetizzano
citocheratine diverse a seconda dello stadio di differenziamento e quindi per ogni strato
dell'epidermide. Le citocheratine sono una famiglia di proteine (circa 30) che costituiscono i
filamenti intermedi tipici degli epiteli, chiamati tonofilamenti, e che sono coinvolte nella formazione
dei desmosomi. La citomorfosi cornea determina in realtà la morte cellulare dei cheratinociti che
durante i passaggi nei diversi strati dell'epidermide perdono i diversi organuli, compreso il nucleo, e
accumulano aggregati di citocheratine. L'epidermide rappresenta l'epitelio che, insieme con il derma,
tessuto connettivo denso sottostante, costituisce la cute o pelle. Lo spessore dell'epidermide varia da
50 um a 1.5 mm nelle diverse sedi a seconda delle sollecitazioni meccaniche a cui è sottoposta la
cute, il cui spessore nel suo insieme varia tra 0,5 mm e 4 mm. Essendo formata da molti strati
cellulari e non essendo vascolarizzata l'epidermide deve essere nutrita dal derma sottostante. Al fine
di rendere più efficiente possibile lo scambio di molecole e di gas tra i cheratinociti, anche più
superficiali, e i vasi contenuti nel derma, la membrana basale il cui spessore divide questi due tessuti
si ripiega a rivestire le cosiddette creste epiteliali e papille dermiche che si alternano tra loro. Il
termine "creste"indica zone di epitelio che si approfondano nel connettivo; il termine "papille" indica
zone di connettivo che si allungano verso la superficie. Si hanno così le papille dermiche, che dal
connettivo si spingono entro l'epitelio, che determinano la formazione di creste cutanee che si
sollevano verso l'esterno sulla superficie dell'epitelio; queste sono particolarmente vistose sulla cute
palmare e plantare, dove danno origine ai dermatoglifi cioè alle impronte digitali. All'epidermide
sono associati una serie di annessi cutanei (ghiandole sudoripare, ghiandole sebacee, ghiandole
mammarie, follicoli piliferi e unghie) anch'essi di derivazione ectodermica, e che sono coinvolti nelle
diverse funzioni che l'epidermide è chiamata a svolgere quali: protezione meccanica, difesa
immunitaria, prevenzione dalla disidratazione, regolazione della temperatura corporea e la ricezione
di stimoli sensoriali. Oltre ai cheratinociti nell'epidermide si ritrovano altri tipi cellulari: i melanociti,
responsabili della produzione di melanina; cellule del Langerhans, cellule dendritiche del sistema
immunitario; cellule di Merkel, meccanocettori associati a terminazioni nervose. Questi tipi di
cellule si trovano anche in epiteli pavimentosi composti delle mucose e nell'epitelio cilindrico
composto della congiuntiva (ove usualmente i melanociti sono inattivi, almeno nei soggetti
caucasici).

Strato basale. Lo strato basale è costituito da cellule cubiche/ cilindriche che poggiano tutte sulla
membrana basale a cui sono legate mediante emidesmosomi. Il citoplasma delle cellule basali è
scarso e ricco di ribosomi e questo rende ragione della vicinanza dei nuclei e dell'elevata basofilia. I
nuclei sono ovali, disposti perpendicolarmente alla membrana basale e con nucleoli evidenti. Sono
inoltre rilevabili spesso figure mitotiche che testimoniano l'elevata capacità proliferativa tipica delle
cellule basali; non si reperiscono mitosi al di fuori di questo strato, se non in caso di trasformazione
tumorale. Nel citoplasma apicale si riscontrano granuli di melanina (melanosomi, prodotti dai
melanociti presenti principalmente nello strato basale, vedi paragrafo specifico). Le cellule sono
unite fra di loro e alle cellule dello strato spinoso sovrastante mediante desmosomi. La microscopia
elettronica mostra scarsi mitocondri e RER e apparato del Golgi poco sviluppati, mentre sono
abbondanti i poliribosomi,espressione di un'elevata sintesi di proteine citosoliche (citocheratine). Le
cellule basali sintetizzano grosse quantità di citocheratina di tipo 5 (K5) e 14 (K14). Le cellule che
iniziano la citomorfosi cornea si spostano verso lo strato spinoso perdendo il contatto con la
membrana basale in seguito al blocco dell'espressione di integrine (ad es. l'integrina α 6β4). Nello
strato basale, intercalate ai cheratinociti si localizzano anche le cellule di Merkel (vedi paragrafo
specifico), che sono unite ai cheratinociti mediante desmosomi e contraggono rapporto con
terminazioni nervose sensitive afferenti insieme alle quali costituiscono dei meccanocettori (recettori
tattili sensibili alla pressione superficiale).

Strato spinoso (o del Malpighi) è costituito da più strati (da 4 a 10 a seconda delle sedi) di cellule
poliedriche più voluminose rispetto a quelle dello strato basale, con nucleo sferico è unite fra di loro
da numerosi desmosomi che, al microscopio ottico, sono evidenziabili come "spine cellulari"
precedentemente descritte. Il citoplasma è più abbondante e più povero di ribosomi quindi le cellule
appaiono più acidofile. Grossi fasci di tonofilamenti di citocheratina KI e KI0 (in aggiunta a K5 e
K14 che rimangono dallo strato basale ma non sono ulteriormente sintetizzate) si aggregano in
tonofibrille che sono associate ai desmosomi. Mutazioni dei geni che codificano per queste due
citocheratine determinano la ipercheratosi epidermolitica che si manifesta con una eccessiva
cheratinizzazione e rottura dell'epidermide. Tale condizione è particolarmente grave nei neonati in
quanto sono soggetti ad una disidratazione eccessiva e possono sviluppare infezioni alla pelle o più
generalizzate (sepsi). Le cellule più vicine allo strato granuloso contengono nel loro citoplasma
apicale anche granuli (diametro 100-300 nm) che gemmano dall'apparato del Golgi. Tali granuli,
chiamati cheratinosomi (o corpi multilamellari o mem-brane-coating granules o granuli di Odland),
contengono lamelle di natura lipidica (prevalentemente glicosfingolipidi, colesterolo e ceramidi, tra
cui l'acetilglucosilceramide è la molecola più abbondante). Queste sostanze sono esocitate nello
spazio extracellulare sulla superficie dei cheratinociti dello strato granuloso che guarda lo strato
corneo e contribuiscono a costituire una barriera lipidica impermeabile all'acqua che previene la
disidratazione così come l'assorbimento di acqua e molecole idrosolubili (Figura 7.25B). I
cheratinociti prossimi allo strato granuloso sintetizzano inoltre l'involucrina, una proteina che andrà
a rivestire il foglietto citoplasmatico della membrana cellulare partecipando alla formazione
dell'involucro corneificato delimitante le squame cornee; ad essa si aggiungeranno altre proteine
sintetizzate negli strati più superficiali.

Strato granuloso: è costituito da 1-6 strati di cheratinociti che acquisiscono la forma pavimentosa e
hanno un nucleo con evidenti alterazioni simili a quelle dell'apoptosi. I cheratinociti in questo strato
sono uniti sia da desmosomi che da giunzioni occludenti. Insieme al già menzionato strato lipidico
posto all'interfaccia tra strato granuloso e strato corneo queste giunzioni contribuiscono alla barriera
impermeabile dell'epidermide. Il nome di questo strato (granuloso) deriva dal fatto che i cheratinociti
presentano nel loro citoplasma dei granuli basofili di dimensioni di 0,5-1 um e non delimitati da
membrana. Questi granuli, definiti granuli di cheratoialina, sono costituiti principalmente da una
proteina ricca di residui di istidina, la filaggrina e dai suoi precursori. La filaggrina è coinvolta
nell'assemblaggio dei tonofilamenti di cheratina (costituiti in questo strato anche da cheratine K2 e
K9). Nei granuli di cheratoialina inoltre è presente la loricrina, una proteina ricca di serina, glicina e
di ponti disolfuro che va ad aggiungersi all'involucrina, prodotta nello strato spinoso, a costituire
l'involucro corneificato. Altre proteine presenti nei granuli sono in via di caratterizzazione.
Mutazioni del gene che codifica la citocheratina K9 determinano la cheratodermia palmo-plantare
epidermolitica che come indica il nome colpisce il palmo delle mani e la pianta dei piedi, ove la K9
viene espressa maggiormente. Tale mutazione provoca una minor capacità di resistere agli stimoli
meccanici esterni e la formazione di vesciche concomitanti con l'ipercheratosi. L'ittiosi lamellare,
malattia genetica eterogenea, nella maggior parte dei casi è invece dovuta alla mutazione nel gene
che codifica per la transglutaminasi 1 (TGM1), un enzima che controlla il legame delle proteine
dell'involucro corneificato in particolare involucrina e loricrina. I neonati affetti da questa patologia
nascono con un fenotipo tipico chiamato "collodion baby". Il corpo appare ricoperta da una
membrana ialina che rende difficoltosa la respirazione e la nutrizione. Con la rottura della membrana
il neonato è a rischio di disidratazione ed infezione, inoltre presenta squame cornee di grosse
dimensioni

Strato Lucido è presente solo nella cute spessa (pianta del piede e palmo della mano) ed è costituito
da pochi strati di cheratinociti appiattiti, acidofili, privi di nucleo ed organelli. La membrana
citoplasmatica è ispessita a formare l'involucro corneificato. Lo strato lucido si riconosce nei
preparati istologici in quanto i cheratinociti appaiono rifrangenti grazie alla presenza nel loro
citoplasma di numerose gocce di lipidi, nel loro insieme identificati come eleidina.

Strato corneo costituisce lo strato più superficiale ed è costituito da cheratinociti morti (corneociti o
squame cornee). Lo spessore di questo strato è direttamente dipendente dalle sollecitazioni
meccaniche a cui viene sottoposta l'epidermide. La cute spessa (palmo delle mani e pianta del piede)
sarà caratterizzata quindi da uno strato corneo molto più spesso rispetto alla cute sottile. In
particolare il tallone o formazioni callose a livello del palmo delle mani presentano uno strato corneo
molto spesso mentre al contrario le palpebre sono caratterizzate da uno strato corneo estremamente
sottile. Le squame cornee sono prive di nucleo ed organelli, il citosol è ripieno di filamenti di
citocheratine omogeneamente distribuiti e immersi in una matrice densa; l'involucro corneificato è
formato da involucrina, loricrina, filaggrina e small-proline rich proteins (SRPs). Queste proteine
sono legate covalentemente ai filamenti di citocheratine in una reazione calcio-dipendente che
avviene nel passaggio dei cheratinociti tra lo strato granuloso e lo strato corneo. Lo strato lipidico
esterno alla membrana citoplasmatica è costituito principalmente da derivati
dell'acetilglucosilceramide che, attraverso il loro dominio transmembrana, si legano all'involucrina
dell'involucro corneificato influenzando così la solidità di questa struttura intracellulare. I lipidi che
sono stati rilasciati dai corpi lamellari negli strati sottostanti riempiono gli spazi intercellulari tra le
squame cornee formando una barriera impermeabile ai fluidi sia verso l'esterno che verso l'interno.
Più dell'80% del peso secco dello strato corneo è formato da proteine che possono legare o rilasciare
l'acqua, in base alle condizioni esterne, regolando così l'elasticità dello strato corneo. Il contenuto
idrico dei corneociti (squame cornee) è però nel complesso scarso, intorno al solo 30% in peso. Le
squame cornee, unite da desmosomi modificati, nei piani più superficiali si staccano grazie ad enzimi
contenuti nei cheratinosomi (strato disgiunto); le squame cornee vengono così perse continuamente
dalla superficie dell'epidermide e lo spessore dell'epidermide viene mantenuto costante dalla
continua attività delle cellule staminali basali.Dal punto di vista clinico una aumentata
desquamazione dello strato corneo è un elemento caratteristico nell'epidermide di soggetti affetti da
psoriasi, malattia infiammatoria con componente autoimmune. I cheratinociti dei soggetti affetti da
psoriasi a placche, la forma più diffusa, si differenziano molto velocemente in squame cornee e lo
strato disgiunto appare più spesso che nei soggetti sani, determinando la comparsa di zone biancastre
dovute allo sfaldamento precoce delle squame cornee. Inoltre, l'epidermide di questi pazienti appare
più spessa che nei soggetti sani in quanto presenta una iperplasia dovuta ad una eccessiva
proliferazione delle cellule basali. Tale proliferazione determina anche una maggiore estensione
delle papille epidermiche all'interno del derma sottostante. Lo sviluppo anomalo dei vasi nelle
papille dermiche molto profonde invece è responsabile dell'arrossamento al di sotto delle squame
biancastre. Lo. stato di infiammazione (associato ad edema del derma) e l'attivazione e l'infiltrazione
dei linfociti T nell'epidermide (fino allo strato corneo) sono aspetti tipici di questa patologia.

Melanociti sono le uniche cellule dell'epidermide in grado di sintetizzare la melanina in organelli


ellittici che si formano dall'apparato del Golgi, i premelanosomi. I melanociti derivano dalle cellule
della cresta neurale e migrano nell'epidermide dal terzo mese di vita embrionale. Sono presenti tra i
cheratinociti nello strato basale e presentano dei prolungamenti citoplasmatici (o dendriti) che si
estendono tra i cheratinociti dello strato spinoso. Nelle colorazioni di routine i melanociti non sono
riconoscibili mentre si mettono in evidenza con reazioni immunoenzimatiche (DOPA-reazione) che
permettono di identificare l'enzima tirosinasi. I melanociti hanno un nucleo sferico, contengono un
RER e un apparato del Golgi discretamente sviluppati e numerosi melanosomi, granuli di ellissoidali
di circa 0.5 um di diametro che gemmano dalla faccia trans del Golgi e maturano accumulando al
loro interno la melanina. L'assenza dei desmosomi permette ai melanociti di infiltrarsi tra i
cheratinociti dello strato basale e spinoso. I melanociti sono inoltre aderenti alla membrana basale
mediante emidesmosomi. La produzione della melanina corrisponde alla maturazione dei
premelanosomi in melanosomi maturi. I melanosomi immaturi (premelanosomi o melanosomi stadio
I e II),presenti unicamente nei melanociti, contengono l'enzima tirosinasi che catalizza l'ossidazione
della tirosina in 3,4-didrossifenilalanina (DOPA). La melanina si accumula negli stadi più avanzati
dei melanosomi (stadio III e IV) che si spostano lun-g° i processi dendritici per mezzo dei
microtubuli e che vengono trasferiti ai cheratinociti mediante un meccanismo di secrezione citocrina
durante il quale i cheratinociti in contatto con i prolungamenti dendritici ne fagocitano una porzione.
È importante sottolineare che la pigmentazione della pelle nelle diverse etnie non dipende dal
numero di melanociti presenti ma da una differente efficienza nella sintesi della melanina e nel
trasferimento dei melanosomi ai cheratinociti. Infatti i melanociti sono presenti nell'epidermide ad
una densità media pari a circa 500-1000 melanociti/mm (con variazioni a seconda della sede
corporea) e ciascun melanocita, mediante i suoi prolungamenti contrae rapporti con circa 30
cheratinociti (unità melaninica epidermica). A partire dalla DOPA vengono sintetizzate due diverse
forme di melanina: l'eumelanina e la feomelanina. L'eumelanina è la forma prodotta prevalentemente
da individui di carnagione scura e ha un colore marrone-nero mentre la feomela-nina è la forma
prodotta in maggioranza dagli individui di carnagione chiara (biondi pallidi) ed è di colore giallo-
rosso. Individui con carnagione più scura producono melanosomi più numerosi e con una maggiore
quantità di melanina. Inoltre i soggetti con carnagione scura degradano meno efficientemente la
melanina e di conseguenza presentano melanosomi anche negli strati epidermici più superficiali
(compreso lo strato corneo) mentre i soggetti di carnagione chiara degradano velocemente la
melanina e questa è quindi presente praticamente solo nei cheratinociti dello strato basale. Inoltre la
melanogenesi viene influenzata da diverse molecole tra le quali ha un ruolo centrale l’α-Melanocyte
Stimulating Hormone (α-MSH) prodotto dalla pars intermedia dell'ipofisi. L'influenza degli estrogeni
sulla melanogenesi è dimostrata dal melasma o cloasma (accumulo di melanina) che si manifesta in
condizioni di dominanza estrogenica (donne in gravidanza o durante l'assunzione di pillola
anticoncezionale). L'esposizione ai raggi ultravioletti induce un aumento della produzione di
melanina che determina la comparsa dell'abbronzatura e una maggiore evidenza delle cosiddette
efelidi. La melanina una volta trasferita ai cheratinociti protegge il DNA nei confronti delle
radiazioni UV; di contro l'azione dei raggi UV determina una efficienza maggiore nel trasferimento
dei melanosomi ai cheratinociti e induce la tirosinasi ad un'ulteriore sintesi di melanina
(principalmente di eumelanina). I melanociti sono cellule in grado di dividersi e la loro attività
diminuisce con l'età (l'incanutimento dei capelli ne è la manifestazione più evidente). Tra le molecole
che inducono la proliferazione dei melanociti si annoverano alcuni leucotrieni e il basic Fibroblast
Growth Factor (bFGF). Un numero ridotto o l'assenza completa dei melanociti sono la causa della
patologia conosciuta come vitiligine che si manifesta con la comparsa di aree ipocromiche o
acromiche rispettivamente. Queste zone hanno dei contorni netti rispetto alle aree circostanti a
differenza delle zone di ipomelanosi a bordi sfumati dell'epidermide di individui affetti da pitiriasi
alba, patologia discromica dovuta ad eccessiva secchezza dell'epidermide che determina la
desquamazione precoce dei cheratinociti e l'eliminazione della melanina. L'albinismo invece è una
patologia genetica dovuta all'incapacità dei melanociti di produrre la melanina, dovuta alla mancanza
di espressione dell'enzima tirosinasi o di altre molecole necessarie per la sintesi di melanina (esistono
diversi tipi di albinismo). I soggetti affetti da albinismo mancano di pigmentazione nella cute, iride,
coroide, peli e capelli.
Raggruppamenti di melanociti sono inoltre i responsabili della formazione di nei o nevi, congeniti o
acquisiti durante la crescita. Un accumulo di melanociti e un aumento contemporaneo della
melanogenesi invece è presente negli individui (generalmente con carnagione chiara) che presentano
lentiggini. La comparsa delle lentiggini è determinata geneticamente ed è dovuta ad una variante
allelica del gene che codifica per il melanocortin 1 receptor (MCR1R), presente sulla membrana dei
melanociti. Un tumore maligno molto aggressivo, il melanoma, deriva dalla trasformazione
neoplastica dei melanociti: si ha una fase iniziale di proliferazione con espansione radiale
superficiale, seguita da una fase di sviluppo verticale con invasione in profondità e la possibile
perdita della capacità di produrre melanina.

Cellule di Langerhans appartengono al sistema monocito-macrofagico e rappresentano


generalmente il 2-4% delle cellule epidermiche. Si trovano nello strato spinoso; qualcuna può
reperirsi in quello basale e in alcuni casi anche nello strato granuloso. Vengono trasportate alla cute
tramite il circolo sanguigno e sono coinvolte nell' immunità specifica. In particolare sono in grado di
riconoscere antigeni, di adsorbirli per endocitosi e di migrare attraverso il sistema linfatico ai
linfonodi, ove svolgono la funzione di cellule presentanti l'antigene (APC) ai linfociti, come spiegato
nel capitolo sul tessuto linfoide. Le cellule di Langerhans vengono definite dendritiche in quanto
presentano, come i melanociti, prolungamenti citoplasmatici ramificati. Non presentano desmosomi
ma sono unite fra di loro e ai cheratinociti circostanti mediante la molecola di adesione E-caderina.
La loro ultrastruttura è caratterizzata da un nucleo irregolare, numerosi lisosomi e i cosiddetti granuli
di Birbeck, granuli discoidali (lunghi circa 0.5 Mm) delimitati da membrana con una dilatazione che
in sezione trasversale gli dà un aspetto a racchetta da tennis. La parte lunga e sottile dei granuli di
Birbeck in sezione trasversale è formata da due membrane parallele tra le quali si interpongono
accumuli regolarmente ordinati di materiale elettron-opaco, con un aspetto a cerniera lampo ("zip-
like"). Studiando la localizzazione della langherina (proteina coinvolta nella biogenesi dei granuli di
Birbeck) è stato dimostrato che i granuli fanno parte del compartimento endosomiale e sono
coinvolti nell'internalizzazione degli antigeni che all'interno dei granuli vengono modificati
(principalmente vengono rimossi residui glucidici) per poi essere esposti di nuovo sulla membrana
cellulare. Le cellule di Langerhans sono in grado di dividersi mitoticamente, come pure di essere
rinnovate a partire da precursori circolanti. Una proliferazione incontrollata di queste cellule è
responsabile dell'istiocitosi a cellule di Langerhans, patologia prevalentemente pediatrica che può
coinvolgere oltre alla cute altri organi tra i quali milza, fegato, polmone e sistema nervoso centrale.
Dato il loro ruolo come APC le cellule di Langhernas sono coinvolte anche in una serie di patologie
come la dermatite allergica da contatto e la dermatite atopica in cui si riscontra un'anomala risposta
immunitaria.

Cellule di Merkel sono cellule rotondeggianti di circa 10 mm di diametro che si poggiano sulla
membrana basale dell'epidermide, particolarmente abbondanti a livello dei polpastrelli e alla base dei
follicoli piliferi. Presentano un nucleo irregolare, filamenti intermedi di cheratina e vescicole
contenenti neurotrasmettitori. Le cellule di Merkel sono unite tra di loro e ai cheratinociti circostanti
mediante desmosomi. Derivano da cellule della cresta neurale e costituiscono, insieme alla fibre
nervosa sensitiva con cui contraggono rapporti tramite il loro dominio basale, una unità recettoriale
(tangorecettore), chiamata recettore di Merkel, specializzata nella ricezione di stimoli tattili. In
seguito a stimoli di tipo meccanico, le cellule di Merkel rilasciano ioni calcio dai depositi
intracellulari inducendo il rilascio per esocitosi dei neurotrasmettitori contenuti nelle vescicole. A
loro volta i neurotrasmettitori stimolano la porzione distale della fibra nervosa sensitiva che entrando
nell'epidermide perde la sua guaina mielinica e dilatandosi contrae rapporti con la porzione basale
della cellule di Merkel. Una loro trasformazione in senso neoplastico da origine al carcinoma a
cellule di Merkel.

Epitelio cubico o cilindrico pluristratificato


Questo epitelio è costituito da due o raramente da più strati di cellule cubiche o cilindriche
rispettivamente, che si differenziano da cellule staminali che poggiano sulla membrana basale.
Riveste i dotti escretori di alcune ghiandole esocrine (ad es. quelle salivari maggiori) e si ritrova
anche in alcuni tratti della mucosa laringea e faringea e nella mucosa del fornice congiuntivale.

Epitelio di transizione è l'epitelio tipico delle vie urinarie (per questo chiamato anche urotelio) che
tappezza i lumi dei calici renali, della pelvi renale, degli ureteri e della vescica, oltre che l'uretra
femminile e l'uretra prostatica maschile prossimalmente allo sbocco dei dotti eiaculatori. È una
forma specializzata di epitelio squamoso pluristratificato. Il nome di questo epitelio deriva dal fatto
che la morfologia e lo spessore dell'epitelio variano a seconda dello stato funzionale dell'organo che
riveste. L'epitelio di transizione è costituito da tre strati differenti di cellule: basale, intermedio e
superficiale. Lo strato basale comprende cellule staminali e poggia sulla membrana basale; da esso si
differenziano le cellule degli strati più superficiali. Lo strato intermedio è costituito da due o più file
di cellule a clava (o piriformi) che hanno la porzione basale assottigliata rispetto alla porzione
apicale allargata che contiene il nucleo. Lo strato superficiale è costituito da cellule a ombrello (o a
cupola), cellule di grosse dimensioni, con superficie apicale arrotondata e spesso binucleate. Quando
l'organo (vescica, uretere, ecc.) è vuoto (privo di urina) l'epitelio è nella sua forma rilassata e lo strato
intermedio è costituito dalle cellule a clava disposte in più file, con asse maggiore verticale e con la
parte assottigliata disposte tra le cellule dello strato basale, mentre le cellule dello strato superficiale
appaiono arrotondate sulla loro superficie apicale (Figura 7.38B). Quando invece l'organo è pieno di
urina l'epitelio è nella sua forma distesa, le cellule basali si assottigliano, mentre le cellule a clava si
adagiano con asse maggiore parallelo alla superficie e le cellule cupoliformi si distendono sulle
cellule clavate in maniera tale che ciascuna cellula cupoliforme vada a ricoprire più cellule a clava.
Da un punto di vista ultrastrutturale le cellule cupoliformi sono caratterizzate da desmosomi e
giunzioni occludenti che permettono rispettivamente di mantenere: a) l'integrità dell'epitelio durante
le variazioni di volume del lume degli organi che rivestono; b) l'impermeabilità all'urina ed alle
molecole, ioni e cataboliti tossici in essa disciolti.

La membrana apicale delle cellule cupoliformi presenta delle zone (placche) particolarmente spesse
(circa 12 nm) e rigide, costituite principalmente da aggregati di 4 proteine transmembrana
(uroplachina, la, Ib, II, Il) e da molecole di cerebroside; queste placche sono intervallate da aree
interplacca. Le placche sono formate da una membrana asimmetrica in cui lo strato esterno è circa il
doppio rispetto a quello interno e attraverso le uroplachine queste aree di membrana citoplasmatica
sono collegate ai filamenti intermedi del citoscheletro e a vescicole appiattite disposte
immediatamente sotto le placche. Queste ultime costituiscono una riserva di membrana, che viene
portata in superficie per esocitosi quando la cellula si appiattisce e viene recuperata per endocitosi
quando la cellula torna globosa. Nell'organo vuoto le cellule cupoliformi protrudono nel lume
dell'organo e le placche danno un aspetto irregolare alla membrana plasmatica. Le uroplachine
vengono sintetizzate nel reticolo endoplasmatico rugoso e si assemblano a formare due diversi
eterodimeri (la/II e Ib/IIIa). Nell'apparato del Golgi gli eterodimeri subiscono delle glicosilazioni e si
formano degli etero-tetrameri (la/II-Ib/IIla). Ulteriori modificazioni nel trans Golgi determinano tagli
proteolitici che permettono l'oligomerizzazione che determina la formazione di particelle esameriche
di 16nm. Le vescicole che si fondono con la membrana plasmatica apicale per dare le placche si
distaccano dalla faccia trans del Golgi ed interagiscono con i filamenti intermedi al di sotto della
membrana plasmatica apicale. Le placche di membrana sembra abbiano un ruolo importante anche
nel mantenimento della impermeabilità e dell'integrità dell'epitelio.

8 —----------------------- Gli epiteli ghiandolari


Le ghiandole sono strutture specializzate nella secrezione. Si distinguono due grandi tipi di
ghiandole, quelle esocrine e quelle endocrine. Le prime riversano il loro secreto all'esterno del corpo
o in una cavità che comunica con l'esterno. Le ghiandole endocrine riversano il secreto, detto
ormone, nel torrente circolatorio (direttamente o tramite il circolo linfatico) e così influenzano altre
cellule, dette bersaglio, regolandone, a seconda dell'ormone e del bersaglio, la proliferazione, la
sopravvivenza, l'apoptosi, il differenziamento e la funzione. Durante lo sviluppo embrionale, le
ghiandole esocrine originano da un gettone cellulare che prolifera da una lamina epiteliale di
rivestimento, si addentra nel sottostante tessuto connettivo embrionale (mesenchima) ed evolve; così
che la parte più profonda del gettone epiteliale si differenzia nel tessuto secernente, composto da uno
o più adenomeri, mentre la parte più superficiale si trasforma nel sistema dei dotti escretori.
Ghiandole endocrine epiteliali possono prendere origine in modo simile, ma la parte profonda del
gettone epiteliale si trasforma in un epitelio secernente che viene compenetrato da una ricca trama di
vasi sanguigni mentre la parte più superficiale involve completamente così che la ghiandola perde
ogni connessione con l'epitelio di rivestimento di origine (tiroide, paratiroidi, adenoipofisi).
Popolazioni cellulari endocrine epiteliali possono originare anche dalla proliferazione di un'area
superficiale dell'epitelio celomatico che riveste le primitive caVità corporee dell'embrione (corticale
surrenale), dalla migrazione di cellule della cresta neurale (midollare surrenale, paragangli, cellule C
della tiroide), dall'epitelio dei follicoli oofori (corpo luteo). Mentre tutte le ghiandole esocrine sono
epiteliali, i tessuti endocrini possono anche essere di altra natura. Nelle gonadi vi sono cellule
endocrine connettivali (in passato impropriamente definite ghiandole endocrine interstiziali); nel
cuore ci sono dei miocardiociti atriali endocrino-secernenti; alcuni ormoni, derti neuro-ormoni, sono
secreti da neuroni dell'ipotalamo e riversati in circolo nella neuroipofisi oppure nel peduncolo
ipofisario (fattori di rilascio e di inibizione della secrezione adenoipofisaria). Cellule muscolari lisce
delle arte-riole afferenti ai glomeruli del rene, pur non esercitando una diretta azione endocrina,
secernono enzimi che trasformano un precursore di origine epatica, l'angiotensinogeno, in una
molecola ad azione ormonale, angiotensina I, ulteriormente metabolizzata in angiotensina Il, potente
regolatore endocrino della pressione arteriosa.

Epitelio ghiandolare esocrino


Caratteristiche generali
L'epitelio ghiandolare esocrino viene così definito in quanto le cellule che lo caratterizzano
producono sostanze, definite genericamente secreto, che vengono riversate all'esterno, o sulla cute
ovvero nel lume di organi cavi comunicanti con l'esterno. In taluni casi, la cellula esocrina si affaccia
direttamente sulla superficie su cui viene riversato il secreto; in altri casi, le cellule secernenti si
riuniscono in gruppi, detti adenomeri, connessi alla superficie tramite un canale di drenaggio più o
meno complesso, il dotto escretore. Gli epiteli ghiandolari esocrini sono solitamente composti da
cellule unite da complessi giunzionali e polarizzate, ossia con una ben precisa disposizione degli
organuli, degli inclusi e del nucleo. Nelle cellule secernenti il polo basale è di norma occupato dal
nucleo e dagli organuli coinvolti nell'elaborazione del secreto, il quale si accumula nella parte
apicale. Nelle cellule dei dotti escretori mancano le strutture deputate alla sintesi e all'accumulo del
secreto, mentre possono essere presenti strutture coinvolte nella modifica delle caratteristiche
chimico-fisiche del secreto (ad esempio, riassorbimento o aggiunta di fluido idrosalino).

Classificazione generale
Si possono distinguere 3 varietà morfologiche di epitelio ghiandolare esocrino:
1. cellule esocrine isolate, di forma cilindrica oppure a calice (cellule caliciformi);
2. superfici secernenti;
3. ghiandole esocrine propriamente dette.

CELLULE CALICIFORMI sono incluse nello spessore di un epitelio di rivestimento e riversano il


loro secreto direttamente alla superficie dell'epitelio stesso. Si trovano principalmente nell’epitelio
cilindrico semplice dell'intestino, nell'epitelio cilindrico composto o pseudostratificato delle vie
respiratorie, nell' epitelio cilindrico composto della congiuntiva oculare.Hanno la forma di un calice
da spumante nel quale sono identificabili varie parti. La parte apicale, o teca, allargata perché ripiena
di granuli di secreto (rivestiti di membrana), detti gocce di mucine, di forma e dimensioni variabili e
contenenti un materiale basofilo, PAS-positivo e a bassa densità elettronica di natura glicoproteica;
la parte profonda, o piede, inserita sulla membrana basale; la parte intermedia, o stelo, che contiene
un nucleo allungato con cromatina a piccole zolle e la maggior parte degli organuli, rappresentati
essenzialmente da mitocondri, elementi di reticolo endoplasmatico rugoso (RER) e un grande
apparato di Golgi presso il polo apicale del nucleo. La teca si affaccia alla superficie libera tramite lo
stoma, da cui avviene l'esocitosi del secreto. Quanto alle mucine, esse sono composte da
glicoproteine in cui la parte glucidica prevale su quella proteica, il che spiega il considerevole
sviluppo dell'apparato di Golgi. Nell'intestino, ad esempio, tali complessi glicoproteici sono sialilati
(cioè contengono acido sialico: nell'intestino tenue e nel crasso) o anche solfatati (nell'intestino
crasso) e quindi particolarmente acidi, tanto da risultare metacromatici e alcianofili. In ogni caso, le
mucine sono assai igroscopiche e, una volta esocitate, legano grandi quantità di acqua generando una
sostanza vischiosa e scivolosa, il muco, che ricopre con un velo l'epitelio di rivestimento,
lubrificandalo e proteggendolo. Nell'intestino, il tappeto di muco ha la funzione di isolare l'epitelio di
rivestimento dall'azione degli enzimi digestivi e di facilitare la progressione del bolo. Nelle vie
respiratorie, il muco regola l'idratazione dell'aria inalata prevenendo l'essiccamento delle cellule
superficiali e intrappola le particelle che contaminano l'aria inspirata: il movimento delle ciglia si
occupa quindi di spostare in continuazione il velo di muco per riversarlo nella faringe. Il muco
esercita anche un'azione protettiva antinfettiva, sia perché alcune mucine fungono da falsi bersagli
per l'adesione di batteri e virus, sia soprattutto perché in esso si sciolgono anticorpi, principalmente
IgA, che sono i principali mezzi di difesa contro infezioni per via alimentare e respiratoria.

CELLULE CILINDRICHE MUCIPARE


Nell'epitelio cilindrico semplice delle tube uterine si trovano cellule mucosecernenti di forma
cilindrica, intercalate ad altre ciliate. La forma cilindrica presumibilmente è in rapporto a una
secrezione continua, mentre le cellule caliciformi accumulano il secreto e poi lo riversano in grande
quantità al momento di uno stimolo, ad esempio il passaggio dell'aria nelle vie aeree e il passaggio
del contenuto alimentare nell'intestino. Nelle tube uterine il muco permette il transito dell'ovocita del
prodotto del concepimento verso l'utero provvedendo temporaneamente anche al loro nutrimento.

SUPERFICI SECERNENTI
Si tratta, come suggerisce il nome, di un ibrido tra un epitelio ghiandolare esocrino e un epitelio di
rivestimento, in quanto sono composte da cellule secernenti riunite a formare una lamina di
rivestimento. Nel nostro organismo esiste solo un esempio di superficie secernente a livello della
mucosa gastrica: esso è costituita da un monostrato di cellule cilindriche capaci di produrre,
accumulare e secernere mucine, in questo caso costituite da glicoproteine neutre. Le cellule sono
caratterizzate da un nucleo oblungo spostato verso il polo basale, da un citoplasma ricco di cisterne
di RER, con un esteso apparato di Golgi e numerose gocce di mucine, a contenuto PAS-positivo ed
elettrondenso, nella metà apicale. Una volta riversate all'esterno, le mucine si idratano formando uno
spesso strato di muco di barriera, capace di impedire l'aggressione della parete dello stomaco da
parte del succo gastrico acido. Può essere utile segnalare che l'aspirina e i suoi derivati interferiscono
nel controllo secretorio delle cellule della superficie gastrica riducendo la produzione di muco di
barriera e favorendo così l'insorgenza di gastrite e di ulcere da difetto di protezione contro il succo
gastrico.

GHIANDOLE ESOCRINE PROPRIAMENTE DETTE


Le ghiandole esocrine sono unità complesse costituite, come altri organi, da una componente
epiteliale specifica, detta parenchima, in cui si comprendono sia gli aggregati elementari di cellule
secernenti, o adenomeri, sia i dotti escretori, nonché da una componente connettivale di supporto, lo
stroma, in cui decorrono i vasi ed i nervi. Nelle ghiandole di minori dimensioni, situate solitamente
nello spessore di un organo cavo e pertanto dette ghiandole intramurali, o intraparietali, lo stroma si
identifica con il tessuto connettivo della parete del viscere. Le ghiandole intraparietali possono essere
contenute nello spessore dell'epitelio di rivestimento da cui derivano (ghiandole intraepiteliali):
queste sono formate da accumuli di cellule disposte a delimitare un piccolo lume e ne sono esempi
piccole ghiandole alveolari della cavità nasale e dell'uretra maschile e le ghiandole dei condottini
efferenti che collegano il didimo con l'epididimo. Più frequentemente le ghiandole intraparietali si
approfondano nel connettivo localizzato al di sotto dell'epitelio (ghiandole esoepiteliali) collocandosi
nella tonaca propria (ghiandole coriali) o nella tonaca sottomucosa (ghiandole sottomucose).
Nelle ghiandole più voluminose, il parenchima e lo stroma raggiungono un notevole grado di
complessità: queste ghiandole, identificabili anatomicamente come veri e propri organi, sono
contigue al viscere in cui viene riversato il secreto e connesse a questo tramite il dotto escretore
principale: vengono pertanto definite ghiandole extramurali o extraparietali.

Classificazione delle ghiandole esocrine


Sulla base del loro aspetto istologico le ghiandole esocrine possono essere classificate in base a 4
diversi criteri:
A) morfologia degli adenomeri;
B) complessità del sistema del dotto escretore;
C) natura chimica del secreto;
D) modalità di espulsione del secreto.

Ognuno di questi criteri può essere combinato con gli altri per definire in modo specifico ogni
ghiandola del nostro organismo.

A) In base alla morfologia degli adenomeri, le unità istologiche elementari in cui si aggregano le
cellule secernenti, le ghiandole possono essere distinte in acinose, tubulari, tubulo-acinose, alveolari
ed otricolari. Le ghiandole acinose sono composte da acini, i quali hanno forma sferica
(rotondeggiante nelle sezioni istologiche) e sono di norma formati da cellule di forma piramidale
(triangolare in sezione), senza che sia evidente un lume centrale. Questo nella realtà è sempre
presente, ma è di solito ridotto ad una sottile fessura invisibile al microscopio ottico (esso viene
anche definito lume virtuale) e l'acino appare pieno. Le cellule acinose hanno una chiara polarità
funzionale, con gli organuli e il nucleo spostati presso il polo basale e i granuli di secreto verso
Papice: il secreto viene quindi immesso direttamente nel dotto escretore. Tipici esempi di ghiandola
acinosa sono il pancreas esocrino e la parotide. Pur con qualche forzatura, vi si annoverano pure gli
adenomeri delle ghiandole sebacee (vedi oltre), essenzialmente perché anch'essi di forma sferica e
privi di lume.
Le ghiandole tubulari sono composte da tubuli, i quali hanno forma di canale a fondo cieco con la
parete formata da cellule secernenti e un piccolo ma ben evidente lume centrale che ricalca la forma
esterna dell'adenomero, in cui le cellule riversano il loro secreto. I tubuli possono avere andamento
rettilineo o convoluto, in questo secondo caso si parla di ghiandole tubulari glomerulari (dal latino
glomus, gomitolo). L'estremità aperta del tubulo si continua col dotto escretore. Sono tipiche tubulari
le ghiandole gastriche, intestinali, uterine, la ghiandola lacrimale e le ghiandole sudoripare, queste
ultime sono glomerulari.
Le ghiandole tubulo-acinose possono essere considerate una variante di ghiandole tubulari, in cui le
cellule secernenti risultano particolarmente voluminose a causa dell'abbondanza del secreto
accumulato nel citoplasma. Pertanto, mentre nella zona rettilinea dell'adenomero che si continua con
il dotto escretore è ben evidente il lume, come nei tubuli veri e propri, nella parte terminale a fondo
cieco le cellule assumono forma piramidale ed il lume diviene virtuale, come accade negli acini.
Appartengono a questa categoria le ghiandole salivari sottomandibolare e sottolinguale.
Le ghiandole alveolari sono composte da alveoli, voluminosi adenomeri di forma grosso modo
sferica (rotondeggiante nelle sezioni istologiche) con una parete di cellule secernenti di altezza
variabile e un grande lume centrale, che in un punto si continua nel dotto escretore. Sono alveoli gli
adenomeri della ghiandola mammaria in allattamento.
Le ghiandole otricolari sono composte da otricoli, grandi adenomeri di forma allungata con un
grosso lume centrale ed una parete dal profilo irregolare, con introflessioni che aggettano nel lume
stesso. Anche l'otricolo ha una estremità a fondo cieco ed un'altra aperta che si continua col dotto
escretore. Sono otricoli gli adenomeri della prostata.

B) In base alla complessità del sistema del dotto escretore si distinguono ghiandole semplici,
ramificate e composte.
Le ghiandole semplici sono formate da un solo adenomero che si continua con un unico dotto
escretore che sbocca alla superficie. Esistono ghiandole acinose semplici (ad esempio, le ghiandole
salivari minori del vestibolo della bocca) e ghiandole tubulari semplici (ad esempio, le ghiandole
gastriche, le ghiandole dell'intestino crasso e le ghiandole uterine, tutte a decorso rettilineo).
Ghiandole tubulari semplici di tipo glomerulare sono le ghiandole sudoripare eccrine, quelle
apocrine e quelle ad esse correlate (ghiandole ceruminose, ghiandole ciliari di Moll).
Le ghiandole ramificate sono formate da più adenomeri confluenti in un unico dotto escretore che
sbocca alla superficie. Vi sono ghiandole acinose ramificate (ad esempio, le ghiandole sebacee),
ghiandole tubulari ramificate (ad esempio, le ghiandole gastriche del cardias e quelle dell'intestino
tenue, le ghiandole della cervice uterina, ghiandole ciliari di Meibomio.

Le ghiandole composte sono servite da un dotto escretore che si ramifica in più ordini, i più piccoli
ed estremi dei quali drenano il secreto dei singoli adenomeri. Appartengono a tale categoria le
ghiandole di dimensioni maggiori, formate da un numero elevato di adenomeri che in questo modo
riescono a veicolare il loro secreto all'esterno, anche se situati a grande distanza dalla superficie
libera. Ghiandole composte possono anche essere dotate di più dotti escretori, ciascuno dei quali
serve numerosi adenomeri. È il caso della prostata, in cui ciascun dorto si ramifica in più otricoli, e
della mammella, ciascun dotto della quale (dotto galattoforo) si suddivide in più ordini di cui quelli
più distali si raccordano con gli alveoli.
Ogni ghiandola composta è circondata da una capsula di tessuto connettivo fibroso; la componente
parenchimale della ghiandola si suddivide in lobi separati da setti interlobari di connettivo fibroso
che si dipartono dalla capsula; a loro volta, i lobi si suddividono in lobuli, separati da più esili setti
interlobulari, all'interno dei lobuli si localizzano gli adenomeri e i dotti escretori più minuti,
circondati dalla membrana basale che si continua in uno stroma di connettivo lasso. Il sistema dei
dotti escretori è in relazione con la struttura stromale della ghiandola: infatti, il dotto escretore
principale penetra nella capsula e si dirama nei dotti interlobari, che decorrono nei setti omonimi e
penetrano nei vari lobi; qui essi si diramano nei dotti interlobulari, che decorrono nei setti
interlobulari; da questi si diramano i dotti intralobulari che penetrano nei vari lobuli e qui si
ramificano ulteriormente, originando i duttuli preterminali che si abboccano ai singoli adenomeri. I
duttuli preterminali diretti ad adenomeri sierosi sono detti marti intercalari.
Nel nostro organismo vi sono ghiandole acinose composte (come il pancreas e la parotide),
ghiandole tubulari composte (ad esempio, la ghiandola lacrimale), ghiandole tubulo-acinose
composte (le salivari sottomandibolare e sottolinguale) e ghiandole alveolari composte (come la
ghiandola mammaria in allattamento).
In alcuni casi, i dotti escretori possono contribuire alla formazione o all'elaborazione del secreto. Nel
pancreas esocrino, le cellule dei duttuli preterminali sono in grado di secernere una soluzione di
bicarbonati, che si aggiungono agli enzimi digestivi prodotti dalle cellule degli adenomeri formando
il succo pancreatico: questo viene riversato nel lume del duodeno, dove i bicarbonati svolgono
un'importante funzione tampone nei confronti del chimo proveniente dallo stomaco impregnato di
succo gastrico acido.
Nelle ghiandole salivari i dotti intralobulari sono particolarmente lunghi e tortuosi e le loro cellule
presentano una peculiare striatura nel citoplasma basale, da cui il nome di dotti striati. Tale striatura,
ben visibile al microscopio ottico, corrisponde ultrastrutturalmente alla struttura bacillare, una serie
di profonde introflessioni digitiformi del plasmalemma basale (infolding) che delimitano colonne di
citoplasma ricche di mitocondri. Sul plasmalemma di questa zona sono presenti numerose permeasi,
che hanno la funzione di pompare attivamente ioni e acqua dal citoplasma al fluido interstiziale da
dove raggiungerà il sangue. La cellula duttale presenta un plasmalemma apicale permeabile ad acqua
e a ioni, per cui ciò che viene perduto ad opera delle permeasi sul lato basale viene simultaneamente
recuperato dalla saliva primaria, secreta delle cellule degli adenomeri, presente nel lume del dotto.
Tramite tale meccanismo, quindi, le cellule dei dotti striati riescono a recuperare gran parte
dell'acqua e dei soluti dalla saliva prima della sua secrezione nella cavità orale.C) In base alla natura
chimica del secreto, si possono distinguere ghiandole a secrezione sierosa, mucosa, mista, lipidica e
idroelettrolitica.
Le ghiandole a secrezione sierosa producono secreto sieroso, formato da una soluzione concentrata
di proteine semplici, di aspetto fluido, limpido o opalescente. Tali proteine sono generalmente
enzimi digestivi, tra i quali le proteasi vengono attivate nel lume del viscere in cui si riversa il secreto
per espletarvi le loro funzioni specifiche; altri enzimi (lipasi, glicosidasi, nucleasi) sono secreti già
attivi. Le cellule degli adenomeri a secrezione sierosa hanno pertanto l'aspetto di cellule
proteosintetiche: nei preparati di microscopia ottica esse mostrano un nucleo rotondo, posto nella
metà basale della cellula, con cromatina lassa e grosso nucleolo ed un citoplasma con evidente
polarità funzionale, caratterizzato da basofilia citoplasmatica al polo basale e da numerosi granuli di
secreto, rotondi e acidofili, al polo apicale. Al microscopio elettronico, laddove è visibile la basofilia
citoplasmatica, sono riconoscibili numerose cisterne impilate di RER, mentre dal lato dei granuli di
secreto, in prossimità del nucleo, è presente un ampio apparato di Golgi. L'apice cellulare è occupato
da accumuli di granuli secretori delimitati da membrana ed a contenuto omogeneamente
elettrondenso. Tipici esempi di questa categoria sono il pancreas, la parotide e la ghiandola
lacrimale. Negli adenomeri acinosi sierosi, soprattutto nel pancreas, è possibile vedere cellule come
quelle dei tratti intercalari che si sono spinte al centro dell'adenomero, tra le cellule secernenti e il
lume; sono dette cellule centroacinose e se ne riconosce bene il nucleo, mentre il citoplasma è scarso
e mal visibile al microscopio ottico.
Le ghiandole a secrezione mucosa producono un secreto formato da una soluzione concentrata di
glicoproteine, di aspetto vischioso e trasparente, detto muco, del quale si è già detto sopra. Le cellule
degli adenomeri a secrezione mucosa al microscopio ottico mostrano un nucleo eterocromatico,
schiacciato al polo basale della cellula, ed un citoplasma voluminoso, ripieno di gocce di mucine,
che conferiscono alla cellula un aspetto quasi vacuolizzato nei preparati allestiti con metodi di
routine ma che risultano intensamente PAS-positive. Al microscopio elettronico tali cellule
presentano alcune cisterne di RER (non sufficienti a conferire basofilia al citoplasma basale) e un
ampio apparato di Golgi. Gran parte del citoplasma è occupato da gocce di mucine, di varia forma e
dimensione, delimitate da membrane e contenenti un materiale fioccoso, elettron-trasparente. Nella
specie umana si possono ritrovare vacuoli allungati a contenuto filamentoso, ritenuti accumuli di
glicoproteine neutre destinate a confluire nel secreto. Sono ghiandole di questo tipo le salivari minori
disseminate nella mucosa buccale, le ghiandole piloriche e le ghiandole bulbouretrali.
Le ghiandole a secrezione mista producono un secreto sia sieroso che mucoso. Ciò si verifica per
due diverse eventualità, spesso coincidenti:
1) la ghiandola è formata da adenomeri sierosi accanto ad adenomeri mucosi, talvolta in lobuli
diversi, talaltra frammisti negli stessi lobuli;
2) la ghiandola presenta adenomeri misti siero-mucosi: in quest'ultimo caso le cellule mucose sono
localizzate al centro dell'adenomero, mentre quelle sierose si dispongono in uno strato adiacente,
periferico, noto come semiluna di Giannuzzi. Ciò è dovuto al fatto che, durante lo sviluppo, le
cellule sierose si differenziano per prime, formando un primitivo adenomero acinoso; in un secondo
momento, dai duttuli intercalari, proliferano e si differenziano le cellule mucose che si localizzano
pertanto al centro dell'adenomero, spingendo le cellule sierose in periferia; anche le cellule dei
duttuli intercalari si mettono a secernere muco, così che la ghiandola appare tubulo-acinosa. Il
secreto sieroso riesce a raggiungere il lume dell'adenomero fluendo tra le superfici laterali delle
cellule mucose.Sono miste le ghiandole salivari maggiori sottomandibolare e sottolinguale.
Le ghiandole a secrezione lipidica producono un secreto composto prevalentemente da trigliceridi
associati a quantità minori di fosfolipidi e colesterolo. Al microscopio ottico, le cellule a secrezione
lipidica appaiono voluminose, con nucleo centrale, talvolta picnotico o addirittura assente, e
citoplasma tenuemente acidofilo) vacuolizzato. Al microscopio elettronico vi si notano i tipici
organuli lipogenetici, REL e mitocondri, associati a gocce lipidiche di varia forma e dimensione. Le
uniche rappresentanti di questa categoria nella nostra specie sono le ghiandole sebacee per lo più
annesse ai follicoli piliferi: esse producono un secreto denso, il sebo, che si stratifica alla superficie
dell'epidermide contribuendo in modo determinante a conferire elasticità allo strato corneo, ad
impedire la colonizzazione da parte dei microrganismi patogeni nonché a lubrificare peli e capelli.
Le ghiandole a secrezione idroelettrolitica producono un secreto composto da acqua e ioni,
avvalendosi di un peculiare meccanismo di secrezione che coinvolge le permeasi e i canali del
plasmalemma. Al microscopio ottico le cellule di tali ghiandole appaiono luminose ed acidofilo prive
di granuli secretori. Ultrastrutturalmente, sono di norma visibili introflessioni o microvillosità del
plasmalemma apicale, atte ad incrementare la superficie di scambio con l'esterno della cellula,
nonché numerosi mitocondri, necessari per fornire l'energia per il funzionamento delle permeasi.
Fanno parte di questa categoria le cellule delle ghiandole gastriche che secernono HCl le ghiandole
sudoripare eccrine che producono il sudore, composto principalmente da acqua, Na+ e CI-.

D) In base alla modalità di espulsione del secreto si possono distinguere ghiandole a secrezione
eccrina, merocrina, apocrina e olocrina, ognuna caratterizzata da un diverso meccanismo cellulare
per la genesi del secreto. Qualunque sia la modalità, la secrezione esocrina viene detta regolata
quando il secreto si accumula nella cellula, ad esempio sotto forma di granuli di secreto, per venire
liberato in risposta ad uno stimolo specifico (nervoso, endocrino), mentre viene detta secrezione
costitutiva, o continua, quando la cellula produce ed emette in continuazione il secreto senza
accumula intracellulare. Le ghiandole a secrezione eccrina dal greco ek = fuori, inteso come
passaggio transmembrana) impiegano il trasporto attivo e la diffusione attraverso il plasmalemma
come meccanismo di secrezione, la cellula di tali ghiandole non accumula il secreto nel citoplasma e
la secrezione avviene a livello molecolare, senza che vi sia evidenza morfologica diretta della
espulsione del secreto. Questa è operata dalle permeasi di membrana, che pompano attivamente gli
ioni all'esterno della cellula verso il lume: concomitantemente, mediante canali idrofili
transmembrana, viene secreta acqua per gradiente osmotico. Queste ghiandole coincidono con quelle
a secrezione idroelettrolitica (ad esempio, ghiandole sudoripare).

Le ghiandole a secrezione merocrina (dal greco méros = parte, intesa come il solo secreto senza
perdita di nient'altro del citoplasma) utilizzano l'esocitosi come meccanismo secretorio. Il secreto si
accumula all'interno di granuli delimitati da membrana di provenienza dall'apparato di Golgi, che
vengono avviati verso il polo apicale: la membrana si incorpora nel plasmalemma apicale e il
contenuto si riversa nel lume. È la modalità più comune, impiegata da un gran numero di ghiandole
(pancreas, salivari, lacrimale, ghiandole intestinali, uterine, etc.).

Le ghiandole a secrezione apocrina (dal greco apo = sopra, inteso come parte alta della cellula, o
anche = via da, con riferimento alla caduta via di parte del citoplasma) utilizzano la gemmazione
come meccanismo secretorio. Il secreto si accumula nel citoplasma apicale, sia in vescicole provviste
di membrana sia sotto forma di gocce lipidiche libere nello ialoplasma; per intervento dei
microfilamenti, l'intera porzione apicale della cellula, infarcita di secreto, si peduncolizza e si
distacca dal corpo della cellula, cadendo nel lume. Del secreto viene così a far parte anche una
piccola quota di citoplasma e di membrana plasmatica. Al termine del processo di secrezione la
cellula deve ricostituire il citoplasma apicale prima di poter compiere un ulteriore fase secretoria.
Questa modalità è tipica della ghiandola mammaria durante l'allattamento: la componente
fosfolipidica del latte deriva perlopiù proprio dalle membrane delle cellule degli alveoli mammari.
Così secernono anche le ghiandole sudoripare apocrine, quelle ciliari e quelle ceruminose.

Nelle ghiandole a secrezione olocrina (dal greco olos = tutto, inteso come l'intera cellula) le cellule
si infarciscono di prodotto e poi vengono espulse tutte intere, andando a costituire il secreto; per
alcune tappe di questo processo (ad esempio per l'eliminazione del nucleo) sono utilizzati
meccanismi molecolari tipici dell'apoptosi. La cellula si differenzia accumulando il secreto nel
proprio citoplasma, dopodiché nucleo e citoplasma involvono e l'intera cellula si disgrega
trasformandosi in secreto. Le cellule che si perdono nel secreto vengono rimpiazzate da nuove
cellule provenienti da un compartimento di riserva di cellule staminali, alla periferia degli
adenomeri, capaci di riprodursi. L'unica evenienza di questo genere è data dalle ghiandole sebacee, i
cui adenomeri sono formati da più strati di cellule che mostrano, dallo strato basale a quello
prossimo all'estremità escretrice, i vari stadi della trasformazione delle cellule in sebo. Le ghiandole
sebacee (tranne rare eccezioni) sono associate ai peli e il sebo viene riversato nel canale del pelo, che
funge da dotto escretore per queste ghiandole.

Del parenchima esocrino fanno parte anche le cellule mioepiteliali, particolari elementi contrattili
che si ritrovano associati agli adenomeri o ai dotti escretori di certe ghiandole esocrine,
principalmente le ghiandole salivari le ghiandole sudoripare e la ghiandola mammaria. Esse derivano
dagli stessi precursori indifferenziati, situati a livello dei duttuli preterminali, da cui traggono origine
le cellule epiteliali degli adenomeri e dei dotti escretori. A riprova di ciò, queste cellule co-
esprimono proteine citoscheletriche tipiche degli elementi contrattili (actina e miosina, simili a quelle
della muscolatura liscia viscerale) e degli elementi epiteliali (precheratine). Le cellule mioepiteliali
si ritrovano interposte tra il polo basale delle cellule degli adenomeri e dei dotti escretori e la loro
membrana basale; hanno forma affusolata o stellata e presentano, ultrastrutturalmente, fasci di
filamenti contrattili, di aspetto simile a quelli delle cellule muscolari lisce, che decorrono nel corpo
cellulare e nei prolungamenti. Tramite tali prolungamenti queste cellule abbracciano le cellule
epiteliali ghiandolari(da cui il nome di cellule a canestro) e vi si congiungono tramite desmosomi. La
loro funzione, contraendosi, è quella di spremere gli adenomeri ed accorciare i dotti escretori, al fine
di facilitare l'espulsione del secreto. Nelle ghiandole salivari, la contrazione delle cellule
mioepiteliali è attivata da un meccanismo nervoso parasimpatico innescato da stimoli olfattivi e
gustativi. Invece nella ghiandola mammaria è in gioco un meccanismo neuro-endocrino: lo stimolo
efficace è la suzione del capezzolo da parte del bambino, che innesca un riflesso nervoso che porta
alla liberazione in circolo di un neuro-ormone, l'ossitocina, la quale a sua volta agisce sulle cellule
mioepiteliali mammarie inducendo l'espulsione del latte. Un discorso a parte merita di essere fatto
per il fegato, la cui inclusione nel novero delle ghiandole esocrine è senza dubbio riduttiva. In effetti,
durante lo sviluppo embrionale, il fegato si forma da un gettone epiteliale che origina dall'epitelio
che riveste l'intestino primitivo e si ramifica progressivamente, differenziandosi poi in cellule
parenchimali specifi-che, gli epatociti, ed in vari ordini di dotti escretori, i dotti biliari, come una
qualsiasi ghiandola esocrina composta. Tuttavia, l'architettura tridimensionale del parenchima
epatico non è riconducibile ad alcuno degli schemi indicati nei precedenti paragrafi: gli epatociti,
infatti, si organizzano in lamine e cordoni, separati dall' interposizione di numerosi capillari
sanguigni a lone dilatato (sinusoidi) con endotelio fenestrato e privi di lamina basale per favorire gli
scambi tra plasma sanguigno e liquido interstiziale.
Lunghi e sottili cavità tra le cellule adiacenti percorrono le lamine epatiche e sono equivalenti al
lume di adenomeri: alla fine si continuano con i dotti biliari di vario ordine. Una descrizione
maggiormente dettagliata ricade nell'ambito di pertinenza dell'Anatomia microscopica, a cui si
rimanda. Gli epatociti sviluppano caratteristiche esocrine, producendo i componenti della bile,
ovvero acidi biliari, lipidi e pigmenti biliari (bilirubina), che vengono poi riversati nell'intestino
tramite il sistema dei dotti biliari. Qui, la bile gioca un ruolo chiave nell'emulsionamento dei grassi
alimentari, necessario per la loro digestione ed assorbimento.
Gli epatociti svolgono però molteplici ruoli funzionali, essendo coinvolti in svariati processi
metabolici, ad esempio:

- la detossificazione delle sostanze nocive che provengono dall'assorbimento intestinale;


- la produzione di gran parte delle proteine presenti nel plasma sanguigno, incluse alcune categorie di
lipoproteine;
- l'accumulo di glucosio sotto forma di glicogeno ed il rilascio di glucosio in condizioni di ipoglicemia;
- la liberazione di fattori di crescita ad azione endocrina, quali ad esempio, l'insulin-like growth factor-
1 (IGF-1), che stimola la crescita corporea.

Per tali motivi, il fegato deve essere considerato un organo "sui generis" con molteplici ruoli,
ivi inclusa la secrezione endocrina.

9 —------------------------------ GLI EPITELI GHIANDOLARI ENDOCRINI


Generalità
Questo tipo di epitelio ghiandolare viene detto endocrino in quanto i prodotti di secrezione delle
cellule specifiche, definiti genericamente col termine di ormoni (dal greco ormão, stimolare),
vengono riversati direttamente nel sangue o nei fluidi interstiziali, anziché all'esterno o nelle cavità
del corpo comunicanti con l'esterno, come avviene per l'epitelio ghiandolare esocrino.

Ormoni: sono molecole (di natura chimica varia: peptidica, steroidea, amminica o altro) capaci di
evocare una risposta specifica in cellule sensibili, denominate cellule bersaglio. Tale risposta è
mediata dall'interazione selettiva con recettori che innescano una serie di eventi intracellulari cui
conseguono l'attivazione o l'inibizione di specifiche attività (metabolismo, contrazione, secrezione,
proliferazione, attivazione o repressione genica, ecc.). Gli ormoni hanno azione oligodinamica, nel
senso che minime quantità sono in grado di evocare una risposta (difatti, le loro concentrazioni sono
nell'ordine di fentomoli o nanomoli/litro); ed anche interspecifica, nel senso che gli ormoni prodotti
in una specie animale hanno spesso sufficienti analogie a livello di struttura tridimensionale da
funzionare anche in specie diverse da quella di origine (per es. nella terapia diabetica veniva usata
l'insulina di maiale).
Va aggiunto che, con l'ampliarsi delle conoscenze, sta divenendo sempre più indefinita la distinzione
tra ormoni veri e propri, intesi come il prodotto specifico delle ghiandole endocrine, e altre molecole
con azione di stimolo, quali i fattori di crescita e le citochine, classificabili come messaggeri locali
prodotti virtualmente da tutte le cellule e anch'essi in grado di modulare specifiche funzioni nelle
cellule bersaglio.

Cellule bersaglio possono essere localizzate a varia distanza dalle cellule endocrine. A questo
riguardo, si distinguono diverse modalità di azione degli ormoni, definite: azione endocrina, quando
la distanza è tale che l'ormone raggiunge le cellule bersaglio venendo veicolato dal sangue (es. gli
ormoni ipofisari regolano la secrezione di altre ghiandole endocrine come surrene o tiroide, o
l'insulina, prodotta nel pancreas, agisce sulle cellule degli altri tessuti inducendo l'assunzione di
glucosio); azione paracrina, quando le cellule bersaglio sono in prossimità delle cellule endocrine e
l'ormone le raggiunge venendo veicolato dal locale fluido interstiziale (es. gastrina prodotta dalle
cellule G del piloro, che va a stimolare la secrezione delle cellule delle ghiandole gastriche); azione
autocrina, quando la stessa cellula endocrina è anche bersaglio dell'ormone prodotto, il quale
interagisce con i suoi recettori in funzione della sua concentrazione nel fluido interstiziale circostante
(es. certi linfociti T attivati producono un fattore di crescita che li induce alla proliferazione e alla
formazione di popolazioni monoclonali). Quest'ultima modalità può anche svolgere una funzione
inibitoria sulla secrezione di ormone da parte della stessa cellula endocrina.

Tipologia di secreto. Le cellule ghiandolari endocrine possono essere classificate in base alla natura
chimica dell'ormone prodotto, distinguendosi a tal proposito come cellule a secrezione proteica,
glicoproteica, amminica o steroidea.

Cellule a secrezione proteica e glicoproteica possiedono una morfologia ultrastrutturale conforme


alla loro natura di cellule proteosintetiche, con RER ed apparato di Golgi ben sviluppati e, di norma,
numerosi granuli secretori di aspetto variabile a seconda del tipo di ormone in essi contenuto. Cellule
di questa categoria compongono, ad esempio, gli isolotti pancreatici, l'adenoipofisi e le paratiroidi. In
particolare, le cellule a secrezione glicoproteica, come alcune cellule dell'adenoipofisi, si
riconoscono nei preparati di microscopia ottica perché i loro granuli secretori si colorano con i
metodi istochimici per i polisaccaridi (reazione PAS).Cellule a secrezione amminica. Le cellule a
secrezione amminica producono ammine biogene, ottenute dalla decarbossilazione degli
amminoacidi ad opera di specifiche aminoacido-decarbossilasi. Si tratta di ormoni a basso peso
molecolare e di natura basica, rivelabili istochimicamente con i metodi delle impregnazioni
metalliche (cromaffinità, argentaffinità) o mediante l'autofluorescenza indotta dal trattamento con
aldeidi. Le ammine biogene vengono accumulate all'interno di granuli secretori legati a particolari
proteine acide di supporto quali la cromogramina. Pertanto, le cellule endocrine di tali ghiandole
hanno fondamentalmente l'aspetto di cellule producenti proteine. Cellule di questa categoria
compongono la ghiandola midollare del surrene, che produce le catecolamine: adrenalina e
noradrenalina.

Cellule a secrezione steroidea producono ormoni steroidi, derivati dalla trasformazione di un


precursore comune, il colesterolo. Nei preparati per la microscopia ottica allestiti con metodi
standard, in cui il colesterolo viene asportato dai solventi utilizzati per fissare ed includere il tessuto
(alcool, xilolo), la presenza di vacuoli svuotati (liposomi o lipid droplets) conferisce al citoplasma
delle cellule endocrine a secrezione steroidea un tipico aspetto spugnoso (spongiocità) (Figura
9.4).Esse hanno una ultrastruttura tipica delle cellule che sintetizzano lipidi e mostrano un esteso
REL, numerosi mitocondri, con peculiari creste di tipo tubulare, e numerosi liposomi. A differenza
degli altri tipi cellulari endocrini, nelle cellule steroidosintetiche non si ha accumulo di ormone:
quando la cellula viene stimolata, essa attiva le vie metaboliche che trasformano il colesterolo
nell'ormone finito, il quale poi diffonde all'esterno della cellula e nel sangue, secondo un gradiente di
concentrazione. Cellule endocrine a secrezione steroidea compongono la corticale del surrene ed il
corpo luteo.

Classificazione
Il sistema endocrino può essere classificato in:
- epitelio ghiandolare endocrino
- cellule endocrine di natura non epiteliale
- tessuti endocrini negli annessi embrionali.

L'epitelio ghiandolare endocrino a sua volta si può suddividere in due varietà principali:
1) cellule endocrine isolate, disseminate in un altro tessuto, di solito un epitelio, e sparse nel
contesto di organi la cui attività principale non è necessariamente di natura endocrina.
2) ghiandole endocrine propriamente dette, configurate come un ben preciso organo solido e perciò
caratterizzate da una capsula che le avvolge e da uno stroma, entrambi di natura connettivale, che si
compenetra nel parenchima, qui rappresentato dall' epitelio ghiandolare endocrino.

Cellule endocrine isolate


Si tratta di cellule isolate, disperse nel contesto di un altro tessuto epiteliale, sia esso un epitelio di
rivestimento o una ghiandola esocrina o endocrina. In passato queste cellule sono state
complessivamente definite sistema APUD (acronimo di Amine Precursor Uptake and
Decarboxylation) dal momento che molte delle cellule che lo compongono possiedono una proprietà
istochimica in comune,ossia la capacità di assumere e decarbossilare amminoacidi producendo
ammine. Oggi si preferisce parlare di sistema neuroendocrino diffuso (DNES, acronimo di Diffuse
Neuro-Endocrine System) mettendo in risalto gli stretti rapporti funzionali tra cellule nervose ed
endocrine. Per tali motivi, inoltre, in clinica non si usa più il termine di apudomi per designare i
tumori endocrini di presunta derivazione da tali cellule, ma di tumori neuroendocrini. Diversamente
da quanto si riteneva inizialmente, le cellule che compongono il DNES non hanno un'origine
comune dal neuroectoderma, il tessuto embrionale da cui trae origine il tessuto nervoso, bensì
derivano solitamente dall'endoderma, il tessuto embrionale da cui si differenziano i tessuti epiteliali
che le ospitano. Cellule endocrine isolate si ritrovano per lo più negli apparati digerente e
respiratorio e nelle vie urinarie, dove sono responsabili della produzione di ormoni, polipeptidici o
amminici, che svolgono un ruolo di regolazione endocrina e/o paracrina della funzione degli organi
di tali apparati. In particolare, se la cellula endocrina è racchiusa tra le cellule epiteliali che la
ospitano e la membrana basale, viene definita di tipo chiuso; se invece ha l'apice che raggiunge il
lume o la superficie libera dell'epitelio, è detta di tipo aperto e tramite tale propaggine può percepire
segnali chimici provenienti dal lume. Un classico esempio di questa situazione è rappresentato dalle
cellule G dello stomaco, che producono gastrina, un ormone peptidico. Infatti, esse sono intercalate
tra le cellule esocrine delle ghiandole tubulari semplici della mucosa gastrica (che producono pepsina
e HCI) e hanno l'estremità assottigliata provvista all'apice di un ciuffo di microvilli che aggettano nel
lume della ghiandola gastrica in modo da percepire il pH dell'ambiente, mentre la loro parte basale
contiene il nucleo, gli altri organuli e granuli di gastrina. A digiuno, il pH gastrico è assai acido e ciò
inibisce la secrezione di gastrina. Quando però si assume del cibo, esso esercita una funzione
tampone sul pH gastrico riportandolo verso la neutralità. Questa variazione di pH viene percepita
dalle cellule G, che si attivano e liberano l'ormone. La gastrina diffonde per via paracrina ed
endocrina ed ha come cellule bersaglio le cellule esocrine delle ghiandole gastriche, che vengono a
loro volta indotte a secernere il succo gastrico per la digestione del cibo ingerito.

Ghiandole endocrine propriamente dette comprendono: la tiroide, le paratiroidi, l'ipofisi, gli isolotti
pancreatici, la ghiandola surrenale. Le ghiandole endocrine propriamente dette da un punto di vista
morfologico vengono distinte in: ghiandole follicolari e ghiandole cordonali, a seconda di come le
loro cellule si aggregano per formare la ghiandola. L'unico esempio di ghiandola follicolare è la
tiroide nella quale il parenchima è costituito da strutture sferiche cave. Le ghiandole cordonali
rappresentano la quasi totalità delle ghiandole endocrine. In queste ghiandole le cellule si
organizzano in file chiamate cordoni che possono avere un decorso più o meno tortuoso. I cordoni
sono separati da capillari sanguigni di tipo sinusoidale, cioè aventi un calibro variabile che si adatta
come una guaina al profilo dei cordoni e una struttura fenestrata dell'endotelio, al fine di favorire gli
scambi tra l'interstizio e sangue e quindi il drenaggio degli ormoni prodotti. In questo modo, ogni
cellula endocrina dei cordoni ha almeno una porzione della propria membrana plasmatica a contatto
con un capillare sanguigno in cui riversare l'ormone.

Tiroide è una grossa ghiandola bilobata, situata alla base del collo, davanti alla omonima cartilagine
laringea. È racchiusa da una sottile capsula connettivale da cui si dipartono verso l'interno dei setti
che dividono il parenchima in lobuli irregolari. È l'unica ghiandola endocrina con struttura
follicolare. Il follicolo tiroideo è una struttura sferica rivestita da un epitelio semplice, con un ampio
lume contenente una sostanza amorfa e PAS-positiva, viscosa all'esame macroscopico e perciò detta
sostanza colloide, composta da una glicoproteina contenente iodio, la tireoglobulina, che rappresenta
il precursore degli ormoni tiroidei.
Le cellule follicolari, o tireociti, poggiano su una lamina basale e sono le responsabili della sintesi
della tireoglobulina e del rilascio degli ormoni tiroidei. Le fasi di questo processo richiedono diversi
passaggi in successione:
- durante la fase di accumulo, i tireociti sintetizzano nel RER la tireoglobulina, una grossa
glicoproteina (660 KDa) che non ha nessuna attività ormonale e contiene circa 130 residui di
tirosina, necessari per la sintesi degli ormoni tiroidei. La tireoglobulina viene poi glicosilata nel RER
e nell'apparato del Golgi ed esocitata nel lume del follicolo; i tireociti importano attivamente lo ione
ioduro dal sangue mediante proteine trasportatrici ATP-dipendenti presenti nella membrana
basolaterale, determinando una concentrazione di ione ioduro nella tiroide fino a 40 volte maggiore
rispetto al plasma; sulla membrana apicale del tireocita vi sono specifiche batterie di enzimi che
legano uno o due atomi di iodio ai residui di tirosina della tireoglobulina. Gli ormoni tiroidei si
formano quando due residui di tirosina iodinata adiacenti vengono accoppiati formando gli ormoni
tri-iodotironina (T3) e tetra-iodotironina (T4) detta anche tiroxina, considerevolmente meno potente).
In questa fase le iodiotironine non sono attive biologicamente, essendo inserite
nella molecola della tireoglobulina accumulata nel lume del follicolo. A
questo punto la cellula entra in una fase di inattività;
ー quando al tireocita giunge lo stimolo alla liberazione degli ormoni
tiroidei (rappresentato dal TSH adenoipofisario), esso entra nella fase
di riassorbimento: la tireoglobulina viene endocitata e viene immessa
negli endosomi dove il basso pH e l'apporto di idrolasi lisosomiali
causano l'idrolisi dei legami peptidici e la degradazione in singoli
amminoacidi; in questo modo, si liberano T3 e T4 che diffondono all'esterno del tireocita per
gradiente di concentrazione e di qui poi passano nel sangue.
I follicoli hanno aspetto diverso e dimensioni variabili da 0,2 a 1 mm a seconda della fase
funzionale: i follicoli a riposo appaiono voluminosi, con tireociti cubico-bassi, colloide compatta e
ben colorabile: i follicoli in fase di accumulo appaiono più piccoli, con tireociti cubici e colloide
ancora diluita e poco colorabile; i follicoli in fase di riassorbimento presentano tireociti di forma
cilindrica e colloide ben colorabile ma sfrangiata ai margini, in corrispondenza delle zone in cui essa
viene endocitata.
Gli ormoni tiroidei hanno come bersaglio virtualmente tutte le cellule dell'organismo su cui agiscono
come fondamentali regolatori del metabolismo cellulare: regolano il metabolismo basale, la
temperatura corporea, lo sviluppo e la crescita dell'individuo. T4 in realtà è un pro-ormone con
scarsa attività biologica e viene convertito a T3 per rimozione di un atomo di iodio ad opera
dell'enzima deiodasi, presente in vari tessuti periferici.
Oltre ai tireociti, nella parete dei follicoli tiroidei sono comprese particolari cellule endocrine isolate,
dette cellule C (chiare, per la loro scarsa colorabilità al microscopio ottico rispetto ai tireociti), di
origine neuroectodermica. Esse sono localizzate in posizione periferica, tra i tireociti e la membrana
basale del follicolo, senza mai raggiungerne il lume e per questo vengono anche dette cellule
parafollicolari. In presenza di alte concentrazioni ematiche di ioni calcio, queste cellule rilasciano un
ormone peptidico, la calcitonina. Questo ormone svolge un ruolo importante nel metabolismo del
calcio e nella fisiologia del tessuto osseo, in quanto inibisce l'attività degli osteoclasti e di
conseguenza determina una riduzione dei livelli di calcio nel sangue.

Paratiroidi sono quattro piccole ghiandole di forma ovoidale, del diametro di qualche millimetro,
localizzate ai poli della faccia posteriore della tiroide. Sono rivestite da una capsula connettivale da
cui partono dei setti che separano i cordoni del parenchima. Sono composte da due tipi di cellule: le
cellule principali e le cellule ossifile. Sono presenti, inoltre, cellule adipose che aumentano con l'età
arrivando a costituire oltre il 50% della massa ghiandolare. Le cellule principali, di piccole
dimensioni, hanno un citoplasma debolmente acidofilo e contengono pochi granuli di secreto.
Queste cellule hanno sulla membrana dei recettori sensibili a variazioni della concentrazione ematica
di ioni Ca++ e quando i livelli si abbassano, le cellule producono l'ormone paratiroideo, (PTH) o
paratormone. Il PTH è un polipeptide coinvolto nella regolazione del metabolismo del calcio ed è il
principale ormone ipercalcemizzante, capace cioè di indurre un aumento della concentrazione di ioni
Ca** nel sangue. II PTH agisce su tre bersagli principali:
- nel tessuto osseo agisce sugli osteoblasti e, indirettamente, sugli osteoclasti inducendo il
riassorbimento osseo;
- nell'apparato escretore riduce l'eliminazione del calcio, stimolando il suo riassorbimento a livello
dei tubuli renali;
- nell'apparato digerente aumenta l'assorbimento di calcio a livello intestinale tramite l'attivazione
della vitamina D)
Le cellule ossifile sono più scarse, tendono a incrementare di numero con l'età e appaiono
voluminose e intensamente acidofile, Inoltre contengono numerosissimi e voluminosi mitocondri.
Il loro significato non è chiaro, anche se parrebbero essere cellule paratiroidee giunte al termine del
loro ciclo vitale e destinate ad andare in apoptosi.

Ipofisi o ghiandola pituitaria è una piccola ghiandola endocrina situata in sede intracranica
all'interno della sella turcica dell'osso sfenoide. È associata sia morfologicamente che
funzionalmente all'ipotalamo con il quale costituisce l'asse ipotalamo-ipofisario. L'ipofisi è costituita
da due lobi distinti per origine, struttura e funzione: l'ipofisi anteriore o adenoipofisi, derivante da
un'evaginazione dall'ectoderma dello stomodeo detta tasca di Rathke e l'ipofisi posteriore o
neuroipofisi derivante dal neuroectoderma del pavimento del terzo ventricolo.

ADENOIPOFISI: costituisce la porzione maggiore dell'intera ipofisi. È una vera e propria


ghiandola endocrina formata da cellule organizzate in cordoni separati da una fitta rete di capillari
sinusoidi fenestrati. E composta da tre parti: la pars distalis, la più estesa e quella nella quale avviene
la maggior parte della produzione ormonale, la pars intermedia, rudimentale nell'uomo adulto e la
pars tuberalis, addossata all'infundibulum della neuroipofisi. La pars distalis produce svariati
ormoni, sia proteici che glicoproteici. La maggior parte di questi ormoni sono definiti
genericamente-tropine, perché implicati primariamente nel controllo dell'attività secretoria di altre
ghiandole endocrine e della funzione dell'apparato riproduttore. Le cellule che la compongono sono
diverse tra loro per colorabilità, per morfologia ultrastrutturale e per contenuto ormonale. In base
all'affinità tintoriale è possibile distinguere tre diversi tipi cellulari: cellule basofile, acidofile e
cromofobe. Le cellule basofile rappresentano il circa 10% delle cellule dell'adenoipofisi. Hanno
dimensioni maggiori delle cellule acidofile e al loro interno contengono scarsi e piccoli granuli
basofili e PAS positivi. Producono ormoni di natura glicoproteica. Comprendono tre tipi cellulari:
— Cellule gonadotrope, distribuite uniformemente nella ghiandola e contenenti granuli. Producono
le gonadotropine ipofisarie (ormone follicolo-stimolante o FSH e ormone luteinizzante o LH) che
regolano la funzione gonadica in ambo i sessi. In partico-lare, nella femmina l'ESH stimola la
follicolo-genesi, nel maschio stimola le cellule del Sertoli a produrre proteine leganti gli androgeni,
importanti per l'avvio della spermatogenesi.
L'LH nella femmina, promuove l'ovulazione, la formazione del corpo luteo e la secrezione da parte
di quest'ultimo di progesterone e nel maschio stimola le cellule di Leydig a produrre e rilasciare
testosterone. Studi immunocito-chimici dimostrano che la maggior parte delle cellule gonadotrope
producono uno dei due tipi di ormoni pur essendo presenti cellule in grado di sintetizzarli entrambi.
— Cellule corticotrope, localizzate nella regione centrale della ghiandola e contenenti granuli.
Producono la POMC (pro-opiomelanocortina) dalla cui scissione proteolitica derivano l'ormone
adrenocorticotropo (ACTH), ricco di residui amminoacidici acidi, la B-lipotropina (B-LPH), molto
simile strutturalmente all'ACTH, la B endorfina e la met-encefalina. L'ACTH stimola le cellule della
zona fascicolata della corticale del surrene a rilasciare Cortisolo.) Dalla B-LPH, per clivaggio
proteolitico, si origina l'ormone melanotropo di tipo B (B-MSH), non secreto nell'uomo. Nelle
cellule della pars intermedia, PACTH viene modificato mediante clivaggio enzimatico con
formazione di a-MSH che, insieme al B-MSH, induce la ridistribuzione dei granuli di melanina nei
melanofori di pesci, anfibi e rettili causando un rapido e transitorio scurimento della cute. Nell'uomo
adulto, mancando una prominente pars intermedia, la produzione di a-MSH è ridotta o assente.

ー Cellule corticotrope, localizzate nella parte anteriore della ghiandola e contenenti piccoli granuli.
Producono la tireotropina o ormone tireostimolante (TSH) che regola la funzione della tiroide,
inducendo le cellule follicolari della ghiandola a produrre tireoglobulina e a rilasciare in circolo gli
ormoni tiroidei T3 e T4. Le cellule acidofile rappresentano circa il 40% delle cellule
dell'adenoipofisi. Hanno dimensioni minori delle cellule basofile e contengono al loro interno
voluminosi granuli acidofili e PAS negativi. Producono ormoni di natura proteica.

Comprendono due tipi cellulari:


- cellule somatotrope, localizzate nelle porzioni laterali della ghiandola e contenenti granuli.
Producono l'ormone della crescita, o growth hormone (GH), anche designato ormone somatotropo
(STH) o somatotropina che regola l'accrescimento corporeo. Il GH non ha un organo bersaglio
specifico: il suo effetto è sistemico e consiste in un aumento della captazione di aminoacidi e quindi
della sintesi proteica in numerosi tipi cellulari. Il GH agisce anche sul fegato inducendo quest'ultimo
a rilasciare IGF-1 (insulin like growth factor 1) che, promuovendo la proliferazione dei condrociti
della cartilagine metafisaria, sostiene l'accrescimento in lunghezza delle ossa.
- cellule mammotrope o lattotrope, localizzate nelle porzioni laterali della ghiandola e contenenti
granuli di forma irregolare di circa 600 nm. Producono l'ormone lattogeno prolattina (PRL), che
agisce sia stimolando lo sviluppo della ghiandola mammaria durante la gravidanza che regolandone
la secrezione durante l'allattamento.
Le cellule cromofobe rappresentano circa il 50% delle cellule dell'adenoipofisi e si trovano per lo
più al centro della pars distalis dell'adenoipofisi. Sono povere di organuli e virtualmente prive di
granuli secretori colorabili: sono considerate cellule indifferenziate o cellule quiescenti che hanno
rilasciato il contenuto dei loro granuli rendendo il citoplasma non più affine ad alcuna colorazione.
Oltre alle cellule di natura endocrina in grado di produrre e rilasciare ormoni, la pars distalis
dell'adenoipofisi contiene particolari cellule dette cellule follicolo-stellate, dotate di prolungamenti
citoplasmatici con i quali circondano e sostengono le cellule endocrine. Le cellule follicolo-stellate,
oltre al sostegno meccanico, svolgono anche un'azione trofica nei confronti delle stesse cellule
endocrine e, secondo recenti studi, sembrano anche essere coinvolte nella regolazione della
secrezione endocrina. La secrezione degli ormoni adenoipofisari è principalmente sotto il controllo
dell'ipotalamo.

I neuroni parvicellulari dell'ipotalamo producono neuro-ormoni con azione favorente (releasing


hormones, RH) o inibente (inhibiting hormones, IH) la liberazione degli ormoni adenoipofisari.
Essi vengono liberati nei capillari sanguigni situati a livello del peduncolo ipofisario. Da qui, i
capillari si riuniscono in una vena che penetra nell'adenoipofisi e si dirama in un secondo letto
capillare disposto in serie al primo, il cosiddetto sistema portale ipofisario, tramite il quale i RH/ IH
si distribuiscono alle rispettive cellule bersaglio.

NEUROIPOFISI a differenza dell'adenoipofisi, non è costituita da cellule endocrine ma è formata


da due strutture di natura nervosa: l'infundibulum che la connette all'ipotalamo e la pars nervosa,
costituita dagli assoni terminali non mielinizzati di neuroni neurosecretori i cui corpi cellulari sono
localizzati nei nuclei sopraottico e paraventricolare dell'ipotalamo. Tali neuroni posseggono infatti
lunghi prolungamenti che raggiungono direttamente la neuroipofisi e nei cui capillari riversano i
neuro-ormoni da loro sintetizzati. Attorno agli assoni di questi neuroni si trovano particolari cellule
di nevroglia dette pituiciti, con funzione di sostegno, trofica e verosimilmente regolatrice della
secrezione degli stessi ormoni neuroipofisari. Questi sono: la vasopressina (o adiuretina, ADH), e
l'ossitocina che, legati a specifiche proteine dette neurofisine, vengono veicolati verso la neuroipofisi
all'interno di vescicole neurosecretorie. Queste vescicole tendono ad accumularsi nelle regioni che
precedono il terminale assonico dando origine a delle dilatazioni che prendono il nome di corpi di
Herring, al cui livello si ritrovano anche mitocondri, microtubuli e qualche elemento di reticolo
endoplasmatico liscio. La vasopressina, agendo sui tubuli distali e sui dotti collettori del rene,
promuove il riassorbimento di acqua e contribuisce alla regolazione dell'omeostasi idrosalina e della
pressione sanguigna. L'ossitocina stimola da un lato la contrazione della muscolatura uterina al
momento del parto, dall'altro lato la contrazione delle cellule mioepiteliali associate agli adenomeri
della ghiandola mammaria e quindi l'emissione del latte nei dotti galattofori in risposta alla suzione
durante l'allattamento.

Isolotti pancreatici
Il pancreas endocrino rappresenta circa il 2% della ghiandola ed è costituito da cordoni cellulari
circondati da una rete di capillari fenestrati e organizzati a formare delle strutture sferoidali disperse
nel pancreas esocrino dette isolotti pancreatici o isolotti di Langerhans. Questi sono costituiti da vari
tipi cellulari che producono differenti ormoni di natura proteica e che pertanto sono accomunati dalla
presenza di organuli proteosintetici e da accumuli citoplasmatici di granuli secretori.
Le cellule β sono le cellule più numerose, гарpresentano il 60-70% delle cellule che costituiscono
l'isolotto pancreatico e sono distribuite uniformemente al suo interno. Hanno tipici granuli contenenti
un cristalloide elettrondenso, costituito da insulina combinata con ioni zinco, circondato da un alone
elettrontrasparente. L'insulina è un ormone ipoglicemizzante che consente l'ingresso di glucosio nelle
cellule e ne promuove l'utilizzo a fini energetici. Viene rilasciata in seguito ad un aumento della
glicemia e agisce principalmente su cellule epatiche, muscolari ed adipose stimolando l'ingresso al
loro interno di glucosio.
Le cellule α rappresentano circa il 20-30% delle cellule dell'isolotto pancreatico, all'interno del quale
occupano una posizione per lo più periferica. Hanno granuli contenenti un core elettrondenso amorfo
ed un alone elettrontrasparente. Producono il glucagone, ormone iperglicemizzante e catabolico,
antagonista dell'insulina. Il glucagone, rilasciato quando vi è una diminuzione della glicemia, stimola
negli epatociti la glicogenolisi e il rilascio di glucosio nel sangue.
Le cellule δ rappresentano circa il 5-10% delle cellule dell'isolotto pancreatico e sono localizzate
prevalentemente alla periferia. Contengono granuli omogeneamente elettrondensi. Producono
somatostatina, che agisce per via paracrina inibendo la secrezione di insulina e glucagone.

Le cellule PP rappresentano circa il 3-5% delle cellule dell'isolotto pancreatico. Al loro interno
contengono granuli con un core elettrondenso rotondo circondato da un sottile alone elettron-
trasparente. Producono il polipeptide pancreatico (PP) che inibisce per via endocrina e paracrina la
secrezione del circostante pancreas esocrino.
Le cellule epsilon rappresentano meno dell'1% delle cellule dell'isolotto pancreatico. Rilasciano
l'ormone grelina che, stimolando l'appetito, favorisce l'assunzione di cibo.

Ghiandole surrenali: sono due organi pari situati al polo superiore dei reni, che abbracciano,
assumendo una forma di mezzaluna a sezione triangolare. Sono lunghe circa 5 cm, larghe 1-2 cm e
spesse meno di un cm, del peso di circa 4 g l'una. La loro dimensione varia a seconda dello stato
funzionale, potendo aumentare negli stati di stress o in eventi patologici. Le surrenali sono ricoperte
da una spessa capsula connettivale dalla quale si dipartono sottili sepimenti che si approfondano nel
parenchima, mentre il parenchima ghiandolare è sostenuto da connettivo reticolare.
La ghiandola surrenalica si divide in due parti funzionalmente distinte: la corticale (di colore giallino
a fresco) e la midollare (di colore rossastro). A ciascuna surrenale arrivano le arterie omonime dalle
quali si dipartono due tipi di arterie: le corticali e le midollari. Le arterie corticali si approfondano
nella corticale e si continuano con una rete venosa che raggiunge la midollare. Le arterie midollari
arrivano direttamente alla midollare e li si continuano in una seconda rete venosa. Entrambe le reti
venose si riversano nella vena surrenalica che emerge dal surrene e che drena così il sangue
contenente i prodotti di secrezione delle due zone.
La corticale è di origine mesodermica, ha una natura epiteliale ed è sede di sintesi degli ormoni
steroidei. La midollare deriva embriologicamente dalle creste neurali e secerne un ormone che ha la
stessa struttura di un neurotrasmettitore dell'SNC: la noradrenalina ed un secondo ormone, presente
solo in periferia: l'adrenalina.

MIDOLLARE DEL SURRENE


Dal punto di vista istologico, il parenchima secernente della midollare del surrene è composto da
cellule epitelioidi disposte in nidi o gruppi, alle volte in corti cordoni, situati a ridosso dei capillari
sanguigni. Nel parenchima è presente anche del connettivo lasso e delle cellule gangliari dotate di
assone. Le cellule epitelioidi sono grandi, con citoplasma debolmente colorato con la classica
colorazione ematossilina-eosina, ma, se si colorano con soluzioni contenenti bicromato di potassio (o
sali d'argento), presentano dei granuli brunastri, e per questo sono state chiamate cellule cromaffini. I
granuli in realtà sono granuli di secreto che possono contenere adrenalina (anche detta, dall'inglese,
epinefrina) o noradrenalina (detta anche norepinefrina), due molecole della famiglia delle
catecolamine. L'80% della secrezione della midollare è rappresentato da adrenalina e solo il 20% da
noradrenalina. La noradrenalina è presente come neurotrasmettitore anche nel sistema nervoso
centrale, mentre la conversione della noradrenalina in adrenalina (per metilazione) avviene solo nel
surrene. I granuli delle cellule cromaffini contengono una famiglia di proteine dette cromogranine
che permettono l'enorme concentrazione del secreto al loro interno. Le cromogranine, oltre ad essere
importanti per l'accumulo delle catecolamine nelle vescicole secretorie, impedendo il loro
rigonfiamento che avverrebbe per fenomeni osmotici, possono essere precursori di altri peptidi a
funzione ormonale o regolatoria (vasostatina, pancrestatina, catestatina). Questi peptidi hanno anche
un'azione autocrina sulle cellule cromaffini modulandone la funzione endocrina.Le catecolamine
surrenaliche vengono rilasciate per semplice esocitosi. La loro diffusione, tuttavia, è molto più lenta
di quanto ci si aspetterebbe a causa del legame con le cromogranine, che ne ritarda la diffusione
all'esterno della cellula. Ogni granulo di secreto possiede un quanto di molecole da rilasciare, un po'
come ogni vescicola sinaptica possiede un quanto di neurotrasmettitore, che quindi evocherà una
certa risposta sul bersaglio.
Le cellule cromaffini sono innervate da terminazioni simpatiche pregangliari che rilasciano
acetilcolina, per questo la midollare del surrene a volte viene paragonata ad un grande ganglio
simpatico. Inoltre, le cellule cromaffini vengono considerate cellule neuronali prive di terminazioni
nervose. Se coltivate in vitro sono capaci di emettere prolungamenti assonici, la cui formazione
viene solitamente inibita dagli ormoni glucocorticoidi che arrivano dalla corticale attraverso la rete
venosa che si origina dai capillari corticali. Quindi, la morfologia delle cellule cromaffini viene
determinata da fattori locali. Nella midollare sono presenti anche vere cellule gangliari con
prolungamenti assonici che proiettano verso la corticale e ne regolano l'attività secretoria. I
glucocorticoidi, trasportati alla midollare dai capillari sinusoidali che provengono dalla corteccia,
inducono anche la metilazione della noradrenalina in adrenalina. E questo il motivo per cui la
maggior parte delle catecolamine secrete dalla midollare è rappresentata dall'adrenalina (80%).
Adrenalina e noradrenalina, secrete in seguito ad emozioni intense o anche ad improvvisa
ipotensione (caduta di pressione sanguigna), danno risposta fight or flight, intendendo con questa
dicitura che l'organismo si prepara al combattimento o alla fuga e per questo la massa sanguigna
viene convogliata ai muscoli e al cuore per vasocostrizione periferica e del sistema gastrointestinale.
Contemporaneamente, nei muscoli e nel cuore si ha vasodilatazione per permettere un maggior
apporto di nutrienti e ossigeno. Il battito cardiaco aumenta e così anche la frequenza del respiro, si ha
dilatazione dei bronchioli per permettere una maggior ossigenazione ematica, nel fegato aumenta la
gluconeogenesi dai lipidi e la glicogenolisi con conseguente aumento di glicemia e mobilizzazione
dal tessuto adiposo di lipidi per alimentare il lavoro muscolare. Si ha anche diminuzione della
motilità intestinale, sudorazione e dilatazione della pupilla. Una delle patologie più frequentemente
associata alla midollare del surrene è il feocromocitoma. Il feocromocitoma è un tumore benigno a
carico delle cellule cromaffini della surrenale (ma può svilupparsi anche in altre sedi come i
paragangli, strutture nervose che si trovano in prossimità della colonna vertebrale, cioè gangli
paravetrebrali o prevertebrali, che contengono cellule cromaffini). Con l'insorgenza del
feocromocitoma si ha una iperplasia della midollare con aumento della produzione di noradrenalina.
Come conseguenza si ha soprattutto ipertensione arteriosa con rischi a lungo termine di ictus, infarto
o problemi cardiaci in concomitanza di interventi chirurgici. Il trattamento di elezione è la resezione
chirurgica dell'intera ghiandola surrenale. Solo il 10% dei feocromocitomi evolvono in una forma
maligna.

CORTICALE DEL SURRENE: costituisce circa il 90% della ghiandola ed ha una derivazione
mesodermica. Nell' embrione di circa 5 settimane si iniziano a distinguere le cellule della futura
corticale fetale che derivano dal mesoderma intermedio (come anche le gonadi). Verso la 7ª
settimana l'abbozzo della corticale entra in contatto con l'abbozzo della midollare (originante dalle
creste neurali), formando una massa cellulare nella quale non c'è una separazione netta tra i due tipi
cellulari.Solo in seguito, alla porzione più periferica del surrene fetale si aggiungono cellule di
origine mesodermica, ma originate dal mesotelio, che costituiranno la corticale definitiva. Durante il
periodo fetale la corticale fetale è in piena attività e produce i precursori steroidei utilizzati dalla
placenta per produrre estrogeni. Dopo la nascita la corticale fetale regredisce lasciando unicamente le
cellule della midollare e permettendo lo sviluppo della corticale definitiva (oltre alla glomerulare e
fascicolata, già presenti, la reticolare si sviluppa al terzo anno di vita). L'istologia della corticale del
surrene è caratterizzata da una morfologia a cordoni (è una delle poche ghiandole endocrine
cordonali dove questi si possano riconoscere facilmente). I cordoni cellulari sono inframmezzati ai
capillari sinusoidali, che si originano dalle arterie corticali. La corticale, a seconda dell'assetto che
assumono i cordoni, si divide in tre zone: glomerulare, fascicolata, reticolare. In generale, la corticale
secerne ormoni steroidei e per questo le cellule che la compongono sono ricche di gocciole lipidiche
(lipid droplets in inglese o, nella terminologia classica, liposomi) nelle quali si accumula il
colesterolo esterificato, che costituisce la molecola di partenza per la secrezione degli ormoni
steroidei. Il colesterolo può essere anche prodotto direttamente dal reticolo endoplasmatico liscio,
che in queste cellule è particolarmente sviluppato. La sintesi steroidea avviene a cavallo tra i
mitocondri e il REL. Per questo motivo anche i mitocondri sono molto abbondanti e possiedono
delle caratteristiche creste tubulari, chiaramente visibili nella glomerulare, ma che nella fascicolata e
reticolare presentano delle regolari costrizioni, talmente spinte da dare l'idea che siano costituite da
tante piccole vescicole. Nelle cellule della corticale, l'abbondante presenza di REL e mitocondri,
nella classica colorazione ematossilina-eosina, conferisce al citoplasma una spiccata acidofilia.

Glomerulare. È costituita da cellule di medie dimensioni disposte ad arco, il che ha dato l'idea che
fossero raggomitolate, e da qui il nome glomerulare (= gomitolo). La glomerulare produce
aldosterone, che determina il riassorbimento del sodio a livello del tubulo renale distale, delle
ghiandole sudoripare e delle ghiandole salivari, con conseguente richiamo osmotico d'acqua nel
sangue ed aumento della volemia e della pressione sanguigna. La secrezione della glomerulare è
sotto il controllo del sistema renina-angiotensina (vedi secrezione endocrina nei tessuti non
epiteliali). I nuovi farmaci ACE-inibitori, inibendo il sistema renina-angiotensina, abbassano la
pressione sanguigna nell'ipertensione cronica.

Fascicolata. Costituisce circa il 180% della corticale. Nella fascicolata i cordoni assumono un
andamento parallelo (da qui il nome, come grossi fasci) e le cellule presentano dimensioni maggiori
e un numero maggiore di gocciole lipidiche, tanto che vengono denominate spongiociti. La
fascicolata produce i cosiddetti glucocorticoidi che comprendono il cortisolo, cortisone,
corticosterone. In generale i glucocorticoidi determinano gluconeogenesi e aumento della glicemia,
sintesi di glicogeno nel fegato, mobilizzazione di lipidi dal tessuto adiposo e catabolismo proteico a
livello muscolare. Hanno anche un'azione immunosoppressiva e antinfiammatoria. Nell'uomo
prevale la secrezione di cortisolo. La fascicolata produce anche piccole quantità di androgeni. La
secrezione della fascicolata è regolata dall' ACTH prodotto dall'adenoipofisi.

Reticolare. Compone la corticale solo per il 5-7%. Le cellule della reticolare sono più piccole di
quelle della fascicolata e contengono meno gocciole lipidiche, per questo si colorano più
intensamente di quelle dell'adiacente fascicolata. I cordoni sono disposti a formare una sorta di rete,
da qui il nome. La reticolare è sotto il controllo dell'ACTH e produce deidroepiandrosterone
(DHEA) e piccole quantità di androgeni. Il DHEA a livello dei tessuti periferici viene convertito ad
androstenedione prima e a testosterone poi. Negli uomini non ha molta importanza. Negli eunuchi
alle volte riusciva a sopperire la mancanza di testosterone prodotto nei testicoli e a permettere loro di
avere una regolare vita sessuale Nelle donne rappresenta l'unica fonte di testosterone e in età
prepubere e pubere determina la comparsa di peli nelle ascelle e nell'inguine. Una delle più comuni
patologie a carico della corticale è il morbo di Addison, nel quale la produzione di autoanticorpi da
parte dei pazienti distrugge le tre zone della corticale con totale perdita della produzione ormonale.

Aspetti di secrezione endocrina in tessuti non epiteliali: la produzione di ormoni non è una
prerogativa del solo epitelio ghiandolare endocrino, ma è condivisa con altri tessuti. Infatti, esistono
cellule endocrine di natura connettivale, muscolare e nervosa.

Cellule endocrine di natura connettivale


Oltre ai tessuti di natura epiteliale anche i tessuti di altra natura possono avere secrezione endocrina.
Un primo esempio è dato dalle cellule che si trovano disperse nel tessuto connettivo delle gonadi:
nell'uomo corrispondono alle cellule interstiziali del Leydig (Figura 9.25), nella donna alle cellule
dell'ilo dell'ovaio. Esistono anche delle cellule interstiziali dell'ovaio che, però, derivano da follicoli
atresici (follicoli che non arrivano all'ovulazione e degenerano) che secernono estrogeni e
progesterone. Le cellule interstiziali del testicolo (dette cellule di Leydig) e quelle dell'ilo dell'ovaio,
secernono, invece, testosterone, importante nell'uomo per la formazione dei caratteri sessuali
secondari e per la stimolazione della spermatogenesi, mentre nella donna il testosterone, prodotto
cinquanta volte meno che nell'uomo, regola esclusivamente la libido. Nell'uomo le cellule di Leydig
sono attive anche al 3°-4° mese di vita fetale. In questo periodo il testosterone è importante per
indurre lo sviluppo delle vie spermatiche e dei genitali esterni; in seguito le cellule regrediscono fino
alla pubertà, quando riprendono l'attività. Nell'ovaio le cellule della teca interna del follicolo ovarico
sono altresì di origine connettivale. Secernono ormoni steroidei androgeni (androstenedione) che
vengono assunti dalle adiacenti cellule della granulosa (di natura epiteliale) per venire convertiti in
estrogeni, essenziali per diverse funzioni tra cui lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari
femminili, la deposizione di matrice ossea, ecc. Il corpo luteo è una struttura mista epiteliale-
connettivale, che si origina dal follicolo ovarico. Dopo l'ovulazione il follicolo ovarico, che
comprendeva due strati cellulari (la teca e la granulosa) collassa, le cellule modificano i loro rapporti
topografici e nel complesso si forma il corpo luteo, un ammasso cellulare dalla forma stellata, con
contorni irregolari. Le cellule che derivano dalla granulosa diventano di grandi dimensioni (circa 30
m), possiedono numerose gocciole lipidi-che, costituiscono I80% del parenchima e, grazie all'enzima
aromatasi, convertono l'androstene-dione in estradiolo, ma secernono primariamente progesterone e
inibina (che inibisce la produzione di FSH dall'ipofisi). Le cellule originatesi dalla teca interna sono
di dimensioni notevolmente più piccole e producono androstenedione e progesterone. La formazione
e il mantenimento del corpo luteo sono stimolati dell'LH prodotto dall'ipofisi anteriore.

Per ultimo vorremmo ricordare che anche il tessuto adiposo bianco, un connettivo deputato
all'accumulo di trigliceridi, ha la capacità di secernere ormoni, tra cui il più noto è la leptina. In
generale, la leptina agisce sui centri ipotalamici della fame e sazierà e inibisce l'assunzione di cibo,
favorendo il metabolismo dei lipidi nei tessuti periferici.

Cellule endocrine di natura muscolare: sono tali, ad esempio, i miocardiociti atriali e le cellule
muscolari lisce dell'arteriola afferente al glomerulo renale.
I miocardiociti (o cardiomiociti) atriali producono un ormone proteico detto peptide natriuretico
atriale (ANP, dall'inglese atrial natruretic peptide) che viene liberato quando le pareti dell'atrio
vengono dilatate da un aumento di volume del sangue di ritorno dal cuore, come avviene quando si
ha una ritenzione di liquidi o un travaso di liquidi dal liquido interstiziale al sangue (ad es.
linfodrenaggio). L'ANP ha poi come bersaglio il rene, in cui induce l'escrezione di ioni sodio e
acqua, incrementando il volume delle urine a scapito del volume ematico e compensando così lo
squilibrio emodinamico di partenza. Le stesse cellule producono anche la relaxina, cui è attribuito un
ruolo nella perfusione sanguigna del cuore e nell'incrementare la forza di contrazione. Alcune cellule
muscolari lisce modificate, dell'arteriola afferente del glomerulo renale (dette juxtaglomerulari), sono
capaci di rilevare un calo della pressione sanguigna o della concentrazione di sodio e liberano nel
flusso ematico, per esocitosi dei granuli presenti nel citoplasma, la renina. La renina non è un vero e
proprio ormone, ma un enzima proteolitico. Nel sangue la renina catalizza l'idrolisi
dell'angiotensinogeno (un pro-ormone circolante) in angiotensina I, la quale subisce un'ulteriore
modificazione da parte di enzimi polmonari (l'angiotensin converting enzyme, ÀCE, prodotto dalle
cellule endoteliali dei capillari polmonari) e si trasforma in angiotensina II.
L’angiotensina II è l'ormone vero e proprio: essa causa una marcata vasocostrizione, stimola la
liberazione di aldosterone dalla corticale surrenale e la liberazione di catecolamine dalla midollare
surrenale, rialzando così la pressione sanguigna.

Cellule endocrine di natura nervosa


Sono tali, ad esempio, i neuroni dell'ipotalamo che producono fattori che controllano la produzione e
il rilascio degli ormoni adenoipofisari e i neuroni situati a livello dei nuclei sopraottico e
paraventricolare che liberano vasopressina ed ossitocina a livello della neuroipofisi. Questo tipo di
secrezione è già stata trattata nel paragrafo relativo alla ghiandola ipofisi. Anche l'epifisi è una
ghiandola di natura nervosa.

EPIFISI è una piccola ghiandola a forma di pigna, da cui il nome di ghiandola pineale. Essa deriva
dal neuroectoderma del diencefalo ed è localizzata in corrispondenza del tetto del terzo ventricolo. È
composta da cellule specifiche, dette pinealociti, intercalate a cellule di nevroglia, fibre nervose e
capillari sanguigni. Sono inoltre presenti delle concrezioni calcaree, chiamate cor-pora arenacea,
presenti già nell'età infantile e che aumentano con l'età. I pinealociti sono organizzati in cordoni,
possiedono numerosi mitocondri, vescicole di secrezione e lunghi processi citoplasmatici con
estremità dilatate a contatto con i capillari, tipiche della funzione endocrina. Queste cellule
producono la melatonina, un ormone derivato dal triptofano. Il rilascio della melatonina è inibito
dalla luce e quindi avviene esclusivamente di notte. Mentre nei vertebrati inferiori l'epifisi è situata
sotto la cute del cranio ed è in grado di percepire stimoli luminosi discriminando la notte dal giorno,
nell'uomo le informazioni sui cicli luce/buio arrivano all'epifisi dai fotorecettori retinici.
I recettori per la melatonina sono presenti in numerosi organi in particolare nel sistema nervoso e
nell'apparato riproduttivo e questo spiega il ruolo di quest'ormone nella regolazione di funzioni
fisiologiche che seguono un ritmo circadiano, quali ad esempio il ritmo sonno-veglia e nella
regolazione dell'attività endocrina delle gonadi. È stato ipotizzato che la melatonina possa
determinare alterazioni di umore, provocando depressione nei giorni più corti del periodo invernale
(sindrome di depressione invernale, nota come seasonal affective disorder, SAD). La melatonina
viene utilizzata per il trattamento di disturbi legati ad una alterazione dei ritmi circadiani, come nel
caso di lunghi viaggi aerei con variazione di fuso orario (jet-lag).

Tessuti endocrini negli annessi embrionali: la placenta è un annesso embrionale indispensabile per
gli scambi trofici tra feto e utero materno. Dal lato con cui viene a contatto col sangue materno, la
placenta è rivestita da un particolare tessuto organizzato in un sincizio cellulare: il
sinciziotrofoblasto. Esso, oltre a consentire gli scambi tra madre e feto, svolge un'importante
funzione endocrina, producendo sia ormoni proteici che steroidei, per questo vi si distinguono aree
citoplasmatiche con organuli proteosintetici e aree con organuli steroidogenici e gocciole lipidiche. Il
sinciziotrofoblasto produce: la gonadotropina corionica umana (hCG, human corionic gonadotropin),
responsabile del mantenimento del corpo luteo gravidico: è il primo prodotto del sinciziotrofoblasto,
che compare già alla fine della prima settimana dal concepimento ed è presente anche prima che si
organizzi una placenta vera e propria. Nei test di gravidanza si ricerca la presenza e il dosaggio della
hCG (nel sangue o nelle urine). Altri ormoni prodotti dalla placenta sono:
1) l'ormone somatomammotropina o GH placentare, ormone anabolizzante che contribuisce
all'incremento ponderale della madre, allo sviluppo della ghiandola mammaria e all'aumento della
glicemia della madre, utile per nutrire il feto;
2) la relaxina, che promuove la quiescenza del miometrio ed il rilassamento della parete addominale
necessari per accogliere il feto in crescita, nonché il differenziamento e lo sviluppo della ghiandola
mammaria;
3) il progesterone, necessario per il mantenimento della gravidanza e inibente la produzione di FSH,
evitando l'insorgere di altre ovulazioni. Il progesterone placentare soppianta completamente quello
luteinico durante l'ultimo trimestre di gravidanza;
4) gli estrogeni, che aumentano progressivamente durante la gravidanza, stimolando la crescita
uterina e della ghiandola mammaria.

Meccanismi di controllo della secrezione endocrina


Il sistema endocrino svolge un ruolo fondamentale nella regolazione delle funzioni dei vari organi ed
apparati, di concerto con il sistema nervoso. E pertanto necessario che a sua volta la produzione e
liberazione di ormoni sia sottoposta ad un rigoroso controllo. Ciò fisiologicamente avviene attraverso
vari meccanismi, che possono essere schematizzati come segue.

Controllo metabolico. La liberazione dell'ormone viene controllata dal metabolita che l'ormone
stesso regola. Ad esempio, l'incremento del glucosio plasmatico induce la liberazione di insulina,
ormone ipoglicemizzante; viceversa l'ipoglicemia sopprime la secrezione di insulina.
Analogamente, i livelli plasmatici di ione calcio regolano la liberazione di paratormone dalle
paratiroidi, le cui cellule posseggono recettori per lo ione calcio.

Controllo nervoso. La liberazione dell'ormone avviene quando la cellula endocrina riceve un


impulso nervoso. Per esempio, le cellule endocrine della midollare surrenale sono in contatto con
terminazioni nervose efferenti del sistema nervoso autonomo che ne controllano direttamente
l'attività secretoria.

Controllo endocrino. L'attività di una ghiandola endocrina è regolata da un altro ormone, definito
genericamente tropina, prodotto da cellule dell'adenoipofisi. Ad esempio, la secrezione di tironine da
parte della tiroide dipende dalla stimolazione esercitata sui tireociti dal TSH (o tireotropina).
Analogamente, il differenziamento in senso endocrino e la secrezione di ormoni dal corpo luteo
vengono indotti dall'LH (o gonadotropina), e così anche la secrezione di ormoni dalla corticale del
surrene dipende dallo stimolo da parte dell'ACTH (o corticotropina). A loro volta, come già detto, le
tropine adenoipofisarie sono sotto controllo da parte dei releasing hormones (RH) e inhibiting
hormones (IH).

Un esempio di controllo endocrino/paracrino lo si ha negli isolotti pancreatici, in cui le cellule a


somatostatina esercitano un controllo inibitorio sulle cellule β ed α, riducendo la liberazione sia di
insulina che di glucagone.

Meccanismi di risposta delle cellule bersaglio agli ormoni


Per esercitare la sua azione, l'ormone deve interagire con un proprio recettore sulla cellula bersaglio.
I recettori sono localizzati o sul plasmalemma per quanto riguarda gli ormoni idrosolubili (proteici,
glicoproteici, amminici) e sono invece citoplasmatici per gli ormoni che possono attraversare il
plasmalemma perchè liposolubili (steroidi) o grazie a proteine trasportatrici (ormoni tiroidei).

RECETTORI DI MEMBRANA: sono proteine intrinseche del plasmalemma ed agiscono attivando


meccanismi di traduzione del segnale a livello intracellulare, riassumibili come segue:

Recettori ad attività tirosina-chinasica. Questi recettori, una volta legatisi all'ormone, si trasformano
in enzimi capaci di fosforilare le proteine (chinasi) sui residui di tirosina. La fosforilazione in tirosina
modifica l'attività biologica della proteina: ad esempio, se questa è un enzima chiave di una via
metabolica può venire attivata o inattivata, a seconda dei casi. In questo modo, l'ormone controlla
indirettamente l'attivazione/inattivazione della via metabolica in questione.

Recettori accoppiati alle proteine G. Questi recettori, attivati dal legame con l'ormone, divengono
affini per particolari proteine di membrana, le proteine G, e le attivano. Esistono proteine G
stimolatorie (Gs) e inibitorie (Gi). Una volta attivate, le proteine G modulano l'attività di enzimi
situati sul versante interno della cellula, i quali producono mediatori intracellulari dell'azione
dell'ormone, definiti genericamente secondi messaggeri. Tali enzimi sono:
i) l'adenilato-ciclasi (o AMP-ciclasi) che, usando come substrato l'ATP, produce AMP ciclico
(cAMP); esso va ad attivare le protein-chinasi-cAMP-dipendenti (PKA) del citoplasma che
fosforilano specifiche proteine (in genere su residui di serina o treonina), attivandole o inattivandole
a seconda dei casi;
ii) la guanilato-ciclasi (o GMP-ciclasi) che, usando come substrato il GTP, produce GMP ciclico
(cGMP); analogamente al cAMP, esso attiva le protein-chinasi-cGMP-dipendenti (PKG), anch'esse
con effetti modulatori mediati dalla fosforilazione di specifiche proteine bersaglio;
iii) la fosfolipasi A, (PLA) che, idrolizzando i fosfolipidi di membrana, produce diacilglicerolo
(DAG) e inositolo-3-fosfato (IP ). II DAG resta nel contesto della membrana e attiva la protein-
chinasi C, la quale a sua volta fosforila specifiche proteine attivandole o inattivandole; l'IP, agisce
sul reticolo endoplasmico liscio provocando la liberazione di calcio, il quale, ad esempio, innesca
l'interazione tra filamenti actinici e miosinici e quindi attiva i movimenti intracellulari (secrezione,
moto ameboide, etc.).
Recettori accoppiati a canali ionici. Questi recettori, quando legano l'ormone, aprono dei canali di
membrana (detti per questo canali a controllo di ligando) attraverso cui entrano o fuoriescono
determinati ioni (sodio, calcio, etc.), con conseguenti effetti sul potenziale di membrana, la
contrattilità o la funzione di specifiche proteine.

RECETTORI CITOPLASMATICI
I recettori per gli ormoni tiroidei e steroidei sono proteine con una peculiare struttura terziaria, in cui
si riconoscono tre distinte porzioni (dominii) con diversa funzione: un dominio R (recettore), a cui si
lega l'ormone; un dominio D (DNA), che possiede una particolare conformazione tridimensionale
stabilizzata da atomi di zinco (detta a dita di zinco), capace di legarsi al DNA; un dominio M
(modulatore), che varia in base al tipo di ormone per cui il recettore è affine.
Quando l'ormone si lega al dominio R, il complesso ormone-recettore viene traslocato nel nucleo e si
lega al DNA a livello di specifiche sequenze (hormone response elements, HRE) che agiscono da
attivatori o repressori di geni. L'azione degli ormoni steroidei si esplica quindi principalmente a
livello genico, inducendo o inibendo la traduzione di proteine chiave nelle vie metaboliche che i
singoli ormoni vanno ad influenzare.
In taluni casi, il complesso ormone-recettore può agire anche nel citoplasma, interagendo con
specifiche molecole bersaglio e modulandone la funzione. Per alcuni tipi di ormoni steroidei, ad es.
gli estrogeni, sono stati anche identificati recettori di membrana che agiscono tramite secondi
messaggeri. Questo contribuisce a spiegare la grande varietà di effetti biologici di questi ormoni.

Gli epiteli sensoriali e gli epiteli particolarmente differenziati

Con il termine di “sensibilità generale”, si intendono varie forme di sensibilità termica, dolorifica,
tattile, pressoria, vibratile e propriocettiva mostrate da cellule specializzate a struttura relativamente
semplice, distribuite in tutto il corpo, prevalentemente all'interno della matrice extracellulare dei
tessuti connettivi e che fungono da recettori sensitivi. Queste cellule svolgono, pertanto, funzioni di
monitoraggio delle condizioni presenti in un dato momento nell'ambiente che le circonda inviando
informazioni di natura sensitiva (definibili come sensazioni) al sistema nervoso centrale (SNC) che è
in grado di prenderne coscienza (tale acquisizione costituisce la percezione)
Con il termine di “sensibilità specifica”, invece, ci si riferisce a cellule specializzate che fungono da
recettori, sensibili solo ad un determinato tipo di stimolo, strutturalmente più complesse e presenti in
limitate aree sensoriali all'interno di tessuti epiteliali situati nei nostri organi di senso che presiedono
a gusto, udito, equilibrio, olfatto e vista. In questo Capitolo tratteremo questi epiteli sensoriali,
rappresentati da epiteli di rivestimento nei quali sono presenti cellule epiteliali specializzate in grado
di recepire specifici stimoli chimici o meccanici e di trasdurli in segnali elettrici. In virtù del fatto
che le cellule epiteliali sensoriali sono in contatto con espansioni terminali di fibre nervose
appartenenti a neuroni sensoriali (il cui soma è localizzato nei gangli cerebro-spinali), l'informazione
acquisita può essere trasmessa ed elaborata nel SNC. Tuttavia, è bene considerare che le cellule
epiteliali sensoriali, pur avendo aspetti funzionali simili, non sono neuroni, in quanto non presentano
assone e non hanno derivazione neuroectodermica.
Agli epiteli sensoriali spetta il compito di fornire ai centri superiori informazioni per quanto riguarda
forme di sensibilità quali l'udito, l'equilibrio ed il gusto: vi appartengono le cellule sensoriali,
acustiche e vestibolari dell'orecchio interno e le cellule gustative, in grado di recepire, nell'ordine,
variazioni di pressione acustica, variazioni di accelerazione della testa e sensazioni gustative.
Altre forme di sensibilità specifica, quali l'olfatto e la vista, sono appannaggio di differenti tipi di
epiteli da alcuni definiti “sensitivi” nei quali, a differenza dei precedenti, le cellule recettoriali sono
cellule nervose a tutti gli efferti: tali sono le cellule degli epiteli olfattivo e retinico.

Cellule sensoriali acustiche: l’orecchio interno, situato nel labirinto osseo all'interno dell'osso
temporale, è formato dal sistema uditivo, comprendente il dotto cocleare, e dall'organo vestibolare
(vedi sotto), con utricolo e sacculo e tre canali semicircolari.
In particolare, nel sistema uditivo, all'interno del dotto cocleare, si trova l'organo di Corti, l'elemento
sensoriale responsabile della ricezione degli stimoli acustici. Due tipi cellulari epiteliali, le cellule
acustiche interne ed esterne, a seconda della rispettiva localizzazione nell'organo, costituiscono gli
elementi cellulari sensoriali dell'organo di Corti, specializzati nella trasduzione del segnale sonoro
(meccanico) in segnale nervoso (elettrochimico). Le cellule acustiche interne sono disposte in
singola fila, sono corte e dotate di nucleo centrale mentre quelle esterne sono in tre o quattro file, più
allungate e con il nucleo spostato verso la zona basale. Le cellule acustiche sono anche dette cellule
capellute perché presentano, alla superficie apicale, da 50 a 100 stereociglia di altezza decrescente.
Si tratta di sottili prolungamenti cellulari allungati provvisti di un citoscheletro di microfilamenti di
actina. Le onde sonore giungendo alla membrana del timpano ne inducono la flessione che, mediante
la catena degli ossicini (martello, incudine e staffa) ad essa collegata, trasmette il movimento ad una
membrana situata nella parete ossea dell'orecchio interno, definita finestra ovale. I movimenti di
questa membrana determinano spostamenti della linfa contenuta nel labirinto che sollecita le
stereociglia delle cellule acustiche. Queste subiscono uno spostamento meccanico che causa
l’apertura di canali ionici con conseguente depolarizzazione della membrana e successivo ingresso di
ioni Ca2+ e rilascio di un neurotrasmettitore contenuto in vescicole al polo basale. Qui sono
localizzate sinapsi a nastro con terminazioni nervose afferenti(funzionalmente sono dendriti
sensitivi), che così vengono stimolate a portare il segnale sensoriale lungo il nervo acustico fino al
cervello. Terminazioni nervose efferenti formano sinapsi, ricche di vescicole, con le sole cellule
acustiche esterne. Lungo le fibre nervose efferenti, l'impulso viaggia dal sistema nervoso alle cellule
capellute, così da regolarne la funzionalità.

Cellule sensoriali dell'organo vestibolare: nell'orecchio interno è localizzato l'organo vestibolare,


una struttura membranosa costituita da due vescicole, il sacculo e l'utricolo, e tre canali semicircolari
contenuti all'interno del labirinto osseo. L'organo vestibolare è in grado di recepire:
1. la direzione dell'accelerazione di gravità, grazie a recettori stimolati da cambiamenti di posizione della testa.
Sono i recettori della macula del sacculo, sensibili alla direzione latero-laterale della accelerazione, ed i
recettori della macula dell'utricolo, sensibili alla direzione cranio-caudale della accelerazione;
2. l'intensità degli stimoli di accelerazione lineare ed angolare dovuti, ad esempio, a movimenti lineari o di
rotazione della testa, grazie ai recettori corrispondenti alle creste ampollari dei tre canali semicircolari. La
stimolazione è determinata da correnti di endolinfa che si formano in seguito ai movimenti del capo nello
spazio.

Le macule del sacculo e dell'utricolo sono disposte in direzioni ortogonali fra loro, così da recepire le
accelerazioni in piani diversi. Esse sono formate da un singolo strato di cellule epiteliali di sostegno,
che poggiano sulla lamina basale e sono prive di capacità recettoriale. In tale strato sono immerse
cellule capellute di tipo I e di tipo II morfologicamente differenti.
Le cellule capellute di tipo 1, poco colorabili, sono anche dette cellule a fiasco, per via della forma
allargata alla base, dove è situato il nucleo, che si restringono nella zona apicale e dalla cui superficie
si proiettano 50-100 stereociglia di altezza crescente. Le stereociglia hanno un citoscheletro di
microfilamenti di actina tenuti insieme da molecole di fimbrina che ne assicura la rigidità. Al di
sotto delle stereociglia, una piastra cuticolare. costituita da microfilamenti di actina, contribuisce a
mantenerle erette, impedendone il collassamento entro il citoplasma, Le stereociglia più alte sono
affiancate ad un ciglio, chiamato chinociglio, dotato di assonema e di corpuscolo basale, che
funziona da recettore degli stimoli di accelerazione.Le cellule capellute di tipo II anche definite
cellule colonnari, si presentano invece più slanciate e con nucleo centrale. I prolungamenti presenti
alla superficie apicale di entrambi i tipi cellulari trovano alloggio nei pori della membrana otolitica,
una struttura gelatinosa costituita da glicoproteine e proteoglicani in cui sono immersi gli otoliti o
statoconi, prismi cristallini di carbonato di calcio . Cambiamenti della posizione della testa creano
dunque come già detto correnti di endolinfa che determinano il movimento della membrana otolitica
che sormonta le chinociglia e le stereociglia, piegandole così in differenti direzioni. Alla
deformazione della membrana plasmatica consegue lo stimolo eccitatorio. Entrambi i tipi cellulari
sensoriali formano sinapsi con neuroni efferenti con funzione inibitoria.
Analogamente alle cellule della macula ora descritte, anche le creste ampollari dei tre canali
semicircolari sono formate da cellule di sostegno e da cellule capellute, distinte in cellule di tipo I e
di tipo II. Le cellule di tipo I, localizzate sulla sommità, e quelle di tipo II, alla base della cresta, sono
sormontate da una massa gelatinosa di natura glicoproteica, detta cupola per via della forma e priva
di otoliti a differenza della membrana otolitica. Struttura e funzioni sono per il resto paragonabili a
quelle descritte per le cellule sensoriali delle macule del sacculo e dell'utricolo.

Cellule sensoriali gustative: le gemme gustative (o calici gustativi), sono chemiorecettori del senso
del gusto e sono localizzate, in numero di circa 3000 nell'uomo, nello spessore dell'epitelio delle
papille linguali circumvallate, foliate e fungiformi, ma sono assenti in quelle filiformi.
I recettori gustativi sono distribuiti in aree ben determinate sulla superficie delle lingua e le
sensazioni percepite specificamente da ciascun recettore (alcuni recettori del gusto sono sensibili a
più di una sensazione gustativa), corrispondono ai differenti sapori dolce, amaro, salato, acido e
glutammato di sodio (gusto definito umami). L'ipotesi di un'ulteriore sensazione associata ai lipidi è
avvalorata dalla scoperta, nel ratto, di una glicoproteina multifunzionale (CD36) quale possibile
sensore per i grassi nella cavità orale.
Ogni gemma gustativa, a forma di barilotto, si apre con uno stretto poro gustativo alla superficie
dell'epitelio e contiene dalle 20 alle 80 cellule fusiformi orientate perpendicolarmente alla lamina
basale e proiettate verso il poro gustativo. Tra le cellule presenti nelle gemme gustative ricordiamo la
presenza di cellule progenitrici e cellule staminali in grado di rimpiazzare le cellule gustative che
hanno un ciclo vitale relativamente breve di 8-12 giorni. I vari tipi cellulari presenti nelle gemme
gustative possono classificarsi sulla base di osservazioni morfologiche ed immunoistochimiche. Oggi
si riconoscono quattro tipi di cellule gustative: il tipo I, costituito da elementi fusiformi dotati di
lunghi microvilli, con funzioni principalmente di supporto, anche se si evidenziano tra loro alcune
cellule in grado di recepire il gusto salato; il tipo II, costituito da cellule polarizzate dotate di
numerosi e corti microvilli con funzione di recettori cellulari per il gusto dolce, amaro e umami; il
tipo III, formato da cellule fusiformi (con un unico microvillo) le quali formano sinapsi con fibre
nervose che perdono la guaina mielinica prima di penetrare nella gemma gustativa; alcune cellule di
cipo III sono in grado di recepire i gusti acido e salato ed, inoltre, sembrano poter integrare e
trasmettere segnali provenienti dalle vicine cellule di tipo Il ai nervi del gusto; il tipo IV, composto
da cellule tondeggianti situate nei pressi della base della gemma gustativa e per questo dette anche
cellule basali. Tali elementi basali sono da considerarsi precursori immaturi appena formati ed in
grado di differenziare in cellule gustative mature. Le vere e proprie cellule staminali, invece,
risiederebbero nell'epitelio vicino alla base della gemma gustativa ma al di fuori di quest'ultima.
Quando una sostanza penetra nel poro gustativo, stimola recettori differenti a seconda della sua
struttura chimica determinando le diverse sensazioni di gusto. Ad esempio, per il dolce, l'amaro e
l'umami la sostanza chimica si lega ad un recettore specifico (appartenente alla famiglia dei recettori
T1R per il dolce e l'umami ed ai T2R per l'amaro) presente sulla membrana dei microvilli di una
cellula recettoriale. Il legame tra sostanza chimica e recettore è lo stimolo in seguito al quale si
modifica la polarizzazione della membrana plasmatica stessa. Questa depolarizzazione, ad esempio,
può indurre un aumento della concentrazione di Ca2+ intracellulare con conseguente secrezione di
neurotrasmettitori da parte della cellula gustativa e stimolazione della terminazione nervosa
collegata. Per quel che riguarda le sostanze chimiche recepite come acide e salate, sarebbero invece
coinvolti principalmente canali ionici presenti nella membrana plasmatica. Le sensazioni relative al
gusto sono legate strettamente a quelle dell'olfatto; le informazioni riguardanti entrambi i tipi di
sensibilità vengono infatti proiettate a livello della corteccia rispettivamente del lobo dell'insula e del
lobo temporale dove le due sensazioni sono messe a confronto dando origine alla percezione del
gusto. Per questo motivo mentre i sapori fondamentali sono come abbiamo già visto cinque (secondo
alcuni sei) i gusti sono invece un numero pressoché infinito, derivando dall'interazione dei sapori con
le sensazioni olfattive (che sono un numero infinito). Questo rapporto è facilmente identificabile nei casi
in cui una banale patologia come il raffreddore determinando la congestione delle cavità nasali impedisce alle
sostanze chimiche disperse dell'aria di essere percepite dall'epitelio olfattivo e quindi abolisce questa
componente del gusto che viene in questo modo “regredito” ai soli sapori fondamentali.

Cellule dell'epitelio olfattivo: l'epitelio olfattivo, una regione di circa 2,5cm per narice, posta nella
parete superiore delle cavità nasali, contiene diversi milioni di neuroni sensoriali misti a cellule
gliali. Istologicamente si tratta di un tipo di epitelio pseudostratificato per certi versi simile a quello
che tappezza le vie aeree, che va a rivestire la volta delle cavità nasali in corrispondenza della lamina
cribrosa ossea dell'etmoide. Questo epitelio è costituito essenzialmente da tre tipi di cellule:
— Cellule olfattive o recettori olfattivi (neuroni bipolari modificati);
— Cellule di sostegno di tipo cilindrico, provviste di microvilli;
— Cellule basali, di forma grossolanamente triangolare.
Le cellule olfattive sono contenute in un'area neuroepiteliale specializzata della mucosa nasale,detta
mucosa olfattiva. I neuroni olfattori hanno una vita breve (30 - 60 giorni) e sono continuamente
rinnovati grazie ad una popolazione di cellule staminali situata alla base dell'epitelio stesso.
Le cellule olfattive sono a tutti gli effetti neuroni bipolari' il cui terminale dendritico si sviluppa
verso l'epitelio mentre invece l'assone attraversa i fori della lamina cribrosa dell'etmoide per poi
prendere sinapsi con neuroni situati nel bulbo olfattivo. Il dendrite, alla sua estremità si espande in
un bottone terminale (vescicola olfattoria) da cui si originano 5 - 20 ciglia, lunghe circa 200 mm
(definiti peli olfattivi) che rimangono imbrigliate nel muco situato sulla superficie esterna
dell'epitelio. Le immagini in microscopia elettronica mostrano la presenza di 5-8 lunghe ciglia
immobili, con un assonema che all'origine presenta la classica disposizione di microtubuli 9+2, ma
senza le caratteristiche braccia di dineina, mentre distalmente cambia conformazione e si configura
come microtubuli singoli localizzati attorno alla coppia centrale. Le cellule di sostegno si trovano
intercalate alla cellule olfattive con le quali sono in stretto rapporto; dovendosi adattare ai corpi delle
cellule olfattive, le cellule di sostegno sono cellule alte con una parte basale a contorni irregolari,
hanno nucleo elissoidale e la loro superficie libera è dotata di microvilli lunghi e sottili che si
intrecciano con i peli olfattivi. Esse contraggono rapporti con altre cellule di sostegno e con le cellule
nervose per mezzo di complessi giunzionali. Le cellule di sostegno partecipano all'elaborazione del
secreto glicoproteico, insieme alle ghiandole olfattive della lamina propria. Tale secreto si stratifica
alla superficie dell'epitelio olfattivo allo scopo di provvedere al mantenimento dell'ambiente ionico e
molecolare necessario per la ricezione degli molecole chimiche che costituiscono gli odori e contiene
delle proteine solubili a basso peso molecolare in grado di legare queste molecole (soluble odorant-
binding proteins) che si ritiene possano contribuire alla rimozione o alla concentrazione delle
sostanze odorose presso il recettore. Infine, cellule basali si trovano a contatto con la membrana
basale dell'epitelio olfattivo. Sono elementi piccoli, piramidali, che contraggono stretti rapporti con
gli assoni delle cellule olfattive e intorno ai quali si avvolgono in una posizione simile a quello che le
cellule di Schwann assumono intorno agli assoni nel formare le guaine mieliniche.10.5 Cellule
dell'epitelio retinico. La retina, che rappresenta la tonaca più interna dell'occhio, è la struttura
deputata alla trasformazione degli stimoli luminosi in impulsi nervo-si. La retina è una membrana
sottile, delicata, e trasparente, leggermente rosea perché vascolarizzata; costituita da un sottile strato
di neuroni dello spessore di poche centinaia di micron e composta da cinque tipi di cellule disposti su
tre strati, separati da due strati sinaptici. La faccia esterna è a contatto con la coroide tramite l'epitelio
pigmentato, mentre la faccia interna è a contatto con il corpo vitreo, cui aderisce nella regione
dell'ora serrata (a livello della base del corpo vitreo).

Epitelio pigmentato e neuroepitelio sono adesi mediante un meccanismo osmotico di pompa


appartenente all'epitelio pigmentato stesso. La retina dunque è formata da più strati di cellule,
ciascuno con una funzione specifica, che va dalla percezione dello stimolo luminoso alla sua
trasformazione in un impulso che viene trasmesso al cervello attraverso il nervo ottico. Per motivi
legati all'argomento oggetto di questo capitolo, ci occuperemo esclusivamente dello strato epiteliale,
lasciando ai trattati di anatomia e fisiologia la descrizione dettagliata della struttura della retina.
L'epitelio pigmentato retinico (RPE) è un epitelio specializzato che si trova nell'interfaccia tra la
lamina costituita dai differenti neuroni e dalle cellule dei coni e bastoncelli (da alcuni definita
neuroretina) e la coroide dove contribuisce alla formazione della barriera ematica retinica esterna.
Le funzioni principali del RE sono le seguenti:
1) Assorbimento della luce e protezione contro la foto-ossidazione dei lipidi dei fotorecettori e
riduzione della produzione di ROS in conseguenza dell'elevato consumo di ossigeno;
2) Trasporto attivo dei metaboliti necessari alla attività dei fotorecettori e rappresentati
prevalentemente da glucosio, acido ascorbico, retinolo e acidi grassi;
3) Costituzione della barriera emato-retinica;
4) Rigenerazione dei pigmenti visivi mediante la secrezione di fattori essenziali per l'integrità
strutturale della retina. Le cellule di RE sono in grado di produrre e secernere numerosi fattori di
crescita, fra gli altri due rivestono particolare importanza: il Pigment Epithelium Derived Factor
(PDF) e il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF);
5) Fagocitosi di porzioni dei membrana dei fotorecettori danneggiate dall'azione della luce.

Gli intensi livelli di luce provocano come già detto la formazione di ROS con conseguente
degenerazione di proteine e lipidi della membrana recettoriale che potrebbero interferire con la
funzionalità del recettore. Istologicamente l'epitelio pigmentario retinico è costituito da un
monostrato di cellule pigmentate situate tra la neuroretina e la coroide, è di origine neuroectodermica
e pertanto è considerato parte integrante della retina. La membrana apicale delle cellule epiteliali del
RPE è a contatto con la superficie esterna del fotorecettore, mentre la sua membrana basolaterale
entra nella costituzione della membrana di Bruch, che separa il RPE dall'endotelio fenestrato dei
capillari della coroide contribuendo in questo modo alla costituzione della barriera emato-retinica
esterna. La barriera emato-retinica interna risulta invece costituita principalmente da cellule
endoteliali. Le giunzioni occludenti (tipo tight) tra le cellule RPE e le cellule endoteliali vicine sono
essenziali nel controllo rigoroso dei fluidi e dei soluti che attraversano la barriera così come nel
prevenire l'ingresso di molecole tossiche e componenti plasmatiche nella neuroretina.
GLI EPITELI PARTICOLARMENTE DIFFERENZIATI
Sono epiteli che hanno sviluppato caratteristiche morfologiche altamente specifiche per poter
svolgere funzioni altrettanto particolari. Tra essi si annoverano peli, capelli e unghie, come
differenziazioni dell'epidermide; lo smalto; il cristallino o lente, formazione epiteliale trasparente
posta nella faccia anteriore del bulbo oculare.

Peli: i follicoli piliferi sono gli organi da cui si sviluppano i peli e derivano da invagi-nazioni
dell'epidermide che si approfondano fino al derma o all'ipoderma. I peli sono formazioni filiformi,
per lo più sottili e trasparenti (peli lanuginosi); in alcune sedi sono invece grossi e pigmentati (peli
terminali), costituiti da una porzione sporgente sulla superficie cutanea (fusto) e da una immersa
nella pelle (radice). La radice è avvolta da un involucro di cellule epidermiche detto guaina della
radice, che forma la parete del follicolo pilifero. II fusto e gran parte della radice sono costituiti da
cellule cornee rigide e cementate insieme, che formano la cosiddetta cheratina dura, in
contrapposizione a quella molle che costituisce lo strato corneo dell'epidermide e che si lascia
facilmente deformare per adattarsi alla superficie cutanea e alle sue modificazioni con i movimenti
delle articolazioni e della faccia. Alla base della radice questa si salda all'epitelio della guaina in una
struttura arrotondata, detta bulbo del pelo, dove cellule simili a quelle basali dell'epidermide si
riproducono, si stratificano e si differenziano progressivamente nelle cellule cornee del pelo. Il bulbo
del pelo è incavato al suo polo profondo per accogliere una papilla dermica ricca di cellule, detta
papilla del pelo. Nel bulbo del pelo si trovano anche melanociti, responsabili della pigmentazione.
Nei peli terminali si riconoscono:
— una parte centrale, midollo, costituita da strati di materiale corneo alternati a piccole bolle di aria;
— una parte intermedia, corteccia, costituita solo da cellule cornee, pigmentate;
— una parte superficiale, cuticola, costituita da cellule cornee molto sottili, non pigmentate.
Nei peli lanuginosi manca la parte midollare e non vi è pigmento.
A ridosso della cuticola, nel tratto profondo del follicolo pilifero, il pelo è circondato da una guaina
interna della radice, che si differenzia dal bulbo del pelo, come il pelo stesso, e si sfalda in vicinanza
dello sbocco dei follicoli. Esternamente a questa guaina si trova la guaina esterna della radice, che si
continua con l'epidermide della quale mantiene lo strato basale. Verso la superficie, il follicolo ha
forma a imbuto slargato verso l'esterno: questa parte è detta infundibolo e si conclude in profondità
con un restringimento, il colletto, dove termina la guaina interna della radice. Il pelo alterna periodi
di crescita (anagen) a periodi di arresto della crescita (relogen); la transizione tra le due fasi è
caratterizzata da un arresto della proliferazione delle cellule del bulbo e da uno slargamento della
parte terminale della radice del pelo, che si ancora alle pareti del follicolo; questa fase intermedia è
detta catagen. Dopo un periodo più o meno lungo di riposo (da pochi giorni, nei capelli, a molti mesi.
nel resto del corpo), il bulbo riprende l'attività proliferativa e dà origine ad un nuovo pelo, che
comincia a crescere e sospinge il pelo precedente fino a farlo cadere e a sostituirlo.
Unghie: la superficie dorsale dell'ultima falange delle dita delle mani e dei piedi è coperta da una
lamina dura, l'unghia, costituita da cellule corneificate fittamente stipate e coese, che formano la
cosiddetta lamina o placca ungueale. L'unghia poggia su un sottostante strato di epitelio pavimentoso
stratificato la cui parte prossimale è detta matrice ungueale. Le cellule della matrice proliferano e
cheratinizzano determinando così la crescita dell'unghia stessa. L'epitelio aderente all'unghia ed il
sottostante derma formano il letto ungueale. Alla sua estremità prossimale, l'unghia si assottiglia
gradualmente e prende il nome di radice dell'unghia. Questa è ricoperta da una plica cutanea la cui
zona di confine con l'unghia prende il nome di eponichio o cuticola. Essa si estende
approssimativamente per 0,5-1 mm ed il suo strato corneo è in continuità con quello dell'epidermide
vicina. La lunula è la zona chiara prossimale dell'unghia. Lateralmente all'unghia la pelle si incurva a
formare la piega laterale dell'unghia e più esternamente, i solchi laterali dell'unghia. La parte distale
dell'unghia non risulta prendere contatto con il letto ungueale, rimanendo libera. Il margine libero
così formato, cresce su uno strato corneo ispessito detto iponichio che è in continuità con
l'epidermide adiacente.

Il cristallino: si presenta come una struttura a lente biconvessa caratterizzata in vivo da trasparenza e
indice di rifrazione simile a quella del vetro. Anatomicamente il cristallino si colloca subito dietro la
pupilla ed è interposto fra l'umor acqueo e il corpo vitreo, andando a costituire nell'insieme i mezzi
diottrici dell'occhio. La funzione principale del cristallino consta nel mettere a fuoco sulla retina il
fascio luminoso delle immagini grazie al potere di accomodazione-convergenza che gli permette di
variare il proprio raggio di curvatura. Esso è avvolto da un involucro, formato da collagene e
glicoproteine, detto capsula del cristallino ed è costituito, sulla superficie anteriore, da un solo strato
di cellule epiteliali cubiche (epitelio cubico semplice) e per il resto da fibre sottili più o meno
allungare ad andamento antero-posteriore. La porzione centrale della lente costituisce il nucleo del
cristallino. La trasparenza delle fibre è dovuta a proteine specifiche chiamate alfa-cristalline e beta-
cristalline. Le proteine sono sistemate in circa 20.000 livelli concentrici, con un indice di rifrazione
(per le onde visibili) che può variare da 1,406 nei livelli centrali, fino a 1,386 nella corteccia della
lente più densa.

Tessuti connettivi e matrice extracellulare


Il tessuto connettivo propriamente detto è presente in tutto l'organismo dove svolge funzioni
meccaniche e di sostegno per altri tessuti (connessione e meccano-trasduzione), di regolazione degli
scambi di ioni e molecole tra il sistema circolatorio e i vari tessuti (diffusione), di difesa e
protezione. I tessuti connettivi propriamente detti derivano dal mesenchima, il tessuto connettivo
embrionale. Il mesenchima si origina da tutti e tre i foglietti embrionali in seguito al distacco e
migrazione delle cellule che li costituiscono. La maggior parte dei tessuti connettivi, ad esclusione di
quelli presenti nei distretti cranio facciali, si originano dalle cellule migrate dal mesoderma. I tessuti
connettivi della polpa dentale derivano invece dalle creste neurali, tant'è vero che in questo caso si
parla di tessuti connettivi di derivazione neuro-ectomesenchimale. I tessuti connettivi propriamente
detti si localizzano principalmente sotto gli epiteli, nella parete dei vasi, nelle ghiandole, tra le fibre
muscolari e le fibre nervose, nella polpa dentale; formano il derma ed entrano a far parte delle
sierose, della lamina propria, della sottomucosa e dell'avventizia negli apparati digerente, respiratorio
e urogenitale. Il tessuto connettivo propriamente detto è costituito da un'abbondante matrice
extracellulare (ECM, extracellular matrix) al cui interno sono presenti diversi tipi di cellule, vasi
sanguigni, vasi linfatici e nervi. Oltre alle cellule fisse o residenti, presenti stabilmente nel tessuto, il
tessuto connettivo contiene anche cellule mobili o non residenti, provenienti dal circolo sanguigno,
particolarmente numerose nel corso dei processi infiammatori. L'ECM è prodotta principalmente
dalle cellule residenti ed è formata da una sostanza fondamentale amorfa idratata che contiene
glicosaminoglicani, proteoglicani e glicoproteine adesive e circonda le fibre responsabili delle
proprietà meccaniche dei tessuti. L'organizzazione strutturale e le funzioni del tessuto connettivo
propriamente detto dipendono dalle cellule presenti, dal tipo e dalla quantità delle macromolecole
che nei vari distretti dell'organismo possono variare anche notevolmente, costituendo i criteri con cui
vengono classificati i vari sottotipi di tale tessuto.

Cellule del tessuto connettivo: nel connettivo propriamente detto si distinguono due categorie di
cellule differenti: residenti (o fisse) e migranti (o libere). Le cellule residenti come i fibroblasti, i
miofibroblasti, periciti, le cellule reticolari, gli adipociti, i macrofagi e i mastociti rimangono per
tutto il loro ciclo vitale nel tessuto connettivo. Le cellule migrate, invece, provengono dal sangue e
possono migrare transitoriamente nel tessuto connettivo propriamente detto. La popolazione delle
cellule migrate comprende i monociti, i granulociti (neutrofili, eosinofili e basofili) i linfociti e le
plasmacellule.

Cellule residenti

FIBROBLASTI: rappresentano la tipologia cellulare più abbondante nei connettivi propriamente


detti e sono deputati alla deposizione della matrice extracellulare che comprende sia la componente
fibrillare che la componente amorfa. I fibroblasti sono caratterizzati da una morfologia che, in
funzione della loro sede e della loro attività biosintetica, può variare dalla forma stellata e appiattita
con alcuni prolungamenti, fino all'aspetto fusiforme con estremità allungate. Nelle sezioni
istologiche colorate con ematossilina ed eosina i fibroblasti presentano un nucleo centrale ovale o
allungato. Dall'analisi ultrastrutturale risulta evidente la differenza tra i nuclei dei fibroblasti in piena
attività sintetica rispetto ai fibroblasti inattivi, conosciuti come fibrociti. Nei primi il nucleo appare
fortemente eucromatico con la presenza di uno o due nucleoli, mentre nei fibroblasti inattivi il nucleo
risulta eterocromatico e privo di nucleo-li. D'altronde lo stato di attività si riflette anche nella
colorazione citoplasmatica e nella presenza di organuli all'interno del citoplasma. La basofilia,
associata ad una maggiore attività biosintetica, rende possibile distinguere i confini citoplasmatici dei
fibroblasti all'interno dei tessuti colorati in ematossilina ed eosina. Dal punto di vista ultrastrutturale
queste cellule presentano un abbondante RER e numerosi ribosomi liberi, sparsi nel citoplasma, un
evidente apparato di Golgi, numerose vescicole di esocitosi e mitocondri con numerose creste. Nei
fibroblasti inattivi si osserva una leggera eosinofilia citoplasmatica e i limiti cellulari, poco
apprezzabili, si confondono con quelli delle fibre collagene; dall'analisi ultrastrutturale si osservano
organuli citoplasmatici in quantità ridotta. Come anticipato precedentemente, la funzione principale
dei fibroblasti è di sintetizzare e secernere le numerose molecole che entrano nella composizione
della ECM: fibre (collagene ed elastiche), proteoglicani e glicoproteine. I fibroblasti controllano
anche il processo di assemblaggio delle strutture della matrice extracellulare che distingue i vari
tessuti connettivi propriamente detti. I fibroblasti sono cellule poco specializzate e in opportune
condizioni possono differenziarsi in altri tipi cellulari quali osteociti, condrociti e cellule adipose. In
tessuti diversi sono presenti fibroblasti con notevoli diversità funzionali, che secernono tipi e
quantità diverse di molecole della matrice.
Nei tessuti emo- e linfo-poietici come linfonodi e milza, una variante dei fibroblasti è rappresentata
dalle cellule reticolari che sintetizzano l'abbondante rete di fibre reticolari argirofile che caratterizza
questi tessuti. Inoltre, i fibroblasti sono mediatori centrali dell'infiammazione, dell'angiogenesi, del
cancro della fibrosi. La fibrosi può interessare quasi tutti i tessuti del corpo ed è una caratteristica
patologica che si instaura in seguito ad un processo infiammatorio cronico. Durante la fibrosi ci sono
molti processi cellulari e diversi tipi di cellule coinvolte, in particolare i fibroblasti, che si attivano e
cambiano il loro fenotipo e si trasformano in miofibroblasti. Un fattore critico per la trasformazione
è rappresentato dal transforming growth factor beta (TGF-β).

MIOFIBROBLASTI:i processi di guarigione delle ferite o gli stati patologici che portano ad una
lesione cronica dei tessuti sono caratterizzati da un accumulo eccessivo di matrice extracellulare e di
conseguenza da un'eccessiva deposizione di fibre collagene. Tale condizione conosciuta con il nome
di fibrosi, è guidata da alcune cellule che hanno delle caratteristiche simili sia ai fibroblasti che alle
cellule muscolari lisce; tali cellule sono conosciute con il nome di miofibroblasti.
I miofibroblasti, cellule sinteticamente attive, dotate anche di capacità contrattile, sono caratterizzate
da un abbondante RER, dalla presenza di granuli di secrezione ed esprimono a-actina del muscolo
liscio (α-SMA). I miofibroblasti possono essere tracciati nei tessuti fibrotici dei diversi organi: cuore,
reni, fegato, polmoni e pelle. Da questo punto di vista si può dedurre che i miofibroblasti possono
differenziarsi, oltre che dai fibroblasti, anche da altri tipi cellulari, come i periciti, le cellule staminali
mesenchimali, le cellule endoteliali e le cellule epiteliali. Al termine dei processi riparativi i
miofibroblasti vanno incontro ad apoptosi oppure ritornano al fenotipo di normali fibroblasti. Nella
fibrosi invece i miofibroblasti rimangono attivi e il fattore che maggiormente supporta il
mantenimento del loro fenotipo è il TGF-B1. Recentemente, è stato dimostrato un importante ruolo
dei miofibroblasti associati alla progressione dei tumori, nonché la loro presenza nello stroma
tumorale correla con una prognosi nefasta.

PERICITI: sono delle cellule murali dei micro-vasi sanguigni, con un ruolo nella regolazione della
morfogenesi e della funzionalità vascolare durante lo sviluppo. Recentemente è stato dimostrato un
loro ruolo attivo in alcune patologie tra cui la fibrosi tissutale. Come tutte le cellule dei tessuti
connettivi propriamente detti, anche i periciti sono delle cellule di origine mesenchimale. Si
localizzano a livello periendoteliale e spesso vengono confusi con le cellule muscolari lisce vasali
che occupano la medesima posizione. Sebbene non esistano marcatori specifici che ne permettono la
loro identificazione, queste cellule condividono l'espressione di markers tipici delle cellule staminali
mesenchimali. Nella zona perivascolare della polpa dentale sono state individuate e ampiamente
caratterizzate le cellule staminali della polpa dentale che possiedono caratteristiche simili a quelle dei
periciti. Infatti studi recenti hanno dimostrato che i periciti possono fornire un possibile serbatoio di
cellule staminali o progenitrici per la riparazione dei tessuti adulti. In seguito all'isolamento e alla
coltura in vitro, i periciti mostrano una morfologia “fibroblast-like” con la presenza di
prolungamenti citoplasmatici. Istologicamente questa morfologia non trova un riscontro diretto in
relazione alla loro localizzazione. Un singolo strato di periciti circonda interamente la superficie
esterna di arteriole e capillari. Nelle arteriole queste cellule rivelano una forma fusata e appiattita con
pochi processi citoplasmatici. Nei capillari invece i periciti hanno un corpo cellulare rotondeggiante
dal quale pochi processi primari si diramano e decorrono per tutta la lunghezza dei capillari stessi.
Da questi processi primari si originano poi processi secondari perpendicolari, le cui estremità si
attaccano saldamente all'endotelio. I processi primari con cui i periciti abbracciano la superficie
esterna dei microvasi conferiscono alle cellule una forma cellulare a Y. Sulle venule post-capillari il
corpo cellulare dei periciti appare invece appiattito e dà origine a numerosi processi sottili e
ramificati. Infine, i periciti che ricoprono le venule hanno un corpo cellulare grande e di forma
stellata con abbondanti processi ramificati che, diversamente da quelli delle arteriole, non si
avvolgono in modo circolare intorno all'endotelio. Analisi di microscopia elettronica hanno rivelato
che i periciti sono avvolti da una membrana basale che rappresenta il continuum della membrana
basale endoteliale, caratteristica che ha permesso di dimostrare come l'interazione periciti-endotelio
regoli l'assemblaggio della membrana basale stessa. I periciti entrano in stretto contatto con le cellule
endoteliali in siti specifici, tramite le giunzioni aderenti o le giunzioni “Peg-socket”, in cui
interdigitazioni citoplasmatiche dei periciti si inseriscono in invaginazioni endoteliali. Da un punto di
vista ultrastrutturale, i periciti capillari maturi sono caratterizzati da un nucleo discoidale circondato
da un citoplasma poco sviluppato contenente il RER e i mitocondri. I microtubuli si estendono lungo
i processi citoplasmatici primari e secondari, mentre i filamenti intermedi si concentrano soprattutto
nei prolungamenti primari. Considerata la loro localizzazione perivascolare in diversi distretti
anatomici, i periciti partecipano a diverse funzioni fisiologiche tra cui la formazione della barriera
emato encefalica nonché il mantenimento della permeabilità vascolare a livello cerebrale.

MACROFAGI: sono cellule mononucleate della linea mieloide, fanno parte del sistema immunitario
innato e furono descritti per la prima volta da Ilya (Elie) Metchnikoff agli inizi del 1900. Essi sono
localizzati in diversi tessuti dell'organismo compresi i tessuti connettivi propriamenti detti e possono
esibire differenti aspetti morfologici e proprietà funzionali dipendenti dalla loro localizzazione.
A livello dei diversi tessuti i macrofagi provvedono principalmente alla fagocitosi e alla
degradazione di cellule morte, detriti cellulari o materiale esogeno, coordinano i processi
infiammatori e influenzano la risposta immunitaria adattativa. Essi sono stati classificati nel "sistema
dei fagociti mononucleati" (abbreviato MPS, per mononuclear phagocyte system), di cui fanno parte
tre ampie famiglie di cellule: i macrofagi, i monociti e le cellule dendritiche.

Origine dei macrofagi. Recentemente è stata messa in discussione l'idea che le cellule fagocitiche si
originino principalmente da monociti adulti derivati dal midollo osseo, poiché molti studi hanno dimostrato
che la maggior parte dei macrofagi residenti in tessuti adulti deriva da macrofagi embrionali. Sulla base di
queste osservazioni, attualmente possiamo affermare che i macrofagi possono avere origine in tre
diversi modi. Si distinguono macrofagi che si originano dal sacco vitellino durante la vita
embrionale, anche chiamati macrofagi primitivi. La seconda modalità inizia quando i progenitori
eritromieloidi colonizzano il fegato fetale e costituiscono la maggior parte dei macrofagi che
andranno a localizzarsi a livello dei tessuti. Queste prime due vie danno origine ai cosiddetti
macrofagi tessuto residenti. La terza via di origine si concretizza nel periodo post-natale generando i
macrofagi monocito-derivati. L'origine dei macrofagi tessuto-residenti si basa sul concetto che questi
si localizzano nei tessuti già durante la vita embrionale, costituendo una popolazione stabile di
cellule che può permanere nel tessuto anche per tutta la vita. Senza entrare nello specifico e per
meglio comprendere la doppia derivazione embrionale dei macrofagi tessuto-residenti si rimanda al
testo di Embriologia. I macrofagi monocito-derivati si differenziano dai monociti provenienti dalle
cellule staminali emopoietiche (HSC), localizzate nel midollo osseo durante la fase dell' emopoiesi
definitiva. In base alla localizzazione tissutale e alla loro origine possiamo distinguere diverse
tipologie di macrofagi conosciute come cellule della microglia nel sistema nervoso centrale; cellule
di Kupffer e di cellule di Langerhans, rispettivamente localizzate a livello epatico ed epidermico;
macrofagi alveolari a livello polmonare ed osteoclasti a livello del tessuto osseo.

Morfologia dei macrofagi. Indipendentemente dalla loro origine embrionale, i macrofa-gi sono
cellule che svolgono importanti funzioni immunologiche durante i processi infiammatori e
contribuiscono anche al mantenimento dell'omeostasi tissutale, alla riparazione dei tessuti nonché è
stato dimostrato un loro ruolo attivo anche nella patogenesi del cancro. Dal punto di vista
morfologico i macrofagi tessuto-residenti e i macrofagi monocito-derivati non stimolati hanno delle
caratteristiche molto simili. Essi appaiono come cellule tondeggianti, fusiformi o stellate fibroblast-
like, di dimensioni comprese tra i 10-30 Mm caratterizzate da piccole estroflessioni della membrana
plasmatica. La loro morfologia cambia in seguito ad uno stimolo di attivazione. I macrofagi attivati
aumentano il proprio volume e le estroflessioni digitiformi della membrana plasmatica diventano più
accentuate, prendendo il nome di lamellipodi. Questa prima modificazione, conseguente ad un
maggior sviluppo del citoscheletro, è necessaria affinché i macrofagi possano migrare, tramite
movimenti ameboidi verso il luogo dell'infezione, dove sono attratti per chemiotassi. L'attivazione è
seguita da un aumento del metabolismo e da un aumento della produzione di enzimi lisosomiali
indispensabili per l'attività fagocitica. Istologicamente risulta difficile distinguere i macrofagi dai
fibroblasti. Per questo motivo la tecnica più utilizzata per identificarli sfrutta la capacità dei
macrofagi stessi di concentrare nel proprio citoplasma coloranti vitali non tossici sotto forma di
granuli in un processo noto come granulopessia. Dall'analisi ultrastrutturale, infatti, il citoplasma dei
macrofagi attivati presenta numerosi mitocondri, un evidente RER ed apparato di Golgi e
numerosissimi lisosomi e fago-lisosomi contenenti materiale ingerito.

Funzioni dei macrofagi. Come sopra anticipato i macrofagi possono svolgere diverse funzioni. Nei
processi di difesa immunitaria in seguito ad uno stimolo infiammatorio, i macrofagi espletano
almeno tre funzioni principali: fagocitosi, presentazione dell'antigene e immunomodulazione.

FAGOCITOSI: tramite il processo di fagocitosi i macrofagi eliminano detriti di diversa natura,


nonché distruggono gli agenti patogeni, cellule tumorali, cellule invecchiate e corpi estranei. Questa
loro attività viene confinata all'interno delle vescicole citoplasmatiche: lisosomi e fagolisosomi.
Generalmente il materiale ingerito e degradato viene successivamente riversato all'esterno della
cellula. In alcuni casi, come ad esempio l'ingestione di materiale inerte, questo rimane confinato
all'interno della cellula proteggendo il tessuto da eventuali lesioni. Il primo passo affinché il
macrofago possa iniziare il processo di fagocitosi consiste nel riconoscimento del materiale da
ingerire ad opera di recettori presenti sulla membrana, i pattern recognition receptors (PR). Questi
includono i recettori del mannosio, recettori scavengers, recettori per le opsonine, recettori
transmembrana α-elicoidali accoppiati alle proteine G e recettori Toll-like (TLR). I recettori del
mannosio e i recettori scavengers vengono attivati nei processi di fagocitosi dei microbi, in quanto
questi ultimi legano molecole (residui terminali di mannosio e fucosio di glicoproteine e glicolipidi,
lipoproteine) espresse sulla parete cellulare microbica. I recettori delle opsonine promuovono
anch'essi la fagocitosi dei microbi in quanto riconoscono varie proteine, tra cui anticorpi, proteine del
complemento e lectine presenti sempre sulla superficie microbica. Il recettore FceR di tipo I ha una
particolare affinità per il frammento cristallizzabile (Fc) delle IgG. L'attivazione dei recettori
transmembrana a-elicoidali accoppiati alle proteine G inducono la migrazione/chemiotassi delle
cellule, nonché la produzione di sostanze antimicrobiche che includono specie reattive dell'ossigeno
e dell'azoto (ROIs/RNIs). I TLRs sono una famiglia di 10 recettori che rIconoscono una moltitudine
di molecole microbiche specifiche conosciute con il nome di PAMPs (Pothogen-associated
Molecular Patterns), le quali partecipano all'attivazione della risposta immunitaria innata. Il legame a
questi recettori comporta la produzione di citochine pro-infiammatorie [interleuchina (IL) -1, IL-12 e
fattore di necrosi tumorale a (TNF-a)], molecole di adesione endoteliale e il rilascio di monossido
d'azoto (NO) elaborato dalla NO-sintasi con attività microbicida.

PRESENTAZIONE DELL'ANTIGENE: le cellule presentanti l'antigene (APC) hanno il ruolo di


esibire sulla loro superficie cellulare gli antigeni estranei precedentemente fagocitati e parzialmente
degradati. Questi ultimi vengono poi riconosciuti dai linfociti inducendone così attivazione e il loro
differenziamento. Il contenuto fagocitato dai macrofagi svolge infatti un ruolo
nell'attivazione/differenziamento dei linfociti T naive, i quali una volta attivati rilasciano citochine
che potenziano da una parte l'attività fagocitica dei macrofagi stessi, dall'altra sono fondamentali per
la regolazione della risposta infiammatoria. L'asse macrofagi-linfociti T-citochine svolge un ruolo
cruciale nello sviluppo dell'immunità cellulo-mediata contro i patogeni intracellulari, cellule estranee
e cellule tumorali. Oltre ai macrofagi, le APC includono anche le cellule dendritiche.

IMMUNOMODULAZIONE: i macrofagi attivati, oltre a partecipare ai processi di fagocitosi, sono


in grado di rilasciare citochine e interleuchine che inducono diverse risposte sulle cellule
immunitarie. Tra i fattori rilasciati riconosciamo IL-1, IL-6, TNF-a, interferone (IFN)-a/ß, IL-10, IL-
12 e IL-18 che partecipano alla regolazione delle risposte infiammatorie. In particolare, IL-12
stimola la proliferazione delle cellule T attivate e delle cellule natural killer (NK) e promuove la
risposta immunitaria operata dai linfociti Th1. Allo stesso tempo i macrofagi producono chemochine
che stimolano la migrazione dei leucociti dal circolo ematico verso il sito di infiammazione. La
risposta infiammatoria consiste in una sequenza di eventi finemente regolati. Dopo lo stimolo
iniziale, si ha il reclutamento di diverse tipologie di cellule infiammatorie a livello del tessuto
danneggiato. Il processo infiammatorio inizia con il rilascio di chemochine da parte delle cellule
residenti tra cui i fibroblasti interstiziali, macrofagi e cellule dendritiche. I macrofagi partecipano alla
produzione, mobilitazione, attivazione e regolazione delle cellule effettrici dell'infiammazione. I
macrofagi in seguito all'esposizione ad agenti patogeni o stimoli infiammatori producono TNF-α, in
grado di attivare altri macrofagi e di modulare l'attività dei leucociti e delle cellule endoteliali.

POLARIZZAZIONE DEI MACROFAGI: i macrofagi svolgono una molteplicità di attività che


vanno dalla stimolazione dei processi infiammatori (attività pro-infiammatoria), alla riparazione e
omeostasi tissutale. Negli anni 2000 Mills e colleghi introdussero una nuova classificazione dei
macrofagi, basata sul metabolismo dell'arginina, aminoacido chiave per l'espletamento di molti
processi. Da questo punto di vista l'osservazione di Mills ha portato alla identificazione di due
distinte categorie di macrofagi: macrofagi M1 e macrofagi M2. Sebbene esistano delle somiglianze
fenotipiche tra le due classi, recenti studi hanno messo in evidenza una chiara dicotomia tra i
macrofagi polarizzati M1/M2. I macrofagi M1 rappresentano i macrofagi classici che partecipano in
prima linea alla difesa contro i patogeni, esercitano una alta attività fagocitaria e hanno l'abilità di
guidare la risposta infiammatoria acuta. Essi si polarizzano in seguito allo stimolo con l'interferone-
gamma che ne induce un aumento della produzione di interleuchine pro-infiammatorie (IL-1, IL-6,
TNF), di NO (battericida e inibitore della proliferazione cellulare) e di molecole di MHC di classe II
(sti-molo dell'immunità adattativa). La popolazione polarizzata di tipo M2 è particolarmente
coinvolta durante le infezioni parassitarie, elmintiche e fungine. Essi si attivano in risposta alla
stimolazione con i fattori IL-4, IL-10, IL-13 e sono coinvolti nel controllo e nella modulazione
dell'infiammazione dei tessuti. E interessante notare che, in risposta ai diversi stimoli, sono stati
descritti vari sottogruppi di macrofagi tipo M2. Una classe particolare di macrofagi M2 è
rappresentata invece dai Macro-fagi associati ai tumori (TAM). Essi costituiscono il principale
componente cellulare infiammatorio del tessuto tumorale, promuovono l'angiogenesi e la metastasi
tumorale e possono essere stimolati da IL-6 e M-CSE. È stato riconosciuto che il paradigma MI/M2
rappresenta un'estremità di “continuum” di stati di attivazione e differenziazione.
I macrofagi M1 e M2 possono andare incontro reversibilmente ad un cambiamento fenotipico
funzionale sulla base delle citochine rilasciate nell'ambiente infiammatorio. Questo continuum
svolge un ruolo dinamico importante durante l'infiammazione e la sua risoluzione.

MASTOCITI: sono cellule dell'immunità innata il cui nome deriva dal tedesco mastzellen (cellula
infarcita), termine derivato dallo studioso Paul Ehrlich che scoprì questo tipo di cellule verso la fine
del 1800. Le prime ricerche effettuate su queste cellule si basavano sulle loro caratteristiche
morfologiche per identificare la loro distribuzione in determinati stati patologici. La presenza di
queste cellule, caratterizzate dal contenuto in granuli metacromatici, fece ipotizzare allo stesso
Ehrlich che tali formazioni fossero correlate all'attività fagocitaria delle cellule stesse. Da studi
successivi è stato possibile definire questi elementi cellulari ed il loro ruolo associato alle reazioni
allergiche, di ipersensibilità e anafilattiche.

Morfologia e caratteristiche dei mastociti. I mastociti sono cellule ampiamente distribuite nei tessuti
connettivi e localizzate in prossimità dei vasi sanguigni. I mastociti derivano da cellule staminali
emopoietiche multipotenti localizzate nel midollo osseo che esprimono markers tipici quali CD34,
CD117, CD13 e recettori per le IgG e IgE. Al microscopio ottico i mastociti appaiono di forma
rotonda od allungata di dimensioni 8-20 um, con nucleo ovale. Caratteristica saliente dei mastociti è
il loro citoplasma ricco di voluminosi granuli basofili, che si colorano metacromaticamente con
coloranti basici come il blu di toluidina e la tionina. Dal punto di vista ultrastrutturale, i mastociti
sono caratterizzati dalla presenza di numerose interdigitazioni a carico della membrana plasmatica.
Gli organuli membranosi quali mitocondri, RER e apparato di Golgi risultano limitati, viceversa si
possono osservare numerosi ribosomi liberi. La maggior parte del citoplasma risulta occupata da
numerosi granuli che appaiono come grosse vescicole secretorie di dimensioni comprese tra 0,3-0,8
mm di diametro. La natura eterogenea del contenuto dei granuli gli conferisce una struttura lamellare
o cristalliforme. I granuli contengono un'ampia varietà di costituenti preformati, che tramite il
processo di degranulazione vengono riversati all'esterno della cellula. Il processo di degranulazione
consiste in una esocitosi composta, in cui molti granuli prima di fondersi con la membrana
plasmatica si fondono tra di loro a formare dei canali di degranulazione. Nell'uomo si distinguono
due categorie di mastociti in funzione della loro localizzazione e del loro contenuto in proteasi, le
chimasi e le triptasi. Sebbene questa distribuzione non sia nettamente demarcata, è possibile
distinguere mastociti esprimenti sia triptasi che chimasi (MC) distribuiti nel derma, nella
sottomucosa della parete intesti-nale, della mammella e dei linfonodi. Viceversa, i mastociti che
esprimono solo triptasi (MC.) sono situati a livello polmonare e nella mucosa intestinale. La vita
media dei mastociti nei tessuti connettivi varia da alcune settimane a parecchi mesi.
Funzione dei mastociti. I mastociti producono una pletora di mediatori chimici essenziali per le loro
funzioni, che possono essere suddivisi in: 1) mediatori preformati e 2) mediatori neosintetizzati.
I mediatori preformati sono sintetizzati dai mastociti e vengono immagazzinati nei granuli
metacromatici per poi essere rilasciati nell'ambiente circostante in seguito a stimolazione. Fanno
parte dei mediatori preformati l'eparina, l'istamina, la chimasi e la criptasi. L'eparina è un
glicosaminoglicano altamente solforato ad attività anticoagulante. L'istamina, che si origina
dall'amminoacido istidina, agisce indirettamente sulle cellule muscolari lisce dei vasi sanguigni,
dilatandoli e aumentandone la permeabilità. Viceversa, l'istamina agisce anche a livello della
muscolatura liscia bronchiale causandone la contrazione (broncospasmo). Rientrano nella classe dei
mediatori preformati anche la triptasi e la chimasi, enzimi proteolitici specifici che agiscono nei
processi infiammatori con attività inibitoria o stimolatrice. I mediatori neosintetizzati sono il
prodotto dell'attivazione dei mastociti. La loro produzione ed il rilascio sono regolati da tipi di
stimoli specifici coinvolti nell'attivazione. Questi mediatori includono fattori di crescita, citochine e
chemochine, che vengono rilasciati ore dopo l'attivazione. I mastociti sintetizzano e rilasciano
citochine proinfiammatorie e antinfiammatorie. Le citochine antinfiammatorie comprendono TGF-3
e IL-10. Le citochine proinfiammatorie includono IL-4, IL-5, IL-6 e IL-1 associate alle risposte delle
cellule T-helper di tipo 2 (Th2) e citochine come interferone-gamma (IFN-y), IL-2, IL-3, IL-12, IL-
18 e TNF-a, che sono invece associate alla risposta dei ThI. L'attività dei mastociti viene regolata da
stimoli distinti che agiscono sulla molteplicità dei recettori presenti sulla loro membrana, la cui
espressione può essere influenzata da diversi fattori. La maggior parte degli studi si sono focalizzati
sulla risposta immunitaria adattativa mediata dall'attivazione del recettore FceRI per le IgE,
implicato nei processi di reazione allergica. Questo tipo di attivazione è conseguente alla
presentazione dell'antigene ai linfociti B e alla stimolazione con IL-4. I mastociti possono essere
attivati rapidamente anche in seguito al contatto diretto con microrganismi invasori come batteri,
parassiti, funghi e virus. Questi agenti patogeni presentano strutture molecolari conservate che sono
riconosciute da recettori come i TLR, presenti sulla superficie dei mastociti.
Inoltre, i mastociti possono essere attivati da molti altri stimoli come neuropeptidi, citochine, fattori
di crescita e tossine. I mastociti possono essere implicati anche in processi patologici come il morbo
di Crohn, patologie autoimmuni come vasculiti ed artrite reumatoide, cancro, patologie
cardiovascolari e allergia. In quest'ultimo caso l'esposizione di soggetti sensibili ad allergeni può
indurre l'attivazione massiva dei mastociti lungo i vasi sanguigni che, in seguito ai processi di
degranulazione, portano a generale vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare con
passaggio di plasma nei tessuti e improvvisa caduta della pressione sanguigna e perdita della
coscienza che può portare a morte (shock anafilattico).

Adipociti. Le cellule adipose sono trattate nel capitolo dedicato al tessuto adiposo (vedi Capitolo 12).

Cellule mobili
MONOCITI sono cellule del sistema immunitario innato che si differenziano nel midollo osseo dalle
HSC e migrano nel sangue. La loro cellula precursore diretta è il promonocita che deriva dal
monoblasto. Dopo che i monociti si formano per divisione dei promonociti, rimangono solo per un
tempo molto breve (meno di un giorno) nel compartimento del midollo osseo, dopodiché entrano nel
circolo ematico. Nel circolo sanguigno i monociti hanno un'emivita di circa 71 ore e in seguito al
processo di diapedesi migrano nel tessuto connettivo dove si differenziano in macrofagi. La
produzione di monociti nel midollo osseo è governata da citochine che stimolano la crescita, come
IL-3, fattore di stimolazione delle colonie di granulociti-macrofagi (GM-CSE) e fattore di
stimolazione delle colonie di macrofagi (M-CSF). Sulla base dell'espressione degli antigeni di
superficie si riconoscono tre differenti popolazioni di monociti: monociti classici (CD14+), monociti
intermedi (CD14+ CD16+), monociti non-classici (CD16+). I monociti classici sono coinvolti nei
processi di rimozione dei microrganismi e delle cellule morte tramite fagocitosi. I monociti intermedi
hanno funzione pro-infiammatoria e in seguito alla stimolazione producono elevate quantità di IL-
1B, IL-6, IL-12, and TNFα. I monociti non classici o antinfiammatori salvaguardano l'integrità
endoteliale e si differenziano in macrofagi per il mantenimento dell'omeostasi tissutale.

Cellule linfoidi. Le cellule a cui si fa riferimento in questo paragrafo derivano da un precursore


emopoietico presente nel midollo osseo chiamato precursore linfoide comune (common lymphocyte
precursor, CLP) e comprendono i linfociti e le plasmacellule.

Plasmacellule. Le plasmacellule sono cellule ampiamente distribuite nel tessuto connettivo e negli
organi linfoidi. Le plasmacellule si originano dai linfociti B che a loro volta derivano da un
precursore chiamato plasmablasto. Il differenziamento in plasmacellule è associato ad un marcato
cambiamento morfologico e dell'espressione genica. Le plasmacellule hanno dimensioni
relativamente grandi (10-20 Mm), forma ovoidale e un nucleo eccentrico, anch'esso ovoidale,
eterocromatico, con cromatina disposta a ruota di carro.
Dal punto di vista ultrastrutturale il citoplasma mostra un RER ed un apparato di Golgi estremamente
sviluppati. Dall'analisi in microscopia elettronica le cisterne del RER appaiono prevalentemente
dilatate a causa dell'accumulo di immunoglobuline sintetizzate. In alcuni casi all'interno del
citoplasma è possibile evidenziare degli aggregati eosinofili (corpi di Russel) dovuti ad una
precipitazione delle immunoglobuline all'interno delle cavità del RER. Durante questo periodo esse
secernono grandi quantità di anticorpi in maniera costitutiva. La durata della vita delle plasmacellule
è per lo più breve (alcune settimane).

Granulociti. Nel contesto delle cellule migranti del tessuto connettivo bisogna annoverare anche i
granulociti. In condizioni normali è difficile riscontrare la presenza di granulociti nel tessuto
connettivo. Essi appartengono alla classe di cellule del sistema immunitario innato, che vengono
prodotte nel midollo osseo e rilasciate nel circolo ematico. In seguito ad un processo infiammatorio, i
granulociti abbandonano il circolo ematico per diapedesi e si spostano in sede del focolaio
infiammatorio, attratti da agenti chemiotattici, quali citochine. Tra i granulociti principalmente
espressi in sede di infiammazione ritroviamo i granulociti neutrofili e i granulociti eosinofili. I
neutrofili costituiscono la popolazione più numerosa di leucociti (circa 60 %) circolanti nel sangue.

In seguito a stimoli infiammatori (ad esempio agenti patogeni, necrosi cellulare, allergeni), sostanze
pro-infiammatorie vengono rilasciate nel tessuto connettivo dove i neutrofili sono attratti e
permangono per un periodo di tempo piuttosto breve (1-2 giorni).
I granulociti eosinofili rappresentano una minoranza dei leucociti (circa 2-5%) e sono richiamati nei
tessuti connettivi da processi infiammatori, soprattutto quelli dovuti a infestazioni parassitarie e a
reazioni allergiche. I granulociti eosinofili possono ritrovarsi a livello della mucosa intestinale in
condizioni normali dove permangono per una decina di giorni anche senza andare incontro ad
attivazione.

Matrice extracellulare (ECM, extra-cellular matrix) del tessuto connettivo propriamente detto
riempie lo spazio tra le cellule ed è la componente principale di quasi tutti i tipi di tessuto connettivo.
La gran parte delle proprietà fisiche e meccaniche dei tessuti sono determinate dalla composizione
della matrice e dalle interazioni specifiche dei suoi componenti con recettori di membrana. L’ECM è
formata da una complessa rete di macromolecole diverse, secrete dalle cellule del tessuto connettivo,
che si associano mediante interazioni specifiche in complessi ordinati spa-zialmente, talora
stabilizzati da legami covalenti, dando luogo ad una grande varietà di strutture e funzioni nei tipi
diversi di tessuto. L'ECM costituisce inoltre la membrana basale, un sottile strato di molecole tra il
connettivo e la superficie di vari tipi di cellule. Le componenti principali della ECM sono la sostanza
fondamentale amorfa e le fibre di collagene, reticolari, elastiche che vi sono immerse. La sostanza
fondamentale è costituita da acqua, glicosaminoglicani, proteoglicani e glicoproteine che, tramite
domini di interazione specifici, collegano i componenti della ECM tra di loro e con cellule. Nel
tessuto connettivo propriamente detto le molecole dell'ECM sono sintetizzate principalmente dai
fibroblasti. Nei differenti tipi di tessuto sono presenti varianti di composizione molecolare che ne
influenzano le caratteristiche chimico fisiche. La consistenza è comunque quella di un gel flessibile,
più o meno fluido, che permette lo scambio tra il plasma e le cellule di gas, metaboliti, fattori di
crescita e ormoni. La componente fibrosa fornisce ai tessuti sostegno, deformabilità e resistenza alle
forze di tensione grazie a specifiche interazioni con le molecole delle membrane basali.

Le fibre: le fibre del tessuto connettivo sono sintetizzate dai fibroblasti e sono di tre tipi principali,
fibre collagene, fibre reticolari e fibre elastiche, con caratteristiche e funzioni diverse. Le fibre di
collagene e le fibre reticolari sono elementi flessibili ma inestensibili, responsabili della resistenza
alla trazione della ECM, mentre le fibre elastiche sono deformabili e ne determinano l'elasticità. Il
tipo e la quantità delle fibre contenute nella ECM di un tessuto condizionano la sua struttura e le sue
proprietà meccaniche, contribuendo a determinare le peculiarità dei diversi tipi di tessuto connettivo
propriamente detto. Le fibre collagene e le fibre reticolari sono formate da proteine dette collageni,
costituite da numerosi domini strutturali che presentano proprietà specifiche. Le fibre collagene
rappresentano la componente fibrosa più abbondante in tutti i tipi di tessuto connettivo e sono
elementi flessibili ma inestensibili, di spessore e lunghezza variabili. A fresco sono biancastre (fibre
bianche), mentre nei preparati istologici colorano facilmente in rosa con l'eosina, in verde con la
tricromica di Masson e in blu con la miscela di Azan Mallory. Al MO appaiono come elementi di 1-
12 mm di spessore, con lunghezza e andamento variabili, a seconda delle sedi in cui si trovano. Al
microscopio elettronico a trasmissione (TEM) appaiono costituite da fasci di sottili fibrille di
collagene di tipo I (0,2 - 0,3 m) e percorse da bande trasversali che si ripetono ogni 67 nm. Tale
bandeggiatura dipende dalla disposizione delle molecole di collagene nelle fibrille e
dall’associazione di queste ultime. Le fibre reticolari sono elementi sottili e intrecciati tra di loro,
costituiti da fibrille di collagene di tipo III. Si trovano in quantità variabili nello stroma di molti
organi parenchimali, di alcune ghiandole e nello strato profondo delle membrane basali (lamina
reticolare), dove formano una rete di sostegno. In alcune sedi sono prodotte da cellule diverse dai
fibroblasti: nel midollo osseo e in alcuni organi linfatici dalle cellule reticolari, nell'endonevrio dalle
cellule di Schwann e nella parte dei vasi sanguigni dalle cellule muscolari lisce. Le fibre reticolari
sono le prime fibre che si formano nel corso dello sviluppo embrionale, nei processi di
cicatrizzazione e di rigenerazione tissutale. Nei preparati istologici sono poco colorabili con i metodi
convenzionali ma si rendono visibili in rosso con l'acido periodico di Schiff (reazione di PAS), e in
nero o marrone con i sali d'argento (fibre argirofile), per la presenza di numerosi residui glucidici. Al
TEM presentano la stessa bandeggiatura delle fibre di collagene, con periodicità di 67 nm.

Struttura e sintesi dei collageni: i collageni sono una grande famiglia di proteine presenti in tutti gli
animali pluricellulari e rappresentano il 25% della massa proteica dei mammiferi. Nella specie
umana sono state identificate 28 molecole, classificate come collageni fibrillari e non fibrillari in
base alle strutture che formano, a cui è stato attribuito un numero romano progressivo. Tutte queste
molecole presentano almeno un dominio a tripla elica destrorsa, che si forma per l'attorcigliamento
di tre catene sinistrogire di tipo α, uguali o diverse tra di loro. I tipi diversi di catene a dei collageni
determinano le peculiarità dei diversi tipi di molecola. Attualmente sono state identificate più di 40
diverse catene di tipo a, codificate da geni diversi, in cui si ripete una sequenza di aminoacidi con la
glicina ogni terza posizione, secondo lo schema Gly-X-Y, dove X e Y sono aminoacidi variabili, ma
frequentemente una prolina o una 4-idrossiprolina. La posizione e le piccole dimensioni della glicina
nella sequenza Gly-X-Y permettono l'interazione tra le catene α e quindi la formazione della tripla
elica, mentre l'alta concentrazione dei rigidi residui di prolina e idrossiprolina ne limitano la
rotazione. La struttura a tripla elica è stabilizzata dai legami ad idrogeno che si formano
principalmente tra i gruppi NH- e CO- dei tre polipeptidi, ma anche tra i residui di idrossilisina
glicosilati con galattosio e glucosio. La biosintesi dei collageni è un processo complesso (Figura
11.19) che è stato ben chiarito solo per i collageni fibrillari. Nel RER della maggior parte delle
cellule di tutti i tessuti connettivi (fibroblasti, condroblasti, osteoblasti, odontoblasti e di alcune
cellule epiteliali) le catene α vengono sintetizzate come precursori contenenti lunghi propeptidi alle
estremità carbossilica ed aminica. Questi precursori subiscono alcune modificazioni post-
traduzionali quali il taglio del peptide segnale, l'idrossilazione dei residui di pro-lina e lisina
utilizzando come co-fattore la vitamina C, la glicosilazione di alcuni residui di idrossilisina, e infine
l'assemblaggio della tripla elica con formazione di legami ad idrogeno e ponti disolfuro all'interno
delle singole catene e tra le catene. La molecola così formata, stabilizzata dal legame con la proteina
heat shock protien 47 (hsp 47), è detta procollagene e presenta un dominio centrale in conformazione
a tripla elica e due telopeptidi globulari alle estremità amino- e carbossi-terminale non avvolti a tripla
elica. Il procollagene viene quindi traslocato nell'apparato del Golgi dove avviene la modificazione
degli zuccheri. La molecola viene quindi inclusa in vescicole di secrezione e trasportata alla
superficie della cellula per essere successivamente secreta mediante esocitosi. Nello spazio
extracellulare le regioni globulari vengono rimosse ad opera di enzimi specifici e le molecole così
formate si allineano testa-coda in file parallele che polimerizzano lateralmente tra di loro, sfalsate di
un quarto della loro lunghezza, a formare le fibrille di collagene con la tipica bandeggiatura. Tali
fibrille saranno ulteriormente stabilizzate da legami covalenti tra gli aminoacidi ossidati e possono
ulteriormente aggregarsi tra di loro a formare le fibre.

Varietà dei collageni. La maggior parte dei collageni (28 tipi di collagene) presenti nei tessuti umani
si associano in strutture sovramolecolari. Quelli più comuni nei tessuti connettivi sono i collageni
fibrillari, ma ne esistono anche altri che si associano alle fibrille o che sono elementi transmembrana
o che formano complessi non fibrillari quali reti, filamenti, fibrille di ancoraggio.

Collageni fibrillari. Le fibrille di collagene sono strutture che presentano le caratteristiche bande
trasversali ogni 67 nm descritte precedentemente. I principali collageni fibrillari sono quelli di tipo I,
II e III, V e IX, mentre i collageni fibrillari di tipo XXIV e XXVII sono meno abbondanti e le loro
funzioni non ancora studiate approfonditamente. I collageni fibrillari principali formano fibre o reti
che conferiscono resistenza meccanica ai tessuti e, attraverso il legame con altre componenti della
ECM e recettori sulla superficie cellulare, svolgono anche funzioni di segnalazione.
La bandeggiatura delle fibrille dipende dalla disposizione delle singole molecole di collagene in file
parallele. All'interno di una stessa fila le molecole si dispongono testa-coda, con uno spazio di 35 nm
tra l'estremità amminica di una molecola e quella carbossilica della successiva. Le molecole di file
diverse sono sfalsate tra di loro e in questo modo lungo la fibrilla si alternano zone in cui tutte le
molecole si sovrappongono e zone che contengono anche gli spazi tra le molecole. Al TEM,
utilizzando la colorazione negativa, cioè un colorante che penetra negli spazi vuoti e li rende opachi,
ma non entra nei tratti in cui le molecole si sovrappongono, viene esaltata la bandeggiatura: le zone
di maggior sovrapposizione delle molecole appaiono chiare mentre quelle di minor sovrapposizione
appaiono scure (elettrondense). Nella gran parte dei casi, le fibre di collagene contengono più di un
tipo di collagene fibrillare, anche se uno di essi è quello predominante. Le fibre di collagene di tipo I
sono le più abbondanti nei tessuti dell'organismo umano (derma, osso, tendini, fasce, legamenti) e
comprendono talora piccole quantità di collagene di tipo IlI e V. Le fibre di collagene di tipo II sono
tipiche componenti della ECM delle cartilagini ialina ed elastica e del corpo vitreo, formate da sottili
fibrille del diametro di 20-30 nm, che contengono anche il collagene di tipo XI. Il collagene di tipo
III forma invece le fibre reticolari precedentemente descritte, in cui è presente una piccola quantità di
collagene I. Un deficit, un accumulo o una anomalia di un certo tipo di collagene provoca
l'instaurarsi di patologie definite collagenopatie, alcune delle quali sono dovute a mutazioni dei geni
che codificano per le catene a della molecola. Una di queste patologie, l'osteogenesi imperfetta è
causata da mutazioni dei geni per le catene a del collagene di tipo le provoca fragilità ossea. Lo
scorbuto è invece una malattia che nei bambini provoca bassa statura, dovuta ad un deficit di
vitamina C che, come abbiamo descritto, è un co-fattore per l'idrossilazione degli aminoacidi lisina e
prolina e quindi' indispensabile per la formazione della tripla elica.

Collageni non-fibrillari. I collageni che non formano fibrille hanno localizzazioni e funzioni
diverse: alcuni sono associati alla superficie delle fibrille di collagene (IX, XII, XIV, XIV e XIX-XXII),
altri formano reti di diverse topologie (collageni IV, VIII e X), filamenti a perline (VI, XXVI e XXVIII) o
fibrille di ancoraggio (VII), altri ancora sono proteine transmembrana (XIII, XVII, XXIII e XXV). I
collageni che si associano alle fibrille, conosciuti anche come FACIT (Fibril Associated Collagen with
Interrupted Triple helix), stabiliscono dei legami tra le fibrille, contribuendo a determinarne le
caratteristiche strutturali e le loro interazioni con altre molecole della ECM. Esempi di questo tipo di
molecole sono il collagene IX e il collagene XII; il collagene IX forma legami con le fibrille del
collagene Il nella cartilagine e nel corpo vitreo dell'occhio, mentre il collagene XII si associa alle
fibrille di collagene I nei tendini. Nelle membrane basali degli epiteli di rivestimento, che verranno
trattate successivamente in questo capitolo, sono presenti i collageni IV e VII che formano
rispettivamente, reti e fibrille di ancoraggio. Il collagene IV è sintetizzato dalle cellule epiteliali e
forma strutture bidimensionali deformabili estremamente resistenti alle sollecitazioni meccaniche,
che determinano la stabilità delle membrane basali. Il collagene VII forma invece strutture di
ancoraggio nella giunzione dermo-epidermica, tra membrana basale e lo stroma connettivale
sottostante.

Fibre elastiche. La fibre elastiche sono componenti con uno spessore ridotto, che possono
ramificarsi costituendo reti tridimensionali nei tessuti connettivi denso e lasso, disporsi in fasci
paralleli nei legamenti (nucale e legamenti delle corde vocali) o formare lamine fenestrate nella
parete delle arterie e nei setti alveolari del polmone. A fresco le fibre elastiche appaiono gialle. Sono
osservabili al MO con metodi specifici, che utilizzano come coloranti resorcina-fucsina o orceina.
Le componenti elastiche sono strutture estensibili, capaci cioè di rispondere allo stiramento
allungandosi fino ad una volta e mezza della loro lunghezza e riprendendo le loro originali
dimensioni quando lo stimolo termina. Questa caratteristica è dovuta alla loro composizione e alla
struttura molecolare. Al TEM ogni fibra appare costituita da un nucleo centrale di elastina, amorfo e
debolmente elettrondenso, rivestito all'esterno da microfibrille di fibrillina disposte parallelamente
tra di loro. Elastina e fibrillina sono proteine sintetizzate da cellule di tipo diverso (fibroblasti,
condroblasti e cellule muscolari lisce) e si assemblano tra loro solo dopo la secrezione, con un
processo ben regolato. Le cellule sintetizzano la tropoelastina, il precursore dell elastina non
glicosilato, idrofobico, contenente notevoli quantità di prolina, glicina, valina, alanina e con un PM
di circa 70 kDa. Il processo di formazione delle fibre inizia con la disposizione delle molecole di
fibrillina in file parallele a formare una struttura di microfibrille su cui successivamente si depositano
le molecole di tropoelastina. Le microfibrille quindi compongono un modello che influenza
profondamente la deposizione, l'allineamento corretto e la formazione di legami crociati tra molecole
di tropoelastina e quindi l'organizzazione di fibre elastiche mature, nonché le loro proprietà
biomeccaniche. Il nucleo di elastina si forma quando l'enzima lisil ossidasi trasforma i gruppi -NH2
delle lisine in amine, con la formazione di due aminoacidi modificati, la desmosina e
nell'isodesmosina, per condensazione di 2, 3 o 4 molecole aminoacidiche. Queste molecole, a loro
volta, formano legami covalenti tra i monomeri di tropoelastina, generando una struttura polimerica
amorfa, insolubile, stabilizzata ma estremamente estensibile, in grado di ritornare alla lunghezza
iniziale e alla conformazione disordinata di partenza quando la forza cessa. Esistono isoforme
diverse di tropoelastine, prodotte dallo splicing alternativo di un unico gene localizzato nell'uomo nel
cromosoma 7 ed espresso soprattutto durante le fasi prenatale e neonatale da fibroblasti, cellule
muscolari lisce e condroblasti. L'importanza della fibrillina nella formazione delle fibre elastiche si
rileva dal fatto che le mutazioni dei geni che la codificano portano ad una patologia, la sindrome di
Marfan, caratterizzata da alterazioni scheletriche, articolazioni fragili, aneurismi della parete delle
grosse arterie e dei polmoni. Alla costituzione delle microfibrille partecipano anche altre molecole,
tra cui i proteoglicani, fibuline e glicoproteine associata a microfibrille (microfibril-associated
glycoproteins, MAGP-1 e MAGP-2). Le microfibrille di fibrillina si trovano anche in tessuti privi di
elastina, ad esempio nella membrana basale degli epiteli e nella cartilagine di tipo ialino. I vari tipi di
fibre elastiche che si osservano nella ECM dei vari tipi di tessuto connettivo rappresentano stadi
diversi del processo. Lo stadio precoce è rappresentato dalle fibre ossitalaniche costituite soltanto da
fasci di microfibrille privi di elastina e proprie del derma papillare, del legamento periodontale e del
endonevrio; le fibre elauniniche del connettivo tra derma papillare e derma reticolare e nell'epinevrio
sono uno stadio intermedio, in cui l'elastina è presente tra le microfibrille; le fibre elastiche del
derma reticolare, dei vasi, dei legamenti gialli della colonna vertebrale e del polmone, infine, sono la
forma matura, in cui l'elastina costituisce il nucleo denso delle fibre e le microfibrille che la
circondano esternamente. I tre tipi di fibre formano una rete continua, in cui le fibre ossitalaniche
spesso costituiscono un sistema di ancoraggio alle membrane basali.

La sostanza fondamentale è un gel semisolido di aspetto amorfo, costituito principalmente da


glicosaminoglicani (GAG), proteoglicani (PG), glicoproteine, acqua e vari soluti. Circonda e sostiene
le cellule del tessuto connettivo, conferendo resistenza meccanica e regolando la diffusione al suo
interno di nutrienti, gas, metaboliti, ioni, ormoni e fattori di crescita. L'acqua diffonde dai vasi
sanguigni insieme alle sostanze in essa disciolte e rappresenta il mezzo in cui avviene la maggior
parte degli scambi metabolici tra il plasma e le cellule, con cui si forma il liquido interstiziale.
Durante l'allestimento dei preparati istologici la sostanza fondamentale dei tessuti connettivi
propriamente detti si solubilizza e quindi si può colorare solo nelle sezioni ottenute al criostato a
circa -20°C, con il metodo PAS. Nei tessuti cartilagineo ed osseo la sua consistenza permette una
buona resistenza ai fissativi ed è quindi possibile colorarla anche nei preparati istologici con il blu di
toluidina, per l'intensa basofilia dovuta all'elevato contenuto di gruppi anionici (radicali carbossilici,
esteri solforici, amidi solforiche) dà luogo alla metacromasia. Al TEM è visibile con la colorazione
rosso rutenio. I GAG sono lunghi polimeri non ramificati, costituiti da unità disaccaridiche ripetute.
Uno dei due residui glucidici è un aminozucchero (N-acetilglucosammina o N-acetilgalattosammina)
e l'altro un esoso acido (acido glucuronico o acido iduronico). Entrambi gli zuccheri presentano
gruppi solforici e carbossilici, che li rendono ricchi di cariche negative, in grado di attrarre cationi
osmoticamente attivi e di legare grandi quantità di acqua. Per le loro caratteristiche chimiche i GAG
sono molecole relativamente rigide, che occupano quindi molto volume all'interno della ECM dei
tessuti connettivi. Vengono sintetizzati nell'apparato del Golgi delle cellule del tessuto connettivo,
tranne l'acido ialuronico, che viene prodotto sulla faccia citosolica della membrana plasmatica. Si
distinguono tra di loro per il peso molecolare (PM) e tipo di residui glucidici che li compongono. I
più abbondanti sono il dermatansolfato, il condroitinsolfato, l'eparansolfato, il cheratansolfato e
l'acido ialuronico. Ad eccezione dell'acido ialuronico, questi GAG non si trovano liberi nella ECM,
ma sono sempre legati covalentemente ad un asse proteico a formare i PG. Il dermatsansolfato si
trova nel derma, nella parete dei vasi sanguigni e delle valvole cardiache; i condroitinsolfati sono un
gruppo di GAG che differiscono tra di loro per la posizione del gruppo solforico (C4 o C6),
abbondanti nella cartilagine e nei tendini; i cheratansolfati, a differenza di tutti gli altri GAG, si
legano all'asse proteico dei PG tramite l'asparagina e sono di due tipi (I e II), che differiscono per il
grado di solfatazione e la localizzazione (tipo I nella cornea e tipo II nei tessuti scheletrici, insieme al
condroitin solfato); l'eparan solfato è un componente dei PG di membrana sindecano e glipicano, che
a loro volta sono co-recettori per fattori di crescita e ligandi insolubili o costituenti delle membrane
basali (perlecano).

L'acido ialuronico (HA) o ialuronano è un GAG presente in tutti i Vertebrati, ottenuto con la
ripetizione del disaccaride acido glucuronico-N-Acetil glucosamina. Contiene 4000-20000 unità
disaccaridiche e ha un PM che si aggira attorno a 106 - 107 kDa. Nella matrice si trova libero oppure
associato tramite una link protein ai PG e, come tutti i GAG, è in grado di legare una gran quantità di
acqua e interagire con vari componenti macromolecolari della matrice, contribuendo a regolarne
l'idratazione, l'equilibrio osmotico, la struttura e la consistenza. Come già descritto, l'HA è
sintetizzato da enzimi transmembrana (HA sintetasi) sulla faccia citosolica della membrana
plasmatica e successivamente traslocato all'esterno della cellula dove si localizza a ridosso della
membrana stessa o nello spazio intercellulare. E digerito da un enzima specifico, la ialuronidasi.
Nella ECM forma gel estremamente idratati, più o meno densi e raggiunge la sua maggiore
concentrazione nel corso dello sviluppo embrionale dove è capace di creare spazi che possono essere
occupati da cellule in movimento. Può legarsi a recettori specifici di superficie cellulare, il principale
dei quali è il CD44, innescando vie di traduzione del segnale che controllano varie funzioni
(assemblaggio del citoscheletro, migrazione cellulare, etc.). Oltre che nella matrice dei tessuti
connettivi, si trova anche nel citoplasma delle cellule, dove la sua funzione non è stata ancora
chiarita, nonché nel liquido sinoviale, dove svolge un ruolo fondamentale per il funzionamento
corretto delle articolazioni.

Proteoglicani. I PG sono una famiglia di molecole costituite da un asse (core) proteico in cui si
inseriscono uno o più catene di GAG (fino a centinaia) tramite un tetrasaccaride di connes-sione,
generalmente in corrispondenza di residui di serina. Il loro PM varia quindi da poche migliaia ad
alcuni milioni di dalton e si distinguono per la notevole variabilità della parte proteica e per il
numero delle catene laterali, che possono essere diverse o identiche. Sono presenti non solo nella
ECM (aggrecano, versicano), ma anche nella lamina basale (perlecano) o possono trovarsi associati
alla membrana plasmatica delle cellule di cui regolano l'adesione alla matrice (sindecano,
betaglicano). Per effetto della loro carica negativa nei PG di grandi dimensioni le catene dei GAG si
respingono tra di loro e si dispongono attorno all'asse proteico come le setole di una spazzola,
occupando un enorme volume. Nel connettivo propriamente detto, GAG e proteoglicani sono
sintetizzati principalmente dai fibroblasti. La parte proteica è sintetizzata dai ribosomi del RER e
successivamente traslocata nel lume dove viene legato un residuo di xilosio al gruppo -OH delle
serine. La molecola è quindi trasportata all'apparato di Golgi dove la glicosilazione viene completata:
al xilosio sono aggiunti, in successione, due residui di galattosio, uno di acido glucuronico e le
catene polisaccaridiche dei GAG. Queste ultime molecole subiscono alcune modifiche (solfatazione,
epimerizzazione) prima che i PG di nuova formazione siano trasportati alla loro destinazione finale
tramite vescicole che gemmano dal Golgi. La principale funzione dei PG è quella di conferire alla
matrice turgore e resistenza alle forze di compressione, grazie alle notevoli quantità di acqua che
sono in grado di legare. Tale funzione è notevolmente incrementata quando i PG formando enormi
complessi sovramolecolari di milioni di dalton come l'aggrecano, che si lega all'HA tramite proteine
di ancoraggio (link proteins). Aggregati di questo tipo sono particolarmente abbondanti nella
sostanza fondamentale della cartilagine, dove sono in grado di dare origine a matrici altamente
idratate e resistenti alle forze di compressione. I PG della ECM influenzano le funzioni cellulari sia
indirettamente, quando agiscono come una sorta di setaccio molecolare a maglie più o meno larghe
che regola la diffusione di molecole e cellule all'interno della matrice, che direttamente, intervenendo
in vario modo sull'attività di recettori cellulari. I PG possono associarsi anche con altre molecole
della ECM, in particolare al collagene, formando reti tridimensionali estremamente complesse.
I PG delle membrane plasmatiche sono componenti integrali delle stesse, inseriti nel doppio strato
fosfolipidico tramite la core-protein o un'ancora di GPI (glicosil-fosfatidil-inositolo).
Le funzioni di questi PG sono molteplici; possono essere recettori di ligandi solubili e facilitare la
loro internalizzazione o agire da co-recettori di altri componenti insolubili o solubili della ECM.
In particolare, il sindecano, un PG di membrana con catene di eparansoflato, può legare fattori di
crescita come l'FGF (fibroblast growth factor) e il TNF-B (trasforming growth factor beta)
aumentando la loro concentrazione nella MEC e favorendone l'interazione con i loro recettori, e
quindi controllando indirettamente la crescita cellulare.
Glicoproteine della ECM. Le glicoproteine della ECM sono un gruppo di molecole che hanno la
funzione comune di mettere in contatto i vari componenti e di collegarli alle cellule. La componente
glucidica è unita a quella polipeptidica con legame O-glicosidico in corrispondenza di residui di
serina o di treonina, o con legame N- glicosidico all'asparagina. La componente proteica contiene
moduli ripetuti che formano domini strutturali e funzionali in grado di legare sia molecole di matrice,
che i loro recettori sulla superficie cellulare (integrine, caderine). Le proteine più studiate di questo
gruppo sono la fibronectina, le laminine, la trombospondina e la tenascina.
La fibronectina (FN) è una glicoproteina con un PM di 230 - 270 kDa, presente in tutti i tessuti
connettivi e nel plasma, sintetizzata da molti tipi di cellule ma soprattutto da fibroblasti, cellule
endoteliali e leucociti. Esistono diverse isoforme di FN, di cui una solubile e contenuta nel plasma
che favorisce la coagulazione del sangue, mentre le altre sono insolubili e si assemblano in fibrille di
fibronectina una volta secrete. Tutte le isoforme derivano dallo splicing alternativo del trascritto di
un unico gene e sono formate da due polipeptidi uniti da due ponti disolfuro al terminale
carbossilico. Ogni polipeptide è, a sua volta, composta da tre diversi moduli (FI, F2 e F3) ripetuti in
serie e separati da regioni flessibili, che formano domini o siti di legame per altri componenti della
matrice (collagene di cipo IV, fibrina, eparina) e per recettori specifici presenti sulla superficie di tipi
cellulari diversi, quali le integrine (Figura 11.34). Il legame della FN con i recettori integrinici è
mediato dalla sequenza Arg-Gly-A-SP (o RGD) presente in uno dei moduli di tipo F3 e provoca
l'adesione delle cellule al substrato.
In alcuni casi questo legame è rinforzato anche dall'interazione della FN con un sindecano di
membrana, che agisce da co-recettore. Quando la FN interagisce con i suoi recettori integrinici ne
induce l'aggregazione e attiva vie di segnalazione che modulano l'organizzazione del citoscheletro
provocando, a sua volta, la distensione delle fibrille di FN e il loro assemblaggio. L'interazione della
FN con le altre molecole della ECM ne provoca uno stiramento che influisce sulla proliferazione e la
migrazione di diversi tipi cellulari, sia nell'embriogenesi che nel corso della cicatrizzazione delle
ferite. Le laminine (IM) sono una famiglia di 16 glicoproteine del PM da 400 a 800k Da, costituite
da tre polipeptidi (a, B e v) uniti da ponti disolfuro. Hanno la forma di una croce asimmetrica, con un
braccio lungo e due corti e si trovano in quella porzione specializzata della ECM detta membrana
basale (Figura 11.36). I polipeptidi contengono diversi domini funzionali con struttura colied-coil,
che mediano il legame sia con altri componenti della lamina basale (collagene IV, eparansolfato,
entactina) che con i recettori integrinici presenti sulla superficie delle cellule. Le laminine del tessuto
connettivo propriamente detto sono sintetizzate principalmente dalle cellule epiteliali e sono
importanti regolatori dell'adesione delle cellule alla ECM, della crescita e del differenziamento
cellulare. Queste molecole si trovano anche nel tessuto muscolare dove sono connesse al
citoscheletro delle cellule dal complesso distrofina-destro-glicano-sarcoglicani.Trombospondina e
tenascina sono proteine che contengono alcuni moduli simili a quelli presenti nella sequenza del
fattore di crescita EFG. Le trombospindine sono una famiglia di 5 proteine con funzioni diverse,
correlate non solo all'organizzazione della ECM nella rigenerazione tessutale, ma anche alla riposta
infiam-matoria, all'angiogenesi e all'aggregazione delle piastrine. Le tenascine sono una famiglia di 4
grandi proteine con una struttura simile, ovvero costituite da 6 catene polipeptidiche che si
dispongono come i raggi di una ruota, unite da ponti disolfuro. Sono state identificate nei tessuti
embrionali e nello stroma di alcuni tumori, dove hanno proprietà anti-adesive, ovvero inibiscono
l’adesione delle cellule al substrato.

Membrana basale: è una porzione specializzata di ECM, posta tra le cellule di alcuni tessuti e la
ECM dell'adiacente tessuto connettivo. In particolare si trova alla base degli epiteli (ma non sotto
agli epatociti), sotto agli endoteli dei vasi, attorno alle cellule muscolari, agli adipociti, e alle cellule
di Schwann; si trova inoltre in alcune sedi come il glomerulo renale e la capsula del cristallino.
Per la presenza di glicoproteine e proteoglicani, la membrana basale che si colora di colore rosso con
il metodo PAS, e viene annerita dai sali d'argento. AI TEM appare costituita da due parti:
– una sottile struttura laminare detta lamina basale, a contatto con la cellula
– uno strato di fibre reticolari di collagene III detto lamina reticolare, a contatto con il connettivo.
Questo secondo strato può mancare e per questo i termini "lamina basale" e "membrana basale"
vengono usati in maniera intercambiabile. La lamina basale si suddivide a sua volta in lamina lucida
o rara e la lamina densa. Nella maggior parte delle localizzazioni ha uno spessore di 0,1 m, ma in
alcune sedi, quali la cornea (membrana di Descmet) e il glomerulo renale, è notevolmente più spessa.
La lamina lucida è probabilmente un artefatto dovuto alle tecniche di preparazione dei campioni per
la microscopia elettronica, mentre la lamina densa è costituita componenti molecolari specifici,
secreti dalle cellule con cui viene a contatto, principalmente collagene di tipo IV, laminine, il
proteoglicano perlecano costituito da eparan-solfato, il nidogeno (o entactina) e talvolta altre proteine
adesive a seconda del tipo di tessuti di cui fanno parte.La lamina reticolare è di spessore variabile e
può mancare del tutto alla base di alcune membrane basali, come nel glomerulo renale. È ricca di
macromolecole elaborate dai fibroblasti, quali i collageni di tipo III e VII e la fibrillina, che formano
fibrille ancoranti, che si continuano nel connettivo sottostante, che verranno descritte
successivamente. Il collagene di tipo IV e le laminine sono state descritte precedentemente, , il
perlecano è un PG di eparan-solfato e il nidogeno è una glicoproteina che interagisce sia con la
laminina che con il collagene IV stabilizzando la lamina basale e rendendola resistente allo stress
meccanico. I collageni transmembrana XV e XVIII, presenti all'interfaccia tra membrana basale e il
connettivo sottostante, partecipano all'ancoraggio delle cellule al connettivo sottostante, anche se il
loro ruolo non è ancora stato ben chiarito. Il collagene VI invece è particolarmente abbondante al di
sotto delle membrane basali ed è un componente dell'endomisio, necessario a stabilizzare le fibre
muscolari durante il processo di contrazione.L'insieme dei componenti della membrana basale forma
molteplici interazioni ed una fitta impalcatura tridimensionale stabilizzata da numerosi legami
covalenti. Oltre a separare il tessuto connettivo dagli altri tessuti, la membrana basale ha una
funzione meccanica, mediando l'ancoraggio delle cellule al substrato. Costituisce inoltre un percorso
lungo il quale avvengono migrazioni di cellule, funge da filtro molecolare per le sostanze che la
attraversano, regola la concentrazione e l'attività di fattori di crescita controlla l'organizzazione delle
molecole, la differenziazione cellulare e la rigenerazione dei tessuti. In questo ultimo caso, la
membrana basale fa da guida per le cellule durante la loro migrazione per ricostruire rapidamente la
struttura del tessuto leso. La formazione della membrana basale avviene per auto-assemblaggio dei
suoi componenti e con lo sviluppo dei sistemi di ancoraggio che li connettono al connettivo
sottostante. I sistemi strutturali di ancoraggio sono costituiti essenzialmente da fibrille ancoranti di
collagene VII, microfibrille di fibrillina e da proiezioni della lamina densa.

Ricambio dei componenti della ECM: le molecole della ECM vengono rinnovate costantemente e la
sua composizione dipende quindi dal bilancio tra sintesi e degradazione delle molecole che la
compongono. La degradazione avviene ad opera di enzimi (metalloproteasi, serina-proteasi,
ialuronidasi) che agiscono lentamente nel corso del normale rinnovo della ECM e in modo rapido
durante la migrazione cellulare (leucociti nel corso della risposta infiammatoria), la riparazione dei
tessuti e la formazione delle metastasi tumorali.

I recettori cellulari della ECM: le macromolecole della ECM stabiliscono interazioni con le cellule
grazie a recettori specifici, i più importanti dei quali sono le integrine, pro-reine transmembrana
costituite da due subunità, C e B. La famiglia delle integrine nei mammiferi comprende 18 subunità a
e 8 subunità β che, associandosi tra di loro, sono in grado di dare origine a 24 distinti tipi di
eterodimeri diversi, che si legano a molecole di matrice differenti. Cellule diverse esprimono quindi
integrine diverse e aderiscono a substrati diversi. Alcune integrine legano selettivamente solo un tipo
di proteina di matrice, mentre altre riconoscono il dominio RGD (arginina-glicina-acido aspartico)
presente in numerose classi di molecole (laminina, fibronectina). Queste molecole recettoriali sono
in grado di passare rapidamente da una forma inattiva ripiegata a ginocchio, con le corte code
citoplasmatiche delle due subunità che interagiscono tra di loro, ad una distesa e attiva. Questa forma
lega il citoscheletro dal lato citoplasmatico tramite proteine citoplasmatiche adattatrici di
collegamento, tra cui la vinculina, la talina e l'α-actinina, che fungono da ponte con i filamenti di
actina e molecole di miosina Il. In questo modo si generano fibre da stress che sono coinvolte nello
spostamento delle cellule su una superficie, mediante l'interazione actina-miosina. Alcuni di questi
aggregati molecolari costituiscono le giunzioni di ancoraggio tra cellula ematrice, dette adesioni
focali, strutture complesse di cui fanno parte molte proteine adattatrici che permettono l'ancoraggio
stabile ai microfilamenti e si comportano come sensori meccanici, in grado di interpretare le
caratteristiche fisiche della ECM a cui la cellula aderisce.

Classificazione del tessuto connettivo propriamente detto


I tessuti connettivi propriamente detti vengono classificati sulla base del diverso coinvolgimento
delle componenti cellulare ed extracellulare. Si distinguono due diverse forme di tessuto connettivo
propriamente detto:
1. Le forme lasse caratterizzate dalla presenza di più cellule e dal prevalere della componente amorfa
della ECM sulla componente fibrillare. Le forme lasse comprendono quattro tipi di tessuto
connettivo: lasso, mucoso, reticolare e adiposo.
2. Le forme dense caratterizzare da un ridotto numero di cellule e da una componente fibrillare
abbondante e raccolta in grossi fasci. Le forme dense includono il tessuto connettivo denso irregolare
(a fibre intrecciate), il tessuto connettivo denso regolare del quale vengono distinti i sottotipi a fibre
parallele e a fibre incrociate, e il tessuto connettivo elastico.

FORME LASSE DEI TESSUTI CONNETTIVI


Il tessuto connettivo lasso, chiamato anche tessuto areolare, è caratterizzato dalla presenza di
numerosi tipi di cellule, da abbondante sostanza fondamentale e da una scarsa componente fibrillare,
La sostanza fondamentale è ricca di proteoglicani e acido ialuronico mentre la componente fibrosa e
composta da sottili fibre collagene ed elastiche sparse, disposte in varie direzioni, a formare
un'architettura a maglie ampie (da cui il termine lasso). Il tessuto connettivo lasso è riccamente
vascolarizzato ed è ampiamente distribuito nei diversi distretti dell'organismo. Il tessuto connettivo
lasso è presente in varie parti dell'organismo ed è il tipo di tessuto connettivo più diffuso nel corpo
umano. Lo ritroviamo al di sotto degli epiteli di rivestimento, costituendo la lamina propria della
tonaca mucosa e la sottomucosa degli organi cavi, il derma papillare a ridosso dell'epidermide, il
connettivo su cui poggia il mesotelio delle tonache sierose viscerale e parietale e lo stroma delle
ghiandole. Di tessuto connettivo lasso sono inoltre formati anche il perimisio ed il perinevrio,
strutture connettivali che separano, rispettivamente, i fasci di fibre muscolari e di fibre nervose; le
tonache intima e avventizia dei vasi. L'architettura lassa della matrice permette una certa
deformabilità al tessuto e consente una facile diffusione di gas e nutrienti tra le cellule e il circolo
sanguigno. Oltre a queste funzioni meccaniche e trofiche, questo tessuto esplica anche una funzione
di difesa grazie alla presenza di numerose cellule di tipo immunitario che migrano dal circolo
sanguigno, soprattutto nei siti di infiammazione. Le altre cellule presenti nel tessuto sono le tipiche
cellule fisse di tutti i connettivi: fibroblasti, macrofagi, mastociti e adipociti. Come riportato
precedentemente, ogni tipo di cellula svolge un ruolo ben preciso all'interno del tessuto connettivo. A
titolo esemplificativo i fibroblasti partecipano alla sintesi delle componenti della ECM. I macrofagi e
i leucociti svolgono un ruolo di difesa contro agenti patogeni e insieme ai mastociti partecipano
all'instaurarsi e al progredire del processo infiammatorio. Il tessuto connettivo mucoso è molto
diffuso durante lo sviluppo embrionale e può essere considerato uno stadio intermedio tra
mesenchima e tessuto connettivo lasso. Permane nell'individuo adulto limitatamente alla polpa
dentale e l'umor vitreo. Il tessuto connettivo mucoso inoltre lo ritroviamo nel cordone ombelicale a
formare la gelatina di Wharton, disposta tra e attorno ai vasi ombelicali. La caratteristica principale
del tessuto mucoso è la presenza di una ECM contenente una notevole quantità di sostanza
fondamentale, ricca soprattutto di acido ialuronico, che conferisce al tessuto un aspetto gelatinoso, in
cui sono immerse poche e sottili fibre di collagene. L'abbondanza di componenti solforati conferisce
al tessuto una basofilia e metacromasia. Il tessuto connettivo reticolare è una varietà di tessuto
connettivo lasso nel quale la componente fibrosa è composta principalmente da fibre reticolari.
Come anticipato precedentemente, le fibre reticolari sono argirofile e sottili, formate principalmente
da collagene III. Sebbene mantengono la stessa periodicità dei collageni interstiziali, le fibre
reticolari abbandonano la disposizione a fasci tipici del collagene I e si dispongono in diverse
direzioni, a formare un reticolo tridimensionale a maglie larghe. Questo tessuto ha una funzione di
supporto e si trova subito al di sotto delle membrane basali, tra lamina densa e connettivo sottostante,
di epiteli, endoteli, cellule muscolari, cellule di Schwann e cellule adipose. Il tessuto connettivo
reticolare costituisce inoltre lo stroma connettivale degli organi ghiandolari, del midollo osseo,
linfonodi e milza. Nel midollo osseo, nella milza e nei linfonodi il tessuto reticolare è sintetizzato
dalle cellule reticolari, cellule di origine mesenchimale, simili ai fibroblasti e con morfologia stellata.
Queste cellule, oltre a secernere ECM, svolgono anche diverse funzioni correlate con le cellule
immunitarie quali il controllo della funzione immunitaria e la loro compartimentalizzazione nei
tessuti interessati. In altri tessuti le fibre reticolari sono prodotte dai fibroblasti e dalle cellule
muscolari lisce.Il tessuto adiposo è un tessuto connettivo lasso in cui predominano le cellule adipose
o adipociti, elementi specializzati nell'accumulo di lipidi. Anche se tradizionalmente il tessuto
adiposo è stato considerato un semplice sito di immagazzinamento di lipidi, studi recenti ne hanno
rivelato la sofisticata complessità strutturale e funzionale. Per questo motivo è stato riservato al
tessuto adiposo un apposito capitolo.

FORME DENSE DEI TESSUTI CONNETTIVI


Il tessuto connettivo denso, detto anche compatto o fibroso, è così definito perché in esso prevalgono
le fibre collagene di tipo I riunite in grossi fasci orientati nella direzione delle forze di trazione che
occupano la gran parte del volume della matrice, mentre le cellule sono relativamente scarse. La
netta prevalenza della componente fibrillare collagenica indica che il tessuto connettivo denso svolge
prevalentemente una funzione di resistenza alle forze meccaniche, in particolare quelle di tensione. Il
grado di vascolarizzazione di questo tessuto è nettamente minore rispetto a quello del tessuto
connettivo lasso. In base alla disposizione spaziale dei grossi fasci di collagene, si distinguono due
varietà di tessuto connettivo denso: il tessuto connettivo denso irregolare, in cui i fasci sono orientati
in modo casuale, e il tessuto connettivo denso regolare, dove i fasci sono ordinati tra di loro
parallelamente oppure incrociati e intrecciati.

TESSUTO CONNETTIVO DENSO IRREGOLARE

Nel tessuto denso irregolare i fasci di fibre collagene hanno direzioni variabili e si intrecciano
formando una rete compatta con scarsa sostanza fondamentale. Tra i fasci di collagene ritroviamo un
intreccio di fibre elastiche ben sviluppato. Fra le fibre sono presenti soprattutto fibrociti.
Il tessuto connettivo denso irregolare è riscontrabile nel derma reticolare (profondo), nella
sottomucosa, nelle capsule di numerosi organi (a es. fegato, pancreas, milza, linfonodi, ghiandole
surrenali, testicolo, ovaio) e in numerosi altri tessuti quali il periostio, il pericondrio, la dura madre,
l'epimisio, l'epinevrio, le capsule articolari e la sclera dell'occhio.
Nel derma, la disposizione dei fasci di fibre di collagene permette a questo tessuto denso 1°regolare
di compensare forze agiscono in ogni direzione, mentre nelle altre strutture consente la disposizione
dei fasci di collagene permette al tessuto denso irregolare del derma di compensare forze che
agiscono in ogni direzione, mentre ha una funzione meccanica protettiva e di compensazione di forze
espansive nelle altre strutture.

TESSUTO CONNETTIVO DENSO REGOLARE


Il tessuto connettivo denso a fasci paralleli è la forma più diffusa di tessuto connettivo denso
regolare, ed è costituito da robusti fasci di fibre di collagene disposti parallelamente e strettamente
addossate le une alle altre. Questo tipo di tessuto connettivo lo riscontriamo nei tendini, nelle
aponeurosi, nei legamenti. I tendini sono strutture anatomiche cordoniformi che connettendo i
muscoli alle ossa ne trasmettono la forza generata e rendendo possibile il movimento. I legamenti
sono strutture anatomiche che connettono un osso ad un altro osso. Le fibre collagene di tipo I sono
fittamente stipate e orientate nel senso delle forze meccaniche di trazione. Negli interstizi dei fasci
collagenici sono presenti i fibroblasti, pochissima sostanza amorfa e fibre elastiche.
Le aponeurosi sono delle fini lamine fibrose mediante le quali muscoli larghi e sottili si fissano ai
loro punti di inserzione. Sono composte da vari strati di fasci collagenici, con le fibre parallele o
quasi parallele tra loro all'interno dello stesso strato, ma con direzioni diverse nei vari strati. Fibre
trasversali uniscono i differenti strati. Il tessuto connettivo denso a fasci incrociati è una varietà di
tessuto connettivo denso regolare presente nello stroma della cornea. Lo stroma corneale, che
costituisce circa il 90% dello spessore della cornea, presenta un'organizzazione lamellare. All'interno
di ogni lamella i fasci di fibre di collagene li dispongono parallelamente tra di loro e ortogonalmente
ai fasci di fibre delle lamelle contigue. I fibroblasti corneali, sono anche conosciuti come cheratociti
corneali e si trovano tra le lamelle. L'organizzazione delle fibre e l'assenza di vascolarizzazione
conferiscono alla cornea la caratteristica principale di trasparenza.

TESSUTO CONNETTIVO ELASTICO


Il tessuto connettivo propriamente detto di tipo elastico è costituito da una matrice in cui le fibre
elastiche prevalgono nettamente su quelle collagene. La presenza di numerose fibre elastiche
conferisce a questo tipo di tessuto connettivo una colorazione giallastra, In questo tessuto le fibre
elastiche formano strutture legamentose come i legamenti elastici oppure le lamine elastiche. Nei
legamenti elastici le fibre elastiche hanno notevole spessore e, pur avendo un prevalente andamento
parallelo, si anastomizzano tra di loro. Questa organizzazione fibrillare permette al tessuto di
deformarsi e di rispondere alle forze meccaniche, ritornando successivamente nella configurazione
iniziale. Tuttavia, quando le forze sono molto elevate, entra in gioco anche il collagene, le cui fibre
sono meno estensibili e molto resistenti alla trazione e possono così limitare eccessivi stiramenti che
potrebbero danneggiare irreversibilmente le fibre elastiche. Esempi di legamenti elastici sono i
legamenti vocali, che formano lo scheletro fibroso delle corde vocali vere, i legamenti gialli che
uniscono le lamine di vertebre contigue, il legamento sospensore del pene, che unisce i tessuti
superficiali di quest'organo alla sinfisi pubica, il legamento nucale, abbozzato nell'uomo, ma molto
sviluppato negli animali da pascolo.
Nelle grandi arterie elastiche il tessuto elastico si organizza in lamine. La tonaca media di queste
arterie è costituita da lamine elastiche fenestrate, concentriche e in continuità tra loro, per la presenza
di sottili fibre elastiche a disposizione radiale. Lo spazio tra le lamine elastiche è occupato da cellule
muscolari lisce immerse nella sostanza fondamentale che contiene anche fibre collagene. Le cellule
muscolari lisce sono disposte in fasci circolari e sono responsabili della sintesi dei componenti della
ECM, incluse le fibre elastiche. Le arterie elastiche, di cui sono esempi l'aorta, la polmonare, la
brachiocefalica, la succlavia, la carotide comune e l'iliaca comune, hanno la funzione di condurre il
sangue emesso dalla contrazione dei ventricoli cardiaci ai rami arteriosi di minor calibro, che lo
distribuiscono ai vari distretti dell'organismo. Il nome di arterie di conduzione, con cui vengono
anche indicati questi vasi, deriva da questa caratteristica funzionale. Le arterie elastiche del cuore
svolgono una funzione molto importante: durante la contrazione cardiaca (fase di sistole del ciclo
cardiaco) il sangue emesso dal cuore distende queste arterie, facendo sì che parte dell'energia della
contrazione venga immagazzinata sotto forma di energia elastica. Il ritorno elastico della parete
permette che il flusso sanguigno si mantenga costante anche nella fase di rilassamento del muscolo
cardiaco (diastole).

12 ——————— TESSUTO ADIPOSO

Il tessuto adiposo è stato per lungo tempo considerato come un tessuto con funzioni limitate
all'isolamento termico e meccanico dell'organismo e alla capacità di immagazzinare, sotto forma di
trigliceridi ad alta densità calorica, l'eccesso di energia, per restituirla, al bisogno, per scopi
metabolici, come acidi grassi liberi. Da almeno un ventennio si è andata affermando la convinzione,
divenuta ormai certezza, che il tessuto adiposo sia un vero organo dinamico, coinvolto in molteplici
funzioni endocrine, autocrine e paracrine. Tale avanzamento nelle conoscenze è principalmente
dovuto al crescente interesse per il recente sviluppo epidemico dell'obesità e delle patologie ad essa
frequentemente associate come ad esempio il diabete, l'ipertensione, l'iperlipidemia, il cancro.
Inoltre, mentre in passato il tessuto adiposo veniva generalmente considerato come un tessuto
connettivo senza un'anatomia specifica, dati recenti supportano l'idea che i tessuti adiposi siano
organizzati per formare un grande organo anatomicamente ben organizzato in vasi, nervi e diversi
tipi cellulari. Pertanto, il tessuto adiposo presenta tutte le caratteristiche per essere definito, a rigore,
un organo in quanto è una struttura anatomica scomponibile, con un'anatomia macroscopica definita
e comprendente almeno due diversi tipi di tessuto.
Il tessuto adiposo, infatti, è costituito dalla cellula adiposa, o adipocita, che si aggrega in ammassi
cellulari, i lobuli adiposi, e da connettivo lasso, che fa da tessuto aggregante, portando in sé vasi
sanguiferi, fibre nervose, fibroblasti, macrofagi e preadipociti (precursori delle cellule adipose) e
costituendo la cosiddetta frazione vasculo-stromale.
Tra i lobuli adiposi sono presenti fascetti di fibre collagene comunemente colorabili in blu dopo
colorazione con la miscela di Mallory-Azan, mentre una trama di fibre reticolari circonda
strettamente ogni adipocita, interagendo con il suo plasmalemma. Tale involucro reticolare può
essere messo chiaramente in evidenza con l'impregnazione argentica.
Possono essere identificati almeno 2 tipi di adipociti, facilmente distinguibili fra loro in base alla
semplice morfologia, denominati adipociti bianchi o uniloculari (cellule sferiche con circa il 90% di
volume occupato da una singola goccia lipidica citoplasmatica e nucleo schiacciato in periferia) e
adipociti bruni o multiloculari (poligonali con un nucleo centrale tondeggiante e diverse gocce
lipidiche citoplasmatiche). Esiste inoltre un altro tipo di adipocita, denominato beige o brite
(acronimo di "brown-in-white"), considerato un tipo intermedio di adipocita, pauciloculare, più
piccolo del bianco e con un numero di mitocondri intermedio fra bianco e bruno.
Il tessuto adiposo è innervato dal sistema nervoso autonomo ortosimpatico; infatti fibre nervose post-
gagliari amieliniche rilasciano il neurotrasmettitore (noradrenalina) che viene riconosciuto da
recettori specifici. Mentre però nel tessuto adiposo bianco le terminazioni nervose arrivano solo a
livello dei vasi sanguiferi, per cui il neurotrasmettitore deve poi giungere per diffusione all'adipocita
univacuolare, nel tessuto adiposo bruno le terminazioni nervose arrivano direttamente non solo ai
vasi ma anche all'adipocita multivacuolare, con un effetto cellulare immediato. Inoltre il tessuto
adiposo bruno è maggiormente vascolarizzato e più finemente innervato di quello bianco. Infatti ad
ogni adipocita del tessuto adiposo bruno afferisce una terminazione nervosa e una porzione di vaso
capillare; tali caratteristiche sono strettamente correlate con la funzione specifica del grasso bruno
che è quella di produrre in poco tempo una grande quantità di energia calorica per supplire allo stress
da freddo. Nell'uomo, come del resto in tutti i mammiferi, i due tipi principali di adiposo si
diversificano sia per le sedi che rispettivamente occupano, sia per i ruoli che svolgono: il tessuto
adiposo bianco funziona da riserva di materiale energetico, il tessuto adiposo bruno serve a
sviluppare colore. Complessivamente nell'uomo il grasso partecipa al peso corporeo nella
percentuale del 15-20%, (nella donna del 20-25%) ma, diversamente dagli altri tessuti, può subire
forti variazioni in più o in meno in situazioni patologiche chiamate rispettivamente obesità e
anoressia. Mentre il tessuto adiposo bruno costituisce il grasso primario, in quanto si sviluppa
precocemente in età fetale e va progressivamente riducendosi nei primi 10 anni di vita, quello
bianco, prevalendo solo successivamente, forma il cosiddetto grasso secon-dario.La distribuzione
anatomica del tessuto adiposo può essere suddivisa in sottocutaneo (70 %), viscerale (20%) ed
intramuscolare (10%). Il tessuto adiposo sottocutaneo, particolarmente sviluppato nella donna nelle
regioni gluteo-femorale e mammaria, nel maschio è prevalentemente ubicato in sede addominale.
Mentre il grasso intramuscolare è localizzato attorno ai fasci muscolari degli arti, gran parte dei
depositi viscerali è costituita da grasso mesenterico e omentale (depositi maggiori) e grasso
epicardico e mediastinico. Il grasso viscerale, in particolare, è stato correlato a numerose patologie
quali obesità, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari. Tale effetto sarebbe dovuto sia a differenze
anatomiche (tale grasso drena direttamente al fegato), che morfologico/funzionali (contiene un
maggior numero di grandi adipociti molto più infiltrati da cellule infiammatorie e quindi più proni
alla l'obesità e al diabete). La Tabella 12.1 mostra la distribuzione dei 2 tipi principali di tessuto
adiposo. La funzione primaria del tessuto adiposo è quella di garantire un’omeostasi metabolica.
Infatti, l'organismo per sopravvivere necessita di un costante apporto di energia. I vari tipi di tessuto
adiposo cooperano, in differente misura, nell'accumulo attivo di lipidi (da utilizzare quando
l'assunzione di cibo diventa insufficiente) e alla loro mobilitazione nel momento in cui serve energia.
Infatti, viste le limitate capacità che l'organismo ha di accumulare proteine e carboidrati, deve
necessariamente depositare riserve energetiche negli adipociti sotto forma di trigliceridi. Questi
ultimi, infatti, rappresentano per l'uomo la forma energetica più concentrata di energia di pronto
utilizzo in quanto la loro densità energetica, doppia rispetto a quella di proteine e carboidrati, è pari a
circa 9 kcal/gr. L'adipocita in generale metabolizza tre classi lipidiche: i trigliceridi, i fosfogliceridi e
gli esteri del colesterolo, la cui fonte principale è il cibo assunto con l'alimentazione.
Tali molecole, peraltro poco solubili, una volta rese libere a livello duodenale durante i processi
digestivi, devono essere modificate così da divenire aggredibili da parte di enzimi specifici. La bile,
prodotta dal fegato, immagazzinata nella colecisti e riversata nel lume del duodeno dopo ogni pasto
sotto adeguata stimolazione, ha il compito di emulsio-narle in micelle, cioè in uno stato fisico più
idoneo alla loro idrolisi (degradazione mediante aggiunta di una molecola di acqua). In particolare
l'enzima lipasi, componente presente nel secreto pancreatico, anch'esso riversato nel lume duodenale,
idrolizza, tramite un cofattore chiamato co-lipasi, i trigliceridi (esteri di acidi grassi e glicerolo) in
monogliceridi e acidi grassi. Gli acidi grassi liberati vengono assorbiti dalle cellule epiteliali della
mucosa intestinale, gli enterociti, per endocitosi a livello della regione apicale. Una volta entrati nel
citoplasma apicale si legano a specifiche proteine dette FABPs (fatty acid-binding proteins) e
transitano nel reticolo endoplasmatico liscio (REL) ove vengono riassemblati in trigliceridi. Dal
REL, i trigliceridi risintetizzati sono trasferiti al complesso del Golgi e, complessati con lipoproteine,
colesterolo e fosfolipidi, vengono convertiti in microparticelle di diametro compreso tra 75 e 1200
nm, chiamate chilomicroni. Questi si staccano dal Golgi all'interno di vescicole le quali, dopo
fusione con il plasmalemma della regione baso-laterale dell' enterocita, liberano i chilomicroni in
esse contenute. I chilomicroni a loro volta, dopo aver attraversato la lamina basale sottostante,
entrano nei liquidi interstiziali che fluiscono tra le componenti della matrice extracellulare (ECM)
della lamina propria della tonaca mucosa. Qui è presente una ricca rete linfatica che assume, per
micropinocitosi attraverso il suo endotelio, tali materiali veicolandoli nel plasma fino al circolo
venoso della rete sanguifera. In conseguenza di un lauto pasto la quantità di chilomicroni immessi
nel plasma è elevata e conferisce ad esso un aspetto caratteristico simile al latte. I chilomicroni
costituiscono nell'organismo la quota di lipidi di origine esogena (alimentare). Oltre a questa fonte
esistono poi i lipidi di origine endogena, assemblati dagli epatociti e trasportati, veicolati da
lipoproteine plasmatiche a densità molto bassa (VLDL, very low density lipoproteins), nel plasma
del circolo sanguifero. Questi lipidi tramite la rete vascolare arrivano al tessuto adiposo
(prevalentemente bianco), ma debbono essere preventivamente degradati per liberare gli acidi grassi.
Ciò avviene ad opera di un enzima sintetizzato dall'adipocita, la lipasi lipoproteica o lipoprotein
lipasi e, successivamente trasferito sul versante esterno, intraluminale, del plasmalemma
dell'endotelio vasale dove si lega agli eparan-solfati endoteliali. Gli acidi grassi assunti dall'adipocita,
dopo esterificazione da parte di enzimi esterificanti (mono- e diacil-transferasi) sono nuovamente
trasformati in trigliceridi che vengono progressivamente immagazzinati, come già detto, a formare
gocciole di grandezza sempre maggiore fino, nel grasso bianco, ad un'unica gocciola che riempie
tutto lo spazio citoplasmatico disponibile. L'adipocita infine, all'occorrenza, è in grado di idrolizzare
i trigliceridi in acidi grassi e glicerolo, utilizzando un enzima sintetizzato a livello del REL,
denominato lipasi ormono-sensibile, così denominata in quanto fortemente influenzata da ormoni sia
attivanti (lipolitici) come le catecolamine che inibenti (lipogenetici) come l'insulina.
Sotto il complicato controllo di catecolamine e ormoni, infatti, l'adipocita diversamente stimolato è
in grado sia di accumulare trigliceridi al suo interno, sottraendoli dal plasma che ne contiene in
eccesso, sia di demolirli, liberando i prodotti di scissione verso il plasma, e da qui, per tramite della
proteina albumina, trasportarli verso le sedi di utilizzo (i tessuti periferici) che ne avessero carenza.
Le cellule dei vari tessuti infatti li internalizzano e li degradano, liberando l'energia necessaria per
l'espletamento delle loro funzioni. Il tessuto adiposo, prevalentemente ma (non unicamente) il
bianco, esplica quindi una funzione di riequilibrio tra i lipidi resi disponibili, sia di origine esogena
che endogena, e quelli richiesti dall'organismo.

Tessuto adiposo bianco: comunemente denominato grasso bianco, formando la gran parte dell'adipe
dell'adulto e rappresentando la più consistente riserva energetica dell'organismo, è costituito oltre che
dalla frazione vasculo-stromale (SVF), simile a tutti gli altri tipi di adiposo, da un tipo particolare di
adipocita, denominato adipocita bianco o uniloculare.

ADIPOCITA BIANCO O UNILOCULARE


Struttura. Gli adipociti bianchi o uniloculari sono cellule molto caratteristiche per il fatto che sono
sferiche, assai voluminose e costituite per la maggior parte del loro volume da un'unica goccia
lipidica, essenzialmente costituita da trigliceridi, che costringe il nucleo ad appiattirsi in una
posizione periferica, insieme al resto degli organuli, acquisendo l'aspetto tipico di un anello con
castone. Nel normale allestimento di un preparato istologico in cui sia compreso grasso bianco, i
lipidi contenuti nelle cellule vengono estratti dai solventi utilizzati. Pertanto gli adipociti risultano
vuoti nell'area di citoplasma che conteneva il materiale lipidico. Per permetterne la conservazione è
necessario processare il tessuto con la tecnica del congelamento, cui segue l'affettatura al criostato e
la colorazione della sezione, utilizzando coloranti liposolubili quali il Sudan III o IV o il Sudan nero.
In microscopia elettronica a trasmissione si evidenzia, nel sottile alone citoplasmatico interposto tra
plasmalemma e gocciola lipidica, la presenza di piccole cisterne di reticolo endoplasmatico rugoSo
(RER) e dell'apparato di Golgi, mentre i tubuli del REL sembrano alternarsi a rosette di glicogeno.
Sono evidenti anche ribosomi liberi e mitocondri allungati. Al di sotto del plasmalemma sono spesso
evidenziabili vescicole pinocitotiche che si vanno a fondere con la membrana stessa, segno
morfologico di attività cellulare. La gocciola lipidica non è circondata da una membrana, come
succede per le vescicole lisosomiali e per quelle di secrezione, ma risulta delimitata da un feltro di
filamenti citoscheletrici che recentemente sono stati evidenziati come filamenti intermedi, costituiti
dalla proteina vimentina. L'analisi biochimica mostra che la percentuale dei lipidi presenti costituisce
oltre il 60% del contenuto totale, cui si aggiungono l'acqua e, solo in quantità minoritarie, proteine.
Dei lipidi, la quasi totalità sono trigliceridi. Sono presenti inoltre colesterolo esterificato e non,
fosfolipidi, digliceridi e monogliceridi. Tale composizione varia in relazione alla dieta e alla sintesi a
partire dai carboidrati. Contrariamente a quello che si pensava, queste cellule posseggono molteplici
funzioni. La prima è quella di permettere l'assunzione dei pasti distanziati da intervalli di tempo. Le
cellule del nostro organismo, infatti, hanno un bisogno continuo di energia per la normale
sopravvivenza e quindi risulta necessario un sistema che consenta un temporaneo accumulo di
energia ai pasti e una lenta e continua distribuzione della stessa nei periodi di digiuno intercorrenti.
La forma sferica di queste cellule è quella che geometricamente consente il massimo volume nel
minimo spazio. Appare evidente, pertanto, che, quando l'intervallo di tempo che intercorre tra un
pasto e l'altro raggiunge l'ordine delle settimane, il tessuto adiposo bianco assume l'importanza di un
organo vitale. Per tale ragione nelle migliaia di secoli, visto che si sono alternati periodi di
abbondanza a periodi di carestia, nei primi uomini si sono selezionati geni (geni risparmiatori) che
hanno reso chi li possedeva più efficienti nell'accumulare grasso nei periodi di abbondanza, fornendo
loro una rapida capacità di sviluppo del tessuto adiposo bianco. Nelle società moderne dove
l'abbondanza è comune e la carestia è rara questo adattamento diventa negativo. In pratica, i geni
della parsimonia agiscono per accumulare energia e prepararci ad una carestia che non arriverà mai.
Tale fenomeno evoluzionistico sembra essere uno dei motivi dell'attuale diffusione epidemica
dell'obesità (teoria dei thrifty genes).

Funzione. Le funzioni del tessuto adiposo bianco includono, oltre a quella energetica sopra descritta,
preminente del bianco, sebbene posseduta anche da altri tipi di tessuto adiposo, anche l'isolamento
termico, la protezione di organi vitali, e la secrezione di ormoni, fattori di crescita e citochine. Il
grasso bianco forma uno strato di pannicolo adiposo o ipoderma ubicato nel connettivo sottocutaneo.
Visto che la conducibilità termica del tessuto adiposo bianco è circa la metà di quella del muscolo
scheletrico, tale strato sottocutaneo fornisce un significativo isolamento termico contro il freddo,
riducendo il tasso di perdita di calore. Accumuli di grasso bianco si trovano nel sottocute di addome,
natiche, ascelle e cosce; ed è proprio il diverso spessore di questo tessuto nelle diverse sedi che rende
ragione, almeno in parte, delle differenze di forma tra il corpo femminile ed il maschile. Un'altra
funzione è quella di protezione degli organi interni (come ad esempio nella regione perirenale,
omentale, mediastinica, mesenterica). Anche la mammella è un sito importante di deposito di grasso
bianco, specie nelle donne che non allattano. Infatti, la ghiandola mammaria al di fuori della
gravidanza è costituita per il 90% circa da adipociti bianchi e per il resto da dotti epiteliali che,
partendo dal capezzolo si ramificano tra gli adipociti. Durante la gravidanza, mentre si sviluppa la
componente ghiandolare esocrina responsabile della produzione e secrezione del latte, gli adipociti
progressivamente scompaiono. Nella donna in allattamento il residuo cuscinetto di grasso bianco
svolge un ruolo importante nel sostenere la funzione del seno; infatti oltre a fornire lipidi ed energia
necessari per la produzione di latte, sintetizza diversi fattori di crescita e ormoni che agiscono sulla
funzione della ghiandola mammaria. Una fondamentale funzione del tessuto adiposo, peraltro ancora
in gran parte da esplorare, è la produzione, da parte dei diversi tipi cellulari che lo compongono, di
una molteplicità di molecole (oltre 100) biologicamente attive, chiamate adipocitochine o
adipochine, costituite da ormoni, fattori di crescita e citochine. Tra queste vi è la leptina, ormone
secreto prevalentemente dagli adipociti uniloculari, che inibendo l'assunzione di cibo determina calo
ponderale e può pertanto essere considerato un induttore di sazietà in grado di ridurre l'assunzione di
cibo quando i depositi energetici dell'organismo appaiano sufficienti, legandosi a specifici recettori
ipotalamici. Il tessuto adiposo bianco secerne inoltre molti altri ormoni tra cui l'adiponectina,
l'angiotensinogeno, la resistina, lamiloide serica A (SSA), la proteina legante il retinolo-4 (RBP4),
l'apelina e la vaspina. Inoltre, in condizioni di obesità, il tessuto adiposo bianco viscerale 'infiamma
per un'azione combinata di adipociti e macrofagi: i primi crescono in numero (iperplasia) e
dimensioni (ipertrofia), i secondi infiltrano in misura elevata il tessuto, aggregandosi in strutture
simili a corone (crown-like structures) attorno ad adipociti in disfacimento simil-necrotico e,
attivandosi, rilasciano citochine pro-infiammatorie (TNF-a e IL-6), che creano le basi per il possibile
sviluppo di obesità e diabete mellito di tipo 2. La Tabella 12.3 presenta una sintesi della molecole
prodotte dal tessuto adiposo bianco (anche se pare che molte di esse possano esser prodotte anche dal
tessuto bruno e da quello beige).

Tessuto adiposo bruno detto anche grasso bruno, è particolarmente presente negli animali ibernanti
e nell'uomo è prevalente nel feto, presente in età postnatale, ridotto nell'adulto. Il colore bruno, da cui
deriva la sua denominazione, è dovuto innanzitutto alla ricca rete vascolare capillare che lo percorre
e anche al cospicuo numero di mitocondri presenti nell'adipocita che contengono nelle loro creste
citocromi molto colorati.
Il tessuto adiposo bruno presenta, come il bianco 2 componenti:
- la frazione vasculo-stromale: molto più ricca in fibre nervose amieliniche (che raggiungono ogni
singolo adipocita) e in capillari rispetto al grasso bianco;
- adipociti bruni o multiloculari.

ADIPOCITA BRUNO O MULTILOCULARE


Struttura. Rispetto all'adipocita uniloculare, l’adipocita del grasso bruno ha una morfologia e una
funzione completamente diversa, Intanto è di dimensioni inferiori e presenta nel suo citoplasma
accumuli di lipidi organizzati a formare molteplici gocciole, da qui la denominazione di adipocita
multiloculare. Conseguentemente, il nucleo rimane collocato in area centrale e non schiacciato in
periferia. La caratteristica principale, strettamente connessa alla sua peculiare funzione, è
l'abbondante presenza nel citoplasma di grossi mitocondri ricchi di creste mentre gli altri organuli
(Golgi, RER e granuli di glicogeno) sono, in genere, assai scarsamente rappresentati.Presentano
anch'essi una lamina esterna che li circonda e bruciano gli acidi grassi per produrre calore.

Funzione. Il tessuto adiposo bruno, particolarmente rappresentato nei roditori e negli animali
ibernanti, è strutturato per funzionare come bomba energetica che utilizza la degradazione dei lipidi
immagazzinati per generare calore. Grazie al controllo ormonale e nervoso, si ha l'attivazione delle
lipasi, che scindono i trigliceridi in glicerolo e acidi grassi. La successiva ossidazione degli acidi
grassi porta a liberazione di energia di legame che, diversamente dal grasso bianco, non è riutilizzata
per formare molecole di ATP (processo di fosforilazione ossidativa), ma viene dispersa sotto forma
di calore. Questo meccanismo è reso possibile dalla presenza sulla membrana delle numerose creste
mitocondriali di una proteina, presente unicamente nell'adipocita bruno (ed usata come suo specifico
marcatore), l'uncoupling protein 1 (UCP-1), in grado di disaccoppiare il processo di fosforilazione
ossidativa dalla sintesi di ATP causando la dispersione di energia sotto forma di calore. La
ricchissima rete vascolare capillare che circonda gli adipociti recepisce il calore liberato e il sangue
circolante si riscalda, riportando la temperatura corporea dell'organismo, dopo il precedente
abbassamento, a livelli fisiologici. Questi fenomeni si riscontrano sia negli animali ibernanti che
debbono uscire dal letargo, sia in altri animali quali i roditori quando subiscono un eccessivo
abbassamento della temperatura corporea. Similmente, nell'uomo il grasso bruno viene rapidamente
metabolizzato al momento della nascita, quando il neonato ha abbandonato il grembo materno ed
entra in contatto con l'ambiente esterno, per attenuare gli sbalzi di temperatura.

Tessuto adiposo pauciloculare (beige)


Dal 2010 ad oggi si stanno accumulando sempre più evidenze circa l'esistenza di una terza classe di
adipociti: gli adipociti pauciloculari o "brown-in-white" (beige). Tali evidenze sono state suggerite
dal fatto che l'esposizione ad un ambiente freddo o alcuni agenti farmacologici (B-3 agonisti) può
indurre alcuni adipociti uniloculari (prevalentemente dei depositi retroperitoneale, inguinali e
perigenitale) ad esprimere UCP-1. Tali adipociti inducibili dal grasso bianco sono stati pertanto
denominati adipociti beige o “brite”, considerati un tipo intermedio tra bianco e bruno. Tali adipociti
simili ai bruni sono infatti più piccoli dei bianchi e con un fenotipo multiloculare (o meglio
pauciloculare) con numerose gocce lipidiche e mitocondri anche se in numero minore rispetto ai
classici bruni ma maggiore rispetto ai bianchi. La loro origine è ancora dibattuta. L'ipotesi più
accreditata sembrerebbe quella che l'esposizione al freddo o a beta-3 agonisti indurrebbe un loro
reclutamento dai bianchi; i beige peraltro potrebbero ritornare bianchi quando lo stimolo cessi
(transdifferenziazione bidirezionale beige/bianchi). Il crescente interesse biomedico per tale
argomento è ovviamente dovuto alla possibilità di utilizzare queste transdifferenziazioni per
contrastare gravi malattie metaboliche come l'obesità e il diabete mellito di tipo 2.

Adipogenesi: precursori staminali mesenchimali midollari o embrionali che esprimono il marcatore


pax7, possono differenziarsi in precursori adipocitari denominati lipoblasti precoci o preadipociti.
L'espressione di myf5 può consentire il commitment sia verso i mioblasti (precursori di miociti) che
verso precursori di adipociti bianchi e bruni. In assenza di myf5, il precursore 'indirizza unicamente
verso l'adipocita bianco. Il PRDM16 è, invece, il classico marcatore di differenziazione verso gli
adipociti bruni. Quando tale mediatore viene forzatamente ablato, i precursori del bruno vanno verso
i miociti mentre l'espressione forzata di PRDM16 induce i mioblasti a svilupparsi in bruno. Inoltre, i
miociti che esprimono il fattore CD34 possono differenziarsi in adipocita bruno. Gli adipociti beige
infine possono differenziarsi sia da precursori di adipociti bianchi CD34+ (sotto stimolo b-agonista)
che da adipociti bianchi maturi (previa esposizione a basse temperature). Alla nascita, il tessuto
adiposo può aumentare mediante due meccanismi diversi: per iperplasia, cioè per divisione cellulare
dei suoi precursori (preadipociti) e/o per ipertrofia dei suoi adipociti, che incrementano le quantità di
lipidi immagazzinati nel loro citoplasma. Il processo iperplastico avverrebbe in un periodo precoce
dopo la nascita e successivamente in età prepuberale. Il numero di cellule adipose acquisite rimarrà
quindi per tutta la vita dell'individuo, in quanto è pressoché nulla la possibilità che esse muoiano.
Qualora l'incremento sia numerico che volumetrico degli adipociti è cospicuo, in conseguenza di una
predisposizione genetica e/o di una iperalimentazione si entra nella patologia dell'obesità.

13 —------------------------------------------------------ SANGUE

Composizione e funzione
Il sangue è un particolare tipo di tessuto connettivo costituito da una componente cellulare, gli
elementi figurati dispersa in una matrice extracellulare liquida detta plasma. Gli elementi figurati
comprendono cellule: gli eritrociti, i leucociti e frammenti cellulari denominati piastrine.
Il sangue ha colore rosso, un pH tra 7,35 e 7,45, rappresenta circa il 7% del peso corporeo e
dell'adulto ha un volume medio di circa 5-6 litri. Un campione di sangue trattato con un
anticoagulante (eparina, EDTA o citrato di sodio) evidenzia, dopo sedimentazione degli elementi
figurati, più frazioni: uno spesso strato inferiore di colore rosso, rappresentato soprattutto da
eritrociti, il cui volume è pari a circa il 45% che corrisponde all'ematocrito; un sottile strato
intermedio (buffy coat) formato da leucociti e piastrine (circa l'1%) e uno strato superiore costituito
dal plasma (55%) (Figura 13.1). In assenza di anticoagulante, il sangue va incontro alla formazione
di un coagulo, costituito dagli elementi figurati del sangue intrappolati in una rete di fibrina da cui si
separa un liquido giallo chiaro denominato siero, che ha quindi la stessa composizione del plasma,
ma è privo dei fattori della coagulazione tra cui il fibrinogeno.
Le principali funzioni del sangue sono:
— trasporto di ossigeno dal distretto polmonare a tutte le cellule dell'organismo;
— trasporto dell'anidride carbonica e dei prodotti di rifiuto rilasciati dalle cellule;
— trasporto di nutrienti, vitamine, metaboliti, ormoni e fattori di crescita;
— regolazione della temperatura corporea, del pH e della concentrazione degli elettroliti nei liquidi
interstiziali (regolazione della pressione osmotica e oncotica);
— controllo dell'emostasi dopo lesioni delle pareti vascolari attraverso il processo di coagulazione;
— difesa dell'organismo mediante trasporto di anticorpi e cellule implicate nei processi di immunità
naturale e acquisita.
Gli elementi figurati del sangue possono essere esaminati al microscopio ottico allestendo lo striscio
di sangue, che si ottiene ponendo una goccia di sangue direttamente su un vetrino da microscopia, e
distribuendola con il bordo di un altro vetrino fino a ottenere uno strato molto sottile. Lo striscio
viene quindi fissato e colorato con la colorazione di Romanovsky, che utilizza una miscela di
sostanze quali il blu di metilene, azur ed cosina. Altre colorazioni comunemente usate, sono la
colorazione di May Grünwald-Giemsa, e di Wright. Con l'introduzione dell'analizzatore automatico
delle cellule del sangue, la necessità di esaminare strisci di sangue è scesa al 10% e viene effettuata
quando è richiesta una diagnosi definitiva ed accurata.

PLASMA: di colore giallo, ha un pH lievemente alcalino e rappresenta il 55% del volume del sangue
circolante. E costituito prevalentemente da acqua (90%) che funge da solvente per sostanze
organiche (proteine, lipidi, glucosio, ormoni, fattori di crescita, enzimi ed aminoacidi) e sali minerali
(sodio, calcio, potassio, cloro, bicarbonati, fosfati, ferro e iodio). Questi soluti sono fondamentali per
il corretto mantenimento dell'omeostasi, uno stato di equilibrio che mantiene pH e osmolarità
ottimali per le attività metaboliche e la sopravvivenza delle cellule. Le proteine plasmatiche sono
rappresentate soprattutto dall'albumina, dalle globuline. L'albumina, la componente proteica più
abbondante, è prodotta dal fegato ed è responsabile della pressione colloido-osmotica del plasma,
importante per il mantenimento della corretta proporzione tra volume ematico e volume del liquido
interstiziale. Quest'ultimo ha una composizione elettrolitica simile a quella del plasma, da cui deriva.
Se l'albumina del plasma è ridotta, si ha una diminuzione della pressione colloido-osmotica del
sangue con conseguente accumulo di fluido nei tessuti (edema e gonfiore).
Se a causa di una perdita di sangue diminuisce il volume ematico, le proteine del plasma richiamano
acqua dai tessuti per ripristinare la normale volemia. L'albumina ha anche la funzione di legare e
trasportare ormoni, bilirubina e farmaci. Tra le globuline, la frazione y è rappresentata dagli anticorpi
prodotti dalle plasmacellule, mentre le a e B globuline, prodotte dal fegato, contribuiscono al
mantenimento della pressione osmotica; trasportano il rame (ceruloplasmina), il ferro (transferrina) e
l'emoglobina (aptoglobina). La componente lipidica del plasma è rappresentata da trigliceridi,
fosfolipidi, colesterolo (normalmente coniugati a particolari proteine come le apoproteine a formare
le lipoproteine) e dagli acidi grassi liberi.

Gli elementi figurati

ERITROCITI: (emazie o globuli rossi), rappresentano gli elementi figurati del sangue più
numerosi. Originano nel midollo osseo da cellule nucleate che, durante i processi maturativi,
perdono il nucleo e gli altri organuli, riducendosi a corpuscoli contenenti molecole di emoglobina.
Svolgono la loro funzione solo all'interno del circolo sanguigno e hanno il compito di trasportare
l'ossigeno dal distretto polmonare ai tessuti periferici, e di i legare l'anidride carbonica rilasciata dai
tessuti e trasportarla al distretto polmonare. Gli eritrociti hanno forma di disco biconcavo. Si
colorano in rosa con le colorazioni di Giemsa o di Wright a causa dell'alta affinità dell'emoglobina
per il colorante acido eosina e presentano una colorazione più pallida al centro, in relazione al minor
spessore di tale zona. Se la concentrazione ionica del plasma diminuisce (plasma ipotonico), si ha
passaggio di acqua all'interno degli eritrociti che, di conseguenza, si gonfiano, assumono una forma
quasi sferica e possono scoppiare (emolisi) liberando emoglobina e riducendosi al solo
plasmalemma. Se, al contrario, nel plasma la concentrazione ionica aumenta (plasma ipertonico),
come avviene nel caso di grave disidratazione, l'acqua presente nel citoplasma degli eritrociti esce
all'esterno della cellula portando alla formazione degli acantociti (o echinociti), cioè eritrociti con
protuberanze spinose sulla superficie cellulare o protrusioni cellulari. In ogni eritrocito sono presenti
circa 250-300 milioni di molecole di emoglobina, ciascuna costituita da quattro catene peptidiche
(globine) uguali a due a due, ognuna legata ad un gruppo eme, contenente Fe2++ capace di legare
reversibilmente l'O. Esistono diversi tipi di emoglobina: il 96% dell' emoglobina totale di un
individuo adulto è rappresentato dall'emoglobina A che possiede due catene polipeptidiche α e due
catene β (HbA = a,B2):
• 1'1,5-3% dell'emoglobina è rappresentata dall'emoglobina A2 con due catene α e due catene β
(HbA, = 0,8,)
• in misura circa dell'1% nell'adulto è presente l'emoglobina E costituita da due catene α e due catene
y (HbF = α,Y), ed è la principale forma di emoglobina del feto. L'emoglobina fetale ha una maggior
affinità per l'ossigeno legandone così una maggior quantità a livello placentare.
La funzione principale dell'emoglobina è quella di trasportare l'ossigeno e l'anidride carbonica,anche
se quest'ultima è principalmente veicolata nel plasma sotto forma di ione bicarbonato. La forma
biconcava dell'eritrocito massimizza l'area della superficie cellulare, facilitando quindi lo scambio
gassoso. La membrana dell'eritrocito è costituita da un doppio strato lipidico rappresentato per il
40% da fosfolipidi e colesterolo, per il 52% da una componente proteica e per il restante 8% da
carboidrati. All'interno della cellula eritrocitaria troviamo il citoscheletro, una fitta rete proteica
collegata alle proteine di membrana, responsabile del mantenimento della caratteristica forma
biconcava dell'eritrocito.
Sulla superficie della membrana cellulare possiamo trovare diverse proteine con funzioni specifiche:
• le proteine integrali di membrana: le glicoforine (A, B e C) e le proteine della banda 3. Nel dominio
extracellulare dell'eritrocito, le glicoforine sono glicosilate ed esprimono gli antigeni specifici dei
gruppi sanguigni (sistema ABO) definiti su base ereditaria. La presenza di acido sialico nei residui
terminali di alcune catene oligosaccaridiche della glicoforina determina inoltre cariche negative sulla
membrana eritrocitaria che respingono gli eritrociti fra di loro, evitandone l'agglutinazione;
• le proteine periferiche di membrana formano un reticolo citoscheletrico superficiale in cui
predomina la spectrina, una proteina filamentosa che funge da supporto allo strato lipidico ed è
ancorata alla membrana cellulare tramite una proteina globulare, l'anchirina, e tramite le proteine
della banda 4.1. Frammenti di actina collegano la spectrina alle proteine della banda 4.1, a loro volta
collegate alle glicoforine e alle proteine della banda 3. Questa complessa impalcatura citoscheletrica
è responsabile della flessibilità e della plasticità strutturale e funzionale degli eritrociti. Durante tutto
il loro ciclo biologico gli eritrociti vanno, infatti, incontro a continue reversibili deformazioni
attraversando l'intero sistema circolatorio in quanto transitano anche in capillari dal lume minore
rispetto al loro diametro.
Gli eritrociti hanno una vità media di circa 120 giorni e, divenuti senescenti, vengono fagocitati dai
macrofagi presenti nella milza, nel fegato e nel polmone. La globina dell'emoglobina viene
idrolizzata ad aminoacidi che andranno a far parte del pool metabolico disponibile per nuove sintesi
proteiche, mentre il ferro dell'eme viene depositato sotto forma di emosiderina o ferritina è
riutilizzato per la sintesi di nuova emoglobina. La restante parte dell'eme viene in parte degradata a
bilirubina che, legata all' albumina e trasportata al fegato, viene coniugata ed escreta nella bile.

CORRELAZIONI CLINICHE
La presenza degli antigeni A o B, proteine specifiche presenti sulla membrana plasmatica degli
eritrociti, permette di classificare gli individui appartenenti ai gruppi sanguigni A, B o AB. La
mancanza degli antigeni A o B determina l'appartenenza al gruppo O. Gli individui che presentano
l'antigene A sugli eritrociti, hanno nel plasma anticorpi anti- B, diretti contro l'antigene B, gli
individui che presentano l'antigene B hanno nel plasma anticorpi anti-A. Se viene trasfuso sangue
appartenente ad un grupPo sanguigno riconosciuto come estraneo, si ha agglutinazione e distruzione
degli eritrociti (re-azione emolitica da trasfusione). Gli individui di gruppo O che non possiedono
antigeni sui propri eritrociti sono donatori universali, mentre gli individui con gruppo sanguigno AB
non avendo anticorpi diretti contro gli antigeni A e B sono riceventi universali.
Un altro importante sistema dei gruppi sanguigni è rappresentato dal sistema Rh, così denominato
perché scoperto per la prima volta nelle scimmie Rhesus. Questo antigene è presente nell'85% delle
persone, che risultano pertanto Rh positive (Rh+). La prima trasfusione di sangue Rh+ in un
ricevente Rh- non è accompagnata da reazioni avverse, anche se comporta la formazione di anticorpi
contro l'antigene Rh. Una successiva trasfusione dello stesso tipo induce invece una severa reazione
in quanto i nuovi anticorpi agglutinano gli eritrociti Rh+.
La malattia emolitica del neonato (MEN) una condizione dovuta ad incompatibilità per il fattore Rh
tra madre e feto. Nel circolo materno di donne Rh-, possono formarsi anticorpi anti Rh nel corso di
una prima gravidanza con feto Rh+. Nel corso di una successiva gravidanza, in presenza di un feto
Rh+, gli anticorpi materni possono attraversare la barriera placentare e distruggere i globuli rossi
fetali. Per prevenire l'insorgenza della MEN, si somministrano durante la gravidanza e dopo il parto
di un neonato Rh+, gammaglobuline anti Rh che distruggono gli eritrociti fetali Rh+ ancora
circolanti nel sangue della madre, evitando reazioni di incompatibilità in gravidanze successive.
Per anemia si intende una riduzione della concentrazione dell'emoglobina nel sangue. La maggior
parte delle anemie è riconducibile ad una riduzione del numero degli eritrociti. L'anemia falciforme è
una forma di anemia dovuta a mutazione puntiforme del gene che codifica per la catena B
dell'emoglobina A con sostituzione dell'aminoacido valina con acido glutammico.
Questa sostituzione cambia la solubilità dell'emoglobina in condizioni di bassa pressione parziale di
ossigeno (per esempio nel corso di esercizi muscolari protratti e intensi), la molecola diviene
insolubile e forma cristalli aghiformi che provocano una modificazione della forma degli eritrociti e
la lacerazione della membrana eritrocitaria. L'eritrocito falciforme è quindi meno plastico, più fragile
e va incontro più facilmente a lisi, provocando grave anemia.
La talassemia (a o B talassemia) è caratterizzata da un difetto genico che comporta la sintesi ridotta
di catene a o B. Quando è carente la sintesi di una delle due globine, l'altra, non potendo costituire i
tetrametri di emoglobina, precipita in forma di grosse granulazioni. I globuli rossi vengono quindi
eliminati in numero maggiore dai macrofagi splenici, con conseguente anemia. Nella sferocitosi
ereditaria, un difetto nell'espressione del gene della spectrina porta ad alterazioni della forma degli
eritrociti che diventano sferici e più fragili. Nella ellissocitosi ereditaria, una mutazione del gene per
la proteina della banda 4.1 o per la glicoforina C è invece responsabile della formazione di globuli
rossi ellittici, meno deformabili dei normali eritrociti.

LEUCOCITI o globuli bianchi, sono cellule nucleate coinvolte nella difesa dell'organismo verso
agenti esterni (virus, batteri, miceti, parassiti é tossine) e verso cellule danneggiate o trasformate.
Nell'adulto sano comprendono due grandi gruppi cellulari, i granulociti e gli agranulociti, in
relazione alla presenza o meno di voluminosi granuli specifici all'interno del citoplasma.
I granulociti presentano un nucleo polimorfo caratterizzato da lobature multiple collegate fra di loro
da sottili ponti di cromatina. Nel citoplasma sono evidenti voluminose inclusioni granulari dette
granuli specifici, in base alle caratteristiche tintoriali dei quali, i granulociti vengono suddivisi in:
• granulociti neutrofili (granuli né basofili né acidofili e appaiono di colore grigio pallido);
• granulociti basofili (granuli assumono coloranti basici e si colorano in blu violetto con il blu di metilene);
• granulociti eosinofili (i granuli si colorano in arancione, in presenza di eosina).
Gli agranulociti non presentano granuli specifici nel citoplasma e comprendono due tipi di leucociti:
i linfociti e i monociti. Sia i granulociti che gli agranulociti presentano granuli aspecifici, o granuli
azzurrofili, identificabili come lisosomi. Nella pratica medica è importante la valutazione del numero
relativo dei vari tipi di leucociti. La determinazione della percentuale dei vari tipi cellulari rispetto al
totale, viene denominata formula leucocitaria che, in un individuo adulto sano, presenta i seguenti
valori: neutrofili 60-75%, eosinofili 1-5%, basofili 0-1%, linfociti 20-30%, monociti 3-7%.

GRANULOCITI NEUTROFILI: sono globuli bianchi più abbondanti. Hanno forma


rotondeggiante, un nucleo típico con 2-4 lobi collegati tra di loro da sottili ponti di cromatina
(polimorfonucleati).
Circa nel 3% dei neutrofili degli individui di sesso femminile è presente una piccola appendice in
uno dei lobi del nucleo il corpo di Barr, avente forma di "bacchetta di tamburo" (drumstick) e
corrispondente al cromosoma X condensato e inattivo. I neutrofili sono soggetti ad un continuo
turnover in quanto la loro emivita è di 12-14 ore. I granulociti neutrofili contengono numerosi
granuli citoplasmatici classificabili in:
• granuli azzurrofili, detti anche granuli primari, che in preparati colorati con il metodo di Wrigth o
Giemsa, si colorano in azzurro con il blu di metilene. Positivi per la mieloperossidasi e varie idrolasi
acide, sono tipici lisosomi
• granuli specifici o granuli secondari che presentano scarsa affinità per i coloranti, sono distribuiti
uniformemente nel citoplasma e contengono collagenasi di tipo IV, lisozima: ad attività battericida,
lactoferrina e proteine basiche denominate fagocitine granuli terziari che contengono fosfatasi e
metalloproteasi.
Al microscopio elettronico a trasmissione, la cromatina nucleare appare in gran parte allo stato
condensato (eterocromatina), il citoplasma presenta un piccolo apparato del Golgi, un reticolo
endoplasmatico rugoso poco sviluppato, aggregati di glicogeno e pochi mitocondri.
Le granulazioni specifiche presentano forma allungata o rotondeggiante e sono debolmente
elettrondense; i granuli azzurrofili appaiono intensamente elettrondensi ed i granuli terziari
costituiscono la componente più numerosa e presentano densità elettronica intermedia.

Funzione dei granulociti neutrofili. La loro principale funzione, integrata con quella dei ma-crofagi,
è l'attività fagocitaria, in quanto sono fagociti attivi nella sede della lesione tessutale.
Esercitano un ruolo difensivo soprattutto contro le infezioni batteriche. Sono presenti nel circolo
ematico per poche ore e abbandonato il letto vascolare, migrano con movimenti ameboidi nel tessuto
connettivo. Il processo di migrazione transendoteliale avviene in varie fasi. I macrofagi attivati nei
siti di infiammazione rilasciano citochine che inducono l'espressione di molecole di adesione
appartenenti alla famiglia delle selectine sulla membrana delle cellule endoteliali. A seguito delle
interazioni delle selectine con gli oligosaccaridi presenti sulla superficie del leucocita, il neutrofilo
rallenta il suo flusso e rotola lungo la parete dei vasi (rolling). Successivamente, sulla membrana dei
neutrofili vengono espresse delle integrine che legandosi con molecole d'adesione denominate
ICAM1 (intercellular adhesion molecule 1) presenti sulle cellule endoteliali attivate, mediano
un'interazione stabile del neutrofilo che aderisce alla parete del vaso. Il passaggio dei neutrofili
attraverso le cellule endoteliali (diapedesi) è favorito dall' allentamento delle giunzioni intercellulari
determinato dall'istamina e dall'eparina rilasciate dai mastociti perivascolari presenti nel sito
danneggiato e dalla produzione di proteasi da parte dei neutrofili. La migrazione dei neutrofili fino al
sito infiammatorio è dovuta ad un processo di chemiotassi, caratterizzato da legami tra molecole
chemiotattiche e proteine della matrice a recettori specifici presenti sulla membrana dei neutrofili.
Raggiunto il focolaio infiammatorio, i granulociti neutrofili fagocitano il materiale estraneo. Di
seguito vengono schematizzate le fasi principali della fagocitosi:
• i neutrofili emettono pseudopodi che circondano la particella estranea e la internalizzano in un
vacuolo digestivo intracellulare detto fagosoma. In relazione al riconoscimento, alcuni batteri ed
organismi estranei possono non aver subito modificazioni sulla superficie, mentre altri devono essere
rivestiti con anticorpi o complemento (opsonizzazione);
• i granuli specifici e i granuli azzurrofili si fondono con il fagosoma formando il fagoli-sosoma,
all'interno del quale avviene l'intero processo digestivo. Le proteine basiche, ad esempio,
impediscono ai batteri di replicarsi, la lactoferrina si lega al ferro rendendolo inutilizzabile da parte
dei batteri, il lisozima danneggia la parete batterica;
• la distruzione dei microrganismi all'interno dei fagosolisosomi avviene anche per l'azione di
composti reattivi dell'ossigeno. Il perossido di idrogeno e gli anioni superossidi vengono prodotti a
seguito dell'attivazione di enzimi associati alla membrana plasmatica, rispettivamente la NADH-
ossidasi e la NADPH-ossidasi. La reazione tra superossidi e 1,0, porta alla formazione di molecole di
O che ossidano direttamente la parete batterica e OH (radicali ossidrilici) che hanno notevole effetto
citotossico;
• il materiale digerito viene o esocitato o immagazzinato nei corpi residui all'interno dei neutrofili;
• al termine dellafagocitosi, i neutrofili degenerano e nel sito di infezione si accumula un essudato
giallastro, detto pus, costituito da centinaia di neutrofili morti, leucociti, batteri e liquido tessutale.

GRANULOCITI EOSINOFILI: hanno forma rotondeggiante ed un nucleo generalmente costituito


da due lobi collegati fra di loro da un sottile filamento di cromatina. Nel citoplasma sono presenti:
• pochi granuli azzurrofili positivi alle reazioni per le idrolasi lisosomiali;
• numerosi granuli specifici ovoidali eosinofili (si colorano in rosso arancio con l'eosina).
I granuli specifici sono voluminosi e al microscopio elettronico si evidenzia nella loro porzione
centrale la presenza del cristalloide, costituito da quattro proteine principali:
• la proteina basica maggiore, ricca di arginina e pertanto fortemente eosinofila;
• la proteina cationica eosinofila;
• la perossidasi eosinofila;
• la neurotossina derivata dall'eosinofilo.

Funzione dei granulociti eosinofili. I granulociti eosinofili circolano nel sangue per circa 6-10 ore
migrano quindi nel tessuto connettivo dove completano il loro ciclo vitale nell'arco di 8-12 gg. Sono
in grado di internalizzare e disattivare i complessi antigene-anticorpo formatisi a seguito di reazioni
allergiche e, grazie alle loro proteine basiche contenute nei granuli, inattivano alcuni tra i più
importanti parassiti. Gli eosinofili, generalmente presenti nei siti di infiammazione cronica, hanno un
effetto anti-infiammatorio producendo istaminasi e arilsulfatasi.

GRANULOCITI BASOFILI: sono i meno numerosi tra i leucociti e presentano forma


rotondeggiante ed un nucleo lobato di forma irregolare generalmente oscurato da numerosi e grandi
granuli intracitoplasmatici. Nel citoplasma sono presenti:
• granuli specifici, di dimensioni maggiori rispetto a quelli degli eosinofili, contenenti istamina,
eparina, eparan solfato e leucotrieni. I granuli sono basofili e metacromatici per cui si tingono di
blu/violetto con il blu di toluidina. Al microscopio elettronico, i granuli presentano un contenuto
microgranulare omogeneo.
• i granuli azzurrofili, che rappresentano i lisosomi dei granulociti basofili.

Funzione dei granulociti basofili. I granulociti basofili svolgono alcune attività analoghe a quelle
dei mastociti del tessuto connettivo. Rispetto ai mastociti, hanno vita più breve, sono più mobili,
hanno un numero minore di granuli contenenti istamina ed eparina. Presentano sulla membrana
cellulare recettori per la porzione FC delle immunoglobuline IgE secrete dalle plasmacellule. Legano
quindi tali immunoglobuline quando particolari allergeni (polveri, pollini o farmaci) ne inducono la
formazione. La successiva esposizione all'allergene specifico per le IgE induce il rilascio degli agenti
vasoattivi contenuti nei granuli. L'eparina agisce come anticoagulante, l'istamina e l'eparan solfato
determinano dilatazione dei piccoli vasi sanguigni, i leucotrieni inducono prolungata costrizione
della muscolatura liscia. Vasodilatazione, edema e contrazione della muscolatura liscia dell'albero
respiratorio, possono essere gravi disordini associati a fenomeni di ipersensibilità e anafilassi.
CORRELAZIONI CLINICHE: in età pediatrica possono svilupparsi patologie associate alla
riduzione del numero di neutrofili,chiamate neutropenie. Tali patologie possono avere origine
genetica (neutropenie congenite severe) o essere mediate da anticorpi, i pazienti affetti sono soggetti
a ricorrenti infezioni. I granulociti basofili possono essere responsabili di patologie allergiche come
l'asma, dovuta al rapido rilascio da parte di queste cellule di sostanze come i leucotrieni e l'istamina.
Nel Lupus eritematoso sistemico (LES), patologia autoimmune con gravi conseguenze sistemiche
dovute a immunocomplessi contro IgE autoreattive, si ha la presenza di basofili circolanti attivati a
livello di diversi organi.

LINFOCITI: costituiscono la popolazione leucocitaria più numerosa dopo i granulociti neutrofili e


originano dalle cellule staminali emopoietiche presenti nel midollo osseo. Sono presenti nel sangue,
negli organi linfoidi e nella linfa. Hanno forma sferica. Il nucleo di queste cellule, osservato al
microscopio elettronico a trasmissione, appare voluminoso con forma ovoidale e occupa gran parte del
volume cellulare. Nel citoplasma, tenuemente cromofilo, sono assenti i granuli specifici e anche i
granuli azzurrofili sono scarsi, inoltre il reticolo endoplasmatico è poco rappresentato.

Funzione dei linfociti. I linfociti, privi di attività fagocitaria, sono i principali responsabili della
risposta immunitaria acquisita o adattativa (specifica). Attraverso la circolazione sanguinea e
linfatica, arrivano nei vari organi dove svolgono la loro attività. Mediante tecniche di
immunoistochimica, si possono distinguere tre categorie di linfociti, morfologicamente simili, ma
con proprietà e funzioni molto diverse: linfociti B, linfociti T e linfociti NK.
• I linfociti B (così denominati perché isolati per la prima volta nella Borsa di Fabrizio degli uccelli)
sono prodotti nel midollo osseo e in quella sede maturano ed esprimono specifiche molecole sulla
membrana plasmatica note come cluster di proteine del differenziamento (CD), quali CD9, CD19,
CD10 e CD43. Hanno un'emivita variabile e sono coinvolti nella risposta immunitaria di tipo umorale
(o mediata da anticorpo) contro infezioni da agenti patogeni (batteri, virus, funghi). Sulla loro
membrana plasmatica esprimono le immunoglobuline (o anticorpi) IgM e IgD e,dopo stimolazione
antigenica, danno origine a cloni di plasmacellule (secernenti anticorpi) e cellule B della memoria.
• I linfociti T, originano nel midollo osseo come i linfociti B, ma completano la loro maturazione nel
timo, dove diventano immunocompetenti ed esprimono marker specifici.
Hanno un'emivita lunga e sono gli effettori nei processi immunitari mediati da cellule (immunità
cellulo mediata). Esprimono i marcatori CD2, CD3 e CD7 ed il recettore delle cellule T (T-cell
receptor, TCR). Esistono tre sottoclassi funzionali: linfociti T citotossici (Tc, CD8+), che secernono
sostanze in grado di distruggere per lisi o apoptosi cellule estranee e cellule trasformate da virus;
linfociti T helper (Th, CD4+), che stimolano i linfociti B e cooperano con i macrofagi ed infine i
linfociti T regolatori (Treg) che agiscono sopprimendo la risposta immunitaria contribuendo alla
tolleranza periferica.
• I linfociti Natural Killer (NK) sono stati così nominati per la loro capacità di uccidere cellule
infettate da virus o cellule tumorali senza la necessità di attivazione, come avviene per i linfociti T.
Inoltre, questi linfociti NK, non producono immunoglobuline, né esprimono recettori simili al TCR
sulla loro superficie. Grazie all'utilizzo di anticorpi monoclonali è stato possibile identificare due
popolazioni distinte di NK in base all'espressione della molecola di adesione CD56 sulla loro
superficie: una popolazione CD56dim, più matura, molto citotossica, principalmente presente a
livello del sangue periferico, e una popolazione CD56bright, immatura, immunoregolatrice
(produzione di interferone v), prevalentemente presente a livello degli organi linfoidi secondari.
L'attività dei linfociti NK è regolata da un bilanciamento di segnali derivati da recettori attivatori e
inibitori presenti sulla loro superficie. I principali recettori attivatori sono gli NCR (natural citotoxic
receptors) NKp30, NKp46, NKp44 e il CD16 che, legandosi alla frazione Fc delle immunoglobuline,
permettono di riconoscere e uccidere le cellule ricoperte da anticorpi attraverso un meccanismo
chiamato ADCC (citotossicità cellulo mediata anticorpo dipendente). I principali recettori inibitori
sono i KIRs (Killer Ig like receptors) che, riconoscendo le molecole del sistema di istocompatibilità
espresse da potenziali cellule bersaglio, generano un segnale inibitorio che spegne l'attività
citotossica delle cellule NK.

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