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MEMBRANA PLASMATICA

È un sottile involucro che riveste tutte le cellule e svolge differenti funzioni:

 Delimitazione;
 Mantenimento integrità cellulare: protegge dall’ambiente esterno. Ogni elemento esterno ed estraneo
è detto antigene;
 Selezione di ciò che entra ed esce: si parla di permeabilità selettiva;
 Regolazione rapporto cellula-cellula;
 Riconoscimento elementi estranei: attraverso i recettori proteici di membrana;
 Mantenimento della forma cellulare: insieme al citoscheletro;

Ha uno spessore tra i 7-9 nm.


È costituita da un doppio strato fosfolipidico detto bilayer.
Con il microscopio ottico ad ingrandimento 1000x possiamo osservare solo due cellule vicine, in particolare,
osserviamo i due glicocalici e le due membrane vicine, ma separate da uno spazio.

Con il microscopio elettronico vediamo invece una linea nera ben definita che delimita la cellula.

Se inseriamo un forte ingrandimento riusciamo a vedere la struttura trilaminare con due strati più
elettrondensi (teste polari) e uno strato elettrontrasparente centrale (code apolari).

PRIMA TEORIA SUL MODELLO DI MEMBRANA: MODELLO A SANDWICH

Danielli e Davson ipotizzarono un modello statico di membrana. Avevano considerato un doppio strato
fosfolipidico completamente rivestito all’esterno e all’interno dalle proteine a contatto con le teste polari
di un film lipidico bistratificato.

SECONDO MODELLO UFFICIALE: A MOSAICO FLUIDO

Singer e Nicholson ipotizzarono che la membrana fosse costituita da un bilayer fosfolipidico associato a
proteine intrinseche ed estrinseche. Esse non rivestono tutto lo strato. La fluidità della membrana viene
condizionata dall’eccesso di colesterolo e di grassi saturi, caratterizzati da un singolo legame nella catena
di acidi grassi.

Il colesterolo è una molecola lipidica polare, che esercita un ruolo stabilizzante ed è largamente presente
nelle cellule eucariotiche animali.

I grassi insaturi invece garantiscono la fluidità della membrana.

PRINCIPALI FOSFOLIPIDI DI MEMBRANA

Ognuno dei due monolayer è costituito da una sequenza di fosfolipidi con code di acidi grassi idrofobiche
apolari e teste polari (glicerolo+ gruppo fosfato+ gruppo polare). Le molecole fosfolipidiche sono anfipatiche
perché il gruppo fosfato è idrofilo e le catene di acidi grassi sono idrofobiche, motivo per cui la loro
collocazione nella membrana sarà congruente con tale asimmetria. A seconda del gruppo polare che si lega al
fosfato possiamo avere :

 Fosfatidilserina: gruppo polare serina

 Fosfatidiletanolamina: gruppo polare etanolammina; maggiormente presente sul versante


citoplasmatico; la sua funzione è correlata alla curvatura della membrana: si adatta bene nei punti in
cui la membrana si piega ad arco.
CARATTERISTICHE DELLA MEMBRANA

Secondo Singer e Nicolson la membrana possiede tali caratteristiche:

 Discontinuità: a causa della presenza casuale delle proteine intrinseche che rompono la struttura
lineare;
 Fluidità: grazie alla presenza dei lipidi e delle catene di acidi grassi insaturi; questo permette ai
lipidi di diffondere lateralmente. Il grado di fluidità della membrana è influenzato dalla qualità dei
lipidi che la compongono: lipidi con catena aciliche lunghe e sature hanno ampie superfici di
interazione e si impacchettano strettamente dando così luogo a membrane poco fluide; i lipidi con
catene aciliche corte o lunghe, ma insature hanno superfici di interazione inferiori e danno luogo a
membrane più fluide.
Il colesterolo non forma strutture continue, ma è inserito fra i fosfolipidi o gli sfingolipidi, sulla
mobilità dei quali svolge un ruolo di modulazione: restringe la mobilità sia delle teste idrofiliche sia
delle code idrofobiche, diminuendo di conseguenza la mobilità del foglietto lipidico quando è
presente in elevata concentrazione; quando la sua concentrazione è bassa l’anello steroideo disperde
le code idrofobiche facendo passare la membrana da un minore a un maggior grado di fluidità.
 Asimmetria: è dovuta alla distribuzione asimmetrica di alcuni lipidi e di molti peptidi e alla
localizzazione esclusiva dei glucidi, legati sia proteine sia a lipidi, sulla faccia esoplasmatica della
membrana; la posizione delle proteine non è fissa, ma può variare, in quanto si spostano lateralmente
sulla membrana a seconda del punto della cellula in cui è richiesta la loro presenza. Le proteine che
vengono portate per vescicolazione presso la membrana plasmatica generalmente hanno subito la
glicosilazione nel Golgi e quindi si inseriranno nella membrana con la parte glicosilata verso
l’esterno. Difatti molte delle proteine di membrana sono glicoproteine.

Secondo una teoria moderna di Singer e Nicolson sul versante extracellulare esistono zone in cui prevalgono
sfingolipidi e colesterolo, che per la loro struttura si impacchettano in domini ordinati immersi in un mare di
fosfolipidi meno ordinati. A teli domini è stato dato il nome di zattere lipidiche funzionali alla
concentrazione e al trasporto delle proteine nelle zone di membrana della cellula in cui sono richieste. Sono
quindi necessarie per il movimento delle proteine.

[Alle teste polari si lega una componente carboidratica, così abbondante da dar luogo ad uno spesso
rivestimento esterno detto glicocalice. Questo è coinvolto a creare lo spazio tra due membrane di due cellule
vicine per evitare che collassino l’una sull’altra].

PERMEABILITA DELLA MEMBRANA


Garantisce il passaggio di ioni e molecole riconosciuti dalla cellula. Si tratta di una permeabilità selettiva che
permette il passaggio solo di alcuni composti chimici.

Alcune sostanze passano facilmente, altre hanno bisogno di mezzi per attraversare la membrana. Possono
attraversare la membrana:

1. Gas
2. Piccole molecole (benzene, aminoacidi, glucosio, acidi grassi…)
3. Ioni (Na, K, Cl, Mg, Ca…)
4. Alcuni ormoni
5. Vitamine

A volte l’acqua passa mediante specifiche proteine transmembrana dette acquaporine.

Le particelle più grandi attraversano la membrana grazie all’intervento di specifici trasportatori.

Le modalità di trasporto sono cinque:

1. Diffusione semplice o trasporto passivo


2. Diffusione facilitata
3. Osmosi
4. Trasporto attivo
5. Endocitosi ed esocitosi

DIFFUSIONE SEMPLICE O PASSIVA


È regolata dall’equilibrio di concentrazione e avviene secondo gradiente di concentrazione. Per questa
ragione non vi è un consumo di energia, ma viene solo liberata energia. È un processo spontaneo. Il
passaggio si ferma quando si crea equilibrio. È termodinamicamente favorito come processo, in quanto
l’aumento di entropia legato al passaggio, provoca una variazione di energia libera negativa.

Passano ad esempio CO2, O2, urea, etanolo.

DIFFUSIONE FACILITATA E TRASPORTATORI


Riguarda il passaggio di ioni e molecole più grandi che non possono penetrare direttamente la membrana. Il
loro passaggio avviene secondo gradiente di concentrazione, ma è catalizzato appunto da strutture proteiche
integrali, dette trasportatori e proteine canale.
È necessaria energia affinchè questo avvenga, proprio perché le proteine integrali, dette Carrier, modificano
la loro conformazione per poter legare la molecola, permetterle di passare e poi rilasciarla nel citoplasma.

Le semplici proteine canali (più subunità proteiche assemblate) permettono il passaggio delle molecole senza
entrare in contatto con loro, secondo gradiente di concentrazione o gradiente elettrico se si tratta di ioni. I
canali possono essere aperti oppure chiusi. Nel caso siano chiusi sono necessari determinati recettori che
riconoscano la molecola in entrata. Le proteine canale possono delimitare pori idrofili, importanti per il
passaggio di acqua e di ioni secondo gradiente di concentrazione ed elettrico. Molto spesso il passaggio degli
ioni è basato sul gradiente elettrico ed è alla base del potenziale di membrana. Il trasporto è molto specifico
poiché ogni molecola attraversa la membrana all’interno del suo specifico trasportatore. Uno dei trasportatori
più noti è il GLUT1 (trasportatore del glucosio).

Le acquaporine sono determinate proteine canale specifiche per il passaggio di acqua (essa passa anche per
osmosi e per diffusione semplice). Formano pori per il passaggio selettivo delle molecole di acqua in singole
file.

Le proteine trasportatori possiedono tre differenti modalità di trasporto:

 Uniporto: vi è il passaggio di una molecola per volta, che entra dall’esterno e viene rilasciata
all’interno o viceversa. Il trasporto avviene solo quando è termodinamicamente favorito e cioè
quando la sostanza va da una concentrazione maggiore ad una minore.
 Simporto o Cootrasporto: sfruttando il gradiente di concentrazione del trasporto della prima
molecola che sta passando, una seconda molecola si associa al passaggio, che avviene
contemporaneamente a quello della prima molecola.
 Antiporto o Cootrasporto: sfruttando il gradiente di concentrazione della molecola che sta entrando,
una seconda molecola impegna il trasportatore per uscire dalla cellula.

OSMOSI
Riguarda il passaggio di liquidi come l’acqua. L’acqua attraversa la membrana passando dalla soluzione
ipotonica a quella ipertonica. In condizioni standard l’ambiente extracellulare e quello intracellulare sono
isotonici, perciò non avviene passaggio di acqua. Può avvenire per diffusione semplice oppure per diffusione
facilitata mediante canali proteici denominati acquaporine.

ENDOCITOSI
La membrana ingloba attraverso invaginazioni le molecole.

ESOCITOSI
Esportazione delle sostanze o delle molecole attraverso la formazione di vescicole cioè porzioni di
membrana che si staccano.
TRASPORTO ATTIVO
È un meccanismo che permette il trasporto delle molecole contro gradiente di concentrazione (molecole) o
gradiente di potenziale (ioni). Il processo è termodinamicamente sfavorito, infatti richiede energia sotto
forma di ATP per poter liberare energia necessaria ad attuare il processo.

Questo compito è affidato alle pompe, che sono proteine transmembrana con siti di legame per l’ATP dal
lato citoplasmatico. Il legame con ATP e la liberazione di energia avviene solo quando è necessario il
passaggio di ioni.

Un esempio di trasporto attivo lo si può osservare nel passaggio degli ioni Na +, Cl- e K+, importantissimi per
il potenziale di membrana, perché si occupano del mantenimento del gradiente al livello delle membrane
plasmatiche.

Le principali pompe sono:

 Pompe calcio: fondamentali a livello dei tessuti muscolari, quando il calcio deve uscire per potersi
legare all’actina, al fine della contrazione muscolare. Servono anche a mantenere bassa la
concentrazione di Ca++ nel citoplasma.
 Pompe protoniche: servono per il trasporto degli H+ all’interno dei lisosomi per mantenere basso il
loro pH. Sono molto importanti a livello mitocondriale.
 Pompe sodio/potassio: servono a mantenere costantemente differenziate le concentrazioni di questi
due ioni all’interno della cellula, trasportando contemporaneamente tre ioni sodio fuori e due ioni
potassio dentro.

POMPE SODIO/POTASSIO.
I cationi K+ sono maggiormente concentrati all’esterno, mentre i cationi Na+ sono concentrati all’interno
assieme agli anioni Cl- non diffusibili.

Queste pompe trasportano contemporaneamente tre ioni Na+ fuori e due ioni K+ dentro, contro gradiente di
concentrazione.

POTENZIALE DI MEMBRANA
È importante premettere che vi è una differente concentrazione cationica tra l’esterno e l’interno della
cellula. La concentrazione di ioni potassio è 20 volte più alta all’interno della cellula, mentre la
concentrazione di ioni sodio è 12 volte più alta all’esterno. Questa differenza di concentrazione viene
mantenuta costante sia dalle pompe che dai canali, i quali possono essere chiusi o aperti.

Il fatto che in condizioni di riposo i canali del potassio siano quasi tutti aperti e i canali del sodio siano quasi
tutti chiusi costituisce il meccanismo di base che genera un potenziale elettrico transmembrana di circa
-70mV.

L’ineguale ripartizione dei cationi genera in condizioni di riposo una differenza di gradiente elettrico, che si
traduce in una differenza di potenziale a livello della membrana plasmatica, che all’interno del citoplasma è
di -70 mV.

Nella membrana tutte le cariche negative sono disposte sul versante citosolico, mentre le cariche positive sul
versante extracitosolico.

In condizioni di equilibrio il potenziale sarà pari a 0.

Quando la membrana passa ad un potenziale d’azione i canali si aprono.

Se i canali di sodio sono aperti, il potenziale elettrico dell’ambiente citosolico rispetto all’ambiente
extracellulare sarà di +60mV. Se la membrana avrà solo canali per il sodio, questo attraverserà la membrana
secondo concentrazione e cioè dall’ambiente extracellulare a quello citosolico lasciando cariche negative
relative a Cl- in eccesso nella regione citosolica. Tuttavia, man mano che Na+ passa dall’ambiente esterno a
quello interno per differenza di concentrazione, la carica positiva nell’ambiente interno aumenterà e questo
farà si che il sodio vada anche dal citosol all’esterno attratto dalla carica negativa che si è stabilita
nell’ambiente esterno. Si stabilirà a questo punto una situazione di equilibrio in cui tanti ioni sodio
passeranno per differenza di concentrazione da una parte all’altra quanti ne passeranno in senso contrario per
differenza di carica.

Se i canali del potassio sono aperti, il potenziale elettrico tra l’ambiente citosolico e quello extracellulare sarà
-60mV. Se la membrana ha solo canali potassio si avrà l’effetto contrario e quindi l’ambiente esterno avrà
carica positiva rispetto a quello interno.

N.B. I canali ionici sono costituiti da 3 subunità proteiche integrali.

PRINCIPALI ZUCCHERI
I principali zuccheri che costituiscono le catene oligosaccaridiche che si legano alle proteine o ai lipidi di
membrana sono:

 Glucosio: può rappresentare il gruppo polare che si lega alla sfingosina, formando glucosilceramide;
 Galattosio;
 Mannosio;
 N-acetil-glucosamina;
 N-acetil-galattosamina;
 Acido sialico: può costituire la porzione terminale di catene ramificate di carboidrati, legate alla
sfingosina, che insieme vanno a costituire i gangliosidi, che sono i glicosfingolipidi più complessi.

A ridosso della membrana vi è un mantello o glicocalice costituito da glicoproteine e proteoglicani.

Le glicoproteine di membrana sono recettori di membrana e partecipano ai processi di adesione e


comunicazione cellulare. Inoltre, costituiscono anche gli antigeni dei globuli rossi, riconoscendo così le
molecole e le sostanze esterne.

FUNZIONI DEL GLICOCALICE DI MEMBRANA


Funziona come un filtro molecolare. Evita anche che le membrane di due cellule adiacenti collassino l’una
sull’altra e permette l’interazione tra due cellule nelle conformazioni tissutali. È costituito da un’elevata
quantità di acido sialico che presenta carica negativa ed è proprio la stessa che garantisce la repulsione di due
membrane adiacenti, evitando che una cellula collassi sull’altra.

N.B. I microvilli invece sono specializzati nell’aumentare la superficie di scambio della cellula.

MATRICE CITOPLASMATICA
Per matrice citoplasmatica o jaloplasma si intende solo la componente citoplasmatica, priva di organuli, nella
quale si svolgono le principali reazioni biochimiche e metaboliche, come la sintesi proteica, la
glicogenosintesi o la glicolisi anaerobia.

È un sistema colloidale.

Queste attività vengono svolte dalla fase disperdente del citoplasma, ovvero ioni e molecole proteiche e
enzimi che catalizzano le varie reazioni.

La fase disperdente costituisce l’85% ed è rappresentata dall’acqua.

All’interno dello jaloplasma sono presenti varie strutture citoscheletriche che imbrigliano i diversi organuli, i
quali possiedono una ben precisa dinamicità.

Lo jaloplasma presenta una viscosità variabile, dalla quale dipende anche la capacità della cellula di
cambiare forma. La viscosità dipende dallo stato di aggregazione delle macromolecole.

 Se le molecole sono molto aggregate, allora lo jaloplasma avrà la consistenza di un gel con viscosità
elevata e parleremo di plasmagel.
 Se le molecole sono poco aggregate, allora lo jaloplasma avrà la consistenza di un sol con ridotta
viscosità e parleremo di plasmasol.

Il continuo passaggio da stato di sol a stato di gel e viceversa rende dinamico l’ambiente citoplasmatico.
RIBOSOMI

Sono organuli privi di membrana, del diametro di circa 15-20 nm.


Sono presenti nel citoplasma di tutte le specie cellulari, gli unici organuli presenti nei batteri.
Sono costituiti da:
 rRNA ribosomiale: i geni che lo codificano sono presenti nel DNA nel nucleolo;
 proteine: nel nucleo vengono trascritti gli mRNA di tali proteine, che vengono tradotte nel
citoplasma e trasferite poi nel nucleolo per assemblarsi con l’rRNA.

Le due subunità, maggiore e minore, che costituiscono il ribosoma vengono assemblate nel nucleolo, ma si
associano solo in presenza di un’elevata concentrazione di ioni Mg++. Solo le condizioni ottimali di magnesio
permettono la chiusura delle subunità ribosomiali e di solito questo avviene in caso di sintesi proteica.

I ribosomi sono gli organuli funzionali alla sintesi proteica che avviene nel citoplasma.
Un’elevata attività sintetica determina la presenza di più ribosomi e viceversa.

I ribosomi possono essere:

 liberi nel citoplasma: assumono la conformazione dei polisomi nel momento in cui si chiudono sul
filamento di mRNA e appaiono come una catena di perle. Sintetizzano le proteine citoplasmatiche,
che vengono accumulate nello jaloplasma.
 adesi sulle cisterne, ovvero sacculi ripiegati e rivestiti da membrana, del reticolo endoplasmatico
rugoso (RER). Sintetizzano proteine lisosomiali, proteine transmembrana e proteine destinate
all’esocitosi o a processi co-traduzionali.

I ribosomi sono strutture acide perché contengono acido nucleico e quindi vengono definiti basofili, in
quanto hanno affinità con coloranti basici. Conferiscono la loro basofilia a tutto il citoplasma.

Sono visibili:
 al microscopio ottico: è necessario colorare con bluditoluidina (colorante basico) l’area occupata dai
ribosomi. Sono visibili solo se presenti in grandi ammassi.
Negli epatociti il nucleolo appare più blu, mentre il nucleo non è facilmente distinguibile.
[l’eterocromatina è cromofila e appare elettrondensa, mentre l’eucromatina non è cromofila e appare
elettrontrasparente].
Le cellule nervose possiedono un’alta attività sintetica e quindi un vasto RER che conferisce al
citoplasma un aspetto tigrato. Si può parlare di “zolle di Nissl”, ovvero grosse zolle basofile.
 al microscopio elettronico appaiono come particelle elettrondense. A forte ingrandimento è possibile
osservare un sottile filamento (mRNA) scorrere tra i ribosomi liberi che costituiscono i polisomi.

I ribosomi delle cellule eucariotiche e quelli delle cellule procariotiche differiscono tra loro per il coefficiente
di sedimentazione dell’rRNA che li compone. Attraverso un processo di centrifugazione, che sfrutta il loro
peso, vengono isolati dal resto degli organuli.

Una volta estratti dalla cellula, vengono fatti precipitare mediante centrifugazione su un gradiente e in base
alla velocità con cui precipitano, vengono distinti. L’unità di misura di tale velocità di sedimentazione di una
particella sottoposta a forza di gravità è lo Svedberg.

Anche le due subunità possono essere separate mediante tale processo e possiedono velocità di
sedimentazione differente.

I mitocondri hanno ribosomi piccoli 70 S che vengono sintetizzati in loco e sono diversi da quelli più grandi
presenti nel citoplasma. Questa osservazione ha suggerito l’ipotesi che i mitocondri e così pure i cloroplasti
nelle cellule vegetali siano in realtà dei batteri che sono stati endocitati all’interno di cellule più evolute.
COEFFICIENTE DI PROCARIOTI EUCARIOTI
SEDIMENTAZIONE
Totale 70 S 80S
Subunità minore 30S 40S
Subunità maggiore 50S 60S
RNA subunità minore 16S 18S

RNA subunità maggiore 23S 5S


5S 5.8S
28S

Il ribosoma è costituito da una sorta di nucleo in cui identifichiamo rRNA e proteine con una specifica
struttura terziaria che tendono a ripiegarsi. Si creano quindi estroflessioni o introflessioni fondamentali per la
funzionalità ribosomiale. Tali proteine possono essere:

 proteine large: costituiscono la subunità maggiore;


 proteine small: costituiscono la subunità minore.

Esistono anche altre proteine dette split, le quali sono debolmente legate alla superficie ribosomiale.

La struttura della subunità minore vede un corpo e una testa. Tra le due vi è una protuberanza che genera una
piattaforma concava e una fenditura, all’interno della quale avviene l’interazione tra il codone (mRNA) e
l’anticodone (tRNA), che si lega all’aminoacido.

La subunità maggiore possiede tre sporgenze organizzate in modo da formare un tunnel per permettere il
passaggio della neo-catena amminoacidica.

La struttura secondaria dell’rRNA si ipotizza sia un’unica catena, ripiegata a formare una doppia elica con
appaiamento delle basi complementari.
RETICOLO ENDOPLASMATICO
Il reticolo endoplasmatico è una rete tridimensionale di cisterne e tubuli che formano uno spazio intraluminare
continuo. Possiede tre distinti domini: nucleare, rugoso e liscio.

Fu scoperto nel 1945 da Porter.


Il reticolo endoplasmatico è una struttura molto dinamica, capace di riarrangiarsi a seconda delle necessità.
Ad esempio, se la cellula ha una ridotta attività sintetica, le cisterne del RER appariranno più isolate nel
citoplasma. Invece se l’attività cellullare è molto elevata, le cisterne formeranno un reticolo molto fitto.
Il reticolo endoplasmatico liscio (REL) è formato da tubuli e non presenta ribosomi adesi alla membrana. È
molto abbondante in determinate cellule come quelle epatiche, dove la funzione è la detossificazione di
sostanze idrofobiche, e le cellule muscolari, dove la funzione è il rilascio di calcio.

Reticolo endoplasmatico nucleare


Il nucleo presenta due membrane che delimitano uno spazio perinucleare che è in continuità con il lume del
reticolo endoplasmatico rugoso, attraverso l’associazione fra il reticolo e specifiche proteine, come le lamìne
che costituiscono la lamina nucleare a sua volta associata alla cromatina.
L’involucro nucleare stesso è considerato una specializzazione del reticolo endoplasmatico.

Reticolo endoplasmatico rugoso


Il RER o ergastoplasma è costituito da cisterne appiattite o sacculi ripiegate le une sulle altre, alle quali sono
adesi i ribosomi in corrispondenza della loro subunità maggiore. È abbondante in tutte le cellule a secrezione
sierosa.
Una volta che le proteine vengono sintetizzate nel RER, non escono più dal sistema compartimentale e vengono
trasportate mediante vescicole fino al complesso di Golgi, dove assumeranno la loro struttura definitiva, si
specializzeranno e si legheranno eventualmente alle catene oligosaccaridiche mediante glicosilazione. Le
proteine prodotte vengono trasportate mediante traffico vescicolare.
INDIRIZZAMENTO E TIPOLOGIE PROTEICHE
Lo smistamento delle proteine ai vari organuli viene controllato dalla presenza di specifiche sequenze di
aminoacidi definite sequenze segnale. Le sequenze segnale sono riconosciute da specifici recettori di
smistamento che le trasportano ai vari organuli.
Le proteine senza sequenza segnale restano libere nello jaloplasma.

1. Le proteine destinate ad essere accumulate o utilizzate dalla cellula stessa sono sintetizzate sui
ribosomi liberi e si accumulano nello jalopasma.
Seguono la via citoplasmatica:
 Sintesi sui ribosomi liberi;
 Proteine del citosol o destinate al nucleo, ai mitocondri o ai
perossisomi;
2. Le proteine destinate ad essere trasportate fuori dalla cellula (da esocitare), gli enzimi lisosomiali
(detti idrolasi, si dividono in proteasi, nucleasi, lipasi e amidasi), e le proteine intrinseche della
membrana vengono sintetizzate sui ribosomi associati al RER.
Le proteine, in questo caso, entrano nel RER e successivamente nel complesso del Golgi dove
subiscono varie modificazioni.
Seguono la via secretoria:
 Inizio sintesi sui ribosomi liberi;
 Associazione al RER e completamento;
 Cisterne del RER;
 Cisterne del Golgi;
 Vescicola di secrezione.

VIA SECRETORIA: INDIRIZZAMENTO CO-TRADUZIONALE


 Le proteine sintetizzate sul RER iniziano la loro traduzione sui ribosomi liberi. Sono dotate di una
sequenza segnale di 30 aminoacidi con carica positiva, seguiti da altri idrofobici, che si trova all’estremità
aminoterminale. La catena si allunga sul ribosoma e lascia emergere dalla subunità maggiore l’estremità
aminoterminale.
 La sequenza segnale viene riconosciuta da una ribonucleoproteina, dispersa nel citosol e detta SRP
(particella di riconoscimento del segnale) costituita da RNA e sei complessi proteici. La regione che
interagisce con la parte idrofobica è ad alto contenuto di metionina. L’SRP si lega tramite il complesso
P54 alla sequenza segnale: questo legame interrompe momentaneamente la sintesi proteica.
 Il complesso SRP-sequenza segnale-ribosoma viene riconosciuto dal recettore di membrana SR per SRP,
presente come proteina integrale della membrana del RER.
 SRP e SR hanno due GTPasi che si attivano e idrolizzano due molecole di GTP. Questo processo rilascia
l’energia necessaria per il distacco del SRP dalla sequenza segnale e il posizionamento del ribosoma in
corrispondenza del traslocone, canale proteico del RER.
 La sintesi proteica riprende con il passaggio della catena attraverso il lume del canale traslocone e forma
un’ansa rivolgendo l’estremità aminoterminale verso il citosol
 La peptidasi taglia la sequenza segnale ponendo fine alla sintesi. La proteina si libera nel lume del RER
dove poi subirà processi di maturazione.
 In seguito, avviene l’esocitazione della proteina dal RER, attraverso la formazione di una vescicola. La
vescicola rivestita da una membrana che interagisce con la proteina al suo interno, si dirige verso l’apparato
del Golgi. Attraverso un processo di gemmazione, la vescicola si fonde con la membrana del Golgi e
rilascia la proteina.

SINTESI PROTEINE TRANSMEMBRANA


1. Estremità COO- verso il citosol ed estremità NH3+ sul versante extracellulare.
proteine transmembrana che rivolgono l’estremità aminoterminale (NH3+) verso il lume del RER
(in seguto verso l’esterno della cellula).
Vi sono due sequenze segnale:
 Sequenza segnale d’inizio posta all’estremità aminoterminale;
 Sequenza segnale d’arresto formata da una ventina di aminoacidi idrofobici, determina l’arresto
dello scorrimento della catena polipeptidica all’interno del traslocone.

 La sequenza segnale d’inizio viene tradotta e intercettata da SRP che legandosi al suo recettore
SR permette il legame con il traslocone.
 La sintesi continua da parte del ribosoma e la proteina inizia a “scivolare” nel lume del RER.
 Intervengono peptidasi di segnale che tagliano la sequenza segnale d’inizio: la parte di proteina
nel lume sarà quella NH3+.
 Quando viene tradotta la sequenza segnale d’arresto, essa interagisce col traslocone, bloccando la
traslocazione della proteina al RER.
 Il ribosoma si stacca dal traslocone e continua la sintesi sul versante citosolico: la proteina sarà
COO- sul versante citosolico.
 Alla fine della sintesi la sequenza segnale dal traslocone diffonde lateralmente e resta ancorata al
bilayer del RER.
 Per gemmazione della membrana del RER si produce una vescicola che contiene al suo interno la
porzione della proteina interna al lume: porzione luminare.
 La vescicola viene veicolata alla membrana citoplasmatica, fondendosi con essa e rilasciando il
suo contenuto sul versante extracellulare.
 S’installa una proteina transmembrana dove COO- sul versante citosolico e NH3+ sul versante
extracellulare.

2. Estremità NH3+ verso il citosol ed estremità COO- sul versante extracellulare.


Unica sequenza segnale che funge da segnale di inizio e di arresto. Non è necessaria peptidasi del segnale.

 La sequenza segnale si lega al traslocone e per scivolamento la restante porzione della proteina
entra nel lume del RER presentando l’estremità COO-. La stessa sequenza segnale verrà traslocata
nel bilayer del RER.
 Per gemmazione in modo analogo si produrrà una vescicola diretta alla membrana citoplasmatica,
contenente al suo interno la porzione di proteina luminare.
 S’installa una proteina transmembrana con NH3+ sul versante citosolico e COO- sul versante
extracitoplasmatico.

3. Proteine transmembrana multipasso.


Vi sono due sequenze: una sequenza di inizio-arresto seguita, dopo varie sequenze aminoacidiche, da una
sequenza d’arresto. Nel caso di proteine che attraversano numerose volte la membrana saranno necessarie
numerose copie di segnali.

Nella gemmazione di vescicole il lume del RER dovrebbe restringersi ma per ogni vescicola gemmata c’è una
vescicola che ritorna e ristabilizza la membrana. Per ogni evento di Secrezione ed Esocitosi.

MODIFICAZIONI POST-TRADUZIONALI DELLE PROTEINE


 Glicosilazione:
1. N-glicosilazione: la catena oligosaccaridica si lega ad un azoto dell’aminoacido
asparagina. Inizia nel RER e si completa nel Golgi.
2. O-glicosilazione: la catena oligosaccaridica si lega ad un ossigeno
dell’aminoacido serina, o della treonina o della idrossiprolina. Si svolge
interamente nel Golgi.
 Formazione di ponti disolfuro tra i residui di cisteina.
 Eliminazione di porzioni di catena.
 Ripiegamenti della catena.
 Annessioni subunità.

N-GLICOSILAZIONE (nel RER)


Nella N-glicosilazione, nel lume del RER viene inizialmente legata all’asparagina della proteina una catena
oligosaccaridica formata da 14 zuccheri, uguali in tutti i casi, precedentemente sintetizzata su una molecola
lipidica della membrana del RER, il dolicolo fosfato.
Sul versante citosolico al dolicolo fosfato si addizionano 7 zuccheri: N-acetilglucosamina (2) e mannosio (5),
ad opera di specifiche glicosiltransferasi. Una flippasi ruota il dolicolo con la catena oligosaccaridica verso il
lume del RER dove vengono aggiunti i restanti zuccheri.
La catena è costituita da: N-acetilglucosamina (2), mannosio (9) e glucosio (3).
La catena viene poi trasferita sull’asparagina grazie ad una glicosiltrasferasi, viene prima modificata nel RER
e poi nel Golgi subirà ulteriori modificazioni con il distacco di alcuni zuccheri e l’aggiunta di altri.
Tutte le proteine al termine della maturazione presenteranno catene oligosaccaridiche N-glicosilate tutte con
la stessa sequenza iniziale legata all’asparagina: N-acetilglucosamina (2) e mannosio (3).
I 3 glucosio della catena vengono utilizzati per il corretto ripiegamento della proteina: vengono eliminati 2
glucosio (glucosidasi) e l’ultimo si lega alle chaperonine di II classe. Avviene il ripiegamento e l’ultimo
glucosio viene eliminato. Se il ripiegamento non è corretto una glicosiltransferasi lega un nuovo glucosio
permettendo il legame con le chaperonine. Il ciclo di deglucosilazione e riglucosilazione continua finché la
proteina non raggiunge il corretto ripiegamento.

Reticolo endoplasmatico liscio


È in continuità con il RER, in quanto i tubuli del REL e le cisterne/sacculi del RER sono anastomizzati tra
loro.
È detto liscio perché sulla sua membrana non sono adesi i ribosomi e questo si può facilmente osservare al
microscopio elettronico.
Al microscopio ottico non è visibile in quanto come il citoplasma è una struttura acidofila perché basica. Non
va confuso con varie vescicole.
Il RER invece è visibile al microscopio ottico perché è una struttura acida, quindi basofila che può essere
facilmente distinta usando coloranti specifici.
FUNZIONI:
 Nelle gonadi e nella ghiandola surrenale partecipa alla secrezione degli ormoni steroidei;
 Nel fegato è impegnato nella detossificazione di sostanze tossiche;
 Nel fegato svolge una funzione nel metabolismo del glicogeno, perché contiene l’enzima glusosio-6-
fosfasi fondamentale per la glicogenolisi [il glicogeno si cristallizza a formare rosette ed è molto
elettrondenso al microscopio elettronico].
 È un serbatoio di ioni calcio Ca++; infatti è molto esteso nel tessuto muscolare;
 È coinvolto nella sintesi dei lipidi;
 È coinvolto nella biogenesi delle membrane.

È molto esteso nelle cellule endocrine a secrezione steroidea, negli epatociti e negli adipociti.
Nelle fibre muscolari il reticolo è detto reticolo sarcoplasmatico.
È responsabile della produzione della maggior parte delle componenti lipidiche delle membrane.
La biogenesi delle membrane avviene in quanto ci sono enzimi presenti sul lato citosolico della membrana
del REL, che sintetizzano e aggiungono fosfolipidi solo su quel foglietto, determinando un accrescimento
asimmetrico della membrana.
Gli enzimi scramblasi poi trasferiscono casualmente fosfolipidi dal foglietto citoplasmatico a quello luminale
ripristinando le dimensioni corrette dei due strati.
Intervengono quindi gli enzimi flippasi che trasferiscono questa volta in modo selettivo i fosfolipidi da un
strato all’altro, rispristinando la corretta asimmetria della membrana.
Viene secreta, infine, una vescicola di unità di membrana.
APPARATO DEL GOLGI

È possibile osservarlo al microscopio ottico attraverso colorazioni istochimiche o immunoistochimiche


(impregnazione cromoargentica).

È molto visibile nelle cellule nervose gangliari, perché sono molto attive metabolicamente.

Un altro modo per osservare l’apparato è mediante l’immunofluorescenza usando il fluorocromo. Si può
marcare usando determinati anticorpi che si legano alle proteine di membrana del Golgi, che diventano
fluorescenti. Un esempio è l’anticorpo GGP-130 (proteina di membrana).

Al microscopio elettronico invece si osservano 5-6 cisterne appiattite e incurvate, impilate l’una sull’altra. Si
parla di PILE GOLGIANE.

Le estremità delle cisterne sono leggermente dilatate e questo permette di riconoscerle al microscopio
elettronico molto facilmente.

Il Golgi ha due facce:


 CIS o PROSSIMALE: accetta le vescicole provenienti dal RER e si affaccia sul versante citosolico
in direzione del reticolo endoplasmatico rugoso;
 TRANS o DISTALE: si affaccia verso la membrana plasmatica.

L’apparato del Golgi ha un orientamento cis-mediano-trans che corrisponde al percorso compiuto dalle
proteine, che vengono trasportate all’interno di vescicole attraverso le varie cisterne.

Le microvescicole contenenti le proteine e provenienti dal RER, si fondono tra loro a costituire una rete di
vescicole interconnesse detta “CIS Golgi Network” (CGN).

Le microvescicole che si staccano dalla faccia trans formano una rete definita “TRANS Golgi Network”
(TGN). Esse diventano lisosomi, contenenti gli specifici enzimi (idrolasi) o vescicole di secrezione che si
fondono con la membrana plasmatica, esocitando il loro contenuto.

Le cisterne mediane sono interposte tra le CIS e le TRANS. Ciascuna di esse possiede un proprio corredo
enzimatico, fondamentale per uno specifico passaggio sequenziale della maturazione della proteina.

ESEMPIO: nella maturazione della catena glicoproteica, l’acido sialico potrebbe attaccarsi nell’ultima
cisterna (proteina sialilata); oppure l’acidità delle glicoproteine si ottiene nelle ultime cisterne dove avviene
il legame con i gruppi acidi.

Le cisterne golgiane sono molto diverse tra loro sia strutturalmente che funzionalmente, in quanto
possiedono ciascuna una propria composizione lipidica e proteica. Hanno enzimi specifici per la
glicosilzione delle proteine, che assicurano alla proteina in transito che le catene oligosaccaridiche vengano
sequenzialmente maturate.
Nella faccia CIS ritroviamo la mannosidasi I, nelle mediane abbiamo mannosidasi II e N-
acetilglucosamintransferasi, nella trans abbiamo galattosiltransferasi e sialiltransferasi.

Gli enzimi più presenti nelle cisterne sono glicosilasi e glicotransferasi (si tratta di nomi generici che variano
a seconda dello zucchero che si prende in considerazione).

Le proteine dopo essere state sintetizzate nel RER subiscono processi post-traduzionali all’interno del Golgi,
in particolare O-glicosilazione, che consiste nel legame covalente di carboidrati al gruppo idrossilico della
serina o della prolina. Consiste nel processo di glicosilazione e acquisizione della struttura finale e l’aggiunta
di gruppi acidi se diventa glicoproteina acida.

INDIRIZZAMENTO DAL RER ALLA FACCIA CIS


Dopo che le proteine vengono trascritte sul RER per passare al Golgi vengono portate da vescicole di
trasporto, che si formano per gemmazione e cioè evaginazione della membrana che si strozza formando la
vescicola.

Lo spostamento di vescicole non è casuale: la sua formazione avviene in corrispondenza del punto di
membrana dove ci sono le proteine COP II (zona polare adibita ad una determinata funzione). Quando si
forma l’evaginazione la vescicola è rivestita da quelle proteine che prima costituivano la membrana. La
vescicola si stacca e quando gemma perde le proteine COP II prima di raggiungere il Golgi. Le proteine
COP II tornano al RER perché verranno usate per rigenerare la superficie di membrana, in qualità di unità di
superficie.

La vescicola raggiungerà la faccia CIS del Golgi e si fonderà con la sua membrana aumentandone la
superficie. Per evitare che la membrana si espanda troppo, gemma una vescicola vuota rivestita dalle
proteine COP I, che rivestono le vescicole che dal Golgi vanno al RER.

Si ripristinano quindi sia l’unità di superficie del RER che del Golgi.

Quando le vescicole ritornano al RER, presentano sulla superficie un segnale di ritenzione al RER
riconosciuto da un recettore presente sulla membrana del RER. A quel punto la vescicola può fondersi.

Si crea un circolo di vescicole perfetto.

[Dal CIS vengono riciclate al RER le vescicole che presentano sulla membrana una proteina con il segnale di
ritenzione al RER il cui recettore è presente sulle membrane del RER. La vescicola, quindi, deve essere
altamente specializzata.]

Le COP II rivestono solo le vescicole che gemmano dal RER.


Le COP I rivestono solo le vescicole che gemmano dal Golgi.

Quando la vescicola con dentro le proteine arriva alla faccia CIS, riversa il suo contenuto nella cisterna CIS.
Come fa la proteina a passare nelle altre cisterne? Lateralmente alle cisterne ci sono degli slarghi che
servono alla gemmazione delle vescicole spola contenenti le proteine che maturano man mano in ogni
cisterna. Sono dette vescicole spola, perché fanno da spola da una cisterna all’altra fin quando dalla faccia
trans non usciranno le vescicole di secrezione con le proteine finali.

Questa modalità è detta PROGRESSIONE DELLE VESCICOLE.

Questo genera un flusso di vescicole che va dalla cisterna CIS a quella TRANS e si parla di flusso
vescicolare anterogrado. Se lateralmente si formano vescicole che gemmano per andare nelle cisterne
successive, sottrarranno e aggiungeranno porzioni di membrana. Dall’altra parte c’è quindi un flusso di
vescicole vuote che avanza dalla zona trans-mediana-cis, detto flusso retrogrado di vescicole che tornano,
appunto, indietro. Questo avviene contemporaneamente al flusso anterogrado, che avviene tra le varie
cisterne.
PROGRESSIONE DELLE CISTERNE
La seconda ipotesi, più complessa dice che non sono le vescicole a progredire, ma le cisterne.
Fondamentalmente bisogna immaginare cisterne vuote nelle quali arriva la proteina; a quel punto dalla
cisterna successiva gemma una vescicola che contiene gli enzimi corrispondenti alla prima cisterna. Questi
enzimi corrispondono al primo processo di post-traduzione. La cisterna è sempre quella e ciò che cambia è il
contenuto enzimatico che man mano viene portato al suo interno. Quindi si suppone una progressione di
un’unica cisterna modificata nel suo contenuto enzimatico. Quindi una progressione della vescicola verso la
faccia CIS. Qui non è la proteina a cambiare cisterna per sfruttare il corredo enzimatico di ciascuna, ma le
vescicole spola trasportano gli enzimi per modificare la proteina presente sempre nella stessa cisterna.

Dal CIS verso TRANS flusso anterogrado, da TRANS a CIS flusso retrogrado.

Le vescicole spola che portano gli enzimi si spostano dal TRANS al CIS nella progressione delle cisterne
mentre nella progressione delle vescicole esse si spostano dal CIS al TRANS contenendo le proteine da
modificare.

SECREZIONE DI PROTEINE ED ESOCITOSI


Si tratta di processi di esocitosi. Le vescicole di secrezione possono seguire due principali comportamenti e
seguire una secrezione:

 COSTITUTIVA: una volta formatasi la vescicola viene immediatamente rilasciata dalla membrana
che l’ha originata per fondersi con la membrana citoplasmatica per l’espulsione. È una funzione
svolta costantemente allo stesso modo. Se consideriamo le glicoproteine (enzimi, ormoni) da
esocitare, esse vengono esocitate sempre, appena sintetizzate.
 REGOLATA: le vescicole prima di essere rilasciate definitivamente, attendono un ulteriore segnale,
accumulandosi nella cellula. L’esocitosi avviene solo in presenza di un altro segnale. La produzione
di ormoni dalla tiroide è stimolata dall’ipofisi. La tiroide è una ghiandola endocrina formata da vari
follicoli rivestiti da epitelio secernente. Gli ormoni si accumulano lì e vengono secreti solo in
relazione al segnale dell’ipofisi. Un altro esempio sono le vescicole sinaptiche che contengono i
neurotrasmettitori, esocitate solo in presenza dell’impulso nervoso. In generale le vescicole della
secrezione regolata rimangono in prossimità della membrana plasmatica in attesa dello stimolo
secretorio. La secrezione (attracco della vescicola alla membrana plasmatica e successiva fusione
delle due membrane) viene innescata in seguito a segnali che portano all’apertura dei canali calcio
posti sulla membrana del RER e che permettono un aumento della concentrazione citoplasmatica di
calcio.

Quando le vescicole gemmano dalla faccia TRANS sono rivestite da proteine (clatrina e coatomeri). Le
vescicole hanno diverse destinazioni. La clatrina media la gemmazione delle vescicole della secrezione
regolata, tipica delle ghiandole (tiroide, mucose…) e delle proteine lisosomiali. Mentre i coatomeri rivestono
le vescicole della secrezione costitutiva generalizzata.

Grazie all’esocitosi le cellule provvedono a una serie importante di funzioni oltre a quella della costruzione
della membrana plasmatica stessa. La costruzione della matrice extracellulare dei tessuti, la secrezione di
enzimi destinati a svolgere le loro funzioni all’esterno della cellula, la secrezione di ormoni, fattori di
crescita, neurotrasmettitori, la secrezione degli anticorpi da parte dei linfociti B ecc. (sono esempi).

In molte cellule l’esocitosi si verifica in zone specializzate della superficie cellulare e in molti casi un
dominio della cellula secerne alcune proteine, mentre altre sono secrete da domini diversi.
Un esempio: le cellule secretorie del sistema digerente possiedono un polo apicale rivolto verso il lume
intestinale che secerne in modo regolato gli enzimi digestivi e un polo basale che secerne in modo costitutivo
elementi della matrice extracellulare.

SMISTAMENTO DELLE VESCICOLE TRA I DIVERSI COMPARTIMENTI CELLULARI

Questo controlla in maniera più precisa lo smistamento che avviene in modo specifico, presente all’interno
della vescicola. Ogni vescicola contiene una proteina ben precisa. Sulla membrana interna della vescicola ci
sono dei recettori che legano in modo specifico il contenuto proteico della vescicola. Si crea quindi un
legame tra vescicola e carico, che determina il fenomeno del reclutamento dei recettori: i recettori attivati
diffondono lateralmente per concentrarsi in un’area della membrana dove si formerà la fossetta rivestita
(vescicola).

Nel distacco della vescicola rivestita della membrana interviene un’ulteriore proteina la dinamina. Numerose
subunità di dinamina formano un avvolgimento a spirale attorno alla base della vescicola e ne determina un
restringimento creando un collo e infine il distacco della vescicola. Dopo il distacco della vescicola e la
perdita del rivestimento, l’acidificazione dell’endosoma determina il distacco del carico dai recettori. I
recettori scarichi diffondono lateralmente nella membrana dell’endosoma per concentrarsi in una zona
formando una vescicola che torna a fondersi con la membrana plasmatica allo scopo di riciclare i recettori
stessi.

Questo legame va immaginato come se la vescicola venisse etichettata e resa facilmente riconoscibile.
Questo perché nel citoplasma ci sono proteine dette vSNARE, recettori che legano il recettore di membrana
esterna vescicolare e che forniscono la specificità dell’indirizzamento. Le vSNARE sono un po’ come i
corrieri di Amazon che trasportano le varie vescicole. Quando avviene questo legame, sull’organo bersaglio
è presente il recettore tSNARE complementare che entra in contatto con il vSNARE e permette la fuoriuscita
della proteina nel lume dell’organulo bersaglio.

La vescicola, quindi, passa per una serie di eventi collegati:

1) Il legame del recettore (sulla membrana interna del RER) al carico avvia la formazione del
rivestimento di clatrina e la formazione della vescicola.
2) Le caratteristiche del recettore e/o del carico determinano il collegamento alla vescicola di una
specifica vSNARE.
3) Il rivestimento di clatrina si disassembla, lasciando la vescicola nuda, ma dotata della sua vSNARE.
4) La vSNARE riconosce la tSNARE complementare e determina l’attracco della vescicola sulla
membrana bersaglio.
5) Le SNARE mediano la fusione tra le due membrane e si liberano per un nuovo ciclo di eventi.

Nel Golgi si completa la glicosilazione oppure può essere sintetizzata solo la componente carboidratica
(GAG, emicellulose, pectine).

[i GAG sono lunghi eteropolisaccaridi non ramificati, formati dalla ripetizione di un disaccaride in cui un
monosaccaride è sempre un aminozucchero e l’altro è un acido urico. Se legati covalentemente alle proteine
formano proteoglicani].

[Il movimento delle vescicole è garantito dalla presenza del citoscheletro che agisce come un sistema di
rotaie su cui si muovono le proteine motrici].
MITOCONDRI
GENERALITA SUI MITOCONDRI
Tutti i processi che interessano la cellula necessitano un grande consumo di energia, che deve essere sotto
una forma facilmente disponibile e trasportabile dove richiesta. La maggior parte dell’energia viene
conservata sotto forma di ATP (adenosintrifosfato), un nucleotide trifosfato. Tale energia è stata liberata nel
corso di reazioni metaboliche che avvengono all’interno dei mitocondri. Negli eucarioti la centrale
energetica preposta all’assorbimento e alla trasformazione dell’energia sono perlappunto i mitocondri e a
volte anche i perossisomi (β-ossidazione degli acidi grassi).

Nulla può prescindere dalla loro presenza, perché forniscono l’energia per ogni processo cellulare. Sono detti
centrale energetica della cellula.

La cellula può morire per apoptosi, cioè morte programmata. Quando avviene ciò tutti i costituenti della
cellula vengono degradati in modo programmato e gli ultimi sono i mitocondri in quanto serve energia,
mentre il primo organulo è il nucleo in quanto si blocca la sintesi proteica.

[quando una cellula va in apoptosi la cromatina si compatta e condensa (il filamento si spiralizza su
stesso formando zolle via via più grandi) diventando eterocromatina che si colora, che non è più
funzionante. Il nucleo perde la propria forma perché viene frammentato. Abbiamo eterocromatina
anche quando la cellula si divide e quindi la cromatina si spiralizza per la formazione dei cromosomi,
visibili solo nella metafase mitotica]

[l’eucromatina è quella dispersa e non condensata ed è scarsamente cromofila, quindi non si colora.
È dispersa perché per la trascrizione è necessario che il filamento sia despiralizzato e si apra nella
zona da trascrivere].

I Mitocondri sono in grado di sintetizzare proteine e duplicarsi.

Hanno due caratteristiche:

 Sono in grado di effettuare la sintesi proteica in quanto hanno una molecola di DNA circolare con
pochi geni, specifici per alcune proteine.
 Sono capaci di duplicarsi, dividendosi per scissione binaria.

Producono ATP (adenosintrifosfato, i tre fosfati sono legati con legami ad alto contenuto energetico, in
particolare l’ultimo legame) da una molecola di adenosindifosfato + fosfato + energia, energia proveniente
dalla degradazione di molecole ad alto contenuto energetico e cioè carboidrati proteine e lipidi. Le molecole
di ATP sintetizzate sono usate per le attività energetiche. Le reazioni esoergoniche liberano energia, poi
convertita o in energia di legame utile per produrre ATP oppure viene dissipata sotto forma di calore.

[glicolisi anaerobia avviene nel citoplasma, mentre il ciclo di Krebs avverrà nella camera mitocondriale
interna]

TEORIA SULL’ESISTENZA DEI MITOCONDRI


Secondo la teoria endosimbiotica, i mitocondri sarebbero derivati da batteri, provvisti di sistemi enzimatici
del metabolismo ossidativo entrati in simbiosi con cellule eucariotiche sprovviste di tali sistemi enzimatici.
In origine forse i mitocondri erano batteri in grado di svolgere un processo ossidativo (in presenza di
ossigeno), che poi sono entrati in simbiosi con cellule prive di metabolismo ossidativo, che hanno così poi
ricevuto un metabolismo di tipo ossidativo.

La seconda teoria detta autogena, fa riferimento al DNA. Si ipotizza che il genoma mitocondriale è dovuto
ad un fenomeno di autosegregazione del nucleo: una particella di nucleo si è staccata, determinando la
formazione del mitocondrio.
COME OSSERVARLI
Sono visibili in vivo con il microscopio ottico a contrasto di fase o con quello interferenziale. Si può usare il
colorante verde Janus che colora specificatamente i mitocondri. Si colorano nelle cellule fissate, con
l’ematossilina ferrica o con reazioni citochimiche specifiche per i diversi enzimi contenuti nei mitocondri,
quali citocromossidasi e deidrogenasi.

Al microscopio elettronico appaiono come “cilindretti” allungati dai bordi arrotondati. Appaiono come
trattini o puntini a seconda della forma e di come sono sezionati al microscopio ottico. Al microscopio
elettronico appare come una vescichetta allungata o sferica delimitata da una doppia membrana.

Pellet mitocondriale: prendiamo delle cellule, le centrifughiamo rompendole e con centrifugazioni successive
isoliamo i mitocondri, sfruttando il loro peso molecolare.

STRUTTURA E DISPOSIZIONE
Hanno forma plastica, sferica, bastoncellare o filamentare. Varia a seconda del tipo di cellula. Il diametro è
di circa 0.5-1 µ e una lunghezza di 1-6 µ. Il loro numero all’interno di una cellula dipende dall’intensità
dell’attività cellulare: sono infatti molto presenti nelle cellule epatiche al 30-35% circa. I mitocondri possono
variare in numero, dimensioni e posizione, perché loro svolgono la loro funzione a seconda del momento
funzionale della cellula.

I mitocondri sono distribuiti uniformemente nel citoplasma, ma possono avere anche una distribuzione
particolare, in base alla loro peculiare funzione che è quella di fornire energia lì dove è necessario. Per
questo sono plastici e dinamici perché si devono spostare nelle zone della cellula dove è richiesta energia in
base alla reazione che sta avvenendo. (la coda dello spermatozoo è fatta da una serie di mitocondri che
permettono il movimento).
ESEMPI: 1[in vari elementi ghiandolari si trovano alla base] 2 [nelle cellule dell’epitelio intestinale possono
trovarsi dislocati ai due poli] 3[nella fibra muscolare striata sono allineati tra le miofibrille] 4[nello
spermatozoo formano una guaina elicoidale nel pezzo intermedio della coda] 5[nelle cellule di alcuni tratti di
tubuli renali si trovano a livello delle introflessioni della porzione basale della membrana plasmatica per
fornire l’energia per il trasporto attivo dell’acqua e dei soluti].
Ci sono alcune cellule che svolgono una funzione per cui i mitocondri devono essere collocati sempre in un
punto preciso della cellula, senza potersi spostare nella cellula a seconda della zona che richiede energia. Si
tratta delle cellule che formano l’epitelio monostratificato che forma i tubuli renali. I reni filtrano il sangue
per ricavare urine e materiali di scarto. Le cellule dei tubuli poggiano sul connettivo dove ci sono i vasi
sanguigni, dove passa il sangue che viene filtrato. Le cellule dei tubuli hanno un’attività costante di
endocitosi ed esocitosi e lo fanno attraverso la membrana basale, costituita da pieghe (quando c’è un’intensa
attività di scambio è importante che la cellula abbia un’adeguata superficie di scambio, ampliabile attraverso
la formazione di introflessioni) tra le quali sono incastrati e allineati i mitocondri, che forniscono l’energia
necessaria per l’endocitosi e l’esocitosi.

[negli spermatozoi i mitocondri sono disposti a spirale nella regione intermedia del flagello, intorno
all’assonema (struttura citoscheletrica), fornendo l’energia necessaria per il movimento dello spermatozoo. Il
movimento parte dal collo e poi come un’onda si propaga fino alla parte terminale].

[durante la mitosi si concentrato nella zona del fuso mitotico per essere poi distribuiti in quantità
approssimative uguali nelle due cellule figlie].
ULTRASTRUTTURA DEI MITOCONDRI
Possiedono una parete formata da due membrane, una esterna e una interna, che circoscrivono due spazi
distinti, una camera mitocondriale esterna e una camera mitocondriale interna.

MEMBRANA ESTERNA
Ha uno spessore di circa 6 nm. È molto simile alla membrana del RER e ha un contenuto lipidico più alto
(40-50%) rispetto alla membrana interna (20%). I lipidi sono essenzialmente fosfolipidi di cui il più diffuso è
la fosfatidilcolina.

È una membrana molto permeabile e contiene molte copie della proteina porina che permette il passaggio di
molecole, compresi polipeptidi, con peso molecolare inferiore a 5000 Da.

MEMBRANA INTERNA
Ha uno spessore di 6 nm e si solleva entro la cavità del mitocondrio a formare delle estroflessioni informi,
dette creste; queste possono avere forma lamellare oppure tubulare e possono essere semplici, ramificate o
disposte a formare reti.

La composizione lipidica ricorda quella della membrana dei batteri: contiene infatti cardiolipina ed è quasi
priva di colesterolo. Non è permeabile come la membrana esterna e contiene diverse proteine di trasporto che
controllano selettivamente il passaggio solo di alcune molecole coinvolte nei processi metabolici che
avvengono all’interno del mitocondrio.

Sulle creste sono presenti complessi proteici enzimatici coinvolti nei processi della fosforilazione ossidativa
e del trasporto di elettroni (catena respiratoria), processi terminali della glicolisi, che necessitano di ATP per
avvenire. Questi complessi sono:

 Complesso NADH reduttasi


 Complesso citocromo C reduttasi: il citocromo C riceve gli elettroni ed è una proteina solubile della
camera esterna.
 Complesso del citocromo C ossidasi: riceve gli elettroni dal citocromo C e li trasferisce all’ossigeno.
 Complesso dell’ATP sintetasi: è una protrusione di particelle elementari F0F1 osservabili in seguito
a shock osmotico e a colorazione negativa con molibdato di ammonio. Questo complesso è costituito
da due componenti: F0 un insieme di proteine intrinseche di membrana che formano un canale
protonico, e F1 un complesso globulare di cinque subunità legato a F0, che sporge verso la camera
interna e sintetizza ATP a partire dall’adenosindifosfato e dal fosfato.

CAMERA MITOCONDRIALE ESTERNA


È lo spazio compreso fra le due membrane, la cui ampiezza può variare nelle diverse condizioni fisiologiche
e sperimentali. Quando è stimolata la fosforilazione ossidativa, la camera esterna si allarga e il mitocondrio
assume la cosiddetta forma ortodossa. Quando invece i processi di ossidoriduzione rallentano, la camera
esterna si riduce e il mitocondrio assume la cosiddetta forma condensata.

Durante la fosforilazione ossidativa nella camera esterna si localizzano i protoni: la camera interna pompa
protoni H+ verso la camera esterna contro gradiente di concentrazione (necessita energia), creando un
gradiente protonico. A quel punto i protoni tornano indietro secondo gradiente di concentrazione, liberando
energia e passando attraverso l’ATP sintetasi. Se passassero nella membrana quell’energia sarebbe convertita
in calore, invece così l’energia viene sfruttata per creare i legami tra gli ultimi due gruppi fosfato dell’ATP in
creazione.

CAMERA INTERNA
Contiene un materiale di aspetto finemente granulare, detto matrice mitocondriale. Questo è un gel piuttosto
viscoso, nel quale si trovano enzimi idrosolubili per l’ossidazione degli acidi grassi e per il funzionamento
del ciclo di Krebs. Vi sono anche DNA, RNA, DNA-polimerasi e RNA-polimerasi.
Si trovano granuli densi le cui dimensioni di 30 nm sono in rapporto all’accumulo di cationi bivalenti come il
calcio Ca++ e il magnesio Mg++. È noto che i mitocondri rappresentano uno dei depositi intracellulari degli
ioni calcio più importanti.

In genere l’ampiezza delle camere varia in base al momento funzionale del mitocondrio.

GENOMA MITOCONDRIALE
I mitocondri posseggono un proprio genoma e un proprio apparato sintetico per le proteine, comprendente
rRNA ribosomiale e ribosomi.

Il DNA mitocondriale non è legato a proteine ed è sotto forma di molecole circolari, localizzate nella matrice
e agganciate alla membrana delle creste (interna). La lunghezza del DNA è variabile dai 5-25 µm. Il tipo e il
numero di geni contenuti nel DNA mitocondriale si mantiene costante, dato che essi dipendono dalla
presenza di DNA non informazionale anche di tipo intronico.

I mitocondri degli animali utilizzano un codice genetico differente da quello universale.

La maggior parte delle proteine mitocondriali (membrana esterna e interna, camera interna e esterna) sono
sintetizzate nel citoplasma sotto il controllo del genoma nucleare.

Il genoma mitocondriale comprende i geni per gli rRNA mitocondriali, i geni per 25 tRNA, quelli per una
proteina della subunità ribosomiale maggiore, per tre subunità del citocromo c ossidasi e per una subunità
dell’ATP sintetasi.

I ribosomi dei mitocondri o mitoribosomi hanno dimensioni minori di quelle dei ribosomi eucariotici e
possiedono un coefficiente di sedimentazione pari a 55 S.

DIVISIONE MITOCONDRIALE: SCISSIONE BINARIA


I mitocondri hanno vita variabile a seconda del tipo di cellula, tra i 5-6 o 9-10 giorni. I mitocondri invecchiati
vengono degradati all’interno della cellula stessa mediante autofagocitosi (si forma un autofagosoma),
permessa dai lisosomi che contengono idrolasi.

Al momento della divisione cellulare, i mitocondri sono distribuiti in modo uguale nelle due cellule figlie. Al
termine della citodieresi le due cellule figlie hanno un patrimonio mitocondriale dimezzato rispetto a quello
materno. In fase G1 i mitocondri subiscono un processo di scissione binaria:

1. Il mitocondrio si prepara alla divisione raddoppiando la sua massa e replicando il suo genoma;
2. La divisione inizia con la formazione di una depressione della membrana interna;
3. La fusione della membrana interna è seguita dall’invaginazione.

Questo processo ripristina il loro numero originario e quindi ritornano alle precedenti dimensioni grazie alla
sintesi di tutti i loro componenti che avviene quasi completamente nel citoplasma soprattutto sotto il
controllo del genoma nucleare e solo in parte di quello mitocondriale.

IMPORTAZIONE DELLE PROTEINE NEI MITOCONDRI


I mitocondri sono in grado di sintetizzare alcune proteine in quanto possiedono un genoma autonomo. La
maggior parte delle proteine di questi organuli viene però sintetizzata su informazione del genoma nucleare
da ribosomi liberi nel citoplasma e in seguito viene trasportata alla propria destinazione (nei mitocondri).
Poiché i mitocondri sono circondati da due membrane che delimitano due compartimenti distinti, il sistema
di smistamento delle proteine dovrà distinguere diverse destinazioni.

SEGNALI DI INDIRIZZAMENTO MITOCONDRIALI

Molte proteine destinate ai mitocondri sono dotate di un segnale localizzato all’estremità aminoterminale che
determina l’indirizzamento alla matrice.
INDIRIZZAMENTO ALLA MATRICE

Per il segnale di indirizzamento alla matrice sembra siano importanti le caratteristiche complessive della
sequenza aminoacidica: le sequenze di indirizzamento alla matrice sono ricche di aminoacidi a carica
positiva e di aminoacidi contenenti gruppi ossidrile. Sembra che una caratteristica comune di queste
sequenze sia la capacità di ripiegarsi a formare un’α-elica anfipatica, con i residui a carica positiva allineati
su un lato dell’elica e quelli non carichi sull’altro lato. La sequenza viene rimossa dopo l’inserimento della
proteina nel mitocondrio.

La proteina grazie alla sequenza segnale viene riconosciuta e legata da proteine chaperone, che mantengono
la proteina lineare, in modo non ripiegato (il ripiegamento ostacolerebbe il successivo inserimento attraverso
la membrana mitocondriale).

Il legame alla membrana mitocondriale esterna e il successivo inserimento attraverso di essa nella camera
esterna, avviene mediante complessi proteici detti TOM (traslocatore della membrana esterna). Il successivo
passaggio attraverso la membrana interna per giungere alla camera interna o matrice è mediato da complessi
proteici detti TIM (traslocatori della membrana interna). Una volta giunta nella matrice, l’enzima proteasi
taglia la sequenza segnale. Permettendo alla proteina di scivolare interamente nella matrice.

Sperimentalmente si può osservare come l’inserimento delle proteine nella matrice avvenga nei punti di
contatto tra le due membrane, ovvero nei siti in cui i due traslocatori si allineano e la membrana esterna e
quella interna si trovano strettamente ravvicinate. Al microscopio ottico si possono osservare puntini neri che
corrispondono ad una marcatura, dovuta al legame tra la proteina antigene e l’anticorpo usato per
identificarla. (Come marcatore viene usato un metallo pesante fortemente elettrondenso come sferette d’oro
che si legano all’anticorpo per identificare la proteina TOM e la proteina TIM).

La proteina viene trascinata attraverso il canale di traslocazione grazie alla proteina chaperone che sfrutta
l’energia dell’ATP e la differenza di potenziale tra i due lati della membrana: si pensa che gli aminoacidi a
carica positiva presenti nella sequenza segnale per la matrice vengano attratti dalla carica negativa presente
all’interno del mitocondrio.

INDIRIZZAMENTO NELLO SPAZIO INTERMEMBRANA

Le proteine destinate allo spazio intermembrana o camera esterna possono seguire due diversi meccanismi
che si servono delle sequenze segnale.

1. La proteina possiede due sequenze segnale, una per la matrice e l’altra per la camera esterna. Per
prima cosa la proteina raggiunge la matrice secondo il processo prima descritto e quindi la proteasi
stacca la sequenza e permette alla proteina di scivolare nella matrice. Successivamente subisce un
trasporto in direzione inversa passando attraverso traslocatori specifici posti sulla membrana interna
che riconoscono il secondo segnale per la camera esterna. A quel punto la proteasi stacca il secondo
segnale e la proteina scivola nella camera esterna.

2. La proteina possiede due sequenze, una per la matrice e l’altra per lo spazio intermembrana; questa
seconda sequenza di indirizzamento funziona come una sequenza segnale d’arresto della
traslocazione (analogamente a quanto avviene nel caso del RER per le proteine destinate ad essere
inserite nella membrana plasmatica). Dopo che la proteina ha attraversato TOM, inizia a passare
attraverso TIM, ma la traslocazione si interrompe quando nel canale giunge la porzione con la
sequenza d’arresto. A quel punto la proteina diffonde lateralmente con la sequenza d’arresto
incastrata nel bilayer fosfolipidico, la sequenza per la matrice (NH3+ terminale) inserita nella camera
interna e la porzione carbossiterminale nella camera esterna. La proteasi stacca la sequenza segnale
d’arresto permettendo alla proteina di staccarsi e di rimanere nello spazio intermembrana/camera
esterna.
Alcune piccole proteine, come il citocromo C, possono raggiungere lo spazio intermembrana senza
l’intervento di trasportatori o segnali specifici. Passano semplicemente attraverso piccoli pori o canali
formati dalla proteina porina che garantisce notevole permeabilità alla membrana esterna. Il citocromo C è
responsabile del trasferimento degli elettroni da un enzima all’altro, durante la catena respiratoria del
trasporto di elettroni della fosforilazione ossidativa, che avviene nella membrana interna. Il citocromo C non
può mai uscire dal mitocondrio. La sua fuoriuscita è impedita dal cambio conformazionale che la proteina
subisce quando il gruppo eme si lega ad essa.

INDIRIZZAMENTO ALLE MEMBRANE MITOCONDRIALI

Alcune proteine destinate alla membrana esterna presentano una sequenza di indirizzamento alla matrice,
seguita da una sequenza di aminoacidi idrofobici (la etichettano come proteina per la membrana esterna).
Questa sequenza di aminoacidi agisce come segnale d’arresto nel passaggio attraverso TOM, dopo che la
sequenza per la matrice ha già attraversato TOM. Dopo che la proteasi taglia la sequenza segnale, la
sequenza d’arresto interagisce con TOM e permette alla proteina diffondere nel bilayer, senza attraversare la
camera esterna e il TIM.

Le proteine destinate alla membrana interna, prima raggiungono la matrice passando per TOM e TIM,
successivamente vengono trasferite alla membrana interna mediante un complesso proteico posto nella
membrana interna e chiamato OXA, il quale interviene anche per l’inserimento delle proteine sintetizzate
autonomamente dal mitocondrio. In altri casi viene usato un sistema simile a quello per le proteine della
camera esterna: la proteina presenta un segnale di inserimento nella matrice e un segnale di arresto del
trasferimento in grado di mantenere la proteina ancorata alla membrana interna.

FUNZIONE DEI MITOCONDRI: METABOLISMO ENERGETICO

Gli organismi autotrofi sintetizzano la componente organica, invece gli eterotrofi hanno bisogno di
componente organica introdotta, che viene metabolizzata.

La funzione principale dei mitocondri è quella di compiere le trasformazioni energetiche indispensabili per le
funzioni cellulari.

Per metabolismo energetico si intende l’insieme di reazioni chimiche che liberano l’energia necessaria ai
processi di biosintesi e alla produzione di lavoro e di calore. Le reazioni esoergoniche (che liberano energia)
sono dette cataboliche e a queste appartengono le reazioni del metabolismo energetico, mentre le reazioni
endoergoniche (che richiedono energia) sono dette anaboliche come quelle del metabolismo biochimico.

L’elemento comune è l’ATP o adenosintrifosfato, unica molecola energetica capace di essere utilizzata da
tutti gli apparati cellulari. È un nucleotide formato dalla base azotata adenina, dal ribosio e da tre radicali
fosforici. L’ATP cede facilmente l’energia contenuta nel legame tra il secondo e terzo legame fosforico,
trasformandosi in una molecola a più basso livello energetico, l’ADP che viene ceduta al citoplasma.

L’ADP deve essere riconvertito in ATP: a questo punto intervengono i mitocondri, vere e proprie centrali
energetiche. Essi recuperano le molecole di ADP e le restituiscono al citoplasma sotto forma di ATP. Per far
questo devono disporre di una fonte di energia che prelevano dalla demolizione di molecole carboniose
(zuccheri, grassi, proteine) i cui legami C-C e C-H sono ossidati ad anidride carbonica e acqua, rilasciando
notevoli quantità di energia chimica.

Questa ossidazione avviene in tre tappe, ciascuna delle quali è caratterizzata da numerose reazioni chimiche:

1. Glicolisi: nella matrice citoplasmatica;


2. Ciclo di Krebs: nella matrice mitocondriale;
3. Fosforilazione ossidativa: creste mitocondriali.
GLICOLISI

La prima fase di scissione del glucosio è detta glicolisi, avviene nella matrice citoplasmatica ed è anaerobia
(in assenza di ossigeno). La molecola di glucosio (6 atomi di C), ricca di energia, viene scissa in due
molecole di acido piruvico/piruvato (3 atomi di C). Ciò avviene mediante una serie di reazioni che liberano
energia poco per volta: ciò permette alle cellule di conservare una grande quantità di tale energia sotto forma
di energia chimica utilizzabile ATP. Se al contrario l’energia venisse dissipata sotto forma di calore la cellula
non potrebbe servirsene per ricavarne energia e nuova molecole organiche.

 Il primo passaggio è la fosforilazione del glucosio, durante la quale enzimi esochinasi catalizzano il
legame di un gruppo fosfato ceduto dall’ATP alla molecola di glucosio, con la formazione di
glucosio-6-fosfato.

 Il glucosio-6-fosfato si trasforma in fruttosio-6-fosfato che viene fosforilato usando una molecola di


ATP, a fruttosio-1,6-difosfato.

 Questo composto è instabile, perciò viene scisso in due molecole: gliceraldeide-3-fosfato e


diidrossiacetone fosfato subito trasformato in gliceraldeide 3-fosfato.

 Nella sesta reazione, la gliceraldeide-3-fosfato viene ossidata, mediante una reazione di


deidrogenazione che vede la riduzione di un NAD + il quale acquista un protone e due elettroni,
diventando NADH.

 La settima reazione è una fosforilazione a livello del substrato*: l’1,3 fosfoglicerato cede un gruppo
fosfato all’ADP che diventa ATP.

*la fosforilazione a livello del substrato è un tipo di reazione che genera una molecola di ATP tramite il
trasferimento diretto su una molecola di ADP di un gruppo fosfato proveniente da una molecola ad alta
energia, cioè una reazione di idrolisi, che porta alla cessione del fosfato, è fortemente esoergonica. Si tratta
di una reazione catabolica. In pratica, un composto fosforilato (contenente un gruppo fosfato) cede il
proprio fosfato a una molecola di ADP trasformandola in ATP. L’ATP che si genera nella glicolisi rispetta
questo procedimento*

 Nell’ottava reazione il gruppo fosfato del glicerato passa dal carbonio 3 al carbonio 2.

 Nella nona reazione il 2-fosfoglicerato si trasforma in fosfenolpiruvato, con la formazione di due


molecole di acqua.

 L’ultima reazione consta di un’altra fosforilazione con l’aggiunta di un gruppo fosfato ad una
molecola di ADP che diviene ATP; il fosfato deriva dal fosfenolpiruvato che si è trasformato in
piruvato. Alla fine, si generano due molecole di piruvato a 3 atomi di carbonio.

Durante la glicolisi nelle prime tre tappe vengono consumate 2 molecole di ATP, mentre nelle ultime tre
tappe si formano 4 molecole di ATP, di cui però 2 molecole vengono riutilizzate nelle prime fasi della
degradazione del glucosio, in quanto si tratta comunque di un processo di idrolisi, che necessita di energia
per avvenire. Il guadagno netto, quindi, è di 2 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio. Allo stesso
tempo ogni molecola di glucosio permette la formazione di 2 molecole di NADH.

L’equazione totale della glicolisi è:

C6H12O6 + 2P + 2ADP + 2NAD+  2C3H4O3 + 2ATP + 2NADH + 2H2O

Due molecole di NAD+ invece sono ridotte (acquistano protoni) a NADH. Le riserve cellulari di NAD + sono
poche e quindi è necessario che il NADH venga rapidamente riossidato e cioè ceda protoni H + per tornare
alla condizione di NAD+.
!!! la produzione di energia è legata a processi di ossidoriduzione, come quelli del NAD+ e del NADH, nei
quali una sostanza riducente si ossida (cede elettroni o protoni H+) e l’altra sostanza ossidante si riduce
(riceve elettroni o protoni H+ dalla sostanza riducente).

!!! I processi ossidativi che avvengono nella cellula possono essere:

 Anaerobici, dove l’agente ossidante è una molecola organica;


 Aerobici, dove l’agente ossidante è l’ossigeno. Se l’ossigeno accetta protoni di idrogeno, si riduce,
dando come prodotto l’acqua.

A questo punto la glicolisi può prendere due vie: anaerobia o aerobia.

 Fase aerobia: prosegue con ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa nei mitocondri.
 Fase anaerobia: il NADH viene riossidato a spese del piruvato. Possiamo avere la fermentazione
alcolica se le molecole di piruvato vengono trasformate in alcol (è il caso di organismi che vivono in
assenza di ossigeno come i lieviti) e possiamo avere la fermentazione lattica quando il piruvato viene
ridotto ad acido lattico. ESEMPIO: le cellule delle fibre del muscolo scheletrico possono ricorrere
alla sola glicolisi per procurarsi energia per brevi periodi durante una contrazione prolungata. La
presenza di acido lattico determina uno stato di intossicazione cellulare che si traduce in dolori
muscolari.

Il rendimento energetico della glicolisi anaerobia è molto basso: si ricavano 2 molecole di ATP e 2 molecole
di NADH e 2H2O.

CICLO DI KREBS

In presenza di ossigeno l’acido piruvico (o


piruvato) si trasforma in radicale acetato
(composto a 2 atomi di C; in questa reazione
viene liberata una molecola di C che si
legherà all’ossigeno liberando una molecola
di CO2). Il radicale acetato legandosi al
coenzima A, formerà l’aceticoenzima A.
Questo composto deve attraversare le
membrane mitocondriali raggiungendo la
matrice dove innescherà il ciclo degli acidi
tricarbossilici o ciclo di krebs, che consta di 8
reazione di ossidoriduzione.

Una volta nella matrice mitocondriale


l’acetato viene decarbossilato e deidrogenato
dai vari enzimi solubili contenuti in essa, con
produzione di CO2 e di coenzimi ridotti come
FADH2 e NADH.

Il ciclo inizia ufficialmente con l’unione


dell’acetilCoA con 1 molecola di ossalacetato (composto a 4 atomi di C), formando il citrato/acido citrico
(a 6 atomi di C). L’acido citrico attraverso 8 reazioni consecutive viene degradato e dà luogo ad una nuova
molecola di ossalacetato e libera 2 atomi di C sotto forma di anidride carbonica. Inoltre, va a ridurre (cede
protoni) molecole organiche dette accettori d’idrogeno.

Ogni volta che si completa un ciclo di Krebs, si producono 2 molecole di CO 2 a partire da 2 atomi di C
dell’acetilCoA. L’asportazione di elettroni ad alta energia dalla molecola di acetilCoA si accompagna alla
riduzione di tre molecole del coenzima NAD+ e una del coenzima FAD, quindi 3NADH e 1FADH2.
L’importanza del ciclo di Krebs sta proprio nella produzione di NADH e FADH 2 che per riossidarsi devono
cedere idrogeno alla catena respiratoria o catena di trasporto degli elettroni, i cui componenti si trovano sulla
membrana mitocondriale interna (creste).

IMPORTANTE: è fondamentale ricordare che stiamo considerando solo una molecola di acido piruvico ma
dal glucosio si formano 2 molecole di piruvato e quindi bisogna moltiplicare la resa x2.

L’equazione del ciclo di Krebs è:

Ossalacetato + acetil-CoA + ADP + P + 3NAD+ + FAD Ossalacetato + 2CO2 + CoA + ATP + 3NADH
+ 3H+ + FADH2

FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA

La produzione di ATP mediante la fosforilazione


ossidativa è stata spiegata dalla teoria
chemiosmotica.

Tale teoria prevede che l’energia necessaria per


caricare una molecola di ADP trasformandola in
ATP derivi dal gradiente elettrochimico che si
crea, grazie alle differenze nella concentrazione
di protoni H+, tra le due camere mitocondriali (i
protoni sono maggiormente concentrati nella
camera esterna).

L’energia legata a tale gradiente elettrochimico viene sfruttata dall’enzima fosforilativo ATP sintetasi, che
forma la particella F1 situata sulla membrana interna.

Gli enzimi della catena respiratoria hanno il solo compito di pompare i protoni, pervenuti con le molecole di
NADH e FADH2, fuori della membrana mitocondriale (nella camera esterna). Il flusso protonico di ritorno
mette in azione le ATP sintetasi fornendo l’energia necessaria per compiere la trasformazione di ADP in
ATP.

La proprietà chiave quindi dell’enzima preposto alla fosforilazione ossidativa è quella di poter utilizzare
l’energia del gradiente di concentrazione protonica per trasferirla, come energia di legame, all’ATP.

Il flusso protonico che attiva l’ATP sintetasi è garantito dagli enzimi della catena respiratoria capaci di
espellere protoni attraverso la membrana stessa (che però non è attraversata dagli elettroni). Questi enzimi
collegano i coenzimi ridotti, derivati dal ciclo di Krebs, con l’ossigeno molecolare O 2 introdotto con la
respirazione; quest’ultimo accetta elettroni e una parte dei protoni formando acqua.

All’inizio del processo di trasporto degli elettroni, il coenzima ridotto NADH viene riossidato a NAD + ad
opera del complesso NADH-Co reduttasi e il FADH2 viene riossidato a FAD mediante il complesso
succinato-Co reduttasi. Questi due complessi cedono l’idrogeno all’ubichinone.

A livello della NADH-Co reduttasi si determina una caduta di potenziale che produce energia libera, la quale
è utilizzata per trasferire 4 protoni dalla matrice alla camera esterna per ogni molecola di NADH ossidato.

La successiva riossidazione dell’ubichinone avviene grazie al complesso citocromo c reduttasi, al quale


l’ubichinone cede gli elettroni, mentre i protoni sono pompati nella camera esterna.

Gli elettroni provenienti dall’ubichinone sono trasferiti al citocromo b e quindi al citocromo c1. Da
quest’ultimo gli elettroni passano al citocromo c, che diventa citocromo c ridotto; questo si riossida
trasferendo gli elettroni al complesso della citocromo c ossidasi che li passa alla molecola di ossigeno.
La molecola di ossigeno, avendo acquisito elettroni, diviene in grado di reagire con l’idrogeno e di formare
quindi molecole d’acqua.

Ai due capi della lunga catena di trasporto degli elettroni si verifica un’ampia caduta del potenziale di
ossidoriduzione, la quale si traduce in una differenza di pH (acido nella camera esterna per l’elevata presenza
di protoni), mettendo in moto la pompa protonica si attiva quindi la fosforilazione ossidativa.

Ciò avviene perché l’elevata concentrazione di protoni nella camera esterna causa un flusso di queste
particelle attraverso la particella F0 che è una proteina canale.

Questo flusso di protoni secondo gradiente di concentrazione libera energia che è utilizzata dalla particella
F1 per sintetizzare ATP a partire da ADP e fosfato.

Altre considerazioni
Le reazioni di ossidazione della glicolisi e del ciclo di Krebs non richiedono ossigeno. L'ossigeno serve per
l'ultima fase della respirazione cellulare, la catena respiratoria, nella quale l'energia contenuta nel NADH e
nel FADH2, formatisi nella glicolisi e nel ciclo di Krebs, viene utilizzata per produrre ancora ATP. I due
coenzimi ridotti si ossidano nuovamente affinché possano cedere gli elettroni alla catena respiratoria, la
quale è composta da proteine trasportatrici collocate lungo la membrana che costituisce le creste
mitocondriali, ognuna delle quali fa passare gli elettroni a un livello energetico sempre più basso. L'energia
che gli elettroni perdono progressivamente, passando da un trasportatore all'altro, viene utilizzata per
produrre ATP: l'ossidazione del NADH produce 3 molecole di ATP, quella del FADH 2 ne produce 2.
I componenti più importanti della catena respiratoria sono i citocromi, molecole che, potendo esistere in una
forma ossidata e ridotta, fungono dai trasportatori degli elettroni. L'ultimo citocromo della catena cede gli
elettroni all'ossigeno, che è dunque l'accettore finale, trasformandolo in acqua.

La produzione di ATP accoppiata al trasporto degli elettroni nella catena respiratoria è detta fosforilazione
ossidativa, e avviene grazie a un meccanismo di accoppiamento chemiosmotico: durante il trasporto degli
elettroni, i protoni (ioni H+) sono pompati nello spazio tra le due membrane mitocondriali, cioè nella camera
esterna, sviluppando così un gradiente elettrochimico tra le due camere mitocondriali: quindi avremo una
situazione che presenta un alto livello di protoni nella camera esterna, che ha quindi un pH basso, e un basso
livello di protoni nella matrice che ha un pH alto. Questa differenza di concentrazione elettronica è
necessaria per l'attivazione dell'ATP sintetasi, collocata sulla membrana interna. Successivamente gli ioni H +
rientrano nella matrice e il loro flusso (che avviene secondo gradiente) fornisce l'energia necessaria per
sintetizzare l'ATP a partire da ADP e fosfato.
BILANCIO ENERGETICO DELLA DEMOLIZIONE DEL GLUCOSIO
Dall'ossidazione completa di una molecola di glucosio si ottengono 38 molecole di ATP; di queste solo 2
derivano dalla glicolisi aerobica. Le restanti 36 sono prodotte dalla respirazione cellulare, in particolar
modo dalla fosforilazione ossidativa, che è la via più efficiente per liberare l'energia contenuta nel
glucosio.
Tuttavia, la quantità di 38 molecole di ATP è una stima di massima: infatti i processi di trasporto delle
diverse molecole coinvolte richiedono consumo di energia, quindi la resa effettiva è pari a circa 30-32
molecole di ATP per ogni molecola di glucosio.
IL BILANCIO TOTALE DELLA DEMOLIZIONE AEROBICA DEL GLUCOSIO CORRISPONDE:

Delle 686 kcal liberate dall'ossidazione, 266 sono utilizzate per sintetizzare l'ATP, mentre le restanti
sono disperse nell'organismo sottoforma di calore. Dunque, il rendimento energetico dell'intero
processo è pari al 40% circa.
ALTRE FUNZIONI DEI MITOCONDRI

 Accumulo ioni calcio: questo è legato al potenziale di membrana prodotto dai processi di
ossidoriduzione che avvengono lungo la catena di trasporto degli elettroni ed è importante per molte
funzioni cellulari.
 Partecipazione alla sintesi di ormoni steroidi dovuta alla presenza sulle creste di enzimi che operano
nel distacco della catena laterale del colesterolo.
 Gluconeogenesi: consiste nella produzione di glucosio da precursori non glucidi. È importante che la
quantità di glucosio intracellulare sia controllata e mantenuta a livelli ottimali. L’omeostasi del
glucosio può tener conto anche delle riserve di glicogeno. Quando queste riserve sono esaurite,
scatta la gluconeogenesi.
 Ossidazione degli acidi grassi a opera di enzimi della matrice mitocondriale che porta alla
formazione di acetilCoA, NADH e FADH 2.
 Associazione reversibile di alcuni enzimi come le esochinasi alla membrana esterna, che regolano
alcune vie metaboliche citoplasmatiche, come la glicolisi.
 Limitata sintesi proteica.
 Nei mitocondri di alcune cellule, come quelle del grasso bruno degli animali ibernanti, può avvenire
il disaccoppiamento tra la fosforilazione e l’ossidazione con conseguente produzione di calore.
ESEMPIO [negli adipociti del tessuto bruno degli animali che si ibernano avviene il
disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa nei mitocondri. Qui non funziona l’enzima per
sintetizzare ATP detto ATPsintetasi. Quindi l’energia viene dissipata sotto forma di calore, perché
non si creano i legami ADP+P. Il metabolismo per avvenire ha bisogno di una certa temperatura 37°.
Quando un animale va in ibernazione deve abbassare la sua temperatura corporea per rallentare il
metabolismo e non sprecare nulla. Quando si sveglia il metabolismo deve riaccendersi e nelle riserve
di tessuto bruno tutto il grasso viene degradato e usato come sorgente energetica, alzando la
temperatura corporea perché dissipa calore].
LISOSOMI
Sono grosse vescicole contenenti enzimi litici che intervengono nei diversi processi di digestione cellulare.

Dal Golgi gemmano vescicole contenente enzimi lisosomiali o enzimi idrolasi (proteasi, lipasi, glicolasi e
nucleasi), in quanto scindono le molecole addizionando acqua (inverso a reazioni di condensazione).

Le vescicole sono rivestite da membrane per evitare che gli enzimi digeriscano l’intera cellula. Gli enzimi
litici lisosomiali funzionano solo in presenza di un pH acido (per questo sono detti idrolasi acide) e quando
vengono portati dal RER al Golgi, nella cisterna CIS subiscono una marcatura che consiste nell’agganciare
un gruppo fosfato al mannosio. Questo determina il fatto che questi enzimi sono già identificati come idrolasi
acide nella faccia CIS. Questa mappatura sarà presente anche quando gemmerà la vescicola idrolasica dalla
faccia TRANS. Quando nella vescicola si creerà un pH acido 6,5 e avverrà il distacco del fosfato dal
mannosio, l’enzima sarà pronto. Il lume del lisosoma è acidificato grazie alla presenza nella sua membrana
di pompe protoniche che consumando ATP aumentano la concentrazione interna dei protoni H+, fino a
raggiungere il valore di pH ottimale.

Questi enzimi digeriscono tutte le sostanze, sia provenienti dall’esterno sia della cellula stessa, da degradare
scindendo i polimeri i monomeri riutilizzabili nel metabolismo cellulare.

I macrofagi sono cellule specializzate nel processo di digestione di tutto ciò che è estraneo e infatti
contengono molti lisosomi. I macrofagi provengono dal sangue (monociti) e sono globuli bianchi che
agiscono a livello dei tessuti connettivi, che sono vascolarizzati. Fagocitano tutto ciò che potrebbe
danneggiare l’organismo attraverso riconoscimento di antigeni estranei.

Si possono osservare con il microscopio elettronico, mediante metodi istochimici, specie con la reazione per
la fosfatasi acida, enzima molto presente nei lisosomi. (si può usare un marcatore detto fluorocromo come
rodamina che emette fluorescenza rossa e la fluoresceina che emette fluorescenza verde). Al microscopio
elettronico hanno un aspetto eterogeneo.

Il numero di lisosomi presenti in una cellula varia a seconda della più o meno intensa attività di endocitosi.
Questi organuli si presentano in genere con una forma tondeggiante e un diametro di 0,2-1 µm.

I lisosomi primari si presentano più piccoli, più elettrondensi in modo uniforme e omogeneo e appaiono più
neri, perché contengono solo la componente enzimatica. Quando si fonde con un'altra vescicola forma un
lisosoma secondario con struttura eterogena ed eterogeneamente elettrondensa. Sono più grandi.

5
Particolare di citoplasma di epatocita con esteso Particolare di citoplasma di cellula epiteliale
reticolo endoplasmatico liscio (1), poliribosomi (2), ghiandolare con lisosomi secondari (1),
lisosomi primari (3) e mitocondri (4). 28.000X. mitocondri (2), reticolo endoplasmatico liscio (3),
granuli di secreto sieroso (4) e nucleo (5).
22.000X.
I lisosomi primari si formano dalla maturazione delle vescicole idrolasiche. Sono glicoproteine che nel Golgi
subiscono l’aggancio del fosfato al mannosio. Si tratta di N-glicosilazione che prevede l’aggancio di 14
zuccheri di cui 9 mannosi (attraverso il dolicolo fosfato) e nel Golgi vede la fosforilazione del mannosio che
viene appunto legato al fosfato (marcatore).

[o-glicosilazione è delle mucine e quindi del secreto mucoso; n-glicosilazione è degli enzimi]

I lisosomi secondari o vacuoli digestivi derivano dalla fusione tra il lisosoma primario e una vescicola
(fagosoma) che contiene il contenuto da digerire. Queste vescicole possono:

 Vacuoli digestivi: provengono dall’esterno e si parla di eterofagia; si tratta o di fagocitosi se


contengono sostanze solide o di pinocitosi se contengono sospensioni liquide e quindi molecole;
 Organulo citoplasmatico: si parla di autofagia quando la vescicola da degradare si forma nella
cellula e possiede contenuto cellulare da demolire;
 Granulo di secreto: si parla di crinofagia.

FENOMENO DELL’ENDOCITOSI

 FAGOCITOSI: tutti gli elementi e le sostanze vengono racchiuse in un fagosoma e poi in esso verranno
riversati enzimi digestivi lisosomiali. È probabile che per la fagocitosi sia necessario il riconoscimento
del materiale da fagocitare da parte di specifici recettori di membrana. Spesso il riconoscimento è
indiretto come nel caso dei macrofagi che mediante appositi recettori, riconoscono e fagocitano i
microrganismi infettanti dopo che questi sono stati rivestiti dagli anticorpi prodotti dall’organismo in
risposta all’infezione. In altri casi il riconoscimento può essere diretto, grazie al legame di recettori del
fagocita con specifici oligosaccaridi presenti sulla superficie di alcuni batteri. Dopo l’adesione con il
fagosoma, la membrana della cellula si solleva in pieghe o in pseudopodi che svolgono un’azione
avvolgente, mentre la porzione di membrana sottostante alla particella si introflette, trascinando infine il
contenuto verso l’interno, contenuto in un fagosoma. È anche possibile la fagocitosi di strutture assai
grandi, grazie alla cooperazione di numerosi macrofagi che si fondono insieme per creare une cellula
gigante multinucleata da corpo estraneo (sincizio).

 PINOCITOSI: assunzione di gocciole di liquido; in base alla dimensione delle gocciole possiamo avere
macropinocitosi (microscopio ottico) e micropinocitosi (microscopio elettronico).

 ENDOCITOSI MEDIATA DA RECETTORI: si formano invaginazioni della membrana plasmatica che


inglobano determinate molecole, grazie al legame di queste con specifici recettori di membrana. Le
molecole endocitate, racchiuse in un endosoma precoce, sono avviate alla digestione lisosomiale. Nella
membrana degli endosomi precoci vengono inserite proteine specializzate, tra cui le pompe protoniche,
che sono probabilmente trasportate all’endosoma, mediante vescicole provenienti dall’apparato di Golgi,
diverse dalle vescicole idrolasiche. L’attività delle pompe protoniche determina l’acidificazione degli
endosomi precoci, che divengono endosomi tardivi, destinati a fondersi con le vescicole idrolasiche. Il
risultato di questa fusione è un endolisosoma, che si trasforma in un vero lisosoma. Un modello accettato
prevede la fusione delle vescicole idrolasiche provenienti dall’apparato di Golgi con un endosoma
tardivo. Nel caso di fagocitosi o di autofagia si pensa che un fagosoma o un endofagosoma si fondano
con un lisosoma primario (già formatosi), oppure direttamente con vescicole idrolasiche, venendo a
formare un fagolisosoma.

 AUTOFAGIA: vengono avviate alla digestione lisosomiale parti della cellula danneggiate, obsolete o
non più utili. La struttura da digerire viene circondata da una membrana forse derivante dal RER per
formare un autofagosoma e viene portata a contatto con gli enzimi lisosomiali. Particolarmente notevoli
sono i fenomeni di autofagia che insorgono durante il differenziamento cellulare: un esempio è dato dai
globuli rossi che nelle loro forme immature (eritroblasti), contengono tutti gli organuli tipici di una
cellula; dapprima viene espulso il nucleo e in seguito sono eliminati per autofagia tutti gli organuli fino a
produrre un eritrocita maturo. È interessante anche il caso di autofagia in occasione di digiuno
prolungato: alcune cellule per sopravvivere, digeriscono per autofagia alcune loro componenti non vitali
per ricavare energia e materia prima per funzioni indispensabili.
Con corpi residui si intendono i lisosomi secondari che contengono materiale non digerito, possono restare
all’interno della cellula oppure venire espulsi. Nel sistema nervoso formano le lipofuscine che restano nel
citosol.

La quantità di lisosomi varia in base al tipo di cellula e sono numerosi nei macrofagi, nei granulociti e nei
monociti, dove svolgono funzioni di difesa mediante la fagocitosi.

BIOGENESI DEI LISOSOMI

Le idrolasi lisosomiali sono glicoproteine caratterizzate da catene oligosaccaridiche con una marcatura
specifica rappresentata dal mannosio 6-fosfato: M6P, che ha il ruolo di segnale nel controllo di smistamento
del lisosoma. La fosforilazione del mannosio avviene nella faccia CIS.

La marcatura M6P rappresenta un segnale necessario e sufficiente per la destinazione lisosomiale. La


reazione che porta alla fosforilazione del mannosio si svolge in più tappe: in un primo momento viene legato
al mannosio uno zucchero fosfato, N-acetilglicosamina fosfato che si lega al mannosio tramite il fosfato; in
una seconda tappa viene eliminato il residuo di N-acetilglucosamina e sul mannosio rimane legato il fosfato.
È l’enzima che catalizza la prima reazione che assicura che soltanto le proteine lisosomiali abbiano etichetta
M6P. La reazione avviene quando la proteina è ancora nel CIS Golgi e quindi nella fase iniziale del processo
post-traduzionale. Il fosfato impedisce che il mannosio a cui è legato possa essere successivamente rimosso.

L’enzima marcato viene riconosciuto da recettori sulla membrana del Golgi, includendolo in una vescicola
idrolasica gemmata dalla faccia TRANS. Contestualmente dall’apparato del Golgi gemma una seconda
vescicola che contiene un elevato numero di pompe protoniche (trasportatori di membrana che pompano
ioni H+ e quindi mantengono il livello di pH, fondamentale per la vita del lisosoma) ed enzimi. Nel
frattempo, sulla membrana plasmatica per endocitosi si forma una vescicola di membrana detta endosoma
precoce che si fonde con la vescicola con le pompe protoniche ed enzimi, che deriva dal Golgi. Queste due
vescicole vanno a formare un endosoma tardivo. L’endosoma tardivo si fonderà con la vescicola idrolasica
dando vita all’endolisosoma (enzimi idrolitici; pompe protoniche sulla membrana vescicolare, enzimi che
rimuovono la fosfatasi; ambiente acido ottimale: pH 3-5) che costituisce il sistema lisosoma primario che si
andrà ad unire alla vescicola da digerire, diventando lisosoma secondario. Quando accade, si attivano le
pompe protoniche che fanno entrare ioni H+ rendendo acido l’ambiente, permettendo l’attivazione delle
idrolasi. I lisosomi primari. Contengono più di 40 idrolasi fra i quali la fosfatasi acida che funziona da
marcatore per il lisosoma.

Lisosomi primari (PL) e secondari (SL).


Le vescicole idrolasiche gemmano nel TGN (trans Golgi network) e il recettore riconosce il mannosio 6-
fosfato. La zona del TRANS che possiede i recettori per gli enzimi idrolasi presenta la proteina clatrina. Il
rivestimento di clatrina viene perso non appena la vescicola gemma. A quel punto la vescicola trasloca verso
l’endosoma tardivo con le componenti necessarie per attivare gli enzimi idrolasi.

Maturazione delle proteine lisosomiali:

1. Marcatura nel CIS Golgi del M6P;


2. Legame al recettore del M6P nel TGN;
3. Gemmazione delle vescicole lisosomiali mediate dalla clatrina;
4. Traslocazione delle proteine lisosomiali all’endosoma tardivo;
5. Acidificazione delle idrolasi;
6. Attivazione delle proteine lisosomiali tramite rimozione del fosfato;
7. Riciclaggio dei recettori del M6P.

Endosoma tardivo

Le vescicole idrolasiche che gemmano dal TGN non provocano autolisi in quanto:

 Il fosfato legato al mannosio inattiva tutte le idrolasi;


 Il pH è di circa 6.5, mentre il pH ottimale è tra 3-5;
 Scarsità di acqua (si idrata quando diventa endolisosoma);
 Membrana resistente all’azione delle idrolasi.

LISOSOMI SECONDARI

Originano dalla fusione di lisosomi primari con vacuoli, detti fagosomi, contenenti materiali di diversa
natura, che possono avere due origini:

 Esterna: son detti eterofagosomi;


 Interna: autofagosomi.

In seguito alla fusione delle membrane del lisosoma primario e del fagosoma vengono riversati in
quest’ultimo gli enzimi litici del lisosoma.

Quando si creano gli autofagosomi, essi partecipano al rinnovo o turnover di alcune strutture cellulari, da
recuperare per riciclare le componenti base per sintetizzare nuove molecole, come fosfolipidi.

I prodotti che derivano dalla digestione enzimatica passano per diffusione nel citoplasma dove vengono
metabolizzati.

I materiali non digeriti dagli enzimi, ovvero i corpi residui, rimangono all’interno dei lisosomi secondari.

In alcune cellule i corpi residui possono essere espulsi mediante un processo di esocitosi.

In altri casi i corpi residui si accumulano generando ammassi pigmentati, detti lipofuscine. Questo accade
specie nelle cellule nervose invecchiate.
Quelle piccole in viola sono cellule della
glia che forniscono un supporto
trofomeccanico alle cellule nervose.

Quelle marroni sono le lipofuscine.

Per quanto riguarda i lisosomi primari va aperta una piccola parentesi: la vescicola idrolasica deve fondersi
generalmente con ciò che deve digerire. Ci sono però delle eccezioni in alcune cellule:

 Osteoclasti: il tessuto osseo possiede cellule costituite da osteoblasti e osteociti che rappresentano lo
stesso tipo di cellula in due momenti funzionali differenti; l’osteoblasto è la cellula che produce la
matrice ossea. La sostanza ossea viene mineralizzata. Gli osteoblasti si dividono mitoticamente e le
cellule che ne derivano si trasformano in osteociti, che migrano verso il centro del tessuto osseo dove
sta avvenendo la mineralizzazione e rimangono lì incastrati. Gli osteociti non si possono quindi
riprodurre ma continuano a secernere. Con loro collabora la tiroide: le cellule c producono la
calcitonina antagonista del paratormone (prodotto dalle paratiroidi). Questi due ormoni sono detti
antagonisti, perché la calcitonina induce il deposito di calcio, quindi nuova matrice ossea mentre il
paratormone richiama calcio dalle ossa inducendo l’erosione della matrice stessa. Per richiamare il
calcio bisogna erodere la matrice ossea e qui intervengono i macrofagi, detti osteoclasti nel tessuto
osseo, che riversano all’esterno della cellula nella matrice ossea gli enzimi idrolitici. Azione
lisosomiale esterna alla cellula.
 Cellule del trofoblasto: quando l’embrione (blastula) in formazione arriva nell’utero, esso deve
scavare nella parete uterina ed entrare all’interno per prendere contatto con i vasi sanguigni della
madre. Queste cellule riversano gli enzimi idrolitici facilitando l’entrata dell’embrione.

 Spermatozoi: nella testa c’è il nucleo e l’acrosoma, una vescicola che riveste il nucleo. Lo
spermatozoo riversa gli enzimi idrolitici contenuti nell’acrosoma per erodere la membrana della
cellula uovo permettendo l’entrata del DNA dello spermatozoo nella stessa.
PEROSSISOMI
Il perossisoma è un organulo che interviene a vari livelli nel metabolismo cellulare, intervenendo nel
catabolismo di numerose molecole, come acido urico, aminoacidi, acidi biliari, acidi grassi, nella biosintesi
di intermedi cellulari come colesterolo, dolicolo, plasmalogeni ecc.

I perossisomi sono contraddistinti dalla presenza dell’enzima catalasi, che degrada il perossido d’idrogeno
che viene prodotto dall’attività di altri enzimi perossisomali come le ossidasi.

La produzione di perossido di idrogeno e la sua degradazione avviene nei perossisomi stessi, evitando che
questo composto altamente tossico posso diffondere nel citoplasma.

NUMERO, FORMA, DIMENSIONE, MOVIMENTO E IDENTIFICAZIONE


Sono organuli molto simili in microscopia elettronica ai mitocondri. Appaiono di forma sferoidale, come i
mitocondri. Sono molto dinamici e multiformi.

Si riconoscono perché al centro hanno una struttura fortemente elettrondensa, detta nucleoide, una struttura
paracristallina che contiene gli enzimi che permettono al perossisoma di funzionare.

I perossisomi presentano una diversità di forma che varia da quella sferica a quella bastoncellare e in alcune
cellule possono formare strutture reticolari. I movimenti e la posizione dei perossisomi all’interno della
cellula sono controllati dal citoscheletro con l’intervento di proteine motrici. Si possono spostare lungo i
microfilamenti di actina oppure lungo i microtubuli.

Le loro dimensioni vanno dai 0.6-0.7 µm.

Partecipano alla formazione dell’acetilcoenzima-A, importante per la glicolisi.

Il numero dei perossisomi per cellula varia da poche unità a diverse migliaia in funzione del tessuto ed
organo specifico, come epatociti o cellule renali, dove prevalgono reazioni di catabolisi.

La matrice perossisomiale contiene un materiale amorfo, finemente graulare, che si può addensare in una
zona centrale a formare una formazione paracristallina, detta nucleoide, che contiene enzimi, tra cui
uricasi/urato ossidasi, catalasi, D-amminoacidoossidasi, coinvolti nei processi di ossidoriduzione.

I perossisomi con il loro metabolismo degradano i prodotti tossici, come perossido d’idrogeno, i ROS (forme
reattive dell’ossigeno o radicali liberi: prodotti del metabolismo pericolosi).
BIOGENESI DEI PEROSSISOMI E IMPORTAZIONE DELLE PROTEINE

Non hanno origine golgiana. I perossisomi derivano dal RER e gli enzimi contenuti nei perossisomi derivano
dal RER, ma a differenza delle altre proteine e enzimi, questi non passano dal Golgi, per cui gemmano
direttamente dal RER e passano al citoplasma, all’interno delle vescicole. (via secretoria e via
citoplasmatica).

Il modello della biogenesi prevede che dal RER si formino espansioni tubulari e lamellari o microvescicole,
nella cui membrana sono inserite le proteine perossisomiali sintetizzate sui ribosomi del RER. Questi sistemi
membranosi, contenenti gli enzimi, in seguito si differenziano per formare i futuri perossisomi, acquisendo
proteine di membrana e della matrice che derivano dalla sintesi proteica che avviene sui ribosomi liberi, le
quali proteine contengono specifiche sequenze segnale per l’importazione nei perossisomi.

Queste proteine vengono indicate con il termine perossine (Pex). Ci sono 32 proteine implicate nella
formazione dei perossisomi e nell’importazione delle proteine nei perossisomi.

Pex1 e Pex6 mediano la fusione delle piccole vescicole a formare macrovescicole mature, che matureranno
in perossisomi e conterranno tutte le altre perossine.
Le Pex11 sono responsabili della determinazione della forma dei perossisomi.
Le Pex3 sono responsabili della gemmazione delle vescicole dal RER.

È importante sottolineare che le proteine destinate alla matrice perossisomiale vengono importate dopo aver
acquisito la loro struttura terziaria ed eventualmente la struttura quaternaria. Caso tipico è quello della
catalasi formata da quattro subunità contenenti ciascuna un gruppo eme: i precursori polipeptidici della
catalasi legano il gruppo eme, assumono il corretto ripiegamento, si assemblano a formare il tetramero e
interagiscono con Pex5p per essere importati nel perossisoma. Il trasferimento delle proteine nell’organulo
richiede energia derivante da idrolisi di ATP.

FUNZIONI DEI PEROSSISOMI


Le funzioni svolte dai perossisomi ad un pH=8 (catalizzano numerose attività metaboliche):

 Degradazione enzimatica di H 2O2;


 Ossidazione di acidi grassi in cooperazione ai mitocondri;
 Ossidazione dell’acido urico, che viene ossidato in composti come l’urea;
 Sintesi del colesterolo e acidi biliari;
 Metabolismo di composti azotati;
 Detossificazione di sostanze nocive (ROS);
 Bioluminescenza.

OSSIDAZIONE DELL’ACIDO URICO


Interviene l’uricasi presente nel nucleoide, essa catalizza l’ossidazione dell’acido urico, che deriva dal
catabolismo delle purine, dando come prodotto allantoina e acqua ossigenata H2O2.

L’allantoina viene poi trasformata in acido allantoico o in urea ed espulsa dall’organismo. Questo tipo di
metabolismo dell’acido urico non è possibile negli uomini dove manca l’uricasi; quindi l’acido urico viene
espulso direttamente con le urine.

Anche l’acqua ossigenata è tossica e quindi interviene la catalasi per ossidarla.

DEGRADAZIONE ENZIMATICA DI H2O2


La D-aminoacido-ossidasi insieme alle uricasi utilizza l’ossigeno molecolare per rimuovere atomi di
idrogeno (ossidazione) da vari substrati organici producendo H2O2 (perossido d’idrogeno). L’acqua
ossigenata è tossica, quindi le catalasi prendono un substrato tossico, lo ossidano in presenza di acqua
ossigenata, e danno origine ad un prodotto ossigenato e a due molecole di acqua. Abbiamo così
l’eliminazione di prodotti tossici, come alcool etilico.

OSSIDAZIONE DEGLI ACIDI GRASSI


I perossisomi intervengono α e β ossidazione: nelle cellule animali gli acidi grassi a catena lunga/molto
lunga:

 α-ossidazione: rompe il legame del primo carbonio di una catena. Gli enzimi di tale ossidazione
degradano gli acidi grassi ramificati eliminando le catene laterali. Ne derivano acidi grassi lineari.
 β-ossidazione: rottura del legame del secondo carbonio di una catena. Vengono prodotti gruppi
acetile e due atomi di carbonio. Gli acidi grassi lineari della prima ossidazione vengono demoliti con
la produzione di acetilCoA che va nei mitocondri e perossido d’idrogeno che viene degradato dalla
catalasi.

RIMOZIONE DI RADICALI LIBERI E ALTRE SPECIE REATTIVE ALL’OSSIGENO


Agiscono nella rimozione di radicali liberi, in particolare specie reattive all’ossigeno dette ROS come il
radicale superossido O2- , i radicali idrossilici OH- e il perossido d’idrogeno. Le ROS si formano come
sottoprodotti del normale metabolismo cellulare aerobico e la loro pericolosità risiede nel fatto che possono
interagire, danneggiando altri componenti cellulari, producendo danni cellulari, implicati
nell’invecchiamento e nella cancerogenesi. La rimozione delle ROS avviene nei perossisomi grazie alla
catalasi.
INCLUSIONI CITOPLASMATICHE
Sono componenti non vitali della cellula, non avvolti da membrana.

Le inclusioni più comuni sono:


 Glicogeno
 Lipidi
 Pigmenti
 Cristalli

Epatociti, reazione PAS (PAS: acido periodico reattivo di Shiff).


Il glicogeno epatico rappresenta un’importante riserva energetica.

…possono anche, come nel fegato associarsi tra loro a


formare aggregati di maggiori dimensioni, denominate
particelle α.
Le particelle sub microscopiche di glicogeno
possono essere isolate l’una dall’altra e sono
dette particelle β…

Le particelle di glicogeno sono paracristalline.

Sempre nel fegato possiamo vedere le gocciole lipidiche. Il fegato tollera come accumulo lipidico fino al 5%.
Quando si supera la percentuale si entra nella steatosi, condizione patologica, che può essere reversibile o
irreversibile. Succede che gli epatociti immagazzinano i lipidi sotto forma di goccioline, che per coalescenza
tendono a fondersi formando gocciole sempre più grandi. Quando la condizione è patologica, gli epatociti
iniziano ad assomigliare a cellula in cui il nucleo è schiacciato dalla componente lipidica, diventando un vero
e proprio adipocita. Il fegato, quindi, perde la propria funzionalità in quanto l’epatocita perde la sua polarità
(forma-funzione).
In microscopia ottica si vedono in forma sferica perché le gocce lipidiche sono circondate da monolayer
lipidico. Sono solubili nei solventi utilizzati per preparare i campioni. Appaiono bianchi, perché i lipidi sono
stati rimossi o meglio diluiti e hanno “svuotato” la gocciolina. Per veder i lipidi colorati bisogna fissare i
campioni fisicamente di solito si fa una fissazione chimica) e cioè congelando a -80 gradi con il criostato e
specifiche colorazioni.

I pigmenti più comuni presenti nelle cellule sono: emoglobina, melanina, lipofuscina.

Granuli di melanina in melanofori (frecce). Melanofori (frecce) in pelle di anfibio. Pigmento lipofuscinico (freccia) nel
citoplasma di un neurone.

I cristalli e i cristalloidi sono presenti solo in alcuni tipi di cellule, quali le cellule del Sertoli o cellule
interstiziali del testicolo e nei macrofagi.

Inclusioni cristalloidi in macrofagi (frecce).


CITOSCHELETRO
Nello jaloplasma di tutte le cellule è immersa una trama fibrillare detta citoscheletro, che è molto dinamica.

Il citoscheletro è coinvolto in:


 Mantenimento della forma cellulare: ogni tessuto possiede cellule con forma specifica correlata alla
loro funzione;
 Migrazione degli organuli all’interno dello jaloplasma;
 Divisione cellulare;
 Esocitosi;
 Endocitosi;
 Movimenti cellulari.

Il citoscheletro è la struttura di sostegno in toto della cellula.

Al microscopio ottico è visibile come una trama sottile, utilizzando anticorpi specifici per le proteine che
costituiscono le componenti del citoscheletro.
Al microscopio elettronico invece possiamo realmente vedere come è fatto con elevati ingrandimenti,
riuscendo a distinguere le tre componenti principali di natura proteica:

 Microtubuli: veicolano i movimenti intracellulari;


 Microfilamenti: proprietà contrattile, perché costituiti da actina, coinvolti nella modificazione della
forma cellulare;
 Filamenti intermedi.

L’attuale definizione del citoscheletro come una rete tridimensionale di filamenti che, dal punto di vista
strutturale e costitutivo, possono essere raggruppati in tre sistemi distinti e cioè microfilamenti, microtubuli e
filamenti intermedi, risulta abbastanza riduttiva, perché non si fa cenno ai ponti proteici che collegano fra
loro i tre sistemi filamentosi principali e che permangono, nei modelli cellulari, dopo estrazione con
glicerolo.

Inoltre, il termine citoscheletro è fuorviante perché lascia intravedere una struttura statica. Le strutture
citoscheletriche sono implicate in funzioni di sostegno dell’architettura cellulare, ma sono anche
indispensabili per il manifestarsi di fenomeni come locomozione, traffico vescicolare, cambiamenti della
morfologia cellulare, che vanno sotto il nome di motilità cellulare. Microfilamenti e microtubuli sono
strutture altamente dinamiche.

MICROTUBULI
Hanno un ruolo essenziale durante il processo di divisione cellulare nella formazione del fuso mitotico, che è
un sistema costituito da microtubuli; la funzione è l’interazione con i cromosomi per regolare la loro
divisione. La loro presenza è importante per la corretta divisione del DNA. I microtubuli costituiscono anche
le strutture assile di sostegno delle ciglia e dei flagelli.
Per esempio, l’epitelio cigliare lo troviamo nell’apparato respiratorio (formazione e dinamicità delle
mucose).

Figura 1 Figura 2
Figura 1: Epitelio cigliare delle vie respiratorie, cellule calciformi mucipare.
La linea più scura nell’immagine viola (freccia rossa) corrisponde all’inserzione dei corpuscoli basali,
strutture di base che ancorano il ciglio alla membrana plasmatica. La cellula in viola con aspetto granulare
(1) la definiamo una cellula mucosa in quanto presenta granuli di secreto mucoso. Il nucleo è alla base.
Nella cellula (1 centrale) sono presenti marcature in blu. Potrebbe essere una cellula differente alla
precedente, adibita a una diversa secrezione, oppure la stessa cellula in un momento funzionale differente.
Figura 2: Spermatozoi. Importanza del citoscheletro nella coda e quindi nella sua motilità.

I microtubuli, quindi, costituiscono il citoscheletro, intervengono nella formazione del fuso e costituiscono
strutture specializzate come ciglia e flagelli.

Costituiscono un’impalcatura per il posizionamento intracellulare degli organuli e garantiscono il


mantenimento della forma cellulare o contribuiscono alla sua modificazione a seconda del momento
funzionale. Costituiscono anche un sistema microcircolatorio per il trasporto intracitoplasmatico degli
organuli e delle piccole molecole e vescicole. Questo spostamento interno è detto CICLOSI.

Un altro sistema particolare di organizzazione microtubulare lo osserviamo nelle cellule nervose. Nel
prolungamento assonico o assone non avviene la sintesi proteica, infatti manca il RER e il Golgi, ma
possiede una struttura per veicolare le vescicole contenenti il neurotrasmettitore (alla base della trasmissione
dell’impulso nervoso). Nell’assone ci sono quindi i neurotubuli che guidano le vescicole fino alla
terminazione assonica dove avviene la sinapsi con un’altra cellula e il neurotrasmettitore come N-acetilcolina
viene liberato. Alla fine dell’assone vengono aperti canali ionici per permettere l’esocitosi del trasmettitore
che verrà letto dal recettore o di un’altra cellula nervosa o di una cellula somatica.

C’è un flusso di ritorno (retrogrado) dalla terminazione assonica al corpo cellulare. Nell’assone ci sono
anche i mitocondri che garantiscono l’energia necessaria per il funzionamento dei microtubuli, che
necessitano di assemblarsi (polimerizzazione che necessita di energia) o disassemblarsi (depolimerizzazione
che libera energia).

I microtubuli sono strutture tubulari cave con diametro di


circa 25 nm e bisogna immaginarle come un cilindro cavo
al centro delimitato da una parete proteica (non ha
membrana) spessa 5-7 nm e lunghezza variabile.
Il cilindro è fatto da 13 protofilamenti di tubulina
globulare, disposti in modo circolare, ciascuno formato da
polimeri lineari di eterodimeri, sfasati tra loro di tubulina
α e tubulina β. Questa organizzazione della tubulina
determina un’estremità plus end e un’altra minus end. Qui
avviene l’aggiunta o la rimozione di altri dimeri di
tubulina a seconda dell’allungamento o
dell’accorciamento del microtubulo. L’estremità plus end
è “privilegiata” perché qui l’aggiunta o la rimozione dei
dimeri avviene più velocemente.
La sfasatura dei filamenti comporta un aspetto spiralato.
Alla struttura microtubulare formata da tubulina si associano proteine ancillari del microtubulo dette MAP,
in grado di favorire la polimerizzazione delle tubuline e quindi l’assemblaggio dei protofilamenti. Questo
porta alla formazione di un piccolo cilindretto a cui verranno aggiunte poi man mano le altre subunità dei
dimeri.

Si formano quindi strutture ad anello e spirali che si aprono dando origine alla formazione dei vari
protofilamenti che si associano a formare una sorta di struttura laminare. La lamina si richiude su se stessa e
forma un piccolo cilindro iniziale che si chiama nucleo di polimerizzazione. Da qui poi avvengono i processi
di aggiunta dei dimeri di tubulina. La plus end è quindi il terminale dove avviene l’addizione o il rilascio di
subunità.

nell’immagine superiore osserviamo un assone di cellula nervosa. Quel


bordo nero è la guaina nervosa che assieme all’assone forma la fibra
nervosa (tante fibre nervose formano un nervo). Le lineette nere sono i
microtubuli in sezione longitudinale. Nell’immagine di sotto in sezione
trasversale i microtubuli sono quei tondini indicati dalle frecce rosse.

La guaina mielimica è l’accollamento della membrana plasmatica delle


cellule di Schwann. È una sorta di isolante.

I microtubuli, a parte quelli dei centrioli, ciglia e flagelli (tutte strutture stabili di sostegno), sono strutture
labili, la cui polimerizzazione dipende da:

 Temperatura;
 Concentrazione intracellulare di ioni calcio Ca++;
 Presenza di alcaloidi come la colchicina: i cromosomi si vedono solo nella metafase del processo di
divisione; si usano gli alcaloidi che inibiscono la polimerizzazione della tubulina e causano una
rapida depolimerizzazione dei microtubuli durante la metafase quando i cromosomi sono sulla linea
equatoriale mantenuti dal fuso mitotico microtubulare.

I microtubuli formano piste dinamiche per il traffico vescicolare. Vescicole e organuli sono legati a proteine
motrici e vengono trasportate nelle due direzioni possibili e definite. Dobbiamo immaginarli come i binari
del tram. Le vescicole attraverso le proteine si legano ai microtubuli che poi spostano le vescicole. Ogni
movimento non è mai casuale, ma sempre sottoposto a tutta una serie di controlli specifici.
Le vescicole che gemmano dal Golgi presentano sempre un legame tra ciò che c’è dentro e i recettori di
membrana rendendo chiara l’identità della vescicola. Essa per legarsi al microtubulo interagisce con le
proteine motrici che possono essere dineine (spostano le vescicole verso l’estremità negativa (minus end) del
microtubulo) e le chinesine (spostano verso l’estremità positiva, plus end, del microtubulo). Sono proteine a
struttura quaternaria. È uno spostamento correttamente direzionato dalle proteine motrici.

[Nel caso dei microfilamenti, queste proteine motrici sono caratterizzate da miosina, proteina contrattile
molto presente nel muscolo].

Queste proteine motrici a struttura quaternaria, che garantisce la giusta funzionalità alla proteina, posseggono
teste globulari in grado di idrolizzare l’ATP per il cambiamento conformazionale alla base del movimento e
per l’interazione sia con la proteina della vescicola sia con le proteine che costituiscono i microtubuli.

Il contenuto della vescicola si lega ai recettori. Poi viene legata alla


proteina motrice attraverso il complesso della dinactina. Il riconoscimento
della vescicola viene garantito dalla spettrina. Questo rappresenta la
specificità di legame.

CIGLIA E FLAGELLI
Le ciglia sono numerose e corte, mentre i flagelli sono di meno e più lunghi.

Osserviamo un epitelio cigliato a confine con un tessuto connettivo, perché l’epitelio


necessita di vascolarizzazione. Quella macchia bianca sotto è un vaso sanguigno.
Tutte le macchioline viola scuro sono i nuclei di tutte le cellule che costituiscono le
cellule del connettivo; la porzione superiore è lo strato di ciglia (specializzazione di
superficie) che costituisce un “orletto a spazzola”.

Spermatozoi estratti dallo sperma; particolare


attenzione alla coda dello spermatozoo “flagello” che
permette il movimento dello stesso.

Le ciglia e i flagelli presentano una struttura interna detta assonema, generatrice delle forze motrici alla base
del movimento cigliare e flagellare. L’assonema rappresenta il massimo livello di resa della motilità
microtubulo-mediata.
Le ciglia e i flagelli sono espansioni citoplasmatiche filiformi che posseggono una complessa organizzazione
strutturale che rende ragione delle loro funzioni meccaniche.
STRUTTURA DELLE CIGLIA VIBRATILI
Le ciglia sono strutture allineate in modo regolare e parallele fra loro. Il loro
numero varia da cellula a cellula. Le ciglia vibratili presentano una porzione
libera in grado di muoversi e una porzione infissa.

PORZIONE LIBERA
Nelle cellule dell’epitelio vibratile la porzione libera è anche detta tratto
espanso. È rivestita da una membrana che si presenta come continuazione
della membrana plasmatica del polo apicale della cellula. Al microscopio
elettronico in sezione trasversale, il ciglio risulta costituito da una complessa
organizzazione di microtubuli, immersi in una matrice poco densa, rivestita
dalla membrana. Nella sezione longitudinale appare chiaramente che la
membrana che avvolge il tratto espanso continua con la membrana plasmatica
della cellula e che i tubuli, disposti parallelamente tra loro, continuano con un
corpuscolo basale. Nelle sezioni trasversali si osserva che nella matrice sono
immerse 9 coppie periferiche di microtubuli che circondano 2 microtubuli
disposti al centro del ciglio. Questa struttura detta 9+2 prende il nome di
assonema.

ORGANIZZAZIONE DELL’ASSONEMA
Come è fatto l’assonema? Immaginiamo di osservare una sezione trasversale della parte libera nel citosol: si
tratta di microtubuli rettilinei, tra loro paralleli, che si associano in modo circolare attorno ad una coppia di
microtubuli centrale. Ci sono 9 coppie di microtubuli disposte in modo circolare con una coppia centrale. La
coppia centrale è separata da un piccolo spazio e le altre decorrono isolate e distinte per tutta la lunghezza
dell’assonema. Le 9 coppie periferiche sono costituite ciascuna da due microtubuli uniti tra loro; questi
appaiono parzialmente fusi e decorrono addossati l’uno all’altro.

Ogni coppia dista circa 50 nm da quella vicina ed è costituita da due


microtubuli affiancati detti tubulo A e tubulo B. Il tubulo A è più
vicino al centro del ciglio rispetto al tubulo B e porta due bracci
uncinati costituiti da dineina. La parete del tubulo A è completa dei
13 filamenti, mentre la parete del tubulo B non è completa e
possiede solo 10/11 filamenti. Per questo si addossa al tubulo A
completando la sua parete. Ogni tubulo A risulta collegato alla guina
che circonda i microtubuli centrali mediante un raggio/ponte
costituito da fibre radiali ispessite all’estremità che guarda la guaina
(testa del ponte). I tubuli A sono poi collegati fra loro da un sottile
filamenti di nexina. I bracci uncinati di dineina che partono dai
tubuli A si protendono verso i tubuli B della coppia di microtubuli
contigua.

Assetto periodico dei bracci di dineina e degli


elementi di connessione nel sistema 9+2.

Struttura assonemale, sez. long. Struttura assonemale, sez. trasv.


La porzione infissa del ciglio (quella che non si muove) comprende:
 Zona di transizione o piastra basale: zona di transizione tra l’assonema o porzione libera e la
porzione infissa;
 Corpo basale: blefaroplasto;
 Radichette cigliari: sistema delle radici.

La piastra basale è posta tra l’assonema e il corpuscolo basale e può essere situata alla base della porzione di
membrana che avvolge il ciglio, oppure in posizione extracitoplasmatica. A livello della piastra basale la
coppia di microtubuli centrali si interrompe, mentre le coppie di microtubuli periferici continuano con i
tubuli A e B della tripletta del corpuscolo basale

Il corpuscolo basale strutturalmente è simile al centriolo, in quanto è costituito da nove triplette di


microtubuli disposte perifericamente. Due di questi provengono direttamente dall’assonema. A livello della
piastra basale le triplette vanno a costituire una circonferenza. Il tubulo addizionale, situato a contatto con il
tubulo B, è denominato tubulo C. Il tubulo A di ogni tripletta è legato al tubulo C della tripletta vicina. I
microtubuli C del copro basale prendono contatto con proteine della membrana plasmatica tramite fibre di
transizione. C’è un legame tra la struttura citoscheletrica e la membrana plasmatica, coinvolte quindi nel
movimento.

Le radichette cigliari sono sottili fibre di proteine contrattili che emergono dal corpuscolo basale e terminano
in prossimità del nucleo. Garantiscono quindi la polimerizzazione della cellula cigliata. Presentano una tipica
bandeggiatura trasversale con periodicità di 50-70 nm.

Superficie dell’epitelio olfattorio con ciglia (1), corpi basali (2),


microvilli (3), dendriti dei neuroni olfattori (4) con mitocondri (5) e
gocciole di secreto nelle cellule di sostegno (6). 4.000X.

Particolare di dendrite di neurone olfattorio con corpi basali (1) Superficie dell’epitelio respiratorio della mucosa nasale con ciglia (1) e
microvilli (2). Mitocondri (3), corpi basali (4). Linea elettrontrasparente:
e microtubuli (2). Ciglia (3), microvilli (4). 25.000X.
Spazio intermembrana di membrane plasmatiche di cellule adiacenti.
20.000X.
MOTILITÀ CIGLIARE E FLAGELLARE
Il meccanismo molecolare che porta alla generazione delle forze motrici in ambito assonemale è quasi del
tutto sovrapponibile a quanto accade durante il fenomeno contrattile. Anche in questo caso si tratta di
strutture filamentose e dimensionalmente stabili, che non vanno incontro ad accorciamento, ma che
scivolano le une sulle altre, grazie all’azione ciclica di ponti transitori mobili, la cui azione è dipendente
dall’idrolisi di ATP.

Tra le coppie periferiche di microtubuli si determina un movimento di scivolamento reciproco, guidato


dall’interazione dei bracci di dineina che sporgono dal tubulo A di ciascuna coppia con il tubulo B della
coppia microtubulare periferica adiacente. Questa interazione è transitoria e ciclica, oltre ad essere correlata
all’idrolisi della molecola di ATP strettamente legata alle teste della dineina.

La proteina motrice nel contesto assonemale è la dineina. Questa a condizioni di riposo è situata a 90°
rispetto al tubulo B che, in seguito all’idrolisi dell’ATP e al susseguente rilascio dei prodotti di idrolisi, deve
prima agganciare e spostare. La dineina sfrutta l’energia rilasciata dall’idrolisi dell’ATP per portarsi in una
nuova configurazione spaziale, caratterizzata da un angolo di 45° rispetto alle formazioni microtubulari. In
questa configurazione avviene l’aggancio tra dineina e tubulo B. Il rilascio dei prodotti di idrolisi permette il
ritorno della dineina alla posizione iniziale. L’arrivo di una nuova molecola di ATP favorisce il distacco
della dineina dal microtubulo e l’inizio di un nuovo ciclo.

Il battito cigliare dipende dai bracci di dineina, che si attaccano al microtubulo B della coppia adiacente,
idrolizzando ATP. Essendo le coppie bloccate dalla nexina, il movimento di scorrimento si traduce in un
piegamento laterale, ovvero in battito cigliare. Si crea una sorta di onda che si propaga per tutto il flagello.
Cessato l’impulso il ciglio ritorna passivamente alla posizione laterale. Se i microtubuli fossero liberi di
muoversi, quindi privi del legame di nexina, si piegherebbero in modo obliquo e slitterebbero. Invece le 9
coppie si piegano tutte allo stesso modo perché sono legate tra loro mediante la nexina.

Le ciglia hanno un movimento coordinato:

 Pendolare: il ciglio resta rigido per tutta la sua lunghezza tranne la base, dove si curva, per assicurare
all’intera struttura movimenti di andata e ritorno;
 A flusso: presenta una fase attiva e una fase di recupero.

CENTRIOLO
Ricorda un po’ il corpuscolo basale dei microtubuli nella sua struttura.

Il centro cellulare comprende due formazioni di importanza cardinale per l’economia cellulare: centrosoma e
centrioli (sempre presenti in coppia). Il centro cellulare ha la capacità di organizzare il fuso mitotico e risulta
essere il principale centro di organizzazione microtubulare (MTOC).

Il rinvenimento a livello del centrosoma della γ-tubulina, proteina caratteristica dei MTOC capace di
nucleare la polimerizzazione della tubulina, permette di attribuire al solo centrosoma il ruolo di centro di
organizzazione microtubulare.

Il centriolo è un cilindretto cavo, lungo 1-2 µm, la cui parete è costituita


da 9 triplette di microtubuli A (microtubuli completi), B e C
(microtubuli incompleti perché B è fatto da 10 e 3 condivisi con A e C è
fatto da 10 e 3 condivisi con B) e si trova nel citoplasma. È sempre
presente in coppia formando la struttura DIPLOSOMA. Sono più visibili
quando la cellula sta procedendo alla divisione.
ACTINA MONOMERICA (ALLA BASE DEI MICROFILAMENTI)
È una proteina globulare con peso molecolare 42,3 kDa. L’actina presente nelle cellule muscolari striate
scheletriche è strutturalmente differente dalla proteina che è possibile rinvenire in altre linee cellulari. Le
differenze strutturali fra le diverse isoforme di actina, sono riconducibili alla sostituzione di qualche residuo
aminoacidico nella struttura primaria.

Si indicano con α le isoforme muscolari (dette sarcomeriche e caratteristiche delle cellule muscolari striate
scheletriche, cardiache e lisce) e con β e γ quelle citoplasmatiche (proprie delle cellule non muscolari).

SITI D’INTERAZIONE
La G-actina presenta vari siti di interazione per composti differenti. È presente un sito per l’ATP, per cui
ogni monomero è legato a una molecola di ATP. Per questo fatto la G-actina è anche indicata con il nome di
ATP-actina. Durante la polimerizzazione, l’ATP viene idrolizzato ad ADP, che rimane legato alle subunità
proteiche costituenti il polimero. Quando una subunità proteica, costituente un filamento, viene rilasciata nel
mezzo, l’ADP legato al polipeptide viene velocemente scambiato con l’ATP presente nel mezzo ambiente.

Ciascun monomero di actina presenta un sito ad altà affinità per gli ioni metallici bivalenti (magnesio
generalmente). Con l’occupazione di questo sito da parte dello ione metallico, la molecola subisce un
cambiamento di configurazione spaziale, divenendo adatta alla polimerizzazione. Ogni molecola di actina
presenta anche un numero imprecisato di siti per gli ioni metallici monovalenti. Ogni molecola di actina
presenta inoltre quattro siti a bassa affinità per il calcio.

MICROFILAMENTO
Sono filamenti sottili costituiti da due catene di subunità globulari di G-actina che si polimerizzano andando
a formare due filamenti lineari che si avvolgono con un secondo filamento lineare formando la F-actina dello
spessore di 7 nm. La F-actina (forma polimerica dell’actina globulare monomerica G-actina) è una proteina
globulare contrattile che si trova nel sarcomero, unità funzionale del movimento muscolare.

[la miosina e l’actina sono le principali proteine implicate nel fenomeno contrattile; la contrazione
muscolare deriva dall’idrolisi dell’ATP; la contrazione è dovuta al reciproco scivolamento, ATP dipendente,
dei filamenti di actina e miosina.]

Nei microfilamenti abbiamo una spiccata polarità: le due estremità terminali della F-actina mostrano una
configurazione spaziale differente a seconda del momento funzionale, con conseguente comportamento
chimico differente.

COME OSSERVARE I MICROFILAMENTI? POLARITÀ DEL MICROFILAMENTO.


In vitro si incuba un filamento di actina con meromiosina pesante (miosina proteina contrattile quaternaria
che possiede 4 subunità tra cui la meromiosina); queste si legano con un angolo di 45° come se formasse la
punta di una freccia (legame stereospecifico tra HMM [testa della miosina] e actina): infatti gli aggregati che
si formano sono detti “punta di freccia”. Questo ci permette di osservare le due estremità polari pointed end
(estremità verso cui è rivolta la punta della freccia) e la barbed end.

Nei microfilamenti la porzione attiva è la pointed end dove avviene l’aggiunta o la rimozione delle varie
subunità. In realtà l’assemblaggio è più rapido alla barbed end, mentre la rimozione alla pointed end. I
processi di polimerizzazione avvengono a seconda di:

 Concentrazione ottimale di pH;


 Concentrazione ionica;
 Temperatura.
FASI D’ASSEMBLAGGIO DEL MICROFILAMENTO
Avviene in quattro passaggi: attivazione del monomero, nucleazione, allungamento e ricucitura.

1. Attivazione: consiste nel cambiamento conformazionale subito dalla molecola proteica in


seguito all’occupazione, da parte del magnesio, del sito ad alta affinità per ioni metallici
bivalenti;
2. Nucleazione: alcuni monomeri di actina, superando la barriera termodinamica sfavorevole, si
autoaggregano a formare i nuclei di polimerizzazione, che in seguito si allungano per
apposizione di nuove subunità;
3. Allungamento: prevede l’aggiunta di nuovi monomeri a entrambe le estremità dei nuclei di
polimerizzazione. È la fase più veloce di tutto il processo; durante l’allungamento la quantità di
polimero cresce esponenzialmente;
4. Ricucitura: i filamenti corti si legano insieme a formare polimeri di lunghezza maggiore.

PROTEINE ANCILLARI DELL’ACTINA


La locomozione cellulare, i cambiamenti di forma,
l’organizzazione citoplasmatica e tutti gli eventi
actino-dipendenti sono sostenuti dall’F-actina.
La F-actina è coadiuvata da proteine ancillari, che in
virtù delle diverse modalità di legame con l’actina,
influenzano il raggiungimento di quella
tridimensionalità alla base dei singoli eventi cellulari
actino-mediati.

Queste proteine sono dette actin binding protein e possono essere suddivise a seconda che interagiscono con
la G-actina o con la F-actina.

PROTEINE ANCILLARI DELL’ACTINA MONOMERICA

PROFILINA
Formano complessi con la G-actina, impedendone la polimerizzazione. Le profiline svolgono un ruolo di
mediatori tra le β-timosine e i terminali in crescita del filamento di actina. Le profiline agiscono come
preparatori alla polimerizzazione nei confronti dei monomeri actinici, strappati alla β-timosina, da inviare
all’assemblaggio.

Β-TIMOSINE
Legano la G-actina con un’affinità molto elevata, impedendo la formazione di filamenti.

PROTEINE ANCILLARI DEL MICROFILAMENTO

BARBED END CAPPING PROTEIN


Queste molecole proteiche hanno il compito di bloccare l’aggiunta di nuovi monomeri all’estremità del
filamento che maggiormente ha tendenza ad allungarsi. L’attività bloccate di queste proteine è accompagnata
da un’attività di taglio, calcio dipendente, nei confronti del filamento interessato.
Fra le molecole sia cappanti sia frammentanti ci sono: gelsolina, villina, capZ (presente a livello delle strie Z
miofibrillari e sono calcio indipendenti).

POINTED END CAPPING PROTEIN


Le tropomoduline sono le specifiche molecole regolatrici delle pointed end dei filamenti di actina. Tutte le
tropomoduline presentano un dominio disordinato all’estremità aminoterminale e un dominio correttamente
ripiegato all’estremità carbossiterminale, con cinque sequenze ripetute, ricche di leucina.
CROSS-LINKING PROTEIN
Hanno il compito di promuovere e stabilizzare legami trasversali tra i filamenti di actina, dando luogo a reti
tridimensionali o a fasci di filamenti.
Una medesima proteina può agire sia da cross-linking che da bundling, in funzione della sua concentrazione
rispetto all’actina: una bassa concentrazione favorisce la formazione di reti, mentre alle alte concentrazioni la
formazione di fasci prevale.

 Miosina: è un esamero formato da due catene pesanti e da due coppie di catene leggere. È una
proteina ubiquitaria, come l’actina. Rappresenta la proteina motore del sistema actomiosinico; il suo
legame con la F-actina è temporaneo e dipende dall’idrolisi dell’ATP;
 Spectrina;
 Distrofina: presenta due subunità, ciascuna con un sito di legame per la F-actina e un altro per una
glicoproteina di membrana. Nelle cellule muscolari, concorre a connettere l’apparato contrattile alla
membrana plasmatica. La mancanza dell’informazione per la sua costruzione è a causa di una grave
malattia ereditaria detta distrofia muscolare progressiva come quella di Duchenne.

Nelle cellule e nelle fibre muscolari i filamenti di actina sono associati


a quelli di miosina e dalla loro interazione origina il fenomeno di
contrazione.

Nell’immagine a sinistra, un sarcomero: la banda A comprende sia i


filamenti di actina che filamenti di miosina. Le bande corrispondono
alla struttura lineare con la quale si dispongono i microfilamenti.

Quando la miosina (verde) si lega all’actina il muscolo si contrae


perché vi è una rotazione a 90°; quando il legame non avviene
(avviene in presenza di ATP e di ioni calcio) il muscolo si rilassa.

I microfilamenti fanno parte anche di strutture specializzate: costituiscono lo scheletro assile dei microvilli.

I microvilli aumentano la superficie di scambio della


cellula. Per esempio, li ritroviamo nell’intestino
dove è necessario un assorbimento delle sostanze.
I microfilamenti sono legati tra loro mediante
proteine come la fibrina e sono ancorati alla
membrana, per garantire l’interazione del
citoscheletro con la stessa. Questo perché è
necessario endocitare le sostanze assorbite, che poi
vengono inglobate in vescicole che si devono
trasferire nel citoplasma. Alla base questi
microfilamenti si legano ai filamenti intermedi che
si dispongono alla base della membrana plasmatica
e interagisco con una trama terminale fatta di
microfilamenti che garantiscono continuità e
interazione del citoscheletro con la cellula e la
membrana.
A sinistra microvilli in sezione longitudinale; a destra microvilli
al microscopio elettronico a scansione.

FILAMENTI INTERMEDI
I filamenti intermedi e le proteine ad essi associate contribuiscono alla formazione e al mantenimento
dell’impalcatura tridimensionale della cellula.

Hanno lunghezza variabile e spessore di 10-12 nm.

L’insieme dei filamenti intermedi di una cellula si organizza in una rete lassa, con un fuoco perinucleare e le
varie strutture filamentose che si irradiano attraverso il citoplasma.

La caratteristica principale dei filamenti intermedi risiede nella loro stabilità chimica; questo fatto distingue i
filamenti intermedi stessi dalle altre componenti citoscheletriche (microtubuli e microfilamenti).

Cambiano nome e tipologia a seconda delle cellule in cui sono presenti:

 Le cheratine possono essere di tipo I acide e di tipo II neutrobasiche. I filamenti di cheratina sono
sempre eteropolimeri.
 Vimentina, desmina e proteina acida gliare: sono omopolimeri della classe III.
 Neurofilamenti: polimerizzano spontaneamente.
 Lamine nucleari: sono della classe V e sono localizzate a livello della superficie interna
dell’involucro nucleare, dove formano un sistema polimerico insolubile detto lamina fibrosa.

Vanno immaginati quindi come proteine filamentose. Nel nucleo al di sotto della membrana esterna i
filamenti formano una lamina fibrosa.

STABILITA DEI FILAMENTI INTERMEDI


Nel citoplasma tutte le proteine dei filamenti intermedi si trovano aggregate nella loro forma polimerica. Le
reti endocellulari di filamenti intermedi sono molto stabili e in alcune cellule (epiteli cheratinizzati)
costituiscono impalcature citoplasmatiche inerti apparentemente. La cellula in alcuni momenti richiede
massimo dinamismo plastico; essa deve essere in grado di produrre profondi rimaneggiamenti delle sue
strutture citoplasmatiche.

Possiamo dire che tale dinamismo e rimaneggiamento è possibile in quanto sia per l’actina (microfilamenti)
sia per le tubuline (microtubuli) vi è un equilibrio monomero/dimero che permette di privilegiare particolari
stati di aggregazione.

La stabilità dei filamenti intermedi e delle impalcature citoplasmatiche derivanti dalla loro interazione
spaziale potrebbe creare qualche problema funzionale. Tuttavia, è possibile assistere a cambiamenti
dell’assetto spaziale dei filamenti intermedi. Quando la cellula è in procinto di duplicarsi i filamenti
intermedi sembrano concentrarsi in formazioni sferoidali che si ripartiscono equamente nelle cellule figlie e
da cui al termine della citodieresi viene ricreato il reticolo.
TESSUTO-SPECIFICITÀ DEI FILAMENTI INTERMEDI
I filamenti intermedi mostrano un certo grado di tessuto-specificità. La classificazione delle cellule in base al
loro contenuto in filamenti intermedi corrisponde alla classificazione istologica: epiteli (cheratine),
connettivi (vimentina), muscolatura (desmina), cellule nervose (neurofilamenti) e glia (proteina acida
gliare).

MOVIMENTI INTRACELLULARI
In molti tipi cellulari esaminati in vivo e con particolari microscopi si osservano continue correnti
citoplasmatiche che trascinano organuli cellulari (ciclosi). Gli spostamenti dei cromosomi, dei centrioli e
degli altri organuli cellulare durante la mitosi.

ENDOCITOSI E ESOCITOSI
L’endocitosi e l’esocitosi o gemmazione richiedono l’azione completa della membrana plasmatica e della
porzione superficiale del citoscheletro. Quando si forma una vescicola la membrana si invagina e poi si
distacca diminuendo l’unità di superficie o aumentandola.

Le vescicole si formano grazie all’intervento di proteine di rivestimento appartenenti a tre famiglie:

 Clatrina: vescicole trans Golgi-lisosomi, endocitosi;


 COP II;
 COP I.

Dopo la gemmazione la componente proteica viene persa. Il legame del carico al recettore determina la
formazione del rivestimento di clatrina e la gemmazione delle vescicole.

Il traffico avviene lungo i microtubuli con spostamenti assiali o lungo i microfilamenti con spostamenti
circolari con l’intervento di proteine motrici.
Si distinguono due tipi di endocitosi:

 Fagocitosi;
 Pinocitosi;
 Endocitosi mediata da recettori.
La fagocitosi è l’importazione di materiale particolarmente voluminoso, anche di intere cellule o
microrganismi. È alla base dei processi di alimentazione negli organismi unicellulari.

Quando ci sono sostanze estranee i linfociti producono anticorpi che inattivano le componenti estranee che
devono essere demolite. In questo interviene la fagocitosi dei macrofagi. Parliamo di riconoscimento
indiretto perché prima vi è il processo di inattivazione mediante gli anticorpi che riconoscono i recettori
proteici della sostanza estranea e poi avviene la fagocitosi.

La pinocitosi è la modalità di internalizzazione di gocciole di liquido con gli eventuali soluti. Si può parlare
di micro-pinocitosi o macro-pinocitosi.

La differenza tra fagocitosi e pinocitosi riguarda la modalità di endocitosi: nella fagocitosi vi è un


sollevamento della membrana per racchiudere il materiale mentre nella pinocitosi avviene subito
l’invaginazione.

L’endocitosi mediata da recettori è mediata dalla clatrina, proteina che va a rivestire interamente le porzioni
di membrana interessate al processo di endocitosi. Essa reagisce con recettori di membrana esterni che
legano direttamente ciò che deve essere fagocitato. La clatrina poi viene persa e torna alla membrana. Esiste
anche un’altra proteina coinvolta chiamata caveolina, scoperta a livello delle caveole e cioè invaginazione
della membrana.

A livello di particolari aree della membrana si creano le fossette rivestite (coated pits) o ammantate per la
presenza sul loro versante citoplasmatico di molecole di clatrina che si legano con proteine intermediarie
chiamate adaptine.

I trisceli si assemblano ordinatamente a formare il rivestimento di


clatrina intorno fossette rivestite, poi intorno alle vescicole rivestite.

In seguito all’acidificazione si ha
disaccoppiamento dei ligandi dai
recettori, che vengono riportati alla
membrana.
GIUNZIONI CELLULARI
Negli organismi pluricellulari le cellule si coordinano a formare tessuti, organi, apparati per lo svolgimento
di funzioni complesse.

L’adesione cellula-cellula è un processo altamente selettivo, in quanto le cellule nella formazione di un


tessuto interagiscono solo con cellule appartenenti alla stessa tipologia.

L’adesione è mediata da molecole di adesione che sono proteine transmembrana: selectine,


immunoglobuline, integrine e caderine. Sono proteine calcio/magnesio dipendenti; senza questi ioni
l’adesione non sarebbe possibile.

Sono legate al citoscheletro e riguardano i domini laterali delle cellule, perché esse sono polarizzate e cioè
possiedono zone in cui svolgono funzioni diverse a seconda del corredo proteico e lipoproteico che si trova
in quella zona della membrana plasmatica. Questa accade perché quando vi è lo smistamento delle proteine
le stesse vengono veicolate in punti specifici della membrana plasmatica (plasmalemma).
(per esempio, la fosfatasi si trova nei domini laterali delle cellule epatiche che sono adiacenti ai sinusoidi).

A tale scopo le cellule hanno la capacità di comunicare e di aderire fra loro o con la matrice extracellulare.

Si tratta di un eterocita dell’intestino con dominio basale, dominio apicale dove


ci sono i microvilli e dominio laterale dove troviamo le giunzioni cellulari. Per
esempio ci sono i desmosomi. Queste giunzioni oltre che permette il legame tra
le cellule, fanno sì che le molecole interne al lume non passino tra una cellula e
l’altra. Sono quindi una barriera protettiva che separa l’ambiente esterno
dall’ambiente interno.

Nella parte più profonda del dominio laterale c’è un sistema di giunzione detto
GAP che è una sorta di canale proteico e che permette lo scambio di sostanze
tra le diverse cellule.

Le giunzioni sono fatte di proteine che sono le selectine, le integrine, le


immunoglobuline e le caderine.

Nell’immagine vediamo due cellule che non si uniscono


fondendo la membrana, ma che interagiscono tra loro
grazie alla presenza di queste proteine transmembrana.

L’integrina, per esempio, permette alla cellula di


connettersi con il sottostante connettivo. Sono proteine
eterodimeriche transmembrana che con il loro dominio
citoplasmatico, legano proteine associate al citoscheletro,
mentre con il dominio extracellulare interagiscono con i
componenti della matrice.

L’adesione a seconda del tipo di proteine può essere:

 Omofilica: legame fra molecole dello stesso tipo (caderine e immunoglobuline)


 Eterofilica: legame tra due molecole di tipo differente. (selectine e integrine)

Queste proteine transmembrana interagiscono nella parte citoplasmatica con i filamenti di actina presenti
all’interno del citoscheletro e in particolare con i microfilamenti di actina che sono a ridosso della
membrana.

A livello tumorale la disorganizzazione tissutale è legata alla rottura delle giunzioni cellulari, portando ad
una deformazione e defunzionalizzazione delle cellule e del relativo tessuto.
[la mucosa (epitelio + connettivo) intestinale si piega a formare delle estroflessioni dette villi intestinali per
amplificare la superficie di assorbimento. In caso di celiachia si ha appiattimento dei villi o addirittura
l’introflessione dei villi, disconnettendo le cellule tra loro].

I sistemi di giunzione possiedono una sequenza ben definita e non sono disposti casualmente, ma creano
quadri di chiusura, partendo dalla zona apicale fino a quella basale. Si tratta di una sequenza logica che tiene
conto della funzione in quella zona:

 Giunzioni tight;
 Giunzioni ancoranti: emidesmosomi (presenti sul dominio basale, mentre i desmosomi sono
presenti sul dominio laterale), a fascia, a macchia, punti focali;
 Giunzioni comunicanti: consentono alle cellule di comunicare e si trovano nella parte più
bassa.

Tutto questo fa si che le cellule possano essere vicine senza fondersi. Immaginiamo i cardiociti, cellule del
tessuto muscolare cardiaco, che hanno alla base le giunzioni GAP per permettere all’impulso della
contrazione di passare.

GIUNZIONI TIGHT
Non sono identificabili al microscopio ottico.

Sono anche dette zonulae occludens o giunzione serrata.

Si trovano nei tessuti epiteliali ed endoteliali. Sono situate


subito sotto la zona apicale di una cellula.

La parte indicata dalla freccia rossa indica una zona in cui il


contatto tra due cellule è molto stretto rispetto ad altre zone
(come più in basso si nota) grazie alla presenza di giunzioni
GAP.

Questa giunzione ha il compito di impedire il passaggio di


molecole e microorganismi attraverso gli spazi intercellulare
(permeabilità paracellulare). La presenza delle zonulae
occludens in quel punto inoltre impedisce lo spostamento di
proteine di membrana dalla zona apicale a quella basolaterale.
Questo determina la polarità e la specificità dei domini di
quella cellula.

COMPONENTI PROTEICHE
Nella zona più serrata abbiamo proteine transmembrana come occludine e claudine. Interagiscono con le
proteine al di sotto della membrana plasmatica, che sono collegate al citoscheletro.

Sia occludina che claudina possiedono le due estremità NH3+ e COO-


rivolte verso il citoplasma. Le estremità carbossiterminali di queste
proteine legano numerose proteine citoplasmatiche (ZO, zonuline) e
citoscheletriche regolando il traffico, la polarità, la trasmissione dei
segnali e l’adesione cellulare.

Le proteine ZO permettono il legame tra l’actina dei microfilamenti e le


proteine di giunzione. Si ritiene che proprio le ZO vengano modificate
provocando una modificazione nelle giunzioni.
FUNZIONI
Le giunzioni tight sono localizzate a livello di epiteli ed endoteli dove è necessario un ridotto passaggio di
molecole. Le giunzioni tra le cellule endoteliali dei capillari encefalici contribuiscono alla formazione della
barriera ematoencefalica isolando così il sistema nervoso. Nel tratto intestinale regolano la permeabilità
tissutale controllando la via paracellulare; a livello dell’epidermide riducono la possibilità di infiltrazione da
parte di agenti patogeni; nell’embrione allo stadio di morula, isolano il blastocele dall’ambiente esterno. Si
trovano anche nelle cellule di Schwann con il compito di sigillare elettricamente i mesassoni.

GIUNZIONI ANCORANTI A FASCIA


Sono dette zonulae adhaerens. Quando parliamo di zolla intendiamo un sistema di giunzione che decorre
lungo tutto il perimetro della cellula, per differenziarle dalla machulae adheraens, presenti solo in alcuni
punti della cellula.

Sono in grado di costituire una connessione tra la rete di filamenti citoscheletrici di due cellule adiacenti o tra
i filamenti citoscheletrici di una cellula e le proteine presenti a livello della lamina basale.

Le membrane delle due cellule contigue sono separate fra loro da uno spazio di 15-20 nm.

DESMOSOMI
Denominati zonula adhaerens, sono responsabili sia dell’adesione cellula-cellula sia del mantenimento della
polarità. Nel tessuto epiteliale seguono una ben definita distribuzione spaziale localizzandosi appena sotto le
giunzioni tight.

Al microscopio elettronico le giunzioni ancoranti a fascia appaiono come placche elettrondense localizzate a
livello citoplasmatico e costituite da proteine catenine, che legano, verso il citoplasma, microfilamenti di
actina e, verso la membrana, proteine transmembrana del sistema di giunzione della famiglia delle caderine.
Le caderine sono proteine strutturali transmembrana, che sporgono nello spazio interstiziale delle cellule e si
uniscono intersecandosi fra loro, mentre in corrispondenza delle due membrane cellulari delle cellule sono
legati ai filamenti actinici del citoscheletro tramite proteine transmembrana che fungono da ponte quali le
vincoline, le catenine e le alfaactinine. Esse formano una zona di adesione continua immediatamente sotto le
giunzioni tight.

L’aspetto inspessito ed elettrondenso si ha perché al di sotto


della membrana si formano placche elettrondense. Dobbiamo
immaginare una piastra proteica che riveste la zona interna e la
zona esterna della membrana (sempre versante citosolico) e
che fa da intermediario tra le proteine di giunzione e quelle del
microfilamento.

Le integrine mediano il legame tra la singola cellula e il


connettivo sottostante. Si tratta di adesione focale.

Ultrastruttura di un desmosoma.
GIUNZIONI ADERENTI A MACCHIA O MACULAE ADHERAENS
Sono costituite dai desmosomi a macchia (funzione meccanica) facilmente riconoscibili al microscopio
elettrico, perché appaiono elettrondensi. Le membrane sono separate da uno spazio di 20nm.

I desmosomi a macchia sono giunzioni ancoranti la cui struttura non è disposta a cintura attorno alla cellula
come per i desmosomi a fascia, ma localizzata a macchia di leopardo sulla membrana plasmatica. I
desmosomi a macchia hanno funzione meccanica e ne sono ricchi tutti i tessuti posti a stress meccanici come
l’epiteliale e il muscolare cardiaco.

Nello spazio intercellulare sono presenti glicoproteine transmembrana


calcio-dipendenti di adesione della famiglia delle caderine (desmocollina e
desmogleina) che con il loro dominio extracellulare si collegano tra loro.

È un’adesione omofilica.

Nel desmosoma abbiamo una placca esterna e una interna e questo


giustifica un inspessimento sul versante citoplasmatico. Il gruppo di
proteine che costituiscono la placca intracellulare sono connesse alle
proteine dei filamenti intermedi del citoscheletro. Queste placche di
adesione, costituite da proteine citoplasmatiche di adesione desmoplachine,
collegano fra loro le caderine transmembrana con i filamenti intermedi di
actina del citoscheletro di ogni cellula.

Nelle zone superiori il sistema di giunzione mira a proteggere il passaggio delle sostanze mediante lo spazio
intercellulare. Se scendiamo il sistema mira a creare un contatto con il citoscheletro.

GIUNZIONI COMUNICANTI
(Gap Junction o nexus) sono caratterizzate da canali proteici idrofili, specializzati detti connessoni per il
passaggio di ioni e piccole molecole. Infatti, lo spazio tra le due membrane diminuisce notevolmente fino a
2nm. Mettono in comunicazione diretta il citoplasma di due cellule adiacenti contribuendo a mantenere
l’omeostasi dei diversi tessuti.

I canali transmembrana idrofili, connessoni, sono delimitati da sei proteine integrali, dette connessine, che si
saldano a livello delle loro porzioni esterne, collegando i citoplasmi delle due cellule affiancate. Come tutti i
canali possono essere aperti o chiusi. Sono zone a bassa resistenza elettrica proprio per garantire il passaggio
degli ioni.

La linea indicata dalla freccia è lo spazio intermembrana. A destra invece c’è un ammasso di ribosomi.
EMIDESMOSOMI
Sono giunzioni che si instaurano tra la membrana basale di una cellula e la matrice extracellulare, per
esempio il tessuto connettivo, entrando in contatto con le fibre collagene, disperse nella sostanza amorfa
interna. Sono costituiti da una placca intracellulare che fa da ponte tra il citoscheletro (filamenti intermedi) e
le proteine transmembrana. Il contatto avviene a livello della lamina basale su cui la cellula poggia e
attraverso le proteine lamine prendono contatto con le fibre collagene.

Con la colorazione PAS che mette in evidenza il glicogeno e le glicoproteine, la membrana appare come una
sottile linea rossa. In realtà quella linea è la membrana cellulare vicina alla lamina basale.

CONTATTI FOCALI
Sono strutture proteiche citoscheletriche, proteine ponte e proteine transmembrana che ancorano le cellule
alla matrice extracellulare. Sono piccoli punti di contatto. Questa struttura consente alla cellula l’adesione
temporanea e di rispondere in modo appropriato agli stimoli. Infatti, i contatti focali sono coinvolti in una
serie di processi quali l’adesione, la migrazione, la proliferazione, il differenziamento e l’espressione genica.
NUCLEO
È il più voluminoso degli organuli cellulari ed è presente nelle cellule eucariotiche sia animali che vegetali.

È contenuta tutta l’informazione necessaria per la cellula.

Ci sono eccezioni legate ad una diversa maturazione della cellula. Queste cellule sono i globuli rossi o
eritrociti che nascono come cellule nucleate nel midollo osseo rosso e si specializzano quando vengono
immesse nel sangue e poiché la loro funzione è quella di trasportare, perdono tutto ciò che non serve e
possiedono un citoplasma carico di emoglobina per permettere il legame con l’ossigeno.

Esistono cellule plurinucleate come la cellula muscolare striata scheletrica che costituiscono il muscolo.
Vengono chiamate sincizi perché provengono dalla fusione di varie cellule chiamate mioblasti.

I monociti (macrofagi nel connettivo) che devono fagocitare, si possono trovare a fagocitare sostanze più
grandi di loro e a quel punto i macrofagi si fondono dando vita agli osteoclasti che si trovano nella matrice
ossea.

Esistono cellule, ad esempio i granulociti, che presentano un nucleo polilobato cioè che si anastomizza
formando più lobi.

Il contenuto del nucleo è rappresentato soprattutto dalla cromatina costituita da DNA, RNA e proteine.

Osservando il nucleo possiamo capire lo stato funzionale della cellula: i nuclei chiari (cioè la parte centrale è
chiara al microscopio perché contiene l’eucromatina attiva metabolicamente e cioè trascrive RNA) indicano
cellule attive metabolicamente; i nuclei più scuri (quelli con eterocromatina che appare più colorata perché
dispersa quindi non trascrive RNA) indicano una cellula poco attiva metabolicamente.

La forma del nucleo asseconda sempre la forma della cellula e in tutti si evidenzia il nucleolo.

Il nucleolo è eterocromatico perché contiene più eterocromatina. Il nucleo


appare più chiaro ed è rivestito da membrana e contiene la matrice detta
nucleoplasma all’interno della quale vi sono proteine, cromatina, nucleolo
ecc…

Quando la cellula si divide si osservano i cromosomi che sono il


prodotto della spiralizzazione al massimo grado della cromatina.

Tessuto vegetale all’apice della radice. In


questo caso osserviamo anche i cromatidi
che si separano. La cellula vegetale è
regolare nella forma e ha una forma
rettangolare per la presenza della parete
cellulare.

Il nucleo possiede un involucro nucleare perché le membrane sono ben due, unite e parallele che in alcune
zone si fondono a formare i pori nucleari. Quindi la membrana appare interrotta in più punti. Tra le due
membrane vi è uno spazio intermembrana, detta cisterna perinucleare. I pori servono per far passare tutte le
molecole dal nucleo al citoplasma e viceversa. Per esempio, passa l’RNA messaggero, entrano le proteine
che vanno nel nucleolo per formare le subunità ribosomiali. Ci possono essere processi di esocitosi ed
endocitosi mediate da recettori.

La membrana esterna del nucleo presenta i ribosomi ed è in continuità con le cisterne del reticolo
endoplasmatico rugoso, perché deve subito garantire mRNA per la sintesi proteica.
Si tratta di un poro nucleare. La
membrana e l’eterocromatina si
interrompono in questi punti.
Quello tra le due frecce è un
mitocondrio.

Nucleo eucromatico in quanto possiede


eucromatina che rende il nucleo
elettrontrasparente, mentre in periferia
eterocromatina costitutiva più elettrondensa.
All’interno zona elettrondensa: nucleolo.

La faccia citoplasmatica della membrana è associata ai ribosomi ed è circondata da una trama di filamenti
intermedi di vimentina. Quindi la struttura citoscheletrica detta nucleoscheletro è in contatto con il
citoscheletro cellulare per il trasporto delle varie sostanze. Lo spessore della membrana esterna è di 6 nm è a
contatto con il citoplasma e in continuità con il RER.

Nucleo in sezione, non si osserva il nucleolo. In periferia


l’eterocromatina costitutiva che non diventerà mai metabolicamente
attiva, quindi non verrà mai tradotta. L’eterocromatina facoltativa
invece si converte in eucromatina in caso di necessità. (nelle femmine
uno dei due cromosomi X diventa il corpuscolo di Bahr e cioè
eterocromatina facoltativa, che interviene in caso di errori nella
trascrizione del cromosoma X attivo).

Sulla membrana esterna e su quella interna sono presenti proteine


integrali che collegano la membrana esterna con il citoscheltro
citoplasmatico (filamenti di actina) e la membrana interna con il
nucleoscheletro attraverso proteine dette lamine A, B, C (filamenti
intermedi), perché vicine alla lamina basale.

Poiché vi è un legame tra nucleo e citoscheletro che determina la


forma della cellula, è normale che il nucleo si adatti alla forma della
cellula.

La lamina fibrosa si collega con la membrana interna e contribuisce al


mantenimento dell’integrità dell’involucro nucleare.

Il nucleoscheletro è costituito da una rete fibrillare costituita da lamine e


proteine quali le LAP (lamina-associated protein) e le ARP (actin-related-
protein). La rete fibrillare fornisce supporto alla cromatina che si svolge o
spiralizza al massimo e collabora anche nella duplicazione del DNA e della
trascrizione.
Superficie del nucleo in sezione.

I pori sono costituiti da un complesso proteico detto complesso del poro, che riveste il poro nucleare.

È fatto da tre anelli: anello citoplasmatico, anello nucleoplasmatico e un anello centrale che collega gli altri
due.

Ha un diametro di 80-100 nm e ha simmetria ottagonale perché formato da otto subunità.

Dall’anello citoplasmatico di 8 subunità si ripatono 8 filamenti citoplasmatici, mentre dall’anello nucleare si


diparte una struttura detta canestro nucleare, legata ad una struttura ad anello da cui si dipartono a sua volta 8
filamenti - detti filamenti nucleari - interni al nucleoplasma.

la funzione del poro è quella di permettere i passaggi di molecole piccole di


circa 9-11 nm, mentre le molecole più grandi di 11 nm passano mediante
recettori per esocitosi ed endocitosi.

Le proteine che legano il traffico bidirezionale attraverso i pori è mediato


da proteine dette importine ed esportine.

Durante la profase mitotica abbiamo una disorganizzazione sia della struttura della membrana nucleare sia
del nucleo che si scompone per formare altre parti che andranno poi a formare i nuovi nucleoli. Durante la
mitosi il complesso del poro si modifica, vengono fosforilate le lamine che rimangono così fino alla fine
della divisione, per permettere alla cromatina che si spiralizza in cromosomi di muoversi liberamente per
dividersi.

Il nucleo cambia la sua morfologia e le sue attività in base allo stato della cellula.

A seconda della sua attività trascrizionale e del suo grado di condensazione (spiralizzazione) possiamo
distinguere:

 Eucromatina: forma dispersa, despiralizzata;


 Eterocromatina facoltativa: ha una quantità variabile da cellula e a cellula e può variare anche in base
al momento funzionale cellulare;
 Eterocromatina costitutiva: contiene DNA altamente ripetitivo ed è sempre inerte. È presente nella
stessa quantità in tutti i tipi cellulari e in tutte le cellule di organismi di sesso differente.

L’eucromatina è scarsamente cromofila ed elettrontrasparente. È geneticamente attiva, perché contiene i geni


che vengono trascritti.
A seconda del grado di spiralizzazione l’eucromatina può essere attiva o inattiva, nel senso che a seconda
della cellula e della sua funzione vengono espressi geni differenti. L’eucromatina inattiva ha uno stato di
condensazione intermedio tra eterocromatina ed eucromatina attiva. Anche i geni specifici della cellula
vengono trascritti solo quando necessario.

Solo il 10% del DNA totale è trascritto in circa 50.000 proteine (eucromatina) in un mammifero, sebbene ci
sia una trascrizione selettiva in base al tipo cellulare. In ogni cellula differenziata circa 1-5% del genoma è
trascritto.

L’eterocromatina invece è la forma condensata e spiralizzata, elettrondensa e fortemente cromofila. È


geneticamente inattiva.

L’eterocromatina può presentarsi sottoforma di filamenti spiralizzati a costituire


piccoli granuli: cromomeri (freccia rossa) o grosse zolle: cromocentri (freccia
blu).

La cromatina è un complesso costituito da DNA, RNA e da proteine.

Molecole % del peso secco Frazioni % di ogni frazione


DNA 30 a copia singola (geni), dal 5 al 60%
mediamente ripetitivo, più del 30%
altamente ripetitivo. dall’1 al 40%
RNA 5-15 a basso peso molecolare 0,5% (precursore tRNA)
hn-RNA, ca. 30% (precursore mRNA)
precursore dei ribosomi. ca. 70%
Proteine 50-60 istoni, ca. 30%
non-istoniche. 20-30%

Le proteine sono istoniche e non-istoniche. Quelle istoniche hanno un ruolo strutturale e intervengono nei
processi di spiralizzazione della cromatina. Le proteine non-istoniche hanno un ruolo funzionale. Le proteine
istoniche si dividono in 5 classi:

 H1;
 H2B;
 H2A;
 H3;
 H4.

Le ultime quattro vanno a costituire una subunità cilindrica unendosi tra loro. Due strutture di questo tipo si
uniscono formando un cilindretto a 8 subunità, ottamero. Questo cilindretto si chiama nucleosoma sul quale
si avvolge il filamento di DNA che si spiralizza per un giro e tre quarti e cioè un tratto di 140 coppie di
nucleotidi e poi rimane libero e così via. Gli istoni H1 intervengono nella spiralizzazione o despiralizzazione,
legandosi alla parte libera della cromatina (tratti linked) insieme alle proteine non istoniche (enzimi per la
sintesi del DNA e dell’RNA e proteine regolative dell’espressione genica). Quando avviene il processo di
spiralizzazione l’istone H1 unisce le varie parti linked, portando ad una forte spiralizzazione. Questo
processo continua fino al massimo grado di condensazione e cioè i cromosomi.
Cromatina al microscopio elettronico.

I geni rappresentano sequenze di DNA che contengono le informazioni necessarie per la produzione di una
proteina o di RNA. L’insieme dei geni di un organismo costituisce il GENOMA.

Il DNA può essere:


 DNA a sequenza unica: geni strutturali, sono a copia singola;
 DNA mediamente ripetitivo: geni regolatori, geni per rRNA, tRNA, istoni, sequenze regolative…;
 DNA altamente ripetitivo: sequenze di incerto significato, satellite.

Nell’immagine α rappresenta un cromosoma monocromatidico. In questo caso


fa parte del corredo di una cellula aploide. Mentre β è una coppia di
cromosomi monocromatidici di una cellula diploide. Sono cromosomi
omologhi.

Il cromosoma fatto da un braccio possiede al centro il centromero; il


cromosoma è una sequenza di nucleotidi che corrispondono ai geni.

Corredo diploide: per ogni tipo di cromosoma ce ne sono due (coppie di


cromosomi omologhi.

α β
I cromosomi possono essere costituiti o da un solo cromatidio o da due cromatidi. Prima della divisione la
cellula ha un corredo cromosomico diploide: il cromatidio coincide con il cromosoma (cromosoma
monocromatidico). Quando la cellula si divide il DNA si deve duplicare e ogni singolo cromatidio si duplica
e viene fuori la tipica forma ad X del cromosoma, unito dal centromero (cromosoma dicromatidico).

Quando il DNA si duplica i cromatidi di uno stesso cromosoma si chiamano cromatidi fratelli. Gli omologhi
non entrano mai in contatto, se non durante il crossing over della meiosi.

Per uno stesso gene nella cellula aploide l’allele può essere solo dominante, mentre nella cellula diploide i
due alleli possono essere uno dominante e l’altro recessivo o entrambi dominanti o recessivi.

Il DNA mediamente ripetitivo trascrive per rRNA, tRNA e proteine regolatrici che regolano la trascrizione
(geni intensificatori, geni silenziatori). Ridondanza genica perché i geni sono presenti in centinaia di copie.

I geni regolatori per le proteine funzionali invece sono presenti sul DNA a sequenza unica in singola copia.

Il DNA altamente ripetitivo contiene migliaia di copie di una stessa sequenza nucleotidica, è una frazione di
incerto significato funzionale ed entra nella struttura della eterocromatina costitutiva. L’eterocromatina
costitutiva è quella periferica. Si trova anche alla periferia del nucleolo (organulo non delimitato da
membrana), quasi a delimitarlo.
L’eterocromatina costituisce anche il DNA satellite che si trova o all’estremità
del cromosoma detta telomero o nel centromero dove riconosce una struttura
proteica detta cinetocore, utile per unire il cromosoma al fuso mitotico.

Quindi possiamo dire che l’eterocromatina ha un ruolo strutturale.

I geni sono una sequenza nucleotidica. Quando deve iniziare la trascrizione sulla sequenza c’è sempre il
tratto promotore, sito di inizio, che costituisce il sito di legame per vari enzimi utili alla trascrizione. Alla
fine, invece ci sono le sequenze nucleotidiche corrispondenti ai fattori di rilascio durante la sintesi proteica.

L’mRNA tradotto è eterogeneo perché presenta


sequenza intervallate dette esoni e introni.
Prima di uscire attraverso i pori nucleari,
l’mRNA subisce una modificazione in cui
vengono eliminate le sequenze introniche,
lasciando le sequenze esoniche che trascrivono
effettivamente per le proteine. Questo processo
di rielaborazione è detto processing.

NUCLEOLO
È visibile solo nel nucleo interfasico e scompare durante la divisione cellulare
insieme alla membrana nucleare. Il nucleolo è particolarmente sviluppato nelle
cellule che svolgono una intensa attività metabolica. In genere, nei nuclei sono
presenti 1 o 2 nucleoli (mononucleolate o binucleolate).

È essenziale per la formazione dei ribosomi. Non è circondato da membrana.

Si distinguono tre componenti:

 Parte filamentosa (pars fibrillaris): è costituita da un filamento di cromatina


che attraversa il nucleolo per continuarsi con la eterocromatina nucleolo-
associata che è un esempio di eterocromatina costitutiva. Il filamento di
cromatina è costituito da tratti lisci (DNA mediamente ripetitivo che non
trascrive) e tratti muniti di fibrille laterali (trascrivono per RNA ribosomiali)
disposte a rami d’abete;
 Parte granulare (pars granularis);
 Parte amorfa.

Nel nucleo interfasico la cromatina piuttosto dispersa appare come un lungo


filamento cromosomico disperso. Un tratto di DNA segregato va a costituire
eterocromatina costitutiva ai poli del nucleolo, andando ad incastrare un
filamento di DNA (pars fibrillaris), che possiede i geni per i ribosomi, dal
quale fuoriescono filamenti di RNA ribosomiale. Intorno al filamento di
DNA c’è la pars granularis che sarebbe una serie di filamenti di RNA
associati alle proteine, ovvero i precursori (perché devono subire
modificazioni) delle sub-unità ribosomiali. Il tutto è immerso in una
soluzione amorfa di natura proteica.
Le frecce indicano la cromatina
nucleolo-associata (scura) disposta
intorno al nucleolo.
Geni ribosomiali in fase di Singolo gene.
trascrizione

Funzione principale del nucleolo è la


biogenesi dei ribosomi. I geni
nucleolari che trascrivono rRNA
sono geni ridondanti, essendo
presenti in copie multiple.

CROMOSOMI
Si rendono visibili come entità individuali solo durante una determinata fase della divisione cellulare e cioè
la metafase. Durante l’interfase i cromosomi sono sottoforma di cromatina, in parte despiralizzata
(eucromatina) e in parte spiralizzata (eterocromatina).

Durante la divisione cellulare la cromatina si presenta spiralizzata al massimo grado, a formare i cromosomi,
e contiene DNA geneticamente inerte, perché in quel momento non vi è la sintesi proteica.

Prima della fase S abbiamo un cromosoma monocromatidico, dopo la fase S abbiamo cromosoma
dicromatidico.

Il cromosoma presenta una zona più ristretta detta centromero o costrizione primaria che divide il
cromosoma in due bracci uguali o disuguali, che si ripiegano. Può essere anche più o meno spostata verso
l’estremità telomerica. Quindi i cromosomi si possono classificare in telocentrici, submetacentrici,
metacentrici.

Alcuni cromosomi possono presentare una costrizione secondaria a livello della parte telomerica terminale
ed è fondamentale perché quando la cellula va in divisione il nucleolo scompare (la pars granularis va nel
citoplasma, la parte fibrillare si condensa e forma una struttura che si aggancia alla costrizione secondaria) e
ad essa si aggancia la parte fibrillare che crea la struttura detta organizzatore
nucleolare da cui parte la formazione dei nucleoli per le cellule figlie.

Nella zona del centromero si ha DNA altamente ripetitivo che si associa al


cinetocore di natura proteica a cui si uniscono i microtubuli del fuso mitotico.
Questo permette ai cromosomi dicromatidici di agganciarsi al fuso ed essere
poi separati e trasportati verso i poli.

Se si somministra un alcaloide come la colchicina possiamo interrompere la polimerizzazione dei


microtubuli, permettendo di vedere i cromosomi costituiti da due cromatidi al microscopio. Parliamo di
piastra metafasica perché durante la metafase i cromosomi si dispongono lungo una linea equatoriale.

È stato ipotizzato che il cromosoma potrebbe essere costituito, oltre che da un


filamento di cromatina, anche da uno scheletro o impalcatura centrale o scaffold, di
natura proteica. Lo scaffold proteico collabora alla corretta separazione dei
cromosomi.

Aspetto dei cromosomi metafasici:

cellula non trattata con cellula trattata con


colchicina. colchicina.

Il numero di cromosomi è costituito dal numero n che va da 1 a infinito ed è un numero di ploidia.


Nell’uomo è 23. Se sono in una cellula germinale ovociti e spermatozoi n è 23. Nelle cellule somatiche n è
2n e cioè nell’uomo 46. 2n= ogni cromosoma è presente in duplice copia. 2n indica una cellula diploide. Una
cellula aploide può avere un numero di cromosomi dispari, mentre una cellula diploide ha sempre un numero
pari. Il cariotipo è, cioè, costituito da coppie di cromosomi identici, per forma, dimensione e tipo di geni.

A sinistra: prima della fase S, cromosomi omologhi monocromatidici.


A destra: dopo la fase S, coppia di cromosomi omologhi dicromatidici.
Il numero c indica la quantità di DNA. Nella cellula aploide abbiamo n e c; invece nella cellula diploide in
interfase abbiamo 2n e 2c, con duplicazione del DNA 2n e 4c.

Nel cariotipo umano il corredo cromosomico diploide (2n) è pari a 46. Negli organismi in cui il sesso è
determinato geneticamente (es. mammiferi), le cellule dei due sessi presentano cariotipi che differiscono per
la morfologia di una coppia di cromosomi: i cromosomi sessuali. I cromosomi non sessuali sono detti
autosomi.

Nei mammiferi, le femmine hanno cellule somatiche con cariotipi che presentano due cromosomi sessuali
uguali, detti x x (omogametico). Nelle cellule somatiche dei maschi è presente un cromosoma x e un piccolo
cromosoma y (digametico). Negli uccelli, nei serpenti e in diversi invertebrati, le femmine hanno sesso
digametico (zw), e omogametico i maschi (zz).
CICLO CELLULARE: GENERALITÀ
Ciascuna cellula ha una vita di durata definita.
Il numero di cellule di un organismo è stabilito dal bilancio fra proliferazione e morte cellulare.
Una cellula proliferante dà origine a due cellule figlie identiche a se stessa.
Una cellula proliferante duplica la propria informazione genetica contenuta nel DNA prima di dividersi.

INTERFASE E MITOSI
 Nella vita della maggior parte delle cellule si succedono due fasi principali: interfase (la cellula passa
molta della sua vita in questa fase) e mitosi;
 La successione di queste due fasi costituisce il ciclo cellulare;
 L’interfase che è molto lunga o intercinesi, comprende tre momenti: G1 intervallo che precede la
sintesi del DNA, durante la quale avvengono i normali processi metabolici e la sintesi proteica; S
fase di sintesi di DNA; G2 intervallo postsintetico preparatorio alla mitosi; punti di controllo che
sono momenti in cui il ciclo viene controllato e mandato avanti o inibito.
Questo ciclo è lungo e complesso e deve essere costantemente controllato.

FASE G1
Segue la mitosi ed è la fase durante la quale la cellula svolge le sue normali attività come: Punto di restrizione
 Trascrizione;
 Sintesi proteica;
 Incremento di volume, quindi crescita in quanto è appena nata;
 Cromatina despiralizzata (filamenti di cromatina singoli);
 Una sola copia di ogni filamento cromatinico;
 Quantità di DNA: 2c perché abbiamo cromosomi omologhi
monocromatidici;
 Sintesi di cicline e formazioni di complessi ciclina-fosfochinasi
(enzima che trasferisce fosfati dall’ATP ad altre molecole)
ciclina dipendente (Cdk); sono le proteine fondamentali per il
checkpoint pre-divisione. La concentrazione di queste molecole
aumenta man mano che andiamo verso la fase di divisione.
Quando si arriva alla giusta quantità fanno partire la sintesi
della ciclina successiva. Quindi vi è un effetto a cascata tra i
vari complessi che devono essere sintetizzati.

FASE S
 Avviene la sintesi di DNA;
 La sintesi di istoni: proteine attorno a cui il DNA si avvolge;
 Cromatina despiralizzata;
 Due copie di ogni filamento cromatinico;
 Quantità di DNA 4c perché la coppia di omologhi è diventata
dicromatidica in quanto si sono duplicati;
 Garanzia di trasmissione della stessa quantità di informazione alle cellule figlie.
INTERFASE S: SINTESI DEL DNA

1. La topoisomerasi è un enzima che


srotola la doppia elica;
2. I ponti di idrogeno tra le basi sono
rotti dall’elicasi che è una specie di
cuneo che si infila tra i due
filamenti e rompe il legame;
3. Le proteine SSB si legano ai due
filamenti srotolati e li stabilizzano;
4. La DNA polimerasi si lega al
filamento guida e scorre lungo esso
partendo dall’estremità 3’ verso
l’estremità 5’. Si crea quindi una
molecola di DNA con un filamento
guida e l’altro copiato;
5. L’altro filamento lento viene duplicato in modo differente; DNA primasi sintetizza piccoli filamenti di
RNA complementari al DNA;
6. La DNA polimerasi si muove dall’estremità 5’ a quella 3’ (direzionalità complementare a 3’-5’), creando
i frammenti di Okazaki, legati tra loro attraverso la DNA ligasi.

FASE G2

 Avviene la sintesi di proteine di membrana;


 Avviene la sintesi di proteine del fuso mitotico;
 Attivazione del complesso M-Cdk;
 Riparazione di errori di duplicazione del DNA;
 Eventuale sintesi di inibitori per blocco del ciclo;
 Due copie di ogni filamento cromatinico (coppia di cromosomi
omologhi dicromatidici);
 Quantità di DNA 4c.
Punto di controllo

MITOSI
 Divisione cellulare indiretta, che avviene attraverso una serie di fasi;
 Produce due cellule figlie geneticamente identiche alla cellula madre;
 Avviene in cinque fasi:
 Profase: formazione dei cromosomi, scomparsa dell’involucro nucleare;
 Metafase: cromosomi disposti all’equatore della cellula;
 Anafase: separazione dei cromatidi fratelli e avviene la migrazione ai poli;
 Telofase: despiralizzazione dei cromosomi e ricostituzione dei nuclei;
 Citodieresi: divisione del citoplasma.
Profase
 Graduale spiralizzazione della cromatina in cromosomi;
 Graduale scomparsa dell’involucro nucleare (riassorbito dal RER);
 Scomparsa del nucleolo (pars fibrillaris= NOR; pars granularis =
ribosomi);
 Formazione del fuso mitotico:
o Centrioli (due coppie) = centrosomi;
o Microtubuli:
 Aster
 Fibre cromosomiche
 Fibre mantellari (interpolari)
o Proteine motrici (chinesine, dineine) e MAPs: assemblano il
fuso, stabilizzano i microtubuli, orientano i cromosomi.

Metafase
 Cromosomi evidentemente dicromatidici;
 Disposti all’equatore del fuso mitotico (piastra
metafasica);
 Flusso di tubuline da + a – (Inibendo il fuso con
colchicina, si può studiare il numero e la struttura dei
cromosomi).

Anafase
 Attivazione della separasi che degradano i centromeri;
 Le fibre del fuso tirano i cromatidi fratelli verso poli
opposti;
 Depolimerizzazione accelerata dell’estremità + delle
fibre cromosomiche;
 Trazione delle fibre astrali;
 Allungamento delle fibre mantellari;
 I cromatidi fratelli si separano.

Telofase
 Scomparsa del fuso mitotico;
 Despiralizzazione della cromatina;
 Ricostituzione di involucro nucleare e nucleolo;
 Ripartizione degli organuli tra i due poli;
 Comparsa dell’anello contrattile acto-miosinico e inizio dello strozzamento
equatoriale.

Citodieresi
 Nelle cellule animali è provocata dall’anello contrattile
equatoriale;
 L’anello strozza il citoplasma e provoca la separazione delle
cellule;
 L’anello è assente nelle cellule vegetali, dove invece si forma
il fragmoplasto;
 Le due cellule figlie hanno lo stesso corredo cromosomico
(2n) e la stessa quantità di DNA (2c) della cellula madre.
FREQUENZA DELLA MITOSI
 Cellule ciclanti: terminato un ciclo con la mitosi ne iniziano subito un
altro;
 Cellule non ciclanti: dopo la mitosi, entrano in una fase G0 e svolgono le
normali attività senza dividersi più (cardiociti);
 Classificazione di Bizzozero:
o Cellule labili: ciclanti (epidermide, sangue);
o Cellule stabili: mitosi solo se necessarie (derma, epatociti);
o Cellule perenni: mai mitosi (neuroni).

MITOSI E RIPRODUZIONE ASESSUATA

Molti organismi pluricellulari possono formare nuovi individui a partire da cellule del proprio corpo che si
riproducono per mitosi. Questa riproduzione è detta asessuata (o agamica o clonale) e non comporta la
comparsa di cellule specializzate per la riproduzione (gameti).

MEIOSI
La meiosi è molto diffusa nel mondo animale in quanto nello stesso avviene la riproduzione sessuata.
Comporta la formazione di cellule specializzate aploidi n, dette cellule germinali o gameti che si formano
attraverso una divisione cellulare particolare, la meiosi appunto, che dimezza il corredo cromosomico (di
ogni cromosoma vi è solo un cromatidio e lo stesso è ad unica copia (no coppie omologhe)).
Vi sono due tipi di gameti:
 Lo spermatozoo (o spermio) è più piccolo e mobile;
 L’uovo (o ovulo) è più grande e immobile.
La fusione dei due gameti (fecondazione) comporta la formazione dello zigote
diploide 2n, che si divide per mitosi formando tutte le cellule del corpo
(somatiche 2n).

Fecondazione di una cellula uovo.


FASI DELLA MEIOSI
Per dimezzare il corredo cromosomico la meiosi è
costituita da due divisioni.
 Ia divisione meiotica detta riduzionale: Profase I Metafase I Anafase I

 numero cromosomico: da 2n a n.
Telofase I
 quantità di DNA: da 4c a 2c.
 IIa divisione meiotica o equazionale:
Profase II
Metafase II

 numero cromosomico: n (invariato).


 quantità di DNA: da 2c a c.
 Risultato finale: 4 cellule aploidi. Anafase II

Telofase II

Profase I

Leptonema Zigonema Pachinema Diplonema Diacinesi

La Profase I della Ia divisione meiotica è un processo molto lungo, spesso infatti quando si osserva una
cellula progenitrice dei gameti è molto probabile osservarla durante la profase I.

Viene suddivisa in ulteriori sottofasi:


1. LEPTONEMA: i cromosomi omologhi monocromatidici iniziano a spiralizzarsi.
2. ZIGONEMA: gli omologhi si appaiano, abbiamo così coppie di omologhi dicromatidici appaiati.
3. PACHINEMA: gli omologhi si allineano nella sinapsi (tetrade). Si crea un complesso
sinaptonemale: si tratta di proteine che allineano e avvicinano i cromatidi non fratelli della coppia di
omologhi. Avviene a questo punto il crossing over, ovvero lo scambio di materiale genico tra i
cromatidi non fratelli che appartengono a due cromosomi differenti della stessa coppia di omologhi.
Avviene quindi uno scambio di alleli per uno stesso gene, alleli provenienti dai due cromosomi
omologhi.
4. DIPLONEMA: gli omologhi iniziano ad allontanarsi, restando uniti nei chiasmi; scompare
l’involucro nucleare.
5. DIACINESI: gli omologhi si allontanano e i chiasmi si terminalizzano: compare il fuso.

Intervento proteico:

Nel complesso sinaptonemale riconosciamo le proteine SYCP (arancioni


nell’immagine) che allineano e avvicinano i cromatidi fratelli.
In leptotene i cromosomi si agganciano con un telomero all’involucro nucleare tramite la proteina SYCP3
(coseina meiotica).

SYCP3 e SYCP2 formano gli elementi laterali (LE) legati a ciascun cromatide non fratello.

SYCP1 forma l’elemento centrale (CE) costituito da dimeri che si collegano a ponte.

Le SYCE formano i nuclei di ricombinazione.

La RAD51 e le MSH determinano la formazione della giunzione di Holliday che permettono il crossing over.

Crossing over al microscopio elettronico.


Nella metafase I ogni cromosoma dicromatidico si affianca al suo omologo dicromatidico (figura di tetradi)
affiancandosi lungo la linea equatoriale del fuso mitotico.

Nell’anafase I i cromosomi omologhi dicromatidici si dividono allontanandosi verso i poli della cellula.
Nella mitosi invece durante l’anafase i due cromatidi fratelli che formano il singolo cromosoma si dividono.

Dopo la prima divisione meiotica le due cellule figlie sono aploidi.

Nell’anafase II vi è la divisione dei cromatidi fratelli, che formavano il cromosoma omologo dicromatidico.

Durante la telofase II da ciascuna delle due cellule diploidi si generano due cellule figlie aploidi. Il numero
di cromosomi rimane lo stesso ma si riduce la quantità di DNA. Quindi otteniamo 4 cellule aploidi n e c.
Queste cellule aploidi sono i gameti.

Nella mitosi ogni cromosoma da solo si mette all’equatore mentre nella meiosi i cromosomi omologhi
dicromatidici si accoppiano e si dispongono lungo la linea equatoriale.
APOPTOSI: MORTE PROGRAMMATA DELLA CELLULA
FASE 1: forma sferica e demolizione del citoscheletro;
FASE 2: nucleo eterocromatico;
FASE 3: rottura dell’involucro nucleare e del DNA;
FASE 4: la cellula si disgrega in vescicole.

Può manifestarsi in vari fenomeni:


 Danni cellulari e infezioni;
 Stress e danni al DNA;
 Omeostasi cellulare (50-70 miliardi di cellule al giorno);
 Sviluppo embrionale ;
 Regolazione del sistema immunitario (riguardo gli antigeni).

Può essere provocata dalle caspasi, enzimi che dirigono la distruzione cellulare. Le caspasi sono
normalmente inibite dall’IAP (proteina inibitrice dell’apoptosi)
Esistono due tipi di apoptosi: fattori estrinsechi esterni alla cellula (vedi infezione: il pus è il risultato
dell’azione dei globuli bianchi); esistono anche fattori intrinsechi: la fuoriuscita del citocromo c dalla
membrana interna del mitocondrio che attiva le caspasi. Vi possono essere induttori estrinsechi o intrinsechi
possono inattivare l’IAP, quindi venendo meno l’inibizione le caspasi si attivano.

L’apoptosi è diversa dalla necrosi, morte traumatica accidentale e immediata che scatena a livello cellulare
una reazione per cui la membrana plasmatica perde la sua permeabilità che serve a filtrare le entrate e si
riempie d’acqua portando allo scoppio della cellula. Nell’apoptosi invece si ha la frammentazione della
cellula.

Rappresentazione dell’apoptosi cellulare.


Una volta che la cellula si è distrutta i
macrofagi completano la rimozione dei
pezzi fagocitandoli.
GAMETOGENESI
 Gametogenesi: processo di produzione dei gameti;
 Ermafroditismo (missiniformi, alcuni teleostei): un solo individuo produce entrambi i gameti;
 Gonocorismo (altri vertebrati): un individuo produce un solo tipo di gameti;
 Maschio: produce solo spermi;
 Femmina: produce solo uova.

Per gonade si intende l’organo che produce i gameti. Il testicolo è la gonade maschile che produce
spermatozoi, mentre l’ovario è la gonade femminile che produce uova. L’ovariotestis è la gonade
ermafrodita che produce sia spermi che uova.

SPERMATOGENESI

Ci sono due tipi di testicoli: cistico (anamni) e tubulare (amnioti).

FASE DELLA SPERMATOGENESI:


1. Fase mitotica;
2. Fase meiotica;
3. Spermioistogenesi o Spermiogenesi.

Durante la fase mitotica parliamo di spermatogoni.

Quando questi smettono di dividersi mitoticamente si accrescono fino


a diventare spermatociti primari, ancora diploidi.

Il corredo cromosomico è ancora diploide. Gli spermatociti primari vanno in meiosi dando spermatociti
secondari aploidi. Con la seconda meiosi abbiamo gli spermatidi aploidi. Gli 8 spermatidi non sono maturi.

Mediante la spermioistogenesi si formano gli spermatozoi maturi. Nelle divisioni mitotiche e meiotiche
della spermatogenesi capita che non vi è una divisione completa delle cellule, ma condividono materiale
citoplasmatico e questo permette di sincronizzare l’attività.

Lo spermatidio perde il citoplama e man mano che lo perde si forma il flagello. I lisosomi della cellula si
fondono e avvolgono il nucleo formando un cappuccio acrosomiale. I mitocondri si avvolgono attorno al
flagello formando un manicotto e il nucleo diventa eterocromatico.

La coda è suddivisa in: collo, tratto intermedio (corpo), tratto principale e tratto terminale. L’acrosoma
contiene enzimi idrolitici che rompono la membrana della cellula uovo per far entrare il nucleo dello
spermatozoo.
Maturazione spermatozoo

Schematizzazione Spermioistogenesi Organizzazione istologica interna al testicolo

Struttura dello spermatozoo


OVOGENESI

È il percorso dei gameti femminili per maturare fino alla cellula uovo e avviene nelle gonadi ovvero i
follicoli ovarici che si trovano nell’ovario. Tutto è regolato da un controllo ormonale.

La spermatogenesi continua ciclicamente per tutta la vita dell’organismo, mentre per l’ovogenesi, durante lo
sviluppo del feto si forma un numero finito di ovogoni che sono cellule diploidi che aumentano di numero e
che vanno incontro alla meiosi. Il completamento della meiosi avviene solo dopo la fecondazione. Alla
nascita il processo è bloccato nella fase diplotene della profase meiotica. Gli ovociti primari alla nascita sono
in numero ben definito bloccati nella fase di diplotene, che continuerà con la pubertà fino all’ovocito
secondario che se non fecondato viene espulso con il ciclo mestruale mentre se fecondato conclude la meiosi
e si forma lo zigote. Nelle donne quando si esaurisce il numero di follicoli si va in menopausa.

Il follicolo è fatto sia dalla cellula uovo che da altre cellule secondarie. Ogni mese si va incontro alla
follicolo genesi.

FASI
1. Fase mitotica a carico degli ovogoni si ottengono due cellule figlie identiche alla madre. È una fase
di aumento nel numero di ovogoni. Questo avviene ancora in fase embrionale.
2. Fase meiotica
Fino alla nascita gli ovogoni aumentano di dimensioni e formano gli ovociti, che sono bloccati nella
fase diplotene della prima divisione meiotica, quindi abbiamo ovociti primari diploidi 2n.
Alla pubertà questi ovociti primari completano la prima divisione meiotica che dovrebbe portare a
due cellule figlie con corredo cromosomico dimezzato. In realtà si formano un ovocita secondario
aploide e un polocita primario aploide inattivo che degenera. La sua funzione è fondamentalmente
importante per la ripartizione del DNA e quindi consente il corretto dimezzamento del corredo
cromosomico. Questo ovocita secondario (in parallelo anche il polocita primario) va incontro alla
seconda fase meiotica equazionale, che altro non è che una mitosi in cui non avviene duplicazione di
DNA perché già duplicato, che ripartisce i cromatidi nelle due cellule figlie. L’ovocita secondario si
dividerà e i cromosomi dicromatidici si divideranno: otterremo un uovo e tre polociti secondari. (la
spermatogenesi forma 4 spermatozoi).

A livello dell’ovario abbiamo ovociti secondari bloccati nella metafase della


seconda divisione meiotica. Solo dopo la fecondazione approdiamo alla cellula
uovo.

Quando lo spermatozoo feconda dà lo stimolo a completare la meiosi e quindi


otteniamo la cellula uovo.

Polocita secondario

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