Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Delimitazione;
Mantenimento integrità cellulare: protegge dall’ambiente esterno. Ogni elemento esterno ed estraneo
è detto antigene;
Selezione di ciò che entra ed esce: si parla di permeabilità selettiva;
Regolazione rapporto cellula-cellula;
Riconoscimento elementi estranei: attraverso i recettori proteici di membrana;
Mantenimento della forma cellulare: insieme al citoscheletro;
Con il microscopio elettronico vediamo invece una linea nera ben definita che delimita la cellula.
Se inseriamo un forte ingrandimento riusciamo a vedere la struttura trilaminare con due strati più
elettrondensi (teste polari) e uno strato elettrontrasparente centrale (code apolari).
Danielli e Davson ipotizzarono un modello statico di membrana. Avevano considerato un doppio strato
fosfolipidico completamente rivestito all’esterno e all’interno dalle proteine a contatto con le teste polari
di un film lipidico bistratificato.
Singer e Nicholson ipotizzarono che la membrana fosse costituita da un bilayer fosfolipidico associato a
proteine intrinseche ed estrinseche. Esse non rivestono tutto lo strato. La fluidità della membrana viene
condizionata dall’eccesso di colesterolo e di grassi saturi, caratterizzati da un singolo legame nella catena
di acidi grassi.
Il colesterolo è una molecola lipidica polare, che esercita un ruolo stabilizzante ed è largamente presente
nelle cellule eucariotiche animali.
Ognuno dei due monolayer è costituito da una sequenza di fosfolipidi con code di acidi grassi idrofobiche
apolari e teste polari (glicerolo+ gruppo fosfato+ gruppo polare). Le molecole fosfolipidiche sono anfipatiche
perché il gruppo fosfato è idrofilo e le catene di acidi grassi sono idrofobiche, motivo per cui la loro
collocazione nella membrana sarà congruente con tale asimmetria. A seconda del gruppo polare che si lega al
fosfato possiamo avere :
Discontinuità: a causa della presenza casuale delle proteine intrinseche che rompono la struttura
lineare;
Fluidità: grazie alla presenza dei lipidi e delle catene di acidi grassi insaturi; questo permette ai
lipidi di diffondere lateralmente. Il grado di fluidità della membrana è influenzato dalla qualità dei
lipidi che la compongono: lipidi con catena aciliche lunghe e sature hanno ampie superfici di
interazione e si impacchettano strettamente dando così luogo a membrane poco fluide; i lipidi con
catene aciliche corte o lunghe, ma insature hanno superfici di interazione inferiori e danno luogo a
membrane più fluide.
Il colesterolo non forma strutture continue, ma è inserito fra i fosfolipidi o gli sfingolipidi, sulla
mobilità dei quali svolge un ruolo di modulazione: restringe la mobilità sia delle teste idrofiliche sia
delle code idrofobiche, diminuendo di conseguenza la mobilità del foglietto lipidico quando è
presente in elevata concentrazione; quando la sua concentrazione è bassa l’anello steroideo disperde
le code idrofobiche facendo passare la membrana da un minore a un maggior grado di fluidità.
Asimmetria: è dovuta alla distribuzione asimmetrica di alcuni lipidi e di molti peptidi e alla
localizzazione esclusiva dei glucidi, legati sia proteine sia a lipidi, sulla faccia esoplasmatica della
membrana; la posizione delle proteine non è fissa, ma può variare, in quanto si spostano lateralmente
sulla membrana a seconda del punto della cellula in cui è richiesta la loro presenza. Le proteine che
vengono portate per vescicolazione presso la membrana plasmatica generalmente hanno subito la
glicosilazione nel Golgi e quindi si inseriranno nella membrana con la parte glicosilata verso
l’esterno. Difatti molte delle proteine di membrana sono glicoproteine.
Secondo una teoria moderna di Singer e Nicolson sul versante extracellulare esistono zone in cui prevalgono
sfingolipidi e colesterolo, che per la loro struttura si impacchettano in domini ordinati immersi in un mare di
fosfolipidi meno ordinati. A teli domini è stato dato il nome di zattere lipidiche funzionali alla
concentrazione e al trasporto delle proteine nelle zone di membrana della cellula in cui sono richieste. Sono
quindi necessarie per il movimento delle proteine.
[Alle teste polari si lega una componente carboidratica, così abbondante da dar luogo ad uno spesso
rivestimento esterno detto glicocalice. Questo è coinvolto a creare lo spazio tra due membrane di due cellule
vicine per evitare che collassino l’una sull’altra].
Alcune sostanze passano facilmente, altre hanno bisogno di mezzi per attraversare la membrana. Possono
attraversare la membrana:
1. Gas
2. Piccole molecole (benzene, aminoacidi, glucosio, acidi grassi…)
3. Ioni (Na, K, Cl, Mg, Ca…)
4. Alcuni ormoni
5. Vitamine
Le semplici proteine canali (più subunità proteiche assemblate) permettono il passaggio delle molecole senza
entrare in contatto con loro, secondo gradiente di concentrazione o gradiente elettrico se si tratta di ioni. I
canali possono essere aperti oppure chiusi. Nel caso siano chiusi sono necessari determinati recettori che
riconoscano la molecola in entrata. Le proteine canale possono delimitare pori idrofili, importanti per il
passaggio di acqua e di ioni secondo gradiente di concentrazione ed elettrico. Molto spesso il passaggio degli
ioni è basato sul gradiente elettrico ed è alla base del potenziale di membrana. Il trasporto è molto specifico
poiché ogni molecola attraversa la membrana all’interno del suo specifico trasportatore. Uno dei trasportatori
più noti è il GLUT1 (trasportatore del glucosio).
Le acquaporine sono determinate proteine canale specifiche per il passaggio di acqua (essa passa anche per
osmosi e per diffusione semplice). Formano pori per il passaggio selettivo delle molecole di acqua in singole
file.
Uniporto: vi è il passaggio di una molecola per volta, che entra dall’esterno e viene rilasciata
all’interno o viceversa. Il trasporto avviene solo quando è termodinamicamente favorito e cioè
quando la sostanza va da una concentrazione maggiore ad una minore.
Simporto o Cootrasporto: sfruttando il gradiente di concentrazione del trasporto della prima
molecola che sta passando, una seconda molecola si associa al passaggio, che avviene
contemporaneamente a quello della prima molecola.
Antiporto o Cootrasporto: sfruttando il gradiente di concentrazione della molecola che sta entrando,
una seconda molecola impegna il trasportatore per uscire dalla cellula.
OSMOSI
Riguarda il passaggio di liquidi come l’acqua. L’acqua attraversa la membrana passando dalla soluzione
ipotonica a quella ipertonica. In condizioni standard l’ambiente extracellulare e quello intracellulare sono
isotonici, perciò non avviene passaggio di acqua. Può avvenire per diffusione semplice oppure per diffusione
facilitata mediante canali proteici denominati acquaporine.
ENDOCITOSI
La membrana ingloba attraverso invaginazioni le molecole.
ESOCITOSI
Esportazione delle sostanze o delle molecole attraverso la formazione di vescicole cioè porzioni di
membrana che si staccano.
TRASPORTO ATTIVO
È un meccanismo che permette il trasporto delle molecole contro gradiente di concentrazione (molecole) o
gradiente di potenziale (ioni). Il processo è termodinamicamente sfavorito, infatti richiede energia sotto
forma di ATP per poter liberare energia necessaria ad attuare il processo.
Questo compito è affidato alle pompe, che sono proteine transmembrana con siti di legame per l’ATP dal
lato citoplasmatico. Il legame con ATP e la liberazione di energia avviene solo quando è necessario il
passaggio di ioni.
Un esempio di trasporto attivo lo si può osservare nel passaggio degli ioni Na +, Cl- e K+, importantissimi per
il potenziale di membrana, perché si occupano del mantenimento del gradiente al livello delle membrane
plasmatiche.
Pompe calcio: fondamentali a livello dei tessuti muscolari, quando il calcio deve uscire per potersi
legare all’actina, al fine della contrazione muscolare. Servono anche a mantenere bassa la
concentrazione di Ca++ nel citoplasma.
Pompe protoniche: servono per il trasporto degli H+ all’interno dei lisosomi per mantenere basso il
loro pH. Sono molto importanti a livello mitocondriale.
Pompe sodio/potassio: servono a mantenere costantemente differenziate le concentrazioni di questi
due ioni all’interno della cellula, trasportando contemporaneamente tre ioni sodio fuori e due ioni
potassio dentro.
POMPE SODIO/POTASSIO.
I cationi K+ sono maggiormente concentrati all’esterno, mentre i cationi Na+ sono concentrati all’interno
assieme agli anioni Cl- non diffusibili.
Queste pompe trasportano contemporaneamente tre ioni Na+ fuori e due ioni K+ dentro, contro gradiente di
concentrazione.
POTENZIALE DI MEMBRANA
È importante premettere che vi è una differente concentrazione cationica tra l’esterno e l’interno della
cellula. La concentrazione di ioni potassio è 20 volte più alta all’interno della cellula, mentre la
concentrazione di ioni sodio è 12 volte più alta all’esterno. Questa differenza di concentrazione viene
mantenuta costante sia dalle pompe che dai canali, i quali possono essere chiusi o aperti.
Il fatto che in condizioni di riposo i canali del potassio siano quasi tutti aperti e i canali del sodio siano quasi
tutti chiusi costituisce il meccanismo di base che genera un potenziale elettrico transmembrana di circa
-70mV.
L’ineguale ripartizione dei cationi genera in condizioni di riposo una differenza di gradiente elettrico, che si
traduce in una differenza di potenziale a livello della membrana plasmatica, che all’interno del citoplasma è
di -70 mV.
Nella membrana tutte le cariche negative sono disposte sul versante citosolico, mentre le cariche positive sul
versante extracitosolico.
Se i canali di sodio sono aperti, il potenziale elettrico dell’ambiente citosolico rispetto all’ambiente
extracellulare sarà di +60mV. Se la membrana avrà solo canali per il sodio, questo attraverserà la membrana
secondo concentrazione e cioè dall’ambiente extracellulare a quello citosolico lasciando cariche negative
relative a Cl- in eccesso nella regione citosolica. Tuttavia, man mano che Na+ passa dall’ambiente esterno a
quello interno per differenza di concentrazione, la carica positiva nell’ambiente interno aumenterà e questo
farà si che il sodio vada anche dal citosol all’esterno attratto dalla carica negativa che si è stabilita
nell’ambiente esterno. Si stabilirà a questo punto una situazione di equilibrio in cui tanti ioni sodio
passeranno per differenza di concentrazione da una parte all’altra quanti ne passeranno in senso contrario per
differenza di carica.
Se i canali del potassio sono aperti, il potenziale elettrico tra l’ambiente citosolico e quello extracellulare sarà
-60mV. Se la membrana ha solo canali potassio si avrà l’effetto contrario e quindi l’ambiente esterno avrà
carica positiva rispetto a quello interno.
PRINCIPALI ZUCCHERI
I principali zuccheri che costituiscono le catene oligosaccaridiche che si legano alle proteine o ai lipidi di
membrana sono:
Glucosio: può rappresentare il gruppo polare che si lega alla sfingosina, formando glucosilceramide;
Galattosio;
Mannosio;
N-acetil-glucosamina;
N-acetil-galattosamina;
Acido sialico: può costituire la porzione terminale di catene ramificate di carboidrati, legate alla
sfingosina, che insieme vanno a costituire i gangliosidi, che sono i glicosfingolipidi più complessi.
N.B. I microvilli invece sono specializzati nell’aumentare la superficie di scambio della cellula.
MATRICE CITOPLASMATICA
Per matrice citoplasmatica o jaloplasma si intende solo la componente citoplasmatica, priva di organuli, nella
quale si svolgono le principali reazioni biochimiche e metaboliche, come la sintesi proteica, la
glicogenosintesi o la glicolisi anaerobia.
È un sistema colloidale.
Queste attività vengono svolte dalla fase disperdente del citoplasma, ovvero ioni e molecole proteiche e
enzimi che catalizzano le varie reazioni.
All’interno dello jaloplasma sono presenti varie strutture citoscheletriche che imbrigliano i diversi organuli, i
quali possiedono una ben precisa dinamicità.
Lo jaloplasma presenta una viscosità variabile, dalla quale dipende anche la capacità della cellula di
cambiare forma. La viscosità dipende dallo stato di aggregazione delle macromolecole.
Se le molecole sono molto aggregate, allora lo jaloplasma avrà la consistenza di un gel con viscosità
elevata e parleremo di plasmagel.
Se le molecole sono poco aggregate, allora lo jaloplasma avrà la consistenza di un sol con ridotta
viscosità e parleremo di plasmasol.
Il continuo passaggio da stato di sol a stato di gel e viceversa rende dinamico l’ambiente citoplasmatico.
RIBOSOMI
Le due subunità, maggiore e minore, che costituiscono il ribosoma vengono assemblate nel nucleolo, ma si
associano solo in presenza di un’elevata concentrazione di ioni Mg++. Solo le condizioni ottimali di magnesio
permettono la chiusura delle subunità ribosomiali e di solito questo avviene in caso di sintesi proteica.
I ribosomi sono gli organuli funzionali alla sintesi proteica che avviene nel citoplasma.
Un’elevata attività sintetica determina la presenza di più ribosomi e viceversa.
liberi nel citoplasma: assumono la conformazione dei polisomi nel momento in cui si chiudono sul
filamento di mRNA e appaiono come una catena di perle. Sintetizzano le proteine citoplasmatiche,
che vengono accumulate nello jaloplasma.
adesi sulle cisterne, ovvero sacculi ripiegati e rivestiti da membrana, del reticolo endoplasmatico
rugoso (RER). Sintetizzano proteine lisosomiali, proteine transmembrana e proteine destinate
all’esocitosi o a processi co-traduzionali.
I ribosomi sono strutture acide perché contengono acido nucleico e quindi vengono definiti basofili, in
quanto hanno affinità con coloranti basici. Conferiscono la loro basofilia a tutto il citoplasma.
Sono visibili:
al microscopio ottico: è necessario colorare con bluditoluidina (colorante basico) l’area occupata dai
ribosomi. Sono visibili solo se presenti in grandi ammassi.
Negli epatociti il nucleolo appare più blu, mentre il nucleo non è facilmente distinguibile.
[l’eterocromatina è cromofila e appare elettrondensa, mentre l’eucromatina non è cromofila e appare
elettrontrasparente].
Le cellule nervose possiedono un’alta attività sintetica e quindi un vasto RER che conferisce al
citoplasma un aspetto tigrato. Si può parlare di “zolle di Nissl”, ovvero grosse zolle basofile.
al microscopio elettronico appaiono come particelle elettrondense. A forte ingrandimento è possibile
osservare un sottile filamento (mRNA) scorrere tra i ribosomi liberi che costituiscono i polisomi.
I ribosomi delle cellule eucariotiche e quelli delle cellule procariotiche differiscono tra loro per il coefficiente
di sedimentazione dell’rRNA che li compone. Attraverso un processo di centrifugazione, che sfrutta il loro
peso, vengono isolati dal resto degli organuli.
Una volta estratti dalla cellula, vengono fatti precipitare mediante centrifugazione su un gradiente e in base
alla velocità con cui precipitano, vengono distinti. L’unità di misura di tale velocità di sedimentazione di una
particella sottoposta a forza di gravità è lo Svedberg.
Anche le due subunità possono essere separate mediante tale processo e possiedono velocità di
sedimentazione differente.
I mitocondri hanno ribosomi piccoli 70 S che vengono sintetizzati in loco e sono diversi da quelli più grandi
presenti nel citoplasma. Questa osservazione ha suggerito l’ipotesi che i mitocondri e così pure i cloroplasti
nelle cellule vegetali siano in realtà dei batteri che sono stati endocitati all’interno di cellule più evolute.
COEFFICIENTE DI PROCARIOTI EUCARIOTI
SEDIMENTAZIONE
Totale 70 S 80S
Subunità minore 30S 40S
Subunità maggiore 50S 60S
RNA subunità minore 16S 18S
Il ribosoma è costituito da una sorta di nucleo in cui identifichiamo rRNA e proteine con una specifica
struttura terziaria che tendono a ripiegarsi. Si creano quindi estroflessioni o introflessioni fondamentali per la
funzionalità ribosomiale. Tali proteine possono essere:
Esistono anche altre proteine dette split, le quali sono debolmente legate alla superficie ribosomiale.
La struttura della subunità minore vede un corpo e una testa. Tra le due vi è una protuberanza che genera una
piattaforma concava e una fenditura, all’interno della quale avviene l’interazione tra il codone (mRNA) e
l’anticodone (tRNA), che si lega all’aminoacido.
La subunità maggiore possiede tre sporgenze organizzate in modo da formare un tunnel per permettere il
passaggio della neo-catena amminoacidica.
La struttura secondaria dell’rRNA si ipotizza sia un’unica catena, ripiegata a formare una doppia elica con
appaiamento delle basi complementari.
RETICOLO ENDOPLASMATICO
Il reticolo endoplasmatico è una rete tridimensionale di cisterne e tubuli che formano uno spazio intraluminare
continuo. Possiede tre distinti domini: nucleare, rugoso e liscio.
1. Le proteine destinate ad essere accumulate o utilizzate dalla cellula stessa sono sintetizzate sui
ribosomi liberi e si accumulano nello jalopasma.
Seguono la via citoplasmatica:
Sintesi sui ribosomi liberi;
Proteine del citosol o destinate al nucleo, ai mitocondri o ai
perossisomi;
2. Le proteine destinate ad essere trasportate fuori dalla cellula (da esocitare), gli enzimi lisosomiali
(detti idrolasi, si dividono in proteasi, nucleasi, lipasi e amidasi), e le proteine intrinseche della
membrana vengono sintetizzate sui ribosomi associati al RER.
Le proteine, in questo caso, entrano nel RER e successivamente nel complesso del Golgi dove
subiscono varie modificazioni.
Seguono la via secretoria:
Inizio sintesi sui ribosomi liberi;
Associazione al RER e completamento;
Cisterne del RER;
Cisterne del Golgi;
Vescicola di secrezione.
La sequenza segnale d’inizio viene tradotta e intercettata da SRP che legandosi al suo recettore
SR permette il legame con il traslocone.
La sintesi continua da parte del ribosoma e la proteina inizia a “scivolare” nel lume del RER.
Intervengono peptidasi di segnale che tagliano la sequenza segnale d’inizio: la parte di proteina
nel lume sarà quella NH3+.
Quando viene tradotta la sequenza segnale d’arresto, essa interagisce col traslocone, bloccando la
traslocazione della proteina al RER.
Il ribosoma si stacca dal traslocone e continua la sintesi sul versante citosolico: la proteina sarà
COO- sul versante citosolico.
Alla fine della sintesi la sequenza segnale dal traslocone diffonde lateralmente e resta ancorata al
bilayer del RER.
Per gemmazione della membrana del RER si produce una vescicola che contiene al suo interno la
porzione della proteina interna al lume: porzione luminare.
La vescicola viene veicolata alla membrana citoplasmatica, fondendosi con essa e rilasciando il
suo contenuto sul versante extracellulare.
S’installa una proteina transmembrana dove COO- sul versante citosolico e NH3+ sul versante
extracellulare.
La sequenza segnale si lega al traslocone e per scivolamento la restante porzione della proteina
entra nel lume del RER presentando l’estremità COO-. La stessa sequenza segnale verrà traslocata
nel bilayer del RER.
Per gemmazione in modo analogo si produrrà una vescicola diretta alla membrana citoplasmatica,
contenente al suo interno la porzione di proteina luminare.
S’installa una proteina transmembrana con NH3+ sul versante citosolico e COO- sul versante
extracitoplasmatico.
Nella gemmazione di vescicole il lume del RER dovrebbe restringersi ma per ogni vescicola gemmata c’è una
vescicola che ritorna e ristabilizza la membrana. Per ogni evento di Secrezione ed Esocitosi.
È molto esteso nelle cellule endocrine a secrezione steroidea, negli epatociti e negli adipociti.
Nelle fibre muscolari il reticolo è detto reticolo sarcoplasmatico.
È responsabile della produzione della maggior parte delle componenti lipidiche delle membrane.
La biogenesi delle membrane avviene in quanto ci sono enzimi presenti sul lato citosolico della membrana
del REL, che sintetizzano e aggiungono fosfolipidi solo su quel foglietto, determinando un accrescimento
asimmetrico della membrana.
Gli enzimi scramblasi poi trasferiscono casualmente fosfolipidi dal foglietto citoplasmatico a quello luminale
ripristinando le dimensioni corrette dei due strati.
Intervengono quindi gli enzimi flippasi che trasferiscono questa volta in modo selettivo i fosfolipidi da un
strato all’altro, rispristinando la corretta asimmetria della membrana.
Viene secreta, infine, una vescicola di unità di membrana.
APPARATO DEL GOLGI
È molto visibile nelle cellule nervose gangliari, perché sono molto attive metabolicamente.
Un altro modo per osservare l’apparato è mediante l’immunofluorescenza usando il fluorocromo. Si può
marcare usando determinati anticorpi che si legano alle proteine di membrana del Golgi, che diventano
fluorescenti. Un esempio è l’anticorpo GGP-130 (proteina di membrana).
Al microscopio elettronico invece si osservano 5-6 cisterne appiattite e incurvate, impilate l’una sull’altra. Si
parla di PILE GOLGIANE.
Le estremità delle cisterne sono leggermente dilatate e questo permette di riconoscerle al microscopio
elettronico molto facilmente.
L’apparato del Golgi ha un orientamento cis-mediano-trans che corrisponde al percorso compiuto dalle
proteine, che vengono trasportate all’interno di vescicole attraverso le varie cisterne.
Le microvescicole contenenti le proteine e provenienti dal RER, si fondono tra loro a costituire una rete di
vescicole interconnesse detta “CIS Golgi Network” (CGN).
Le microvescicole che si staccano dalla faccia trans formano una rete definita “TRANS Golgi Network”
(TGN). Esse diventano lisosomi, contenenti gli specifici enzimi (idrolasi) o vescicole di secrezione che si
fondono con la membrana plasmatica, esocitando il loro contenuto.
Le cisterne mediane sono interposte tra le CIS e le TRANS. Ciascuna di esse possiede un proprio corredo
enzimatico, fondamentale per uno specifico passaggio sequenziale della maturazione della proteina.
ESEMPIO: nella maturazione della catena glicoproteica, l’acido sialico potrebbe attaccarsi nell’ultima
cisterna (proteina sialilata); oppure l’acidità delle glicoproteine si ottiene nelle ultime cisterne dove avviene
il legame con i gruppi acidi.
Le cisterne golgiane sono molto diverse tra loro sia strutturalmente che funzionalmente, in quanto
possiedono ciascuna una propria composizione lipidica e proteica. Hanno enzimi specifici per la
glicosilzione delle proteine, che assicurano alla proteina in transito che le catene oligosaccaridiche vengano
sequenzialmente maturate.
Nella faccia CIS ritroviamo la mannosidasi I, nelle mediane abbiamo mannosidasi II e N-
acetilglucosamintransferasi, nella trans abbiamo galattosiltransferasi e sialiltransferasi.
Gli enzimi più presenti nelle cisterne sono glicosilasi e glicotransferasi (si tratta di nomi generici che variano
a seconda dello zucchero che si prende in considerazione).
Le proteine dopo essere state sintetizzate nel RER subiscono processi post-traduzionali all’interno del Golgi,
in particolare O-glicosilazione, che consiste nel legame covalente di carboidrati al gruppo idrossilico della
serina o della prolina. Consiste nel processo di glicosilazione e acquisizione della struttura finale e l’aggiunta
di gruppi acidi se diventa glicoproteina acida.
Lo spostamento di vescicole non è casuale: la sua formazione avviene in corrispondenza del punto di
membrana dove ci sono le proteine COP II (zona polare adibita ad una determinata funzione). Quando si
forma l’evaginazione la vescicola è rivestita da quelle proteine che prima costituivano la membrana. La
vescicola si stacca e quando gemma perde le proteine COP II prima di raggiungere il Golgi. Le proteine
COP II tornano al RER perché verranno usate per rigenerare la superficie di membrana, in qualità di unità di
superficie.
La vescicola raggiungerà la faccia CIS del Golgi e si fonderà con la sua membrana aumentandone la
superficie. Per evitare che la membrana si espanda troppo, gemma una vescicola vuota rivestita dalle
proteine COP I, che rivestono le vescicole che dal Golgi vanno al RER.
Si ripristinano quindi sia l’unità di superficie del RER che del Golgi.
Quando le vescicole ritornano al RER, presentano sulla superficie un segnale di ritenzione al RER
riconosciuto da un recettore presente sulla membrana del RER. A quel punto la vescicola può fondersi.
[Dal CIS vengono riciclate al RER le vescicole che presentano sulla membrana una proteina con il segnale di
ritenzione al RER il cui recettore è presente sulle membrane del RER. La vescicola, quindi, deve essere
altamente specializzata.]
Quando la vescicola con dentro le proteine arriva alla faccia CIS, riversa il suo contenuto nella cisterna CIS.
Come fa la proteina a passare nelle altre cisterne? Lateralmente alle cisterne ci sono degli slarghi che
servono alla gemmazione delle vescicole spola contenenti le proteine che maturano man mano in ogni
cisterna. Sono dette vescicole spola, perché fanno da spola da una cisterna all’altra fin quando dalla faccia
trans non usciranno le vescicole di secrezione con le proteine finali.
Questo genera un flusso di vescicole che va dalla cisterna CIS a quella TRANS e si parla di flusso
vescicolare anterogrado. Se lateralmente si formano vescicole che gemmano per andare nelle cisterne
successive, sottrarranno e aggiungeranno porzioni di membrana. Dall’altra parte c’è quindi un flusso di
vescicole vuote che avanza dalla zona trans-mediana-cis, detto flusso retrogrado di vescicole che tornano,
appunto, indietro. Questo avviene contemporaneamente al flusso anterogrado, che avviene tra le varie
cisterne.
PROGRESSIONE DELLE CISTERNE
La seconda ipotesi, più complessa dice che non sono le vescicole a progredire, ma le cisterne.
Fondamentalmente bisogna immaginare cisterne vuote nelle quali arriva la proteina; a quel punto dalla
cisterna successiva gemma una vescicola che contiene gli enzimi corrispondenti alla prima cisterna. Questi
enzimi corrispondono al primo processo di post-traduzione. La cisterna è sempre quella e ciò che cambia è il
contenuto enzimatico che man mano viene portato al suo interno. Quindi si suppone una progressione di
un’unica cisterna modificata nel suo contenuto enzimatico. Quindi una progressione della vescicola verso la
faccia CIS. Qui non è la proteina a cambiare cisterna per sfruttare il corredo enzimatico di ciascuna, ma le
vescicole spola trasportano gli enzimi per modificare la proteina presente sempre nella stessa cisterna.
Dal CIS verso TRANS flusso anterogrado, da TRANS a CIS flusso retrogrado.
Le vescicole spola che portano gli enzimi si spostano dal TRANS al CIS nella progressione delle cisterne
mentre nella progressione delle vescicole esse si spostano dal CIS al TRANS contenendo le proteine da
modificare.
COSTITUTIVA: una volta formatasi la vescicola viene immediatamente rilasciata dalla membrana
che l’ha originata per fondersi con la membrana citoplasmatica per l’espulsione. È una funzione
svolta costantemente allo stesso modo. Se consideriamo le glicoproteine (enzimi, ormoni) da
esocitare, esse vengono esocitate sempre, appena sintetizzate.
REGOLATA: le vescicole prima di essere rilasciate definitivamente, attendono un ulteriore segnale,
accumulandosi nella cellula. L’esocitosi avviene solo in presenza di un altro segnale. La produzione
di ormoni dalla tiroide è stimolata dall’ipofisi. La tiroide è una ghiandola endocrina formata da vari
follicoli rivestiti da epitelio secernente. Gli ormoni si accumulano lì e vengono secreti solo in
relazione al segnale dell’ipofisi. Un altro esempio sono le vescicole sinaptiche che contengono i
neurotrasmettitori, esocitate solo in presenza dell’impulso nervoso. In generale le vescicole della
secrezione regolata rimangono in prossimità della membrana plasmatica in attesa dello stimolo
secretorio. La secrezione (attracco della vescicola alla membrana plasmatica e successiva fusione
delle due membrane) viene innescata in seguito a segnali che portano all’apertura dei canali calcio
posti sulla membrana del RER e che permettono un aumento della concentrazione citoplasmatica di
calcio.
Quando le vescicole gemmano dalla faccia TRANS sono rivestite da proteine (clatrina e coatomeri). Le
vescicole hanno diverse destinazioni. La clatrina media la gemmazione delle vescicole della secrezione
regolata, tipica delle ghiandole (tiroide, mucose…) e delle proteine lisosomiali. Mentre i coatomeri rivestono
le vescicole della secrezione costitutiva generalizzata.
Grazie all’esocitosi le cellule provvedono a una serie importante di funzioni oltre a quella della costruzione
della membrana plasmatica stessa. La costruzione della matrice extracellulare dei tessuti, la secrezione di
enzimi destinati a svolgere le loro funzioni all’esterno della cellula, la secrezione di ormoni, fattori di
crescita, neurotrasmettitori, la secrezione degli anticorpi da parte dei linfociti B ecc. (sono esempi).
In molte cellule l’esocitosi si verifica in zone specializzate della superficie cellulare e in molti casi un
dominio della cellula secerne alcune proteine, mentre altre sono secrete da domini diversi.
Un esempio: le cellule secretorie del sistema digerente possiedono un polo apicale rivolto verso il lume
intestinale che secerne in modo regolato gli enzimi digestivi e un polo basale che secerne in modo costitutivo
elementi della matrice extracellulare.
Questo controlla in maniera più precisa lo smistamento che avviene in modo specifico, presente all’interno
della vescicola. Ogni vescicola contiene una proteina ben precisa. Sulla membrana interna della vescicola ci
sono dei recettori che legano in modo specifico il contenuto proteico della vescicola. Si crea quindi un
legame tra vescicola e carico, che determina il fenomeno del reclutamento dei recettori: i recettori attivati
diffondono lateralmente per concentrarsi in un’area della membrana dove si formerà la fossetta rivestita
(vescicola).
Nel distacco della vescicola rivestita della membrana interviene un’ulteriore proteina la dinamina. Numerose
subunità di dinamina formano un avvolgimento a spirale attorno alla base della vescicola e ne determina un
restringimento creando un collo e infine il distacco della vescicola. Dopo il distacco della vescicola e la
perdita del rivestimento, l’acidificazione dell’endosoma determina il distacco del carico dai recettori. I
recettori scarichi diffondono lateralmente nella membrana dell’endosoma per concentrarsi in una zona
formando una vescicola che torna a fondersi con la membrana plasmatica allo scopo di riciclare i recettori
stessi.
Questo legame va immaginato come se la vescicola venisse etichettata e resa facilmente riconoscibile.
Questo perché nel citoplasma ci sono proteine dette vSNARE, recettori che legano il recettore di membrana
esterna vescicolare e che forniscono la specificità dell’indirizzamento. Le vSNARE sono un po’ come i
corrieri di Amazon che trasportano le varie vescicole. Quando avviene questo legame, sull’organo bersaglio
è presente il recettore tSNARE complementare che entra in contatto con il vSNARE e permette la fuoriuscita
della proteina nel lume dell’organulo bersaglio.
1) Il legame del recettore (sulla membrana interna del RER) al carico avvia la formazione del
rivestimento di clatrina e la formazione della vescicola.
2) Le caratteristiche del recettore e/o del carico determinano il collegamento alla vescicola di una
specifica vSNARE.
3) Il rivestimento di clatrina si disassembla, lasciando la vescicola nuda, ma dotata della sua vSNARE.
4) La vSNARE riconosce la tSNARE complementare e determina l’attracco della vescicola sulla
membrana bersaglio.
5) Le SNARE mediano la fusione tra le due membrane e si liberano per un nuovo ciclo di eventi.
Nel Golgi si completa la glicosilazione oppure può essere sintetizzata solo la componente carboidratica
(GAG, emicellulose, pectine).
[i GAG sono lunghi eteropolisaccaridi non ramificati, formati dalla ripetizione di un disaccaride in cui un
monosaccaride è sempre un aminozucchero e l’altro è un acido urico. Se legati covalentemente alle proteine
formano proteoglicani].
[Il movimento delle vescicole è garantito dalla presenza del citoscheletro che agisce come un sistema di
rotaie su cui si muovono le proteine motrici].
MITOCONDRI
GENERALITA SUI MITOCONDRI
Tutti i processi che interessano la cellula necessitano un grande consumo di energia, che deve essere sotto
una forma facilmente disponibile e trasportabile dove richiesta. La maggior parte dell’energia viene
conservata sotto forma di ATP (adenosintrifosfato), un nucleotide trifosfato. Tale energia è stata liberata nel
corso di reazioni metaboliche che avvengono all’interno dei mitocondri. Negli eucarioti la centrale
energetica preposta all’assorbimento e alla trasformazione dell’energia sono perlappunto i mitocondri e a
volte anche i perossisomi (β-ossidazione degli acidi grassi).
Nulla può prescindere dalla loro presenza, perché forniscono l’energia per ogni processo cellulare. Sono detti
centrale energetica della cellula.
La cellula può morire per apoptosi, cioè morte programmata. Quando avviene ciò tutti i costituenti della
cellula vengono degradati in modo programmato e gli ultimi sono i mitocondri in quanto serve energia,
mentre il primo organulo è il nucleo in quanto si blocca la sintesi proteica.
[quando una cellula va in apoptosi la cromatina si compatta e condensa (il filamento si spiralizza su
stesso formando zolle via via più grandi) diventando eterocromatina che si colora, che non è più
funzionante. Il nucleo perde la propria forma perché viene frammentato. Abbiamo eterocromatina
anche quando la cellula si divide e quindi la cromatina si spiralizza per la formazione dei cromosomi,
visibili solo nella metafase mitotica]
[l’eucromatina è quella dispersa e non condensata ed è scarsamente cromofila, quindi non si colora.
È dispersa perché per la trascrizione è necessario che il filamento sia despiralizzato e si apra nella
zona da trascrivere].
Sono in grado di effettuare la sintesi proteica in quanto hanno una molecola di DNA circolare con
pochi geni, specifici per alcune proteine.
Sono capaci di duplicarsi, dividendosi per scissione binaria.
Producono ATP (adenosintrifosfato, i tre fosfati sono legati con legami ad alto contenuto energetico, in
particolare l’ultimo legame) da una molecola di adenosindifosfato + fosfato + energia, energia proveniente
dalla degradazione di molecole ad alto contenuto energetico e cioè carboidrati proteine e lipidi. Le molecole
di ATP sintetizzate sono usate per le attività energetiche. Le reazioni esoergoniche liberano energia, poi
convertita o in energia di legame utile per produrre ATP oppure viene dissipata sotto forma di calore.
[glicolisi anaerobia avviene nel citoplasma, mentre il ciclo di Krebs avverrà nella camera mitocondriale
interna]
La seconda teoria detta autogena, fa riferimento al DNA. Si ipotizza che il genoma mitocondriale è dovuto
ad un fenomeno di autosegregazione del nucleo: una particella di nucleo si è staccata, determinando la
formazione del mitocondrio.
COME OSSERVARLI
Sono visibili in vivo con il microscopio ottico a contrasto di fase o con quello interferenziale. Si può usare il
colorante verde Janus che colora specificatamente i mitocondri. Si colorano nelle cellule fissate, con
l’ematossilina ferrica o con reazioni citochimiche specifiche per i diversi enzimi contenuti nei mitocondri,
quali citocromossidasi e deidrogenasi.
Al microscopio elettronico appaiono come “cilindretti” allungati dai bordi arrotondati. Appaiono come
trattini o puntini a seconda della forma e di come sono sezionati al microscopio ottico. Al microscopio
elettronico appare come una vescichetta allungata o sferica delimitata da una doppia membrana.
Pellet mitocondriale: prendiamo delle cellule, le centrifughiamo rompendole e con centrifugazioni successive
isoliamo i mitocondri, sfruttando il loro peso molecolare.
STRUTTURA E DISPOSIZIONE
Hanno forma plastica, sferica, bastoncellare o filamentare. Varia a seconda del tipo di cellula. Il diametro è
di circa 0.5-1 µ e una lunghezza di 1-6 µ. Il loro numero all’interno di una cellula dipende dall’intensità
dell’attività cellulare: sono infatti molto presenti nelle cellule epatiche al 30-35% circa. I mitocondri possono
variare in numero, dimensioni e posizione, perché loro svolgono la loro funzione a seconda del momento
funzionale della cellula.
I mitocondri sono distribuiti uniformemente nel citoplasma, ma possono avere anche una distribuzione
particolare, in base alla loro peculiare funzione che è quella di fornire energia lì dove è necessario. Per
questo sono plastici e dinamici perché si devono spostare nelle zone della cellula dove è richiesta energia in
base alla reazione che sta avvenendo. (la coda dello spermatozoo è fatta da una serie di mitocondri che
permettono il movimento).
ESEMPI: 1[in vari elementi ghiandolari si trovano alla base] 2 [nelle cellule dell’epitelio intestinale possono
trovarsi dislocati ai due poli] 3[nella fibra muscolare striata sono allineati tra le miofibrille] 4[nello
spermatozoo formano una guaina elicoidale nel pezzo intermedio della coda] 5[nelle cellule di alcuni tratti di
tubuli renali si trovano a livello delle introflessioni della porzione basale della membrana plasmatica per
fornire l’energia per il trasporto attivo dell’acqua e dei soluti].
Ci sono alcune cellule che svolgono una funzione per cui i mitocondri devono essere collocati sempre in un
punto preciso della cellula, senza potersi spostare nella cellula a seconda della zona che richiede energia. Si
tratta delle cellule che formano l’epitelio monostratificato che forma i tubuli renali. I reni filtrano il sangue
per ricavare urine e materiali di scarto. Le cellule dei tubuli poggiano sul connettivo dove ci sono i vasi
sanguigni, dove passa il sangue che viene filtrato. Le cellule dei tubuli hanno un’attività costante di
endocitosi ed esocitosi e lo fanno attraverso la membrana basale, costituita da pieghe (quando c’è un’intensa
attività di scambio è importante che la cellula abbia un’adeguata superficie di scambio, ampliabile attraverso
la formazione di introflessioni) tra le quali sono incastrati e allineati i mitocondri, che forniscono l’energia
necessaria per l’endocitosi e l’esocitosi.
[negli spermatozoi i mitocondri sono disposti a spirale nella regione intermedia del flagello, intorno
all’assonema (struttura citoscheletrica), fornendo l’energia necessaria per il movimento dello spermatozoo. Il
movimento parte dal collo e poi come un’onda si propaga fino alla parte terminale].
[durante la mitosi si concentrato nella zona del fuso mitotico per essere poi distribuiti in quantità
approssimative uguali nelle due cellule figlie].
ULTRASTRUTTURA DEI MITOCONDRI
Possiedono una parete formata da due membrane, una esterna e una interna, che circoscrivono due spazi
distinti, una camera mitocondriale esterna e una camera mitocondriale interna.
MEMBRANA ESTERNA
Ha uno spessore di circa 6 nm. È molto simile alla membrana del RER e ha un contenuto lipidico più alto
(40-50%) rispetto alla membrana interna (20%). I lipidi sono essenzialmente fosfolipidi di cui il più diffuso è
la fosfatidilcolina.
È una membrana molto permeabile e contiene molte copie della proteina porina che permette il passaggio di
molecole, compresi polipeptidi, con peso molecolare inferiore a 5000 Da.
MEMBRANA INTERNA
Ha uno spessore di 6 nm e si solleva entro la cavità del mitocondrio a formare delle estroflessioni informi,
dette creste; queste possono avere forma lamellare oppure tubulare e possono essere semplici, ramificate o
disposte a formare reti.
La composizione lipidica ricorda quella della membrana dei batteri: contiene infatti cardiolipina ed è quasi
priva di colesterolo. Non è permeabile come la membrana esterna e contiene diverse proteine di trasporto che
controllano selettivamente il passaggio solo di alcune molecole coinvolte nei processi metabolici che
avvengono all’interno del mitocondrio.
Sulle creste sono presenti complessi proteici enzimatici coinvolti nei processi della fosforilazione ossidativa
e del trasporto di elettroni (catena respiratoria), processi terminali della glicolisi, che necessitano di ATP per
avvenire. Questi complessi sono:
Durante la fosforilazione ossidativa nella camera esterna si localizzano i protoni: la camera interna pompa
protoni H+ verso la camera esterna contro gradiente di concentrazione (necessita energia), creando un
gradiente protonico. A quel punto i protoni tornano indietro secondo gradiente di concentrazione, liberando
energia e passando attraverso l’ATP sintetasi. Se passassero nella membrana quell’energia sarebbe convertita
in calore, invece così l’energia viene sfruttata per creare i legami tra gli ultimi due gruppi fosfato dell’ATP in
creazione.
CAMERA INTERNA
Contiene un materiale di aspetto finemente granulare, detto matrice mitocondriale. Questo è un gel piuttosto
viscoso, nel quale si trovano enzimi idrosolubili per l’ossidazione degli acidi grassi e per il funzionamento
del ciclo di Krebs. Vi sono anche DNA, RNA, DNA-polimerasi e RNA-polimerasi.
Si trovano granuli densi le cui dimensioni di 30 nm sono in rapporto all’accumulo di cationi bivalenti come il
calcio Ca++ e il magnesio Mg++. È noto che i mitocondri rappresentano uno dei depositi intracellulari degli
ioni calcio più importanti.
In genere l’ampiezza delle camere varia in base al momento funzionale del mitocondrio.
GENOMA MITOCONDRIALE
I mitocondri posseggono un proprio genoma e un proprio apparato sintetico per le proteine, comprendente
rRNA ribosomiale e ribosomi.
Il DNA mitocondriale non è legato a proteine ed è sotto forma di molecole circolari, localizzate nella matrice
e agganciate alla membrana delle creste (interna). La lunghezza del DNA è variabile dai 5-25 µm. Il tipo e il
numero di geni contenuti nel DNA mitocondriale si mantiene costante, dato che essi dipendono dalla
presenza di DNA non informazionale anche di tipo intronico.
La maggior parte delle proteine mitocondriali (membrana esterna e interna, camera interna e esterna) sono
sintetizzate nel citoplasma sotto il controllo del genoma nucleare.
Il genoma mitocondriale comprende i geni per gli rRNA mitocondriali, i geni per 25 tRNA, quelli per una
proteina della subunità ribosomiale maggiore, per tre subunità del citocromo c ossidasi e per una subunità
dell’ATP sintetasi.
I ribosomi dei mitocondri o mitoribosomi hanno dimensioni minori di quelle dei ribosomi eucariotici e
possiedono un coefficiente di sedimentazione pari a 55 S.
Al momento della divisione cellulare, i mitocondri sono distribuiti in modo uguale nelle due cellule figlie. Al
termine della citodieresi le due cellule figlie hanno un patrimonio mitocondriale dimezzato rispetto a quello
materno. In fase G1 i mitocondri subiscono un processo di scissione binaria:
1. Il mitocondrio si prepara alla divisione raddoppiando la sua massa e replicando il suo genoma;
2. La divisione inizia con la formazione di una depressione della membrana interna;
3. La fusione della membrana interna è seguita dall’invaginazione.
Questo processo ripristina il loro numero originario e quindi ritornano alle precedenti dimensioni grazie alla
sintesi di tutti i loro componenti che avviene quasi completamente nel citoplasma soprattutto sotto il
controllo del genoma nucleare e solo in parte di quello mitocondriale.
Molte proteine destinate ai mitocondri sono dotate di un segnale localizzato all’estremità aminoterminale che
determina l’indirizzamento alla matrice.
INDIRIZZAMENTO ALLA MATRICE
Per il segnale di indirizzamento alla matrice sembra siano importanti le caratteristiche complessive della
sequenza aminoacidica: le sequenze di indirizzamento alla matrice sono ricche di aminoacidi a carica
positiva e di aminoacidi contenenti gruppi ossidrile. Sembra che una caratteristica comune di queste
sequenze sia la capacità di ripiegarsi a formare un’α-elica anfipatica, con i residui a carica positiva allineati
su un lato dell’elica e quelli non carichi sull’altro lato. La sequenza viene rimossa dopo l’inserimento della
proteina nel mitocondrio.
La proteina grazie alla sequenza segnale viene riconosciuta e legata da proteine chaperone, che mantengono
la proteina lineare, in modo non ripiegato (il ripiegamento ostacolerebbe il successivo inserimento attraverso
la membrana mitocondriale).
Il legame alla membrana mitocondriale esterna e il successivo inserimento attraverso di essa nella camera
esterna, avviene mediante complessi proteici detti TOM (traslocatore della membrana esterna). Il successivo
passaggio attraverso la membrana interna per giungere alla camera interna o matrice è mediato da complessi
proteici detti TIM (traslocatori della membrana interna). Una volta giunta nella matrice, l’enzima proteasi
taglia la sequenza segnale. Permettendo alla proteina di scivolare interamente nella matrice.
Sperimentalmente si può osservare come l’inserimento delle proteine nella matrice avvenga nei punti di
contatto tra le due membrane, ovvero nei siti in cui i due traslocatori si allineano e la membrana esterna e
quella interna si trovano strettamente ravvicinate. Al microscopio ottico si possono osservare puntini neri che
corrispondono ad una marcatura, dovuta al legame tra la proteina antigene e l’anticorpo usato per
identificarla. (Come marcatore viene usato un metallo pesante fortemente elettrondenso come sferette d’oro
che si legano all’anticorpo per identificare la proteina TOM e la proteina TIM).
La proteina viene trascinata attraverso il canale di traslocazione grazie alla proteina chaperone che sfrutta
l’energia dell’ATP e la differenza di potenziale tra i due lati della membrana: si pensa che gli aminoacidi a
carica positiva presenti nella sequenza segnale per la matrice vengano attratti dalla carica negativa presente
all’interno del mitocondrio.
Le proteine destinate allo spazio intermembrana o camera esterna possono seguire due diversi meccanismi
che si servono delle sequenze segnale.
1. La proteina possiede due sequenze segnale, una per la matrice e l’altra per la camera esterna. Per
prima cosa la proteina raggiunge la matrice secondo il processo prima descritto e quindi la proteasi
stacca la sequenza e permette alla proteina di scivolare nella matrice. Successivamente subisce un
trasporto in direzione inversa passando attraverso traslocatori specifici posti sulla membrana interna
che riconoscono il secondo segnale per la camera esterna. A quel punto la proteasi stacca il secondo
segnale e la proteina scivola nella camera esterna.
2. La proteina possiede due sequenze, una per la matrice e l’altra per lo spazio intermembrana; questa
seconda sequenza di indirizzamento funziona come una sequenza segnale d’arresto della
traslocazione (analogamente a quanto avviene nel caso del RER per le proteine destinate ad essere
inserite nella membrana plasmatica). Dopo che la proteina ha attraversato TOM, inizia a passare
attraverso TIM, ma la traslocazione si interrompe quando nel canale giunge la porzione con la
sequenza d’arresto. A quel punto la proteina diffonde lateralmente con la sequenza d’arresto
incastrata nel bilayer fosfolipidico, la sequenza per la matrice (NH3+ terminale) inserita nella camera
interna e la porzione carbossiterminale nella camera esterna. La proteasi stacca la sequenza segnale
d’arresto permettendo alla proteina di staccarsi e di rimanere nello spazio intermembrana/camera
esterna.
Alcune piccole proteine, come il citocromo C, possono raggiungere lo spazio intermembrana senza
l’intervento di trasportatori o segnali specifici. Passano semplicemente attraverso piccoli pori o canali
formati dalla proteina porina che garantisce notevole permeabilità alla membrana esterna. Il citocromo C è
responsabile del trasferimento degli elettroni da un enzima all’altro, durante la catena respiratoria del
trasporto di elettroni della fosforilazione ossidativa, che avviene nella membrana interna. Il citocromo C non
può mai uscire dal mitocondrio. La sua fuoriuscita è impedita dal cambio conformazionale che la proteina
subisce quando il gruppo eme si lega ad essa.
Alcune proteine destinate alla membrana esterna presentano una sequenza di indirizzamento alla matrice,
seguita da una sequenza di aminoacidi idrofobici (la etichettano come proteina per la membrana esterna).
Questa sequenza di aminoacidi agisce come segnale d’arresto nel passaggio attraverso TOM, dopo che la
sequenza per la matrice ha già attraversato TOM. Dopo che la proteasi taglia la sequenza segnale, la
sequenza d’arresto interagisce con TOM e permette alla proteina diffondere nel bilayer, senza attraversare la
camera esterna e il TIM.
Le proteine destinate alla membrana interna, prima raggiungono la matrice passando per TOM e TIM,
successivamente vengono trasferite alla membrana interna mediante un complesso proteico posto nella
membrana interna e chiamato OXA, il quale interviene anche per l’inserimento delle proteine sintetizzate
autonomamente dal mitocondrio. In altri casi viene usato un sistema simile a quello per le proteine della
camera esterna: la proteina presenta un segnale di inserimento nella matrice e un segnale di arresto del
trasferimento in grado di mantenere la proteina ancorata alla membrana interna.
Gli organismi autotrofi sintetizzano la componente organica, invece gli eterotrofi hanno bisogno di
componente organica introdotta, che viene metabolizzata.
La funzione principale dei mitocondri è quella di compiere le trasformazioni energetiche indispensabili per le
funzioni cellulari.
Per metabolismo energetico si intende l’insieme di reazioni chimiche che liberano l’energia necessaria ai
processi di biosintesi e alla produzione di lavoro e di calore. Le reazioni esoergoniche (che liberano energia)
sono dette cataboliche e a queste appartengono le reazioni del metabolismo energetico, mentre le reazioni
endoergoniche (che richiedono energia) sono dette anaboliche come quelle del metabolismo biochimico.
L’elemento comune è l’ATP o adenosintrifosfato, unica molecola energetica capace di essere utilizzata da
tutti gli apparati cellulari. È un nucleotide formato dalla base azotata adenina, dal ribosio e da tre radicali
fosforici. L’ATP cede facilmente l’energia contenuta nel legame tra il secondo e terzo legame fosforico,
trasformandosi in una molecola a più basso livello energetico, l’ADP che viene ceduta al citoplasma.
L’ADP deve essere riconvertito in ATP: a questo punto intervengono i mitocondri, vere e proprie centrali
energetiche. Essi recuperano le molecole di ADP e le restituiscono al citoplasma sotto forma di ATP. Per far
questo devono disporre di una fonte di energia che prelevano dalla demolizione di molecole carboniose
(zuccheri, grassi, proteine) i cui legami C-C e C-H sono ossidati ad anidride carbonica e acqua, rilasciando
notevoli quantità di energia chimica.
Questa ossidazione avviene in tre tappe, ciascuna delle quali è caratterizzata da numerose reazioni chimiche:
La prima fase di scissione del glucosio è detta glicolisi, avviene nella matrice citoplasmatica ed è anaerobia
(in assenza di ossigeno). La molecola di glucosio (6 atomi di C), ricca di energia, viene scissa in due
molecole di acido piruvico/piruvato (3 atomi di C). Ciò avviene mediante una serie di reazioni che liberano
energia poco per volta: ciò permette alle cellule di conservare una grande quantità di tale energia sotto forma
di energia chimica utilizzabile ATP. Se al contrario l’energia venisse dissipata sotto forma di calore la cellula
non potrebbe servirsene per ricavarne energia e nuova molecole organiche.
Il primo passaggio è la fosforilazione del glucosio, durante la quale enzimi esochinasi catalizzano il
legame di un gruppo fosfato ceduto dall’ATP alla molecola di glucosio, con la formazione di
glucosio-6-fosfato.
La settima reazione è una fosforilazione a livello del substrato*: l’1,3 fosfoglicerato cede un gruppo
fosfato all’ADP che diventa ATP.
*la fosforilazione a livello del substrato è un tipo di reazione che genera una molecola di ATP tramite il
trasferimento diretto su una molecola di ADP di un gruppo fosfato proveniente da una molecola ad alta
energia, cioè una reazione di idrolisi, che porta alla cessione del fosfato, è fortemente esoergonica. Si tratta
di una reazione catabolica. In pratica, un composto fosforilato (contenente un gruppo fosfato) cede il
proprio fosfato a una molecola di ADP trasformandola in ATP. L’ATP che si genera nella glicolisi rispetta
questo procedimento*
Nell’ottava reazione il gruppo fosfato del glicerato passa dal carbonio 3 al carbonio 2.
L’ultima reazione consta di un’altra fosforilazione con l’aggiunta di un gruppo fosfato ad una
molecola di ADP che diviene ATP; il fosfato deriva dal fosfenolpiruvato che si è trasformato in
piruvato. Alla fine, si generano due molecole di piruvato a 3 atomi di carbonio.
Durante la glicolisi nelle prime tre tappe vengono consumate 2 molecole di ATP, mentre nelle ultime tre
tappe si formano 4 molecole di ATP, di cui però 2 molecole vengono riutilizzate nelle prime fasi della
degradazione del glucosio, in quanto si tratta comunque di un processo di idrolisi, che necessita di energia
per avvenire. Il guadagno netto, quindi, è di 2 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio. Allo stesso
tempo ogni molecola di glucosio permette la formazione di 2 molecole di NADH.
Due molecole di NAD+ invece sono ridotte (acquistano protoni) a NADH. Le riserve cellulari di NAD + sono
poche e quindi è necessario che il NADH venga rapidamente riossidato e cioè ceda protoni H + per tornare
alla condizione di NAD+.
!!! la produzione di energia è legata a processi di ossidoriduzione, come quelli del NAD+ e del NADH, nei
quali una sostanza riducente si ossida (cede elettroni o protoni H+) e l’altra sostanza ossidante si riduce
(riceve elettroni o protoni H+ dalla sostanza riducente).
Fase aerobia: prosegue con ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa nei mitocondri.
Fase anaerobia: il NADH viene riossidato a spese del piruvato. Possiamo avere la fermentazione
alcolica se le molecole di piruvato vengono trasformate in alcol (è il caso di organismi che vivono in
assenza di ossigeno come i lieviti) e possiamo avere la fermentazione lattica quando il piruvato viene
ridotto ad acido lattico. ESEMPIO: le cellule delle fibre del muscolo scheletrico possono ricorrere
alla sola glicolisi per procurarsi energia per brevi periodi durante una contrazione prolungata. La
presenza di acido lattico determina uno stato di intossicazione cellulare che si traduce in dolori
muscolari.
Il rendimento energetico della glicolisi anaerobia è molto basso: si ricavano 2 molecole di ATP e 2 molecole
di NADH e 2H2O.
CICLO DI KREBS
Ogni volta che si completa un ciclo di Krebs, si producono 2 molecole di CO 2 a partire da 2 atomi di C
dell’acetilCoA. L’asportazione di elettroni ad alta energia dalla molecola di acetilCoA si accompagna alla
riduzione di tre molecole del coenzima NAD+ e una del coenzima FAD, quindi 3NADH e 1FADH2.
L’importanza del ciclo di Krebs sta proprio nella produzione di NADH e FADH 2 che per riossidarsi devono
cedere idrogeno alla catena respiratoria o catena di trasporto degli elettroni, i cui componenti si trovano sulla
membrana mitocondriale interna (creste).
IMPORTANTE: è fondamentale ricordare che stiamo considerando solo una molecola di acido piruvico ma
dal glucosio si formano 2 molecole di piruvato e quindi bisogna moltiplicare la resa x2.
Ossalacetato + acetil-CoA + ADP + P + 3NAD+ + FAD Ossalacetato + 2CO2 + CoA + ATP + 3NADH
+ 3H+ + FADH2
FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA
L’energia legata a tale gradiente elettrochimico viene sfruttata dall’enzima fosforilativo ATP sintetasi, che
forma la particella F1 situata sulla membrana interna.
Gli enzimi della catena respiratoria hanno il solo compito di pompare i protoni, pervenuti con le molecole di
NADH e FADH2, fuori della membrana mitocondriale (nella camera esterna). Il flusso protonico di ritorno
mette in azione le ATP sintetasi fornendo l’energia necessaria per compiere la trasformazione di ADP in
ATP.
La proprietà chiave quindi dell’enzima preposto alla fosforilazione ossidativa è quella di poter utilizzare
l’energia del gradiente di concentrazione protonica per trasferirla, come energia di legame, all’ATP.
Il flusso protonico che attiva l’ATP sintetasi è garantito dagli enzimi della catena respiratoria capaci di
espellere protoni attraverso la membrana stessa (che però non è attraversata dagli elettroni). Questi enzimi
collegano i coenzimi ridotti, derivati dal ciclo di Krebs, con l’ossigeno molecolare O 2 introdotto con la
respirazione; quest’ultimo accetta elettroni e una parte dei protoni formando acqua.
All’inizio del processo di trasporto degli elettroni, il coenzima ridotto NADH viene riossidato a NAD + ad
opera del complesso NADH-Co reduttasi e il FADH2 viene riossidato a FAD mediante il complesso
succinato-Co reduttasi. Questi due complessi cedono l’idrogeno all’ubichinone.
A livello della NADH-Co reduttasi si determina una caduta di potenziale che produce energia libera, la quale
è utilizzata per trasferire 4 protoni dalla matrice alla camera esterna per ogni molecola di NADH ossidato.
Gli elettroni provenienti dall’ubichinone sono trasferiti al citocromo b e quindi al citocromo c1. Da
quest’ultimo gli elettroni passano al citocromo c, che diventa citocromo c ridotto; questo si riossida
trasferendo gli elettroni al complesso della citocromo c ossidasi che li passa alla molecola di ossigeno.
La molecola di ossigeno, avendo acquisito elettroni, diviene in grado di reagire con l’idrogeno e di formare
quindi molecole d’acqua.
Ai due capi della lunga catena di trasporto degli elettroni si verifica un’ampia caduta del potenziale di
ossidoriduzione, la quale si traduce in una differenza di pH (acido nella camera esterna per l’elevata presenza
di protoni), mettendo in moto la pompa protonica si attiva quindi la fosforilazione ossidativa.
Ciò avviene perché l’elevata concentrazione di protoni nella camera esterna causa un flusso di queste
particelle attraverso la particella F0 che è una proteina canale.
Questo flusso di protoni secondo gradiente di concentrazione libera energia che è utilizzata dalla particella
F1 per sintetizzare ATP a partire da ADP e fosfato.
Altre considerazioni
Le reazioni di ossidazione della glicolisi e del ciclo di Krebs non richiedono ossigeno. L'ossigeno serve per
l'ultima fase della respirazione cellulare, la catena respiratoria, nella quale l'energia contenuta nel NADH e
nel FADH2, formatisi nella glicolisi e nel ciclo di Krebs, viene utilizzata per produrre ancora ATP. I due
coenzimi ridotti si ossidano nuovamente affinché possano cedere gli elettroni alla catena respiratoria, la
quale è composta da proteine trasportatrici collocate lungo la membrana che costituisce le creste
mitocondriali, ognuna delle quali fa passare gli elettroni a un livello energetico sempre più basso. L'energia
che gli elettroni perdono progressivamente, passando da un trasportatore all'altro, viene utilizzata per
produrre ATP: l'ossidazione del NADH produce 3 molecole di ATP, quella del FADH 2 ne produce 2.
I componenti più importanti della catena respiratoria sono i citocromi, molecole che, potendo esistere in una
forma ossidata e ridotta, fungono dai trasportatori degli elettroni. L'ultimo citocromo della catena cede gli
elettroni all'ossigeno, che è dunque l'accettore finale, trasformandolo in acqua.
La produzione di ATP accoppiata al trasporto degli elettroni nella catena respiratoria è detta fosforilazione
ossidativa, e avviene grazie a un meccanismo di accoppiamento chemiosmotico: durante il trasporto degli
elettroni, i protoni (ioni H+) sono pompati nello spazio tra le due membrane mitocondriali, cioè nella camera
esterna, sviluppando così un gradiente elettrochimico tra le due camere mitocondriali: quindi avremo una
situazione che presenta un alto livello di protoni nella camera esterna, che ha quindi un pH basso, e un basso
livello di protoni nella matrice che ha un pH alto. Questa differenza di concentrazione elettronica è
necessaria per l'attivazione dell'ATP sintetasi, collocata sulla membrana interna. Successivamente gli ioni H +
rientrano nella matrice e il loro flusso (che avviene secondo gradiente) fornisce l'energia necessaria per
sintetizzare l'ATP a partire da ADP e fosfato.
BILANCIO ENERGETICO DELLA DEMOLIZIONE DEL GLUCOSIO
Dall'ossidazione completa di una molecola di glucosio si ottengono 38 molecole di ATP; di queste solo 2
derivano dalla glicolisi aerobica. Le restanti 36 sono prodotte dalla respirazione cellulare, in particolar
modo dalla fosforilazione ossidativa, che è la via più efficiente per liberare l'energia contenuta nel
glucosio.
Tuttavia, la quantità di 38 molecole di ATP è una stima di massima: infatti i processi di trasporto delle
diverse molecole coinvolte richiedono consumo di energia, quindi la resa effettiva è pari a circa 30-32
molecole di ATP per ogni molecola di glucosio.
IL BILANCIO TOTALE DELLA DEMOLIZIONE AEROBICA DEL GLUCOSIO CORRISPONDE:
Delle 686 kcal liberate dall'ossidazione, 266 sono utilizzate per sintetizzare l'ATP, mentre le restanti
sono disperse nell'organismo sottoforma di calore. Dunque, il rendimento energetico dell'intero
processo è pari al 40% circa.
ALTRE FUNZIONI DEI MITOCONDRI
Accumulo ioni calcio: questo è legato al potenziale di membrana prodotto dai processi di
ossidoriduzione che avvengono lungo la catena di trasporto degli elettroni ed è importante per molte
funzioni cellulari.
Partecipazione alla sintesi di ormoni steroidi dovuta alla presenza sulle creste di enzimi che operano
nel distacco della catena laterale del colesterolo.
Gluconeogenesi: consiste nella produzione di glucosio da precursori non glucidi. È importante che la
quantità di glucosio intracellulare sia controllata e mantenuta a livelli ottimali. L’omeostasi del
glucosio può tener conto anche delle riserve di glicogeno. Quando queste riserve sono esaurite,
scatta la gluconeogenesi.
Ossidazione degli acidi grassi a opera di enzimi della matrice mitocondriale che porta alla
formazione di acetilCoA, NADH e FADH 2.
Associazione reversibile di alcuni enzimi come le esochinasi alla membrana esterna, che regolano
alcune vie metaboliche citoplasmatiche, come la glicolisi.
Limitata sintesi proteica.
Nei mitocondri di alcune cellule, come quelle del grasso bruno degli animali ibernanti, può avvenire
il disaccoppiamento tra la fosforilazione e l’ossidazione con conseguente produzione di calore.
ESEMPIO [negli adipociti del tessuto bruno degli animali che si ibernano avviene il
disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa nei mitocondri. Qui non funziona l’enzima per
sintetizzare ATP detto ATPsintetasi. Quindi l’energia viene dissipata sotto forma di calore, perché
non si creano i legami ADP+P. Il metabolismo per avvenire ha bisogno di una certa temperatura 37°.
Quando un animale va in ibernazione deve abbassare la sua temperatura corporea per rallentare il
metabolismo e non sprecare nulla. Quando si sveglia il metabolismo deve riaccendersi e nelle riserve
di tessuto bruno tutto il grasso viene degradato e usato come sorgente energetica, alzando la
temperatura corporea perché dissipa calore].
LISOSOMI
Sono grosse vescicole contenenti enzimi litici che intervengono nei diversi processi di digestione cellulare.
Dal Golgi gemmano vescicole contenente enzimi lisosomiali o enzimi idrolasi (proteasi, lipasi, glicolasi e
nucleasi), in quanto scindono le molecole addizionando acqua (inverso a reazioni di condensazione).
Le vescicole sono rivestite da membrane per evitare che gli enzimi digeriscano l’intera cellula. Gli enzimi
litici lisosomiali funzionano solo in presenza di un pH acido (per questo sono detti idrolasi acide) e quando
vengono portati dal RER al Golgi, nella cisterna CIS subiscono una marcatura che consiste nell’agganciare
un gruppo fosfato al mannosio. Questo determina il fatto che questi enzimi sono già identificati come idrolasi
acide nella faccia CIS. Questa mappatura sarà presente anche quando gemmerà la vescicola idrolasica dalla
faccia TRANS. Quando nella vescicola si creerà un pH acido 6,5 e avverrà il distacco del fosfato dal
mannosio, l’enzima sarà pronto. Il lume del lisosoma è acidificato grazie alla presenza nella sua membrana
di pompe protoniche che consumando ATP aumentano la concentrazione interna dei protoni H+, fino a
raggiungere il valore di pH ottimale.
Questi enzimi digeriscono tutte le sostanze, sia provenienti dall’esterno sia della cellula stessa, da degradare
scindendo i polimeri i monomeri riutilizzabili nel metabolismo cellulare.
I macrofagi sono cellule specializzate nel processo di digestione di tutto ciò che è estraneo e infatti
contengono molti lisosomi. I macrofagi provengono dal sangue (monociti) e sono globuli bianchi che
agiscono a livello dei tessuti connettivi, che sono vascolarizzati. Fagocitano tutto ciò che potrebbe
danneggiare l’organismo attraverso riconoscimento di antigeni estranei.
Si possono osservare con il microscopio elettronico, mediante metodi istochimici, specie con la reazione per
la fosfatasi acida, enzima molto presente nei lisosomi. (si può usare un marcatore detto fluorocromo come
rodamina che emette fluorescenza rossa e la fluoresceina che emette fluorescenza verde). Al microscopio
elettronico hanno un aspetto eterogeneo.
Il numero di lisosomi presenti in una cellula varia a seconda della più o meno intensa attività di endocitosi.
Questi organuli si presentano in genere con una forma tondeggiante e un diametro di 0,2-1 µm.
I lisosomi primari si presentano più piccoli, più elettrondensi in modo uniforme e omogeneo e appaiono più
neri, perché contengono solo la componente enzimatica. Quando si fonde con un'altra vescicola forma un
lisosoma secondario con struttura eterogena ed eterogeneamente elettrondensa. Sono più grandi.
5
Particolare di citoplasma di epatocita con esteso Particolare di citoplasma di cellula epiteliale
reticolo endoplasmatico liscio (1), poliribosomi (2), ghiandolare con lisosomi secondari (1),
lisosomi primari (3) e mitocondri (4). 28.000X. mitocondri (2), reticolo endoplasmatico liscio (3),
granuli di secreto sieroso (4) e nucleo (5).
22.000X.
I lisosomi primari si formano dalla maturazione delle vescicole idrolasiche. Sono glicoproteine che nel Golgi
subiscono l’aggancio del fosfato al mannosio. Si tratta di N-glicosilazione che prevede l’aggancio di 14
zuccheri di cui 9 mannosi (attraverso il dolicolo fosfato) e nel Golgi vede la fosforilazione del mannosio che
viene appunto legato al fosfato (marcatore).
[o-glicosilazione è delle mucine e quindi del secreto mucoso; n-glicosilazione è degli enzimi]
I lisosomi secondari o vacuoli digestivi derivano dalla fusione tra il lisosoma primario e una vescicola
(fagosoma) che contiene il contenuto da digerire. Queste vescicole possono:
FENOMENO DELL’ENDOCITOSI
FAGOCITOSI: tutti gli elementi e le sostanze vengono racchiuse in un fagosoma e poi in esso verranno
riversati enzimi digestivi lisosomiali. È probabile che per la fagocitosi sia necessario il riconoscimento
del materiale da fagocitare da parte di specifici recettori di membrana. Spesso il riconoscimento è
indiretto come nel caso dei macrofagi che mediante appositi recettori, riconoscono e fagocitano i
microrganismi infettanti dopo che questi sono stati rivestiti dagli anticorpi prodotti dall’organismo in
risposta all’infezione. In altri casi il riconoscimento può essere diretto, grazie al legame di recettori del
fagocita con specifici oligosaccaridi presenti sulla superficie di alcuni batteri. Dopo l’adesione con il
fagosoma, la membrana della cellula si solleva in pieghe o in pseudopodi che svolgono un’azione
avvolgente, mentre la porzione di membrana sottostante alla particella si introflette, trascinando infine il
contenuto verso l’interno, contenuto in un fagosoma. È anche possibile la fagocitosi di strutture assai
grandi, grazie alla cooperazione di numerosi macrofagi che si fondono insieme per creare une cellula
gigante multinucleata da corpo estraneo (sincizio).
PINOCITOSI: assunzione di gocciole di liquido; in base alla dimensione delle gocciole possiamo avere
macropinocitosi (microscopio ottico) e micropinocitosi (microscopio elettronico).
AUTOFAGIA: vengono avviate alla digestione lisosomiale parti della cellula danneggiate, obsolete o
non più utili. La struttura da digerire viene circondata da una membrana forse derivante dal RER per
formare un autofagosoma e viene portata a contatto con gli enzimi lisosomiali. Particolarmente notevoli
sono i fenomeni di autofagia che insorgono durante il differenziamento cellulare: un esempio è dato dai
globuli rossi che nelle loro forme immature (eritroblasti), contengono tutti gli organuli tipici di una
cellula; dapprima viene espulso il nucleo e in seguito sono eliminati per autofagia tutti gli organuli fino a
produrre un eritrocita maturo. È interessante anche il caso di autofagia in occasione di digiuno
prolungato: alcune cellule per sopravvivere, digeriscono per autofagia alcune loro componenti non vitali
per ricavare energia e materia prima per funzioni indispensabili.
Con corpi residui si intendono i lisosomi secondari che contengono materiale non digerito, possono restare
all’interno della cellula oppure venire espulsi. Nel sistema nervoso formano le lipofuscine che restano nel
citosol.
La quantità di lisosomi varia in base al tipo di cellula e sono numerosi nei macrofagi, nei granulociti e nei
monociti, dove svolgono funzioni di difesa mediante la fagocitosi.
Le idrolasi lisosomiali sono glicoproteine caratterizzate da catene oligosaccaridiche con una marcatura
specifica rappresentata dal mannosio 6-fosfato: M6P, che ha il ruolo di segnale nel controllo di smistamento
del lisosoma. La fosforilazione del mannosio avviene nella faccia CIS.
L’enzima marcato viene riconosciuto da recettori sulla membrana del Golgi, includendolo in una vescicola
idrolasica gemmata dalla faccia TRANS. Contestualmente dall’apparato del Golgi gemma una seconda
vescicola che contiene un elevato numero di pompe protoniche (trasportatori di membrana che pompano
ioni H+ e quindi mantengono il livello di pH, fondamentale per la vita del lisosoma) ed enzimi. Nel
frattempo, sulla membrana plasmatica per endocitosi si forma una vescicola di membrana detta endosoma
precoce che si fonde con la vescicola con le pompe protoniche ed enzimi, che deriva dal Golgi. Queste due
vescicole vanno a formare un endosoma tardivo. L’endosoma tardivo si fonderà con la vescicola idrolasica
dando vita all’endolisosoma (enzimi idrolitici; pompe protoniche sulla membrana vescicolare, enzimi che
rimuovono la fosfatasi; ambiente acido ottimale: pH 3-5) che costituisce il sistema lisosoma primario che si
andrà ad unire alla vescicola da digerire, diventando lisosoma secondario. Quando accade, si attivano le
pompe protoniche che fanno entrare ioni H+ rendendo acido l’ambiente, permettendo l’attivazione delle
idrolasi. I lisosomi primari. Contengono più di 40 idrolasi fra i quali la fosfatasi acida che funziona da
marcatore per il lisosoma.
Endosoma tardivo
Le vescicole idrolasiche che gemmano dal TGN non provocano autolisi in quanto:
LISOSOMI SECONDARI
Originano dalla fusione di lisosomi primari con vacuoli, detti fagosomi, contenenti materiali di diversa
natura, che possono avere due origini:
In seguito alla fusione delle membrane del lisosoma primario e del fagosoma vengono riversati in
quest’ultimo gli enzimi litici del lisosoma.
Quando si creano gli autofagosomi, essi partecipano al rinnovo o turnover di alcune strutture cellulari, da
recuperare per riciclare le componenti base per sintetizzare nuove molecole, come fosfolipidi.
I prodotti che derivano dalla digestione enzimatica passano per diffusione nel citoplasma dove vengono
metabolizzati.
I materiali non digeriti dagli enzimi, ovvero i corpi residui, rimangono all’interno dei lisosomi secondari.
In alcune cellule i corpi residui possono essere espulsi mediante un processo di esocitosi.
In altri casi i corpi residui si accumulano generando ammassi pigmentati, detti lipofuscine. Questo accade
specie nelle cellule nervose invecchiate.
Quelle piccole in viola sono cellule della
glia che forniscono un supporto
trofomeccanico alle cellule nervose.
Per quanto riguarda i lisosomi primari va aperta una piccola parentesi: la vescicola idrolasica deve fondersi
generalmente con ciò che deve digerire. Ci sono però delle eccezioni in alcune cellule:
Osteoclasti: il tessuto osseo possiede cellule costituite da osteoblasti e osteociti che rappresentano lo
stesso tipo di cellula in due momenti funzionali differenti; l’osteoblasto è la cellula che produce la
matrice ossea. La sostanza ossea viene mineralizzata. Gli osteoblasti si dividono mitoticamente e le
cellule che ne derivano si trasformano in osteociti, che migrano verso il centro del tessuto osseo dove
sta avvenendo la mineralizzazione e rimangono lì incastrati. Gli osteociti non si possono quindi
riprodurre ma continuano a secernere. Con loro collabora la tiroide: le cellule c producono la
calcitonina antagonista del paratormone (prodotto dalle paratiroidi). Questi due ormoni sono detti
antagonisti, perché la calcitonina induce il deposito di calcio, quindi nuova matrice ossea mentre il
paratormone richiama calcio dalle ossa inducendo l’erosione della matrice stessa. Per richiamare il
calcio bisogna erodere la matrice ossea e qui intervengono i macrofagi, detti osteoclasti nel tessuto
osseo, che riversano all’esterno della cellula nella matrice ossea gli enzimi idrolitici. Azione
lisosomiale esterna alla cellula.
Cellule del trofoblasto: quando l’embrione (blastula) in formazione arriva nell’utero, esso deve
scavare nella parete uterina ed entrare all’interno per prendere contatto con i vasi sanguigni della
madre. Queste cellule riversano gli enzimi idrolitici facilitando l’entrata dell’embrione.
Spermatozoi: nella testa c’è il nucleo e l’acrosoma, una vescicola che riveste il nucleo. Lo
spermatozoo riversa gli enzimi idrolitici contenuti nell’acrosoma per erodere la membrana della
cellula uovo permettendo l’entrata del DNA dello spermatozoo nella stessa.
PEROSSISOMI
Il perossisoma è un organulo che interviene a vari livelli nel metabolismo cellulare, intervenendo nel
catabolismo di numerose molecole, come acido urico, aminoacidi, acidi biliari, acidi grassi, nella biosintesi
di intermedi cellulari come colesterolo, dolicolo, plasmalogeni ecc.
I perossisomi sono contraddistinti dalla presenza dell’enzima catalasi, che degrada il perossido d’idrogeno
che viene prodotto dall’attività di altri enzimi perossisomali come le ossidasi.
La produzione di perossido di idrogeno e la sua degradazione avviene nei perossisomi stessi, evitando che
questo composto altamente tossico posso diffondere nel citoplasma.
Si riconoscono perché al centro hanno una struttura fortemente elettrondensa, detta nucleoide, una struttura
paracristallina che contiene gli enzimi che permettono al perossisoma di funzionare.
I perossisomi presentano una diversità di forma che varia da quella sferica a quella bastoncellare e in alcune
cellule possono formare strutture reticolari. I movimenti e la posizione dei perossisomi all’interno della
cellula sono controllati dal citoscheletro con l’intervento di proteine motrici. Si possono spostare lungo i
microfilamenti di actina oppure lungo i microtubuli.
Il numero dei perossisomi per cellula varia da poche unità a diverse migliaia in funzione del tessuto ed
organo specifico, come epatociti o cellule renali, dove prevalgono reazioni di catabolisi.
La matrice perossisomiale contiene un materiale amorfo, finemente graulare, che si può addensare in una
zona centrale a formare una formazione paracristallina, detta nucleoide, che contiene enzimi, tra cui
uricasi/urato ossidasi, catalasi, D-amminoacidoossidasi, coinvolti nei processi di ossidoriduzione.
I perossisomi con il loro metabolismo degradano i prodotti tossici, come perossido d’idrogeno, i ROS (forme
reattive dell’ossigeno o radicali liberi: prodotti del metabolismo pericolosi).
BIOGENESI DEI PEROSSISOMI E IMPORTAZIONE DELLE PROTEINE
Non hanno origine golgiana. I perossisomi derivano dal RER e gli enzimi contenuti nei perossisomi derivano
dal RER, ma a differenza delle altre proteine e enzimi, questi non passano dal Golgi, per cui gemmano
direttamente dal RER e passano al citoplasma, all’interno delle vescicole. (via secretoria e via
citoplasmatica).
Il modello della biogenesi prevede che dal RER si formino espansioni tubulari e lamellari o microvescicole,
nella cui membrana sono inserite le proteine perossisomiali sintetizzate sui ribosomi del RER. Questi sistemi
membranosi, contenenti gli enzimi, in seguito si differenziano per formare i futuri perossisomi, acquisendo
proteine di membrana e della matrice che derivano dalla sintesi proteica che avviene sui ribosomi liberi, le
quali proteine contengono specifiche sequenze segnale per l’importazione nei perossisomi.
Queste proteine vengono indicate con il termine perossine (Pex). Ci sono 32 proteine implicate nella
formazione dei perossisomi e nell’importazione delle proteine nei perossisomi.
Pex1 e Pex6 mediano la fusione delle piccole vescicole a formare macrovescicole mature, che matureranno
in perossisomi e conterranno tutte le altre perossine.
Le Pex11 sono responsabili della determinazione della forma dei perossisomi.
Le Pex3 sono responsabili della gemmazione delle vescicole dal RER.
È importante sottolineare che le proteine destinate alla matrice perossisomiale vengono importate dopo aver
acquisito la loro struttura terziaria ed eventualmente la struttura quaternaria. Caso tipico è quello della
catalasi formata da quattro subunità contenenti ciascuna un gruppo eme: i precursori polipeptidici della
catalasi legano il gruppo eme, assumono il corretto ripiegamento, si assemblano a formare il tetramero e
interagiscono con Pex5p per essere importati nel perossisoma. Il trasferimento delle proteine nell’organulo
richiede energia derivante da idrolisi di ATP.
L’allantoina viene poi trasformata in acido allantoico o in urea ed espulsa dall’organismo. Questo tipo di
metabolismo dell’acido urico non è possibile negli uomini dove manca l’uricasi; quindi l’acido urico viene
espulso direttamente con le urine.
α-ossidazione: rompe il legame del primo carbonio di una catena. Gli enzimi di tale ossidazione
degradano gli acidi grassi ramificati eliminando le catene laterali. Ne derivano acidi grassi lineari.
β-ossidazione: rottura del legame del secondo carbonio di una catena. Vengono prodotti gruppi
acetile e due atomi di carbonio. Gli acidi grassi lineari della prima ossidazione vengono demoliti con
la produzione di acetilCoA che va nei mitocondri e perossido d’idrogeno che viene degradato dalla
catalasi.
Sempre nel fegato possiamo vedere le gocciole lipidiche. Il fegato tollera come accumulo lipidico fino al 5%.
Quando si supera la percentuale si entra nella steatosi, condizione patologica, che può essere reversibile o
irreversibile. Succede che gli epatociti immagazzinano i lipidi sotto forma di goccioline, che per coalescenza
tendono a fondersi formando gocciole sempre più grandi. Quando la condizione è patologica, gli epatociti
iniziano ad assomigliare a cellula in cui il nucleo è schiacciato dalla componente lipidica, diventando un vero
e proprio adipocita. Il fegato, quindi, perde la propria funzionalità in quanto l’epatocita perde la sua polarità
(forma-funzione).
In microscopia ottica si vedono in forma sferica perché le gocce lipidiche sono circondate da monolayer
lipidico. Sono solubili nei solventi utilizzati per preparare i campioni. Appaiono bianchi, perché i lipidi sono
stati rimossi o meglio diluiti e hanno “svuotato” la gocciolina. Per veder i lipidi colorati bisogna fissare i
campioni fisicamente di solito si fa una fissazione chimica) e cioè congelando a -80 gradi con il criostato e
specifiche colorazioni.
I pigmenti più comuni presenti nelle cellule sono: emoglobina, melanina, lipofuscina.
Granuli di melanina in melanofori (frecce). Melanofori (frecce) in pelle di anfibio. Pigmento lipofuscinico (freccia) nel
citoplasma di un neurone.
I cristalli e i cristalloidi sono presenti solo in alcuni tipi di cellule, quali le cellule del Sertoli o cellule
interstiziali del testicolo e nei macrofagi.
Al microscopio ottico è visibile come una trama sottile, utilizzando anticorpi specifici per le proteine che
costituiscono le componenti del citoscheletro.
Al microscopio elettronico invece possiamo realmente vedere come è fatto con elevati ingrandimenti,
riuscendo a distinguere le tre componenti principali di natura proteica:
L’attuale definizione del citoscheletro come una rete tridimensionale di filamenti che, dal punto di vista
strutturale e costitutivo, possono essere raggruppati in tre sistemi distinti e cioè microfilamenti, microtubuli e
filamenti intermedi, risulta abbastanza riduttiva, perché non si fa cenno ai ponti proteici che collegano fra
loro i tre sistemi filamentosi principali e che permangono, nei modelli cellulari, dopo estrazione con
glicerolo.
Inoltre, il termine citoscheletro è fuorviante perché lascia intravedere una struttura statica. Le strutture
citoscheletriche sono implicate in funzioni di sostegno dell’architettura cellulare, ma sono anche
indispensabili per il manifestarsi di fenomeni come locomozione, traffico vescicolare, cambiamenti della
morfologia cellulare, che vanno sotto il nome di motilità cellulare. Microfilamenti e microtubuli sono
strutture altamente dinamiche.
MICROTUBULI
Hanno un ruolo essenziale durante il processo di divisione cellulare nella formazione del fuso mitotico, che è
un sistema costituito da microtubuli; la funzione è l’interazione con i cromosomi per regolare la loro
divisione. La loro presenza è importante per la corretta divisione del DNA. I microtubuli costituiscono anche
le strutture assile di sostegno delle ciglia e dei flagelli.
Per esempio, l’epitelio cigliare lo troviamo nell’apparato respiratorio (formazione e dinamicità delle
mucose).
Figura 1 Figura 2
Figura 1: Epitelio cigliare delle vie respiratorie, cellule calciformi mucipare.
La linea più scura nell’immagine viola (freccia rossa) corrisponde all’inserzione dei corpuscoli basali,
strutture di base che ancorano il ciglio alla membrana plasmatica. La cellula in viola con aspetto granulare
(1) la definiamo una cellula mucosa in quanto presenta granuli di secreto mucoso. Il nucleo è alla base.
Nella cellula (1 centrale) sono presenti marcature in blu. Potrebbe essere una cellula differente alla
precedente, adibita a una diversa secrezione, oppure la stessa cellula in un momento funzionale differente.
Figura 2: Spermatozoi. Importanza del citoscheletro nella coda e quindi nella sua motilità.
I microtubuli, quindi, costituiscono il citoscheletro, intervengono nella formazione del fuso e costituiscono
strutture specializzate come ciglia e flagelli.
Un altro sistema particolare di organizzazione microtubulare lo osserviamo nelle cellule nervose. Nel
prolungamento assonico o assone non avviene la sintesi proteica, infatti manca il RER e il Golgi, ma
possiede una struttura per veicolare le vescicole contenenti il neurotrasmettitore (alla base della trasmissione
dell’impulso nervoso). Nell’assone ci sono quindi i neurotubuli che guidano le vescicole fino alla
terminazione assonica dove avviene la sinapsi con un’altra cellula e il neurotrasmettitore come N-acetilcolina
viene liberato. Alla fine dell’assone vengono aperti canali ionici per permettere l’esocitosi del trasmettitore
che verrà letto dal recettore o di un’altra cellula nervosa o di una cellula somatica.
C’è un flusso di ritorno (retrogrado) dalla terminazione assonica al corpo cellulare. Nell’assone ci sono
anche i mitocondri che garantiscono l’energia necessaria per il funzionamento dei microtubuli, che
necessitano di assemblarsi (polimerizzazione che necessita di energia) o disassemblarsi (depolimerizzazione
che libera energia).
Si formano quindi strutture ad anello e spirali che si aprono dando origine alla formazione dei vari
protofilamenti che si associano a formare una sorta di struttura laminare. La lamina si richiude su se stessa e
forma un piccolo cilindro iniziale che si chiama nucleo di polimerizzazione. Da qui poi avvengono i processi
di aggiunta dei dimeri di tubulina. La plus end è quindi il terminale dove avviene l’addizione o il rilascio di
subunità.
I microtubuli, a parte quelli dei centrioli, ciglia e flagelli (tutte strutture stabili di sostegno), sono strutture
labili, la cui polimerizzazione dipende da:
Temperatura;
Concentrazione intracellulare di ioni calcio Ca++;
Presenza di alcaloidi come la colchicina: i cromosomi si vedono solo nella metafase del processo di
divisione; si usano gli alcaloidi che inibiscono la polimerizzazione della tubulina e causano una
rapida depolimerizzazione dei microtubuli durante la metafase quando i cromosomi sono sulla linea
equatoriale mantenuti dal fuso mitotico microtubulare.
I microtubuli formano piste dinamiche per il traffico vescicolare. Vescicole e organuli sono legati a proteine
motrici e vengono trasportate nelle due direzioni possibili e definite. Dobbiamo immaginarli come i binari
del tram. Le vescicole attraverso le proteine si legano ai microtubuli che poi spostano le vescicole. Ogni
movimento non è mai casuale, ma sempre sottoposto a tutta una serie di controlli specifici.
Le vescicole che gemmano dal Golgi presentano sempre un legame tra ciò che c’è dentro e i recettori di
membrana rendendo chiara l’identità della vescicola. Essa per legarsi al microtubulo interagisce con le
proteine motrici che possono essere dineine (spostano le vescicole verso l’estremità negativa (minus end) del
microtubulo) e le chinesine (spostano verso l’estremità positiva, plus end, del microtubulo). Sono proteine a
struttura quaternaria. È uno spostamento correttamente direzionato dalle proteine motrici.
[Nel caso dei microfilamenti, queste proteine motrici sono caratterizzate da miosina, proteina contrattile
molto presente nel muscolo].
Queste proteine motrici a struttura quaternaria, che garantisce la giusta funzionalità alla proteina, posseggono
teste globulari in grado di idrolizzare l’ATP per il cambiamento conformazionale alla base del movimento e
per l’interazione sia con la proteina della vescicola sia con le proteine che costituiscono i microtubuli.
CIGLIA E FLAGELLI
Le ciglia sono numerose e corte, mentre i flagelli sono di meno e più lunghi.
Le ciglia e i flagelli presentano una struttura interna detta assonema, generatrice delle forze motrici alla base
del movimento cigliare e flagellare. L’assonema rappresenta il massimo livello di resa della motilità
microtubulo-mediata.
Le ciglia e i flagelli sono espansioni citoplasmatiche filiformi che posseggono una complessa organizzazione
strutturale che rende ragione delle loro funzioni meccaniche.
STRUTTURA DELLE CIGLIA VIBRATILI
Le ciglia sono strutture allineate in modo regolare e parallele fra loro. Il loro
numero varia da cellula a cellula. Le ciglia vibratili presentano una porzione
libera in grado di muoversi e una porzione infissa.
PORZIONE LIBERA
Nelle cellule dell’epitelio vibratile la porzione libera è anche detta tratto
espanso. È rivestita da una membrana che si presenta come continuazione
della membrana plasmatica del polo apicale della cellula. Al microscopio
elettronico in sezione trasversale, il ciglio risulta costituito da una complessa
organizzazione di microtubuli, immersi in una matrice poco densa, rivestita
dalla membrana. Nella sezione longitudinale appare chiaramente che la
membrana che avvolge il tratto espanso continua con la membrana plasmatica
della cellula e che i tubuli, disposti parallelamente tra loro, continuano con un
corpuscolo basale. Nelle sezioni trasversali si osserva che nella matrice sono
immerse 9 coppie periferiche di microtubuli che circondano 2 microtubuli
disposti al centro del ciglio. Questa struttura detta 9+2 prende il nome di
assonema.
ORGANIZZAZIONE DELL’ASSONEMA
Come è fatto l’assonema? Immaginiamo di osservare una sezione trasversale della parte libera nel citosol: si
tratta di microtubuli rettilinei, tra loro paralleli, che si associano in modo circolare attorno ad una coppia di
microtubuli centrale. Ci sono 9 coppie di microtubuli disposte in modo circolare con una coppia centrale. La
coppia centrale è separata da un piccolo spazio e le altre decorrono isolate e distinte per tutta la lunghezza
dell’assonema. Le 9 coppie periferiche sono costituite ciascuna da due microtubuli uniti tra loro; questi
appaiono parzialmente fusi e decorrono addossati l’uno all’altro.
La piastra basale è posta tra l’assonema e il corpuscolo basale e può essere situata alla base della porzione di
membrana che avvolge il ciglio, oppure in posizione extracitoplasmatica. A livello della piastra basale la
coppia di microtubuli centrali si interrompe, mentre le coppie di microtubuli periferici continuano con i
tubuli A e B della tripletta del corpuscolo basale
Le radichette cigliari sono sottili fibre di proteine contrattili che emergono dal corpuscolo basale e terminano
in prossimità del nucleo. Garantiscono quindi la polimerizzazione della cellula cigliata. Presentano una tipica
bandeggiatura trasversale con periodicità di 50-70 nm.
Particolare di dendrite di neurone olfattorio con corpi basali (1) Superficie dell’epitelio respiratorio della mucosa nasale con ciglia (1) e
microvilli (2). Mitocondri (3), corpi basali (4). Linea elettrontrasparente:
e microtubuli (2). Ciglia (3), microvilli (4). 25.000X.
Spazio intermembrana di membrane plasmatiche di cellule adiacenti.
20.000X.
MOTILITÀ CIGLIARE E FLAGELLARE
Il meccanismo molecolare che porta alla generazione delle forze motrici in ambito assonemale è quasi del
tutto sovrapponibile a quanto accade durante il fenomeno contrattile. Anche in questo caso si tratta di
strutture filamentose e dimensionalmente stabili, che non vanno incontro ad accorciamento, ma che
scivolano le une sulle altre, grazie all’azione ciclica di ponti transitori mobili, la cui azione è dipendente
dall’idrolisi di ATP.
La proteina motrice nel contesto assonemale è la dineina. Questa a condizioni di riposo è situata a 90°
rispetto al tubulo B che, in seguito all’idrolisi dell’ATP e al susseguente rilascio dei prodotti di idrolisi, deve
prima agganciare e spostare. La dineina sfrutta l’energia rilasciata dall’idrolisi dell’ATP per portarsi in una
nuova configurazione spaziale, caratterizzata da un angolo di 45° rispetto alle formazioni microtubulari. In
questa configurazione avviene l’aggancio tra dineina e tubulo B. Il rilascio dei prodotti di idrolisi permette il
ritorno della dineina alla posizione iniziale. L’arrivo di una nuova molecola di ATP favorisce il distacco
della dineina dal microtubulo e l’inizio di un nuovo ciclo.
Il battito cigliare dipende dai bracci di dineina, che si attaccano al microtubulo B della coppia adiacente,
idrolizzando ATP. Essendo le coppie bloccate dalla nexina, il movimento di scorrimento si traduce in un
piegamento laterale, ovvero in battito cigliare. Si crea una sorta di onda che si propaga per tutto il flagello.
Cessato l’impulso il ciglio ritorna passivamente alla posizione laterale. Se i microtubuli fossero liberi di
muoversi, quindi privi del legame di nexina, si piegherebbero in modo obliquo e slitterebbero. Invece le 9
coppie si piegano tutte allo stesso modo perché sono legate tra loro mediante la nexina.
Pendolare: il ciglio resta rigido per tutta la sua lunghezza tranne la base, dove si curva, per assicurare
all’intera struttura movimenti di andata e ritorno;
A flusso: presenta una fase attiva e una fase di recupero.
CENTRIOLO
Ricorda un po’ il corpuscolo basale dei microtubuli nella sua struttura.
Il centro cellulare comprende due formazioni di importanza cardinale per l’economia cellulare: centrosoma e
centrioli (sempre presenti in coppia). Il centro cellulare ha la capacità di organizzare il fuso mitotico e risulta
essere il principale centro di organizzazione microtubulare (MTOC).
Il rinvenimento a livello del centrosoma della γ-tubulina, proteina caratteristica dei MTOC capace di
nucleare la polimerizzazione della tubulina, permette di attribuire al solo centrosoma il ruolo di centro di
organizzazione microtubulare.
Si indicano con α le isoforme muscolari (dette sarcomeriche e caratteristiche delle cellule muscolari striate
scheletriche, cardiache e lisce) e con β e γ quelle citoplasmatiche (proprie delle cellule non muscolari).
SITI D’INTERAZIONE
La G-actina presenta vari siti di interazione per composti differenti. È presente un sito per l’ATP, per cui
ogni monomero è legato a una molecola di ATP. Per questo fatto la G-actina è anche indicata con il nome di
ATP-actina. Durante la polimerizzazione, l’ATP viene idrolizzato ad ADP, che rimane legato alle subunità
proteiche costituenti il polimero. Quando una subunità proteica, costituente un filamento, viene rilasciata nel
mezzo, l’ADP legato al polipeptide viene velocemente scambiato con l’ATP presente nel mezzo ambiente.
Ciascun monomero di actina presenta un sito ad altà affinità per gli ioni metallici bivalenti (magnesio
generalmente). Con l’occupazione di questo sito da parte dello ione metallico, la molecola subisce un
cambiamento di configurazione spaziale, divenendo adatta alla polimerizzazione. Ogni molecola di actina
presenta anche un numero imprecisato di siti per gli ioni metallici monovalenti. Ogni molecola di actina
presenta inoltre quattro siti a bassa affinità per il calcio.
MICROFILAMENTO
Sono filamenti sottili costituiti da due catene di subunità globulari di G-actina che si polimerizzano andando
a formare due filamenti lineari che si avvolgono con un secondo filamento lineare formando la F-actina dello
spessore di 7 nm. La F-actina (forma polimerica dell’actina globulare monomerica G-actina) è una proteina
globulare contrattile che si trova nel sarcomero, unità funzionale del movimento muscolare.
[la miosina e l’actina sono le principali proteine implicate nel fenomeno contrattile; la contrazione
muscolare deriva dall’idrolisi dell’ATP; la contrazione è dovuta al reciproco scivolamento, ATP dipendente,
dei filamenti di actina e miosina.]
Nei microfilamenti abbiamo una spiccata polarità: le due estremità terminali della F-actina mostrano una
configurazione spaziale differente a seconda del momento funzionale, con conseguente comportamento
chimico differente.
Nei microfilamenti la porzione attiva è la pointed end dove avviene l’aggiunta o la rimozione delle varie
subunità. In realtà l’assemblaggio è più rapido alla barbed end, mentre la rimozione alla pointed end. I
processi di polimerizzazione avvengono a seconda di:
Queste proteine sono dette actin binding protein e possono essere suddivise a seconda che interagiscono con
la G-actina o con la F-actina.
PROFILINA
Formano complessi con la G-actina, impedendone la polimerizzazione. Le profiline svolgono un ruolo di
mediatori tra le β-timosine e i terminali in crescita del filamento di actina. Le profiline agiscono come
preparatori alla polimerizzazione nei confronti dei monomeri actinici, strappati alla β-timosina, da inviare
all’assemblaggio.
Β-TIMOSINE
Legano la G-actina con un’affinità molto elevata, impedendo la formazione di filamenti.
Miosina: è un esamero formato da due catene pesanti e da due coppie di catene leggere. È una
proteina ubiquitaria, come l’actina. Rappresenta la proteina motore del sistema actomiosinico; il suo
legame con la F-actina è temporaneo e dipende dall’idrolisi dell’ATP;
Spectrina;
Distrofina: presenta due subunità, ciascuna con un sito di legame per la F-actina e un altro per una
glicoproteina di membrana. Nelle cellule muscolari, concorre a connettere l’apparato contrattile alla
membrana plasmatica. La mancanza dell’informazione per la sua costruzione è a causa di una grave
malattia ereditaria detta distrofia muscolare progressiva come quella di Duchenne.
I microfilamenti fanno parte anche di strutture specializzate: costituiscono lo scheletro assile dei microvilli.
FILAMENTI INTERMEDI
I filamenti intermedi e le proteine ad essi associate contribuiscono alla formazione e al mantenimento
dell’impalcatura tridimensionale della cellula.
L’insieme dei filamenti intermedi di una cellula si organizza in una rete lassa, con un fuoco perinucleare e le
varie strutture filamentose che si irradiano attraverso il citoplasma.
La caratteristica principale dei filamenti intermedi risiede nella loro stabilità chimica; questo fatto distingue i
filamenti intermedi stessi dalle altre componenti citoscheletriche (microtubuli e microfilamenti).
Le cheratine possono essere di tipo I acide e di tipo II neutrobasiche. I filamenti di cheratina sono
sempre eteropolimeri.
Vimentina, desmina e proteina acida gliare: sono omopolimeri della classe III.
Neurofilamenti: polimerizzano spontaneamente.
Lamine nucleari: sono della classe V e sono localizzate a livello della superficie interna
dell’involucro nucleare, dove formano un sistema polimerico insolubile detto lamina fibrosa.
Vanno immaginati quindi come proteine filamentose. Nel nucleo al di sotto della membrana esterna i
filamenti formano una lamina fibrosa.
Possiamo dire che tale dinamismo e rimaneggiamento è possibile in quanto sia per l’actina (microfilamenti)
sia per le tubuline (microtubuli) vi è un equilibrio monomero/dimero che permette di privilegiare particolari
stati di aggregazione.
La stabilità dei filamenti intermedi e delle impalcature citoplasmatiche derivanti dalla loro interazione
spaziale potrebbe creare qualche problema funzionale. Tuttavia, è possibile assistere a cambiamenti
dell’assetto spaziale dei filamenti intermedi. Quando la cellula è in procinto di duplicarsi i filamenti
intermedi sembrano concentrarsi in formazioni sferoidali che si ripartiscono equamente nelle cellule figlie e
da cui al termine della citodieresi viene ricreato il reticolo.
TESSUTO-SPECIFICITÀ DEI FILAMENTI INTERMEDI
I filamenti intermedi mostrano un certo grado di tessuto-specificità. La classificazione delle cellule in base al
loro contenuto in filamenti intermedi corrisponde alla classificazione istologica: epiteli (cheratine),
connettivi (vimentina), muscolatura (desmina), cellule nervose (neurofilamenti) e glia (proteina acida
gliare).
MOVIMENTI INTRACELLULARI
In molti tipi cellulari esaminati in vivo e con particolari microscopi si osservano continue correnti
citoplasmatiche che trascinano organuli cellulari (ciclosi). Gli spostamenti dei cromosomi, dei centrioli e
degli altri organuli cellulare durante la mitosi.
ENDOCITOSI E ESOCITOSI
L’endocitosi e l’esocitosi o gemmazione richiedono l’azione completa della membrana plasmatica e della
porzione superficiale del citoscheletro. Quando si forma una vescicola la membrana si invagina e poi si
distacca diminuendo l’unità di superficie o aumentandola.
Dopo la gemmazione la componente proteica viene persa. Il legame del carico al recettore determina la
formazione del rivestimento di clatrina e la gemmazione delle vescicole.
Il traffico avviene lungo i microtubuli con spostamenti assiali o lungo i microfilamenti con spostamenti
circolari con l’intervento di proteine motrici.
Si distinguono due tipi di endocitosi:
Fagocitosi;
Pinocitosi;
Endocitosi mediata da recettori.
La fagocitosi è l’importazione di materiale particolarmente voluminoso, anche di intere cellule o
microrganismi. È alla base dei processi di alimentazione negli organismi unicellulari.
Quando ci sono sostanze estranee i linfociti producono anticorpi che inattivano le componenti estranee che
devono essere demolite. In questo interviene la fagocitosi dei macrofagi. Parliamo di riconoscimento
indiretto perché prima vi è il processo di inattivazione mediante gli anticorpi che riconoscono i recettori
proteici della sostanza estranea e poi avviene la fagocitosi.
La pinocitosi è la modalità di internalizzazione di gocciole di liquido con gli eventuali soluti. Si può parlare
di micro-pinocitosi o macro-pinocitosi.
L’endocitosi mediata da recettori è mediata dalla clatrina, proteina che va a rivestire interamente le porzioni
di membrana interessate al processo di endocitosi. Essa reagisce con recettori di membrana esterni che
legano direttamente ciò che deve essere fagocitato. La clatrina poi viene persa e torna alla membrana. Esiste
anche un’altra proteina coinvolta chiamata caveolina, scoperta a livello delle caveole e cioè invaginazione
della membrana.
A livello di particolari aree della membrana si creano le fossette rivestite (coated pits) o ammantate per la
presenza sul loro versante citoplasmatico di molecole di clatrina che si legano con proteine intermediarie
chiamate adaptine.
In seguito all’acidificazione si ha
disaccoppiamento dei ligandi dai
recettori, che vengono riportati alla
membrana.
GIUNZIONI CELLULARI
Negli organismi pluricellulari le cellule si coordinano a formare tessuti, organi, apparati per lo svolgimento
di funzioni complesse.
Sono legate al citoscheletro e riguardano i domini laterali delle cellule, perché esse sono polarizzate e cioè
possiedono zone in cui svolgono funzioni diverse a seconda del corredo proteico e lipoproteico che si trova
in quella zona della membrana plasmatica. Questa accade perché quando vi è lo smistamento delle proteine
le stesse vengono veicolate in punti specifici della membrana plasmatica (plasmalemma).
(per esempio, la fosfatasi si trova nei domini laterali delle cellule epatiche che sono adiacenti ai sinusoidi).
A tale scopo le cellule hanno la capacità di comunicare e di aderire fra loro o con la matrice extracellulare.
Nella parte più profonda del dominio laterale c’è un sistema di giunzione detto
GAP che è una sorta di canale proteico e che permette lo scambio di sostanze
tra le diverse cellule.
Queste proteine transmembrana interagiscono nella parte citoplasmatica con i filamenti di actina presenti
all’interno del citoscheletro e in particolare con i microfilamenti di actina che sono a ridosso della
membrana.
A livello tumorale la disorganizzazione tissutale è legata alla rottura delle giunzioni cellulari, portando ad
una deformazione e defunzionalizzazione delle cellule e del relativo tessuto.
[la mucosa (epitelio + connettivo) intestinale si piega a formare delle estroflessioni dette villi intestinali per
amplificare la superficie di assorbimento. In caso di celiachia si ha appiattimento dei villi o addirittura
l’introflessione dei villi, disconnettendo le cellule tra loro].
I sistemi di giunzione possiedono una sequenza ben definita e non sono disposti casualmente, ma creano
quadri di chiusura, partendo dalla zona apicale fino a quella basale. Si tratta di una sequenza logica che tiene
conto della funzione in quella zona:
Giunzioni tight;
Giunzioni ancoranti: emidesmosomi (presenti sul dominio basale, mentre i desmosomi sono
presenti sul dominio laterale), a fascia, a macchia, punti focali;
Giunzioni comunicanti: consentono alle cellule di comunicare e si trovano nella parte più
bassa.
Tutto questo fa si che le cellule possano essere vicine senza fondersi. Immaginiamo i cardiociti, cellule del
tessuto muscolare cardiaco, che hanno alla base le giunzioni GAP per permettere all’impulso della
contrazione di passare.
GIUNZIONI TIGHT
Non sono identificabili al microscopio ottico.
COMPONENTI PROTEICHE
Nella zona più serrata abbiamo proteine transmembrana come occludine e claudine. Interagiscono con le
proteine al di sotto della membrana plasmatica, che sono collegate al citoscheletro.
Sono in grado di costituire una connessione tra la rete di filamenti citoscheletrici di due cellule adiacenti o tra
i filamenti citoscheletrici di una cellula e le proteine presenti a livello della lamina basale.
Le membrane delle due cellule contigue sono separate fra loro da uno spazio di 15-20 nm.
DESMOSOMI
Denominati zonula adhaerens, sono responsabili sia dell’adesione cellula-cellula sia del mantenimento della
polarità. Nel tessuto epiteliale seguono una ben definita distribuzione spaziale localizzandosi appena sotto le
giunzioni tight.
Al microscopio elettronico le giunzioni ancoranti a fascia appaiono come placche elettrondense localizzate a
livello citoplasmatico e costituite da proteine catenine, che legano, verso il citoplasma, microfilamenti di
actina e, verso la membrana, proteine transmembrana del sistema di giunzione della famiglia delle caderine.
Le caderine sono proteine strutturali transmembrana, che sporgono nello spazio interstiziale delle cellule e si
uniscono intersecandosi fra loro, mentre in corrispondenza delle due membrane cellulari delle cellule sono
legati ai filamenti actinici del citoscheletro tramite proteine transmembrana che fungono da ponte quali le
vincoline, le catenine e le alfaactinine. Esse formano una zona di adesione continua immediatamente sotto le
giunzioni tight.
Ultrastruttura di un desmosoma.
GIUNZIONI ADERENTI A MACCHIA O MACULAE ADHERAENS
Sono costituite dai desmosomi a macchia (funzione meccanica) facilmente riconoscibili al microscopio
elettrico, perché appaiono elettrondensi. Le membrane sono separate da uno spazio di 20nm.
I desmosomi a macchia sono giunzioni ancoranti la cui struttura non è disposta a cintura attorno alla cellula
come per i desmosomi a fascia, ma localizzata a macchia di leopardo sulla membrana plasmatica. I
desmosomi a macchia hanno funzione meccanica e ne sono ricchi tutti i tessuti posti a stress meccanici come
l’epiteliale e il muscolare cardiaco.
È un’adesione omofilica.
Nelle zone superiori il sistema di giunzione mira a proteggere il passaggio delle sostanze mediante lo spazio
intercellulare. Se scendiamo il sistema mira a creare un contatto con il citoscheletro.
GIUNZIONI COMUNICANTI
(Gap Junction o nexus) sono caratterizzate da canali proteici idrofili, specializzati detti connessoni per il
passaggio di ioni e piccole molecole. Infatti, lo spazio tra le due membrane diminuisce notevolmente fino a
2nm. Mettono in comunicazione diretta il citoplasma di due cellule adiacenti contribuendo a mantenere
l’omeostasi dei diversi tessuti.
I canali transmembrana idrofili, connessoni, sono delimitati da sei proteine integrali, dette connessine, che si
saldano a livello delle loro porzioni esterne, collegando i citoplasmi delle due cellule affiancate. Come tutti i
canali possono essere aperti o chiusi. Sono zone a bassa resistenza elettrica proprio per garantire il passaggio
degli ioni.
La linea indicata dalla freccia è lo spazio intermembrana. A destra invece c’è un ammasso di ribosomi.
EMIDESMOSOMI
Sono giunzioni che si instaurano tra la membrana basale di una cellula e la matrice extracellulare, per
esempio il tessuto connettivo, entrando in contatto con le fibre collagene, disperse nella sostanza amorfa
interna. Sono costituiti da una placca intracellulare che fa da ponte tra il citoscheletro (filamenti intermedi) e
le proteine transmembrana. Il contatto avviene a livello della lamina basale su cui la cellula poggia e
attraverso le proteine lamine prendono contatto con le fibre collagene.
Con la colorazione PAS che mette in evidenza il glicogeno e le glicoproteine, la membrana appare come una
sottile linea rossa. In realtà quella linea è la membrana cellulare vicina alla lamina basale.
CONTATTI FOCALI
Sono strutture proteiche citoscheletriche, proteine ponte e proteine transmembrana che ancorano le cellule
alla matrice extracellulare. Sono piccoli punti di contatto. Questa struttura consente alla cellula l’adesione
temporanea e di rispondere in modo appropriato agli stimoli. Infatti, i contatti focali sono coinvolti in una
serie di processi quali l’adesione, la migrazione, la proliferazione, il differenziamento e l’espressione genica.
NUCLEO
È il più voluminoso degli organuli cellulari ed è presente nelle cellule eucariotiche sia animali che vegetali.
Ci sono eccezioni legate ad una diversa maturazione della cellula. Queste cellule sono i globuli rossi o
eritrociti che nascono come cellule nucleate nel midollo osseo rosso e si specializzano quando vengono
immesse nel sangue e poiché la loro funzione è quella di trasportare, perdono tutto ciò che non serve e
possiedono un citoplasma carico di emoglobina per permettere il legame con l’ossigeno.
Esistono cellule plurinucleate come la cellula muscolare striata scheletrica che costituiscono il muscolo.
Vengono chiamate sincizi perché provengono dalla fusione di varie cellule chiamate mioblasti.
I monociti (macrofagi nel connettivo) che devono fagocitare, si possono trovare a fagocitare sostanze più
grandi di loro e a quel punto i macrofagi si fondono dando vita agli osteoclasti che si trovano nella matrice
ossea.
Esistono cellule, ad esempio i granulociti, che presentano un nucleo polilobato cioè che si anastomizza
formando più lobi.
Il contenuto del nucleo è rappresentato soprattutto dalla cromatina costituita da DNA, RNA e proteine.
Osservando il nucleo possiamo capire lo stato funzionale della cellula: i nuclei chiari (cioè la parte centrale è
chiara al microscopio perché contiene l’eucromatina attiva metabolicamente e cioè trascrive RNA) indicano
cellule attive metabolicamente; i nuclei più scuri (quelli con eterocromatina che appare più colorata perché
dispersa quindi non trascrive RNA) indicano una cellula poco attiva metabolicamente.
La forma del nucleo asseconda sempre la forma della cellula e in tutti si evidenzia il nucleolo.
Il nucleo possiede un involucro nucleare perché le membrane sono ben due, unite e parallele che in alcune
zone si fondono a formare i pori nucleari. Quindi la membrana appare interrotta in più punti. Tra le due
membrane vi è uno spazio intermembrana, detta cisterna perinucleare. I pori servono per far passare tutte le
molecole dal nucleo al citoplasma e viceversa. Per esempio, passa l’RNA messaggero, entrano le proteine
che vanno nel nucleolo per formare le subunità ribosomiali. Ci possono essere processi di esocitosi ed
endocitosi mediate da recettori.
La membrana esterna del nucleo presenta i ribosomi ed è in continuità con le cisterne del reticolo
endoplasmatico rugoso, perché deve subito garantire mRNA per la sintesi proteica.
Si tratta di un poro nucleare. La
membrana e l’eterocromatina si
interrompono in questi punti.
Quello tra le due frecce è un
mitocondrio.
La faccia citoplasmatica della membrana è associata ai ribosomi ed è circondata da una trama di filamenti
intermedi di vimentina. Quindi la struttura citoscheletrica detta nucleoscheletro è in contatto con il
citoscheletro cellulare per il trasporto delle varie sostanze. Lo spessore della membrana esterna è di 6 nm è a
contatto con il citoplasma e in continuità con il RER.
I pori sono costituiti da un complesso proteico detto complesso del poro, che riveste il poro nucleare.
È fatto da tre anelli: anello citoplasmatico, anello nucleoplasmatico e un anello centrale che collega gli altri
due.
Durante la profase mitotica abbiamo una disorganizzazione sia della struttura della membrana nucleare sia
del nucleo che si scompone per formare altre parti che andranno poi a formare i nuovi nucleoli. Durante la
mitosi il complesso del poro si modifica, vengono fosforilate le lamine che rimangono così fino alla fine
della divisione, per permettere alla cromatina che si spiralizza in cromosomi di muoversi liberamente per
dividersi.
Il nucleo cambia la sua morfologia e le sue attività in base allo stato della cellula.
A seconda della sua attività trascrizionale e del suo grado di condensazione (spiralizzazione) possiamo
distinguere:
Solo il 10% del DNA totale è trascritto in circa 50.000 proteine (eucromatina) in un mammifero, sebbene ci
sia una trascrizione selettiva in base al tipo cellulare. In ogni cellula differenziata circa 1-5% del genoma è
trascritto.
Le proteine sono istoniche e non-istoniche. Quelle istoniche hanno un ruolo strutturale e intervengono nei
processi di spiralizzazione della cromatina. Le proteine non-istoniche hanno un ruolo funzionale. Le proteine
istoniche si dividono in 5 classi:
H1;
H2B;
H2A;
H3;
H4.
Le ultime quattro vanno a costituire una subunità cilindrica unendosi tra loro. Due strutture di questo tipo si
uniscono formando un cilindretto a 8 subunità, ottamero. Questo cilindretto si chiama nucleosoma sul quale
si avvolge il filamento di DNA che si spiralizza per un giro e tre quarti e cioè un tratto di 140 coppie di
nucleotidi e poi rimane libero e così via. Gli istoni H1 intervengono nella spiralizzazione o despiralizzazione,
legandosi alla parte libera della cromatina (tratti linked) insieme alle proteine non istoniche (enzimi per la
sintesi del DNA e dell’RNA e proteine regolative dell’espressione genica). Quando avviene il processo di
spiralizzazione l’istone H1 unisce le varie parti linked, portando ad una forte spiralizzazione. Questo
processo continua fino al massimo grado di condensazione e cioè i cromosomi.
Cromatina al microscopio elettronico.
I geni rappresentano sequenze di DNA che contengono le informazioni necessarie per la produzione di una
proteina o di RNA. L’insieme dei geni di un organismo costituisce il GENOMA.
α β
I cromosomi possono essere costituiti o da un solo cromatidio o da due cromatidi. Prima della divisione la
cellula ha un corredo cromosomico diploide: il cromatidio coincide con il cromosoma (cromosoma
monocromatidico). Quando la cellula si divide il DNA si deve duplicare e ogni singolo cromatidio si duplica
e viene fuori la tipica forma ad X del cromosoma, unito dal centromero (cromosoma dicromatidico).
Quando il DNA si duplica i cromatidi di uno stesso cromosoma si chiamano cromatidi fratelli. Gli omologhi
non entrano mai in contatto, se non durante il crossing over della meiosi.
Per uno stesso gene nella cellula aploide l’allele può essere solo dominante, mentre nella cellula diploide i
due alleli possono essere uno dominante e l’altro recessivo o entrambi dominanti o recessivi.
Il DNA mediamente ripetitivo trascrive per rRNA, tRNA e proteine regolatrici che regolano la trascrizione
(geni intensificatori, geni silenziatori). Ridondanza genica perché i geni sono presenti in centinaia di copie.
I geni regolatori per le proteine funzionali invece sono presenti sul DNA a sequenza unica in singola copia.
Il DNA altamente ripetitivo contiene migliaia di copie di una stessa sequenza nucleotidica, è una frazione di
incerto significato funzionale ed entra nella struttura della eterocromatina costitutiva. L’eterocromatina
costitutiva è quella periferica. Si trova anche alla periferia del nucleolo (organulo non delimitato da
membrana), quasi a delimitarlo.
L’eterocromatina costituisce anche il DNA satellite che si trova o all’estremità
del cromosoma detta telomero o nel centromero dove riconosce una struttura
proteica detta cinetocore, utile per unire il cromosoma al fuso mitotico.
I geni sono una sequenza nucleotidica. Quando deve iniziare la trascrizione sulla sequenza c’è sempre il
tratto promotore, sito di inizio, che costituisce il sito di legame per vari enzimi utili alla trascrizione. Alla
fine, invece ci sono le sequenze nucleotidiche corrispondenti ai fattori di rilascio durante la sintesi proteica.
NUCLEOLO
È visibile solo nel nucleo interfasico e scompare durante la divisione cellulare
insieme alla membrana nucleare. Il nucleolo è particolarmente sviluppato nelle
cellule che svolgono una intensa attività metabolica. In genere, nei nuclei sono
presenti 1 o 2 nucleoli (mononucleolate o binucleolate).
CROMOSOMI
Si rendono visibili come entità individuali solo durante una determinata fase della divisione cellulare e cioè
la metafase. Durante l’interfase i cromosomi sono sottoforma di cromatina, in parte despiralizzata
(eucromatina) e in parte spiralizzata (eterocromatina).
Durante la divisione cellulare la cromatina si presenta spiralizzata al massimo grado, a formare i cromosomi,
e contiene DNA geneticamente inerte, perché in quel momento non vi è la sintesi proteica.
Prima della fase S abbiamo un cromosoma monocromatidico, dopo la fase S abbiamo cromosoma
dicromatidico.
Il cromosoma presenta una zona più ristretta detta centromero o costrizione primaria che divide il
cromosoma in due bracci uguali o disuguali, che si ripiegano. Può essere anche più o meno spostata verso
l’estremità telomerica. Quindi i cromosomi si possono classificare in telocentrici, submetacentrici,
metacentrici.
Alcuni cromosomi possono presentare una costrizione secondaria a livello della parte telomerica terminale
ed è fondamentale perché quando la cellula va in divisione il nucleolo scompare (la pars granularis va nel
citoplasma, la parte fibrillare si condensa e forma una struttura che si aggancia alla costrizione secondaria) e
ad essa si aggancia la parte fibrillare che crea la struttura detta organizzatore
nucleolare da cui parte la formazione dei nucleoli per le cellule figlie.
Nel cariotipo umano il corredo cromosomico diploide (2n) è pari a 46. Negli organismi in cui il sesso è
determinato geneticamente (es. mammiferi), le cellule dei due sessi presentano cariotipi che differiscono per
la morfologia di una coppia di cromosomi: i cromosomi sessuali. I cromosomi non sessuali sono detti
autosomi.
Nei mammiferi, le femmine hanno cellule somatiche con cariotipi che presentano due cromosomi sessuali
uguali, detti x x (omogametico). Nelle cellule somatiche dei maschi è presente un cromosoma x e un piccolo
cromosoma y (digametico). Negli uccelli, nei serpenti e in diversi invertebrati, le femmine hanno sesso
digametico (zw), e omogametico i maschi (zz).
CICLO CELLULARE: GENERALITÀ
Ciascuna cellula ha una vita di durata definita.
Il numero di cellule di un organismo è stabilito dal bilancio fra proliferazione e morte cellulare.
Una cellula proliferante dà origine a due cellule figlie identiche a se stessa.
Una cellula proliferante duplica la propria informazione genetica contenuta nel DNA prima di dividersi.
INTERFASE E MITOSI
Nella vita della maggior parte delle cellule si succedono due fasi principali: interfase (la cellula passa
molta della sua vita in questa fase) e mitosi;
La successione di queste due fasi costituisce il ciclo cellulare;
L’interfase che è molto lunga o intercinesi, comprende tre momenti: G1 intervallo che precede la
sintesi del DNA, durante la quale avvengono i normali processi metabolici e la sintesi proteica; S
fase di sintesi di DNA; G2 intervallo postsintetico preparatorio alla mitosi; punti di controllo che
sono momenti in cui il ciclo viene controllato e mandato avanti o inibito.
Questo ciclo è lungo e complesso e deve essere costantemente controllato.
FASE G1
Segue la mitosi ed è la fase durante la quale la cellula svolge le sue normali attività come: Punto di restrizione
Trascrizione;
Sintesi proteica;
Incremento di volume, quindi crescita in quanto è appena nata;
Cromatina despiralizzata (filamenti di cromatina singoli);
Una sola copia di ogni filamento cromatinico;
Quantità di DNA: 2c perché abbiamo cromosomi omologhi
monocromatidici;
Sintesi di cicline e formazioni di complessi ciclina-fosfochinasi
(enzima che trasferisce fosfati dall’ATP ad altre molecole)
ciclina dipendente (Cdk); sono le proteine fondamentali per il
checkpoint pre-divisione. La concentrazione di queste molecole
aumenta man mano che andiamo verso la fase di divisione.
Quando si arriva alla giusta quantità fanno partire la sintesi
della ciclina successiva. Quindi vi è un effetto a cascata tra i
vari complessi che devono essere sintetizzati.
FASE S
Avviene la sintesi di DNA;
La sintesi di istoni: proteine attorno a cui il DNA si avvolge;
Cromatina despiralizzata;
Due copie di ogni filamento cromatinico;
Quantità di DNA 4c perché la coppia di omologhi è diventata
dicromatidica in quanto si sono duplicati;
Garanzia di trasmissione della stessa quantità di informazione alle cellule figlie.
INTERFASE S: SINTESI DEL DNA
FASE G2
MITOSI
Divisione cellulare indiretta, che avviene attraverso una serie di fasi;
Produce due cellule figlie geneticamente identiche alla cellula madre;
Avviene in cinque fasi:
Profase: formazione dei cromosomi, scomparsa dell’involucro nucleare;
Metafase: cromosomi disposti all’equatore della cellula;
Anafase: separazione dei cromatidi fratelli e avviene la migrazione ai poli;
Telofase: despiralizzazione dei cromosomi e ricostituzione dei nuclei;
Citodieresi: divisione del citoplasma.
Profase
Graduale spiralizzazione della cromatina in cromosomi;
Graduale scomparsa dell’involucro nucleare (riassorbito dal RER);
Scomparsa del nucleolo (pars fibrillaris= NOR; pars granularis =
ribosomi);
Formazione del fuso mitotico:
o Centrioli (due coppie) = centrosomi;
o Microtubuli:
Aster
Fibre cromosomiche
Fibre mantellari (interpolari)
o Proteine motrici (chinesine, dineine) e MAPs: assemblano il
fuso, stabilizzano i microtubuli, orientano i cromosomi.
Metafase
Cromosomi evidentemente dicromatidici;
Disposti all’equatore del fuso mitotico (piastra
metafasica);
Flusso di tubuline da + a – (Inibendo il fuso con
colchicina, si può studiare il numero e la struttura dei
cromosomi).
Anafase
Attivazione della separasi che degradano i centromeri;
Le fibre del fuso tirano i cromatidi fratelli verso poli
opposti;
Depolimerizzazione accelerata dell’estremità + delle
fibre cromosomiche;
Trazione delle fibre astrali;
Allungamento delle fibre mantellari;
I cromatidi fratelli si separano.
Telofase
Scomparsa del fuso mitotico;
Despiralizzazione della cromatina;
Ricostituzione di involucro nucleare e nucleolo;
Ripartizione degli organuli tra i due poli;
Comparsa dell’anello contrattile acto-miosinico e inizio dello strozzamento
equatoriale.
Citodieresi
Nelle cellule animali è provocata dall’anello contrattile
equatoriale;
L’anello strozza il citoplasma e provoca la separazione delle
cellule;
L’anello è assente nelle cellule vegetali, dove invece si forma
il fragmoplasto;
Le due cellule figlie hanno lo stesso corredo cromosomico
(2n) e la stessa quantità di DNA (2c) della cellula madre.
FREQUENZA DELLA MITOSI
Cellule ciclanti: terminato un ciclo con la mitosi ne iniziano subito un
altro;
Cellule non ciclanti: dopo la mitosi, entrano in una fase G0 e svolgono le
normali attività senza dividersi più (cardiociti);
Classificazione di Bizzozero:
o Cellule labili: ciclanti (epidermide, sangue);
o Cellule stabili: mitosi solo se necessarie (derma, epatociti);
o Cellule perenni: mai mitosi (neuroni).
Molti organismi pluricellulari possono formare nuovi individui a partire da cellule del proprio corpo che si
riproducono per mitosi. Questa riproduzione è detta asessuata (o agamica o clonale) e non comporta la
comparsa di cellule specializzate per la riproduzione (gameti).
MEIOSI
La meiosi è molto diffusa nel mondo animale in quanto nello stesso avviene la riproduzione sessuata.
Comporta la formazione di cellule specializzate aploidi n, dette cellule germinali o gameti che si formano
attraverso una divisione cellulare particolare, la meiosi appunto, che dimezza il corredo cromosomico (di
ogni cromosoma vi è solo un cromatidio e lo stesso è ad unica copia (no coppie omologhe)).
Vi sono due tipi di gameti:
Lo spermatozoo (o spermio) è più piccolo e mobile;
L’uovo (o ovulo) è più grande e immobile.
La fusione dei due gameti (fecondazione) comporta la formazione dello zigote
diploide 2n, che si divide per mitosi formando tutte le cellule del corpo
(somatiche 2n).
numero cromosomico: da 2n a n.
Telofase I
quantità di DNA: da 4c a 2c.
IIa divisione meiotica o equazionale:
Profase II
Metafase II
Telofase II
Profase I
La Profase I della Ia divisione meiotica è un processo molto lungo, spesso infatti quando si osserva una
cellula progenitrice dei gameti è molto probabile osservarla durante la profase I.
Intervento proteico:
SYCP3 e SYCP2 formano gli elementi laterali (LE) legati a ciascun cromatide non fratello.
SYCP1 forma l’elemento centrale (CE) costituito da dimeri che si collegano a ponte.
La RAD51 e le MSH determinano la formazione della giunzione di Holliday che permettono il crossing over.
Nell’anafase I i cromosomi omologhi dicromatidici si dividono allontanandosi verso i poli della cellula.
Nella mitosi invece durante l’anafase i due cromatidi fratelli che formano il singolo cromosoma si dividono.
Nell’anafase II vi è la divisione dei cromatidi fratelli, che formavano il cromosoma omologo dicromatidico.
Durante la telofase II da ciascuna delle due cellule diploidi si generano due cellule figlie aploidi. Il numero
di cromosomi rimane lo stesso ma si riduce la quantità di DNA. Quindi otteniamo 4 cellule aploidi n e c.
Queste cellule aploidi sono i gameti.
Nella mitosi ogni cromosoma da solo si mette all’equatore mentre nella meiosi i cromosomi omologhi
dicromatidici si accoppiano e si dispongono lungo la linea equatoriale.
APOPTOSI: MORTE PROGRAMMATA DELLA CELLULA
FASE 1: forma sferica e demolizione del citoscheletro;
FASE 2: nucleo eterocromatico;
FASE 3: rottura dell’involucro nucleare e del DNA;
FASE 4: la cellula si disgrega in vescicole.
Può essere provocata dalle caspasi, enzimi che dirigono la distruzione cellulare. Le caspasi sono
normalmente inibite dall’IAP (proteina inibitrice dell’apoptosi)
Esistono due tipi di apoptosi: fattori estrinsechi esterni alla cellula (vedi infezione: il pus è il risultato
dell’azione dei globuli bianchi); esistono anche fattori intrinsechi: la fuoriuscita del citocromo c dalla
membrana interna del mitocondrio che attiva le caspasi. Vi possono essere induttori estrinsechi o intrinsechi
possono inattivare l’IAP, quindi venendo meno l’inibizione le caspasi si attivano.
L’apoptosi è diversa dalla necrosi, morte traumatica accidentale e immediata che scatena a livello cellulare
una reazione per cui la membrana plasmatica perde la sua permeabilità che serve a filtrare le entrate e si
riempie d’acqua portando allo scoppio della cellula. Nell’apoptosi invece si ha la frammentazione della
cellula.
Per gonade si intende l’organo che produce i gameti. Il testicolo è la gonade maschile che produce
spermatozoi, mentre l’ovario è la gonade femminile che produce uova. L’ovariotestis è la gonade
ermafrodita che produce sia spermi che uova.
SPERMATOGENESI
Il corredo cromosomico è ancora diploide. Gli spermatociti primari vanno in meiosi dando spermatociti
secondari aploidi. Con la seconda meiosi abbiamo gli spermatidi aploidi. Gli 8 spermatidi non sono maturi.
Mediante la spermioistogenesi si formano gli spermatozoi maturi. Nelle divisioni mitotiche e meiotiche
della spermatogenesi capita che non vi è una divisione completa delle cellule, ma condividono materiale
citoplasmatico e questo permette di sincronizzare l’attività.
Lo spermatidio perde il citoplama e man mano che lo perde si forma il flagello. I lisosomi della cellula si
fondono e avvolgono il nucleo formando un cappuccio acrosomiale. I mitocondri si avvolgono attorno al
flagello formando un manicotto e il nucleo diventa eterocromatico.
La coda è suddivisa in: collo, tratto intermedio (corpo), tratto principale e tratto terminale. L’acrosoma
contiene enzimi idrolitici che rompono la membrana della cellula uovo per far entrare il nucleo dello
spermatozoo.
Maturazione spermatozoo
È il percorso dei gameti femminili per maturare fino alla cellula uovo e avviene nelle gonadi ovvero i
follicoli ovarici che si trovano nell’ovario. Tutto è regolato da un controllo ormonale.
La spermatogenesi continua ciclicamente per tutta la vita dell’organismo, mentre per l’ovogenesi, durante lo
sviluppo del feto si forma un numero finito di ovogoni che sono cellule diploidi che aumentano di numero e
che vanno incontro alla meiosi. Il completamento della meiosi avviene solo dopo la fecondazione. Alla
nascita il processo è bloccato nella fase diplotene della profase meiotica. Gli ovociti primari alla nascita sono
in numero ben definito bloccati nella fase di diplotene, che continuerà con la pubertà fino all’ovocito
secondario che se non fecondato viene espulso con il ciclo mestruale mentre se fecondato conclude la meiosi
e si forma lo zigote. Nelle donne quando si esaurisce il numero di follicoli si va in menopausa.
Il follicolo è fatto sia dalla cellula uovo che da altre cellule secondarie. Ogni mese si va incontro alla
follicolo genesi.
FASI
1. Fase mitotica a carico degli ovogoni si ottengono due cellule figlie identiche alla madre. È una fase
di aumento nel numero di ovogoni. Questo avviene ancora in fase embrionale.
2. Fase meiotica
Fino alla nascita gli ovogoni aumentano di dimensioni e formano gli ovociti, che sono bloccati nella
fase diplotene della prima divisione meiotica, quindi abbiamo ovociti primari diploidi 2n.
Alla pubertà questi ovociti primari completano la prima divisione meiotica che dovrebbe portare a
due cellule figlie con corredo cromosomico dimezzato. In realtà si formano un ovocita secondario
aploide e un polocita primario aploide inattivo che degenera. La sua funzione è fondamentalmente
importante per la ripartizione del DNA e quindi consente il corretto dimezzamento del corredo
cromosomico. Questo ovocita secondario (in parallelo anche il polocita primario) va incontro alla
seconda fase meiotica equazionale, che altro non è che una mitosi in cui non avviene duplicazione di
DNA perché già duplicato, che ripartisce i cromatidi nelle due cellule figlie. L’ovocita secondario si
dividerà e i cromosomi dicromatidici si divideranno: otterremo un uovo e tre polociti secondari. (la
spermatogenesi forma 4 spermatozoi).
Polocita secondario