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RIASSUNTI DI

MICROBIOLOGIA

Autore: Davide Girolami


Cellula batterica
I batteri sono cellule procarioti di piccole dimensioni. I batteri possono distinguersi in base alla forma delle loro
cellule in:
• Cocchi, di forma sferica;
• Bacilli, di forma cilindrica;
• Vibrioni o spirilli, di forma cilindrica con una o più curvatura.
Se le cellule che si generano da vari generazioni formano raggruppamenti avremo:
• tra i cocchi:
 diplococchi, se uniti a coppie;
 stafilococco, ammassi irregolari;
 streptococco, quando formano catenelle più o meno lunghe.
• Tra i bacilli:
 diplobacillo;
 streptobacillo

COLORAZIONE DI GRAM
Le colorazioni usate in batteriologia si distinguono in:
• Colorazioni semplici, si eseguono mettendo un unico colorante a contatto con il preparato contenente i
batteri da colorare e che hanno lo scopo di facilitare le rilevazioni morfologiche;
• Colorazioni differenziali, presuppongono l'uso di coloranti differenti in tempi successivi e consentono di
evidenziare differenze di colorazione tra specie batteriche diverse.
Il più importante metodo di colorazione differenziale è la colorazione di Gram.
Si esegue:
1. trattando il preparato con soluzione di cristalvioletto per 2-3min;
2. si rimuove il colorante in eccesso e si mordenza la colorazione (cioè la si rende più stabile), mediante
formazione di legami insolubili.
3. Si tratta il preparato con soluzione di iodio e ioduro di potassio in acqua (liquido di Lugel);
4. il preparato viene decolorato con alcool etilico per 1-2min;
5. ricolorato per 1-2min con un secondo colorante (fluxina o safranina), differenziabile dal primo.
Al termine della colorazione, alcuni batteri appaiono violetti; il secondo colorante non ha agito e sono detti
Gram+, altri appaiono rossi e sono detti Gram-. La diversa colorazione è riconducibile ad una diversa
permeabilità.

CELLULA BATTERICA
Essa è costituita da una struttura cromosomica estremamente semplice, immersa direttamente nel citoplasma. Il
citoplasma è limitato verso l'esterno da una membrana citoplasmatica dalla quale si dipartono verso l'interno una
serie di complicate invaginazioni che formano il sistema dei mesosomi.
Il tutto è racchiuso in un contenitore rigido formato dalla parete cellulare sulla cui superficie si trova uno strato di
materiale quasi sempre di natura polisaccaridica denominata capsula.
In alcune specie batteriche, la cellula è provvista di sottili appendici libere costituite dai flagelli che sono lo
strumento della locomozione, e dai pili di cui alcuni tipi sono coinvolti nel processo di coniugazione.
Cromosoma batterico
è un'unica molecola super avvolta organizzata a formare
una struttura chiamata nucleoide. Questo è un singolo
cromosoma a doppio filamento circolare chiuso. Non è
legato ad istoni, ma complessato con proteine acidiche
da cui è facilmente dissociabile. Ha una replicazione
semi conservativa e bidirezionale.
I geni sono vicini tra loro e quelli correlati
funzionalmente sono raggruppati in operoni.

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Citoplasma
Contiene inclusioni di diversa composizione che hanno il significato di accumuli di materiale nutritivi di riserva.
Nel citoplasma batterico sono presenti ribosomi formati da RNA e proteine e sono costituite da subunità
asimmetriche. Inoltre contiene: vitamine, vari ioni inorganici, mRNA e acqua.
Membrana citoplasmatica
La membrana citoplasmatica è simile a quella eucariotica, formata per il 40% di lipidi e per il 60% da proteine e
piccole quantità di carboidrati. In essa sono assenti steroidi e le proteine glicosilata.
È altamente selettiva e mantiene costante il pH e la concentrazione di specifici metaboliti impedendo o
permettendo l'entrata e l'uscita di alcune molecole.
La diffusione facilitata è possibile solo per l'acqua e altre piccole molecole liposolubili come il glicerolo. Per tutte
le altre sostanze sono presenti specifici sistemi di trasporto attivo.
La membrana è sede di processi biosintetici, degli enzimi e dei vettori della catena respiratoria, deputati alla
forsforilazione ossidativa.
Mesosomi
Invaginazioni irregolari della membrana citoplasmatica che si introflettono nel citoplasma:
• mesosomi settali: prendono parte alla formazione della parete trasversale nella divisione cellulare;
• mesosomi laterali, più estesi, in essi è attivo il trasporto di elettroni.
Respirazione
è il processo mediante il quale un substrato organico (donatore di elettroni) viene completamente ossidato a CO 2 e
H 2 O con una massima produzione di ATP. Se l'accettore finale di elettroni o protoni è l'ossigeno si avrà la
respirazione aerobia. Se l'accettore finale è un composto inorganico, si avrà la respirazione anaerobia.
• Aerobi obbligati, esigono ossigeno alla pressione atmosferica;
• Anaerobi obbligati, si moltiplicano solo in completa assenza di ossigeno;
• Microaerofili, necessitano di una tensione di ossigeno inferiore a quella atmosferica (5-7%);
• Aerobi e Anaerobi Facoltativi, si moltiplicano sia in presenza che in assenza di ossigeno.
Parete cellulare
è un contenitore rigido posto all'esterno della cellula:
• contiene la pressione osmotica impedendo la rottura osmotica;
• conferisce forma e rigidità alla cellula;
• fornisce siti di attacco ai batteriofagi e agli acidi teicoici esterni;
• fornisce una piattaforma rigida alle appendici.
La porzione periferica di un batterio Gram+ mostra la membrana citoplasmatica circondata da un grosso strato
denso (20-80 nm).
Nei Gram- gli involucri esterni sono tre; dall'interno all'esterno abbiamo:
1. membrana citoplasmatica interna;
2. strato di materiale elettrondenso;
3. membrana citoplasmatica esterna
In entrambi i tipi, la superficie esterna è rivestita da uno strato di materiale mucoso di spessore variabile, la
capsula.
Il componente fondamentale della parete cellulare è rappresentata da un enorme polimero detto peptidoglicano,
formato dalla ripetizione di un'unità strutturale.
L'unità strutturale del peptidoglicano è formato da due carboidrati azotati, la N-acetilglucosamina e l'acido
muramico, legati tra loro da un legame β 1,6.
Al gruppo carbossilico dell'acido muramico è attaccato un tetrapeptide formato da L-alanina, D-glutammato, L-
lisina e D-Alanina.
Nel polimero peptidoglicanico, le unità successive sono legate da legami β 1,4, portando alla formazione di
polimeri lineari.
I diversi polimeri lineari sono poi legati trasversalmente tra di loro a livello del tetrapeptide, tra la D-alanina
terminale e l'acido meso-diaminopimelico (in sostituzione della L-lisina nei G-), in posizione 3'. Nei batteri G+
spesso si trova un peptide omomerico di 5 residui di glicina.
L'insieme dei polimeri lineari legati trasversalemente tra loro forma una rigida struttura che avvolge interamente
la cellula batterica.

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Involucri dei batteri G+
Nei G+, la membrana citoplasmatica è costituita da uno spesso strato da peptidoglicano con intersecati polimeri,
gli acidi teicocici. Gli acidi teicoici sono polimeri di alcoli polivalenti esterificati con acido fosforico, cui possono
legarsi numerosi monosaccaridi. Questi polimeri sono altamente antigenici e presentano notevole diversità di
composizione.
Nello streptococcus pyogenes, gli acidi lipoteicoici sono associati alla proteina M che forma microfibrille che
permettono l'adesione a superfici mucose. La spessa parete dei batteri G+ è altamente polare quindi impermeabile
a molecole idrofile (sali biliari) che potrebbero danneggiare la membrana citoplasmatica; al contrario è permeabile
a molecole idrofobiche come zuccheri e aa.
La parete cellulare dei G+ è in grado di legare grandi quantità di cationi e ciò li rende in grado di sopravvivere ad
ambienti con elevate concentrazioni saline. Questa caratteristica permette di creare colture selettive per G+
mediante l'aggiunta di sali biliari e NaCl. La struttura rigida della parete cellulare permette la sopravvivenza anche
in ambienti ipotonici.
Involucri dei batteri G-
Possiedono una parete cellulare costituita da solo peptidoglicano e una ulteriore membrana citoplasmatica esterna.
Questa membrana ha una struttura bilaminare asimmetrica. Mentre lo strato interno è formato da fosfolipidi,
quello esterno è formato da lipopolisaccaride batterico (LPS).
La molecola di LPS è formata da tre porzioni:
1. la porzione lipidica, il lipide A, rappresenta l'endotossina, ed è formata da un disaccaride esterificato con
ac. Grassi da 12 a 16C;
2. porzione polisaccarida costiuita da due parti:
I. corta catena di zuccheri che forma il “core” che si mantiene costante in tutti i batteri G- formato da
acido chetodeossioctonoico (KDO) e da un eptoso
II. lunga catena polisaccaridica (fino a 40 zuccheri) con spiccate proprietà antigeniche, formate dalla
ripetizione di subunità tri-, tetra- o pentasaccaridiche.
L'insieme delle catene polisaccaridiche forma una struttura lassa ma in grado di evitare l'ingresso di sostanza
idrofobe dannose. Gli scambi avvengono per diffusione passiva attraverso molecole proteiche, le porine.
Il doppio sistema di membrane porta alla delimitazione dello spazio periplasmico. Questo compartimento è il 20-
40% del volume cellulare e contiene, un gel di proteine in grado di legare molecole idrofile rendendole inefficienti
nell'influenzare il gradiente, enzimi detossificanti in grado di inattivare alcuni farmaci antibatterici.

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Strato superficiale cristallino
Un grande numero di specie batteriche presenta un'ulteriore struttura protettiva esterna, lo strato S formato da
subunità proteiche disposte con una precisa simmetria cristallina.
Capsule antibiotici impedendone l'arrivo sulle molecole
Numerosi batteri presentano un'ulteriore involucro bersaglio.
mucoso amorfo detto capsula. La capsula è il risultato La capsula si evidenzia per contrasto con colorazioni
della secrezione di materiali ad alta viscosità negative con inchiostro di china.
rappresentati da polisaccaridi e che conferiscono alla
cellula particolari proprietà di adesività. Di particolare
rilievo è la proprietà antifagocitaria posseduta dal
materiale capsulare. Quando il materiale capsulare è
particolarmente abbondante, le molecole anioniche di
polisaccaridi possono assorbire notevoli quantità di
Flagelli e movimenti dei batteri
Alla superficie della catena batterica esistono una serie di appendici rappresentate dai flagelli e dai pili (o fimbrie).
Si tratta di strutture proteiche filamentose formate da numerosi identici monomeri.
I flagelli hanno una struttura semplice formata da un unico filamento sprovvisto di membrana. La presenza di
flagelli è una caratteristica esclusiva dei batteri di forma cilindrica, i quali, a seconda della posizione dei flagelli,
sono distinti in:
• batteri con flagelli polari, presenti ad uno o entrambi i poli;
• batteri peritrichi, se hanno flagelli su tutta la superficie cellulare.
I flagelli batterici sono strutture elicoidali che mediano il movimento cellulare attraverso la loro rotazione a livello
della porzione basale, in quanto sono rigide.
Un singolo flagello è composto da tre parti con diversa complessità. La parte prominente è costituita da un lungo
filamento elicoidale che protrude dalla cellula per 5-10μm e che, attraverso un gancio tubulare, di spessore
leggermente maggiore è connesso alla complesso corpo basale, che ancora il flagello agli involucri cellulari e
rappresenta il motore del movimento rotatorio del filamento.
Il filamento è formato dalla ripetizione di una serie di subunità proteiche di flagellina. Le flagelline sono dotate di
proprietà antigeniche e rappresentano l'antigene H dei batteri mobili.
Il corpo basale è formato da varie subunità di almeno 15 proteine diverse che si aggregano a formare la parte
longitudinale prossimale detta bastoncello ed una serie di quattro anelli, nei batteri G-:
• a livello della membrana esterna (anello L);
• a livello della parete cellulare (anello P);
• al di sopra della membrana citoplasmatica (anello S);
• in corrispondenza della membrana citoplasmatica (anello M).
Nei batteri G+ il corpo basale presenta solo gli anelli P ed M.

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Gli anelli ancorano il flagello alle strutture di superficie e funzionano da motore. L'energia è generata dal
potenziale di membrana durante il trasporto degli elettroni nel processo di fosforilazione ossidativa.
Il movimento rotatorio può avvenire in senso orario o antiorario ed è monodirezionale; di norma è interrotto da
episodi di fumbing e la rotazione dei flagelli è condizionata da chemiocettori che rispondono a stimoli attraenti o
repellenti.

Fimbrie
E.Coli possiede da 100 a 300 fimbrie che si estendono per 0,2-2 μm all'esterno e sono formate dalla ripetizione di
subunità organizzate con simmetria elicoidale intorno ad un asse immaginario a formare strutture cilicndriche.
Le fimbrie sono organi di ancoraggio in grado d'interagire con residui di carboidrati delle glicoproteine di
membrana di varie cellule e in grado di mediare la colonizzazione e l'infezione.
Abbiamo:
• fimbrie di tipo 1, in cui la capacità adesiva è inibita dall'esposizione a mannoso;
• fimbrie di tipo 2, inibite da N-acetilgalattosamina;
• fimbrie di tipo P, inibito da un dimero di galattoso;
• pili F (o pili sessuali), molto più lunghi delle fimbrie adesive, sono sono coinvolti nel processo di
coniugazione.
Antigeni batterici
Gli antigeni batterici fondamentali sono quelli superficiali. Importanti a questo riguardo sono i materiali che
formano la capsula. Alcuni batteri possiedono antigeni superficiali identici a materiali self e che rendono tali
batteri non immunogenici.
I batteri mobili possiedono una componente antigenica peculiare rappresentata dagli antigeni flagellari (Ag H),
che contribuiscono alla specificità antigenica di una data specie batterica. Nei batteri esotossici, anche
l'identificazione antigenica delle esotossine può essere strumento d'identificazione.

INVOLUCRI DEI MICOBATTERI


La cellula micobatterica presenta all'esterno uno strato di peptidoglicano. Il peptidoglicano è a sua volta ricoperto
verso la superficie cellulare esterna da una struttura complessa ricca di carboidrati e lipidi, essenzialmente formata
da arabino-galattani, che legano al peptidoglicano particolari grassi detti acidi micolici. A cui sono legate
molecole di glicolipidi fenolici.
Le strutture periferiche dei micobatteri rendono la cellula impervia ad una vasta serie di sostanze dannose.
1. Lipidi esterni;
2. acidi micolici;
3. polisaccaridi
(arabinogalattani);
4. peptidoglicani;
5. membrana
plasmatica;
6. Lipoarabinoman-
nano (LAM);
7. mannosio
fosfatidilinositolo
Riproduzione batterica e produzione di spore
Le spore batteriche sono delle endospore che originano dalla cellula madre e vengono liberate per disgregazione
dello sporangio. Le spore sono forme di resistenza che permettono la sopravvivenza in ambienti sfavorevoli.

RIPRODUZIONE BATTERICA
La duplicazione del cromosoma batterico si accompagna alla duplicazione del punto di attacco alla membrana, per
cui i due nuovi cromosomi sono ancorati alla membrana citoplasmatica separatamente; successivamente si ha
l'accrescimento delle membrane cui essi sono ancorati.
Continuando l'accrescimento, nella porzione centrale, le due strutture si allontanano sempre di più l'una dall'altra
per l'allontanamento reciproco delle zone della membrana cui essi sono ancorati.
La separazione di una cellula batterica nelle due cellule figlie, avviene mediante scissione semplice. La
separazione è causata dalla formazione di un setto che si diparte dalla membrana citoplasmatica e si approfonda
con direzione centripeta nel citoplasma.
Un'eccezione è rappresentata dalla fase L presente in alcuni batteri, durante la quale, i batteri sono privi di parete
cellulare rigida.
Molte spore batteriche sono capaci di dar luogo alla fase L in presenza di condizioni sfavorevoli alla produzione
di peptidoglicano.

PRODUZIONE DI SPORE
All'interno della spora vi è il citoplasma, circondato dalla membrana plasmatica alla quale, internamente, è
addossato il materiale nucleare. La membrana plasmatica è rivestita da una parete cellulare rudimentale (formata
da peptidoglicano). Intorno a questa porzione centrale (CORE) si trova una seri di membrane che, dall'interno
all'esterno sono:
• CORTEX, formata da peptidoglicani che contiene residui citoplasmatici della cellula madre;
• COATS, due rivestimenti distinti in interno ed esterno, composti da proteine molto stabili, ricche di ponti
disolfuro;
• ESOSPORIO, strato più esterno composto da fosfolipidi con acidi teicoici e carboidrati.

Caratteri funzionali
Nella spora, l'attività enzimatica è scarsa e estremamente ridotto il consumo dell'ossigeno (assente nei Bacillus).
La spora è estremamente resistente alla penetrazione di sostanze estranee grazie a spessi involucri di cui è
circondata; inoltre è meno ricca di acqua rispetto alla forma vegetativa ed è molto più resistente all'essiccamento,
alle radiazioni ed al calore. L'elevata resistenza al calore è dovuta all'elevata concentrazione di calcio dipicolinato
contenuto nel core. La spora contiene antigeni identici a quelli della forma vegetativa oltre ad antigeni esclusivi.

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Morfogenesi della spora
Il primo evento apprezzabile della sporificazione è l'addensamento del materiale nucleare, che si dispone a sbarra
e che si duplica. Dei due nuclei, uno migra ad un polo e viene racchiuso da una membrana, attorno alla quale si
depositano le altre membrane. La spora, completa degli involucri è ricoperta dall'esosporio e liberata per
disgregazione della cellula madre. La sporificazione dura da 6 a 10 ore.
Germinazione
è il processo che dalla spora porta alla cellula vegetativa e si verifica quando le condizioni ambientali tornano
favorevoli.
Avviene in tre fasi:
1. ATTIVAZIONE, avviene con la rottura dell'esosporio e la permeabilizzazione degli involucri con
ingresso di acqua e nutrienti;
2. INIZIAZIONE, ripresa delle sintesi macromolecolari e la crescita della cellula visibile inizialmente con
la comparsa di materiale nucleare e produzione di una parete cellulare;
3. ESOCRESCITA, aumento di volume della cellula e fuoriuscita dagli involucri sporali.
La germinazione si accompagna a eliminazione del calcio dipicolinato, alla ricomparsa della termosensibilità.
La cellula neoformata può, in particolari condizioni, riprendere il processo di sporificazione oppure avviarsi verso
la fase logaritmica di riproduzione.

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Sintesi del peptidoglicano
Il processo di sintesi del peptidoglicano comincia con la sintesi dei precursori a livello citoplasmatico, prosegue
con il loro completamento durante il trasporto attraverso la membrana e si conclude con il loro inserimento finale
nella parete cellulare. Le fasi terminali sono catalizzate da una serie di enzimi che legano alcuni antibiotici
βlattamici (penicillina).

• Nel citoplasma, una molecola di N-acetilglucosamina-fosfato (NAG-P) lega una molecola di UTP,con
formazione di UDP-NAG. A questo si lega une molecola di fosfoenolpiruvato, con formazione di UDP-
NAG-Piruvato.
• Il piruvato viene poi ridotto a lattato, con formazione di acido N-acetilmuramico (NAM) che, legato
all'UDP, funziona da accettore di aminoacidi. Nell'ordine: L-Alanina, D-glutammato, L-Lisina (o Acido
Mesodiaminopimelico) e D-Alanina.
• Il NAM-pentapeptide, liberato dall'UDP, si lega ad un vettore lipidico, l'undecaprenil-fosfato. Il legame al
NAM-pentapeptide di una molecola di N-acetilglucosamina, porta alla formazione di un'unità completa
di peptidoglicano.
• Una serie di unità basali sono polimerizzate legate trasversalmente grazie all'intervento di Proteine
Leganti Peptidoglicano (PBP) 1A e 1B. Queste proteine, oltre a formare legami β-1,4
(tranglicosilazione), stabilizzano i legami tra polimeri lineari di peptidoglicano adiacenti
(transpeptidazione).
• A questo punto, i piccoli polimeri sono liberati dal vettore lipidico (fase inibita dalla vancomicina e
ristocetina) e trasferiti all'esterno della membrana dove, l'energia liberata dal distacco della D-Alanina,
permette il legame ai siti di allungamento.

Tutte le operazioni terminali di polimerizzazione ed inserimento di unità peptidoglicaniche nella parete cellulare
risultano bloccate degli antibiotici βlattamici che si legano agli enzimi, e dagli antibiotici glicopeptidici che
legano i substrati.
Nei batteri G-, la sintesi di peptidoglicano garantisce l'allungamento della parete, mentre, nei G+, assicura un
determinato spessore della parete cellulare.

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Genetica batterica
Il genoma batterico presenta alcune caratteristiche peculiari:
• contiene un unico cromosoma;
• non contiene istoni;
• i geni funzionalmente correlati sono raggruppati;
• quasi tutto il DNA viene usato per la codifica;
• esistono unità genetiche accessorie, i plasmidi.
La condizione di costante aploidia determina l'immediata espressione di qualsiasi mutazione.
Plasmidi
I batteri possiedono un numero variabile da 1 a oltre 100 copie/cellula di elementi genetici accessori detti
plasmidi.
I plasmidi sono elementi genetici extracromosomici, formati da una catena circolare di DNA, con dimensioni
variabili da 1 a 400 kb. Ogni specie batterica ha un corredo plasmidico peculiare e anche nell'ambito della stessa
specie, i plasmidi possono essere distinti in “gruppi di compatibilità”, sulla base della capacità di coesistere nella
stessa cellula. Le funzioni codificate dal plasmide non sono indispensabili per la sopravvivenza della cellula.
Le proprietà codificate dai plasmidi sono numerose e comprendono:
• produzione di tossine, plasmidi di resistenza;
• produzione di pili, plasmidi di virulenza;
• farmaco-resistenza.
Alcuni plasmidi, detti plasmidi coniugativi, possiedono un set di geni che codificano per prodotti in grado di
promuovere un contatto tra cellule diverse ed il successivo trasferimento del plasmide attraverso un “pilo
coniugativo”, consentendo il trasferimento orizzontale del plasmide.
Sequenze di inserzione, trasposoni ed elementi invertibili
Le strutture genetiche del batterio contengono elementi in grado di traslocare, da una zona all'altra del genoma.
Questi elementi sono detti elementi trasponibili e sono rappresentati da:
• Sequenze di inserzione (IS);
• Trasposoni (TN);
• Elementi invertibili
Gli elementi trasponibili sono in grado di traslocare materiale genetico in un'altra zona, previa duplicazione.
L'originale resta nella sede iniziale, mentre la sua copia viene traslocata. L'inserzione di questi elementi ha un
“effetto mutageno” in quanto interrompe la sequenza di un gene, impedendone la funzione.
Le sequenze di inserzione sono i più piccoli elementi trasponibili (800-2000 bp), i cui estremi contengono
sequenze palindromiche. Le IS possono contenere i geni necessari alla traslocazione della copia, la cui unica
conseguenza è un effetto mutageno.

Le IS favoriscono le inserzioni dei plasmidi nei


cromosomi
I trasposoni hanno dimensioni maggiori delle IS (>2000 bp). Ad ogni estremo sono presenti IS (contenenti
transposasi e resolvasi) che codificano i materiali necessari all'inserzione, mentre nel core sono contenuti geni per
vari prodotti, compresi geni di resistenza.
Alcuni trasposoni possono essere trasferiti tra varie cellule in quanto possono inserirsi nei plasmidi. Un plasmide
di multiresistenza è il risultato di vari eventi di trasposizione. Ad esempio, il plasmide NR1, contiene tre
trasposoni:
• Tn21, resistenza a mercurio, aminoglicosidi e sulfamidici;

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• Tn9, resistenza a cloramfenicolo;
• Tn10, resistenza a tetraciclina.
La scoperta degli elementi trasponibili ha permesso la comprensione della variazione di fase nella composizione
dei flagelli. Alcuni batteri presentano flagelli con due diversi make-up antigenici: flagelli di fase 1 (antigene H1) e
flagelli di fase 2 (antigene H2). Per i batteri, questa possibilità di variazioni permette di eludere la risposta
immune dell'ospite durante l'infezione. Questo meccanismo è stato chiarito con la scoperta degli elementi
invertibili, simili a un trasposone, codificano anche per la DNA-Invertasi, capaci d'invertire l'orientamento
dell'elemento che lo possiede, nella sua collocazione originale o dopo la traslocazione.
Integroni
Sono elementi mobili in grado di catturare geni di resistenza come “cassette geniche” e di esprimerli grazie ad un
promotore. Contengono:
• gene Int, codifica per un'integrasi, responsabile dell'integrazione di cassette geniche circolari di
resistenza;
• gene Attl, sito d'integrazione per le cassette geniche;
• cassette geniche, consistono di un gene senza promotore ed un sito di ricombinazione.
Isole genomiche (GI)
Sono sequenze di DNA con un diverso contenuto di C e G, mobili o fisse, sono specializzate nell'adattamento del
batterio all'ambiente. Contengono geni funzionalmente correlate. Tra le isole geniche specializzate, si distinguono:
• Isole ecologiche;
• isole saprofitiche;
• isole di simbiosi;
• isole di patogenicità.
Le isole di patogenicità sono isole genomiche contenenti geni di virulenza; in genere sono cromosomiche, ma
possono anche essere contenute in plasmidi o fagi. Sono trasferibili e sono presenti nei ceppi virulenti di una
specie, mentre sono assenti nei ceppi avirulenti.

Mutazioni
Le mutazioni consistono in modificazioni della sequenza di basi in zone più o meno ampie di DNA e possono
essere rappresentate da microlesioni o macrolesioni. Le mutazioni permettono un'evoluzione della specie, ma un
lenta. I mutanti di una specie batterica differiscono dal tipo selvaggio in quanto hanno subito mutazioni che
possono coinvolgere geni che codificano per enzimi del catabolismo, per prodotti strutturali o geni di resistenza ai
farmaci. La frequenza di mutazioni spontanee è di 10-6 – 10-10. Naturalmente, le mutazioni possono essere anche
indotte da agenti fisici, chimici e biologici.

TRASFERIMENTO INTERCELLULARE DI MATERIALE CELLULARE


I meccanismi di trasferimento intercellulare di materiale genetico rappresentano un ulteriore mezzo di evoluzione,
molto più rapido delle mutazioni. Esistono tre meccanismi di trasferimento intercellulare di materiale genetico:
• Trasformazione, cioè l'acquisizione di materiale genetico cromosomico presente nell'ambiente;
• Trasduzione, che consiste nel trasferimento mediato da fagi;
• Coniugazione, rappresenta il trasferimento diretto attraverso un contatto fisico tra cellule.
In ciascun caso, il trasferimento interessa solo una porzione del cromosoma e la trasmissione intercellulare è
unidirezionale.
Trasformazione
La presenza della capsula polisaccaridica è un fattore patogeno in quanto protegge la cellula dalla fagocitosi.

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Inoculando batteri acapsulati vivi (non virulenti) in soluzione con batteri capsulati (virulenti) morti, la cavia
muore. Ciò avviene in quando i batteri avirulenti sono in grado di assumere i geni che codificano per la capsula e
divenire patogeni. Tra i più importanti batteri trasformabili, abbiano:
• Gram+:
◦ - Streptococcus Pneumoniae;
◦ Streptococchi orali;
◦ alcuni bacilli (Bacillus subtilis)
• Gram-:
◦ Neisseria Gonorrhoeae;
◦ Neisseria Meningitidis;
◦ Haemophilus Influenzae.
La cellula che assume la capacità trasformante è definita competente. In una coltura ci sono poche cellule
competenti. Queste liberano una proteina, il fattore competente che, legandosi a specifici recettori, attivano la
produzione di proteine che determinano la trasformazione. Tra le proteine prodotte, vi sono un'autolisina ed una
particolare nucleasi. Il DNA bicatenario presente nell'ambiente, viene legato da una proteina DNA-binding e uno
dei filamenti è degradato dalla nucleasi. Il filamento residuo viene introdotto nella cellula e incorporato in uno dei
filamenti del DNA cromosomico.
Nella trasformazione dei batteri G- mancano i fattori di competenza.

Trasduzione
Anche i batteri possono essere infettati da virus, detti Fagi, costituiti da una molecola di acido nucleico racchiuso
in un contenitore proteico (Capside). I più comuni fagi coinvolti nel processo di trasduzione sono quelli della serie
T che, oltre al capside presentano un core che permette l'introduzione del genoma nella cellula e dei pili che
permettono l'adesione alle cellule.
A seconda del meccanismo di infezione, i fagi si distinguono in:
• Fagi virulenti o litici: il DNA (o RNA) si replice immediatamente, generando nuovi virioni che vengono
liberati mediante la lisi della cellula;
• Fagi temperati o lisogeni: sono solo a DNA. Il genoma virale si integra nel cromosoma batterico e la
replicazione avviene in determinate condizioni.
Nel caso dei fagi temperati, la loro integrazione nel genoma batterico determina un cambiamento fenotipico,
definito conversione lisogena. Questa modificazione può determinare l'acquisizione di varie funzioni, tra cui un
aumentato potere patogeno, una farmaco-resistenza o la produzione di esotossine. Alcuni esempi di batteri che
hanno subito una conversione lisogena:
• Bordetella;
• Clostridium botulinum;
• Corynebacterium diphtheriae, solo i ceppi lisogeni producono la tossina che è tradotta dal gene tox
fornito dai fagi temperati β e ω. L'espressione del gene è limitato dal ferro ed è espresso solo nell'ospite
dove il ferro è limitato.
• E. Coli enteroemorragici;
• Pseudomonas aeruginosa;
• Staphylococcus aureus;
• Streptococcus pyogenes;
• Vibrio cholerae, il fago VPIϕ porta il gene del pilo TCP (toxic coregulated pilus) che è il fattore di

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colonizzazione, ed il gene per il recettore del fago CTXϕ che porta il gene della tossina colerica.
Il processo di trasduzione è distinguibile in due tipologie:
• generalizzata, è tipica dei fagi virulenti. Durante il ciclo litico, le nucleasi che tagliano le copie dei
genomi virali possono tagliare un frammento del genoma batterico. Questo viene integrato in un fago che
lo trasferisce ad altre cellule. Si definisce generalizzata in quanto il frammento di DNA può provenire da
qualunque parte del genoma batterico.
• Specializzata, tipica dei fagi temperati. L'errore avviene quando il DNA virale viene deintegrato dal
genoma batterico. Se il DNA escisso contiene le sequenze adatte alla replicazione, questo viene integrato
in un fago che infetterà altre cellule, ma che non sarà in grado di avviare nuovi cicli lisogeni. È definita
specializzata in quanto il frammento di DNA può provenire solo da zone contigue al sito d'integrazione
del DNA virale. Mediante questo meccanismo origina i fagi λ bio e λ gal.
Coniugazione
Questo trasferimento mediante contatto diretto tra il batterio donatore ed il ricevente, è possibile solo in batteri
provvisti di plasmide coniugativo.

Il primo plasmide studiato fu il plasmide F di E.Coli. Questo plasmide è una molecola di DNA bicircolare in cui
1/3 del materiale genetico è occupato da 13 geni che codificano per la produzione del pilo F e per altri geni che
mediano la replicazione del DNA plasmidico. Il DNA plasmidico viene tagliato in corrispondenza della sequenza
oriT, con l'avvio della replicazione del filamento tagliato. Via via che la replicazione del plasmide procede,
l'estremità 5' del filamento esistente entra nella cellula F-. Replicazione e trasferimento avvengono
contemporaneamente. Al termine del trasferimento, il DNA viene completato mediante la produzione del
filamento complementare nella cellula recettrice.
F contiene un cluster di sequenze d'inserzione. Mediante
ricombinazione tra IS di F e IS del cromosoma batterico, si può
avere l'integrazione del plasmide nel cromosoma batterico. Una
cellula in questa situazione è definita High frequency of
recombination (Hfr). Il trasferimento di materiale genetico mediato
da cellule Hfr interessa lìintero genoma legato al plasmide F.
Tuttavia, il ponte coniugativo è fragile e il trasferimento
cromosomico è parziale.

In alcuni batteri G+, il trasferimento di materiale genetico può avvenire senza l'intervento di pili coniugativi. In
questo caso, il segnale coniugativo è mediato da piccole proteine (ca. 7aa) detti feromoni prodotti dalle cellule
prive di plasmide. Queste proteine vengono rilasciate nell'ambiente e vengono legate da cellule contenenti il
plasmide feromone-sensibile. L'interazione plasmide-feromono induce la sintesi da parte della cellula donatrice di
proteine di superficie, definite sostanze di aggregazione. Le cellule provviste di sostanza aggregante, formano poi
degli ammassi con le cellule sprovviste ed i plasmidi coniugativi si trasferiscono dalle cellule produttrici di
sostanza aggregante (cellule maschili) a quelle produttrici di feromoni (cellule femminili).
Oltre che mediare la coniugazione, le sostanze aggreganti fungono anche da fattori di virulenza coinvolti nella
colonizzazione.
Un particolare esempio di batteri che utilizzano questo meccanismo di trasduzione sono gli Enterococcus faecalis
e gli Enterococcus faecium, coinvolti nella colonizzazione di endoprotesi biliari che possono portare
all'occlusione.

4
Meccanismi di patogenicità
La maggior parte dei batteri è saprofita, cioè vive a spese di materiale inanimato; la restante parte è parassita, e
vive a carico di organismi superiori. Il parassitismo può essere obbligato o facoltativo. Sulla base del rapporto del
parassita con l'organismo ospite, possiamo distinguere:
• Simbionti, quando i batteri sono utili;
• Commensali, quando la presenza dei parassiti è indifferente;
• Patogeni, se i parassiti invadono altri tessuti, superano le difese e alterano la funzione degli organi.
Questa suddivisione non è rigida in quanto la penetrazione di batteri commensali in distretti non abituali, o
l'alterazione dell'equilibrio della flora può rendere i batteri patogeni. Questi si definiscono patogeni opportunisti.
La definizione di un batterio come patogeno, richiede anche la specificazione dello spettro d'ospite.
Nei batteri a circolazione esclusivamente umana, si possono distinguere tra infezioni esogene, trasmesse da un
individuo affetto ad uno sano; oppure infezioni endogene, cioè il passaggio di batteri commensali in un distretto
non abituale. I batteri a circolazione interumana sono in genere patogeni obbligati. Per quanto riguarda le infezioni
endogene, la presenza dei batteri commensali è un reperto patologico solo se si ritrovano in sedi anomale o
quando il loro numero è notevolmente aumentato.
Nei batteri a circolazione in varie specie animali, l'infezione può essere trasmessa accidentalmente da queste
all'uomo (Zoonosi).

MECCANSIMO DI PATOGENICITA'
Un batterio si definisce patogeno quando è in grado di invadere un tessuto, moltiplicarvisi e danneggiarlo,
alterando la funzione dell'organo con la produzione di tossine.
Moltiplicazione in vivo e tossigenicità sono le due principali componenti del potere patogeno.
La virulenza è il grado di patogenicità di un microrganismo e viene spesso indicata come:
• Dose Letale 50 (DL 50 ): n° di microrganismi (o quantità di tossina) necessaria ad uccidere il 50% della
popolazione test;
• Dose Infettante 50 (DI 50 ): n° di microrganismi necessaria ad infettare il 50% della popolazione test.
I geni codificatori degli effettori della patogenicità batterica sono localizzati a livello cromosomico e sono
fisicamente riuniti in isole di patogenicità che sono segmenti acquisiti orizzontalmente.
Moltiplicazione batterica in vivo
I batteri patogeni si moltiplicano negli spazi intercellulari o all'interno di elementi cellulari.
La moltiplicazione intracellulare può essere:
• preferenziale;
• transitoria, per alcuni batteri in grado di penetrare le cellule dell'epitelio mucoso e aprirsi un varco verso i
tessuti sottomucosi.
• Obbligata, se il batterio dipende dalle strutture e dal metabolismo della cellula ospite per il proprio
metabolimso.
La penetrazione dei batteri può avvenire attraverso ferite oppure in seguito a lesioni conseguenti al processo
infiammatorio localizzato che s'innesca in seguito all'interazione. La maggior parte dei batteri patogeni, trova la
sua via d'ingresso nelle mucose del tratto respiratorio o enterico.
Un batterio patogeno deve inizialmente interagire con l'epitelio della mucosa, aderendovi saldamente e
colonizzandola in competizione con i batteri commensali.
Colonizzazione delle mucose
L'interazione dei batteri patogeni con le cellule degli
epiteli mucosi è mediata da fattori di superficie della
cellula batterica o secreti all'esterno.
Un primo gruppo è rappresentato dalle adesine, strutture
superficiali di varia natura, divisibili in due gruppi:
• Fimbrial associated adhesins (FAA), adesine
associate all'estremo terminale delle fimbrie;
• Not fimbrial adhesins (NFA), proteine
extracellulari associate allo strato S.
Le adesine agiscono come lectine, interagendo con
particolari residui glicidici di glicoproteine di membrana
delle cellule mucose.

1
Abbiamo inoltre:
• Fibrille, corte strutture di natura proteica complessate con acidi teicoici che si proiettano all'esterno della
parete cellulare (proteina M dello S. Pyogenes)
• Polisaccaridi capsulari, come i glucani.
I materiali capsulari facilitano l'adesione alle superfici lisce e, nel caso batteri che producono notevoli quantità di
materiale capsulare, la moltiplicazione batterica è seguita dalla formazione del biofilm.
L'adesione di E.Coli può avvenire mediante due tipologie di pili:
• pili di tipo I, che legano residui di mannosio;
• pili P che legano residui di galattosio.
I pili possono distinguersi in:
• tipo 1, inibiti da soluzioni di mannosio, che satura tutti i siti di legame sulle cellule epiteliali, impedendo
l'adesione;
• tipo 2, inibiti da N-acetilglucosamina, quindi, se si aggiunge mannosio, i batteri aderiscono ugualmente.
I principali microrganismi che usano pili o fimbrie per l'adesione, sono:
• E.Coli, pili tipo 1, pili P, CFA I e II;
• V. Cholerae;
• Salmonella;
• N. Gonorrhoeae
I principali microrganismi che aderiscono mediante molecole presenti sulla superficie sono:
• H. influenzae;
• S. Mutans;
• S. Pyogenes, lega la fibronectina mediante la proteina M e la proteina F1, associata ad acidi lipoteicoici
della parete.
L'adesione dei batteri mediata dalla capsula porta alla formazione del biofilm, una comunità microbica sessile,
caratterizzata irreversibilmente adese ad un substrato e racchiuse in una matrice esopolisaccaridica. L'unità
strutturale è la microcolonia, costituita da popolazioni monomicrobiche o polimicrobiche. Questo biofilm apporta
vantaggi in quanto assorbe e trattiene i nutrienti, protegge dallo stress ambientale, da anticorpi e antibiotici.

Alcuni batteri, in grado di colonizzare mucose provviste di ciglia vibratili, sintetizzano sostanze dotate di azione
ciliostatica (tossine ciliostatiche), molecole a basso peso molecolare che provocano asincronia o paralisi completa
del movimento cigliare.
Penetrazione nei tessuti profondi
La colonizzazione batterica di una mucosa finisce con il provocare la distruzione dell'epitelio e l'apertura di un
varco verso aree vascolarizzate. In alcune circostanze, i batteri utilizzano meccanismi invasivi che consentono di
entrare direttamente nelle cellule dell'epitelio mucoso. Affinché un batterio sia in grado di invadere un tessuto, è
necessario che esso si moltiplichi. Per moltiplicarsi in vivo, un batterio deve essere capace di metabolizzare nelle
condizioni offerte dall'ambiente ospite e di resistere ai meccanismi difensivi dell'ospite. La resistenza ai
meccanismi di difesa può avvenire mediante la produzione, da parte dei batteri, di sostanze che possono facilitare
la moltiplicazione o la diffusione in vivo (aggressine), o di sostanze responsabili della sintomatologia morbosa.
Le aggressine sono sostanze che contribuiscono alla diffusione e alla protezione del batterio. Comprendono:
• kinasi, che sciolgono i coaguli di fibrina;
• ialurodinasi, che distruggono l'acido ialuronico presente nelle giunzioni intercellulari (S.Pyogenes);
• collagenasi;
• DNAsi, che possono servire a recuperare nucleotidi;
• Lipasi;
• Leucocidine ed Emolisine, che distruggono leucociti e GR, agendo come porine.
• Coagulasi e streptochinasi; che determinano la formazione di un guscio di fibrina attorno alla colonia che
ne permette la sopravvivenza. Successivamente, la streptochinasi dissolve questo guscio e i batteri
vengono riversati in circolo (S.Aureus).
Altri esempi sono le Salmonelle e le Shigelle. Le prime sono in grado di penetrare nelle cellule del colon; le
seconde, non essendo capaci di penetrare nelle cellule, attraversano l'epitelio mediante la transcitosi da parte delle
cellule M. Nella sottomucosa le Shigelle evadono la fagocitosi dei macrofagi inducendo la loro apoptosi che
determina la liberazione di sostanze infiammatorie. La rapida migrazione leucocitaria compromette l'integrità
della membrana che permette il passaggio dei batteri.

In genere, l'infezione può rimanere circoscritta alla sottomucosa, determinando una sintomatologia localizzata, a
meno che, i batteri non producano tossine che, diffondendo per via ematica (tossiemia), determinano una
sintomatologia generalizzata.
I batteri, una volta penetrati nella sottomucosa, possono diffondere per via ematica (batteriemia) o essere veicolati
da fagociti professionali, riuscendo a colonizzare organi distanti.
Evasione delle difese antibatteriche
Un primo meccanismo di evasione è rappresentato da strutture di superficie ad azione antifagocitaria, come le
fimbrie e la capsula.
Alcuni batteri (H.Influenzae, S.pneumoniae, H.pylori, N.menignitidis) sono in grado di produrre proteasi, come la
IgA-proteasi che distrugge le IgA secretorie.
Altri batteri (N.gonorrhoeae) sono in grado di modificare l'assetto antigenico di superficie.
Alcuni batteri, infine, presentano un certo grado di mimetismo antigenico, cioè possiedono molecole di superficie
con composizioni analoghe a materiali dell'organismo ospite. In alcune circostanze, il mimetismo antigenico può
determinare conseguenze nella risposta immunitaria che possono portare a malattie autoimmuni per cross-
reattività di Ag batterici. (S.Pyogenes → Febbre reumatica acuta).
Un ultimo meccanismo di evasione è il mascheramento antigenico, tipico dello S.Aureus.

TOSSIGENICITA' BATTERICA
Le tossine batteriche si distinguono in:
• esotossine, veleni batterici di natura proteica, eliminati all'esterno dalla cellula batterica e dotati di attività
enzimatica;
• endotossine, sono la componente tossica legata ad alcune componenti strutturali del batterio (la porzione
lipidica del LPS).
Esotossine
Le esotossine di natura proteica sono agenti termolabili, che vengono distrutti dagli acidi gastrici. Molte tossine,
dopo una blanda desaturazione, perdono la loro capacità patogena, ma mantengono le caratteristiche antigeniche
(tossoidi); in questo modo possono essere usate per allestire vaccini.
Le esotossine non inducono risposte febbrili nell'ospite ed in genere sono codificate da trasposoni, profagi e
plasmidi.

Ingresso diretto Endocitosi mediata da recettore


La maggior parte delle esotossine, presenta una struttura dimerica (tossina di tipo A-B), formate da un peptide B
in grado d'interagire con la membrana cellulare, e che determina la traslocazione del peptide A all'interno del
citoplasma. Il peptide A è quello che possiede il potere tossico. Quale che sia il bersaglio cellulare della tossina,
in tutti i casi, l'azione della tossina si traduce nella morte per apoptosi o per necrosi della cellula.
Esotossine che agiscono a livello della superficie cellulare
Sono principalmente due:
• Tossina esfoliativa, prodotta dalla Staphylococcus Aureus, determina la malattia di Ritter. È monomerica
e agisce a livello dello strato granuloso dell'epidermide, che raggiunge tramite il circolo. Questa tossina,
ha un'azione serino-proteasica atipica che, attivata dopo la fissazione della tossina stessa allo stato
granuloso, rompe le proteine della matrice cellulare, agendo a livello della desmogleina-1.
• Tossine emolitiche, comprendono una serie di tossine:
◦ emolisina α, dello S. Aureus, è una tossina monomerica, tipica dei Gram+, che, polimerizzando sulla
superficie cellulare, determina la lisi osmotica della cellula.
◦ Repeats in toxin (RTX), è una famiglia di tossine che comprendono una serie nonapeptidica ricca in
glicina, in grado di legare Ca2+. Il prototipo di queste famiglia è l'emolisina di E.Coli.
◦ La tossina δ dello S.Aureus è un unico polimero in grado di polimerizzare sulla membrana, formando
canali selettivi a vari cationi.
◦ Mentre le precedenti tossine, hanno un meccanismo peculiare, esiste un secondo gruppo di emolisine,
che sono fosfolipasi. Queste digeriscono materiali a scopo nutritivo, ma sono in grado di legare i
lipidi di membrana di cellule senza che esse rappresentano un bersaglio esclusivo. A questa categoria
appartegnono:
▪ tossina α, di Clostridium Perfringens, che lega la fosforilcolina;
▪ emolisina β, di S.Aureus, lega la sfingomielina e lisofosfatidilcolina che agisce sulle membrane
eritrocitarie.
Esotossine che alterano i livelli cellulari di AMPc
Queste tossine sono distinguibili in due gruppi:
• tossine con attività ADP-ribosilante, che alterano la funzionalità di proteine G che regolano l'attività
dell'adenilato ciclasi.
• Tossine dotate di attività adenilato ciclasica, in grado di produrre AMPc.

L'attività ADP-Ribosilante consiste nel distacco del


nicotinamide dal NAD e nel trasferimento della
parte rimanente su una proteina bersaglio.

Esempi di tossine ad attività catalitica ADP-Ribosilante sono:


• Tossina colerica e LT, rispettivamente del V.Cholerae e di E.Coli. I batteri si localizzano a livello
intestinale. Le tossine, di tipo A-B, si legano alla membrana, interagendo con il ganglioside GM1.
All'interazione, segue la traslocazione all'interno della cellula del componente A, formato da due
subunità: A1 è quella dotata di attività ADP-Ribosilante e il suo bersaglio è la subunità α di una proteina
G che attiva l'adenilato ciclasi. L'ADP-ribosilazione impedisce la ricostituzione della proteina trimerica,
quindi l'adenilato-ciclasi rimane attivata, con aumento di AMPc. Ciò determina un'alterazione dei canali
di membrana, con eccessiva eliminazione di acqua e ioni. Questa eliminazione di acqua, supera la
capacità riassorbitiva del colon con il risultato di una diarrea.
• Tossina pertossica, è una tossina di tipo A-B, ma esamerica, quindi A-B 5 . Il componente A, ha un'attività
ADP-Ribosilante che modifica la subunità α di una serie di proteine G. La tossina pertossica ha come
bersaglio la subunità α della proteina G i , che inibisce l'adenilato ciclasi. La ribosilazione impedisce la
traduzione del segnale inibitorio che determina un'eccessiva attivazione dell'adenilato ciclasi, con
aumento dell'AMPc.
L'enterotossina termostabile è prodotta da E.Coli enterotossigeni in due varietà. STI e II sono costituiti da piccoli
peptidi che si legano al recettore della guanilato-ciclasi, che ne risulta attivata. L'aumento del GMPc intracellulare,
negli enterociti, provoca la perdita di ioni e acqua (diarrea).
Esempi di tossine provviste di attività adenilato-ciclasica, che alterano il contenuto di AMPc, sono:
• adenilato ciclasi/emolisina, di Bordetella Pertussis sono formate da due domini funzionali, uno con
attività catalitica adenilato-ciclasica, l'altro dotato di attività emolitica.
• Edema Factor (o fattore I).
Esotossine che inibiscono la sintesi proteica
La tossina difterica è prodotta dal Corynebacterium diphteriae e rappresenta l'unico meccanismo di patogenicità.
L'infezione si localizza a livello faringeo. La tossina, codificata dal gene tox proveniente da un fago temperato, è
di tipo A-B. Viene sintetizzato come unico peptide di cui l'estremità carbossilica forma il componente B, mentre la
porzione amino-terminale forma il componente A. La tossina è introdotta mediante endocitosi mediata da
recettore e viene poi divisa nelle due componenti mediante un taglio proteolitico. Il componente A possiede
un'attività catalitica ADP-ribosilante che ha, come bersaglio, il fattore di allungamento 2(EF2); questo interviene a
livello della traslocazione sul ribosoma.
Anche la tossina A di Pseudomonas Aeruginosa possiede
una struttura analoga e presenta un meccanismo analogo.
La tossina di Shiga, prodotta da Shigella dysenteriae di tipo
1 e le tossine Shiga-like presentano una struttura simile (A-
B 5 ) e tutte agiscono inibendo la sintesi proteica. Il
componente B si lega ad un globoside (Gb3) di membrana e
viene introdotta nella cellula attraverso endocitosi mediata
da recettore. Il frammento A1 ha un'azione catalitica N-
glicosidasica che, staccando un'adenina dall'RNAr 28S
impedisce il legame dell'aminoacil-tRNA al ribosoma. In
questo modo, si ha il blocco della sintesi proteica con
conseguente morte cellulare.

Esotossine che agiscono sul citoscheletro


Una serie di tossine citotossiche che agiscono sul citoscheletro sono prodotti da vari membri di Clostridium.
Queste sono di tipo binario, cioè, formate da due subunità, secrete separatamente che si riuniscono sulla superficie
della cellula bersaglio. Possiedono attività catalitica ADP-ribosiltransferasica e hanno come bersaglio l'actina.
Il prototipo di queste tossine è la tossina C2 di C.Botulinum. I due componenti della tossina sono secreti
separatamente dal batterio e in rapporti diversi. C2II (subunità B), si lega alla superficie cellulare esponendo un
sito che consente il successivo legame di C2I (subunità A). Il complesso che ne risulta viene introdotto nella
cellula per endocitosi mediata da recettore. La subunità C2I possiede un'attività ADP-Ribosiltrasferasica, in grado
di catalizzare l'ADP-ribosilazione dell'actina, alterando il citoscheletro e portando a morte cellulare. La tossicità di
queste sostanze si manifesta con ipotensione, aumentata permeabilità vascolare, emorragia e edema polmonare.
Esotossina multifattoriale
La tossina carbonchiosa, prodotta dal Bacillus Anthracis, è formata da tre componenti, non tossici se presi
singolarmente:
• Fattore I (Edema Factor, EF), è un'adenilato ciclasi batterica che, in presenza di calmodulina, aumenta la
[AMPc] i ;
• Fattore II (Protective Agent, PA), si lega alla membrana tramite un recettore, l'Anthrax toxin Receptor
(ATR). L'interazione determina il distacco di un frammento, con liberazione del sito di attacco del fattore I
e/o II.
• Fattore III (Lethal Factor, LF), è una metalloproteasi in grado di attaccare alcune chinasi che
intervengono nelle cascate di segnali indotte da diversi stimoli di membrana.
I fattori attivi sono i fattori I e III. Il fattore II media l'ancoraggio e la penetrazione dei fattori A nella cellula.
La tossina carbonchiosa sembra avere come bersaglio le cellule del sistema reticolo-endoteliale e, in particolare, i
macrofagi.
Assieme alla capsula, la tossina carbonchiosa rappresenta il principale “fattore di virulenza” di B.Anthracis.
Tossina e capsula, sono codificate da due diversi plasmidi px01 e px02.

Tossine neurotrope
L'esotossina tetanica e quella botulinica, sono tossine neurotrope che interferiscono con la trasmissione degli
impulsi nervosi.
• Tossina tetanica, prodotta dal Clostridium Tetani, circolando nel sangue, risale centripetamente l'assone,
raggiunge il SNC e blocca l'attività degli interneuroni inibitori. Questo blocco determina una serie di
spasmi generalizzati sia degli antagonisti che degli agonisti (paralisi spastica). La tossina tetanica è
codificata da un plasmide e sintetizzata come un unico peptide, che viene poi tagliato in due peptidi da
una proteasi. Il peptide H è il componente B che, legandosi alle cellule nervose, permette
l'internalizzazione del peptide L. Il peptide L è una zincopeptidasi che ha il suo bersaglio nella
sinaptobrevina.
• Tossina botulinica,è l'unico strumento di patogenicità di Clostridium botulinum ed è in grado di resistere
ai succhi gastrici ed è assorbibile dall'intestino (intossicazione di origine alimentare). Dall'intestino, la
tossina diffonde nell'organismo, andando a bloccare la liberazione di acetilcolina, con conseguente
paralisi flaccida, spesso seguita da morte per paralisi dei muscoli respiratoria. Anche questa viene secreta
in un unico peptide e poi scissa nel componente H, che si lega al recettore, e nel componente L,
enzimaticamente attivo. Questo componente è una zincopeptidasi che ha il suo bersaglio nella
sinaptobrevina, SNAP25 e sintaxina.
Esotossine che agiscono come “superantigeni”
Esempi di queste tossine sono:
• enterotossina stafilococcica;
• tossina dello shock tossico;
• tossine pirogene streptococciche;
• superantigene streptococcico.
Queste tossine interagiscono con i linfociti T, stimolando la loro attivazione e l'attivazione dei macrofagi, con il
rilascio di dosi massicce di interleuchine (IL-1;IL-2), TNFα e INFγ, tutti coinvolti nella patogenesi dello shock.

Endotossine
Per endotossina s'intende il lipopolisaccaride (LPS) che costituisce lo strato periferico della membrana dei batteri
G- e che genera una serie di effetti sistemici costanti.
La porzione glicolipida del LPS, il lipide A, formato da un disaccaride fosforilato ed esterificato con diversi acidi
grassi saturi, rappresenta la porzione “tossica” del LPS. Essa è quindi l'endotossina in grado di evocare risposte
biologiche da parte dell'organismo parassitato. Al lipide A è legato una struttura polisaccaridica costituita da una
porzione prossimale, il “core” identico in tutti i G-, e una porzione distale “specifica”, formata da una lunga
catena in cui si ripetono una serie di subunità tri-, tetra- o pentasaccaridiche, formate da zuccheri differenti in ogni
specie. Nel complesso, questi antigeni, costituiscono l'antigene O.
La porzione glicolipidica è termostabile e dotata di potere immunogeno, oltre a non essere detossificabile.
Il meccanismo alla base dell'azione tossica è il risultato della massiccia stimolazione di un certo numero di
“sensori” in grado di coinvolgere diversi elementi cellulari, in una serie di risposte che, oltre un certo limite,
possono risultare molto dannose fino a determinare lo shock endotossico.
L'interazione LPS-Macrofagi è mediata dall'unione del LPS alla proteina macrofagica di membrana CD14 che
rappresenta il recettore fisico. Le LBP (LPS Binding Proteins), prodotte nel fegato, sono in grado di legarsi
all'LPS e veicolarlo fino ai macrofagi, catalizzandone il trasferimento al CD14.
I principali mediatori cellulari rilasciati dai macrofagi attivati sono TNF e IL-1. Il TNF, agendo insieme all'IL-1,
responsabile dell'azione pirogena, attiva la produzione di prostaglandine che agiscono sugli endoteli, ha azione
mitogena sui linfociti ed induce l'aumento del catabolismo proteico (cachessia).
Antibiotici
Una caratteristica principale dei farmaci antibatterici è che agiscono inibendo una determinata via metabolica,
essenziale per il batterio. Di conseguenza sono attivi su batteri attivamente metabolizzanti. Questo li differenzia
dai disinfettanti che, agendo su strutture di membrana, sono attivi su tutti i batteri.
I farmaci antibatterici possono essere distinti in:
• batteriostatici, che bloccano la capacità replicativa del batterio;
• battericidi, che uccidono direttamente il batterio.

ANTIBIOTICI CHE INIBISCONO LA SINTESI DELLA PARETE


In base alla fase in cui agiscono, gli inibitori della sintesi della parete batterica si distinguono in:
• Antibiotici attivi sulle fasi precoci, comprendenti:
◦ Fosfomicina;
◦ Cicloserina;
◦ Tunicamicina;
◦ Ramoplanina;
◦ Bacitracina.
• Antibiotici attivi sulla fase tardiva:
◦ β-lattamici;
◦ Glicopeptidi

La sintesi del peptidoglicano inizia nel citoplasma mediante reazioni che portano alla formazione delle due molecole base: l'acido
N-acetil muramico (NAM) e N-acetilglucosamina (NAG). In breve, NAG-fosfato interagisce con fosfoenolpiruvato e poi è ridotto
dal NADPH, si forma così NAM. A tale molecola viene addizionato, in varie tappe e con l'intervento di un enzima detto racemasi,
D-ala sino a formare NAM-pentapeptide (NAMPP). Un trasportatore lipidico (bactoprenolo) porta il composto a livello della
membrana citoplasmatica. Qui si ha la formazione del pentapeptide disaccaride NAG-NAM-PP (DSP). Un'enzima detto
transglicosilasi permette l'unione del DSP alle analoghe strutture già presenti sulla parete che in pratica sono rappresentate dalle
catene -NAM- NAG-NAM-NAG- ecc. . Le transpeptidasi sono altri enzimi che consentono al pentapeptide, legato al NAM, di
interagire con un altro pentapeptide di un'altra catena -NAM-NAG-NAM- ecc. Questi legami consentono alle catene principali
formate da NAM e NAG di essere unite le une alle altre come una grossa rete. Un terzo enzima può intervenire per rompere i
legami tra le catene del pentapeptide (carbossi- o endo-peptidasi) per inserire nuove molecole. Si ritiene che quest'ultimo
catalizzatore svolga un ruolo primario nella determinazione dello spessore dello strato di peptidoglicano.
Β-Lattamici
Con il termine β-lattamici s'intendono antibiotici la cui molecola è caratterizzata dalla presenza di un nucleo
fondamentale comprendente un anello tetratomico azetidinico β-lattamico.
Il primo gruppo è costituito dalle penicilline, il cui nucleo fondamentale è rappresentato dall'acido 6-
aminopenicillanico. Il secondo gruppo di β-lattamici è rappresentato dalle cefalosporine, il cui nucleo
fondamentale è formato dall'acido 7-amino-cefalosporanico.

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Acido 6-aminopenicillanico Acido 7-aminocefalosporanico
Penicilline
Il Penicillum Chrysogenum produce diverse sostanze antibiotiche che differiscono per il radicale acilico legato al
gruppo aminico.
Le prime penicilline utilizzate erano di origine animale e se ne distinguevano principalmente due. La penicillina
G (benzil-penicillina) è la più usata e viene ottenuta coltivando il micete in presenza di eccesso di acido
fenilacetico. La penicillina G è acido labile, a contrario della Penicillina V (o fenossimetil-penicillina), sempre di
origine naturale, che è acido-stabile. Il punto debole della molecola è l’anello β-lattamico, il cui legame CO-N può
essere rotto per azione di enzimi detti β-lattamasi che li rendono inattivi. Lo spettro d’azione delle penicilline
comprende batteri G+, cocchi G- (Neisseria) e gli spirochete. La maggior parte dei batteri G- è resistente alle
penicilline, sia per la difficoltà di penetrazione che per la presenza di β-lattamasi nello spazio periplasmico.
Le penicilline semisintetiche, resistenti alle β-lattamasi, sono ottenute modificando le catene laterali legate al
gruppo amminico. Le principali sono metcillina e isossazoil-penicilline (oxacillina, cloxa-, dicloxa-),
particolarmente resistenti alla penicillinasi stafilococcica. Le penicilline ad ampio spettro, sono rappresentate da
aminopenicilline, comprendenti ampicillina e amoxicillina.
Esistono inoltre:
• Carbossipenicilline, comprendenti carbencillina e ticarcillina;
• Ureidopenicilline, che comprendono azlocillina e mezlocillina.
Questi due gruppi hanno un ampio spettro d’azione, esteso anche a G-, come lo Pseudomonas aeruginosa, ma
risultano sensibili alle β-lattamasi.
Un particolare derivato, è rappresentato dal mecillinam, dotato di una peculiare capacità di penetrazione
attraverso la membrana esterna dei G- e presenta un certo grado di resistenza alle penicillinasi.
Le penicilline agiscono su batteri attivamente metabolizzanti, bloccando il legame di transpeptidazione tra catene
laterali di molecole adiacenti di peptidoglicano, grazie all’analogia con il dimero di alanina.
Recentemente è stato scoperto che, al legame finale di transpeptidazione partecipano numerosi enzimi in grado di
legare covalentemente le penicilline, denominate Penicillin binding proteins (PBP), risultandone inattivati. Le
PBP sono proteine di membrana con varie funzioni, di cui la principale è catalizzare il legame di
transpeptidazione della sintesi di peptidoglicano. Rappresentano il bersaglio dei β-lattamici, i quali si legano con
differente affinità e diversa specificità.
La presenza di tratti di peptidoglicano più deboli, in associazione all’azione della mureino-idrolasi, provoca la
rottura della parete cellulare.
Cefalosporine
Le cefalosporine utilizzate attualmente, sono derivati semisintetici della cefalosporina C, prodotta dal
Cephalosporium achremonium. Il nucleo delle cefalosporine contiene un anello diidrotiazinico. Il meccanismo
d’azione è simile a quello delle penicilline, tuttavia, lo spettro d’azione delle cefalosporine è esteso ai batteri G- e
presentano una certa resistenza alle β-lattamasi.
Le cefalosporine sono distinguibili in 4 gruppi:
• 1° Generazione: comprende cefalotina, cefaloridina e cefazolina, attive su stafilococchi, streptococchi
G+, diversi enterobatteri e numerosi anaerobi;
• 2° Generazione: contiene cefamandolo, cefuroxime e cefoxitin. Risultano meno attive sui G+ rispetto alle
precedenti, ma sono attive su enterobatteri e bacteroides;
• 3° Generazione: Cefotaxime, ceftriaxone e ceftazidime. Sono più attive su G+ rispetto alle precedenti,
compreso Pseudomonas e altri non fermentanti. Sono attive anche su gonococchi ed emofili, produttori di
β-lattamasi.
• 4° Generazione: cefepime e cefpirome, più resistenti alle betalattamasi delle precedenti.
Le cefamicine si distinguono dalle cefalosporine per la presenza di un gruppo metossilico in C7.
Altri β-lattamici
Clavamici
L’acido clavulanico, nel quale l’ossigeno sostituisce lo zolfo nell’anello tiazolidinico, ha un ridotto potere
antibatterico, ma è un potente inibitore delle betalattamasi. Ciò ne permette un utilizzo in associazione a
penicilline ad ampio spettro.

2
Carbapenemici
Alcuni esempi ne sono:
• Tienamicina, in cui il carbonio sostituisce lo zolfo;
• Imipenem e meropenem, usati in ambito ospedaliero;
• Ertapenem, proposto per il trattamento di infezioni comunitarie.
Sono resistenti alla maggior parte delle betalattamasi con sito attivo a serina, mentre sono sensibili alle metallo-
betalattamasi. L’ampio spettro d’azione comprende batteri G+ e G-, aerobi e anaerobi, con specificità per lo
Pseudomonas.
Monobattamici
Sono β-lattamici monociclici. Il solo di uso clinico è l’aztreonam, con azione limitata a G- e spiccata resistenza
alle betalattamasi.
Resistenza ai β-lattamici
Il principale meccanismo di resistenza è legato alla produzione di betalattamasi, enzimi diffusi sia tra i G+ e i G-,
in grado di idrolizzare il legame amidico dell’anello betalattamico di cefalosporine e penicilline. Il gene di questi
enzimi è legato ad un trasposone a localizzazione plasmidica.
Questi enzimi sono classificabili secondo due criteri:
• In gruppi funzionali, secondo il profilo d’inibizione ed il substrato:
o Gruppo 1, cefalosporinasi non inibite dall’acido clavulanico;
o Gruppo 2, penicillinasi, cefalosporinasi e betalattamasi ad ampio spettro, inibite da inibitori del
sito attivo;
o Gruppo 3, metallo β-lattamasi, inibiscono anche barbapenemici, sono resistenti a inibitori con
struttura betalattamica, mentre sono inibiti da EDTA e pCMB;
o Gruppo 4, penicillinasi non inibite dall’acido clavulanico.
• In classi molecolari, in base alla sequenza aminoacidica:
o Classe A, penicilloil-serina-transferasi (penicillina);
o Classe B, metallo β-lattamasi;
o Classe C, penicilloil-serina-transferasi (ciclosporinasi);
o Classe D, penicilloil-serina-transferasi (oxacillinasi).
Pertanto, si distinguono due tipologie di
betalattamasi: Gram-positivi Gram-negativi
• Β-lattamasi con sito attivo a serina,
che derivano dallo stesso progenitore
delle PBP;
• Metallo-β-lattamasi.
Nei batteri G+, questi enzimi vengono secreti
nell’ambiente circostante, mentre nei batteri G-,
gli enzimi sono rilasciati nello spazio
periplasmico.

Per evadere l’azione la resistenza ai β-lattamici, si utilizzano diverse strategie:


• Substrati con ridotta affinità, mediante l’utilizzo di β-lattamici semisintetici modificati in modo da
impedire il legame con le β-lattamasi e/o bloccarne l’attività enzimatica, senza interferire con il legame
alle PBP. Rientrano in questa categoria i monobattamici, i carbapenemici, le cefalosporine di 3° e 4°
generazione.
• Inibitori delle β-lattamasi, si tratta di β-lattamici privi di azione antibatterica ma in grado di legarsi
irreversibilmente alle betalattamasi. Gli inibitori attualmente in uso sono di origine sia naturale (acido
clavulanico) che semisintetici (sulbactam, tazobactam), attivi su betalattamasi con sito attivo a serina.
Altri meccanismi di resistenza ai β-lattamici comprendono, la diminuzione della permeabilità e la modificazione
del bersaglio, cioè mutazioni che generano PBP con bassa affinità per i farmaci.
Antibiotici glicopeptidici
Vancomicina e ristocetina
Prodotti da actinomiceti, agiscono legandosi al dimero di alanina terminale dell’unità basale di peptidoglicano ed
impedendo le operazioni terminali di sintesi. Si ha l’accumulo di molecole legate al vettore lipidico.
Teicomicine
Sono attivi su G+.
Resistenza ai gicopeptidi
Inzialmente, l’uso della vancomicina era ridotto a causa della sua tossicità. Alla fine degli anni’70, la scoperta di
MRSA e il maggior controllo sulla tossicità della vancomicina, ne incrementa l’utilizzo. Nella seconda metà degli
anni ’80 si ha la comparsa improvvisa dei primi casi di resistenza alla vancomicina e/o teicoplanina in

3
stafilococchi coagulasi-negativi ed enterococchi. Negli anni ’90 aumentano in modo drammatico i casi di
enterococchi vancomicina-resistenti (VRE). Nel 1997, in Giappone vi fu un’emergenza di infezione da S.Aureus
con ridotta resistenza alla vancomicina (VISA e hVISA). Nel 2002, gli USA assistono ai primi casi di S.Aureus
con alti livelli di resistenza alla vancomicina (VRSA) per acquisizione del gene VanA enterococcico.
Sono attualmente riconosciuti almeno 6 fenotipi di VRE. Tranne VanC (tipico di E.gallinarum ed E.Caselliflavus)
che è una resistenza intrinseca, tutte le altre (VanA, VanB, VanD, VanE e VanG) sono resistenze acquisite. La
resistenza si basa sulla sostituzione del dimero di alanina con una altro dimero (D-Ala-D-Lac o D-Ala-D-Ser) a
cui la vancomicina non si lega.
Tutti i fenotipi sono resistenti alla vancomicina, mentre il VanA è anche resistente alla teicoplanina. In genere, la
resistenza VanA è mediata da trasposone correlati al Tn1546 a localizzazione plasmidica.

orf1 orf2 vanR vanS vanH vanA vanX vanY vanZ


deidro- D,D-di- carbossi- resistenza
IRL trasposasi resolvasi attivatore sensore ligasi IRR
genasi peptidasi peptidasi teicopl.

TRASPOSIZIONE REGOLAZIONE RESISTENZA FUNZIONI


ACCESSORIE
Per quanto riguarda gli Stafilococchi, la resistenza alla
teicoplanina è rara. Sono stati poi descritti MRSA intermedi
alla vancomicina (VISA e hVISA), in cui la resistenza è
legata ad un ispessimento della parete, aumentato turnover,
ridotta formazione di legami laterali e aumento di dimeri
liberi.
Sono stati segnalati 6 casi negli USA di S.Aureus con
elevata resistenza alla vancomicina (VRSA), mediata dal
trasferimento in vivo del trasposone Tn1546, contenente il
gene VanA, da un VRE ad un MRSA.

Antibiotici inibenti la fase precoce della parete


Fosfomicina
La fosfomicina blocca precocemente la sintesi del peptidoglicano essendo analogo del fosfoenolpiruvato e
legandosi alla piruviltransferasi. In questo modo viene bloccata la sintesi di UDP-NAG-Piruvato.
Cicloserina
È un analogo della D-Alanina che presenta un’elevata affinità per l’alaninoracemasi e alla dipeptidosintetasi. Ciò
impedisce l’isomerizzazione della L-alanina e la formazione del dipeptide. Essendo tossica, viene utilizzata solo
nelle infezioni micobatteriche resistenti ad altri farmaci.
Bacitracina
È un polipeptide ciclico che inibisce la defosforilazione del vettore lipidico, impedendone il rientro nel ciclo
biosintetico.

ANTIBIOTICI CHE INIBISCONO LA SINTESI PROTEICA


Un numeroso gruppo di antibiotici è in grado di inibire la sintesi proteica. Poiché i ribosomi batterici sono diversi
da quelli eucaristici, i farmaci che interagiscono con le subunità ribosomiali sono abbastanza selettivi.
Inibitori della subunità 30S
Tetracicline
Comprendono:
• composti naturali:
o clortetraciclina (1948);
o ossitetraciclina (1950).
• composti artificiali:
o tetraciclina (1953);
o demeclociclina;
o metaciclina;
o doxiciclina;
o glicicline (2000).
Sono tra i primi antibiotici a largo spettro, attivi sia su G+ che su G-, con azione batteriostatica. Agiscono
legandosi alla subunità 30S e bloccando il legame dell’aminoacil-tRNA al sito ribosomiale A. La
somministrazione è per via orale e vengono usati per infezioni da atipici (micoplasmi, clamidie e Rickettsie).

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Sono noti casi di resistenza, riconducibili a tre
principali meccanismi:
• Protezione ribosomiale, proteine che fMet
modificano il ribosoma (tetM e tetO);
• Efflusso attivo, tetK e tetL;
tetraciclina
• Inattivazione enzimatica.

Aminoglicosidi
Agiscono sulla subunità 30S, e comprendono composti:
• Naturali:
o Da Sterptomyces:
 Streptomicina (1943);
 Neomicina (1949);
 Kanamicina (1957);
 Spectinomicina, atipica, con azione batteriostatica anti-gonococcica.
o Da Micromonospora:
 Gentamicina (1963);
 Sisomicina
• Artificiali:
o Amikacina;
o Dibekacina;
o Netilmicina;
o Isepamicina;
o Arbekacina.
Sono zuccheri con amino-gruppi legati mediante legami glicosidici ad un nucleo aminiciclitolico. Fungono da
policationi altamente idrosolubili e attivi a pH alcalino.Sono battericidi e agiscono sinergicamente con β-
lattamici. Il loro spettro d’azione è orientato verso Gram-, ma alcuni sono attivi anche su micobatteri
(stepromicina). Non sono attivi su spirocheti, micoplasmi, clamidie, streptococchi e anaerobi obbligati.
Comportano alcuni effetti tossici, come nefrotossicità e ototossicità, sia cocleare che vestibolare.
Il meccanismo d’azione, di tipo multifattoriale, consiste nel legame al tRNA 16S, della subunità 30S, che blocca
completamente l’inizio della sintesi proteica. Sono anche in grado di creare errori di lettura e inibizione della
traslocazione.
La resistenza a questi farmaci si basa su:
• Modificazione enzimatica, clinicamente più importante, basato su enzimi costitutivi a codificazione
plasmidica, che modificano l’affinità di legame degli aminoglicosidi per i ribosomi. Gli enzimi
modificanti comprendono:
o Acetiltransferasi (AAC), che acetivano gli aminogruppi;
o Adeniltranferasi (AAD), modifica il gruppo ossidrile;
o Fosfotransferasi (APH), come l’AAD.
• Ridotta permeabilità e/o aumentato efflusso, mediante variazione della d.d.p. a cavallo della membrana.
• Modificazione dei siti ribosomiale di attacco.

Inibitori della subunità 50S


Macrolidi
Sono antibiotici caratterizzati da un anello macrolattonico (aglicone) a cui sono legati vari sostituenti con legami
glicosidico.
Vengono classificati secondo il numero di carboni: • 15 atomi di C:
• 14 atomi di C: o Azalidi (azitromicina);
o Eritromicina;N • 16 atomi di C:
o Oleandomicina;N o Josamicina;N
o Roxitromicina; o Spiramicina;N
o Claritromicina; o Rokitamicina;
o Chetolidi (Telitromicina); o Miocamicina.
L’eritromicina, scoperta nel 1952 come prodotto naturale dello Streptomyces erythraeus, è il capostipite dei
macrolidi. In realtà comprende 6 varianti (A-F) di cui quella vera e propria è l’eritromicina A.

5
Chimicamente è formata dall’aglicone, a cui sono
legati un monosaccaride in 3’, L-cladinoso, e un
aminomonosaccaride in 5’, D-desosamina. La
somministrazione avviene per via orale (stearato o
etilsuccinato), mediante capsule gastro-resistenti, che
liberano il farmaco, acido-instabile, nel tenue. Da qui,
il farmaco penetra nelle cellule e si localizza nei
neutrofili e macrofagi.
La sua azione è batteriostatica e il suo spettro
d’azione simile a quello della penicillina G.
I macrolidi agiscono legandosi al tRNA 23S della subunità 50S, a livello del residuo adenina A2058 del dominio V
e, secondariamente, al dominio II. Il risultato è l’inibizione della sintesi proteica a livello dell’allungamento e
della traslocazione.
Uno dei principali meccanismi di resistenza ai macrolidi è la metilazione del residuo A2058, che conferisce
resistenza anche ai Lincosamidi e alle Streptogramine B, cioè antibiotici che agiscono sul tRNA 23S. Questo
fenotipo è noto come MLS B .
Altri meccanismi di resistenza sono:
• Efflusso attivo, mediato da pompe di
efflusso codificate da geni mef, msr, erp.
Altre pompe codificare da geni intrinseci,
sono alla base di resistenze naturali.
• Inattivazione enzimatica, comprende
esterasi, scoperte in Enterobacteriaceae,
codificate dai geni ere.
• Permeabilità.

Cloramfenicolo
Prodotto dallo Streptomyces Venezuelane, è stato ottenuto nel 1947 e presenta un’azione batteriostatica.
Somministrato per via orale, diffonde bene attraverso la barriera emato-liquorale ed ha un ampio spettro d’azione.
Agisce legandosi alla subunità 50S mediante la
peptidil-transferasi. In questo modo, impedisce il
legame dell’aminoacil-tRNA al sito ribosomiale A.
Viene bloccata sia la sintesi del legame amidico che
l’allungamento della molecola.
Può avere rari ma gravi effetti collaterali che possono
culminare in un’anemia aplastica. Un derivato
semisintetico solforato, il tiamfenicolo, presenta
meno tossicità.

La resistenza si basa sull’inattivazione enzimatica ad opera di una O-acetiltransferasi codificata dal gene
plasmidico cat, presente su G+ e G-. Altri meccanismi, si basano sull’efflusso attivo.
Lincosamidi
Comprende un composto naturale, la lincomicina, isolata dallo Streptomyces nel 1963, e la Clindamicina,
derivato semisintetico alogenato. Hanno entrambi attività batteriostatica e il loro spettro d’azione comprende,
rispettivamente, stafilococchi e anaerobi. Il farmaco agisce legandosi alla subunità 50S, con alterazione del sito A
e P, interferenza nella funzione della peptidil-transferasi e impedimento dell’allungamento.
La resistenza si basa su:
• Modificazione enzimatiche dell’antibiotico, in stafilococchi e enterococchi;
• Coresistenza MLS B , da metilazione del residuo A2058.
Streptogramine
Sono miscele di due composti, un macrolattone ciclico, poli-insaturo (streptogramina A) ed un esadepsipeptide
(streptogramina B). Legandosi separatamente alla subunità 50S impediscono la formazione del legame peptidico.
Hanno azione batteriostatica. Si distinguono:
• composti naturali:
o Streptogramine A/B (1953);
o Virginiamicina S/M (1955);
o Pristinamicina I/II (1960);
• composti artificiali:

6
o Quinupristin/Dalfopristin (Synercid), derivato dalla pristamicina.
Lo spettro d’azione comprende Gram+, tranne E.faecalis, e gli atipici (Mycoplasma, Legionella), con una limitata
attività sui Gram- (Neisseria, Moraxella).
La resistenza in genere interessa un solo composto e può basarsi su meccanismi differenti: coresistenza MLS B ,
inattivazione ed efflusso.

Inibitori di fattori extraribosomiali


Acido fusidico
È l’unico rappresentante di una famiglia antibiotici a struttura simil-steroidea. Inibisce la sintesi proteica a livello
del processo di traslocazione. Il suo spettro d’azione comprende cocchi G+ e G-, Mycobacterium tubercolosis,
Nocardia Asetroides. I bacilli G- sono naturalmente resistenti perché il farmaco non attraversa la membrana
esterna. La resistenza, dovuta alla modificazione del bersaglio ribosomiale, si sviluppa facilmente; pertanto,
questo farmaco va sempre usato in associazione ad altri farmaci.
Oxalidinoni
Costituiscono un gruppo di farmaci di sintesi. L’unico rappresentante a livello clinico è Linezolid (2000). Lo
spettro è specifico per i G+, compresi MRSA e VRE. L’azione è batteriostatica su stafilococchi ed enterococchi,
mentre risulta battericida su streptococchi. La somministrazione può avvenire sia per via orale che parenterale.
Pare che agiscano inibendo il legame tra fMet-tRNA e il sito P, impedendo pertanto il legame del codon d’inizio. I
casi di resistenza sono stati eccezionalmente in enterococchi e stafilococchi. La resistenza è legata alla
modificazione del bersaglio.
Mupirocine
È costituita da acido monico che, a un’estremità si presenta come un analogo dell’iso-leucina, mentre l’altra lega
una breve catena di acido grasso. Il suo spettro d’azione è limitato a stafilococchi e streptococchi. Essendo
inattivato a livello cutaneo, viene usato per uso topico. A basse concentrazioni è batteriostatico, ad alte diviene
battericida. Agisce inibendo l’isoleucil-tRNA sintetasi, impedendone l’incorporazione nella molecola. La
resistenza è acquisita mediante mutazione del gene dell’IleRS, o l’acquisizione di un gene a livello plasmidico,
che conferisce maggiore resistenza.

ANTIBIOTICI CHE INIBISCONO LA SINTESI DEGLI ACIDI NUCLEICI


Inbitori della DNAgirasi
Chinoloni
Sono composti di sintesi con un nucleo di base di 4-oxo-1,4-diidrochinolina. Il primo chinolone ad essere
utilizzato è stato l’acido nalidixico. Successivamente, sono stati prodotti nuovi chinoloni di sintesi, che vengono
distinti in:
• 1° generazione: comprende chinoloni non fluorinati, attivi su G- ed utilizzati essenzialmente per
infezioni urinarie;
• 2° generazione: fluorinati in C6, sono attivi in parte anche su G+ e sono usati in varie infezioni;
• 3° generazione: fluorinati in C6, sono attivi su G-, G+ e alcuni anaerobi:
• 4° generazione: come la 3° generazione, ma meno tossici e attivi su pneumococchi.
O
COOH

H3C N N
C2H 5

Acido
Acido nalidixico
nalidixico
O
F COOH

N N
HN
C2H 5

Norfloxacina
Norfloxacina O
F COOH
O
N F COOH
N
HN
N N
Ciprofloxacina
CiprofloxacinaH C N O
CH3
Ofloxacina
3

Ofloxacina
H3C N O CH3
N N

Flu COOH
O

or
F
O F COOH
H
Levofloxacina
oc Levofloxacina N N

hin
N H OCH3
H
Moxifloxacina
ol Moxifloxacina
on
i
O
F COOH
OCH3
N N N
N

H2N

Gemifloxacina
Gemifloxacina

Fin dalla loro apparizione, i fluorochinoloni suscitarono grandi speranze. Possedevano tutte le caratteristiche
dell’antibiotico ideale:

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• Possibilità di somministrare per via orale o parenterale;
• Alti livelli tissutali e plasmatici;
• Diffusione all’interno delle cellule eucaristiche;
• Alti tassi di clearance;
• Stabilità chimica e biologica.
Successivamente alla scoperta di effetti collaterali importanti, s’intraprese nuovamente la ricerca di nuovi
chinoloni al fine di ridurre gli effetti tossici.
I chinoloni sono inibitori della DNA girasi (topoII) e della topoIV e agiscono rendendo irreversibile il legame
enzima-substrato.
La DNAgirasi è un enzima che mediante tagli del
DNA, è in grado di modificare il superavvolgimento
del DNA, in base alle differenti situazioni,
superavvolto in condizioni fisiologiche, rilassato
durante la replicazione. L’enzima, è un tetrametro
A 2 B 2 , in cui la subunità A è codificata dal gene gyrA,
mentre quella B, dal gene gyrB. I chinoloni si legano
alla subunità A e al DNA.
La topoisomerasi IV è un tetrametro C 2 E 2 . Le
subunità sono codificate rispettivamente, dai geni
parC e parE. I chinoloni si legano alla subunità C e
al DNA. L’enzima è in grado di svolgere il DNA
superavvolto, ma non di superavvolgerlo.
La resistenza ai chinoloni, si basa su diversi meccanismi:
• Modificazione del bersaglio, che interessano entrambi gli enzimi. Per la DNAgirasi, le mutazioni
interessano la subunità A, a livello della regione QRDR (quinolone resistance determinino region). Per la
topo IV, le mutazioni interessano la subunità C.
• Efflusso attivo, sembra riguardare vari chinoloni;
• Permeabilità, attraverso alterazioni a livello sia della membrana citoplasmatica che esterna.
La resistenza ad alto livello dei fluorochinoloni, richiede una modificazione della DNAgirasi che può avvenire
solo se preceduta dall’acquisizione di una resistenza a basso livello dovuto a mutazione della topo IV.
Novobiocina
Prodotto dallo Streptomyces niveus, inibisce la replicazione del DNA legandosi alla subuità B della DNAgirasi,
sito diverso da quello utilizzato dai chinoloni.
Nitrofurani e Nitroimidazoli
Sono composti nitroeterociclici, di cui, i più noti sono i nitrofurani, i nitroimidazoli e i nitrotiazoli.Di notevole
interesse tra i nitrofurani è la nitrofurantoina, indicata nelle infezioni urinarie per la sua rapida escrezione; tra i
composti nitroimidazolici vi è il metronidazolo, che agiscono tutti interferendo con la sintesi del DNA e RNA.
Questi farmaci risultano attivi solo in seguito a riduzione ad opera di
nitroreduttasi batteriche. Si ritiene che la forma ridotta del farmaco
induca delle rotture nelle eliche del DNA. Il metronidazolo, risulta
attivo solo in ambiente anaerobio, pertanto il suo spettro d’azione
comprende batteri strettamente anaerobi G- e G+ e microaerofili.
Somministrato principalmente per via orale, esistono anche
preparazioni topiche e parenterali. La resistenza al metronidazolo è
poco comune, ma pare sia attribuibile a meccanismi di permeabilità.
Altri teorie, attribuiscono la resistenza ad una riduzione dell’attività riduttiva della cellula che quindi determina
una ridotta attivazione del farmaco.
Inibitori della sintesi di RNA
La rifampicina, la rifabutina e la rifapentina sono
derivati semisintetici della rifamicina B, prodotta
Streptomyces mediterranei. Somministrato per via
orale, è un composto lipofilo che si concentra
attivamente nelle cellule e penetra nei micobatteri. È
il farmaco di elezione verso il mycobacterium
tubercolosis. Questo farmaco agisce legandosi alla
subunità β del core della RNA polimerasi batterica.

La resistenza sembra dovuta a modificazione della subunità β. La resistenza si sviluppa rapidamente se il farmaco
viene utilizzato singolarmente, pertanto è raccomandato l’uso in associazione ad altri antibiotici.

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INIBITORI DELLA SINTESI DEL DNA
Sulfamidici
La sulfamilamide, il primo chemioterapico dotato di
azione antibatterica, fu scoperto empiricamente. Fu
rapidamente sostituita da derivati, detti sulfamidici, più
potenti. Il meccanismo d'azione dei sulfamidici fu
chiarito con la scoperta che l'acido p-aminobenzoico
interviene come costituente degli acidi folici, che
rappresentano i vettori delle unità monocarboniose,
indispensabili in molte reazioni metaboliche. La tossicità
selettiva è legata al fatto che le cellule animali sono
incapaci di produrre acidi folici e li assumono con la
dieta, al contrario, i batteri, incapaci di prelevarli, li
producono. I sulfamidici penetrano facilmente la
membrana, interrompono la sintesi di acidi folici
competendo con l'acido p-aminobenzoico nei confronti
dell'enzima che catalizza l'ingresso della molecola. L’acido folico è necessario per la sintesi delle basi puriniche e
pirimidiniche. Questo spiega perché alcuni batteri sensibili in vitro, non lo sono in vivo; le infezioni
accompagnate da necrosi rendono disponibili notevoli quantità di prodotti terminali del metabolismo delle unità
monocarboniose.
Diaminopirimidine
Le 2,4-diaminopirimidine (trimethoprim e
pirimetamina) sono formidabili inibitori
della diidrofolato reduttasi in grado di
catalizzare la formazione di acido
tetraidrofolico. La diidrofolatoreduttasi del
fegato dei mammiferi è 50000 volte più
resistente all'inibitore dell'enzima. Il
tetraidrofolato funge da navetta metabolica,
senza essere consumato, per cui, il blocco
metabolico della sua sintesi non ha
conseguenze immediate.
L'acido p-aminosalicilico (PAS) è un
analogo dell'acido p-aminobenzoico; la sua
azione è limitata ai micobatteri.
La resistenza agli inibitori della sintesi dell’acido folico, diffusa nelle Enterobacteriaceae, si realizza mediante la
sintesi di enzimi, bersagli dei farmaci, con minore affinità per il farmaco.
Gli enzimi interessati sono:
• La diidropteroasintetasi (DPS), per i sulfamidici;
• La diidrofolatoreduttasi (DHFR), su cui agisce il trimethoprim.

CHEMIOTERAPICI MICOBATTERICI
Isoniazide
L’isoniazide (INH) ha una potente azione micobattericida, legata alla sua struttura, analoga alla nicotinamide e
alla piridossamina, che le consente di ostacolare la sintesi si NAD o di inibire alcuni enzimi che richiedono il
piridossal-fosfato come cofattore; in questo modo, interferisce con il metabolismo energetico e la sintesi
macromolecolare, compresa quella di acidi micolici. L’INH va considerato un profarmaco, in quanto la forma
attiva viene prodotta ad opera di catalasi-perossidasi, la cui mancanza è alla base della isoniazide-resistenza.
Altri chemioterapici
Etionamide
Derivato dall’acido isonicotinico, blocca la sintesi di acidi micolici ad un livello diverso rispetto all’isoniazide.
Etanbutolo
Ha una potente azione batteriostatica verso i micobatteri, alterando la posizione della parete cellulare.
Pirazinamide
È un derivato sintetico della nicotinamide, con azione battericida, specialmente verso il mycobacterium
tubercolosis. La sua attività si manifesta a pH acido. È un profarmaco la cui forma attiva si forma ad opera di una
pirazinamidasi batterica, la cui mancanza genera la comparsa della resistenza al farmaco.
Dapsone

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Inibitore della sintesi degli acidi folici, attivo su mycobacterium lepre.
Clofazimina
È molto attivo verso i micobatteri. Il farmaco è estremamente lipofilo e lega con grande affinità il DNA
micobatterico.

ANTIBIOTICI CHE AGISCONO SULLA PARETE


Daptomicina
È un lipopeptide ciclico naturale, costituito da un core idrofilo di 13aa e una coda lipofila che, in presenza di Ca2+,
s’inserisce nella membrana citoplasmatica con formazione di oligomeri. Quesi pori provocano il rilascio di ioni e
il blocco dell’attività sintetico-metaboliche, portando a morte il batterio. È soprattutto attiva verso G+.

Polimixine
Sono un gruppo di antibiotici formati da polipeptidi ciclici prodotti da vari batteri del genere Bacillus. Sono attivi
su batteri G-, di cui distruggono le proprietà osmotiche e provocano la fuoriuscita di metaboliti. Agiscono con un
meccanismo simile ai disinfettanti. Le polimixine sono piuttosto tossiche e il loro utilizzo è limitato ai trattamenti
topici.

10
Stafilococchi
Gli stafilococchi sono batteri di forma sferica riuniti in genere in grappoli o ammassi irregolari.
• Catalasi positivi
• Immobili;
• Privi di una capsula evidente;
• Asporigeni;
• Gram+
• Aerobi-anaerobi facoltativi.

Cresonono bene nei normali terreni di coltura e in presenza di elevate concentrazioni saline. Le colonie, di 2-
3mm, risultano rotonde e pigmentate. Rappresentano comuni commensali della cute dei mammiferi e sono
responsabili di una grande varietà di infezioni.
Il genere Staphylococcus comprende varie specie, distinte in:
• Coagulasi-positive, di cui l’unico stipite
umano e lo S.aureus;
• Coagulasi-negativa, i cui stipiti a
distribuzione umana sono:
o S.auricularis;
o S.capitis;
o S.Capree
o S.Cohnii;
o S.epidermidis;
o S.haemolyticus
o S.Pasteuri;
o S.pulvereri;
o S.saccharolyticus;
o S.saprophyticus;
o S.schleiferi;
STAFILOCOCCHI COAGULASI-NEGATIVI (CNS)
Le specie di CNS, si possono comportare come patogeni opportunisti, sia a livello comunitario che nosocomiale.
Nelle infezioni nosocomiali, sono spesso coinvolti:
• S.epidermidis, il più comune commensale, in grado di creare biolfilm su CVC o su protesi profonde;
• S.haemolyticus, facilmente capace di sviluppare resistenze.
Un caso particolare è quello delle infezioni urinarie domiciliari da S.saprophyticus.

STAPHYLOCOCCUS AUREUS
Il nome deriva dalla tipica colorazione giallo-oro che
assumono le colonie. È uno dei più comuni patogeni
umani.
Tra i vari metodi di tipizzazione, quello basato sulla
tipizzazione fagica, rappresenta il più semplice e
affidabile. Lo S.aureus è sensibile a numerosi
batteriofagi virulenti, la cui moltiplicazione causa la
lisi della cellula. Sulla base della diversa sensibilità
verso 20 differenti batteriofagi, è possibile
distinguere un certo numero di tipi batteriofagi
.
Strutture superficiali e caratteri antigenici
Lo S.Aureus è provvisto di:
• Capsula, di natura polisaccaridica, non è molto spessa, ma è provvista di potere antifagocitario. La
maggior parte degli stipiti isolati possiedono il polisaccaride capsulare di tipo 5 o 8;
• Clumping factor, proteina in grado di legare il fibrinogeno e causarne la precipitazione attorno alla
cellula batterica;
• Proteina A, provvista di caratteri antigenici, è in grado di legare il frammento Fc delle IgG. In vivo,
questa proteina inibisce la fagocitosi;

1
• Adesine, proteine di superficie in grado di reagire con altre proteine dell’ospite, come laminina,
fibronectina,ecc.;
• Acido teicoico, rappresentato dal poli-ribitol-fosfato, mentre i CNS hanno il poli-glicero-fosfato.
Meccanismo dell’azione patogena
Lo S.Aureus può essere presente come parassita, senza sviluppare infezioni, a livello cutaneo e naso-faringeo. I
principali strumenti patogeni della forma piogenica, sono costituiti da una serie di fattori in grado di favorirne la
moltiplicazione in vivo e da tossine in grado di ledere le cellule favorendo l’espansione dell’infezione.
Le sostanze solubili prodotte comprendono:
• Emolisine (α, β, γ e δ);
• Leucocidina-PV (Pantom-Valentine);
• Coagulasi, reagisce con un fattore plasmatico ed è in grado di scindere il fibrinogeno, in assenza di Ca2+;
• Stafilochinasi, è in grado di legarsi al plasminogeno e attivarlo a plasmina. Questo sembra uno strumento
d’invasività necessario a superare eventuali ostacoli meccanici.
• Lipasi;
• Nucleasi;
• Ureasi;
• Jaluronidasi;
• Catalasi;
Gli stipiti di S.Aureus produttori di tossina epidermolitica A o B
(SSSS), sono in grado di provocare la sindrome della cute
ustionata da stafilococco (malattia di Ritter), quando
colonizzano soggetti suscettibili.
Gli stipiti produttori della tossina dello shock tossico (TSST-1),
codificato da un gene cromosomico, sono la causa
dell’insorgenza dei sintomi di shock tossico da stafilococco,
rappresentata dai segni di tossiemia, con manifestazioni cutanee
eritematose, seguite da insufficienza multiorgano, grave shock
emodinamico ed elevata mortalità.
Gli stipiti di S.aureus, produttori di enterotossine, sono la causa
di fastidiose gastroenteriti da intossicazione alimentare, che si
manifestano come focolai epidemici. Le gastroenteriti da
stafilococco enterotossigeni sono la conseguenza dell’ingestione
di cibi, con elevato contenuto di lipidi. Le enterotossine
stafilococciche resistono ai succhi gastrici, sono termostabili e
presentano caratteristiche di pirogenicità e superantigenicità.
Giunte a livello intestinale, le tossine interagiscono con i macrofagi ed i linfociti degli organi linfoidi sottomucosi,
stimolando l’attivazione policlonale dei linf.T con la conseguente liberazione locale di citochine
proinfiammatorie, cui consegue la comparsa di lesioni flogistiche che accompagnano i sintomi enterici (diarrea).
Le manifestazioni morbose più consistenti ed immediate sono:
• Aumento della temperatura corporea;
• Comparsa di lesioni eritematose;
• Comparsa di vomito, dovuta alla stimolazione della mucosa gastrointestinale da parte delle enterotossine.
Lo S.Aureus è un batterio che si moltiplica negli spazi intercellulari e che può dar origine a focolai di infezione
piogenica (suppurativa) acuta, a diversa localizzazione (dai foruncoli fino a endocarditi e polmoniti) e, in assenza
di interventi terapeutici adeguati, di infezioni ad andamento subacuto, progressivamente invalidante.
Epidemie di infezioni ospedaliere da S.Aureus durante l’era antibiotica
Negli anni ’50 si ebbe la rapida diffusione di un ceppo penicillino-resistente. Di questa prima ondata epidemica, è
prevalso il fagotipo 80/81. La resistenza si basa sull’espressione di penicillinasi, legate al complesso genico bla, a
localizzazione cromosomica. Questa ondata, durata circa 10 anni, fu risolta attraverso l’utilizzo della meticillina.
La seconda ondata epidemica, caratterizzata dalla meticillina-resistenza si ha negli anni ’60, divenendo mondiale
nell’80. Tuttora in corso, questa forma di resistenza è legata alla modificazione del bersaglio, cioè all’espressione
di PBP modificate. In questo caso, il complesso genico interessato è mec, sul cromosoma batterico, che traduce
per la PBP2a, una proteina che presenta ridotta affinità per i β-lattamici e che è in grado di assumere le funzione
delle altre proteine quando esse sono sature. Il gene mec è situato su un elemento genico denominato SCCmec
(Staphylococcal chromosomal cassette mec) di cui ne sono stati descritti sei tipi (I-VI). Le cassette I-III sono
associate ad HA-MRSA, sono più grosse e poco trasferibili; le cassette IV-VI, in genere associate a CA-MRSA,
sono più piccole e potenzialmente trasferibili.

2
L’incidenza dei ceppi di S.Aureus meticillino-resistenti (MRSA) è molto alta in Giappone (60%), Italia (34%),
Francia (33,6%) e Spagna (30,3%); negli USA, la percentuale è del 20%. Questi ceppi MRSA sono resistenti a
tutti i β-lattamici, anche quelli con target diversi dalle PBP.

Questa resistenza fu risolta mediante l’utilizzo dei glicopeptidi, in particolare la vancomicina. Nel 1997 fu
individuata i primi casi di vancomicina-resistenza a basso livello. Nel 2002, alcuni ceppi hanno assunto una
vancomicino-resistenza ad alto livello in seguito all’assunzione del gene vanA, a localizzazione plasmidica,
derivante da VRE.
I ceppi MRSA sono di origine nosocomiale; nonostante ciò, molti studi mostrano l’emergenza di MRSA come
patogeno comunitario (CA-MRSA). Questi ceppi risultano sensibili a molti antibiotici, ma mantengono la
resistenza ai β-lattamici. Sono state indicate infezioni gravi da CA-MRSA, che sono risultati tutti in grado di
produrre la leucocidina-PV.
Il rapporto tra i primi ceppi MRSA (1961) e quelli moderni, si può spiegare mediante due teorie:
1. tutti gli attuali MRSA discendono da un unico prototipo, in seguito ad una singola introduzione di mecA
in S.aureus;
2. i moderni MRSA derivano da acquisizioni indipendenti di SCCmec da parte di diverse linee clonali.
I recenti approcci molecolari, mostrano differenze genetiche nelle linee clonali che avvalorano la seconda teoria.

Il complesso genico bla è composto da:


• blaZ, codifica per la penicillinasi;
• blaI, codifica il repressore di blaZ;
• blaR1, codifica il trasduttore di membrana, responsabile dell’induzione di blaZ.
Il complesso genico mec, comprende:
• mecA, codifica la PBP2a;
• mecI, codifica il repressore di mecA;
• mecR1, codifica il trasduttore di membrana responsabile dell’induzione di mecA.

complesso genico bla complesso genico mec


produzione della penicillinasi produzione della PBP2a
(a codificazione plasmidica) (a codificazione cromosomica)
blaZ
blaZ blaR1
blaR1 blaI
blaI mecA
mecA mecR1
mecR1 mecI
mecI

Metodi di immunizzazione
La maggior parte degli adulti possiede Ab contro vari antigeni del batterio e contro i suoi prodotti. In realtà,
occorre una carica infettante elevata, affinché s’instauri un’infezione. Si è tentata la strada degli autovaccini.

3
Metodi d’identificazione
1. Esame microscopico diretto, di materiale morboso isolato da un ascesso chiuso. Si evidenziano cocchi
G+ a grappolo.
2. Esame colturale, in agar normale, o ancor meglio, in agar-sangue di coniglio, in cui le colonie sono
circondate da aloni di emolisi. L’aggiunta di NaCl 7,5% è utile in quanto inibisce la crescita di altri
batteri. Se aggiungiamo mannite, zucchero fermentato dallo S.aureus, possiamo isolare questo stipite.
Mannite, con l’aggiunta di un indicatore di pH (rosso fenolo) prende il nome di terreno di Chapman. In
questo terreno, le colonie presentano un alone giallo dovuto al viraggio dell’indicatore nelle zone di
fermentazione. Le colture vanno mantenute per 24-48ore a 37°C. Gli stafilococchi si distinguono dagli
pneumococchi per il diverso aspetto delle colonie e perché sono catalasi+. L’attività coagulasica viene
evidenziata emulsionando un’ansata di patina batterica, con una goccia di plasma su un vetrino porta-
oggetti. In pochi minuti si osservano fiocchetti di coagulazione.
3. test di elezione per l’identificazione dei ceppi patogeni: si sospende in una provetta, una piccola quantità
del brodo di coltura di stafilococco, con 1-2ml di plasma. Se sono patogeni, dopo 3h si evidenzia un
coagulo.

4
Streptococchi ed enterococchi
Gli streptococchi sono cocchi disposti in coppie o
catenelle, con diametro di 1,5 μm:
• Gram+
• Capsulati;
• Immobili;
• Asporigeni;
• Catalasi –;
• Ossidasi -;
• Aerobi-anaerobi facoltativi, capaci
esclusivamente di metabolismo fermentativo.
Utile, a livello colturale, è l’aggiunta di liquidi
organici. Sono rinvenibili lungo tutto il tratto
intestinale, a livello vaginale e cutaneo.
Alcune specie sono patogene:
• S. Pyogenes;
• S. agalactiae;
• S. Pneumoniae.

CLASSIFICAZIONE
Gli streptococchi possono essere classificati secondo
due criteri:
• In base al tipo di emolisi, si distinguono:
o α-emolitici (o viridanti), circondati
da un ristretto alone di emolisi
incompleta, con tipica colorazione
verdastra. Comprende lo
S.pneumoniae e i commensali del
cavo orale.
o β-emolitici, circondate da un alone
ben definito di emolisi completa.
Comprende lo S.Pyogenes;
o γ-emolitici (o non emolitico),
rappresentato dallo S.agalactiae.
• in base al tipo di antigene polisaccaridico C, ottenuto mediante idrolisi acida a caldo. Questa è detta
classificazione di Lancefield e comprende 20 diversi gruppi, identificabili dalle lettere dell’alfabeto
o gruppo A, comprende lo S.Pyogenes;
o gruppo B, comprende lo S.Agalactiae.
Lo S.pneumoniae non possiede un antigene polisaccaridico estraibile.

STREPTOCOCCUS PYOGENES
Sono cocchi a catenelle, β-emolitici, appartenenti al gruppo A di Lancefield, quindi presentano un oligomero di N-
acetilglucosamina e ramnosio. Si distinguono in piastre di agar-sangue. Se sono capsulati, le colonie appaiono
opache, mentre se la capsula è assente, appaiono piccole e lucide.
Caratteristiche antigeniche
Comprendono:
• Proteina M, azione antifagocitaria, che svanisce in presenza di anticorpi anticorpi anti-proteina M.
Esistono ca. 100 diversi sierotipi di proteine M, perciò, uno stesso individuo può presentare ripetute
infezioni ad opera di stipiti che esprimono proteine M diverse. La porzione distale della proteina M è
quella che presenta ipervariabilità.
• Proteina F, interagendo con la fibronectina permette l’adesione alle cellule epiteliali.
• Proteina T, proteina con potere antigenico, resistente all’azione della tripsina.
• Proteina R;
• Acido lipoteicoico;
• Polisaccaride C di Lancefield.

1
N

ipervariabile

variabile

S. pyogenes
sito della
pepsina

Proteina F1
Fibronectina
conservata
Polisaccaride Integrina α5β 1
C di gruppo A

Peptidoglicano
Membrana
C Cellula epiteliale
Meccanismi di patogenicità
• Proteina F;
• Capsula, costituita da acido jaluronico, ha un potere antifagocitario.
• Proteina M;
• Esotossine comprendenti:
o Streptolisina-O, la cui attività dipende dalla presenza di gruppi tiolici. Agisce sulla membrana
cellulare causando la formazione di pori che, alterando gli scambi cellulari, causano la morte
della cellula. È identica in tutti i sierotipi M e dotata di un elevato potere immunogeno. Agisce
principalmente sui cheratinociti e sui leucociti.
o Streptolisina-S, prodotto dal 95% degli stipiti di S.Pyogenes. Risulta ossigeno-stabile ed è
responsabile dell’alone di emolisi completa attorno alle colonie in agar-sangue. L’azione di
emolisi si esplica attraverso la formazione di pori nei fosfolipidi di membrana.
o Tossina eritrogenica, codificata da un fago temperato, ha un’azione pirogena potente ed è la
principale responsabile dell’eritema caratteristico della scarlattina.
• Esoenzimi, tra cui:
o Streptochinasi, converte il plasminogeno in plasminam dissolvendo i coaguli di fibrina;
o Jaluronidasi, favorisce la diffusione nei tessuti circostanti;
o C5a peptidasi, distrugge il componente C5a del complemento, annullandone l’effetto
chemiotattico;
o Streptodornasi;
o Neuraminidasi, depolimerizza le secrezioni mucose presenti sugli epiteli delle prime vie
respiratorie.

Malattie correlate alle infezioni da S.Pyogenes


La manifestazione infiammatoria acuta più frequente
è l’angina streptococcica (o scarlattina), che si
manifesta come una rinofaringite con tonsillite,
febbre elevata accompagnata da esantema
caratteristico.
Lo S.Pyogenes è anche tra i più frequenti agenti
batterici d’infezioni cutanee e mucose (impetigine,
faringiti, otiti medie, vaginiti).
Le infezioni da stipiti produttori di tossine pirogene,
possono provocare in soggetti predisposti, anche una
sindrome da shock tossico, simile a quella di origine
streptococcica.

2
Più complessa è la patogenesi delle sequele non suppurative:
• Febbre reumatica, connotata da lesioni flogistiche dei tessuti connettivali, più o meno estese; frequente a
livello delle articolazioni o delle valvole cardiache (malattia cardiaca reumatica). Ha un andamento
subacuto, con una probabile componente autoimmune, la cui comparsa è legata ad una pregressa (1-4
setttimane) lesione infiammatoria acuta.
• Glomerulonefrite acuta, correlata ad una pregressa infezione streptococcica acuta, sembra la
conseguenza della formazione di una notevole quantità di complessi Ag-Ab solubili. Questi IC,
depositandosi a livello del filtro renale, determinano l’attivazione del complemento ed innescano un
processo infiammatorio, con distruzione del parenchima renale.
• Eritema nodoso, legata alla deposizione di complessi Ag-Ab a livello dei capillari del derma e del
sottocutaneo che innesca un processo infiammatorio.
Metodi d’identificazione
La presenza di streptococchi commensali rende inutile l’esame microscopico dell’essudato faringeo.
1. Esame colturale:
a. Agar-sangue di pecora al 5% che inibisce la crescita dello Haemophylus haemolyticus (colonie
mucose, diametro 1-2 mm);
b. Agar-batteri. Il materiale prelevato viene sospeso in una piccola quantità di brodo. Si in semina
una piastra di agar liquefatto e raffreddato a 45°C, si aggiunge sangue di pecora e si versa in
piastra. Le colonie profonde hanno forma a navetta, circondate dall’alone di emolisi.
c. Bacitracina, permette di identificare S.Pyogenes in quanto sensibile a questo antibiotico.
d. Metodo di Lancefield, identificato mediante la presenza del polisaccaride C di gruppo A.
2. Immunofluorescenza, in cui l’antigene, cioè il batterio, viene messo in contatto con l’anticorpo
antipolisaccaride di gruppo A, coniugato con isotiocianato di fluorescina.
Nella pratica diagnostica, per evidenziare la risposta immune a un infezione da S.Pyogenes, vengono ricercati
anticorpi contro la streptolisina-O. Questo è utile anche nelle sequele non suppurative, in quanto si
accompagnano ad elevati livelli di anticorpi.
Sensibilità agli antibiotici
L’antibiotico di elezione è la penicillina e, più in generale, i β-lattamici. In caso di allergie alle penicilline può
essere usata l’eritromicina. Esistono ceppi resistenti ai macrolidi.
Vaccini
La proteina M è il candidato ideale per lo sviluppo di vaccini, ma l’alta variabilità ha reso impossibile lo sviluppo
di un vaccino efficace. Si stanno tentando vaccini anti-proteina M multipli e chimerici. Recentemente si è presa in
considerazione la proteina F.

STREPTOCOCCUS PNEUMONIAE o Pneumococchi


Sono diplococchi di forma lanceolata.
• Gram +;
• Capsulati;
• Immobili;
• Asporigeni
• Aerobi-anaerobi facoltativi, utilizzano un metabolismo fermentativo.
Sono batteri delicati che muoiono facilmente al di fuori del loro ambiente. Essendo catalasi-, in presenza di
ossigeno possono svolgere reazioni ossidative, producendo perossido d’idrogeno che, accumulandosi, uccide le
cellule. Per evitare ciò, è necessario aggiungere ai terreni di coltura una fonte di catalasi, come i globuli rossi.

3
In piastre di agar-sangue, le colonie sono piccole, mucose, circondate da un alone di α-emolisi, in presenza di
ossigeno. Risulta sensibile all’optochina.
Lo S.Pneumoniae è un ospite frequente delle prime vie aeree.
Antigeni di superficie
Le principali caratteristiche antigeniche sono:
• Capsula, dotata di potere antigenico, si conoscono 90 sierotipi diversi sulla base dei polisaccaridi
capsulari. I più frequenti sono: 19, 23, 1, 6, 14, 3, 18.
• Proteina M;
• Antigene C;
• Nucleoproteina P.
Determinanti di patogenicità
La capsula rappresenta il principale determinante di patogenicità, per la sua potente azione antifagocitaria.
Inoltre abbiamo:
• Adesine proteiche, specifiche per l’epitelio ciliato respiratorio;
• IgA-proteasi, in grado di distruggere gli anticorpi secretori;
• Pneumolisina, appartenenti alle citolisine tiol-dipendenti;
• Neuraminidasi, in grado di attaccare glicoproteine e glicolipidi della membrane cellulare;
• Jaluronidasi, favorisce la diffusione dell’infezione nei tessuti.
La reattività dell’antigene C pneumococcico con alcune proteine di fase acute può contribuire, attivando il
complemento, a potenziare i danni tissutali dell’infiammazione.
Infezioni da pneumococco
Le principali infezioni dovute allo S.pneumoniae sono:
• Polmoniti comunitarie;
• Sinusiti, otiti medie;
• Meningiti;
• Batteriemia, endocarditi, artrite, peritonite.
Metodi d’identificazione
1. Esame microscopico. Dall’espettorato del paziente affetto da polmonite, si evidenziano diplococchi G+.
2. esame colturale. Si usano terreni resi selettivi mediante l’aggiunta di acido nalidixico, cui lo
pneumococco è insensibile. Incubati in atmosfera di CO 2 a 5%. Le colonie di pneumococco sono
distinguibili da quelle degli streptococchi viridanti, in base al test dell’optochina che, in terreni di agar-
sangue, genera un alone di inibizione in presenza di pneumococchi. Possono essere usati anche i sali
biliari, in presenza dei quali, i pneumococchi si lisano rapidamente.
Tipizzazione
Si conoscono 90 diversi sierotipi capsulari di pneumococco riuniti in 40 sierogruppi. I principali sierotipi sono 1,
3, 6, 14, 19, 23. Il tipo 1 è frequente nelle forme polmonari invasive; il tipo 3 nelle otiti medie, il tipo 23 nelle
meningiti.
Per l’identificazione si può ricorrere all’agglutinazione sul vetrino o alla reazione di rigonfiamento capsulare. Per
questa metodica si usa un’ansata di sospensione batterica, antisiero anti-pneumococcico e blu di metilene. In caso
di reazione positiva, la capsula si mostra ingrossata.
Reazioni sierologiche
La ricerca di anticorpi tipo-specifici non viene usata vista la notevole variabilità. Nelle infezioni accompagnate da
batteriemia, si può usare la ricerca mediante anticorpi della capsula, nei liquidi organici.
Antibiotici
Di recente, è stata scoperta una grave emergenza di resistenza alle penicilline e all’eritromicina. Questa resistenza
sembra legata all’alterazione delle PBPs. È stata individuata anche una resistenza ai fluorochinoloni di ultima
generazione.
Vaccini
Attualmente esiste un vaccino contenente 23 tipi di polisaccaride capsulare. L’uso pratico della vaccinazione è
limitato dal fatto che molti pazienti a rischio sono immunodepressi e, la mortalità dei soggetti vaccinati non è
molto diversa da quella dei soggetti non vaccinati.
Sono stati messi a punto alcuni vaccini antipneumococcici, in cui il materiale polisaccaridico è coniugato ad
alcune proteine allo scopo d’intensificare il potere immunogeno.

STREPTOCOCCHI DI GRUPPO B
Agente patogeno di alcune infezioni urinarie e complicanze post-partum, lo S.Agalactiae è diventato uno dei più
importanti agenti di infezione neonatale. Presente come commensale nell’uretra maschile e nella vagina, può
essere trasmesso durante il rapporto sessuale.

4
Le manifestazioni del neonato sono una sindrome polmonare acuta ed una meningite purulenta. Lo S.agalactiae
possiede l’antigene polisaccaridico di Lancefield di gruppo B, è non-emolitico, ma produce il fattore CAMP, che
completa la lisi delle emazia esposte alla β-citolisina stafilococcica.

ENTEROCOCCHI
Sono cocchi disposti singolarmente, a coppie o in brevi catene.
• Gram+;
• Catalasi –
• Immobili (alcune specie sono mobili)
• Aerobi-anaerobi facoltativi
• Gruppo D di Lancefield.
• Non emolitici
Sono costantemente presenti nell’intestino e si
ritrovano nel materiale fecale dei vertebrati.
Sono in grado di crescere in presenza di sali
biliari o del 6,5% NaCl, resistono a 45°C e
hanno un ampio spettro di resistenza ai
farmaci antibiotici.
Le principali specie patogene umane sono:
• Enterococcus faecalis
• Enterococcus faecium
• Altre specie:
o E. gallinarum
o E.durans
o E.avium
o E.casseliflavus

Sono importanti patogeni nosocomiali (infezioni urinarie, batteriemie, endocarditi, infezioni di ferite chirurgiche)
e hanno una particolare facilità ad assumere nuovi determinanti di resistenza.
L’identificazione si basa su:
• Antigene di Lancefield gruppo D;
• Capacità di attaccare l’esculina.
Tolleranti agli antibiotici che agiscono sulla sintesi di peptidoglicano, sono poco sensibili ai β-lattamici e agli
aminoglicosidi, la cui associazione è un classico approccio alla terapia delle infezioni enterococciche.
Preoccupante, dal punto di vista clinico, è l’avvento della resistenza ad alto livello agli aminoglicosidi e della
resistenza alla vancomicina. Gli enterococchi vancomicina-resistenti (VRE), comparsi alla fine degli anni ’80
sono divenuti patogeni nosocomiali negli Stati Uniti.
Sono noti attualmente 6 fenotipi di VRE, di cui 5 (vanA,B,D,E,G) sono resistenze acquisite, individuate in
E.faecalis e E.faecium, mentre in vanC è intrinseca e associata a specie mobili. Il fenotipo VanA è resistente
anche alla teicoplanina. La resistenza vanA, più frequente, è inducibile e mediata da un trasposone a
localizzazione plasmidica, Tn1546.
Si è discusso sul ruolo dell’avoparcina, un glicopeptide usato a lungo come additivo alimentare e adesso bandito.
D-Ala-D-Lac
VanD
VanB VanA D-Ala-D-Ser
VanC-1 E. gallinarum
VanC-
VanE VanC-2 E. casseliflavus
VanC-
VanC-3 E. flavescens
VanC-
VanG

E. faecium
D-Ala-D-Ala
E. hirae E. pseudoavium
E. faecalis E. avium
E. cecorum
E. saccharolyticus
E. dispar
E. casseliflavus / E. flavescens
E. gallinarum

5
Enterobatteri

• Bacilli Gram-
• Ossidasi -, in quanto non possiedono il citocromo C;
• Catalasi +
• Asporigeni;
• Mobili, in quanto provvisti di flagelli peritrichi (Salmonella e Klebsiella sono immobili);
• Aerobi-anaerobi facoltativi. In presenza di ossigeno operano una completa respirazione; in anaerobiosi
fermentano sempre il glucosio, ma sono in grado di fermentare anche il lattoso (salmonella e shigella
sono lattasi -). Sono in grado di ridurre i nitrati a nitriti e producono vari prodotti di fermentazione che
costituisce un criterio identificativo.
Sono comuni commensali del tratto gastrointestinale degli animali, ma si ritrovano anche nel suolo e nell’acqua.
Salmonella e Shigella sono veri e propri patogeni enterici.

Caratteri antigenici
La struttura antigenica degli enterobatteri è molto complessa e comprende tre classi:
• Antigene O, rappresentato dal lipopolisaccaride di cui è normalmente provvisto essendo Gram-.
• Esternamente allo strato di lipopolisaccaride, vi è uno strato di polisaccaridi acidi che rappresenta la
capsula. Viene indicato come Antigene K (nelle Salmonelle è detto Antigene Vi). Questo antigene è
formato da acido N-acetilgalattosaminuronico. Questo antigene rende i batteri inagglutinabili da sieri
anti-O. è sufficiente scaldare la soluzione batterica a 100°C per un’ora, per eliminare l’antigene K. Nel
gruppo di Echerichia, l’antigene K comprende sia antigeni capsulari polisaccaridici, sia antigeni proteici
delle fimbrie e dei pili.
• Negli stipiti mobili è presente anche l’antigene H, rappresentato dalle proteine flagellari.
• La maggior parte degli stipiti, possiede fimbrie che mediano l’attacco alle cellule ospiti:
o Fimbrie di tipo 1, mannoso-sensibili, mediano la normale colonizzazione del tratto gastro-
intestinale e delle basse vie urinarie (Antigene FimH);
o Fimbrie di tipo P, mannoso-resistenti, sono importanti fattori di resistenza (Antigene PapG)

1
Azione patogena
Gli enterobatteri sono in grado di provocare diversi tipologie infettive:
• Infezioni esclusivamente intestinali, in genere di origine esogena, comprende gastroenteriti, enteriti,
enterocoliti. Queste infezioni possono derivare da due tipi di enterobatteri:
o Enterobatteri invasivi, enterotossici o non (salmonella, Shigella ed E.Coli), colpiscono l’intestino
distale, manifestandosi con dissenteria e diarrea;
o Enterobatteri non invasivi, enterotossici (E.Coli), colpiscono l’intestino tenue, causando diarrea.
• Infezioni sistemiche, prevalentemente esogene. Febbri enteriche (tifo e paratifo), in cui i sintomi
intestinali si accompagnano o conseguono ad una diffusione dell’infezione a tutto l’organismo.
• Infezioni extraintestinali, comprendono infezioni comunitari (urinarie) e nosocomiali (urinarie,
respiratorie, delle ferite chirurgiche)
I meccanismi patogeni degli enterobatteri comprendono:
• Azione antifagocitaria della capsula;
• Endotossina;
• Produzione di esotossine;
• Capacità adesive (fimbrie).
Le barriere dell’intestino verso queste infezioni comprendono:
• Difese non immunologiche, rappresentate da:
o Acidità gastrica;
o Strato muco-viscidoso dell’intestino;
o Enzimi pancreatici, Sali biliari;
o Competizion a livello della flora intestinale;
o Defecazione
• Difese immunologiche:
o GALT, tessuto linfoide associato alla mucosa intestinale, secernente IgA. Fa parte del MALT,
cioè del tessuto linfoide associato alle mucosa.
 Infezioni urinarie  Escherichia
 Infezioni nosocomiali  Shigella
(urinarie, polmoniti, ferite  Edwardsiella
chirurgiche, sepsi, ecc.)  Salmonella
 Gastro-entero-coliti  Citrobacter
 Klebsiella
 Batteriemie  Enterobacter
 Hafnia
 Meningiti
 Serratia
 Dissenteria bacillare  Proteus
 Providencia
 Tifo addominale
 Morganella
 Peste  Yersinia
Erwinia
 Sequele reattive Pectinobacterium
post-infettive
I membri di questa famiglia, sono correlati e classificati in 31 generi, dei quali, i più patogeni sono:
• Escherichia;
• Shigella;
• Proteus;
• Salmonella;
• Klebsiella;
• Yersinia
Mentre E.Coli, Klebsiella pneumoniae e Proteus, sono patogeni opportunisti; Shigella, Salmonella e Yersinia sono
patogeni obbligati. Sono responsabili delle classiche infezioni, sia nosocomiali che comunitarie. Sono possibili
infezioni del tratto urinario in seguito a contaminazione fecale, da parte di E.Coli e Proteus. La K.pneumoniae può
dare anche infezioni respiratorie, nosocomiali.

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ESCHERICHIA
Comprende la sola specie dell’Escherichia Coli, ospite normale dell’organismo in cui rappresenta la specie
predominante della comunità batterica nell’intestino crasso.
I principali siti d’infezione sono:
• Tratto urinario, sia delle basse vie (uretriti), sia delle alte vie (pielonefriti), legate a E.Coli uropatogeni;
• Meningiti neonatali, legate a ceppi con antigeni K1;
• Infezioni nosocomiale e iatrogene;
• Gastroenteriti
E.Coli uropatogeni
Responsabili frequentemente di infezioni delle vie urinarie, presentano antigeni somatici (O4, O6, O75). Sono
dotate di particolari adesine, come le Adesine X, le adesine afimbriali AFA-I e AFA-III e le fimbrie P, che
permettono l’adesione all’epitelio uretrale e renale, mediante recettori nei globosidi associati ad α-D-
galattopiranosil (1,4)-β-D-galattopiranoside. Sono in grado di produrre, inoltre, emolisina HlyA ed il fattore
necrotizzante citotossico (CNF-1).
Infezioni intestinali
Le infezioni intestinali causano, ogni anno, la morte di 10 milioni di bambini sotto i 5 anni. Quasi un quarto
muore per infezioni diarroiche. La causa principale sono Shigella, Salmonella Typhi, Rotavirus, ETEC e
V.Cholera.
Le infezioni intestinali sono caratterizzate da diverse forme di diarrea:
1. Diarrea secretoria (o acquosa), caratterizzata da feci abbondanti acquose, senza sangue né pus, che
persiste nel digiuno. Localizzato nell’intestino tenue, è tipica di V.Cholerae ed ETEC.
2. Diarrea essudativa (o dissenteria), feci scarse ma frequenti, purulente con presenza di sangue. Tipica di
Shigelle, Entamoeba, Hystolytica, con sede d’infezione nell’ileo terminale e nel crasso.
3. Diarrea emorragica e/o acquosa, feci abbondanti, acquose, con presenza di sangue, con o senza pus.
L’infezione può aver sede nel tenue, se sostenuta da Salmonella, Campylobacter, Yersinia; mentre, se
sostenuta da E.Coli enteroemorragici, ha sede nel crasso.
I batteri enteropatogeni, aderiscono alla parete intestinale grazie a particolari fimbrie (Bundle forming – pili –
BFP) associate a ceppi gastroenterici. Una volta aderiti alla mucosa, possono attaccare le cellule secondo tre
schemi generali:
1. Produzione di enterotossine ed emolisine, caratteristico di ETEC, EAEC, EHEC, V.Cholerae, Clostridium
difficile;
2. Meccanismo di “Attacco e distruzione”, tipico di EPEC;
3. Meccanismo di “Attacco e distruzione”, invasione e proliferazione, caratteristico di EHEC, EIEC, alcune
specie di Salmonella e Shigella, Campylobacter jejuni, specie di Yersinia, C.difficile e Mycobacterium
tubercolosis.
In base al meccanismo patogenetico, si distinguono diversi gruppi di E.Coli:
• E.Coli enterotossigeni (ETEC);
• E.Coli enteropatogeni (EPEC);
• E.Coli enteroemorragici (EHEC);
• E.Coli enteroinvasivi (EIEC);
• E.Coli enteroaggreganti (EAEC).
E.Coli enterotossici (ETEC)
Rappresentano la principale causa di diarrea infantile nei paesi in via di sviluppo. Sono provvisti di adesine
specifiche per la mucosa intestinale, rappresentate da CFA-I e CFA-II, codificate da plasmidi. La loro azione
patogena si esplica attraverso la produzione di due enterotossine: la tossina tremolabile e la tossina termistabile.
La tossina tremolabile (LT), simile alla tossina colerica, è formata da
una subunità α e 5 subunità β che si legano ad un
monosialoganglioside (GMI). Il legame permette l’ingresso del
frammento A1, che catalizza l’ADP-ribosilazione della proteina Gs
che attiva l’adenilatociclasi. L’aumento del AMPc stimola la
secrezione di acqua ed elettroliti.

La tossina termostabile (ST) è una proteina di 18-19aa che si lega al recettore della guanilina, sulle cellule a
spazzola, stimolando la sintesi di GMPc. Questa stimolazione determina l’escrezione Cl- e acqua con conseguente
diarrea acquosa.
È la causa scatenante della comune “malattia del viaggiatore”, con un breve periodo d’incubazione (14-50h) e un
esordio dirompente. Si manifesta come diarrea acquosa, senza sangue, muco o pus. Negli adulti , la malattia è

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breve ed autolimitante (1-5gg), mentre nei bambini è più grave. La trasmissione avviene mediante cibo o acqua
contaminati; tuttavia, anche i portatori sani possono essere fonte di contagio. È necessaria un’elevata dose
infettiva (109-10 CFU/ml).
E.Coli enteropatogeni (EPEC)
Il meccanismo patogenetico di questi ceppi è detto di “Attacco e distruzione” (A/E), caratterizzato da:
• Distruzione dei microvilli;
• Aderenza all’epitelio intestinale, non fimbriata mediata dall’intimina;
• Formazione di un piedistallo;
• Aggregazione di astina polarizzata nel sito di adesione batterica.
Sono moderatamente invasive e non producono tossine. I determinanti genetici per la produzione della lesione
A/E sono localizzati in un’isola di patogenicità, che contiene i geni che codificano l’intimina, un sistema di
secrezione di tipo III (mediante il quale si trasferiscono molecole effettrici direttamente nella cellula) e il
translocated intimin receptor (Tir).
Nei veri ceppi EPEC, vi è
anche un grande plasmide,
l’EPEC adherence factor
(EAF) plasmid, che codifica
la formazione dei bundle-
forming pili (BFP). Questo
plasmide non è essenziale per
il meccanismo A/E.
Sono un’importante causa di
diarrea infantile nei bambini
sotto un anno di vita. Questa
diarrea è caratterizzata da
abbondante muco, senza
sangue o pus. Raramente è
patogeno nell’adulto.

E.Coli enteroinvasivi (EIEC)


Molto simili a Shigella, in quanto sono immobili e non fermentano il lattosio, si attaccano alla mucosa
dell’intestino crasso ed invadono le cellule per endocitosi. Dopo aver lisato il vacuolo di endocitosi, si
moltiplicano all’interno della cellula, che viene uccisa. La diffusione alle cellule adiacenti determina una notevole
distruzione della mucosa intestinale e una forte infiammazione.
La loro invasività è legata ad un’isola di patogenicità a
localizzazione plasmidica, che codifica per un fattore
d’invasività.
Gli stipiti enteroinvasivi, sono responsabili di una forma di
dissenteria, caratterizzata da febbre, crampi addominali e diarrea
inizialmente acquosa; poi muco-sanguinolenta con pus. Mentre
nei paesi in via di sviluppo si possono avere epidemie, nei paesi
sviluppati, le diarree sono legate a cibi contaminati.

E.coli enteroemorragici (EHEC)


Appartengono principalmente al sierotipo O157:H7 e sono la causa crescente di infezioni acquisite per via
alimentare. Il cibo più coinvolto è la carne macinata di manzo, infettata durante la lavorazione e consumata poco
cotta (malattia dell’hamburger). È sufficiente una carica batterica bassissima (ca. 50 batteri).
Sono simili ai ceppi EPEC, ma codificano anche per due potenti citotossine, le verotossine (o Shiga-like toxins), a
codificazione fagica.
Le tossine SLT-1 e SLT-2 si legano al globotriosilceramide (Gb3) e vengono introdotti nel citoplasma attraverso
endocitosi mediata da recettore. Il frammento A1 si lega ad un residuo di adenina nella parte 23S dell’rRNA della
subunità 60S. In questo modo viene bloccata la sintesi proteica e la cellula muore. La tossina Shiga-like,
nonostante abbia proprietà simili alla tossina shiga, è antigenicamente differente. Una volta distrutta la mucosa, la
tossina raggiunge il circolo ematico, attraverso il quale diffonde nell’organismo e legandosi a recettori sulle

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cellule endoteliali del colon, del rene e del sistema nervoso centrale. In questo modo causa una colite emorragica,
sindrome uremico-emolitica e complicazioni nervose.
Gli stipiti enteroemorragici sono in grado si produrre anche un’enteroemolisina, codificata da un plasmide (ehx).
E.Coli enteroaggreganti (EAEC)
Aderiscono per mezzo di pili e si aggregano con
formazione di biofilm mucoso. Una volta aggregati,
liberano una citotossina doversa, ma simile alle
enterotossine ST e LT. Causano una diarrea acquosa
con muco e sangue, associata a vomito, disidratazione
con rara febbre e dolori addominali.
I casi infantili persistono nei paesi in via di sviluppo e
si associano a ritardi della crescita.

SHIGELLA spp.
Comprende batteri invasivi, strettamente umani, immobili e divisi in 4 gruppi sulla base dell’antigene somatico O:
• Sierogruppo A, S. dysenteriae, comprendente 10 sierotipi;
• Sierogruppo B, S. flexneri, comprende 6 sierotipi;
• Sierogruppo C, S. boydii, comprendente 18 sierotipi;
• Sierogruppo D, S. Sonni
Mentre i gruppi B, C e D, fermentano la mannite, il gruppo A non è fermentante. Il gruppo D fermenta anche il
lattosio.
L’identificazione di laboratorio, si basa su reazioni di agglutinazioni su vetrino, mediante antisieri commerciali.
Le Shigelle sono l’agente eziologico della dissenteria bacillare (o Shigellosi), malattia caratterizzata da breve
periodo d’incubazione (1-3gg) e manifesta con violente e numerose scariche diarroiche mucosanguinolente, a cui
si associano febbre, crampi addominali, tenesmo, vomito e disidratazione. Si possono avere sequele reattive, come
sindrome di Reiter, artrite, sindrome uremico-emolitica. Il batterio è altamente contagioso in quanto richiede una
ridotta dose infettante (10-100 batteri); la trasmissione oro-fecale, può avvenire attraverso mani sporche, cibo,
acqua e superfici contaminate, pratiche sessuali.
Si registrano annualmente 164,7 milioni di infezioni da Shigella, di cui solo 1,5 mln, nei paesi industrializzati. Il
69% di tutti i casi riguardano i bambini sotto i 5 anni di età.
I principali fattori di virulenza sono:
• Resistenza all’acidità gastrica (gene KatF);
• Plasmidi di virulenza:
o Invasion Plasmid Antigens (Ipa), codifica per un complesso di proteine che induce l’endocitosi,
la moltiplicazione intracellulare e la lisi dei vacuoli endocitici nelle cellule epiteliali e macrofagi;
o Intercellular Spread Proteins (Ics), di due tipi, IcsA, induce la polimerizzazione dell’actina,
spingendo il batterio nelle cellule vicine; IcsB, chiude la membrana plasmatica dietro i batteri
invasori.
• Tossine:
o Shiga toxin, rende più grave la dissenteria, inibendo l’assorbimento di zuccheri e aa nel tenue. È
anche una neurotossina che provoca convulsioni, meningismo e coma. Risulta presente su
S.dysenteriae di tipo 1.
o ShET-1, presente sul cromosoma della S.flexneri 2a;
o ShET-2, localizzata su un plasmide e dimostrabile nell’80% delle Shigelle.
• LPS, importante in S.flexneri e S.sonnei
L’infezione da Shigella, inizia con l’attacco di pochi organismi alle cellule M associate a microfollicoli linfoidi
del colon. Endocitati dalle cellule M, i batteri sono depositati nello spazio subepiteliale, dove sono fagocitati dai
macrofagi. La liberazione di Il-1, richiama leucociti polimorfonucleati, cui segue l’apoptosi e liberazione dei
batteri nella superficie basolaterale. Le Shigelle infettano gli enterociti e, mediante la riorganizzazione dell’actina,
passano attraverso cellule adiacenti.

Per ora non sono disponibili vaccini, mentre la terapia antibiotica è richiesta solo nei casi gravi, ma sono in
aumento i casi di resistenza. Possibili farmaci antibiotici sono: ampicillina, sulfamidici e co-trimossazolo,
fluorochinoloni, aminoglicosidi, tetracicline, cloramfenicolo.
In casi di Shigellosi, è raccomandata la reidratazione con Sali, zuccheri, lievito in polvere, succo d’arancia o
acqua. È assolutamente vietato l’uso di antidiarroici in quanto peggiorano la situazione.

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SALMONELLA spp.
È un genere straordinariamente complesso dal punto di vista tassonomico. Esistono vari schemi classificativi,
basati su: denominazioni convenzionali, tipizzazione sierologia, ruolo clinico, caratteristiche biochimiche.
La nomenclatura principale, distingue cinque tipi:
• Salmonella typhi;
• Salmonella paratyphi A;
• Salmonella paratyphi B;
• Salmonella paratyphi C;
• Salmonella Typhimurium.
I principali fattori di virulenza di questa specie batterica sono:
• Endotossina, importante nella sopravvivenza intracellulare;
• Capsula, nella S.Typhi;
• Adesività, sia di tipo fimbriale che non;
• Sistemi di secrezione di tipo III e molecole effettrici, coinvolte nella penetrazione all’interno degli
enterociti e nella sopravvivenza all’interno dei macrofagi.
• Proteine di membrana più esterne, coinvolte nella sopravvivenza nei macrofagi;
• Flagelli;
• Enterotossine;
• Capacità di catturare il ferro.

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Le Salmonelle sono enterobatteri invasivi, responsabili di una varietà di condizioni patologiche, riconducibili
principalmente a due tipologie:
• Gastroenteriti (salmonellosi minori), sono le più frequenti, con tendenza all’autorisoluzione. L’infezione
resta limitata all’intestino;
• Febbri enteriche (tifo, paratifo e setticemia), conseguenza dell’espansione del processo infettivo a livello
sistemico con andamento anche grave.
Il batterio si muove attraverso la mucosa intestinale aderendo all’epitelio. Le proteine effettrici del sistema di
secrezione di tipo III media la penetrazione negli enterociti e nelle cellule M, attraverso l’endocitosi. La
salmonella si moltiplica all’interno dell’endosoma, il quale, successivamente, libera i batteri nella lamina propria.
A questo livello avviene la fagocitosi da parte dei macrofagi.
Nelle gastroenteriti, le salmonelle inducono una potente e rapida risposta infiammatoria che ne previene la
diffusione extra-intestinale e alla fine le uccide. Il serbatoio è rappresentato da animali selvatici e domestici,
pertanto si tratta di una zoonosi. Sono causate da sierotipi ubiquitari, trasmessi per via orale ed alimentare,
attraverso la carne cruda di maiale, insaccati, prodotti caseari, pollame e uova, pesci e molluschi. La dose
infettante è elevata, 188-10 CFU/ml.
Nelle febbri enteriche, le salmonelle diffondono prima che la risposta infiammatoria sia abbastanza forte da
eliminarle, sicché, prevalgono i sintomi sistemici. In questo caso, il serbatoio è soltanto l’uomo (antroponosi),
soprattutto nel caso di S. typhi. Alla base di questi febbri vi sono sierotipi adattati all’uomo, trasmessi in maniera
oro-fecale, attraverso acque non potabili, vegetali consumati crudi, molluschi raccolti da acque contaminate. La
carica batterica necessaria è inferiore rispetto a quella delle gastroenteriti.
Uomo
(malato o portatore asintomatico)
asintomatico)

Feci
Mani, posate, Acque superficiali,
attrezzi da cucina, Ambiente fiumi, estuari,
mosche mare
Alimenti,
acqua da bere

Uomo
Il tifo addominale, o febbre tifoide, è la più grave conseguenza dell’infezione da salmonella. L’uomo rappresenta
l’unico serbatoio e il contagio può avvenire in modo diretto o indiretto. Lo stato di portatore è comune e può
durare più di un anno.
In seguito all’ingestione di cibi contaminati, si ha la prima colonizzazione dell’epitelio intestinale. Attraverso i
vasi linfatici, i batteri possono raggiungere il fegato e moltiplicarsi nei macrofagi in esso localizzato. In questa fae
si ha una batteriemia primaria, che è transitoria. In seguito alla moltiplicazione nei macrofagi, si può avere una
batteriemia secondaria che determina febbre e infezione renale. In alternativa, attraverso la bile, i batteri possono
raggiungere nuovamente l’intestino e colonizzarlo secondariamente, causando infiammazione ed ulcerazione delle
placche di Peyer, con conseguente diarrea, emorragie e perforazione intestinale. In questo caso, i batteri vengono
eliminati con le feci, divenendo disponibili per un eventuale contagio.
Nella diagnosi di S.Typhi e paratyphi è importante il
campione su cui si effettua la ricerca. L’emocultura è
Emocoltura Anticorpi sierici positiva nella prima settimana, dopodichè diviene
(Widal) negativa. Le feci, e qualche volta, le urine, sono
positive dopo la seconda settimana.
La reazione di Widal è il test sierologico per
evidenziare anticorpi contro S.Typhi e si basa
Coprocoltura sull’agglutinazione. Nel passaggio dalla fase acuta a
quella convalescente, il titolo anticorpale aumenta di
circa 4 volte. Si può diventare portatori per lunghi
periodi, per la persistenza dei batteri nella cistifellea.

Urinocoltura

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Per quanto riguarda la prevenzione ed il trattamento delle salmonellosi, non esistono vaccini per le gastroenteriti,
mentre ne esistono alcuni parzialmente efficaci per le febbri enteriche. Le gastroenteriti, di solito non richiedono
un trattamento antibiotico né antidiarroico. In alcuni pazienti può essere indicato un trattamento per ripristinare
fluidi ed elettroliti. Per quanto riguarda le febbri enteriche, l’antibiotico classico per il tifo ed il paratifo è il
cloramfenicolo. Alternative sono rappresentate da ampicillina, ceftriaxone, ciprofloxacina, co-trimossazolo,
utilizzate anche nella bonifica del portatore. Sono variamente diffuse ed in aumento resistenze a tutti questi
antibiotici.
Procedura per la coprocultura
Semina diretta del campione (feci) o di tampone rettale su:
• Terreni selettivi;
• Brodo di arricchimento selettivo, come Selenite brodo, contenente biselenito sodico, teratogeno, usato per
Salmonella e Shigella;
• Incubazione per 18-24h a 35°C;
• Analizzare le colonie con i requisiti idonei cresciute sui terreni;
• Seminare dal terreno di arricchimento sui terreni selettivi.

DIAGNOSI DI LABORATORIO PER LE ENTEROBACTERIACEE


La maggior parte delle enterobatteriacee cresce bene su tutti i terreni utilizzati in laboratorio. Non esistono terreni
selettivi per una sola specie patogena o non patogena.
La maggior parte dei terreni utilizzati per l’isolamento delle Enterobatteriacee è selettivo per la presenza di
coloranti e Sali biliari, che inibiscono la crescita di G+, e differenziale, sulla base di alcune caratteristiche
biochimiche dei patogeni enterici, come la fermentazione.
Per quanto riguarda EPEC ed ETEC, la diagnosi di laboratorio, si fa mediante:
• Indagini comuni svolte in laboratorio:
o Semina su normali terreni di coltura;
o Agglutinazione con siero specifico per EHEC O157:H7;
o Ricerca delle tossine LT e ST
• Indagini specifiche svolte mediante test molecolari immunologici e biologici.
I terreni più comunemente usati sono:
• Hektoen enteric Agar (Salmonelle e Shigelle);
• Bismuto solfito Agar (S.typhi e non Shigelle);
• Xylose lysine deoxycholate (Salmonellae e Shigellae);
• SS Agar

Hektoen Agar Xiloso Lattoso Destroso Agar (XLD agar)

Tipizzazione
Mediante agglutinazione degli antigeni superficiali dei batteri con antigeni specifici per Shigellae e Salmonellae:
• Antigeni per le Shigellae specie-specifici
o O-lipopolisaccaridi somatici;
• Antigeni per Salmonellae:
o O-lipopolisaccaridi somatici;
o H-Flagelli – proteine;
o K-capsulari – polisaccaridi

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CAMPYLOBACTER spp.
Sono:
• bacilli G-;
• di forma curva o elicoidale;
• mobili in quanto provvisti di uno o due flagelli
polari;
• asporigeni;
• non fermentano alcuno zucchero, ma ottengono
energia dagli aminoacidi o da metaboliti intermedi
degli acidi tricarbossilici;
• ossidasi-positivi.
• microaerofili, richiedono basse concentrazioni di
ossigeno (3-15%).
Crescono bene nei comuni terreni di coltura, tuttavia hanno una crescita lenta. Presentano antigeni O, che
permettono l’identificazione sierotipica, antigeni capsulari tremolabili e flagellari. La classificazione odierna, su
basi molecolari, distingue 15 specie patogene sia per l’uomo che per gli animali.
I serbatoi è rappresentato da animali da allevamento, di cui colonizzano il tratto intestinale. Il più importante
serbatoio per le infezioni umane è rappresentato dai volatili d’allevamento.
Esistono varie specie patogene per l’uomo, tra cui:
• Campylobacter jejuni, maggior responsabile di gastroenteriti negli Stati Uniti;
• Campylobacter coli, è il maggior responsabile di gastroenteriti nei paesi in via di sviluppo;
• Campylobacter fetus, responsabile di infezioni sistemiche, come batteriemie, artriti, meningiti.
I fattori di virulenza dei Campylobacter sono:
• Flagelli che ne permettono la motilità;
• Fimbrie di adesione;
• Internalizzazione, l’1% è in grado di modificare l’attività del citoscheletro mediando l’internalizzazione;
• Endotossina;
• Competizione nel metabolismo del ferro;
• In C.jejuni sono state evidenziate anche:
o Due enterotossine, che aumentano AMPc, causando diarrea;
o cytolethal distendine toxin (CDT), tossina citolitica che determina la presenza di sangue nelle
feci.
Camylobacter jejuni
Microrganismo fragile, è presente nel pollame d’allevamento. Risulta microaerofilo e si moltiplica solo a 35-
45°C. Facilemente eliminabile mediante la pastorizzazione, determina tre quadri diarroici:
1. senza invasione;
2. dissenteria con distruzione cellulare;
3. febbre enterica con diffusione linfatica.
Può causare febbre oltre i 40°C.

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La trasmissione dei ceppi enterici (C.jejuni e C.coli) può avvenire per contatto con animali infetti (zoonosi), con
acque e prodotti caseari contaminati, pollo non cotto bene, rapporti sessuali. Per quanto riguarda i ceppi sistemici
(C.fetus), la trasmissione può avvenire per disattenzione nella manipolazione di emoculture positive, in soggetti
immunosoppressi, negli anziani.
I campilobatteri possono essere coinvolti nell’insorgenza di patologie autoimmuni post-infettive:
• Sindrome di Reiter, implica l’infiammazione di articolazioni (artrite), spina dorsale, congiuntivite, e dei
genitali, oltre a sistema urinario, gastroenterico e cuore. Si può presentare come: artrite psoriatica,
spondilite anchilosante, malattia artritica di Crohn e colite ulcerativa.
• Sindrome di Guillain-Barré, polinevrite articolare acuta, che determina paralisi progressiva agli arti,
prima inferiori. Nelle forme iperacute, si arriva ad una paralisi totale in 24h.

La diagnosi di laboratorio si basa sulla ricerca colturale dei campilobatteri nel materiale fecale, per C.jejuni e
coli, mentre da campioni ematici per C.fetus. Se il campione non può giungere in laboratorio entro 2h, il trasporto
va effettuato con terreno Cary-Blair.
Le coprocolture devono essere incubate a 42°C in modo da inibire la
crescita della maggior parte delle altre specie che colonizzano il
colon. Le emoculture possono essere incubate a 37°C.
Il terreno di coltura è un Blood Agar, arricchito con sangue di
montone o cavallo al 5-7%. Altri supplementi di crescita sono sodio
piruvato, sodio metabisolfito, solfato ferroso. La creazione di terreni
selettivi si effettua con l’aggiunta di antibiotici a cui i
Campylobacter sono notoriamente resistenti, come vancomicina,
polimixina B, amfotericina B e trimethoprim.
Il terreno più utilizzato è il terreno di Skirrow, che contiene proprio
vancomicina, trimethoprim e polimixina B. L’incubazione deve
avvenire in atmosfera con 5-6% di Ossigeno e 10% di CO 2 , per 48-
72 ore.
Le colonie vengono assegnate ai Campylobacter sulla base della morfologia al vetrino Gram e sulla positività del
test dell’ossidasi. L’identificazione di specie avviene su base biochimica.

La maggior parte dei pazienti guarisce senza trattamento. Sono normalmente sensibili ai macrolidi (l’eritromicina
è considerato il farmaco di elezione, claritromicina e azitromicina), penicilline ad ampio spettro (ampicillina).
Ultimamente è in aumento la resistenza ai fluorochinoloni. Nelle infezioni sistemiche è usata anche la
gentamicina.
La prevenzione si effettua mediante una buona cottura delle carni e del pollame e mediante la corretta
pastorizzazione dei prodotti caseari.

HELICOBACTER PYLORI
L’helicobacter pylori è un patogeno specifico umano, in grado di colonizzare cronicamente la mucosa gastrica e
duodenale, correlato all’insorgenza di gastrite antrale e conseguente ulcera gastrica.

• Bacillo G- a spirale;
• Lunghezza di 2,5 – 5 μm, diametro 0,5 μm;
• Mobile, per la presenza di 5-6 flagelli mono o bipolari;
• Ossidasi e catalasi positivi;
• Microaerofilo.
Il suo pH ottimale è 6.0 – 7.0. Cresce lentamente in terreni di coltura
complessi. Non ha un caratteri invasivo, ma si moltiplica nel muco che
ricopre la mucosa gastrica. Non viene eliminato dalla risposta immunitaria.
Esistono circa 10 specie, distinte in:
• Gastrici:
o H. Pylori, nell’uomo;
o H. mustelae, furetto;
o H. felis, gatto.
• Intestinali:
o H.canis, nel cane;
o H. hepaticus, nei roditori;
o H. pullorum, uccelli.

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Helicobacter Pylori
Circa due terzi della popolazione mondiale è infettata da
H.Pylori e nei paesi in via di sviluppo, la percentuale è più alta
nella prima infanzia. L’infezione è più comune nella razza
ispanica e nera.
L’uomo sembra essere l’unico serbatoio, tuttavia non si esclude
un serbatoio ovino, in quanto il bacillo è stato isolato nel latte di
pecora, e nei pastori la percentuale dei casi è più alta.
La trasmissione può avvenire per via oro-fecale, in quanto sono
stati isolati organismi in feci e acque contaminate, nei paesi in
via di sviluppo. Altra via d’infezione è di origine iatrogena in
seguito a manovre endoscopiche.
La maggior parte delle infezioni sono correlate alla scarsa
igiene.
I principali fattori di patogenicità dell’H. Pylori sono:
• Flagelli che permettono la motilità e la penetrazione nello strato di muco;
• Proteina di adesione non fimbriata BabA, che riconosce e lega l’antigene B di Lewis, antigene del
gruppo sanguigno espresso sulle cellule della mucosa gastrica.
• La porzione glicidica del LPS presenta sequenze simili all’Antigene Lewis X e Y – cellule della mucosa
gastrica, in grado di indurre una risposta anticorpale autoimmune che determina un danno della mucosa.
• Enzimi:
o Ureasi, idrolizza l’urea dello stomaco, producendo ammonio, che neutralizza gli acidi gastrici,
proteggendo il batterio. Il cloruro di ammonio e la monocloramina danneggiano direttamente le
cellule. Questo enzima, rappresenta un antigene in grado di richiamare neutrofili e monociti che
attivano una risposta infiammatoria che aumenta il danno cellulare;
o Proteina acido-inibitoria, inibisce la secrezione di acido da parte delle cellule parietali dello
stomaco.
o Fosfolipasi A e B, alterando il contenuto fosfolipidico della zona protettiva del fondo gastrico, in
modo da modificarne la permeabilità, permette agli acidi e agli enzimi digestivi di raggiungere
l’epitelio.
o Catalasi, antiossidante, protegge i microrganismi dai metaboliti dell’ossigeno prodotti dalla
risposta dei neutrofili.
o Proteina heat-shock, aumenta l’espressione di ureasi ed è co-espressa con questa sulla superficie
batterica.
• Tossine:
o Citotossina associata al gene A (CagA), associata ad un’isola di patogenicità, codifica per un
sistema secretorio di tipo IV che consente l’eliminazione all’esterno della tossina vacuolante. I
batteri CagA- hanno il gene VacA, ma non eliminano la tossina vacuolante. Determina la
produzione di IL-8 da parte delle cellule gastriche, che richiamano neutrofili e monociti.;
o Citotossina vacuolante A (VacA), è capace d’indurre la formazione di canali selettivi per gli
anioni, con conseguente sbilanciamento osmotico di vari compartimenti.
La secrezione di VacA e l’iniezione di CagA nelle cellule, determina la liberazione di citochine chemiotattiche
che aumentano la risposta infiammatoria cellulare nella zona.

L’infezione da H.Pylori presenta una fase iniziale in cui il batterio, attraverso la produzione di ureasi, neutralizza
l’acidità dello stomaco, e grazie alla motilità mediata da flagelli, il batterio penetra nello strato mucoso.
L’adesione alle cellule gastriche, mediata dalla adesina BabA, rende il batterio insensibile ai movimenti
peristaltici.
Una volta che il batterio ha aderito alle cellule,
produce e rilascia le tossine. Si distinguono due tipi
di H.Pylori:
• Tipo I, sono VacA+ CagA+, determinano
l’evoluzione ulcerosa della malattia;
• Tipo II, VacA+ CagA-, l’evoluzione della
patologia è benigna.

11
Dopo l’adesione, CagA viene secreto nello spazio intracellulare mediante il sistema secretorio di tipo IV.
La proteina, una volta traslocata, si localizza sulla membrana plasmatica e viene attivata mediante fosforilazione
da parte di una tirosin-chinasi, SRC-family. La CagA attivata, si lega specificatamente alla proteina SHP2,
oncoproteina. Questa proteina trasmette segnali positivi sulla crescita, e la sua deregolazione determina l’avvio
della crescita neoplastica.
Quasi tutti i soggetti che hanno un’infezione da Helicobacter Pylori, presentano un’infiammazione gastrica
cronica, in genere asintomatica. I sintomi, in genere, si manifestano come conseguenza della progressione
dell’infiammazione. Le possibili conseguenze comprendono: ulcera duodenale (80-95%), ulcera gastrica (60-
95%), dispepsia (20-60%), carcinoma gastrico (70-90%).
La diagnosi si effettua sulla base dell’isolamento del
batterio mediante biopsia, che deve essere trasportata su
terreno di trasporto Stuart. La conservazione è effettuata
in Cisterna Brucella brodo al 20% di glicerolo, e
congelata a -70°C fino al momento dell’analisi. Uno dei
terreni più usati è il terreno di Skirrow, con un alto grado
di umidità. Altri test utilizzati sono quelli per l’ureasi, che
in questo caso risulterà positivo e delle indagini
sierologiche con anticorpi Anti-CagA.
È possibile usare anche il “test del respiro” per
evidenziare la produzione di ureasi.

La terapia correntemente usata per l’eradicazione di H.Pilory è un inibitore della pompa protonica (bismuto),
combinata con due antibiotici, claritromicina e amoxicillina (o, in caso di allergie, metronidazolo). Se gli
antibiotici non funzionano, si ricorre all’antibiogramma.
Vaccini ancora non esistono, ma possono essere utili gli inibitori dell’adesione:
• Succo di mirtilli;
• Alga marina Cladosiphon Fucoidan;
• I frutti della pianta dell’ocra.

12
Vibrioni
I vibrioni, sono:
• Bacilli G-;
• Altamente mobili, in quanto provvisti di un flagello polare;
• Asporigeni;
• Non capsulati;
• Aerobi-anaerobi facoltativi;
• Ossidasi +
Sono in grado di fermentare alcuni zuccheri e
producono indolo. Sono alotolleranti e crescono bene
in terreni a pH alcalino (8-9).
L’habitat naturale dei vibrioni è rappresentato dalle
acque superficiali di tutto il mondo. Sono altamente
adattabili alle variazioni climatiche.

I vibrioni che interessano la patologia umana, sono rappresentati da:


• Vibrio cholerae, causa del colera asiatico;
• Vibrio parahaemolyticus, determina gastroenteriti;
• Vibrio vulnificus, infezioni di ferite, setticemie;
• Vibrio algynolyticus.
Le infezioni avvengono per contatto diretto con l’ambiente acquatico o indiretto, per ingestione di acqua o
alimenti contaminati.
Diagnosi di laboratorio
I vibrioni non hanno la tendenza a diffondere oltre la mucosa intestinale, pertanto la ricerca si effettua solo su
materiale fecale. La certezza diagnostica si ottiene mediante isolamento colturale ed identificazione sierologia dei
vibrioni colerigeni.
1. Per l’arricchimento, il materiale fecale viene posto in una soluzione peptonata alcalina (ph 8,5-9) per 6-
8h;
2. successivamente si procede all’insemenzamento di piastre di Agar, addizionato con taurocolato sodico e
tellurito di potassio, che inibisce la maggior parte dei G-.
Un altro terreno selettivo è il TCBS (Tiosolfato Citrato Sali di Bile Saccarosio Agar). Alcune specie di vibrioni,
necessitano di Sali nei terreni di coltura (V. parahaemolyticus).
L’identificazione si effettua su base biochimica, in quanto i vibrioni sono catalasi e ossidasi-positivi, producono
abbondante indolo e riducono i nitrati, fermentano il saccarosio e la mannite. Sensibilità O/129.
Successivamente si passa alla sierotipizzazione mediante sieri monospecifici.

VIBRIO CHOLERAE
Sulla base dell’antigene somatico O, la specie V.Cholerae può essere divisa in oltre 200 sierogruppi riconosciuti. I
sierogruppi O1 e O139 (“Bengala”), causano il colera e sono distinguibili secondo tre sierotipi: Ogawa, Inaba e
Hikojima. Questi sierotipi possono presentare caratteri biologici che permettono di distinguere due biotipi:
classico ed “el-tor”.
Gli antigeni flagellari H, sono gli stessi in tutti i membri della specie.

1
Il V.Cholerae, per dare la patologia, richiede un’elevata carica batterica (108-1010 CFU/ml). Devono tuttavia
essere presenti fattori, naturali o terapeutici, che riducono l’acidità gastrica. L’infezione ha sede nelle prime
porzioni del tenue, ma la mucosa non viene distrutta. Il principale fattore di patogenicità è la tossina colerica, ma
l’adesione avviene per mezzo di pili (TCP).
Il colera può manifestarsi in maniera variabile, da una colonizzazione asintomatica, ad una diarrea fatale. La
patologia è rappresentata da un’enterite, caratterizzata da un esordio improvviso con diarrea e vomito, e attacchi di
diarrea acquosa e aspetto opalescente (“chicco di riso”) che possono ammontare a 8-15 l/die. L’abbondante
perdita di liquidi provoca una rapida disidratazione, seguita da acidosi metabolica, squilibrio della bilancia
elettrolitica, shock emodinamico e collasso renale.
L’enterite colerica, fa seguito all’ingestione di cibo e bevande contaminate, e il batterio ha un breve periodo
d’incubazione (1-4gg). La morte colpisce il 50% dei soggetti non trattati.
Il trattamento consiste nella reintegrazione dei liquidi e degli elettroliti, che avviene per via orale ma, nei casi più
gravi (vomito o perdita di peso >10%), anche per via endovena. L’utilizzo di antibiotici, tra cui, tetracicline,
cloramfenicolo, streptomicina e sulfamidici è utile per abbreviare il decorso decorso della malattia, ridurre la
perdita di liquidi e i sintomi.

I fattori di virulenza del V.Cholerae sono di due tipi:


• fattori di colonizzazione, che comprendono:
o Toxin Coregulator Pilus (TCP), omodimero formato da 7 filamenti strettamente associati,
codificato dal gene tcp. I ceppi tcp– sono avirulenti. La sua espressione è sotto il controllo del
gene ToxR.
o Accessory Colonization Factor, è un’adesina codificata dal gene acf;
o Hemagglutination – Protease, con azione distaccante, codificata da hap.
• Tossine:
o Tossina colerica (TC), codificata dai geni ctxA e ctxB, causa ipersecrezione di acqua ed
elettroliti;
o Zonula Occludens Toxin (ZOT), aumenta la permeabilità della mucosa ed è codificata dal gene
zot;
o Accessory Cholerae enterotoxin (ACE), codificata dal gene ace, aumenta la perdita di liquidi;
o Emolisina, codificata dal gene hlyA, è presente nel biotipo El Tor.
La trascrizione dell’operon CTX è controllata da alcuni geni che “rispondono” alle variazioni dei segnali
ambientali. Gli operoni ctx e tcp sono coregolati dal Tox Regulon, che comprende:
• ToxR, proteina sensore transmembrana, attivatore della trascrizione di ctx;
• ToxS, proteina adiuvante la sintesi e la funzione di ToxR;
• ToxT, proteina di regolazione che attiva la trascrizione di tcp.
L’attivazione di questo regulon aumenta l’espressione di CT, TCP e ACE.

La tossina colerica è una tipica esotossina a due componenti,


che consiste di una subunità A e 5 subunità B che si dispongono
a formare un anello pentamerico con un poro centrale (1-5 nm
diametro).
L’attività della tossina dipende dal legame della subunità B ai
gangliosidi GM1. La subunità A è formata da due peptidi legati
da un ponte disolfuro: il peptide A1 svolge l’attività tossica,
mentre il peptide A2 serve da legame con la subunità B.
L’interazione con il recettore di membrana, determina
l’endocitosi della tossina. La vescicola viene processata,
raggiungendo il reticolo endoplasmatico, dove viene attivato il
peptide A1.
Questo peptide, ha un’attività ADP-ribosilante che, agendo
sulla subunità α della proteina Gs, inattiva il sistema di
regolazione dell’adenilato ciclasi. Questo enzima diventa
costitutivamente attivo con aumento della [cAMP]i.

Il colera in forma epidemica si diffonde per mezzo di acqua contaminata, prediligendo gli estuari dei fiumi in cui
la salinità è intermedia. La trasmissione diretta interumana non è comune a causa dell’elevato inoculo necessario
per la manifestazione della malattia.

2
Le pandemie di colera dell’era moderna:
• 1817 – 1823
• 1829 – 1851
• 1852 – 1859
• 1863 – 1879 (Italia, 1866)
• 1881 – 1896 (O1 classico)
• 1899 – 1923 (O1 classico)
• 1961 (O1 El Tor) in questa pandemia, grave è stata l’epidemia che ha colpito il Sudamerica, causando
6500 morti. Pare che sia iniziata in Perù, con tre focolai distinti.
• Nel 1992 si è scatenata un’epidemia in Bangladesh e India, che si diffuse nel sud-est asiatico. Questa
epidemia aveva come causa un nuovo sierotipo: V.Cholerae O139 Bengal.

La prevenzione si attua mediante un miglioramento delle condizioni igieniche. L’immunizzazione con cellule
morte non è efficace, ma sono in corso di sperimentazione nuovi vaccini orali con microrganismi attenuati (ceppo
Inaba 569, privato del gene tcxA). Una dose di vaccino fornisce una copertura di 6 mesi, tuttavia, nessun vaccino
è protettivo verso il sierotipo O139.
Secondo l’OMS, la vaccinazione non è obbligatoria per chi si reca nei paesi endemici. È sufficiente una dose di
vaccino se richiesto dalle autorità locali.

VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS
Tipico dell’ambiente marino costiero, è presente nelle aree tropicali
e temperate (15-43°C), ma può sopravvivere nelle stagioni fredde,
nei sedimenti lungo la costa. Solo l’1-2% dei ceppi isolati è
patogeno ed è produttore di emolisina.
Questo ceppo causa gastroenteriti acute, in genere autolimitanti (3-
8gg), di norma, conseguenti alla consumazione di pesci, molluschi,
ostriche, crudi o poco cotti. È una patologia rilevante in Giappone,
che ha causato epidemie anche in Europa: Francia 1997; Spagna
1999 e 2004.
La prima manifestazione diarroica si verifica dopo 24h
dall’ingestione, cui fa seguito mal di testa, crampi addominali,
nausea, vomito e febbre per 72h o più.
Si possono avere infezioni di ferite in soggetti esposti ad acqua di mare.
Il trattamento si effettua con l’uso di tetracicline.

VIBRIO VULNIFICUS
È una specie autoctona dell’ambiente marino costiero, alofilo,
sensibile alle basse temperature e con caratteristiche invasive.
Le principali manifestazioni cliniche sono:
• Setticemia primaria, associata al consumo di ostriche crude,
causa morte nel 50% dei casi non trattati. I casi più gravi si
hanno in soggetti immunodepressi o con malattia epatica.
• Infezione di ferite, con una letalità del 22%.
La terapia è aggressiva e fa uso di tetracicline.

3
Pseudomonas e altri Gram- fermentanti

• Bacilli G-;
• Mobili per la presenza di un flagello polare;
• Non fermentanti, in grado di metabolizzare i carboidrati attraverso vie metaboliche ossidative;
• Aerobi stretti, ma in condizioni anaerobi richiedono nitrati
• Ossidasi positivi
• Asporigeni;
• Mesofili, temperatura ottimale 30-37°C;
• Crescono bene nei normali terreni di coltura.
La classificazione è fatta sulla base delle sequenze di rRNA e si distinguono 5 gruppi. Il rappresentante più
importante del primo gruppo è lo Pseudomonas aeruginosa.

PSEUDOMONAS AERUGINOSA
Le specie di Pseudomonas sono ubiquitarie, presenti nel suolo e nelle acque, in grado di colonizzare piante e
animali, compreso l’uomo. Le scarse esigenze nutritive ne consentono la sopravvivenza in ambienti diversi.
Inizialmente nominato Bacillus pyocianeus, per la colorazione blu-verde delle secrezioni delle ferite infette, nel
XX secolo assunse l’attuale denominazione.
È un patogeno opportunista, che può colonizzare
transitoriamente, le prime vie aeree e l’intestino. Il
personale sanitario e i pazienti possono rappresentare
sorgenti d’infezioni nosocomiali, anche se, le normali
difese aspecifiche sono in grado di prevenire l’infezione.
Le infezioni da Pseudomonas sono una delle più frequenti
e temibili complicanze infettive di ferite ed ustioni; può
determinare follicolite, otiti esterne ed ulcera corneale.
Inoltre, può determinare endocardite e osteomielite del
calcagno. Se le difese dell’organismo sono seriamente
compromesse (AIDS, trapianti, neoplasie), P.Aeruginosa,
può invadere l’organismo intero.

Le principali infezioni nosocomiali da P.Aeruginosa sono:


• Tratto respiratorio:
o Polmoniti primarie;
o Polmoniti croniche, in pazienti con fibrosi cistica;
• Setticemie, con manifestazioni cutanee ed elevata mortalità;
• Cute ustionata, limitata o disseminata;
• Tratto urinario;
• Endocardite da protesi valvolare;
• Infezioni osteo-articolari;
• Infezioni gastrointestinali;
• Infezioni del S.N.C.
I ceppi che causano polmoniti croniche in
soggetti con fibrosi cistica, sono in grado di
produrre alginato, una capsula polisaccaridica,
che conferisce, alle colonie, un aspetto mucoso
e un potere antifagocitario. Questo
polisaccaride facilita i processi di adesione e
colonizzazione, con conseguente produzione di
un biofilm. Nel tempo, questo biofilm diviene
stabile ed ispessito, andando incontro a
calcificazione, che rende l’alveolo inattivo.

1
L’azione patogena di P.Aeruginosa, è sostenuta da numerosi e diversi meccanismi. Tra le componenti strutturali,
abbiamo:
• Capsula, costituita da esopolisaccaridi e adesine non fimbriali, conferisce potere antifagocitario, adesione
ed inibizione di antibiotici. (aminoglicosidi).
• Adesine, costituite da fimbrie che permettono l’iniziale colonizzazione dell’epitelio respiratorio.
• LPS, con ridotta attività endotossica;
• Piocianina, fortemente chemiotattica, stimola la risposta infiammatoria e induce danno tissutale, per
produzione di radicali liberi dell’ossigeno. Presenta, inoltre, attività ciliostatica.
Tra le tossine prodotte dai ceppi di P.Aeruginosa, abbiamo:
• Esotossine A e S, inibiscono la sintesi proteica mediante la loro attività ADP-ribosilante, la prima agendo
sull’elongation factor 2, la seconda sulle proteine del citoscheletro;
• Leucocidina, citotossina che, provocando la rottura dei lisosomi, causa lo svuotamento del loro contenuto
nel citosol;
• Fosfolipasi C, termostabile, agisce da emolisina;
• Elastasi, distrugge i tessuti che contengono elastina e collagene, e degrada i fattori proteici di difesa.
• Proteasi alcalina, inattiva interferone e TNFα;
• Ramnolipidi, ad elevate concentrazioni, ha un’azione letale sui fagociti e rappresenta un fattore
ciliostatico;
• Antibiotico-resistenza
Gli stipiti di P.Aeruginosa, producono due tipi di pigmenti:
• Pigmenti idrosolubili non fluorescenti:
o Piocianina (blu-verde);
o Piorubina (rosso);
o Piomelanina (bruno)
• Pigmenti fluorescenti:
o Pioverdine
La diagnosi viene fatta mediante isolamento in coltura primaria da
materiali patologici in esame. Sono poco esigenti e formano colonie
lattosio non fermentante in Agar MacConkey. L’identificazione
presuntiva si effettua in base alla morfologia delle colonie, produzione di
pigmenti diffusibili, odore fruttato e test dell’ossidasi.
La crescita a 42°C discrimina P.Aeruginosa da P.fluorescens e P.putida.
Lo P.aeruginosa risulta insensibile ai più comuni antibiotici:
• Penicilline (ampicillina, AUG, SAM);
• Cefalosporine di 1° e 2° generazione;
• Macrolidi, tetracicline e cloramfenicolo;

I ceppi responsabili di infezioni nosocomiali, presentano uno spettro di resistenza agli antibiotici più ampio
rispetto ai ceppi comunitari. È frequente lo sviluppo di resistenza durante la monoterapia con penicilline
specifiche, quali ceftazidime o ciprofloxacina. Questa multiresistenza richiede lo studio dell’antibiogramma. Nei
ceppi multiresistensi, è consigliata una combinazione sinergica di un aminoglicoside e un β-lattamico anti-
Pseudomonas.
Gli stipiti di P.Aeruginosa risultano resistenti anche ai più comuni disinfettanti e perciò persistono nell’ambiente
ospedaliero.

Altri batteri correlati a P.Aeruginosa, causa di infezioni umane, sono:


• Stenotryophomonas maltophilia;
• Burkholderia Mallei;
• Burkholderia Pseudomallei

ACINETOBACTER spp.
Patogeno emergente, causa di infezioni nosocomiali. È un bacillo G-, non fermentante e immobile. Ossidasi
negativo.
Il rappresentante principale di questo famiglia è l’Acinetobacter baumani, patogeno opportunista, responsabile di
polmonite, batteriemie, infezioni delle vie urinarie. La manifestazione clinica più frequente è la polmonite
associata a ventilazione assistita.

2
Presentano un elevato livello di resistenza intrinseca agli antibiotici; le sostanze più attive restano i
carbapenemici.

3
Haemophilus
Nelle colture di emofili, il sangue è indispensabile in quanto rappresenta la sorgente di due fattori che questo
gruppo di batteri non è in grado di sintetizzare.
Questi due fattori sono rappresentati:
• Fattore X, cioè il gruppo eme, necessario alla sintesi di enzimi epinici;
• Fattore V, che è il NAD (o NADP), accettore di idrogeno, utilizzato in moltissime deidrogenasi.
Alcuni emofili richiedono la presenza di entrambi questi fattori, pertanto le colture devono essere arricchite con
sangue riscaldato (agar-cioccolato) in modo da rilasciare questi fattori ed inattivare l’inibitore del fattore V.
Le specie patogene più importanti sono rappresentate da:
• Haemophilus Influenzae
• Haemophilus Ducrey;
• Haemophilus Aegyptus.
Accanto a queste specie patogene, ne esistono altre che rientrano nella categoria dei patogeni opportunistici:
• H. haemolyticus;
• H.parainfluenze;
• H.aphrophilus.

HAEMOPHILUS INFLUENZAE
Sono cocco-bacilli G- di piccole dimensioni (0,3-2
μm). Tuttavia presentano un notevole pleiomorfismo,
per cui sono distinguibili anche forme bacillari e
filamentose.
• Asporigeni;
• Capsulati al momento dell’isolamento e dà
luogo a colonie lisce (colonie S). In seguito
alla coltura in vitro, si selezionano
rapidamente varianti sprovviste di capsula che
formano colonie rugose (colonie R);
• Aerobi anaerobi facoltativi;
Dal punto di vista antigenico, la struttura più
importante è la capsula, formata da poli-ribitol-fosfato
(PRP). Il polisaccaride capsulare consente di
distinguere H.influenzae in sei diversi tipi sierologici (a
– f), ed uno acapsulato. L’identificazione avviene
mediante prove di agglutinazione passiva e di
rigonfiamento capsulare.
I ceppi non capsulati possono causare sinusiti, otiti medie, polmoniti, trachebronchiti acute. Tra i ceppi capsulati,
il più importante è il tipo b (Hib) che provoca:
• meningiti,
• laringiti con edema della glottide (epiglottidite);
• polmoniti;
• artrite settica;
• vasculite;
• cellulite nell’infanzia.
I fattori di virulenza di H.influenzae sono rappresentati da:
• capsula, provvista di attività antifagocitaria. I ceppi che colonizzano le prime vie aeree ne sono
sprovvisti;
• lipooligosaccaridi della parete (LOS), danneggiano l’attività delle cilia, permettendo la traslocazione dei
batteri attraverso le cellule della mucosa fino al circolo sanguigno. Sono in grado di aumentare la
permeabilità della barriera ematoencefalica.
• Pili, favoriscono l’adesione
• IgA1-proteasi, facilitano la colonizzazione delle mucose.
La capsula contiene inoltre due antigeni proteici detti M e P.

1
La trasmissione del batterio avviene per via respiratoria. Aderendo mediante i pili alla mucosa nasale, attraverso le
cellule epiteliali ed entra in circolo. Se la capsula è di tipo b, il batterio dissemina. Nell’ambiente esterno rilascia
circa la metà del materiale capsulare, che viene legato dagli anticorpi anti-PRP.
Nei primi 5 mesi di vita, il neonato è protetto dagli anticorpi materni, che non assicurano una protezione completa;
la meningite può apparire anche dal secondo mese. Quando il titolo anticorpale materno diminuisca, i bimbi
divengono suscettibili all’infezione e restano tali fino a che non sviluppano anticorpi propri.
La diagnosi delle infezioni si one mediante isolamento colturale ed identificazione di Hib. Nelle meningiti della
prima infanzia si può ricorrere alla ricerca dell’antigene S.S.S.
Hib, oltre ad essere principale causa di meningite nei bambini di età compresa tra 2 mesi e 5 anni, è la causa di
cellulite nel neonato. Questa patologia inizia come infezione della mucosa buccale che poi si estende al collo e al
volto, causando gonfiore, febbre e macchie rosso-bluastre sulle guance e nella regione periorbitale. Questa
manifestazione richiede la diagnosi differenziale da erisipela (streptococchi). La diffusione in circolo può causare
sepsi e morte. Dall’introduzione del vaccino, l’incidenza si è notevolmente ridotta.
L’edema dell’epiglottide, che può essere causato dalla disseminazione per via ematica o linfatica in quella zona
del batterio, determina l’ostruzione delle vie aeree che può avere esito fatale, ma la cui incidenza si è ridotta
dall’introduzione del vaccino.

Il 50-80% dei soggetti adulti è portatore di H.influenzae non tipizzabile nelle alte vie respiratorie, ma solo il 2-4%
è portatore del tipo b. Il 60-90% dei bambini è portatore di H.influenzae, ma solo il 5% è portatore del tipo b;
tuttavia, questa percentuale sale a 60% nei bambini ospedalizzati.
H.parainfluezae rappresenta il 10% della flora batterica nella saliva, ed è presente nella placca dentale e nelle
malattie periodontali.
L’epidemiologia è molto cambiata negli ultimi 10 anni: la patologia connessa ai tipi a ed f è molto più diffusa
rispetto a quella dei tipi b.

Il farmaco di elezione è l’ampicillina per via parenterale. Sono stati segnalati stipiti produttori di β-lattamasi a
codificazione plasmidica.
La vaccinazione è consigliata nella prima infanzia verso i tipi b. Il primo vaccino conteneva solo il polisaccaride
capsulare (PRP), in seguito furono introdotti vaccini coniugati, composti da capsula coniugata con un vettore,
rappresentato dal tossoide tetanico o difterico.
Attualmente sono disponibili tre vaccini contro Haemophilus influenzae di tipo b:
• Vaccino PRP-D, in cui il polisaccaride capsulare è coniugato al tossoide difterico;
• Vaccino HbOC, in cui il materiale capsulare è coniugato ad un frammento non tossico della tossina
difterica;
• Vaccino PRP-OMP, in cui il materiale capsulare PRP è coniugato ad una proteina di membrana esterna
di Neisseria meningitidis.

HAEMOPHIULS DUCREYI
È l’agente eziologico dell’ulcera molle, malattia
venerea, caratterizzata dall’infiammazione,
accompagnata da adenite satellite, localizzata sulla
mucosa degli organi genitali. L’infezione è
rapidamente dominata dal trattamento con
sulfamidici.

HAEMOPHILUS AEGYPTUS
È l’agente eziologico della congiuntivite purulenta, anche se un ceppo è alla base della febbre purpurea
brasiliana, malattia pediatrica fulminante con iniziale congiuntivite.

2
Yersinie
Il genere Yersinia, appartenente alla famiglia delle Enterobacteriaceae, comprende tre specie di interesse medico:
• Yersinia Pestis;
• Yersinia pseudotubercolosis
• Yersinia enterocolitica
Le yersinie solo batteri patogeni per vari animali, dai quali si possono trasmettere all’uomo (zoonosi).

YERSINIA PESTIS
La peste è ormai un patologia limitata ad alcune aree dell’Estremo Oriente. Il serbatoio d’infezione naturale è
rappresentato da roditori infetti, tra i quali si trasmette per mezzo della puntura di ectoparassiti. L’infezione può
trasmettersi tra individui diversi per mezzo di inalazione o puntura di pulce umana.
Attraverso i vasi linfatici, l’infezione si trasmette ai linfonodi regionali, che divengono sede d’infiammazione
intensa (bubboni), seguita da col liquazione purulenta. Attraverso il circolo linfatico le yersinie si localizzano
nella milza, nel fegato, nei polmoni e a livello delle meningi.
Y.pestis è un:
• Cocco-bacillo G-, tendente a sovraccolorarsi
agli estremi.;
• Asporigeno;
• Immobile;
• Provvisto di capsula;
• Aerobio-anaerobio facoltativo
Cresce bene nei terreni arricchiti di liquidi organici e
si moltiplica anche a 25-28°C, ma in queste
condizioni non sintetizza alcuni fattori di virulenza.

Y.Pestis possiede almeno tre antigeni di superficie, tutti importanti per la loro azione antifagocitaria. Questi
antigeni sono rappresentati da:
• Frazione I, antigene capsulare di natura proteica;
• Antigene V, proteina secretoria espressa per mezzo di un meccanismo di secrezione di tipo III;
• Antigene W.
Nell’azione patogena sembra importante l’attività antifagocitaria degli antigeni superficiali. I batteri, al momento
dell’inoculazione, non possiedono questi antigeni e vengono, quindi, facilmente fagocitati dai neutrofili e dai
monociti. Per ragioni non ancora chiare, le yersinie fagocitate dai neutrofili vengono distrutte, mentre, quelle
fagocitate dai monociti, si riproducono all’interno di questi, sintetizzano gli antigeni di superficie, e si liberano,
uccidendo il monocita. La presenza degli antigeni ostacola la successiva fagocitosi da parte dei neutrofili.
In Y.pestis è dimostrabile una tossina proteica, la tossina murina, altamente tossica per ratti e topi, che si libera in
seguito alla lisi della cellula batterica. Questa tossina è formata da due subunità. Risulta in grado di inibire
numerose reazioni coinvolte in processi di fosforilazione ossidativa a livello mitocondriale, nonché di varie azioni
a livello epatico, pressorio e capillare.
Per la ricerca di Y.pestis nei materiali patologici, si ricorre all’isolamento colturale. Anche l’esame microscopico
diretto su preparati colorati con il metodo Giemsa è indicativo. Utile risulta anche l’immunofluorescenza con sieri
immuni verso la frazione I.
Per l’isolamento del batterio, è utile l’impiego di terreni addizionati con emina che, essendo accumulata dalle
yersinie, rende le colonie rosso-brune, e distinguibili dalle altre. Dalle colture, le colonie sono identificate
mediante esame sierologico (agglutinazione o rigonfiamento capsulare con siero anti-frazione I).
Nei casi meno gravi, si può ricorrere, a scopo diagnostico, alla ricerca di anticorpi nel siero del paziente mediante
agglutinazione di sospensioni di Y.Pestis uccise al calore.
La Y.pestis è sensibile all’azione antibatterica della streptomicina, del cloramfenicolo e delle tetracicline. Per
essere efficace, la terapia deve essere instaurata rapidamente.
Per la prevenzione, si utilizzano vaccini allestiti con bacilli pestosi uccisi con formolo.

YERSINIA PSEUDOTUBERCOLOSIS ed ENTEROCOLITICA


A differenza della Y.pestis, queste due specie sono mobili, in quanto provviste di flagelli peritrichi, che si
producono in colture incubate a 22°C, ma non a 37°C.

1
Yersinia pseudotubercolosis
Agente eziologico di infezioni caratterizzate da lesioni granulomatose e microascessuali, diffuse in varie specie. È
un bacillo G-, mobile, fermentante gli zuccheri senza produzione di gas e provvisto di attività ureasica.
Sulla base degli antigeni O ed H, nella specie, si distinguono 11 gruppi O e vari sierotipi.
Può causare setticemie in soggetti immunodepressi, tuttavia, la manifestazione più frequente è l’adenite
mesenterica, con sintomi di appendicite acuta.
La diagnosi si basa sull’isolamento del batterio dall’organismo infetto e sulla ricerca di anticorpi sierici mediante
prove di agglutinazione.
L’infezione è rapidamente dominata mediante il trattamento con streptomicina o tetracicline.
L’adenite mesenterica, in genere, passa a guarigione dopo appendicectomia.

Yersinia enterocolitica
Presente come commensale in varie specie animali,
comprende 5 biotipi, biochimicamente
differenziabili. Attualmente sono noti 34 sierogruppi
O e 16 diversi antigeni flagellari.
Nell’uomo, l’infezione da Y.enterocolitica si
manifesta con enteriti associate a sintomi dissenterici
in seguito all’ingestione di alimenti contaminati.
Alcuni sierotipi producono un’enterotossina.
Il trattamento di elezione è rappresentato da
aminoglicosidi per os.

2
Bordetella
Sono bacilletti o cocco-bacilli Gram- con colorazione bipolare. Aerobi obbligati, producono catalasi e utilizzano
gli zuccheri con un metabolismo ossidativo.
Si conoscono 4 specie importanti:
• Bordetella pertussis;
• Bordetella parapertussis, causa una forma lieve di pertosse;
• Bordetella bronchiseptica, patogeno animale che, nell’uomo, può causare broncopolmoniti;
• Bordetella holmesii, recentemente associato ad episodi di batteriemie in pazienti asplenici.
Tutte e quattro le specie presentano una capsula che si perde rapidamente in coltura.

BORDETELLA PERTUSSIS
La pertosse è un’affezione tipica della prima
infanzia, che esordisce con i sintomi di una modesta
infiammazione naso-faringea, seguita, dopo 7-14gg,
dall’interessamento delle vie aeree inferiori,
accompagnato da tosse che si presenta in accessi
parossistici, fenomeni broncospastici che provocano
disturbi respiratori.
B.pertussis è un batterio a circolazione interumana,
trasmesso per via aerea, da soggetti infetti che
rappresentano l’unico serbatoio.
I soggetti a rischio sono i bambini sotto un anno di
vita e gli adulti con diminuite difese immunitarie.
Questo batterio può localizzarsi alla superficie dell’epitelio cigliato della trachea e dei bronchi, per mezzo di
adesine di natura proteica che conferiscono proprietà emoagglutinanti.
Il meccanismo dell’azione patogena è complesso e associato a numerosi fattori di virulenza. La B.pertussis
esprime adesine e tossine:
• Emoagglutinina filamentosa (Fha), è una proteina di superficie con proprietà emoagglutinante, che
permette l’adesione all’epitelio cigliato. È in grado anche di legare il recettore CR3 dei polimorfonucleati,
indicendo la fagocitosi.
• Tossina pertossica (Ptx), è una tossina di tipo A-B, costituita da 5 subunità, di cui 4 subunità mediano
l’interazione con la cellula bersaglio, mentre la subunità A, ha attività ADP-ribosilante. Questa subunità
agisce sulla proteina Gs, aumentando l’cAMP intracellulare. La conseguenza è l’incremento delle
secrezioni respiratorie e del muco.
• Adenilato-ciclasi Invasiva (ACT), tossina di tipo A-B che, agendo a livello intracellulare, provoca un
aumento di cAMP. Il risultato è una riduzione della chemiotassi, dell’attività fagocitarla e battericida dei
macrofagi. È un candidato per l’allestimento dei vaccini.
• Tossina dermonecrotica, induce vasocostrizione periferica e ischemia mediata dall’inibizione
dell’ATPasi Na+/K+-dip.
• Citotossina tracheale (TCT), costituita da un monomero di peptidoglicano, è in grado di inibire il
movimento ciliare e interferire con la sintesi del DNA. In questo modo non è possibile rimpiazzare le
cellule danneggiate. È in grado di stimolare anche il rilascio di IL-1, che causa febbre.
• Lipide A, attiva la via alternativa del complemento e induce il rilascio di citochine.
La tosse pertossica, tipica della pertosse, è dovuta all’azione sui neuroni, di alcune tossine: Ptx, ACT, LPS.
La diagnosi si pone di norma sulla base del quadro clinico. Nei casi dubbi, si ricorre all’isolamento del batterio
dalle secrezioni bronchiali o all’identificazione direttamente nelle secrezioni mediante immunofluorescenza
indiretta.
La terapia antibiotica viene effettuata attraverso eritromicina e cloramfenicolo. Risulta poco efficace
nell’influenzare il decorso della malattia, ma può ridurre la diffusione del batterio.
La vaccinazione antipertossica è fortemente consigliata nella prima infanzia. I primi vaccini erano allestiti con
sospensioni di batteri uccisi, e, nonostante l’elevata efficace, causavano problemi neurologici (convulsioni,
ipotonia iporesponsiva, encefalopatia acuta). I vaccini acellulari attualmente in uso sono allestiti con tossina per
tossica inattivata e possono contenere Fha, pertactina e fimbrie di tipo 2 e 3.

1
Brucelle
Le brucelle sono l’agente eziologico della febbre maltese. Si tratta di:
• Cocco-bacilli Gram-;
• Raramente provvisti di capsula;
• Immobili;
• Aerobi;
• Catalasi e ossidasi positivi;
• Asporigeni.
• Non producono tossine.
Crescono meglio in terreni arricchiti con liquidi organici o preparati con peptoni ad alto contenuto di particolari
aa. Al momento dell’isolamento dai materiali patologici, richiedono un’atmosfera con aumentata concentrazione
di CO 2 (5-10%).
Si conoscono si differenti specie:
• Brucella melintensis;
• Brucella abortus;
• Brucella suis;
• Brucella canis;
• Brucella neotomae;
• Brucella Ovis
La brucellosi è una zoonosi. L’infezione, negli animali, è legata alla presenza di eritrolo, un fattore di
localizzazione e di crescita, presente in:
• Testicoli di bovini ed ovini;
• Prodotti del concepimento di ruminanti e suini;
• Ghiandole mammarie, organi genitali, placenta;
• Assente nell’uomo.
L’infezione, nell’uomo, può avvenire per ingestione di latte (non pastorizzato), di latticini freschi, o per contatto
diretto con animali. I soggetti maggiormente a rischio sono: consumatori di latticini non pastorizzati, veterinari,
allevatori; macellai.
La brucellosi è un’affezione a decorso lento, preceduta da un lungo periodo d’incubazione (da 1 settimana a
qualche mese), in base alla virulenza del ceppo. Le Brucelle introdotte con gli alimenti passano attraverso la
mucosa intestinale, fino ai linfonodi regionali, moltiplicandosi all’interno dei macrofagi. Per via ematica
raggiungono gli organi ricchi di cellule istiocitarie: milza, fegato, midollo spinale e reni.
La B.melitensis è la specie più comune, da una forma acuta e grave, ma con bassa mortalità; la B.suis dà
comunque una forma grave, ma cronica di infezioni suppurative dell’apparato scheletrico.
Le complicanze più frequenti della brucellosi, sono: meningiti, artriti, uveiti epididimo-orchiti, endocardite.
Le brucelle non producono tossine, e la loro patogenicità è legata principalmente alla resistenza alla fagocitosi e
all’azione della componente tossica.
Il lipide A del LPS ha un potere patogeno ridotto; gli antigeni O di superficie sono rappresentati da uno zucchero
specifico, il 4,6-dideoxy-4-formamido-α-D-mannopyranosio, che può esistere in due forme, dette A ed M. Nella
B.abortus e B.suis prevalgono i determinanti A (Am), mentre nella B.mentensis, prevale l’antigene di tipo M
(aM).
Nelle reazioni sierologiche, si può avere cross reattività con altri batteri: E.Coli (O:157); Y.enterocolitica (O:9),
V.cholerae (O:1).
Le brucelle sono sensibili alle tetracicline, rifampicina e sulfamidici.
La vaccinazione a scopo profilattico non avrebbe molto senso data la morbosità non elevata e la possibilità di
prevenire l’infezione mediante interventi d’igiene (pastorizzazione).

2
Neisserie
Sono:
• diplococchi G- con aspetto “a chicco di caffè”;
• aerobi anaerobi facoltativi;
• immobili;
• asporigeni;
• capsulati;
• catalasi ed ossidasi positive.
La maggior parte delle Neisserie sono innocui
commensali delle prime vie respiratorie:
• N. sicca;
• N. subflava;
• N. mucosa;
Due specie sono altamente patogene per l’uomo:
• N. meningitidis;
• N. gonorrhoeae.
L’azione patogena delle Neisserie patogene è mediata da:
• Fattori di adesione e colonizzazione, comprendenti:
o Pili;
o IgA1-proteasi;
o Proteine membrana esterna (OPA);
• Capsula, che presenta proprietà antifagocitarie;
• Siderofori, permette l’acquisizione di ferro da trasferrina e lattoferrina, necessario per la moltiplicazione;
• LPS, stimola risposte infiammatorie a cui segue un danno vascolare.

NEISSERIA GONORRHOEAE
Detto anche “gonococco”, è l’agente eziologico della gonorrea, malattia venerea con un periodo d’incubazione di
3-4gg..
Nell’uomo, il gonococco penetra attraverso l’epitelio stratificato colonnare dell’uretra anteriore, raggiungendo il
connettivo subepiteliale. Provoca la caratteristica secrezione purulenta che caratterizza l’uretrite gonococcica.
L’infezione può diffondere per via ematica, provocando una serie di complicanze, artriti ed orchite. Nella donna,
la sede dell’infezione primaria è rappresentata dalle ghiandole della cervice uterina. Una frequente complicazione
nella donna è la salpingo-ooforite che può condurre alla sterilità.
La trasmissione dell’infezione gonococcica si verifica tramite il rapporto sessuale, con l’eccezione dell’oftalmo-
blenorrea del nenonato, che si trasmette durante il parto.
La N.gonorrhoeae possiede un antigene capsulare polisaccaridico definito Antigene K. Inoltre, gli stipiti patogeni
sono provvisti di pili che permettono l’adesione alle cellule della mucosa uretrale. Attraverso riarrangiamenti di
DNA in vivo, questi stipiti danno origine ad una variabilità. Sono distinguibili 58 sierotipi sulla base del tipo di
pilo espresso; ciò rende il soggetto suscettibile a infezioni ripetute.
Una volta che il batterio ha aderito alle cellule della cervice, retto, faringe ed uretra, invade lo spazio subepiteliale.
A questo punto, per autolisi, rilascia i componenti della parete (peptidoglicano+LPS) che provocano una risposta
infiammatoria acuta. Attraverso il sangue può disseminarsi e dare origine a infezioni sistemiche.

Nella metà degli anni ’70 emersero i primi stipiti resistenti ai β-lattamici. La resistenza era legata alla
modificazione delle PBP e alla produzione di β-lattamasi plasmidiche. Successivamente furono scoperti ceppi
resistenti alle tetracicline mediante protezione ribosomica a codificazione plasmidica. L’ampicillina è il
trattamento di elezione, ma possono anche essere usati ceftriaxone e la spectinomicina.
L’elevata variabilità antigenica e la presenza di ceppi antigene-mimetici rende difficile la realizzazione di un
vaccino.

NEISSERIA MENINGITIDIS
Il meningococco è l’agente eziologico di una meningite cerebro-spinale epidemica e, sebbene venga isolato dal
naso-faringe di soggetti sani, è considerato patogeno per l’uomo. Nei periodi non epidemici, il 5-10% della
popolazione è portatore sano. La trasmissione avviene per via aerea, mediante goccioline di Flusse, emesse da
portatori sani. Diffondendo per via ematica, raggiunge le meningi, dove si localizza.

1
Le N.meningitidis è un batterio extracellulare, incapace di
sopravvivere all’interno dei fagociti. Uno dei principali
fattori di virulenza è il potere antifagocitario della
capsula.
La capsula, di natura polisaccaridica, può presentare
caratteri antigenici diversi, in base ai quali, la maggior
parte dei meningococchi può essere divisa in 12
sierogruppi capsulari, di cui, 11 sono immunogeni. I più
comuni sono A, B, C, Y e W135. Il sierogruppo B non è
immunogeno in quanto composto da acido sialico, un
esempio di mimetismo antigenico.
Anche le proteine della membrana esterna sono immunogene e permettono di distinguere 5 sierotipi, di cui il
sierotipi 2 è il più frequente.
Se entra in circolo, il meningococco può provocare setticemia, con conseguente shock settico e danno vascolare.
La manifestazione morbosa classica da N. meningitidis è la meningite cerebro-spinale epidemica. Il batterio ha un
periodo d’incubazione medio di 4gg e la patologia ha un esordio brusco, con:
• febbre,
• malessere,
• cefalea intensa,
• vomito,
• rigidità nucale,
• nausea,
• disturbi mentali.
Spesso appare anche un esantema petecchiale. Spesso sono presenti anche delirio e coma, ma possono verificarsi
anche rari casi con porpora, coagulazione disseminata, shock, coma e morte (sindrome di Waterhouse-
Friderichsen).
Il meningococco è sensibile alle penicilline e ai sulfamidici, entrambi usati nella terapia nella terapia della
meningite epidemica. Il farmaco di elezione è la sulfadiazine, un sulfamidico che può raggiungere elevate
concentrazioni liquorali. Può essere utilizzato anche il cloramfenicolo, mentre, nel trattamento dei portatori, viene
usata la rifampicina.
La prevenzione è attuata mediante la vaccinazione. Il principale vaccino usato è allestito con polisaccaridi A, C, Y
e W135. Il vaccino, efficace a 2-3 settimane dall’inoculazione, è poco immunogeno nei bambini, mentre, negli
adulti, conferisce una immunità di breve durata (3-4 anni). Sono in commercio vaccini allestiti con polisaccaride
C, coniugato con tossoide tetanico o difterico.

2
Anaerobi obbligati
Gli organismi anaerobi, possono distinguersi in tre gruppi:
• Aerobi obbligati, incapaci di vivere in presenza di ossigeno, sono privi di superossido dismutasi e di
catalasi. Necessitano di altre sostanze che fungono da accettori di elettroni.
• Anaerobi aero-tolleranti, sopravvivono in presenza di ossigeno, ma non usano l’ossigeno come accettore
finale di elettroni;
• Anaerobi facoltativi, sopravvivono in assenza di ossigeno grazie alla fermentazione e alla respirazione
anaerobia.

Molti membri della flora microbica normale umana sono anaerobi e comprende spirocheti, cocchi e bastoncini G+
e G-. Tra i siti in cui sono numerosi, abbiamo colon, fessure gengivali, cripte tonsillari, uretra, vagina e cavità
nasali.
Gli anaerobi della flora microbica sono considerati patogeni opportunisti, in quanto al di fuori del loro habitat
normale possono essere patogeni. La proliferazione di questi batteri dipende dall’assenza di O 2 ; ciò può accadere
in tessuti non irrorati, in seguito a traumi, occlusioni o ferite chirurgiche. Gli anaerobi si moltiplicano bene nel
tessuto morto.
La moltiplicazione dei batteri aerobi riduce la quantità di ossigeno, creando un ambiente adatto alla crescita di
organismi anaerobi; questo è alla base del fatto che la maggior parte dei siti d’infezione è polimicrobico.
I principali siti d’infezione dei batteri anaerobi, sono:
• Morsi;
• Ambiente orale e gengivale;
• Ascessi polmonari, empieva;
• Infezioni puerperali o post-aborto;
• Interventi chirurgici:
o Intestinali e vescicali;
o Ginecologici;
• Appendiciti e diverticoliti;
• Tromboflebiti settiche;
• Infezioni che formano gas;
• Infezioni putride.

1
I batteri anaerobi sono distinguibili in due grosse famiglie:
• Formanti spore, comprendente bacilli G+ come i Clostridi;
• Non formanti spore, comprendenti cocchi G+ e bacilli sia G+ che G-. alcuni esempi sono:
Peptostreptococcus, Actinomyces, Lactobacillis, Eubacterium, Bacterioides, Veillonella, Prevotella.

BACTEROIDES FRAGILIS
È il più importante di tutti gli anaerobi, vista la sua frequenza di isolamento nelle infezioni cliniche e la sua
resistenza agli agenti antimicrobici. È un bacillo Gram- (1,5 – 4,5 μm di lunghezza, 0,5-0,8 diametro). È un
normale commensale del colon. Viene trasmesso per diffusione dal colon al sangue o al peritoneo, con
conseguente sepsi, peritoniti e ascessi addominali.
I principali fattori di virulenza sono:
• Presenza della capsula;
• LPS, meno potente rispetto ad altri G-;
• Non produce esotossine;
• Produce esoenzimi:
o Collagenasi;
o IgA proteasi;
o DNAsi

Clostridi
Sono:
• bacilli Gram+, lunghi da 3 a 8 μm;
• in genere mobili, per la presenza di flagelli peritrichi;
• raramente capsulati;
• producono spore a localizzazione terminale o sub-terminale.
• Anaerobi obbligati;
• Privi di del sistema dei citocromi e della catalasi;
• Producono ATP mediante reazioni di fosforilazione a livello del substrato, fermentando diversi
materiali, ma in particolare aminoacidi, in genere usati a coppie di donatore-accettore.
• Producono una varietà di enzimi che si liberano nell’ambiente, alcuni dei quali sono dotati di altissima
tossicità per gli organismi animali.
I clostridi sono normalmente saprofiti che vivono negli strati superficiali del suolo o nell’intestino di alcuni
animali, uomo compreso. Le feci degli animali contaminano il suolo e le spore, possono a loro volta contaminare
il cibo e le acque, o direttamente le ferite. Se nelle ferite prevalgono le condizioni di anaerobiosi, le spore
germinano e le tossine prodotte dalla forma vegetativa causano la malattia.
Le principali ferite che favoriscono la germinazione delle spore, sono ferite da schiacciamento con interruzione
del flusso sanguigno e ferite profonde, non estese, che si richiudono rapidamente.

CLOSTRIDIUM TETANI
Sono bacilli G+ mobili che formano spore rotonde ed apicali. Si ritrovano nel suolo, in particolare, nei terreni
concimati con concimi biologici e nell’intestino di alcuni animali.
La patogenicità del C.tetani è dovuta alla produzione di una
potente tossina, la tossina tetanica (o tetanospasmina) e di
una seconda tossina, la tetanolisina, la cui funzione è
sconosciuta.
Una volta germinato dalla spora, il batterio si moltiplica nel
sito, mentre la tossina, prodotta localmente, passa in circolo
o attraverso i nervi e raggiunge il S.N.C.. A questo livello,
la tossina si lega alle cellule di Renshaw, gli interneuroni
inibitori.

2
La dose letale umana della tetanospasmina è di ca. 2,5 ng/kg. La tossina tetanica è di tipo A-B; la catena pesante
B si lega al ganglioside sulle membrane neurali. Una volta internalizzata, la tossina, sfruttando un trasporto assiale
retrogrado, raggiunge il S.N.C., attraversa la sinapsi e si localizza nelle vescicole sinaptiche. A questo livello
blocca il rilascio di neurotrasmettitori inibitori, come il GABA.
Il tetano è una malattia caratterizzata dalla comparsa di violenti spasmi muscolari (paralisi spastica). Si tratta di
una malattia grave che conduce a morte il paziente per compromissione della funzione respiratoria. Il periodo
d’incubazione, dal momento della ferita fino alla manifestazione dei primi sintomi, varia da alcuni giorni ad
alcune settimane, in base alla dose infettante e al sito d’infezione.
Il primo sintomo è il crampo e lo
spasmo dei muscoli attorno alla
ferita; il paziente è in genere
apiretico, ma suda
abbondantemente, e comincia a
sentire forti dolori, attorno alla ferita
e nella regione della mandibola e
del collo. La contrazione dei
muscoli dorsali spingono indietro la
testa ed i talloni, ed il corpo
s’inarca.
Si possono avere complicazioni, che
comprendono: fratture, blocchi
intestinali, ematomi intramuscolari,
problemi polmonari, renali e
cardiaci.
Esistono quattro tipologie di tetano. Le forme più comuni sono:
• Tetano generalizzato, ha uno schema discendente che si manifesta progressivamente con: blocco della
mandibola; rigidità del collo; difficoltà nel deglutire; rigidità dei muscoli addominali e dorsali. Gli spasmi
possono continuare per 3-4 settimane ed il ricovero può prolungarsi per mesi. La morte si ha quando gli
spasmi interferiscono con la respirazione.
• Tetano neonatale, forma di tetano generalizzato che colpisce i neonati privi di immunità passiva in
quanto la madre non è stata immunizzata. In genere si verifica a causa del taglio del cordone ombelicale
con strumenti non sterilizzati.
Le forme meno comuni di tetano sono:
• Tetano locale, la tossina viaggia nei nervi
periferici, causando una malattia confinata
alle estremità. Si ritrova nei soggetti
immunizzati in maniera inadeguata. Le
contrazioni si risolvono spontaneamente.
Raramente è fatale.
• Tetano cefalico, si ha in seguito a ferite
all’orecchio o successivi danni alla testa.
Sono colpiti soprattutto i muscoli del volto.
Nel mondo si hanno 1 milione di casi di tetano all’anno, con un tasso di mortalità variabile dal 20 al 50%. È raro
nella maggior parte dei paesi industrializzati. Nei paesi in via di sviluppo, la mortalità rimane del 85% per il
tetano neonatale, mentre è del 50% per le forme non-neonatali.
Molto alta è la percentuale di tetano tra chi fa uso di droghe per vena. Nei casi non trattati, la mortalità sale al 90%
nei neonati e 40% negli adulti.
L’identificazione a scopo diagnostico non è mai necessaria, vista la tipicità dei sintomi.
La terapia del tetano si basa essenzialmente sulla
somministrazione di siero antitetanico (γ- globuline
umane iperimmuni – HTIG); si possono utilizzare
penicillina o metronidazolo. Nei pazienti con tetano
conclamato, bisogna sostenere la funzione
respiratoria e cardiocircolatoria e cercare di ridurre i
sintomi.
La prevenzione del tetano si ottiene mediante
immunizzazione con vaccini allestiti con tossoide
tetanico.

3
CLOSTRIDIUM BOTULINUM
Il C.botulinum è un clostridio largamente diffuso come saprofita
nel suolo, nelle acque superficiali e nell’intestino di alcuni
animali. Nell’uomo, il botulismo è un’intossicazione alimentare,
che fa seguito all’ingestione di alimenti contaminati dal clostridio,
nei quali il batterio si molitplia e produce la tossina. I cibi più
significativi per queste intossicazioni, sono le carni conservate
non cotte. Le spore sono resistenti al calore e non basta la
bollitura. All’interno dei contenitori sottovuoto, le spore
germinano e liberano le tossine che sono sensibili al calore.
Ci sono almeno 7 neurotossine distinte sierologicamente da A a
G. I sierotipi A,B ed E sono responsabili della malattia umana.
Molte di queste tossine sono liberate in forma inattiva e devono
essere clivate da proteasi per poter funzionare. La tossina A è una
delle più potenti tossine, con una LD 50 di 1 ng/kg.
A seconda dell’origine dell’infezione, si possono distinguere tra forme di botulismo:
• Avvelenamento da cibo, la tossina è prodotta da C.botulinum germinati da spore contaminanti i cibi. Il
periodo d’incubazione è in media di 18-36 ore, ma può raggiungere 10 giorni. La maggior parte della
tossina viene eliminata con le feci. I sintomi intestinali sono i sintomi precoci in ⅓ dei pazienti che hanno
ingerito tossine di tipo A e B ed in tutti i casi in cui è coinvolta la tossina E. I sintomi comprendono
nausea, vomito e dolori addominali. Successivamente diventano visibili i sintomi della tossiemia. Oltre il
90% dei casi è dovuto al consumo di conserve sott’olio. Mentre negli USA l’agente casuale è la tossina
A, in Spagna ed in Italia, la causa è il C.botulinum B proteolitico. In Francia ed in Polonia, l’alimento più
coinvolto è la carne cruda e l’agente casuale è il C.botulinum B non proteolitico. Il C.botulinum tipo E è
correlato alle preparazioni di pesce o uova di pesce, soprattutto in Canada ed Alaska.
• Botulismo da ferita, raro, è la conseguenza della germinazione di spore di C.botulinum nel tessuto
necrotico di ferite contaminate. Gli organismi non sono invasivi e restano nella sede della lesione, mentre
la tossina passa in circolo. Il tempo d’incubazione varia da qualche giorno a 2 settimane. In questa forma
sono assenti i sintomi gastrointestinali.
• Botulismo infantile, dovuto alla germinazione nel tratto
intestinale di spore ingerite. L’intestino del neonato
(2settimane-6mesi) non è stato ancora colonizzato dalla
flora microbica normale e quindi risulta adatto allo sviluppo
dei batteri. Le tossine maggiormente responsabili sono la A
e la B. Nel botulismo infantile, il primo sintomo è la
stitichezza, seguito dalla letargia. La forza di succhiare il
latte diminuisce e diviene evidente l’incapacità di sorridere
e deglutire. Successivamente il controllo della testa può
venire perso e il bambino diventa flaccido. Nei casi gravi si
può avere il blocco respiratorio. Il botulismo infantile può
essere fatale ed è la causa del 15% delle morti infantili
improvvise. I cibi a rischio dovrebbero essere eliminati
dalla dieta e, finora, l’unico implicato è il miele.
Dal sito d’entrata, la tossina, attraverso il sangue o la linfa, raggiunge e si lega ai nervi cranici e periferici, dove si
concentra la sua azione. La tossina blocca il rilascio di acetilcolina dai nervi parasimpatici, impedendo la
contrazione e generando una paralisi flaccida. I nervi cranici sono i primi ad essere colpiti con conseguenti
difficoltà visive, fonetiche e nella deglutizione. La morte è causata in genere dal blocco respiratorio, ma può
essere coinvolto anche il collasso circolatorio. La mortalità è più alta per il tipo A, a seguire E e B.
La tossina botulinica è usata nella terapia di varie condizioni dovute a spasmi della muscolatura involontaria. La
tossina di uso terapeutico è un complesso di neurotossina-emoagglutinina isolata da C.botulinum. Questo
composto è alla base del BOTOX.

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In caso di botulismo, è utile la ricerca della tossina nel siero del paziente.
Il miglior metodo di prevenzione del botulismo da avvelenamento da cibo, è il controllo dei metodi di
conservazione del cibo e scaldare tutto il cibo in scatola prima di consumarlo. Poiché la tossina è sensibile al
calore, la bollitura elimina la tossina, tuttavia, per eliminare le spore, resistenti al calore, occorre far bollire il cibo
per 5 ore a 100°C.
Nel botulismo da cibo, la tossina non assorbita può essere eliminata con una lavanda gastrica. La terapia
antibiotica nei casi da avvelenamento è discutibile, tuttavia, nei casi da ferita, si usano penicilline.
Per entrambi i casi, la terapia con antitossina è più efficace se somministrata precocemente. Esistono due tipi di
vaccini:
• Trivalente, (A,B,E) di derivazione equina, ottenuto utilizzando anticorpi interi;
• Eptavalente (A,B,C,D,E,F,G) di derivazione equina, ottenuto utilizzando anticorpi IgG con la porzione
Fc olivata. È meno immunogeno, ma attivo verso tutti i tipi di tossina.
Il più importante aspetto del trattamento del botulismo è la stretta osservazione del paziente e l’immediato
sostegno in presenza di disturbi respiratori.

CLOSTRIDIUM PERFRINGENS
Le spore sono ubiquitarie e si ritrovano nel suolo, sulla pelle e nel tratto gastrointestinale umano.

Si distinguono 5 sierotipi di C.perfringens, dalla A alla E; ognuno di loro può produrre una o più tossine, tra cui:
• Tossina α, è una lecitinasi in grado di lisare eritrociti, piastrine, leucociti e cellule endoteliali, che
aumenta la permeabilità vascolare, ha un’azione emolitica e produce un’attività necrotizzante. È prodotta
da tutti e 5 i sierotipi.
• Tossina β, ha attività necrotizzante, induce ipertensione stimolando la liberazione di catecolamine. È
prodotta dai sierotipi B e C.;
• Tossina ε, aumenta la permeabilità della parete gastrointestinale, prodotta solo dal sierotipo D;
• Tossina τ, ha attività necrotizzante ed aumenta la permeabilità vascolare. È prodotta dal sierotipo E.
Molte di queste tossine sono letali, necrotizzanti e hanno effetti emolitici. Inoltre sono prodotte anche DNAsi,
ialuronidasi ed una collagenasi.

5
Le malattie causate dal C.perfringens sono tre:
• avvelenamento da cibo, è coinvolto il tipo A, ma richiede una carica batterica di 106-107 organismi/g nel
cibo contaminato, rappresentato dalla carne. Le spore possono essere spinte alla germinazione dal
riscaldamento del cibo. Il tempo d’incubazione è di 8-22ore dopo l’ingestione. I sintomi sono diarrea,
crampi e dolori addominali. La malattia dura 24h. il microrganismo e l’enterotossina possono essere
isolati dalle feci.
• gangrena gassosa, malattia grave con prognosi grave. Il trauma iniziale danneggia i muscoli e, bloccando
l’afflusso sanguigno, crea un ambiente adatto alla germinazione delle spore. I sintomi iniziali sono febbre
e dolori dei tessuti infettati. Le forme vegetative producono le tossine che aumentano la necrosi del
tessuto circostante e la tossiemia. Il muscolo colpito diviene chiaro, edematoso e maleodorante; dai
prodotti di fermentazione si formano bolle di gas. Le tossine aumentano la permeabilità capillare con
accumulo di liquido. I gruppi muscolari maggiormente coinvolti sono quelli delle estremità. Senza
trattamento, la morte sopraggiunge in due giorni. Occorrono la corretta pulizia della ferita e una terapia
antibiotica.

• Enterite necrotizzante, è dovuta all’ingestione di grandi quantità di cibo contaminato con C.perfringens di
tipo C. è molto rara. Il cibo contaminato causa la distensione dell’intestino e la stasi batterica. La
patologia può comprendere il distacco della mucosa intestinale, sottomucosa, e linfonodi mesenterici. È
frequente la perforazione intestinale. Il decorso della malattia è fulminante.

CLOSTRIDIUM DIFFICILE
È il principale patogeno nosocomiale che causa, se produttore di tossine, uno spettro di malattie intestinale che
vanno da una lieve diarrea ad una grave e fatale colite, nota come colite pseudomembranosa. La malattia è causata
dalla crescita di questo batterio a livello del colon, con conseguente produzione abbondante di tossine.
I ceppi tossigeni, in genere, producono due tipi di tossine:
• Tossina A, enterotossina che causa l’accumulo di liquidi nell’intestino. È anche una debole citotossina
che causa necrosi, aumenta la permeabilità intestinale ed inibisce la sintesi proteica.
• Tossina B, potente citotossina.
Se la flora microbica viene distrutta, il microrganismo si moltiplica in modo anomalo. Questa è la conseguenza
dell’uso di antibiotici quali ampicillina, cefalosporine, clindamicina e amoxicillina, che sono risultati associati alla
colite pseuomembranosa.
I sintomi di questa malattia comprendono dolori addominali con diarrea acquosa.

6
Spirocheti

Le spirochete sono batteri di forma allungata con il corpo avvolto a spirale. La cellula è provvista di una parete
cellulare che, nella composizione chimica, è molto simile a quella dei batteri Gram- ma, è dotata di elevata
flessibilità. Un’altra peculiarità delle spirochete è rappresentata dall’apparato locomotore formato da uno o più
fasci di fibrille dislocati all’interno della cellula (endoflagelli) dove scorrono lungo la spirale del corpo batterico
inseriti nello spazio periplasmico, ancorandosi a uno dei due poli della cellula.
Il movimento dello spirochete è la conseguenza della contrazione degli
endoflagelli che, contraendo il soma batterico, provoca la rotazione e
la traslocazione del batterio.
Le spirochete si moltiplicano per scissione semplice, formando un
setto lungo l’asse minore della cellula.
La famiglia, comprende due gruppi:
• Spirochetaceae, comprendenti:
o Spirocheta;
o Cristispira;
o Treponema;
o Serpulina;
o Borrelia
• Leptospiraceae, comprendente spirochete saprofite del suolo o
dell’acqua, genere Leptospira, patogeni per l’uomo.
I treponemi, nonostante siano lunghi 5-15μm, hanno un diametro traverso inferiore a 0,2 μm e risultano visibili
solo mediante l’impiego di sovra-colorazioni (impregnazione argentica) che ne aumentano artificialmente lo
spessore .
I treponemi patogeni per l’uomo sono:
• T.pallidum ssp. Pallidum, agente eziologico
della sifilide;
• T.pallidum ssp. Endemicum, responsabile del
Bejel, sifilide endemica dei paesi tropicali,
trasmessa per contatto diretto;
• T.Carateum, agente eziologico del Mal di
Pinto.
I treponemi patogeni per l’uomo non si coltivano in
vitro in terreni di coltura abiotici.

Al genere Serpulina, appartengono batteri che colonizzano l’intestino crasso dei mammiferi. Sono microrganismi
anaerobi obbligati, dotati di attività emolitica.

Le Borrelie, sono le uniche spirochete con un diametro sufficientemente grande da essere visibili direttamente al
microscopio ottico, senza ricorrere a particolari colorazioni. Hanno il corpo avvolto in spire, molto lasse,
irregolari e con un passo molto ampio; possono raggiungere i 20μm.
Possono essere trasmesse all’uomo causando
affezioni febbrili acute o affezioni subacute come la
malattia di Lyme. Sono organismi microaerofili e
non si moltiplicano in vitro, se non in presenza di una
bassa tensione di ossigeno e in terreni particolari
(terreno di Kelly).

1
Le Leptospire hanno una lunghezza di 6-10μm e un
diametro inferiore a quello dei treponemi (0,1μm).
Presentano il corpo avvolto in una spirale a passo
strettissimo e la spirale è a sua volta ripiegata a C o
ad S. Sono coltivabili in vitro, in terreni ricchi di
siero e sono aerobi.

TREPONEMA PALLIDUM ssp. PALLIDUM


È il più importante tra i treponemi patogeni per l’uomo. Agente eziologico della sifilide.
La sifilide è una malattia cronica con un decorso differenziale in tre stradi:
1. il contagio iniziale avviene in corrispondenza delle mucose dell’apparato genitale di cui il treponema è in
grado di attraversare la parete. Nel giro di 10-20gg compare una papula che si trasforma in ulcera dal
fondo duro, indolore, accompagnata da linfadenite. La lesione cicatrizza in modo spontaneo (SIFILOMA
PRIMARIO).
2. dopo 2-4 mesi si ha la comparsa di un’esantema, accompagnata da lesioni mucose ricche in treponemi e
da interessamento di vari organi (SIFILIDE SECONDARIA).
3. Segue poi un lungo periodo privo di sintomi. In circa un
terzo dei casi, inizia la SIFILIDE TERZIARIA, che può
interessare qualsiasi organo, con preferenza del sistema
nervoso, circolatorio (aneurisma dell’aorta) e cutaneo. Nella
fase terziaria, la lesione fondamentale consiste in focolai di
infiammazione granulomatosa ricchi di cellule epitelioidi.
Le “gomme” guariscono con cicatrici deformanti.
L’infezione si trasmette da madre a figlio che, in genere, muore
prima del parto.
Il treponema non produce esotossine di natura proteica, ma presenta una spiccata capacità invasiva dovuta al
rapido ed efficiente attacco alla superficie delle cellule, alla capacità di attraversare le giunzioni intercellulari, e
alla capacità di evadere la risposta immunitaria grazie ad una ridotta immunogenicità.
Da studi di freeeze-fracture, si è scoperto che i treponemi hanno poche molecole proteiche sulla superficie esterna
del soma, e questo rende conto della ridotta immunogenicità.
Il modello sperimentale più usato per il mantenimento in laboratorio del T.pallidum è rappresentato
dall’inoculazione intratesticolare nel coniglio.
La diagnosi di sifilide, può essere posta mediante la ricerca microscopica, in campo scuro, dei treponemi,
nell’essudato delle lesioni primarie e secondarie. La tecnica maggiormente usata, consiste nella ricerca degli
anticorpi verso gli antigeni treponemici.
In questo caso, gli antigeni sono di natura proteica e le metodiche più usate sono:
• Reazione di immunofluorescenza indiretta. (FTA-ABS), l’antigene è costituito da una sospensione di
treponemi uccisi. La prova si ottiene mettendo a contatto il siero del paziente (precedentemente adsorbito
con antigeni treponemici di gruppo) con la sospensione di treponemi, incubando e rimuovendo l’eccesso
di siero. Si aggiunge quindi un siero anti-globuline umane, coniugato con fluorescina.
• Reazione di emoagglutinazione passiva. (TPHA) con GR sulla cui superficie sono adsorbiti antigeni
treponemici.
• Reazioni d’immobilizzazione dei treponemi (TPI). Sospensione di treponemi, ottenuti da testicoli di
coniglio. I sieri dei soggetti affetti, contengono anticorpi che, reagendo con i treponemi, in presenza del
complemento, l’immobilizzano.
Se la ricerca anticorpale è diretta verso antigeni lipoidei, le metodiche utilizzate sono:
• Reazione di flocculazione. (VDRL)
• Reazione di fissazione del complemento, con cardiolipina (Wassermann).
Le reazioni sierologiche diventano positive nello spazio di 1-3 settimane dopo l’infezione, e si mantengono tali
fintanto che l’infezione è attiva o allo stato latente.
La reazione di Wassermann si negativizza, nei soggetti guariti, mentre gli anticorpi evidenziabili con TPI,
reazione FTA e TPHA persistono nel tempo.
L’infezione da T.Pallidum è sensibile al trattamento con penicilline.

2
BORRELIE
Sono gli unici spirochete osservabili direttamente al MO a luce trasmessa. Sono trasmesse attraverso la puntura di
artropodi ematofagi.
Le borrelie, nell’uomo provocano due quadri patologici:
• Febbre ricorrente. Causata dalla B.recurrentis, consiste in una forma febbrile ad esordio improvviso,
preceduta da un periodo d’incubazione da 2 a 15gg. La febbre persiste per 3-7gg, ed è seguita da un
periodo di remissione, trascorso il quale si ha una nuova manifestazione febbrile. Gli episodi febbrili
possono arrivare fino alla decina e sono la conseguenza della capacità di questi batteri di variare gli
antigeni superficiali, riuscendo a sfuggire alla risposta immune dell’ospite. Ogni nuovo episodio febbrile
è causato da batteri antigenicamente diversi da quelli responsabili del precedente. La diagnosi si può
eseguire attraverso la dimostrazione delle spirochete nel sangue periferico del paziente, ottenuto durante
uno degli accessi febbrili; in alternativa, si può procedere all’osservazione di uno striscio di sangue
colorato con il metodo Giemsa.
• Malattia di Lyme (o Borreliosi). Causata terapia si basa su ceftriaxone e
dalla B.burgdorferi, è una malattia tetracicline.
infiammatoria, caratterizzata da tra stadi
successivi:
o Coinvolgimento cutaneo (eritema
cronico migrante);
o Interessamento articolare e cardiaco
(oligo artrite migrante e blocco
atrio-ventricolare);
o Coinvolgimento nervoso, articolare
e cutaneo (polineuropatie, poliartrite
e acrodermatite).
A questi stadi, si aggiungono anche
linfoadenopatie, febbre, mialgie, cefalea
ed astenia. La diagnosi della malattia,
ricalca quella relativa alla febbre
ricorrente: il materiale da cui tentare
l’isolamento del batterio, va scelto in
relazione alla fase della malattia. La

LEPTOSPIRE
Le leptospire si ritrovano nelle acque superficiali. Sono aerobie e, pertanto, coltivabili in vitro. Non producono
tossine proteiche.
I principali componenti antigenici delle leptospire sono i polisaccaridi del LPS, secondo il quale si distinguono
vari sierotipi.
La leptospirosi, è una tipica zoonosi, affezione propria di vari animali, trasmissibile all’uomo. La forma umana
può variare da lievi affezioni, fino a forme gravi, con ittero.
L’uomo, in genere, s’infetta con il contatto con acque contaminate da escrementi di animali infetti; la maggiore
incidenza si ha tra i lavoratori addetti alla coltivazione del riso e fra gli allevatori di suini.
Nella prima settimana, le leptospire sono isolabili dal sangue, seguita dalla localizzazione a livello epatico,
splenico, renale e meningeo. Dopo la prima settimana di malattia, le leptospire sono isolabili anche dalle urine.
La diagnosi batteriologica, può giovarsi della:
• Ricerca colturale nel sangue;
• Ricerca microscopica e colturale dalle urine.
Utile è anche la ricerca di anticorpi verso i sierotipi di leptospire più frequenti.
Anche se le leptospire sono sensibili penicillina, cloramfenicolo e tetracicline, la terapia delle forme più gravi è
ancora un problema.
Un vaccino è disponibile per la profilassi immunitaria dei soggetti a rischio.

3
Clamidie
Sono parassiti endocellulari obbligati, con capacità biosintetiche molto limitate. Evidenziabili con il metodo
Giemsa come inclusioni intracellulari, presentano un ciclo dimorfico e presentano un genoma che è il 25% di
E.Coli. Non sono in grado di produrre ATP e per questo devono approvvigionarsi a spese delle cellule.
Gli involucri sono quelli tipici dei Gram-, con una membrana esterna che presenta il LPS ed alcune proteine che
fungono da “porine”. Gli involucri esterni sono privi di peptidoglicano, ma presentano proteine ricche in cisterna
(CRP).
Le clamidie presentano un caratteristico ciclo cellulare
dimorfico. La forma infettante è rappresentata dal corpo
elementare (0,2μm), di forma rotondeggiante, relativamente
inerte dal punto di vista metabolico, è in grado di
sopravvivere in ambiente extracellulare. Una volta
fagocitato da una cellula, il corpo elementare subisce
un’idratazione, assumendo dimensioni maggiori (1μm) e si
trasforma nel corpo reticolare, metabolicamente attivo, che
va incontro ad attiva moltiplicazione per scissione binaria.
La moltiplicazione è seguita da un processo di
condensazione e disidratazione con conseguente passaggio
dalla forma reticolare a quella elementare.

La moltiplicazione endocellulare dei corpi reticolari


ha effetti citotossici e citolitici, notevolmente
potenziati dalla reazione immune della cellula ospite
che produce una serie di fattori proinfiammatori,
citochine e fattori di crescita.
Nelle fasi precoci dell’infezione, prevale una
reazione infiammatoria con intensa infiltrazione di
linfociti B e T, con caratteristica formazione di
follicoli linfatici secondari. Nelle fasi tardive.
Prevalgono le manifestazioni fibrotiche e gli infiltrati
sono formati da linfociti T e cellule di tipo monolito-
macrofagico.
Le clamidie di interesse umano sono tre:
• Chlamydia Trachomatis;
• Chlamydia Pittaci;
• Chlamydia Pneumoniae.

CHLAMYDIA TRACHOMATIS
È il patogeno di maggior rilievo per l’uomo. A circolazione esclusivamente umana, causa infezioni principalmente
oculari ed urogenitali. Può infettare un numero limitato di cellule. La modalità di trasmissione dipende dal tipo
d’infezione: per via sessuale nelle infezioni urogenitali; attraverso mani, acqua ed indumenti nel tracoma.
Nella cellula ospite, produce un accumulo di glicogeno, facilmente evidenziabile al microscopico, come un
inclusione, mediante la colorazione di Lugol.
Si conoscono almeno 15 serovar, con differenze di spettro e di patogenicità.
I serovar A, B, Ba e C, sono responsabili del tracoma
endemico, grave cheratocongiuntivite cronica, tipica
di situazioni di ridotta igiene.
I serovar D, E, F, G, H, I, J e K sono tra i più
frequenti agenti eziologici di infezioni genitali a
trasmissione sessuale, nei paesi industrializzati.

1
Nell’uomo, la patologia più comune è
un’uretrite non-gonococcica,
scarsamente purulenta. Altre infezioni,
possono causare congiuntivite da
inclusioni degli adulti, monolaterale,
come conseguenza
dell’autoinoculazione con le dita
contaminate da tracce di provenienza
uretrale.
Nella donna, la patologia più frequente è
la cervicite, alla quale può seguire
endometrite, salpingite, che determinano
sterilità. Dalle tube, l’infezione può
estendersi al peritoneo, causando PID
(Pelvic Infiammatori Disease),
caratterizzata da dolori diffusi nella zona
pelvica, febbre e leucorrea.
Nel neonato, l’infezione, acquisita
durante il parto, può causare
congiuntivite da inclusioni ed una seria
forma di polmonite interstiziale.
I serovar L1, L2 ed L3, sono responsabili del linfogranuloma venereo, a trasmissione sessuale.

CLHAMYDIA PSITTACI
È in grado d’infettare vari animali, soprattutto uccelli (galline, anatre, tacchini, piccioni, pappagalli), ma anche
mammiferi. All’uomo si trasmette attraverso l’inalazione di escrementi essiccaati di animali.
Nell’uomo provoca una polmonite interstiziale, detta ornitosi (o psittacosi).

CLAMHYDIA PNEUMONIAE
Inizialmente ritenuta una varietà umana di C.psittaci, viene trasmessa da un individuo all’altro attraverso aerosol.
Si localizza sia nelle basse vie aeree, dove provoca una polmonite interstiziale, sia nelle alte vie aeree, dove
l’infezione è in genere asintomatica.

DIAGNOSI DI LABORATORIO
Nelle infezioni da C.trachomatis, la diagnosi eziologia può essere posta mediante isolamento colturale, in vitro, di
cellule pretrattate con inibitori del metabolismo. Questo è un metodo rapido (24-48 ore) e di elevata sensibilità
(>95%). In alternativa, può essere impiegata la ricerca di DNA batterico, attraverso PCR o reazioni molecolari. È
utile anche la ricerca di antigeni specifici, mediante reazioni immunoenzimatiche (EIA, IF).
Nelle infezioni di C.pneumoniae e C.psittaci, la ricerca di anticorpi, mediante la reazione di fissazione del
complemento , può essere di notevole ausilio diagnostico.

SENSIBILITA’ AGLI ANTIBIOTICI ed IMMUNIZZAZIONE


Vista la particolarità della parete, le clamidie sono insensibili agli inibitori della sintesi del peptidoglicano. Le
tetracicline sono considerati farmaci di prima scelta. Eccellenti alternative sono rappresentate dai macrolidi e dai
fluorochinoloni.
L’unica patologia per la quale sarebbe utile disporre di un vaccino, è il tracoma endemico, ma i tentativi hanno
dato risultati deludenti.

2
Rickettsie
Sono parassiti endocelluari obbligati Gram-, di piccole dimensioni (0,3-0,7μm), evidenziabili con il metodo di
Giemsa. Hanno il loro reservoir in vari mammiferi, e la trasmissione all’uomo sfrutta artropodi ematofagi come
vettori.
Nei mammiferi, le Rickettsie parassitano cellule endoteliali dei piccoli vasi e dei capillari.
Questi parassiti, entrano nelle cellule stimolandone la fagocitosi.
Una volta fagocitate, sono in grado di degradare la parete del
fagosoma grazie alla loro attività fosfolipasica e liberarsi nel
citoplasma. Le cellule infettate vengono danneggiate e muoiono.
Le lesioni necrotiche , provocano la formazione di microtrombi
che, clinicamente, si manifestano come esantemi petecchiali. Le
lesioni vasculitiche interessano vari organi ed apparati e sono
frequenti lesioni complicate dall’intensa reazione immune cellulo-
mediata.

Le principali rickettsie e affini d’interesse umano sono:


• Rickettsia;
• Coxiella, replica nel fagosoma;
• Bartonella, non strettamente intracellulare, cresce in terreni sintetici e può parassitare emazia, causando
batteriemia;
• Ehrlichia, non possiede LPS e parassita i leucociti.
Le caratteristiche fondamentali delle principali rickettsiosi umane, possono essere così schematizzate:
• Gruppo del tifo:
o Tifo esantematico, è la rickettsiosi umana più grave, con elevata mortalità, si manifesta con un
esantema petecchiale. È sostenuto da R.Prowazekii e si trasmette tra individui attraverso il
pidocchio degli abiti.
o Malattia di Brill-Zinsser, è la conseguenza di una recrudescenza del tifo esantematico
clinicamente guarito. È una forma attenuata di tifo esantematico, con andamento autolimitante. Il
tifo murino è causato da R. Typhi. La malattia è più lieve se comparata al tifo esantematico.
• Gruppo della febbre maculosa: comprende forme morbose molto simili tra loro, caratterizzate da
febbre, cefalea, mialgie diffuse, esantema maculo-papulare. Sono trasmesse da zecche.
o Febbre maculosa delle Montagne Rocciose, è la forma più grave, sostenuta da R.Rickettsii;
o Rickettsiosi vescicolare, sostenuta da R.akari, è trasmessa da un acaro che infesta il topo delle
abitazioni. La malattia è caratterizzata da lesioni eritematose al tronco e alle estremità.
• Principali infezioni umane da Coxiella, Bartonella, Ehrilichia:
o C.burnetii, agente eziologico della febbre Q, caratterizzata da febbre, vomito, diarrea, cefalea e
mialgia;
o B.quintana, febbre delle trincee;
o B.henselae, malattia da graffio di gatto;
o E. chaffeensis, Ehrlichiosi monolitica;
o E.equi, Ehrlichiosi granulocitica.

DIAGNOSI DI LABORATORIO
Poiché le Rickettsie non crescono in terreni di coltura abiotici, l’isolamento dai materiali patologici può essere
eseguito solo mediante inoculazione in animali da esperimento, in embrione di pollo o in colture di cellule
endoteliali. Tuttavia, l’isolamento è complesso!
La ricerca degli antigeni specifici, mediante IF ed EIA, in materiali patologici è possibile, ma soffre di una
modesta sensibilità.
Le metodiche di amplificazione gnomica (PCR) rappresentano le tecniche più utili per una diagnosi rapida e
specifica.
Nella normale routine, i procedimenti diagnostici usati, sono la ricerca di anticorpi specifici nel siero (CF, IF,
agglutinazione), utilizzando preparazioni delle diverse rickettsie.

SENSIBILITA’ AGLI ANTIBIOTICI ed IMMUNIZZAZIONE


I farmaci antibatterici sono rappresentati da tetracicline e cloramfenicolo. Possono essere usati anche macrolidi,
fluorochinoloni e rifampicina.

3
L’unico vaccino esistente è il vaccino di Cox, contro il tifo esantematico, largamente usato nella seconda guerra
mondiale. È stato allestito con R.prowazekii coltivate in embrione di pollo ed inattivate con formalina.
Inoltre, la maggior parte delle Rickettsie, non hanno una diffusione epidemica da giustificare l’uso di vaccini.

Micoplasmi
Sono batteri di piccole dimensioni (0,2 – 0,3 μm) che si differenziano dagli altri batteri per la totale assenza di
parete cellulare e il possesso di una membrana cellulare contenente steroli, che conferisce resistenza alla lisi
osmotica.
Le piccole dimensioni della cellula e del genoma (20%
di E.Coli) limitano le capacità metaboliche dei
micoplasmi che richiedono l’allestimento di terreni
arricchiti con precursori di acidi nucleici e siero
animale come sorgente di steroli.
I micoplasmi sono batteri aerobi o anaerobi facoltativi,
che utilizzano il catabolismo del glucosio, dell’arginina
o dell’urea.
I micoplasmi sono patogeni extracellulari che si
moltiplicano sulla superficie delle cellule epiteliali
delle mucose.
L’unica specie patogena per la specie umana è il
Mycoplasma Pneumoniae.
Il M.pneumoniae è l’agente eziologico della polmonite atipica primaria, che incide nel soggetto in età giovanile e
che, inizialmente, si accompagna a buone condizioni generali.
Questo batterio possiede una notevole capacità di aderire alla superficie delle cellule eucariotiche mediata da una
proteina (P1) che, interagendo con uno specifico recettore glicoproteico , determina ciliostasi e danno cellulare.
Inoltre, produce un’emolisina.
Questi batteri, fungendo da superantigeni, sono in grado di stimolare l’attivazione policlonale dei linfociti B e di
stimolare una risposta autoimmune, con comparsa di auto anticorpi anti-emazie (IgM). Inoltre producono
metaboliti tossici che danneggiano le cellule dell’ospite.
La polmonite atipica primaria è un’antroponosi diffusa in tutto il mondo. Si trasmette per inalazione di goccioline
respiratorie in seguito a contatto interumano ravvicinato. Il paziente rimane infettante per un lungo periodo e
sviluppa un’immunità che però non dura tutta la vita.
La diagnosi è di tipo sierologico, attuata mediante la ricerca di antigeni specifici (EIA), o di specifiche sequenze
gnomiche su lavaggio bronchiale espettorato. L’isolamento colturale è difficile e richiede terreni di coltura
complessi.
I micoplasmi, non avendo una parete cellulare, sono insensibili agli inibitori della sintesi del peptidoglicano. I
farmaci di elezione sono rappresentati da tetracicline, macrolidi e fluorochinoloni. Presentano ridotta sensibilità
alla rifampicina e alla polimixina.

Alcuni mycoplasmi possono essere isolati dall’apparato genitale e sono rappresentati da:
• Ureaplasma urealyticum;
• Mycoplasma hominis;
• Mycoplasma genitalium.
Sono responsabili di uretriti non-gonococcica, soprattutto nei maschi e la trasmissione avviene per via sessuale.
La diagnosi si pone mediante la ricerca colturale di U.urealyticum nell’essudato uretrale. I farmaci sono gli stessi
del M.Pneumoniae.

4
Micobatteri
Sono batteri di forma bastoncellare lunghi 1-10μm.
• Strettamente aerobi;
• Immobili;
• Asporigeni;
• Colorazione Gram non definita;
• Catalasi positivi, con l’eccezione del M.tuberculosis isoniazide-resistente.
• Sono acido resistenti e si colorano in rosso con la colorazione di Ziehl-Neelsen.
Il metodo Ziehl-Neelsen è una delle più comuni
metodiche di colorazione dei micobatteri che consiste nel:
1. trattare il preparato per 2-3min con una soluzione
di fucsina addizionata di acido fenico
(carbofucsina);
2. riscaldando il vetrino fino a che la soluzione non
emette dei vapori;
3. lavare con acqua e decolorare per 30-60sec con
una soluzione di HCl al 3% in alcool etilico;
4. eseguire colorazione di contrasto con blu di
metilene.
Solo i micobatteri mantengono la colorazione rossa della fucsina dopo il trattamento, mentre tutti gli altri materiali
vengono decolorati da tale trattamento e sono ricolorati in blu di contrasto.

La parete è caratterizzata dalla presenza di lunghe catene di acidi grassi (acidi micolici); il numero di atomi di
carbonio delle due catene laterali differisce nei due generi:
• Mycobacterium – C60-C90;
• Nocardie – C40-C56
La particolarità della parete, conferisce alla cellula una permeabilità selettiva e scambi metabolici con l’ambiente
“rallentati”, a cui si fa risalire anche il ritmo di moltiplicazione che è assai lento, se confrontato con la maggior
parte degli altri batteri. In base al tempo con cui si può evidenziare una colonia si distinguono:
• Bacilli a rapida crescita (colonie visibili in <5giorni);
• Bacilli a lenta crescita (colonie visibili in >5 giorni).

Diverse specie dei micobatteri sono innocui saprofiti che vivono negli strati superficiali del suolo e alcune specie
si ritrovano nell’organismo come commensali.
Il genere Mycobacterium comprende tre stipiti:
• M.tubercolosis complex: comprendente quattro specie che sembrano derivare da un unico progenitore.
o M. tuberculosis – patogeno umano;
o M. Bovis – patogeno umano;
o M. Africanum;
o M. Ulcerans – patogeno umano opportunista.
• Micobatteri non Tuberculosis, raggruppabili in diversi gruppi, sulla base delle caratteristiche tintoriali:
o Gruppo I di Runyon, micobatteri fotocromogeni a lenta crescita:
 M. Kansasii – patogeno umano opportunista ;
 M. Marinum – patogeno umano opportunista;
o Gruppo II di Runyon, micobatteri scotocromogeni a lenta crescita;
o Gruppo III di Runyon, non cromogeni a lenta crescita:
 M. Avium complex;
o Gruppo IV di Runyon, a rapida crescita.
• Mycobacterium Lepre – patogeno umano

La parete dei micobatteri è formata da:


• Peptidoglicano, legato a polisaccaridi (arabini-galattani), legati a loro volta con acidi micolici ad alto peso
molecolare;
• Esternamente vi è uno strato di polipeptidi ed acidi micolici costituiti da lipidi liberi, glicolipidi e
peptidoglicolipidi.

1
I polipeptidi esterni costituiscono il 15% della parete cellulare e sono coinvolti nella risposta immunitaria cellulo-
mediata dell’ospite al momento dell’infezione.

MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS
Sono bastoncelli sottili e ricurvi, aerobi obbligati.
La parete è il maggior determinante di patogenicità del batterio. I principali componenti lipidici della parete, con
caratteristiche patogene, sono:
• Acidi micolici (50%), difende dall’attacco di proteine cationiche, lisozima, radicali ossidrilici presenti nei
granuli fagocitaci.
• Traloso -6-6'-dimicolato, detto anche fattore cordale, li fa crescere uniti in corde; è tossico per le cellule
dei mammiferi in quanto distrugge i mitocondri, ed è un inibitore della migrazione dei PMN;
• Cera-D, contenuta nello strato lipidico esterno, è il maggiore componente del Complesso Adiuvante di
Freund (CAF). Induce una risposta cellulo-mediata.
La particolare composizione lipidica della parete,
conferisce:
• Difficoltà di colorazione;
• Resistenza a molti antibiotici;
• Resistenza a composti acidi e alcalini;
• Crescita lenta;
• Resistenza alla lisi osmotica mediata dal
complemento;
• Resistenza al processo ossidativo e
sopravvivenza all’interno dei macrofagi.

La tubercolosi è una malattia trasmessa per via aerea. Il microrganismo si diffonde da uomo a uomo in minuscole
goccioline quando un soggetto affetto tossisce, starnutisce o parla. Le goccioline più grosse sono intrappolate nel
naso o nella gola dove difficilmente l’infezione si sviluppa, mentre le goccioline di 5μm possono raggiungere gli
alveoli polmonari.
L’infezione porta raramente alla malattia, solo il 3-4% degli individui infettati sviluppano una malattia attiva; di
questi, solo una piccola parte procederà verso uno stadio più grave.
Una volta depositati negli spazi alveolari dei polmoni, si manifesta un processo infiammatorio di tipo
“essudativo”, con una prevalente componente vascolare, seguita da un intenso accumulo di cellule fagocitarie di
tipo macrofagico. I bacilli vengono fagocitati dai macrofagi.
A questo punto, si possono avere due possibilità:
• l’essudato viene riassorbito e si ha la guarigione;
• si forma un tubercolo.
Se alcuni batteri riescono a sopravvivere, si moltiplicano all’interno dei macrofagi e ne causano la morte,
liberandosi e danneggiando il tessuto circostante.
La comparsa di macrofagi attivati con aumentato potere antimicobattericida e linfociti CD8 citotossici specifici,
riesce a contenere l’infezione, con l’attivazione di un caratteristico processo infiammatorio di tipo granulomatoso.

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Questo si manifesta con un denso infiltrato di cellule mononucleate che circonda un insieme di cellule epitelioidi e
giganti multinucleate (cellule di Langhans). La lesione viene circoscritta da un’intensa reazione connettivale
(fibrosi) e la porzione centrale, che va incontro a necrosi (di tipo caseoso) è sede di un’intensa precipitazione di
Sali di calcio. Nel soggetto resistente, il processo infiammatorio resta localizzato con la formazione del complesso
primario di Gohn. Questa formazione calcificata non sparisce e risulta evidenziabile con radiografie.

Non sempre, questo complesso primario viene sterilizzato; in genere, l’infezione granulomatosa primaria, evolve
in un’infezione cronica paucibacillare, asintomatica, ma con la persistenza dei micobatteri che rimangono vitali
per moltissimo tempo, anche se scarsamente metabolizzanti.
Col tempo, il tubercolo si riempie di sostanza tossiche e causa la necrosi delle pareti dei bronchi e la successiva
rottura. Si ha la formazione di caverne e la diffusione dei micobatteri ad altre zone del polmone. In alternativa, si
può avere una “riattivazione” del complesso primario, in situazione di diminuita efficienza del sistema immune,
con la ripresa della moltiplicazione dei micobatteri, formazione di lesioni granulomatose multiple che, in seguito
alla colliquazione, possono svuotare i loro contenuto in circolo. I bacilli possono diffondere per via indiretta
(attraverso il circolo linfatico), o per via diretta, raggiungendo sedi extrapolmonari.
Nella tubercolosi
secondaria, le lesioni
secondarie, possono
raggiungere ogni parte
dell’organismo, ma
principalmente, si
localizzano a livello del
sistema genitourinario,
delle ossa, del perineo,
delle meningi. A questi
livelli, possono dare lesioni
sia essudative che
granulomatose.
I gruppi di soggetti ad alto rischio d’infezione sono:
• personale ospedaliero, di cliniche e case di cure;
• stranieri provenienti da paesi ad alto tasso si tubercolosi;
• popolazioni con scarse risorse igienico-sanitarie;
• persone infette con HIV;
• persone con problemi di alcolismo e/o che fanno uso di droghe per endovena
Esistono categorie che hanno un elevato rischio di sviluppare un’infezione attiva in seguito all’esposizione al
microrganismo:
• persone in età inferiore ai 4anni;
• persone con patologie che debilitano il sistema immunitario.

Gli “step” per diagnosticare l’infezione e la malattia da bacillo tubercolare comprendono:


1. valutazione medica, con valutazione dei possibili rischi di contagio;
2. test della tubercolina, formata da proteine micobatteriche purificate (P.P.D.), mediante successive
precipitazioni con solfato di ammonio (reazione di Mantoux). Evidenzia la presenza di un’immunità
cellulo-mediata dopo 2-3gg dall’inoculazione.
3. lastra;
4. esame batteriologico.

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Le tecniche di diagnosi di laboratorio sono:
1. ESAME MICROSCOPICO, su espettorato, mediante immunofluorescenza; la conferma, tuttavia, si
ottiene con la colorazione di Ziehl-Neelsen;
2. RICERCA COLTURALE, che si effettua su terreno solido di Lowenstein-Jensen, contenente tuorlo
d’uovo e verde malachite e tenuto in incubazione a 37°C per 2-4 settimane. Su terreno liquido, il periodo
d’incubazione è di 1-2 settimane. Esiste un sistema BACTEC TB che contiene palminato marcato.
3. PROVA BIOLOGICA, mediante inoculazione del materiale in esame nel sottocutaneo di una cavia che
viene a morte in 25-40gg con un quadro di tubercolosi generalizzata.
4. RICERCA DI SPECIFICHE SEQUENZE DI DNA di M.tuberculosis e degli altri micobatteri più
frequentemente associati a infezioni umane, mediante PCR. In questo modo sono possibili diagnosi in 1-
2gg.

I micobatteri non formano spore, non hanno flagelli, non producono esotossine, non hanno l’endotossina, tipica
dei G- e non producono enzimi invasivi.
Il vaccino antitubercolare è costituito da una variante apatogena di M.Bovis, detto vaccino BCG, oppure vaccini
rRNA.

La prognosi della tubercolosi si è profondamente modificata con la disponibilità di alcuni antibiotici. Il


trattamento in uso oggi è una combinazione di antibiotici per un lungo periodo (6-9mesi): Rifampicina,
Isoniazide, Pirazinamide, Streptomicina.
M.tuberculosis presenta facilmente la comparsa di varianti farmaco-resistenti.

MYCOBACTERIUM LEPRAE
M.leprae è l’agente eziologico della lebbra, malattia cronica a decorso
lungo, con un lunghissimo periodo di incubazione, caratterizzata da lesioni
granulomatose cutanee e mucose che si ulcerano, provocando mutilazioni
deformanti e da lesioni che coinvolgono terminazioni nervose periferiche
con comparsa di vaste aree di anestesia cutanea.
La malattia si trasmette per contagio interumano.
M.leprae è localizzato nel citoplasma dei macrofagi, in cui sembra potersi
moltiplicare, disponendosi in ammassi di batteri paralleli “a mazzo di
sigari”.

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Esistono 4 forme di lebbra:
• Lepromatosa, con decorso progressivo e maligno;
• Tubercoloide, decorso benigno e non progressivo;
• Borderline;
• Indeterminata.
La diagnosi è in genere clinica ed è confermata dal reperto microscopico di bacilli acido-resistenti nel citoplasma
di macrofagi presenti nei materiali provenienti dai granulomi cutanei.
Il trattamento della lebbra si basa su una terapia multipla basata su sulfoni (derivati dai sulfamidici – Dapsone) e
rifampicina, della durata di due anni.

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Miceti
I funghi sono caratterizzati da una struttura cellulare eucaristica. La loro peculiare caratteristica è quella di
possedere una parete cellulare rigida, detta tunica.
Sono eterotrofi e necessitano di molecole organiche preformate come carboidrati e nitrati. I funghi sono aerobi o
anaerobi facoltativi ed il loro metabolismo utilizza reazioni fermentative ed ossidative. Sono immobili.
Si riproducono mediante la produzione di spore (sessuali) e/o conidi (asessuali). Sono organismi saprofiti, che
vivono in modo autonomo su materiale organico in decomposizione. Per fare ciò, secernono enzimi in grado di
decomporre i substrati più vari e qualsiasi materia o struttura organica.
Non presentano un particolare habitat in quanto tollerano alte pressioni osmotiche, ampie variazioni di pH
(ottimale 5-6) e di temperatura (da -5 a +60°C).
La maggior parte dei funghi vive nelle regioni equatoriali, tropicali e subtropicali; comunque nel sottobosco.
Alcune specie si ritrovano solo sull’uomo e negli animali e non nell’ambiente.

Il soma di qualsiasi micete viene detto tallo. Esistono miceti con tallo unicellulare (lieviti e miceti monocellulari)
e miceti che hanno un tallo apparentemente pluricellulare. Il tallo è costituito da filamenti tubolari detti ife, che
tendono ad allungarsi e a ramificarsi più volte.
L’insieme delle Ife è detto micelio. In ogni colonia, si distingue:
• Una parte immersa nel terreno con funzioni nutritive di
assorbimento (micelio vegetativo);
• Una parte che si sviluppa al di sopra del substrato con
funzione riproduttiva, detto micelio aereo.
Le ife sono filamenti tubulari con diametro di ca. 1 μm, che
proliferano e si ramificano agli apici. Possono avere una cavità unica
e, in tal caso, sono dette ife cenocitiche, oppure, essere suddivise in
cellule per mezzo di setti trasversali non completi.; in questo caso,
sono dette ife settate.
Se le ife sono ordinatamente stipate e cementate, si ha la formazione
dei macromiceti; se le ife sono lasse, molto ramificate e libere, si ha
la formazione di muffe.

Ife cenocitiche Ife settate


La tunica è fondamentalmente costituita da un fitto intreccio di fibrille di chitina, un polimero di N-acetil-D-
glucosamina,con legami β1,4 associata a quote variabili di polimeri di D-glucosio (glucani), del D-mannoso
(mannani) e della glucosamina (chitosani). La parete determina la forma e la rigidità della cellula fungina; i
componenti mediano l’attacco del fungo alla cellula ospite, mentre i polisaccaridi presenti attivano la cascata del
complemento.
La membrana citoplasmatica fungina, contiene principalmente ergosterolo, piuttosto che colesterolo. Questa
molecola funge da bersaglio per alcuni agenti antifungini.
Generalmente, le ife delle muffe appartenenti alle specie patogene per l’uomo, sono ialine, mentre sono colorati i
propaguli mediante varie sostanze. I pigmenti possono essere di diverso colore e appartenere a gruppi chimici
diversi come carotenoidi, antrochinoni o, a volte, essere fluorescenti.
Un importante pigmento fungino di colore nero, è la melanina, che si ritrova nella parete cellulare delle ife
vegetative di alcune specie fungine (dematiaceae) e nelle strutture cellulari alla riproduzione.

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La funzione dei pigmenti è quella d’impedire all’ifa o al propagalo di perdere l’acqua o i metaboliti, o di
proteggerli da un’eccessiva irradiazione ultravioletta.

La distinzione dei miceti filamentosi in generi, si basa sulla morfologia e sulle diverse modalità di riproduzione.
La riproduzione è caratterizzata dall’alternanza di fasi di riproduzione sessuale, detta perfetta, o teleomorfica, e di
riproduzione asessuale, detta imperfetta, o anamorfica. L’uno e l’altro sono legati essenzialmente alla
germinazione di propagali, detti, rispettivamente, spore e conidi.
La riproduzione asessuale, comprende tre differenti meccanismi:
1. gemmazione, tipica dei lieviti;
2. frammentazione;
3. formazione di spore o conidi.
I conidi sono propagali che si
formano asessualmente da ife
specializzate, dette comdiofori.
Possono essere di forma diversa,
hanno abitualmente piccole
dimensioni (microconidi 1-3μm),
ma possono essere anche
voluminosi (macroconidi),
unicellulari o pluricellulari, con
superficie liscia e rugosa.

La produzione di spore asessuali avviene all’interno di una


struttura specializzata detta sporangio. Lo sporangio deriva da una
cellula apicale dell’ifa che assume una forma a sacculo.
All’interno di questa struttura, le spore si costituiscono per
frammentazione zonale del citoplasma e il suo successivo
addensamento attorno ad i nuclei. Ciascuna delle aree
protoplasmatiche viene rivestita da una parete cellulare
neoformata. Quando la spora ha raggiunto la piena maturità, la
parete si rompe e si dissolve, liberando le spore nell’ambiente.
L’ifa che genera e sostiene lo sporangio prende il nome di
sporangioforo. In corrispondenza del suo apice, si può formare
un’area sterile di forma varia che sporge all’interno della cavità
dello sporangio, e che è detta columella.

I lieviti e i miceti monocellulari sono formati da un tallo unicellulare, generalmente ovoidale. Alcuni lieviti
possono formare una capsula mucide di natura polisaccaridica più o meno spessa (cryptococcus neoformans).
Nella quasi totalità dei casi, si riproducono per gemmazione (blastogonia) e le cellule vengono dette:
• blastospore, se la modalità di riproduzione è sessuata;
• blastoconidi, se la riproduzione è asessuata.
Le blastocellule possono, per processi di gemmazione imperfetti, rimanere unite e formare strutture definite
pseudoife. La gemmazione lascia sulla membrana delle cicatrici che ne riducono l’area fertile.
I miceti patogeni vengono detti miceti dimorfi, in quanto presentano una duplice morfologia:
• Lievitiforme, nei tessuti parassitari e in vitro, a 37°C;
• Miceliale, nell’ambiente o nelle colture a 25°C.

Meccanismo dell’azione patogena


Enzimi extracellulari fungini, ad attività idrolitica, possono svolgere un ruolo patogenetico importante,
danneggiando le membrane cellulari dell’ospite. Fra i fattori di virulenza, un ruolo importante è svolto dall’azione
antifagocitaria delle stesse dimensioni del tallo fungino, maggiori di quelle delle cellule fagocitarie. In molti altri
casi, le dimensioni della spora non sono così grandi da impedirne la fagocitosi, ma l’energia meccanica del
conidio in germinazione risulta tale da spingere l’ifa di accrescimento al di fuori del fagocita.
Altri importanti fattori di virulenza sono rappresentati dalla capacità di alcuni miceti di interferire con cellule
caratterizzate da attività fagocitaria, come accade per Cryptococcus neoformans, che produce una spessa capsula
polisaccaridica provvista di attività antifagocitaria.
Alcuni miceti, come Histoplasma capsulatum sono capaci di moltiplicarsi nel citoplasma dei fagociti.
Altri meccanismi patogeni sono:

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• Cambiamento morfologico, ad esempio, Candida albicans è un lievito quando è commensale, mentre
diviene filamentosa quando invadono i tessuti.
• Metabolismo competitivo;
• Proprietà adesive.

Le patologie principali provocate dai miceti sono:


• Micosi, malattie provocate dalla presenza del fungo nell’uomo;
• Micotossicosi, ingestione di tossine prodotte per mezzo di derrate alimentari contaminate. Le aflatossine,
metaboliti secondari termostabili prodotti da Aspergillus flavus, sono tra i più potenti cancerogeni.
L’acido lisergico (LSD) è il nucleo fondamentale di alcuni alcaloidi persenti in Claviceps purpurea,
fungo parassita della segale;
• Mimetismo, patologia da ingestione diretta da funghi tossici, come Amanita phalloides.

MICOSI
L’uomo ha un alto livello di immunità innata nei confronti dei funghi e la maggior parte delle infezioni sono lievi
e autolimitanti. Questa resistenza è dovuta agli acidi grassi contenuti nella pelle, il pH della pelle, delle superfici
mucose e dei fluidi corporei, il continuo ricambio delle cellule epiteliali, la flora microbica normale, le ciglia del
tratto respiratorio e la buona risposta immunitaria che può essere umorale o cellul-mediata, e prolungarsi o essere
transitoria.
Le micosi possono essere classificate in base alla via di acquisizione, alla virulenza ed al sito d’infezione.
• in base alla via di acquisizione, si distinguono:
o Micosi esogene, l’agente proviene dall’esterno ed è rappresentato da spore, o conidi fungini.
L’ingresso è per via cutanea, per cutanea o aerea.
o Micosi endogene, l’agente infettante è parte della flora microbica che colonizza l’ospite.
 Candida albicans;
 Malassezia furfur;
 Aspergillus fumigatus;
 Cryptococcus neoformans
• In base alla virulenza, si distinguono:
o Micosi primarie, infezioni dovute a patogeni primari in grado di causare un’infezione in soggetti
normali;
o Micosi opportunistiche, infezioni dovute a patogeni opportunisti, cioè in grado di causare
infezione solo in un ospite debilitato.
• In base al sito d’infezione, si distinguono in:
o Superficiali o mucose, limitate agli strati più esterni della pelle e alle mucose;
o Cutanee;
o Subcutanee, quando l’infezione penetra significativamente al di sotto della pelle, nel derma, nei
tessuti sottostanti;
o Sistemiche, quando l’infezione è profonda o disseminata in organi interni.

Micosi superficiali
Piedra nigram dovuta a Pietraia hortae, e Piedra blanca, sostenuta da Trichosporon Bigelli, entrambi miceti
lievitiformi, sono infezioni che si presentano come noduli molli, nerastri o giallastri dei peli. Possono essere
interessati i peli ascellari, pubici e della barba.
Tinea versicolor (o pitiriasi versicolor), sostenuta da
Malassezia furfur, micete lievitiforme, causa chiazze
separate iper- o ipopigmentate sul tronco e/o sulle braccia.
Viene curata con applicazioni quotidiane di solfato di
selenio o azoli applicati localmente o per via orale.

Micosi cutanee – Dermatofitosi


Le micosi cutanee sono causate da funghi che infettano solamente il tessuto superficiale cheratinizzato. I
principali patogeni sono dermatofiti, infettanti sono i tessuti contenenti cheratina e distinguibili in:
• Trychophyton, infetta pelle, capelli ed unghie;

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• Microsporum, può infettare capelli e pelle;
• Epidermophyton, può infettare pelle ed unghie.
I dermatofiti producono enzimi, cheratinasi ed elastasi, in grado di degradare la cheratina che usano come
nutrimento.
Le dermatofitosi, rappresentano le infezioni più diffuse nel mondo e vi sono prove che la suscettibilità dell’ospite
può essere accentuata dall’umidità, dal calore, dalla composizione del sebo e dalla sudorazione. L’obesità, i
pantaloni o il vestiario stretto, le scarpe, sono condizioni favorenti l’infezione.
La maggior parte delle infezioni sono auto-limitanti e vengono diagnosticate in base alla presenza di ife ialine,
settate e ramificate.
Il trattamento consiste nell’accurata asportazione delle formazioni epiteliali infette e nell’applicazione locale di
agenti chimici antimicotici e antibiotici, potendo queste essere infezioni secondarie ad infezioni batteriche.
Le principali manifestazioni cliniche sono:
• Tinea pedis, sostenute da Trychophyton rubrum, T. mentagrophytes ed Epidermophyton floccosum. I
farmaci più efficaci sono intraconazolo e terbinafina, applicati per 2-4settimane.
• Tinea corporis, dovute ad E.floccosum, Microsporum. La lesione aumenta in modo concentrico ad anello,
con il centro ricoperto da scaglie. L’area periferica è la zona di crescita attiva del fungo ed è in genere,
infiammata e vescicolare. Infetta aree del tronco non ricoperte di peli. I farmaci efficaci sono
intraconazolo e terbinafina per 2-4settimane.
• Tinea capitis, sostenute da Trychophyton e Microsporum, possono provocare manifestazioni variabili da
piccole chiazze squamose, al coinvolgimento dell’intera capigliatura. È più comune nei bambini. Le
infezioni del cuoio capelluto vengono trattate con griseofulvina per 4-6settimane, o composti azoici.
• Tinea cruris, sostenuta da Epidermophyton, Trichophyton rubrum, infetta le pieghe del cosce e dei
genitali. Causa anche depigmentazione e ispessimento delle unghie che divengono fragili. Il trattamento
dura mesi e si basa su composti azoici e asportazione dell’unghia infetta.

Tinea pedis Tinea corporis

Tinea capitis Tinea cruris

Micosi sottocutanee
Gli organismi responsabili risiedono nel suolo e nella vegetazione in via di putrefazione. In genere penetrano
attraverso lacerazioni traumatiche o ferite puntiformi. In genere non si trasmette tra soggetti.
Comprendono:
• Sporotricosi, sostenuta da Sporothrix shenckii, micete dimorfo, che provoca granulomi sottocutanei ad
evoluzione suppurativa nel sito d’infezione e può provocare lesioni secondarie per via linfatica. La
maggior parte delle infezioni sono autolimitanti. In alcuni casi, l’infezione guarisce spontaneamente, ma
può essere efficace la somministrazione orale di una soluzione satura di ioduro di potassio nel latte. La
terapia di elezione è l’itraconazolo.

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• Cromomicosi, dovuta a Phialophora verrucosa o Cladosporium carrionii, appartenenti alle Dematiaceae,
saprofiti ambientali delle regioni tropicali e subtropicali, con ife pigmentato con melanina. L’infezione è
cronica e caratterizzata dal lento sviluppo di lesioni granulomatose progressive che, nel tempo, inducono
iperplasia del tessuto epidermico. L’escissione chirurgica è la terapia di elezione per le piccole infezioni.
Per le lesioni più grandi, sono consigliati flucitosina e itraconazolo.
• Micetomi, sono infezioni sottocutanee croniche, legate all’inoculazione di un fungo saprofita, Madurella
grisea, o actinomiceti (actinomicetoma). Provoca ascessi localizzati al piede che emettono pus, siero e
sangue. Presenta granuli colorati, neri, bianchi i gialli, a seconda della specie coinvolta. La terapia
richiede sia l’intervento chirurgico che la chemioterapia con itraconazolo, chetoconazolo e anfoteracina
B.

Sporotricosi Micetoma

Cromomicosi

Micosi sistemiche
Possono essere dovute a patogeni primari sistemici, e comprendono:
• Blastomicosi, sostenute da Blastomycos dermatitidis;
• Coccidiomicosi, dovuta a Coccidioides immitis;
• Istoplasmosi, sostenuta a Histoplasma capsulatum;
• Paracoccidioidomicosi, dovuta a Paracoccidioides brasiliensis
Oppure possono essere dovute a patogeni fungini opportunisti, di cui, i principali sono:
• Aspergillus fumigatus;
• Candida Albicans;
• Cryptococcus neoformans
Generalmente, si ha un’infezione primaria asintomatica, simile alla TB che, in pazienti immunocompetenti è di
media gravità e autolimitante. Nei pazienti immunisoppressi possono causare morte.

PATOGENI OPPORTUNISTI
Candidosi
La Candida albicans, fa parte della normale flora microbica della bocca, pelle, vagina ed intestino. È un micete
dimorfo. La manifestazione patologica può essere il risultato di una crescita abnorme, dovuta all’uccisione dei
batteri da parte di antibiotici, o la penetrazione del lievito all’interno dell’organismo.
I principali fattori di rischio sono:
• Uso prolungato di antibiotici;

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• Immunodeficienza;
• Zone umide;
• Influenza ormonale;
• Età;
• Fattori meccanici;
• Contraccettivi orali e locali.
L’infezione da Candida è quasi sempre associata con terapia antibatterica, leucopenia, bassa immunità (AIDS) o
lesioni meccaniche.
Comprende:
• Infezioni superificiali, quali:
o Mughetto, placche bianche sulla lingua, palato e altre mucose superficiali;
o Candidosi vaginali;
o Esofagiti;
o Endoftalmiti, bottoni bianchi sulla retina, che possono portare a cecità.
• Candidosi delle mucose, doloranti, pallide con un rivestimento bianco o perdita di mucosa;
• Infezioni gravi, comprendenti:
o Setticemia;
o Candidosi epatospleniche;
o Peritoniti.

Criptococcosi
Sostenute da Cryptococcus neoformans, saprofita che si ritrova nel suolo contenente escrementi di uccelli.
Possiede una caratteristica capsula, molto spessa, che circonda la cellula lievitiforme.
La trasmissione avviene per via aerea e la forma più comune di criptococcosi è una media infezione polmonare
subclinica. La complicazione più frequente, nei soggetti immunosoppressi è una meningite fatale.
In pazienti con AIDS, è la seconda infezione fungina più comune dopo la candida.

Aspergillosi
Gli aspergilli, sono saprofiti diffusi in ogni ambiente e
in presenza di materiale vegetale in decomposizione e
nella polvere. Tra i funghi filamentosi, l’Aspergillus è
il fungo più frequentemente isolato nelle infezioni
invasive ed opportunistiche.
Infezioni aspergillari sono ad elevato rischio di letalità
nei leucemici e nei trapiantati d’organo. La relativa
rarità dell’infezione è legata al carattere opportunistico
della malattia.
Questo fungo filamentoso produce grandi quantità di
conidi, prodotti in colonie emergenti in serie unica.

L’aspergillosi è l’insieme delle malattie umane e di animali causate da membri del genere aspergillus. Aspergillus
fumigatus è il patogeno umano più comune e causa infezioni che si possono manifestare in varie forme:
• Micotossicosi, dovute all’ingestione di cibo contaminato da aflatossine;
• Aspergillosi broncopolmonare allergica (ABPA), il fungo colonizza la superficie del tratto respiratorio
inferiore, ma non lo invade. Viene indotta un’intensa risposta di ipersensibilità (IgE) con conseguente
danneggiamento della funzione polmonare.

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• Polmone del contadino, o Sindrome del fiato corto che si verifica parecchie ore dopo l’esposizione a
fieno infetto. Le IgG formano precipitati con gli antigeni dell’Aspergillus sulle pareti degli alveoli e si ha
una risposta di ipersensibilità di terzo tipo.
• Aspergillosi polmonare di tipo invasivo, è la più grave e spesso fatale forma di aspergillosi che spesso
dissemina al cervello ed altri organi.
• Aspergillosi polmonare, forma meno grave, dovuta alla crescita delle ife che formano ammassi fungini in
cavità polmonari, senza diffondere.
La terapia si basa sull’utilizzo di anfotericina B e sull’asportazione dell’aspergilloma.

Zigomicosi
Gli zigomiceti sono una classe di funghi che include tre ordini:
• Mucorales;
• Mortierellales;
• Entomphthorales
Questi funghi crescono velocemente e sono saprofiti ambientali che, raramente infettano l’uomo. Le loro spore si
ritrovano in abbondanza sulla frutta in decomposizione.
L’infezione, di solito, è circoscritta a persone che hanno condizioni debilitanti come ustioni, leucemia o diabete
mellito.
Con il termine zigomicosi, ci si riferisce all’infezione angio-tropica che invade i vasi sanguigni. Le specie che più
frequentemente causano malattia sono:
• Absidia corymbifera;
• Rhizomucor pusillus;
• Rhizopus arrhizus.
La forma di malattia più comune può essere fatale in una settimana ed è la zigomicosi rino-cerebrale, che origina
nella mucosa nasale e progredisce verso le orbite, il palato ed il cervello.
Altre infezioni provocate da zigomiceti sono:
• Polmonari, colpiti maggiormente i neutropenici. Si presenta con febbre e dispnea. Radiologicamente
presenta solidificazioni segmentate, che progrediscono alle zone polmonari vicine.
• Gastrointestinali, colpisce i pazienti malnutriti. Può coinvolgere stomaco, ileo e clon. La diagnosi è
spesso post-mortem.
• Cutanee, infezioni associata a piccoli traumi, punture d’insetti, abiti sporchi. Le lesioni necrotiche,
progressivamente evolvono dall’epidermide al derma, poi al muscolo.

DIAGNOSI DELLE MICOSI


Nel caso di materiali molto fluidi, può essere sufficiente l’osservazione microscopica diretta. Nel caso di materiali
più densi e compatti può essere necessario il trattamento preventivo a caldo con soluzioni di KOH al 10% e
successiva microscopia diretta o colorazioni particolari: Ematossilina-Eosina, Colorazione PAS.
L’esame colturale è sempre di fondamentale importanza. Per la coltura di primo isolamento sono preferiti terreni
solidi, di cui, quello più comune è l’Agar di Sabouraud e Potato Dextrose Agar (PDA) a pH 5.0.
L’utilizzo di test immunoistochimici per la ricerca di antigeni sulla parete del fungo è ostacolato dalla frequenza
di reazioni crociate. Nella candidosi, gli antigeni presi in considerazione sono costituiti da mannani e altri
componenti polisaccaridici o glicoproteici della parete cellulare.
Le colonie possono formarsi da spore, conidi o frammenti di ife. I campioni utilizzabili sono: sangue, pus, CSF,
espettorato, biopsie tissutali, scaglie di pelle e frammenti di unghie.

FARMACI ANTIFUNGINI
L’azione antimicrobica dei farmaci antifungini interferisce anche con il sistema metabolico dell’ospite, viste le
strette affinità funzionali tra cellule fungine e animali.
La chitina, unico elemento specifico della parete fungina, sarebbe il bersaglio ideale, ma non esistono ancora
farmaci specifici.
Le principali classi provviste di un accettabile quoziente terapeutico comprendono:
• Griseofulvina, appartenente alla classe dei benzofurani, possiede un’azione multipla:
o Inibisce la sintesi degli acidi nucleici;
o Interferisce con la polimerizzazione dei microtubuli;
o Inibisce la sintesi di chitina.
Somministrata per via orale, si concentra sugli strati cheratinizzati dell’epidermide, ed è utilizzata per le
micosi superficiali e cutanee, sostenute da dermatofiti.

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• Polieni, agiscono legandosi all’ergosterolo della membrana e, generando pori, provoca la lisi osmotica
della cellula. La nistatina, somministrata per os, è usata nelle infezioni del tratto gastrointestinale.
L’amfotericina B, ad ampio spettro d’azione, può essere somministrata per via parenterale, per il
trattamento sistemico di micosi parenchimali.
• 5-fluorocitosina, è introdotta nelle cellule fungine per la presenza di una citosina-permeasi. Dopo essere
stata deaminata a 5-fluorouracile, agisce inibendo la sintesi degli acidi nucleici e alterando la sintesi
proteica. È ben assorbita dopo somministrazione per via orale, e lo spettro d’azione è limitato ai lieviti e
agenti di cromoblastomicosi.
• Composti azolici, inibiscono la C14α-demetilasi, legandosi al citocromo P450. Il risultato è il blocco
della sintesi degli steroli. Comprende imidazoli e triazoli.
• Allilamine, rappresentate da terbinafina, inibiscono la squale-epossidasi, che entra in gioco nella sintesi
dell’ergosterolo. Somministrata per via orale, si accumula nelle unghie, nella pelle e nel grasso. Molto
utili nelle infezioni delle unghie.
La comparsa di resistenza ai farmaci antifungini è meno frequente rispetto ai batteri.

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Protozoi
I protozoi, sono microrganismi unicellulari eucarioti, provvisti di nucleo, che racchiude un corredo
cromosomico peculiare per ogni specie. Sprovvisti di pigmenti fotosintetici, utilizzano reazioni fermentative e
ossidative per produrre energia. Alcuni protozoi patogeni per l’uomo sono provvisti di mitocondri.
La maggior parte sono aerobi o aerobi-anaerobi facoltativi. Sono eterotrofi e assumono le sostanze esterne
mediante fagocitosi o pinocitosi.

Esistono più di 50000 specie di protozoi, di cui, la maggior parte sono ambientali.
Phylum sarcomastigophora
Comprende:
• Subphylum mastigophora, flagellati: microrganismi caratterizzati dalla presenza di una o più appendici
locomotorie, molto lunghe, unite al corpo del protozoo da una membrana ondulante. I flagellati parassiti
dell’uomo comprendono protozoi a localizzazione intestinale o genito-urinaria (Guardia, Trichomonas) o
in grado di invadere il sangue o i tessuti profondi (Tripanosoma, Leishmania).
• Subphylum sarcodina, microrganismi caratterizzati da cellule ameboidi, capaci di emettere pseudopodi
che ne permettono il movimento di traslazione. Nell’uomo, sono rappresentate dal genere Entamoeba,
parassita del canale alimentare, e dei generi Acanthamoeba e Naegleria, parassiti del sistema meningo-
encefalico.
Phylum Apicomplexa
• Classe Sporozoea: microrganismi caratterizzati da un ciclo vitale in cui si alternano forme di riproduzione
asessuata (schizogonia) e forme di riproduzione sessuata, possibili solo in ospiti differenti. Non
posseggono organi di movimento. Comprendono specie a localizzazione intestinale (Isospora,
Cryptosporidium) o in grado di invadere il sangue (Plasmodi, Babesia, Toxoplasmi).
Phylum Ciliophora
• Classe Kinetofragminophorea, microrganismi caratterizzati dalla presenza di numerosissime appendici
locomotorie, molto più corte dei flagelli, distribuite in ammassi irregolari, con una complessa
organizzazione, provvista in genere di due nuclei a diversa funzione. L’unico rappresentante, capace di
infettare l’uomo è Balantidium coli, a localizzazione intestinale.

La riproduzione dei protozoi può avvenire sia per via sessuata che per via asessuata. I principali meccanismi di
riproduzione asessuata sono la scissione binaria e la quella multipla. I principali meccanismi di riproduzione
sessuata sono:
• Coniugazione, fusione parziale di due individui, seguita da ricombinazione dei micronuclei;
• Singamia, produzione di gameti.

Ogni specie di protozoo è caratterizzata da un suo particolare ciclo biologico, caratterizzato da fasi di sviluppo in
uno o più ospiti di specie diversa. Durante il ciclo biologico, possono alternarsi più tipi morfologici.
Gli ospiti possono distinguersi in:
• Ospite definitivo, in cui il protozoo si riproduce sessualmente. Rappresenta il serbatoio dell’infezione.
• Ospite intermedio, in cui il protozoo si riproduce sessualmente e non è in grado di raggiungere la
maturità. È rappresentato dal malato.
I protozoi possono penetrare nell’organismo attraverso varie vie:
• Via oro-fecale: Toxoplasma;
• Via alimentare: Sarcocystis;
• Via transplacentare: Plasmodium;
• Via sessuale: Trichonomas;
• Via trasfusionale: Toxoplasma;
• Artropodo come vettore: Plasmodium
Inoltre, ogni protozoo presenta una sua particolare localizzazione nell’organismo ospite:
• Cute: Leishmania;
• Occhio: Acanthamoeba;
• Tratto intestinale: Guardia, Entamoeba, Cryptosporidium, Isospora, Balantidium.
• Tratto genito-urinario: Trichomonas;
• Sangue: Plasmodium, Tripanosoma;
• Milza: Leishmania;

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• Fegato: Leishmania, Entamoeba;
• Muscoli: Tripanosoma Cruzy;
• S.N.C.: Tripanosoma, Naegleria, Toxoplasma, Plasmodium.

I principali meccanismi di patogenicità dei protozoi sono:


• Adesione, mediata da adesine protozoarie che riconoscono diversi recettori:
o Glicoforina A e B (P.falciparum);
o Antigene Duffy (P.Vivax);
o Recettori per il complemento (Babesia);
o Fattori del complemento (Leishmania);
o Fibronectina (Trypanosoma cruzi).
• Colonizzazione ed invasione, può avvenire sia a livello extracellulare (Trypanosoma), ma più spesso è a
livello intracellulare (Plasmodi, Toxoplasma).
• Elusione della risposta immunitaria, alcune specie protozoarie sono in grado di mettere in opera
meccanismi che permettono loro di eludere il sistema immunitario e replicarsi nell’organismo. Tra i
meccanismi in grado di evadere il sistema immunitario, sono:
o Variazione antigenica (Trypanosoma)
o Eliminazione degli antigeni di superficie (Entamoeba, Toxoplasma, Plasmodium)
o Mimetismo antigenico
o Mascheramento dell’antigene;
o Frazionamento anticorpale (Trypanosoma Curzi)
o Sopravvivenza in macrofagi (Toxoplasma, T.Curzi)
o Interferenza con la risposte immunitaria
• Danno, attraverso:
o Diminuzione della superficie assorbente intestinale;
o Intasamento dei capillari cerebrali;
o Ostacolo meccanico alla diffusione transalveolare dell’ossigeno.

PLASMODIUM sp.
Nel genere Plasmodium, quattro specie sono patogene per l’uomo, responsabili di differenti firme di malaria:
• Plasmodium falciparum;
• Plasmodium vivax;
• Plasmodium ovale;
• Plasmodium malariae
La malaria costituisce la prima causa di morbosità e mortalità
nel mondo, interessando oltre 2 milioni di persone che vivono
in aree endemiche, causando 250 milioni di nuovi casi ogni
anno.
Nonostante interessi tutto il globo, le aree più interessate in
forma endemica, corrispondono alle zone intertropicali di
Africa, Asia e America Latina.
In Europa, l’infezione malarica è stata dichiarata eradicata nel
1975, sebbene l’incremento dei rapporti turistico-commerciali
da e per paesi di endemia, abbia comportato il forte aumento
dei casi d’importazione.

La trasmissione interumana di tutte le specie di Plasmodium è assicurata da:


• Vettori del genere Anopheles;
• Trasfusioni ed aghi contaminati;
• Materno-fetale
L’ingresso nell’organismo del plasmodio è dovuto al morso di una femmina infetta di Anopheles. Gli sporozoiti,
elementi fusiformi mononucleati (10-15μm) ed estremamente mobili, si muovono attraverso il derma fino ai vasi
superficiali e. attraverso il circolo ematico, raggiungono il fegato. Una piccola parte può circolare attraverso il
sistema linfatico.
Gli sporozoiti colonizzano rapidamente il fegato e all’interno degli epatociti vanno incontro a successive
schizogonie, con formazione dello schizonte. L’interazione a livello epatico, avviene mediante proteoglicani
eparan-solfati (HSPGs) delle cellule epatiche e stellate. Una volta che lo sporozoite è entrato in un epatocita, esso

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si muove attraverso un gran numero di cellule adiacenti, stabilizzandosi in una e formando il vacuolo
parassitoforo.

Lo schizonte è un elemento multinucleato di grandi dimensioni (45-60μm) da cui originano un elevato numero di
elementi, detti merozoiti. Mentre gli sporozoiti di P.Falciparum e P.malariae evolvono in merozoiti, una parte
degli sporozoiti di P.vivax e P.ovale, entrano in uno stato di quiescenza all’interno degli epatociti, sottoforma di
ipnozoiti.
Il merozoite è rilasciato nel sangue attraverso la formazione
di vescicole, i merosomi, che vengono rilasciate nel lume
sinusoidale. Una volta rilasciato nel sangue, il merozoite
invade i globuli rossi, formando un anello intracellulare di
parassiti. All’interno dell’eritrocita, il merozoite assume,
nel giro di 24.30ore, le caratteristiche di trofozoite, e
successivamente di schizonte, per cariodieresi. Dopo 48ore,
l’eritrocita infetto si rompe, rilasciando merozoiti che
infettano altri eritrociti.

Nell’infezione da P.malariae, la lisi ematica si ogni 72ore e questo è alla base della caratteristica malaria quartana;
negli altri plasmodi, la rottura delle emazie si ha ogni 48ore, dando origine alla forma terzana.
Le maggiori complicazioni della malaria da P.falciparum si
hanno a livello:
• Cerebrale, dove si ha l’auto-aggregazione con
ostruzione dei vasi cerebrali. La deposizione di
pigmento e la cito-aderenza provocano il rilascio di
citochine e la produzione di ROS e NO, che causano
danno vascolare.
• Renale, il sequestro di GR causa alterazioni del
microcircolo che inducono un’emolisi intravascolare.
I GR lisati rilasciano prodotti tossici che provocano
necrosi tubulare. Si ha, inoltre, deposizione di
immunocomplessi.

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Nei GR, P.falciparum produce una proteina, PfEMP1 (Plasmodium falciparum erythrocyte membrane protein-1),
che si stacca dai globuli e si lega a recettori su altre cellule ematiche e sulle pareti dei vasi. Questa proteina,
quindi, porta alla formazione di aggregati che occludono i vasi.
In caso di gravidanza, il P.falciparum, esprime una nuova variante di PfEMP1, specifica per l’adesione ai capillari
della placenta.
L’ospite è in grado di proteggersi verso la malaria:
• Producendo Ab anti-sporozoiti, che impediscono l’invasione degli epatociti;
• Producendo Ab anti-merozoiti, che impediscono l’invasione degli eritrociti;
• Producendo Ab verso gli eritrociti infetti;
• Producendo Ab verso i gametociti che possono prevenire lo sviluppo degli sporozoiti.

Ogni specie plasmodiale sostiene una differente forma clinica di malaria. Indipendentemente dalla specie in causa,
l’infezione malarica assume caratteristiche di maggiore gravità nei soggetti non immuni.
• Malaria terzana maligna, sostenuta da P.Falciparum, ha un periodo d’incubazione di 7-14gg. Esordisce
con febbre elevata, cefalea, brividi, artralgie e prostrazione intensa, cui segue la defervescenza febbrile,
accompagnata da sudorazione profusa. Senza trattamento, assume una periodicità a giorni alterni.
• Malaria terzana benigna, dovuta a P.vivax e P.ovale, ha un periodo d’incubazione più lungo (14-20gg) e
le caratteristiche e la periodicità degli accessi febbrili, sono simili a quelli della forma maligna. Qualora
non si provvede a sterilizzare il fegato, possono verificarsi recidive anche a lunghe distanze.
• Malaria quartana, sostenuta da P.malariae, ha un periodo d’incubazione di 6-8mesi ma in genere è di 21-
28gg. La periodicità degli accessi febbrili è di 72ore. Non si verificano recidive, ma possono esserci
cronicizzazioni.

La diagnosi, ancora oggi, si effettua mediante la ricerca del protozoo nel sangue del paziente.
Per la prevenzione, sono stati sviluppati tre tipi di vaccini:
• Vaccini contententi proteine circumsporozoite (CSP), che inducono immunità nella fase pre-eritrocitaria,
verso sporozoiti e forme epatiche;
• Vaccini contenenti proteina di superficie merozoitica (MSP), che inducono immunità nella fase ematica,
verso merozoiti e gametociti.
• Vaccini anti-gametociti, che impediscono la trasmissione e lo sviluppo del parassita nel mosquito.

BABESIA
I rari casi di babesiosi, documentati negli Stati Uniti ed in Europa, sono stati causati da B.divergens e B.microti.
Si tratta di una zoonosi, in cui i serbatoi sono rappresentati da bovini, roditori, cani e animali selvatici.
La trasmissione può avvenire attraverso:
• Morso di zicche:
o Ixodes ricinus (B.divergens)
o Ixodes cammini (B.microti)
• Trasfusioni;
• Associazione con malattia di Lyme, in quanto i vettori sono gli
stessi della Borrelia burgdoferi.

L’infezione si manifesta clinicamente con febbre elevata, brividi scuotenti, cefalee, mialgie, addominalgie ed
ittero, dovuto all’imponente emolisi causata dalla deformazione delle emazia e dallo sviluppo di anticorpi.
Una volta introdotto nel vertebrato, il parassita penetra,
sottoforma vermicolare, negli eritrociti, dove si moltiplica per
schizogonia. La gemmazione avviene con quattro nuove forme
(croce di Malta).
La diagnosi è emoscopica e la terapia si basa sull’impiego di
clindamicina e chinine.

4
Virologia generale
I virus sono parassiti endocellulari obbligati,
formati da una o poche molecole informazionali
(DNA o RNA), a loro volta racchiuse in un
contenitore proteico, detto capside. Il contenitore
proteico ha la duplice funzione di proteggere le
molecole informazionali e di mediarne la
penetrazione nella cellula bersaglio.
In ambiente extracellulare le singole particelle
virali o virione sono inerti dal punto di vista
metabolico.
Alcuni virus possiedono all’esterno del nucleo-
capside, un inviluppo lipoproteico, denominato
policapside, formato da frammento di una
membrana cellulare.
Ogni virus ha uno spettro d’ospite variabile, che
può comprendere insetti, animali o piante.

In passato, la classificazione dei virus era basata su:


• Spettro d’azione;
• Tessuti infettati;
• Malattia causata;
• Vie di trasmissione;
• Modalità di trasmissione

Il sistema universale di tassonomia virale è gerarchico e politetico. La famiglia ha il suffisso –viridae, le


subfamiglie prendono il suffisso –virinae, mentre il genere ha il suffisso –virus. La definizione di specie è
importante.
Le proprietà utilizzate oggi per la classificazione di un virus sono:
• Genoma (DNA,RNA, doppio o singolo filamento, segmentato, ecc.);
• Morfologia (taglia, forma, tipo di simmetria, presenza o assenza di envelope);
• Proprietà biologiche (strategia di replicazione, spettro d’ospite, modo di trasmissione)

Il primo principio di classificazione è:


1. Tipo di acido nucleico
La prima grande distinzione va fatta tra:
• Virus a DNA (Deossiribovirus);
• Virus a RNA (Ribovirus)
Nel 30% dei virus animali, il genoma è DNA a doppio filamento, con l’eccezione dei Parvovirus, che hanno un
filamento singolo, e gli Hepadnavirus, che hanno un doppio filamento incompleto. Il filamento può essere lineare
o circolare.
Nel 70% dei virus animali, il genoma è a RNA a singolo filamento, tranne i Reovirus, in cui è a doppio filamento.
Il genoma a RNA che può essere segmentato o non segmentato può avere:
- polarità positiva, come mRNA;
- polarità negativa, complementare all’mRNA;
- ambisenso, costituito da regioni di RNA + e – unite testa e coda.

2. Struttura del capside


Distinti in:
• Simmetria elicoidale, in cui le unità
proteiche, tutte identiche, sono sistemate
come i gradini di una scala a chiocciola;
• Simmetria icosaedrica, le unità si
aggregano in un icosaedro, solido a 20
facce, 12 vertici e 30 lati.

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La scelta di una struttura a subunità identiche è legata a tre motivi:
- Economia. La capacità codificante del genoma è limitata dalla sua grandezza, quindi la costruzione di
un involucro basato su poche proteine è essenziale;
- Fedeltà. La sintesi di DNA,RNA e proteine è soggetta ad errori casuali. Usando piccole proteine,
l’errore è ridotto al minimo.
- Complessità. La struttura a subunità permette più contatti e più legami che stabilizzano la particella.
Alcuni virus sfuggono alla simmetria icosaedrica ed elicoidale. Le particelle virali, si assemblano spontaneamente
e si trovano in uno stato energetico minimo. Le forze che guidano l’assemblaggio inducono le interazioni
idrofobiche ed elettrostatiche.

3. Presenza o assenza di envelope


Distingue tra:
• Virus rivestiti, da un envelope costituito da lipidi, proteine e glicoproteine, che però rendono le
membrane labili nell’ambiente, distrutte dagli acidi e dai detergenti. Vengono rilasciati per gemmazione.
Questi virus devono stare nell’umido e diffondono attraverso la saliva, le trasfusioni ed il sangue. Non
sono in grado di sopravvivere nello stomaco e nell’intestino, ma possono dare infezioni persistenti. La
protezione nei loro confronti richiede una risposta sia umorale che cellulo-mediata e sono in grado di
evocare risposte infiammatorie e di ipersensibilità.
• Virus nudi, non hanno un envelope lipidico, quindi risultano stabili al calore, agli acidi, ai disinfettanti o
all’essiccamento. Vengono rilasciati per lisi della cellula. Diffondono facilmente nell’ambiente e sono in
grado di sopravvivere in condizioni avverse (stomaco ed intestino). Resistono ai detergenti e ai
disinfettanti. La risposta anticorpale può essere sufficiente alla protezione e non da infezione persistente.

Virus a RNA
A singola catena + Rivestiti Icosaedrici Flaviviridae Yellow Fever
Togaviridae Ribella
Retroviridae HTL virus I,II, HIV
elicoidali Coronaviridae Coronavirus, SARS
Nudi icosaedrici Picornaviridae Rhino-, Enterovirus
Caliciviridae Norwalk virus
- rivestiti elicoidali Orthomyxoviridae Influenza virus A,B,C
Paramyxoviridae Morbillo, Parotite, RSV
Rhabdoviridae Rabies Virus
Filoviridae Ebola virus
Bunyaviridae California encephalitis
Arenaviridae Lassa Fever
Doppio filamento Nudi Icosaedrici Reoviridae Rotavirus

Virus a DNA
Singolo filamento Nudi Parvoviridae Parvovirus B19
A doppio filamento Nudi Circolare Papillomaviridae Papilloma virus
Polyomaviridae JC virus, BK virus
Lineare Adenoviridae Adenovirus
Rivestiti Herpesviridae Herpes Simplex Virus, EBV
Hepadnaviridae Epatite B virus

La classificazione basata sulla strategia di replicazione e si riferisce allo schema di Baltimore, basato sulla
composizione del genoma, su come il virus produce il proprio mRNA e su come replica il proprio genoma.

DNA Classe I Doppio filamento


Doppio filamento circolare
Classe II Filamento singolo
RNA Classe III Doppio filamento 10-12 segmenti
Classe IV Singolo filamento positivo
Classe V Singolo filamento negativo
RNA (RT) Classe VI Singolo filamento diploide
DNA (RT) Classe VII Doppio filamento circolare

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Il ciclo replicativo di un virus presenta una fase extracellulare, un cui il virione che si libera dalla cellula al
termine del ciclo di moltiplicazione, ha una struttura ben definita (genoma+capside), ed una fase intracellulare, in
cui il virione perde l’integrità strutturale.
1. Adsorbimento. Fase di riconoscimento della cellula
bersaglio e attacco. La sensibilità di una cellula nei
confronti di un particolare virus è definita dalla
presenza di idonei recettori. Il riconoscimento del
bersaglio richiede la presenza di un particolare
proteina virale (Viral Attachment Protein – VAP), in
grado di legare il bersaglio e un corecettore. Il legame
è energia-dipendente.
a. EBV – Recettore CR2 del Complemento
(Linf B);
b. HIV – CD4 (T helper);
c. Rhinovirus – ICAM-1;
d. Poliovirus – Ig Supergene protein (CD155);
e. Rabies – Recettore acetilcolina;
f. Influenza A – Glicoforina A
L’espressione o l’assenza del recettore determina se la cellula è permissiva o non per la replicazione
virale.
2. Penetrazione. Nei virus nudi può avvenire per:
a. Traslocazione diretta, attraverso la membrana, del capside o dell’acido nucleico (Poliovirus);
b. Endocitosi
Nei virus rivestiti possiamo avere:
a. Fusione dell’envelope con la membrana citoplasmatica. Questo meccanismo è pH-dipedente
(Herpesvirus, HIV, Paramyxovirus);
b. Endocitosi, mediata da recettore e successiva fusione dell’envelope con la membrana
dell’endosoma. È pH-dipendente. (Orthomyxovirus, Rhabdovirus).
Il processo di penetrazione è energia-dipendente.
3. Uncoating. È la fase di scapsidamento che rende il genoma disponibile nella cellula ospite. Dopo questa
fase, il virus non è più dimostrabile fino alla formazione di un nuovo virus. Questa fase è detta di eclissi.
4. Replicazione ed espressione genica. Il genoma virale è piccolo e contiene solo l’essenziale. Inoltre, viste
le ridotte dimensioni, il genoma è posto in modo da condensare il più possibile l’informazione genica,
attraverso:
a. Sovrapposizione di geni;
b. Utilizzo di differenti cornici di lettura;
c. Lettura su entrambi i filamenti.
L’acido nucleico può essere sintetizzato nel nucleo o nel citoplasma, mentre la sintesi delle proteine
avviene sempre nel citoplasma.
La replicazione dei virus a DNA avviene sempre nel nucleo, con l’eccezione del Poxvirus. I
desossiribovirus hanno il genoma formato da DNA bicatenario e lineare. La sintesi degli mRNA virali
avviene nel nucleo della cellula infetta, ad opera della trascrittasi cellulare ed il nucleo è la sede della
replicazione del genoma e dell’assemblaggio. Nella famiglia Parvoviridae, che hanno il DNA lineare, ma
monocatenario, le proteine della cellula vengono usate per sintetizzare la catena complementare.

Ribovirus, hanno il genoma formato da RNA. In base alla presenza di una o più molecole di RNA, alla
loro polarità e alla struttura dell’RNA, si distinguono diversi gruppi.
• Ribovirus a genoma positivo. Hanno tutti il genoma formato da una molecola di RNA
monocatenario e lineare, che ha la stessa polarità dell’mRNA e funziona da messaggero
immediato. Non esistono trascrittasi virali. La sintesi e l’assemblaggio avvengono nel
citoplasma. Traducono anche per l’RNA polimerasi RNA-dipendente che permette la formazione
di più molecole di RNA e la produzione di più virioni.
• Retrovirus. Possiedono un genoma diploide, formato da due catene di RNA monocatenario e
lineare. L’RNA genomico, pur essendo positivo, non può fungere da messaggero immediato, ma
deve essere trascritto, ad opera della trascrittasi cellulare, a partire da un intermedio a DNA,
complementare all’RNA, ottenuto ad opera della trascrittasi inversa presente nel virione.
• Ribovirus a genoma negativo. Hanno il genoma formato da una (Paramyxoviridae,
Rhabdoviridae) o più molecole di RNA monocatenario e lineare. La trascrizione è necessaria per

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la formazione degli mRNA che avviene nel citoplasma ad opera di una trascrittasi virale. Nel
citoplasma avviene la replicazione del genoma ed il montaggio dei nucleocapsidi.
• Reovirus. Gli unici formati da genoma a RNA bicatenario con 10-12 molecole. La trascrizione
del genoma è necessaria per la formazione degli mRNA e avviene nel citoplasma ad opera di una
trascrittasi virale. Replicazione e assemblaggio avvengono nel citoplasma.

Ribovirus a genoma + Ribovirus a genoma – Ribovirus a genoma doppio


(classe IV) (classe V) (Classe III)

Retrovirus (classe VI)


5. Assemblaggio. Implica la raccolta di tutti i componenti necessari per la formazione del virione maturo in
un sito particolare della cellula, dove si forma la struttura di base della particella virale. Il sito di

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assemblaggio dipende dal sito di replicazione e dal meccanismo di rilascio. L’assemblaggio della
maggior parte dei virus a RNA avviene nel citoplasma, mentre nei virus a DNA, avviene nel nucleo.
6. Rilascio. Per i virus nudi, avviene mediante la lisi, mentre, per i virus rivestiti, il rilascio avviene per
gemmazione della membrana, senza la morte immediata della cellula.
7. Maturazione. Consiste nella formazione delle particelle infettanti e avviene mediante cambiamenti
strutturali che comprendono:
a. Clivaggio delle proteine del capside;
b. Cambiamenti conformazionali nelle proteine.
Può avvenire all’interno della cellula durante l’assemblaggio e la fuoriuscita, o anche all’esterno, dopo
che i virus della progenie si sono liberati dalla cellula.

Le conseguenze sulla cellula ospite, della replicazione virale, possono inibire, modificare la sintesi del DNA,
RNA e proteine.
La cellula ospite può essere:
• Sensibile. Permette l’invasione da parte dei virus in quanto provvista di idonei recettori;
• Permissiva. Consente un ciclo di replicazione virale completo.
In base alle cellule ospiti, l’infezione virale può essere:
• Abortiva, se le cellule sono sensibili, ma non permissive, oppure se il virus è difettivo;
• Produttiva, distinta in:
o Acuta, l’ingresso in cellule permissive è seguito dalla formazione di virioni e la cellula muore;
o Cronica, le cellule producono virus, ma non muoiono;
o Latente, le cellule sono semi-permissive. Le cellule non sostengono tutte le fasi della
replicazione, ma il genoma è mantenuto;
o Immortalizzante, le caratteristiche della crescita sono alterate e la conseguenza è il cancro.

L’infezione virale è il risultato dell’interazione tra elementi caratteristici dei virus e fattori tipici dell’ospite.
L’unica cosa che l’ospite può fare, contro l’infezione virale, è proteggersi. Oltre ai meccanismi antivirali legati
alla risposta immune, gli organismi ne possiedono altri.
Tra i primi, bisogna ricordare le varie barriere anatomiche dell’organismo, opposte all’ingresso dei virus. A livello
cutaneo i virus si riducono parecchio grazie alle condizioni di essiccamento, alla presenza di acidi grassi cutanei e
di altre sostanze inibenti, prodotte da microbi commensali. A livello delle mucose, i meccanismi sono molteplici e
differenti. A livello gastrointestinale, abbiamo il muco superficiale e subiscono l’azione dei fagociti e di sostanze
inibitrici come gli enzimi digestivi; a livello respiratorio è importante l’azione del mantello muco-ciliare.
Qualora i virus riescano ad entrare nell’organismo, esistono, a livello del siero e dei tessuti, vari inibitori non
anticorpali capaci di legarsi ai recettori cellulari dei virus.
Oltre a questi meccanismi preesistenti all’infezione virale, ve ne sono altri che invece conseguono all’infezione. Il
primo da ricordare è la febbre. È noto infatti che la replicazione virale è ottimale a determinate temperature, che in
genere sono basse; l’innalzamento di un solo grado della temperatura corporea, può ridurre la moltiplicazione
virale.
L’infezione virale può indurre il rilascio di citochine (IL-1 e TNF) e di interferone, da parte dei macrofagi e delle
cellule infettate. Questi fattori solubili, sono responsabili della prima difesa aspecifica.
L’interferone è una famiglia di molecole, che si distinguono in tre tipi: interferone α, interferone β ed interferone
γ. Nonostante siano diverse per stimolo inducente e composizione chimica, queste proteine possiedono le seguenti
caratteristiche:
• Sono indotte da vari stimoli;
• Non possiedono attività antivirale diretta;
• La loro azione non è specifica per il virus inducente;
• Mostrano una specificità di specie;
• La loro persistenza è limitata e permane per 24-48 ore.
L’interferone α è costituito da proteine poco glicosilate, codificate da 24 geni sul cromosoma 9. Il peso
molecolare varia da 19 a 24 kDa. Questo interferone è stabile a pH 2 e viene prodotto dai linfociti B, cellule
dendritiche circolanti e monociti, in seguito alla stimolazione da parte di virus, cellule tumorali o batteriche.
L’interferone β è una proteina glicosilata, con un PM di 20 kDa. Stabile a pH 2, è prodotto da cellule fibro-
epiteliali stimolate da acidi nucleici estranei.
L’interferone γ ha un peso molecolare di 45 kDa, costituita da due monomeri. È instabile a pH acido. È prodotto
da linfociti T stimolati da antigeni, fitogeni, agenti ossidanti.
Lo stato antivirale si stabilisce in seguito al legame dell’interferone con recettori situati sulla membrana
citoplasmatica. Gli INF-α e β legano lo stesso il recettore, mentre l’INF-γ si lega ad un altro recettore. Gli

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interferoni alfa e beta hanno un’azione molto rapida che, nel giro di 30 minuti completa la sintesi degli mRNA.
Tuttavia, il massimo livello di proteine si raggiunge dopo 3-5ore. L’attivazione da parte dell’interferone gamma è
molto più lenta richiedendo ore.
Gli interferoni alfa e beta, inducono la produzione di molte proteine, alcune delle quali sono state identificate.
La oligoadenilatosintetasi è una proteina che, in presenza di RNA bicatenario, sintetizza oligomeri adenilici in
grado di attivare una ribonucleasi che provoca la depolimerizzazione dell’RNA virale.
La proteinchinasi, attivata da dsRNA, rende inattivo, fosforilandolo, il fattore di iniziamento della sintesi proteica
IF-2, impedendo la formazione del complesso ternario 40S necessario per la produzione degli RNAmessaggeri.
Inoltre, abbiamo, le proteine MX e la indoleamina 2,3-diossigenasi, indotta dall’INFγ.
Oltre che indurre uno stato antivirale nelle cellule infettate, l’interferone agisce anche sulle cellule del sistema
immunitario:
• Cellule NK, attivate da INFα-β e IL-12, attivano i macrofagi, attraverso l’INFγ.
• Macrofagi e DC. Potenziati dagli interferoni, fagocitano i virus opsonizzanti e presentano l’antigene ai
linf T CD4+.
• Cellule T. Riconoscono gli antigeni presentati in associazione a MHC I (CTL) e II (TH). La risposta
CTL, attivata da MHC I è fondamentale nella risposta alle infezioni non citolitiche, conseguenza di virus
rivestiti.
• Anticorpi. Ostacolano la viremia, bloccando i recettori dei virus, opsonizzano i virus per la fagocitosi e
promuovono la lisi mediata dal complemento.

La reazione infiammatoria e di ipersensibilità scatenate dalla risposta immune antivirale sono alla base dei sintomi
e delle manifestazioni patologiche che accompagnano l’infezione virale.
Affinché l’infezione virale determini una malattia, sono necessarie varie tappe:
1. entrata del virus nell’ospite;
2. replicazione virale primaria;
3. diffusione del virus all’organo bersaglio
a. malattia clinica;
b. risposta immune;
c. eradicazione;
4. disseminazione del virus.

La penetrazione è talora passiva e consiste nell’immissione diretta del virus nel circolo linfo-ematico, quasi
sempre in seguito a morsicatura, eventi traumatici o uso di siringhe. Più frequentemente avviene per inalazione o
ingestione, quindi per superamento delle barriere mucose. Ovviamente, il virus deve possedere caratteristiche che
conferiscono la capacità di superare le difese. Esistono varie vie d’entrata per i virus, ciascuna, tipica di ogni
virus.
Tratto respiratorio: rhinovirus, morbillo, parotite, VZ,CMV, EBV, virus respiratori.
Tratto digerente: poliovirus, epatite A, epatite E, rotavirus.
Tratto genitale: HIV, HSV, HBV, Papillomavirus.
Cute e mucosa: papillomavirus, HSV, rabbia.
La diffusione attraverso la via linfatica o ematica, fino ad un organo bersaglio, può avvenire per virus liberi
(togavorus), o adesi a cellule ematiche (morbillo, parotite). La presenza o assenza di una diffusine ematica
permette la distinzione delle infezioni virali in:
• infezioni localizzate, in cui la replicazione del virus avviene nella sede d’ingresso. Sono causate da virus
respiratori, gastroenterici, virus delle verruche che causano infezioni nella sede d’ingresso. Queste
infezioni, presentano un breve periodo d’incubazione. La risposta immunitaria si basa sulle IgA.;
• infezioni sistemiche, in cui la replicazione e l’infezione, si hanno in organi distanti dalla sede d’ingresso.
Presentano un periodo d’incubazione più lungo e forniscono un’immunità permanente che si basa su IgG.
Nelle infezioni persistenti, il sistema immunitario non è in grado di eradicare l’infezione; per lo stesso motivo, i
vaccino sono inefficace.
L’ultimo stadio di un’infezione virale è l’eliminazione del virus all’esterno, che, nella maggior parte dei casi,
avviene attraverso la via respiratoria e digerente. Altri virus vengono eliminati attraverso fluidi biologici: sangue,
secrezioni genitali, latte, urina, saliva e lacrime.
Le vie di trasmissione dei virus sono molteplici e dipendono dalla sede di replicazione primaria. Le possbili vie di
trasmissione sono:
• aerosol: inalazione di goccioline. Virus respiratori, parotite, morbillo, rosolia e virus erpetici.
• Oro-fecale: virus che causano gastroenteriti o epatiti e picornavirus.
• Stretto contatto personale: con scambi di fluidi biologici (sessuale, trasfusioni, trapianti);

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• Vettori animali: zoonosi a trasmissione diretta dall’animale reservoir (rabbia) a trasmissione tramite
artropodi ematofagi.
Potenzialmente tutti i virus che si trasmettono per via ematica possono trasmettersi al feto, ma la placenta è
un’ottima barriera.

Virus viremici sono virus che determinano viremia e si replicano abbondantemente nella placenta. Esempi sono il
virus della rosolia, vitomegalovirus e parvovirus B19. Sono i maggiori responsabili di infezioni neonatali. HIV,
HCV e HBV danno viremia, ma non si replicano bene nella placenta. Si trasmettono al momento del parto, ma
danno infezioni perinatali, in seguito al contatto del neonato con il sangue materno. Anche i virus che non danno
viremia possono provocare infezioni perinatali, come conseguenza del contatto, durante il parto, del neonato con
secrezioni vaginali.

PREVENZIONE DELLE INFEZIONI VIRALI


Nella prevenzione delle infezioni virali, possono essere sfruttati meccanismi di immunizzazione passiva e attiva.
L’immunizzazione passiva si basa sulla somministrazione di anticorpi purificati o di sieri autoimmuni.
L’immunizaazione attiva si basa sulla risposta immune nei confronti di un immunogeno o di un agente infettivo in
seguito ad esposizione naturale o a vaccinazione.
La vaccinazione ha lo scopo di creare un’immunità verso un virus senza le conseguenza connesse allo sviluppo
della malattia.
Il controllo delle infezioni virali si bassa sullo sviluppo dell’immunità umorale, verso antigeni virali di superficie
e delle cellule infette, e sulla risposta cellulo-mediata, che riconosce e distrugge le cellule infette. Nella
vaccinazione, la protezione è legata allo sviluppo di un’immunità umorale verso antigeni superficiali del virione.
Alcuni virus esprimono più di una proteina superficiale; ad esempio, l’Orthomyxovirus esprime emoagglutinina e
neuraminidasi. Ai fini dell’immunizzazione, si utilizza l’emoagglutinina in quanto stimola la produzione di
anticorpi protettivi.
In una proteina di superficie sono presenti diversi siti antigenici e gli epitopi conformazionali sono fondamentali.
Un immunogeno darà efficace se mantiene la struttura terziaria della proteina in quanto indurrà la produzione di
anticorpi in grado di riconoscere epitopi conformazionali. In generale, un vaccino è efficace se stimola una
risposta immune neutralizzante. Bisogna tener conto anche del fatto che, affinché sia efficace, gli anticorpi devono
essere prodotti nel sito corretto.
Il vaccino ideale deve essere allestito con immunogeni adatti, in grado di stimolare risposte immuni sia di tipo
umorale che cellulo-mediata, senza determinare lo sviluppo della malattia.
I principali tipi di vaccini in uso oggi:
• Vaccini uccisi, allestiti con ceppi infettivi resi non patogeni mediante trattamento chimico, senza perdere
l’immunità.
• Vaccini attenuati, sono preparazioni con virus vivo ma con capacità patogene attenuate. L’attenuazione
può essere naturale (vaiolo) o artificiale (polio).
• Vaccini subunità, contenenti proteine purificate dai virioni;
• Virus Like Particles, derivanti dall’assemblaggio delle proteine di superficie espresse in cellule
eucariotiche che porta alla formazione di gusci vuoti (es. Ag di superficie di HBV, proteine capsidiche L1
e L2 di HPV).
L’allestimento dei vaccini è limitato da alcuni problemi, il principale dei quali è rappresentato dal fatto che, virus
diversi causano la stessa malattia; inoltre, per ogni virus esistono vari sierotipi. I virus a RNA e quelli con genoma
segmentato presentano due meccanismi, deriva antigenica (drift) e deviazione antigenica (shift), che ne
determinano una mutazione con conseguente cambiamento antigenico. L’esistenza di numerosi serbatoi animali
porta alla formazione di nuovi ceppi virali rimescolati.
Altri problemi sono legati ai vari tipi di virus. Ad esempio, non sono sviluppabili vaccini verso quei virus che
hanno un tropismo verso le cellule del sistema immunitario. Il vaccino ovviamente è inefficace se i virioni sono
latenti e non esprimono gli antigeni di superficie.
Il primo vaccino contro il vaiolo fu ottenuto nel 1796 ed il virus fu dichiarato eradicato nel 1979. In questo caso, il
vaccino fu efficace in quanto questo virus non presenta serbatoi animali e, non variando, esiste un solo sierotipo
del virus. L’immunità fornita dal vaccino è permanente.
Al contrario del vaiolo, il polio è un virus a RNA che presenta una certa variabilità. Negli USA è stato allestito il
vaccino attenuato di Sabin. I vaccinati diffondono virus vaccinico attraverso le feci; in questo modo, la
distribuzione ambientale determina una vaccinazione comunitaria. Sono possibili casi di polio nei vaccinati, che
rappresentano la conseguenza la conseguenza di retromutazioni o ricombinazioni del virus vaccinico e del wild
type. In Scandinavia è stato prodotto il vaccino inattivato di Salk, che però non fornisce immunità intestinale. In
Italia, attualmente, si utilizza il vaccino inattivato di Salk. Per l’immunizzazione dei neonati, in genere viene usato

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il vaccino esavalente che protegge da polio, difterite, tetano, epatite virale B, pertosse ed infezioni invasive da
HIB.
Ogni tipologia di virus presenta i suoi vantaggi ed i suoi svantaggi. I vaccini attenuati presentano molti vantaggi,
soprattutto in quanto stimolano tutte le fasi dell’immunità, determinando anche una protezione mucosale verso
tutti gli antigeni protettivi che non sono modificati dall’inattivazione e permettendo l’eliminazione del ceppo wild
type dalla comunità. Il virus vaccinico può diffondere a contatti non vaccinati e presentano un basso costo.
Tuttavia, i vaccini attenuati presentano anche svantaggi in quanto sono possibili casi di retromutazione o di
possibile patogenicità in soggetti immunodepressi. Inoltre può interferire con infezioni concomitanti.
Per quanto concerne i vaccini inattivati, essi danno molta sicurezza in quanto non è possibile la retromutazione,
ma richiedono il richiamo per la stimolazione di un’ottima immunità orale. Possono essere utilizzati anche in
pazienti immunodepressi e nelle aree tropicali. Tuttavia, i vaccini inattivati non possono essere realizzati con tutti
i virus, sono noti casi di fallimento della vaccinazione, anche perché non stimolano una immunità umorale e
soprattutto presentano costi elevati.

I vaccini attenuati possono essere ottenuti attraverso differenti metodi:


• Uso di colture cellulari da ospite diverso per selezionare ceppi virali attenuati. Ad esempio Polio,
Varicella, Hepatitis A;
• Uso di mutageni per selezionare un virus che si riproduce a basse temperature 32°C. Si allestiscono
colture mantenute a temperature progressivamente più basse. Si seleziona un mutante Ts per le proteine
interne che replica a 25°C. Ogni anno può essere usato come base per la formazione di virus riassortiti
che presentano le proteine interne del virus attenuato e quelle superficiale del ceppo virulento.

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• Uso della “reverse genetics” per selezionare un virus che esprime gli antigeni di superficie desiderati.
Es.Influenza A. Attraverso questa tecnica, vengono riprodotte delle copie dei segmenti genomici e delle
proteine virali, necessarie ad avviare la replicazione.
Nello sviluppo di vaccini antivirali, possono essere usate anche tecniche di DNA ricombinante con i quali si
possono produrre mutanti meleti o singoli geni che verranno usati nell’allestimento di vaccini a subunità
ricombinanti. Ad esempio, il vaccino anti-epatite B si basa sull’mRNA dell’antigene S. Da questo si ottiene il
DNA complementare che viene clonato in un plasmide che poi verrà introdotto nel lievito che funge da vettore.
Questi vaccini a ricombinazione hanno però delle limitazioni in quanto i processi post-traslazionali degli Ag non è
sempre corretto e a volte l’immunizzazione non è elevata in quanto la risposta CTL è scarsa.
Come vettori possono essere utilizzati anche virus vivi avirulenti, nei quali sono stato clonati antigeni protettivi
che verranno esposti al sistema immunitario. Tentativi sono stati realizzati con Polio, Virus vaccinia, Alfavirus.
Questi vaccini presentano molto bene l’antigene, stimolando una risposta CTL sicura.
Esistono nuovi vaccini che vengono
prodotti con anticorpi anti-idiotipo.
Questo sta a significare che a partire da
anticorpi prodotti verso gli epitopi virali,
si ottengono anticorpi anti-idiotipo che
mimano l’epitopo iniziale, cioè il virus.
L’inoculazione di questi anticorpi,
genera una risposta immune che produce
anticorpi anti-anti-idiotipo che saranno
in grado di legare e neutralizzare il
virus.
I vaccini a DNA si basano sull’inoculazione di DNA nudo, anche direttamente nei muscoli che esprimeranno
l’antigene, evocando una risposta CTL. Il vettore a DNA è trascritto nel nucleo a mRNA che viene tradotto, nel
citosol, in proteine. Queste proteine estranee vengono degradate dal proteosoma in peptidi che, espressi sulla
superficie cellulare, in associazione a MHC I, evocano una risposta immune cellulo-mediata. La speranza è che
questi vaccini siano efficaci contro virus difficili (fluA) e contro infezioni virali croniche (HIV, HCV, HSV,
HPV). I vantaggi di questi vaccini risiedono nella facilità con cui si possono ottenere grandi quantità di DNA
plasmidico, stabile e facile da conservare e da modificare. Le proteine sono prodotte nella cellula umana come
nell’infezione naturale. Possono essere utilizzate miscele di plasmidi per uno o più virus e, l’assenza di altre
proteine annulla il problema di risposte verso il vettore.
Tuttavia presentano una serie di svantaggi legati alla facilità di integrazione del DNA nel genoma dell’ospite
(mutagenesi inserzionale), possibile produzione di auto-anticorpi anti-DNA (risposta autoimmune) o di
immunotolleranza.

La vaccinazione in Italia è obbligatoria per le vaccinazioni contro difterite, tetano, poliomielite, epatite B. Altre
vaccinazioni, non obbligatorie, sono fortemente raccomandate; comprendono pertosse, morbillo, parotite, rosolia,
Haemophilus influenzae di tipo B e HPV. Sono disponibili anche altri tre vaccini: meningococco C,
pneumococco, varicella. Ci sono vaccini disponibili, ma raccomandati solo a categorie a rischio, come in vaccino
anti-rabbico, consigliato ai veterinari.

Il problema ancora aperto riguarda lo sviluppo di un vaccino anti-HIV. Questo virus presenta particolarità che ne
rendono difficoltoso l’allestimento di un vaccino. Il virus replica nonostante la vigorosa risposta immunitaria, sia
umorale che cellulare, con una comparsa tardiva di anticorpi neutralizzanti.

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Papovaviridae
Sono virus capaci di causare infezioni litiche, croniche, latenti e in grado di indurre trasformazione. Sono gli unici
virus con DNA bicatenario circolare. Inizialmente furono considerati due generi della famiglia Papovaviridae.

PAPILLOMAVIRUS
I papillomavirus sono virus strettamente specie-specifici, con uno
spiccato tropismo per le cellule epiteliali dell’epidermide e delle
mucose. La loro replicatone, limitata a queste cellule, è condizionata
dallo stadio di differenziamento cellulare.
Il virus, della famiglia Papillomaviridae presenta un capside
icosaedrico, del diametro di 55nm, privo di envelope. Il genoma è
formato da una molecola circolare di DNA bicatenario costituito da
8000bp. Il capside è costituito da 72 capsomeri, di cui 60 esavalenti
e 12 pentavalenti. Nel genoma si distinguono due geni che
codificano per proteine strutturali espresse tardivamente nel ciclo
replicativi, dette L1 e L2, e sette geni espressi nella fase precoce del
ciclo che codificano per proteine non strutturali con funzioni
regolatrici della replicazione del DNA, denominate da E1 a E7.
è presente inoltre, una regione, detta LCR (Long Control Region), contenente sequenze che regolano la
trascrizione genica, come i siti di legami per i fattori cellulari e virali (E2).

• L1, proteina capsidica maggiore (attacco alle cellule);


• L2, proteina capsidica minore (encapsidazione);
• E1, Replicazione DNA virale, stato episodico del DNA (Elicasi);
• E2, Replicazione DNA virale, regolazione trascrizione virale;
• E4, legame citocheratine, blocco in fase G2/M, assemblaggio;
• E5, Trasformazione cellulare, lega recettori EGF, PDGF
• E6, lega p53, disregolazione ciclo, blocco apoptosi;
• E7, lega pRb nella fase S
La replicazione del DNA si verifica secondo due modalità differenti:
• Plasmidica. Nelle cellule degli strati basali, il DNA virale è mantenuto in circa 50-400 copie di plasmidi
che si replicano una sola volta in concomitanza della replicazione cellulare. Le varie copie vengono
distribuite alle cellule figlie, assicurando la persistenza dell’infezione latente.
• Vegetativa. Si verifica nelle cellule differenziate, in cui la sintesi di DNA cellulare è bloccato. Si ha la
replicazione delle DNA virale, con l’espressione dei geni tardivi, la produzione delle proteine strutturali
e la formazione della progenie virale completa, che è presente negli strati superficiali.
Nella fase precoce, tutte le proteine
(eccetto E5) si trasferiscono nel nucleo.
Vengono espressi solo alcuni geni
precoci. Il DNA viene mantenuto in forma
plasmidica in poche cellule dello strato
basale, in quanto sono le uiche cellule in
grado di dividersi. L’elicasi (E1)
interagisce con primasi e polimerasi,
mentre E2 ha un’attività transattivante e
coopera con E1 nell’inibire E6/E7.

In concomitanza del differenziamento, vengono espressi i geni E4, E5 ed i geni strutturali. Ciò avviene solo nello
strato granuloso e corneo.

1
Bisogna ricordare che il genoma del Papillomavirus può integrarsi con il DNA cellulare, e questa fase è
fondamentale per carncerogenesi.
Nelle cellule tumorali, viene spesso ritrovato DNA di HPV, linearizzato ed integrato a livello di E2. Questo
genera un’iperespressione dei geni E6 ed E7, che alternano l’equilibrio cellulare.
Il gene E6 ad alto rischio determina la degradazione ubiquitino-dipendente della p53 che, in basse concentrazioni
non blocca il ciclo cellulare e la cellula entra in fase S e accumula mutazioni.
La proteina E7 è in grado di legare pRb che, in questo modo si distacca dal fattore trascrizione E2F-1, il quale
diviene in grado di attivare la trascrizione genica.

I diversi tipi di papillomavirus sono stati inizialmente stabili


studiando il grado di omologia fra i diversi DNA virali. Nuovo
genotipo si ha quando la divergenza nella sequenza
nucleotidica delle regioni L1 rispetto alla sequenza
corrispondente del genoma dei tipi conosciuti.
Tra le lesioni cutanee le verruche comuni sono le forme più
comuni e si manifestano in forma di papule bianco grigiastre,
piatte o rilevate che si localizzano più frequentemente a livello
delle mani, in particolare sulle superfici dorsali e nelle zone
periungueali. Vi sono inoltre verruche piane, plantari e
palmari. I genotipi più frequentemente riscontrati nelle
verruche sono 1, 2, 3, 4 e 7.

La maggior parte dei restanti tipi cutanei di


papillomavirus (5, 8, 9, 12, 14, 15, 17, 19, 20, 47 e
49) sono stati ritrovati nelle lesioni di
epidermodisplasia verruciforme, affezione
caratterizzata dalla diffusione delle lesioni da
papillomavirus a gran parte della superficie corporea.
Tra questi tipi cutanei, i genotipi 5 ed 8 sono stati
identificati in carcinomi a cellule squamose.

Nelle lesioni mucose benigne da papillomavirus, constano


prevalentemente dei condilomi acuminati e condilomi piani che sono
conseguenti a trasmissione sessuale dei virus e insorgono a livello del
pene, dei genitali femminili, dell’uretra, dell’area perianale e rettale.
Queste lesioni si manifestano come masse esofitiche verrucose, di
consistenza molle o modestamente rilevate. Nei condilomi, si
ritrovano di più i genotipi 6 e 11. Altre sedi mucose infettate con
lesioni benigne di tipo papillomatoso sono quelle a livello respiratorio,
congiuntivale e orale. I genotipi maggiormente coinvolti nei carcinomi
cervicali, anali, vulvari sono 16 e 18.

L’infezione avviene attraverso il contatto con oggetti contaminati con il virus, o superfici contaminate dal virus, in
presenza di lesioni dell’epidermide, che consentano l’inoculazione del virus nelle cellule degli strati basali. Le
lesioni delle mucose genitali sono quasi sempre trasmesse per contagio venereo.
Il papillomavirus è di gran lunga l’infezione a trasmissione sessuale più frequente, correlata al numero di rapporti
e allo stato immunitario.
L’infezione da HPV in genere decorre senza provocare lesioni e, nel 10-30% dei casi, si risolve spontaneamente
entro 3 mesi. Presenta un periodo d’incubazione variabile da 3 settimane a 8 mesi. L’infezione può, in alcuni casi,
provocare l’insorgenza di lesioni intraepiteliali squamose (LIS) che, nell’11% dei casi, evolve in carcinoma in
situ.
Il carcinoma della cervice è la seconda causa di morte per tumore nella donna. Si manifestano 500.000 nuovi casi
ogni anno che, ne 97% dei casi, contengono DNA di HPV (in PCR). Il 53% dei casi di carcinomi della cervice,
correlati a HPV, sono associati al genotipo 16.

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L’infezione da parte di HPV ad alto rischio, non è sufficiente ad innescare la progressione da LSIL ad HSIL e lo
sviluppo del carcinoma della cervice, ma sono necessari altri fattori dell’ospite, che comprendono:
• Fattori genetici, anormalità di struttura o numeriche dei cromosomi; riarrangiamenti di oncogeni
cellulari);
• Antigeni HLA,;
• Immunodepressione (infezione da HIV);
• Confezioni (HSV-2, Clamidia);
• Numero di parti;
• Fumo;
• Contraccettivi orali.

La diagnosi d’infezione può essere eseguita con metodi diretti o indiretti. La diagnosi indiretta evidenzia lesioni
cliniche apparenti e modificazioni cellulari e di tessuto, indotti dal virus e sfrutta i seguenti metodi:
• Indagine clinica e colposcopica;
• Indagine microscopica di strisci cellulari (Pap-test);
• Indagine microscopica di preparati istologici.
La diagnosi citologica ha una specificità del 60%, tuttavia, la coilocitosi e la paracheratosi sono patognonomiche
d’infezione di HPV. Il marcatore istologico utilizzato è p16INK4a, indicatore di proliferazione cellulare e
senescenza.
La diagnosi virologica non è attuabile in quanto il virus si replica in condizioni differenziative dei cheratinociti,
difficilmente riproducibili in vitro. Inoltre, nemmeno l’indagine sierologia è attuabile in quanto le proteine
capsidiche, che possono essere simili per diversi genotipi, sono espresso solo nelle infezioni produttive.
La diagnosi diretta si basa su:
• Ricerca del genoma virale in cellule e tessuti;
• Identificazione del genotipo virale
Sono utilizzabili sia tecniche di ibridazione (Ibridazione in situ, Dot-blot ibridazione) che di amplificazione genica
(PCR con primer tipo-specifici, Microarrays).

Non esiste una terapia specifica per l’infezione da HPV. Le possibilità terapeutiche sono:
• Rimozione delle lesioni mediante conizzazione, laser, crioterapia;
• Interferone α e β, in lesioni molto estese, conditomi acuminati ricorrenti e papillomi laringei;
• Podofillina + vidarabina, buon potenziale terapeutico;
• Imiquimod, nuovo farmaco per il trattamento dei conditomi, sembra essere efficace in quanto stimola la
risposta immunitaria e la produzione di interferone.
Per quanto riguarda le possibilità di prevenzione, esistono due vaccini preventivi ed un vaccino terapeutico. Per
quanto riguarda l’immunizzazione vi è un Virus Like particles (VLP) esprimente L1 e L2 (HPV 16 e 18; HPV16,
18, 6 e 11) inseriti in un baculovirus o lievito. Stimola una immunità umorale IgA mediata tipo-specifica e specie-
specifica. Tali vaccini non sono efficaci se somministrati dopo il contatto con il virus e vanno somministrati prima
dell’inizio dell’attività sessuale.
La vaccinazione terapeutica, sfrutta strategie prime-boost con vaccini a DNA prima e un richiamo con proteine
poi (E2, E6, E7, L1 e L2).

POLYOMAVIRUS
Famiglia di Polyomaviridae, comprende JK virus
(Leucoencefalopatia progressiva multifocale); BK
Virus (disfunzioni renali); SV40. Il virus, di 45-50nm,
presenta un capside icosaedrico, costituito da 72
capsomeri e 3 proteine nominate VP1-3. Privo di
envelope, contiene un genoma circolare formato da
DNA bicatenario superavvolto, costituito da 4 istoni e
5000bp. La sua replicazione avviene nel nucleo.

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Il genoma presenta 3 regioni funzionali:
• Precoce, proteine non strutturali espresse subito prima della replicazione;
• Tardiva, proteine del capside e LP1 espresse durante e dopo la replicazione;
• Regolatorie, contiene l’enancher e i promotori della trascrizione del genoma, più l’origine della
replicazione.
Questo virus è un esempio di come si può contenere l’informazione nel minimo spazio, avendo geni su entrambe
le catene e sovrapponendo le ORF.
Il recettore virale è VP1, che si
lega all’acido sialico. VP2/3
mediano l’ingresso del virione
nella cellula, attraverso
l’interazione del vacuolo
endocitico con il citoscheletro e
il trasporto al nucleo dove
avviene anche l’uncoating. Lo
shift tra fase precoce e tardiva,
dipende dall’aumento della
concentrazione di T-ag che
reprime il promotore precoce e
avvia la replicazione.
La trascrizione dei geni tardivi
avviene nelle cellule permissive,
ma può essere anche non-
permissiva ed esprimere solo i
geni precoci.

Il potenziale oncogeno di BK, JK e SV40, non si sviluppa nell’ospite naturale, ma i geni precoci trasformano le
cellule in coltura, interagendo con p53 ed RB e promuovendo la crescita cellulare.

I poliomavirus umani sono BKV e JKV e provocano infezioni che nella maggior parte dei casi sono
asintomatiche. L’80% della popolazione presenta gli anticorpi.
Una volta entrato nell’organismo, il virus si replica nel
tratto respiratorio, da cui causa una viremia primaria.
Attraverso il circolo ematico, il virus raggiunge il rene dove
si moltiplica e, da dove ha origine la viremia secondaria. A
questo punto, la situazione è diversa in base allo stato
immunitario. Nei soggetti immunocompetenti, si ha
un’infezione latente a livello renale. Nei soggetti
immunodepressi si ha una riattivazione che può determinare
una cistite emorragica, o una terza viremia, che raggiunge
il S.N.C. dove provoca una leucoencefalopatia progressiva
multifocale (PML), malattia demielinizzante. L’unica
terapia possibile in questo ultimo caso, è la riduzione
dell’immunodeficienza.

4
Herpesviridae
La famiglia degli Herpesviridae è costituita da tre sottofamiglie, distinte in: Alphaherpesvirinae,
Betaherpesvirinae e Gammaherpesvirinae. Questi virus sono ubiquitari nell’ambiente e sono tutti caratterizzati
da una fase di latenza che segue all’infezione primaria e che, in determinate condizioni, si riattiva. Gli
Herpesvirus hanno un virione rotondo di 150nm di diametro, formato da un involucro lipoproteico (peplos), da un
tegumento e da un capside icosaedrico di 100nm, con 162 capsomeri prismatici. Sono provviste di un envelope,
dal quale protrudono da 5 a 8 glicoproteine virali.
Il genoma è formato da una molecola di DNA
bicatenario e lineare, con dimensioni variabili da
125 a 235 kbp. Sono quasi sempre presenti sequenze
ripetute agli estremi del genoma, che favoriscono la
“circolarizzazione” del genoma, subito dopo il
rilascio dal capside. La molecola di DNA è divisa in
due componenti, contenenti sequenze uniche,
corrispondenti a diversi geni trascrivibili, di cui uno
più lungo (U 1 ) e l’altro più corto (U 2 ), che possono
orientarsi differentemente. In questo modo si
vengono a formare forme isometriche differenti per
orientamento.

Nei virioni sono presenti circa 30 proteine strutturali, di cui, quelle del peplos, sono glicosilate. Possono essere
presenti anche proteine che fungono da recettori per il frammento Fc delle Ig.
Il montaggio dei nucleocapsidi ha luogo nel nucleo e, da qui, essi passano, con successive gemmazioni, attraverso
due foglietti della membrana nucleare, nel citosol, dove vengono rivestiti dal peplos definitivo, e da dove
gemmano attraverso la membrana esterna.
Gli Alphaherpesvirus sono caratterizzati da uno spettro d’ospite ampio e dalla capacità di moltiplicarsi in diversi
tipi di colture cellulari, con effetto citopatico e la formazione di inclusioni nucleari. I Betaherpesvirus hanno uno
spettro d’ospite ristretto, specie-specifici, ed hanno una replicazione assai lenta. I Gammaherpesvirus hanno uno
spettro d’ospite ristretto e si replicano esclusivamente nelle cellule linfoidi.
Gli herpesvirus che interessano la medicina sono i virus dell’Herpes simplex 1 e 2, il Virus della Varicella-Zoster,
il Citomegalovirus umano, gli Herpesvirus umani 6 e 7, il Virus di Epstein-Barr e l’Herpesvirus umano 8.

Almeno 10 delle 11 delle glicoproteine di HHV-1 (gB-gM) intervengono nel processo di adsorbimento e
penetrazione. L’adsorbimento è mediata dalla proteina gC che si lega ai recettori eparansolfato. A questo punto, si
ha il legame di gD con il corecettore, rappresentato dal HVEM (Herpes Virus Entry Mediator), appartenente alla
famiglia TNF/NGF. La fusione del peplos con la membrana cellulare, indipendente dal pH, è mediata dal
complesso gB e gH/gL.

Le glicoproteine gE+gI e gM sono responsabili di un meccanismo di fusione tra una cellula infettata e la cellula
adiacente non infettata. Questo meccanismo porta alla formazione di sincizi cellulare che sono alla base
dell’elusione anticorpale.
L’espressione genica degli Herpesvirus avviene in modo regolato e sequenziale, con la produzione di tre serie di
mRNA e proteine, indicate con le lettere α, β e γ. Mentre i primi due codificano per proteine precoci e strutturali,
il terzo codifica solo per proteine struttrali.

1
La trascrizione degli alpha-mRNA, immediately early, è attivata da una proteina virionica, a-TIF, che permette il
riconoscimento dei promotori alfa da parte di fattori di trascrizione e di RNA polimerasi II. Le 6 proteine alpha
sono regolatorie della trascrizione virale, agendo sui geni beta.
I geni beta, traducono per la DNA Polimerasi, le
DNA binding proteins, thymidine kinase e
ribonucleotide reductase. La sintesi di queste proteine
spegne l’espressione di quelle alpha e avvia la
replicazione.
La replicazione del genoma virale, negli Herpesvirus,
avviene con il meccanismo del “rolling circle”. In
corrispondenza di un’origine, una delle catene
polinucleoidiche, viene tagliata da un apposito
enzima e la DNA polimerasi III forma il punto
d’innesco, aggiungendo dei nucleotidi complementari
alla catena integra. Contemporaneamente la catena
polinucleotidica interrotta, si dipana
progressivamente, formando una “coda” libera con
l’estremità 5’, mentre la molecola in duplicazione
ruota in senso inverso alla direzione di crescita del
DNA neoformato. Man mano che la neosintesi di
DNA procede, la coda si allunga fino a distaccarsi
quando la nuova catena polinucletotidica è
completamente sintetizzata. La catena distaccata, a
sua volta, fungerà da stampo per la sintesi di una
nuova catena. Nel genoma degli Herpesvirus esistono
3 potenziali punti di origine.

I geni gamma (late) traducono per proteine strutturali, una


delle quali spegne i promotori beta. Una proteina gamma
serve, nel virione, per attivare i promotori alfa nella cellula
che verrà infettata; questa proteina è a-TIF (VP16).
Per la trascrizione dei geni “immediate early” ed “early” viene
usato il genoma originario del virus, mentre per la sintesi degli
mRNA “late”, viene usato il genoma della progenie.
L’assemblaggio avviene nel nucleo. Il capside si porta al di
sotto delle placche di glicoproteine virus specifiche e di
proteine del tegumento, depositate sulle membrane cellulari. Il
rilascio può avvenire per gemmazione o lisi cellulare.

Gli herpesvirus sono in grado di rimanere latenti in alcune cellule e riattivarsi in seguito a determinati stimoli.
Durante la latenza, il genoma virale è mantenuto, nella cellula infetta, in forma episomiale. La sintesi proteica è
estremamente ridotta e limitata ad alcuni trascritti definiti LAT (Latency associated transcript).

Gli Herpes simplex virus 1 e 2 (HSV1 e 2), appartenenti alla sottofamiglia Alpha, presentano un genoma omologo
per il 50-70% e sono distinguibili tramite l’utilizzo di anticorpi monoclinali verso gG. L’uomo rappresenta
l’ospite naturale. Questi virus sono labili a temperatura ambiente, pertanto, il contagio può avvenire solo per
contatto con il liquido della vescicola o con secrezioni infette orali o genitali.
L’infezione primaria avviene per contatto con
secrezioni infette ed è, in genere subclinica. Si può
presentare cone una gengivostomatite, con un periodo
d’incubazione di 2-3gg, lesioni ulcerative, febbre,
linfoadenopatie. Le lesioni sono la conseguenza
dell’attività citolitica del virus e della conseguente
risposta infiammatoria.
Tipicamente, l’HSV-1 è associato a lesioni orali,
mentre HSV-2 a lesioni genitali/anali.
Dopo l’infezione primaria, circa il 50% dei soggetti
avrà episodi ricorrenti.

2
Il meccanismo di latenza e riattivazione è costituita da una fase centripeta ed una centrifuga. In HSV e VZ, la
latenza di ha a livello dei neuroni dei gangli sensitivi, che non sono permissivi per il compimento di un ciclo
replicativo litico. Secondo alcuni, la latenza è dovuta all’attività antiapoptotica dei LATs che impediscono la
morte cellulare.
Altre manifestazioni legate a HSV comprendono Herpes oculare che determina cheratocongiuntivite, faringiti,
Encefalite erpetica, Herpes genitale ed infezioni neonatali.
L’herpes neonatale è raro, ma grave. Il contagio si ha nel
passaggio nel canale del parto ed il rischio è massimo nel caso
di infezioni primarie. L’infezione può lasciare sequele
permanenti ed è più grave nei neonati prematuri. Può causare
encefaliti con o senza lesioni cutanee, o esantema
varicelliforme di Kaposi. L’unica prevenzione è l’utilizzo del
parto cesareo.
Le riattivazioni si verificano, in genere, in seguito a situazioni
di immunodepressioine. Nei soggetti immunodepressi per
malattia o terapia, la riattivazione può diffondere ed
interessare le vie respiratorie, l’esofago e la mucosa
intestinale.
La diagnosi è in genere clinica, in quanto le vescicole sono tipiche. La diagnosi etiologica, nei casi di encefalite è
utile, in quanto il virus cresce bene in molte linee cellulari. Anche se sono utilizzabili reazioni di
immunofluorescenza, la PCR è la metodica più utile visto i bassi costi. La ricerca sierologia non è molto utile in
quanto i livelli anticorpali sono elevati anche in soggetti asintomatici. Tuttavia, nei casi di gravidanze con
sieroposività HSV-2, è necessario un tampone per valutare la presenza di riattivazione asintomatiche.
Per quanto riguarda la terapia delle infezioni da HSV-1 e 2, di notevole successo è l’aciclovir, formato da
deossiguanosina aciclica che viene fosforilato nelle cellule infette da virus erpetici. L’analogo strutturale
fosforilato viene preferibilmente incorporato nel DNA virale in quanto presenta maggiore affinità per la DNA-
Polimerasi virale. In questo modo viene bloccata la sintesi di DNA virale. Altri farmaci usati sono Famciclovir e
Penciclovir.

Il virus della varicella-zoster (VZV) è l’agente eziologico di due distinte sindromi cliniche:
• Varicella, infezione esantemica dell’infanzia acquisita
attraverso le vie respiratorie o la congiuntiva. Il periodo
d’incubazione è di 14gg. Le lesioni si formano in seguito
all’infezione delle cellule endoteliali dei capillari. Le cellule
epiteliali si rigonfiano con conseguente edema che forma le
vescicole. Rare sono le conseguenze per il S.N.C. Le lesioni
compaiono a ondate di 2-4gg sicché sono individuabili tutte
le fasi macula, papula,vescicola e crosta. La risposta CTL è
essenziale per risolvere la malattia.
• Zoster, rappresenta la riattivazione di un’infezione latente
localizzata nei gangli del SNC. Il virus ridiscende il nervo e
provoca il Fuoco di Sant’Antonio. Le lesioni sono le stesse
della varicella ma la manifestazione è molto più dolorosa.
La complicanza più comune nell’anziano è la nevralgia
post-erpetica. La manifestazione colpisce il dermatoma
innervato, in cui si è stabilita la latenza. I distretti più colpiti
sono tronco capo e collo.
La diagnosi clinica è molto facile, tuttavia, nei casi dubbi, si può ricorrere a:
• Coltura in fibroblasti umani, i cui provoca un effetto citopatico che si manifesta molti giorni dopo
l’incubazione.
• PCR;
• Ricerca di antigeni virali mediante immunofluorescenza;
• Indagine sierologia, utile per verificare lo stato del paziente.
Nello Zoster, la somministrazione dei farmaci antivirali (Aciclovir, Famciclovir, Valaciclovir, estere
dell’aciclovir) deve essere precoce. La somministrazione di immunoglobuline (VZIG), vaccini ed
immunoadiuvanti è inefficace se si è già verificata la varicella. Il vaccino in uso oggi è realizzato con un ceppo
attenuato di VZV, stipite OKA.

3
Il Citomegalovirus (CMV/HHV5) è il più grosso degli herpesvirus umani, contenente un genoma di 235kbp con
circa 200ORF. È anche uno dei più comuni virus umani, presenti nel 60% degli adulti. L’infezione primaria è,
nella maggior parte dei casi asintomatica, con un periodo di incubazione di 1-2mesi. Si può presentare con una
sintomatologia aspecifica (linfoadenopatia ed epatite). La trasmissione può avvenire attraverso liquidi organici,
contatto sessuale, trapianto (rene).
Nell’infezione primaria e nella riattivazione, il virus replica negli epiteli dei tessuti ghiandolari e nell’endotelio
vascolare, da cui si diffonde, trasportato dai leucociti (PMN e Monociti) che si infettano per contatto. Il virus è
isolabile dal sangue, ma soprattutto nelle urine e nella saliva perché replica bene nelle cellule epiteliali duttali. I
precursori mieloidi rappresentano la principale sede di latenza, ma anche i leucociti maturi. La riattivazine
dell’infezione richiede sia uno stato di immunodeficienza, sia la differenziazione dei monociti in macrofagi
tessutali.
L’infezione e la riattivazione da CMV è importante solo in due
situazioni:
• In gravidanza, l’infezione primaria può essere trasmessa al feto
per via transpacentare, con la produzione della malattia
citomegalica con inclusioni. Questa può evidenziarsi con
epatosplenomegalia, ittero, porpora trombocitopenica,
polmonite, sordità, corioretinite e microcefalia. Il virus deve
essere isolato da saliva o urine entro le prime 2 settimane di
vita. La trasmissione al feto è più frequente nell’infezione
primaria. Il danno deriva dalla distruzione delle cellule in cui il
virus replica, per cui è tanto più grave quanto più all’inizio della
gestazione.
• Soggetti immunocompromessi, nei quali possono determinare
malattie severe, quali polmonite interstiziale, retinite, colite,
encefalopatie.
Per la diagnosi è possibile utilizzare:
• La ricerca degli anticorpi. Titoli elevati di IgM sono presenti anche nelle riattivazioni.
• Isolamento in colture del di fibroblasti umani;
• Ricerca di antigeni virali sui leucociti umani (pp65);
• Amplificazione Real Time su sangue intero, test più attendibile.
La terapia delle infezioni da CMV è differente in base alle situazioni:
• Gravidanza, va considerata la possibilità dell’interruzione della gravidanza in base al tempo di gestazione
e della carica virale. Il neonato con infezione congenita sintomatica viene trattato con valaciclovir.
• Nei pazienti immunocompromessi, la diagnosi deve essere rapida in modo da iniziare precocemente la
terapia, che sarà costituita dalla somministrazione di ganciclovir, derivato, per modificazione della catena
aciclica, del aciclovir; foscarnet, inibitore della trascrittasi inversa che agisce inibendo in maniera non
competitiva, l’incorporazione di timidina trifosfato nel DNA provirale; cidofovir.
La prevenzione dei trapiantati è complessa e comprende diverse misure che devono annullare una possibilità di
contagio in seguito al trapianto. Oltre al controllo del donatore e del ricevente, è utile usare sangue CMV-negativo
e somministrate immunoglobuline specifiche prima del trapianto. Si può eseguire anche una profilassi con
ganciclovir, nei pazienti ad alto rischio di infezione.

L’herpes virus umano 6 (HHV6) è stato isolato nel 1986 da soggetti con alterazioni linfoproliferative, mostra un
tropismo per i linfociti T CD4, provocando la formazione di sincizi e la morte cellulare. Il recettore virale sulle
cellule è CD46, coinvolto nella regolazione dell’attività del complemento; essendo espresso su vari tipi di cellule,
HHV6 può infettare vari tipi di cellule.
L’infezione è molto diffusa è il 90% della popolazione adulta, possiede
gli anticorpi specifici. La prima infezione, con il picco d’incidenza tra i
6 e i 24 mesi, si accompagna alla comparsa di lievi stati febbrili. In una
consistente percentuale dei soggetti, l’infezione si accompagna alla
comparsa di un esantema maculopapuloso tipico della Roseola infantum,
tipico esantema dell’età infantile. Dopo un periodo d’incubazione di 2
settimane, si osservano problemi respiratori e febbre alta per due giorni.
Sono state identificate due distinte varietà di HHV6, denominate
HHV6A e HHV6B che sono simili per l’88% del genoma. La varietà B è
quella che si ritrova associata alla Roseola infantum, mentre la varietà
HHV6A si isola dai soggetti immunodepressi.

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L’herpes virus umano 7 (HHV7), isolato nel 1990, mostra un tropismo per i linfociti T CD4, in quanto il recettore
virale è proprio CD4. Esiste una limitata omologia di sequenza con HHV6, ma non sembra associato ad alcuna
specifica patologia. Le riattivazione silenti sono molto frequenti.
HHV6 e HHV7 sono ubiquitari e l’infezione è comune in tutto il mondo. La trasmissione avviene per contatto con
saliva infetta e allattamento. Le ghiandole salivari sono i siti di persistenza.

Il virus di Epstein-Barr (EBV/HHV4) è l’agente eziologico della mononucleosi infettiva. Trasmesso attraverso la
saliva, la sede della prima infezione è rappresentata dall’epitelio oro-faringeo, dove le cellule sono permissive e
può aver luogo ad un’infezione litica. Entra nelle cellule attraverso il recettore CD21 (CR2) che riconosce il
frammento del Complemento C3d. Dopo l’infezione della faringe, l’infezione si trasmette ai Linfociti B dove,
nella maggior parte dei casi, stabilisce un’infezione latente o abortiva. Sono frequentissime le riattivazioni.
Esiste una ben definita relazione tra EBV e oncogenesi in due delle patologie in cui il virus è coinvolto:
• Linfoma di Burkitt;
• Carcinoma naso-faringeo.
L’infezione da EBV è associata disordini linfoproliferativi in soggetti immunocompromessi.
Il virus è un potente mitogeno e attiva la proliferazione delle cellule B che, in vivo, è controllata dai linfociti T. In
queste cellule, il genoma virale è in forma episomiale ed esprime 6 antigeni nucleari EBNA (Epstein-Barr Nuclear
Antigens) 1, 2, 3A, 3B, 3C e LP, e tre proteine di membrana, LMP (Latent membrane Proteins) 1, 2A, 2B.
Gli antigeni EBNA e le proteine di membrana sembrano correlate all’immortalizzazione dei linfociti nei soggetti
immunocompromessi, in cui è debole il controllo proliferativi operato dai linfociti T. Da questo punto di vista,
sono importanti EBNA-2 e LMP-1. EBNA-2 è in grado di promuovere la trascrizione di alcuni cellulari, tra cui
l’oncogene c-fgr e i geni di CD21 CD23, proteine di membrana coinvolte nell’attivazione proliferativa. LMP-1,
attivata da EBNA-2, agisce modulando in modo positivo la proliferazione cellulare, stimolando l’attivazione di
bcl-2, il cui prodotto ostacola l’apoptosi.

L’infezione primaria è in genere subclinica nei bambini. Una percentuale dei soggetti sviluppa la mononucleosi
infettiva. Questa patologia, caratteristica dell’età adolescenziale, è caratterizzata da febbre, faringite,
splenomegalia, lieve epatite e linfocitosi. Se si somministra penicillina, si può avere anche uno sfogo
esantematico. Il virus non viene eliminato ed una replicazione lenta porta ad una diffusione permanente del virus
nella faringe, che rende il soggetto possibile fonte d’infezione per molto tempo. Le complicanze sono rare, ma
sono frequenti le riattivazioni asintomatiche. È allo studio un vaccino basato su gp350/300 dell’envelope.
La diagnosi si basa in primo luogo su accertamenti sierologici:
• IgM verso antigene viriocapsidico (VCA-IgM), che persistono per 2 mesi dall’esordio;
• IgG contro l’antigene viriocapsidico (VCA-IgG), che persistono tutta la vita.
• Anticorpi verso Early Antigens (EA), presenti all’esordio, si negativizzano dopo alcuni mesi.
• Anticorpi contro EBNA, presenti 1-2 mesi dopo la malattia, persistono per tutta la vita.

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L’herpes virus umano 8 (HHV8) infetta le cellule B, che rappresentano anche la sede di latenza. Il suo genoma
contiene numerosi geni omologhi a geni cellulari, tra cui IL-6, chemochine, ciclica-D che sono coinvolti nella
proliferazione cellulare e nel blocco dell’apoptosi. È implicato nel sarcoma di Kaposi, che colpisce i pazienti con
AIDS. Questa malattia maligna multifocale ha inizio a livello delle cellule endoteliali e si manifesta con
caratteristiche lesioni della pelle e delle mucose.
Il tumore può comparire anche anni dopo l’infezione primaria.
Il genoma di HHV8 è presente nel 100% dei soggetti con Kaposi; la presenza degli anticorpi dimostrano il
pregresso contatto con il virus e possono essere usati come indice di rischio per lo sviluppo del Sarcoma di
Kaposi. È più frequente negli omosessuali e la via di trasmissione più importante sembra essere quella sessuale,
ma è possibile anche attraverso la saliva e il sangue.

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Orthomyxoviridae
La famiglia Orthomixoviridae è divia in 4 generi: Influenza A,
influenza B, Influenza C e Togothovirus. I virus dell’influenza
infettano il 5-15% della popolazione mondiale, causando assenteismo da
scuola o dal lavoro.
I tipi A e B sono responsabili della sintomatologia influenzale classica,
mentre il tipo C è di scarsa rilevanza clinica.
Il virione del virus dell’Influenza A ha una forma sferica, con diametro di 50-120nm, ed è provvisto di un
involucro lipidico, derivato dalla membrana della cellula ospite, in cui sono inseriti tre tipi di glicoproteine virus-
specifiche: emoagglutinina (HA), neuraminidasi (NA) e la proteina M 2 , che forma un canale permeabile agli
ioni.
All’interno della membrana lipidica,
si trova la proteina M 1 , che
racchiude il genoma virale, formato
da 8 segmenti di RNA
monocatenario a polarità negativa.
I vari segmenti sono legati a
proteine con elevata affinità per
l’RNA (nucleo-proteina NP) a
formare i complessi nucleocapsidici
(RNP), e ad alcune molecole
proteiche PB1, PB2 e PA che
formano le subunità della RNA-
polimerasi-RNA-dipendente virus
specifica. Il segmento 8 codifica due
proteine denominate NS 1 e NS 2 che
mediano l’esportazione nucleo-
citoplasma dell’RNA genomico,
evitandone lo splicing.
Il segmento 7 del genoma del virus dell’influenza A codifica sia per la proteina M 1 che M 2 , mentre il segmento 7
nel virus dell’influenza B codifica solo la proteina M 2 .

Il sistema utilizzato per definire un ceppo influenzale


tiene conto dell’origine geografica, del numero dei
casi isolati, dell’anno di scoperto e della tipizzazione.

1
La neuraminidasi ha il compito d’impedire che il virione venga “neutralizzato” dal legame con l’acido sialico
presente nelle glicoproteine del muco presente alla superficie delle mucose respiratorie. L’emoagglutinina è
l’antirecettore che lega il virione ai residui di acido sialico presenti nei glicolipidi e nelle glicoproteine di
membrana della cellula. A questo punto, il virione viene introdotto per endocitosi mediata da recettore. La
vescicola endocitica contiene un pH acido che determina una variazione conformazione nell’emoagglutinina che,
esponendo una porzione idrofobia, s’inserisce nella membrana e provoca la fusione del peplos virale con la
membrana vescicolare. La conseguenza, è la liberazione nel citoplasma dei complessi RNP virali.
A questo punto, i complessi RNP devono essere trasferiti nel
nucleo cellulare. La replicazione degli Orthomyxovirus presenta
un meccanismo singolare. Benché il virione infettante è provvisto
di un autonomo complesso trascrittasico, l’enzima può iniziare la
trascrizione solo se i segmenti di RNA virale sono legati ad un
innesco, rappresentato dal “cappuccio” degli mRNA, sintetizzato
dalla RNA polimerasi II della cellula. Questa caratteristica dei
virus influenzali spiega perché la replicazione virale è sensibile
agli inibitori della di RNA cellulare, come l’actinomicina e perché
sia necessaria la protezione dall’azione degli spliceosomi nucleari.

Al termine della replicazione, quindi, ogni mRNA virale sarà composto da un cappuccio mutilato derivante
dall’ospite e da una sequenza di RNA più lunga, codificata dal virus.
PB2 lega la guanosina metilata e, successivamente, PB1 stacca l’intero cappuccio, formato da 15nt. PB2 ed il
cappuccio rappresentano il primer.
La replicazione porta alla formazione di due trascritti, gli mRNA e i cRNA; questi ultimi fungono da stampo per
vRNA. Il livello di NP è cruciale per avviare il passaggio dalla fase di espressione a quella di assemblaggio.
Nel processo di gemmazione è importante il ruolo della proteina M1 in quanto si lega, da un lato alle
ribonucleproteine virali, mentre dall’altra si lega alla membrana attraverso le porzioni citoplasmatiche delle
glicoproteine. In questa fase è importante il ruolo della neuraminidasi che idrolizza i residui di acido sialico che
possono legare i virioni alle membrane cellulari.

La trasmissione avviene mediante l’arrivo, sulla mucosa delle prime vie respiratorie, del virus presente nell’aria p
veicolato dalle mani dopo il contatto con superfici contaminate.
A livello dell’epitelio respiratorio, l’infezione ha un effetto citopatico che determina la distruzione delle cellule
epiteliali; contribuisce anche l’effetto dell’interferone e dell’immunità CTL.
Anche se la viremia è rara, la ridotta azione delle ciglia, determina il frequente instaurarsi di infezioni batteriche.
I sintomi dell’infezione sono determinati dall’interferone e dalla risposta citotossica, e comprendono:
• Febbre (38-40°C)
• Mal di testa;
• Mialgia;
• Tosse secca;
• Rinite, faringite;
• Fotofobia, dolori retro-orbitali.
Complicanze polmonari sono più frequenti in soggetti anziani, defecati o portatori di affezioni respiratorie
croniche, e comprendono:
• Croup (laringo-bronco-tracheite acuta);
• Bronchiolite;
• Polmonite virale;
• Polmonite batterica secondaria, dovuta a S.Pneumoniae, S.Aureus, H.influenzae.
Anche se molto rare, possono esserci complicanze extrapolmonari, che comprendono:
• Miositi;
• Miocarditi;
• Encefalopatia;
• Sindrome di Reye, encefalite acuta e disfunzione epatica;
• Sindrome di Guillian-Barrè
La vera influenza è quella legata ai tipi A e B. La diagnosi, nei periodi epidemici, viene fatta sulla base di dati
anamnestico-clinico-epidemiologico. Tuttavia, talvolta è necessario una diagnosi di laboratorio che permette di
escludere altri agenti che danno sintomi simili. La diagnosi di laboratorio si può avvalere di:

2
• Isolamento virale, in embrioni di pollo (cavità amniotica) o in colture di cellule mediante la
dimostrazione di potere agglutinante;
• Dimostrazione di antigeni virali mediante immunofluorescenza nelle secrezioni faringo-bronchiali;
• Ricerca del genoma RT-PCR;
La guarigione si accompagna alla comparsa di una solida immunità nei confronti del virus, che è di tipo umorale.
Giocano un ruolo imporante gli anticorpi contro l’emoagglutinina virale che sono neutralizzanti.

La genesi di un nuovo ceppo pandemico per l’uomo può avvenire per l’acquisizione della trasmissibilità all’uomo
di ceppi aviari. Ciò può avvenire grazie a due meccanismi:
• Mutazione dei geni virali (antigenic drift);
• Riassorbimento (Antigenic Shift).
La deriva antigenica interessa i virus influenzali A e B e consiste in mutazioni puntiformi a carico dei geni di HA
e NA. Questa modificazione rende gli anticorpi già presenti nella popolazione poco efficienti a neutralizzare i
virus. Questo meccanismo è responsabile delle epidemie annuali.
Il cambio antigenico è la conseguenza di un fenomeno di riassorbimento gnomico che si verifica tra un virus
influenzale A umano ed un virus influenzale A animale. Questi nuovi ceppi possono scatenare delle pandemie in
quanto gli anticorpi preesistenti sono totalmente inefficaci.
Tra i virus influenzali si distinguono diversi sottotipi, sulla base di differenze negli antigeni dell’emoagglutinina e
della neuraminidasi. Complessivamente, sono note 15 varietà antigeniche di emoagglutinina (H1-H15) e 9 varietà
antigeniche di neuraminidasi (N1-N9), che possono essere presenti in varie combinazioni. Gli uccelli sono il
reservoir naturale di tutti i sottotipi di virus influenzali A e sono considerati la sorgente originaria. L’infezione da
virus influenzali A negli uccelli decorre in modo asintomatico, tranne per i sottotipi H5 e H7. sia i virus
influenzali aviari, che umani, sono in grado di infettare il suino.
Tutti i virus influenzali si legano, attraverso l’emoagglutinina, all’acido sialico terminale delle glicoproteine e
glicolipidi presenti sulla superficie cellulare. Mentre però, i virus influenzali umani si legano all’acido sialico che
presenta un legame α2,6 con la molecola oligosaccaridica, i virus influenzali aviari si legano all’acido sialico con
un legame α2,3.
Il suino possiede sulla superficie cellulare degli epiteli respiratori residui di acido sialico sia con legami α2,6 che
con legami α2,3; risulta, quindi, che il suino può essere infettato sia da virus umani che aviari.
Non solo, ma sembra che i virus
influenzali A che si replicano nel suino,
vadano incontro ad una selezione che
favorisce la presenza di virioni con
emoagglutinine in grado di legare
residui di acido sialico con legame α2,6.
Quindi, in seguito ad un fenomeno di
riassorbimento gnomico, un virus
influenzale A umano sostituisce il
proprio gene, codificante per la
neuraminidasi, con quella di un virus
aviario, nella rara circostanza che
ambedue i virus confettano lo stesso
organismo suino, il virus che ne
risulterà, grazie ai caratteri antigenici
diversi, potrà eludere il potere
neutralizzante degli anticorpi
preesistenti.
Mediante ricerche sierologiche nei confronti dei diversi tipi di emoaggllutina e neuraminidasi, è stato possibile
stabilire anche quali virus influenzali circolassero in epoca precedente.
Oggi si presume che, nel 1874-1889, circolasse il virus H3N2, sostituito da un virus H2N2 (1889-1901), quindi
fosse comparso H3N8 (1901-1918), a sua volta sostituito dal virus H1N1 nel 1918, anno d’inizio della pandemia
spagnola. Il virus H1N1 ha circolato fino al 1957, mostrando vari sottotipi, risultato di deriva antigenica. Dal 1957
al 1968 ha circolato il virus H2N2, sostituito poi da H3N3, che è in circolazione ancora oggi, insieme ad un virus
H1N1 comparso nel 1977.
Nel 1997, un piccolo focolaio epidemico, caratterizzato da elevata mortalità (6 morti su 18 infetti) scoppia a Hong
Kong, a causa di un virus A, H5N1, precedentemente riportato solo negli uccelli. Dal 1997 al 2008, questo ceppo
ha aumentato il suo potere patogeno sui mammiferi, con 245 persone morte in vari Paesi.

3
Nel 1999 un virus A, H9N2, precedentemente isolato solo da uccelli, si ritrova in due bambini ospedalizzati ad
Hong Kong. Nonostante sia aviario, è in grado d’infettare l’uomo.
Nel 2003, in Olanda, si è verificata un’epidemia negli allevamenti di polli, sostenuta da H7N7, che ha determinato
84 casi umani e un deceduto.
Non si verificano pandemie causate dal virus influenzale B in quanto essi non infettano gli animali.
Affinché si verifichi una pandemia, sono necessari dei prerequisiti, che comprendono:
• Emergenza di un nuovo virus verso il quale la popolazione ha scarsa immunità;
• Il virus deve essere in grado di replicare nell’uomo;
• Deve essere trasmesso efficacemente da un uomo all’altro.
Il miglior candidato finora è H5N1, in quanto è ampiamente diffuso, muta rapidamente acquisendo facilmente
geni da altre specie animali. Mostra un ampio spettro d’ospite ed è in grado d’infettare direttamente l’uomo
causando una malattia grave. Gli uccelli che sopravvivono all’infezione rilascano il virus attraverso le feci per
10gg.
L’unico trattamento possibile contro l’influenza aviaria è la profilassi farmacologica e la vaccinazione.
Amantadina e rimantadina sono risultati inefficaci a causa della sostituzione di un aspartato in posizione 31 nella
proteina M2, che conferisce resistenza. Zanamivir e Oseltamivir sono risultati poco efficaci.
Alti livelli di resistenza all’oseltamivir sono la conseguenza della sostituzione di un singolo aminoacido in NA.
L’influenza aviaria viene monitorata attraverso laboratori regionali ed epidemiologici sotto il controllo di WHO e
CDC, che testano campioni aviari ed umani.
Si sta tentando lo sviluppo di vaccini mediante la genetica inversa. Questa metodica permette di generare copie
esatte degli 8 genomi virali, comprese le proteine virali PA, PB1, PB2 e NP. Ciò permette di creare un ceppo
attenuato che presenta le proteine di superficie di H5N1, mancanza di patogenicità mediante la delezione di aa
basini in HA-HPAI. Il ceppo è anche semplice da replicare nell’uovo.
Per prevenire una pandemia, le manovre effettuabili sono:
• Eliminazione e quarantena e disinfezione di tutti gli allenamenti;
• Vaccino contro il ceppo infettante per i soggetti a rischio;
• Sviluppo di un vaccino

L’organizzazione Mondiale della Sanità ha istituito una serie di laboratori in 50 diversi paesi, con il compito di
isolare gli stipiti dei primi casi annuali di influenza e tipizzarli in modo da avere il tempo per allestire vaccini per i
nuovi mutanti. Si tenta di indovinare quale virus circolerà l’anno successivo. Nella stagione 2008-2009, i possibili
candidati furono:
• Tipo A – A/Brisbane/59/2007-like;
• Tipo A – A/Brisbane/10/2007-like;
• Tipo B – B/Florida/4/2006-like

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I vaccini esistenti finora sono:
• A virus inattivato, prodotto in uova embrionale, stimola la produzione di IgG che non forniscono una
protezione completa;
• Vaccini a sub-unità per bambini, allestiti con sole proteine superficiali;
• Vaccino vivo attenuato ricombinante, prodotto nel 2003 da uova embrionale, fornisce immunità umorale,
mucosale e cellulo-mediata.
La terapia antivirale sfrutta due gruppi di farmaci:
• Amantadina e Rimantadina, ostacolano l’abbassamento del pH all’interno del virione, interagendo con
la proteina M2. Efficace solo su ceppi A.
• Zanamivir (relenza), Oseltmavir (Tamiflu), analoghi dell’acido sialico, inibiscono la neuraminidasi e
sono efficaci sia contro virus A che B. Richiedono una somministrazione precoce.
Soprattutto, per la guarigione, servono riposo, liquidi ed antipiretici.

5
Paramyxoviridae
Sono ribovirus a genoma con polarità negativa. Comprende 2 sottofamiglie e 4 generi:
• Paramyxovirinae
o Respirovirus;
o Rubulavirus;
o Morbillivirus
• Pneumovirinae
o Pneumovirus
Il virione, in genere sferico, è racchiuso da
una membrana lipidica di origine cellulare
(peplos), al cui interno si trova il
nucleocapside a simmetria elicoidale,
formato dal genoma virale, costituito da
un'unica molecola di RNA monocatenario
a polarità negativa, legato a proteine NP.
All’interno del peplos, si trovano due
molecole denominate L (large) e P
(fosfoproteina), che formano le subunità
della RNA-polimerasi RNA-dipendente
virus-specifica. L’attività guanil e metil-
transferasica di L, permette il capping al
5’end dell’mRNA.
Inoltre, sono inserite due classi di glicoproteine:
• Glicoproteina HN, costituisce l’antirecettore e il principale antigene di superficie. Ha caratteristiche di
emoagglutinina, ma spesso ha anche attività neuraminidasica.
• Glicoproteina F, consente la fusione del peplos alla membrana plasmatica della cellula da infettare.
Viene sintetizzata come precursore inattivo F0 , successivamente tagliato proteoliticamente in due catene
F 1 ed F2 . è in grado anche di promuovere la formazione di sincizi che permettono la trasmissione
dell’infezione intercellulare, senza che il virus venga esposto agli anticorpi.
È presente anche la proteina M.
I diversi generi della famiglia Paramyxoviridae, si distinguono tra di loro per alcune caratteristiche della proteina
che funge da antirecettore e per la natura dei recettori stessi. Solo i virus dei generi Respirovirus e Rubulavirus
usano come recettore i residui di acido sialico delle glicoproteine della membrana cellulare. I morbillivirus
utilizzano, come recettore, la proteina di membrana CD46 e, la loro proteina H è sprovvista di attività
neuraminidasica. Il recettore dello Pneumovirus, non è ancora noto.
Il virione si lega alle cellule mediante l’interazione della proteina HN con i recettori sulla cellula. Dopo la fusione
del peplos, operata dalla proteina F, il nucleo-capside viene liberato nel citosol, dove può dare avvio alle sintesi
macromolecolari virus-specifiche, che si svolgono interamente nel citoplasma della cellula infetta e si concludono
con la gemmazione dei virioni dalle zone di membrana plasmatica, modificate dalla proteina M.
La replicazione del genoma batterico è operata
dalla RNA-polimerasi RNA-dipendente che, una
volta, terminata la loro funzione, vengono
inglobate con il genoma nei nuovi virioni, in
quanto sono immediatamente necessari all’inizio di
ogni nuovo ciclo infettante.
La trascrizione di (-)RNA gnomico, porta alla
formazione di una di (+)mRNA che vengono
tradotti nelle proteine virus-specifiche. Le RNA-
polimerasi RNA-dipendenti neoformate
trascrivono il (-)RNA genomico in una serie di
copie complementari di (+)RNA pre-genomico, e
ritrascrive questo nel (-) RNA genomico della
progenie. Non c’è alcuna dipendenza dalle
funzione della cellula in quanto il capping è
aggiunto dalla proteina L.

1
Il virus respiratorio sinciziale (RSV) è la causa più frequente di infezioni delle basse vie aeree nella prima
infanzia. Esistono due sottotipi differenziati in A e B, dei quali, il primo sembra coinvolto nelle affezioni
dell’adulto. Più frequente nei mesi invernali e inizio primavera, la trasmissione avviene per via aerogena e per
contatto con mani e superfici contaminate. L’infezione presenta un breve periodo d’incubazione di 4-5gg e il virus
viene eliminato per 2-3 settimane.
Gli effetti patologici iniziali sono la conseguenza dell’infezione dell’epitelio respiratorio. Nei bambini, sono
possibili sia forme non gravi che forme di bronchiolite o polmonite. L’infezione non conferisce un’immunità
totale, ma le reinfezioni sono meno gravi.
La diagnosi si pone mediante la dimostrazione del genoma virale con RT-PCR o con la dimostrazione di antigeni
virali, mediante immunofluorescenza indiretta. È possibile anche l’isolamento colturale, ma che richiede circa 10
giorni per evidenziare un effetto citopatico con formazione di sincizi.
Non esiste un vaccino efficace, tuttavia si attua una profilassi mediante l’inoculazione di anticorpi monoclinali
umanizzati anti-RSV. La ribavirina, in aerosol è consigliata nei neonati prematuri o immuno-compromessi.

Il metapneumovirus umano (HMPV) è stato recentemente isolato da infezione respiratorie di bambini nella prima
infanzia. Circola in inverno-primavera.

I Virus parainfluenzali, infettano le vie respiratorie superiori e hanno un’incidenza massima in autunno. La
sintomatologia è simile a influenza o raffreddore. Le infezioni più gravi interessano i distretti profondi del tratto
respiratorio. L’immunità è di breve durata in quanto basata su IgA. Non sono disponibili vaccini.
La diagnosi viene effettuata attraverso la dimostrazione di antigeni virale per mezzo di immunofluorescenza; è
possibile anche l’isolamento colturale e la dimostrazione mediante prove di emoadsorbimento.
La terapia si basa su Ribavirina per alleviare la secchezza e ridurre la viscosità delle secrezioni tracheobronchiali.

Il virus della parotite è l’agente eziologico della parotite epidemica, malattia dell’infanzia, caratterizzata
dall’ingrossamento delle parotidi. L’affezione è moderatamente febbrile e passa a guarigione spontanea.
In alcuni casi, sono possibili complicanze che comprendono pancreatici (2-5%), meningiti post-infettive e orchite
(20-50%). L’infezione si contrae per contagio interumano, attraverso la saliva, ed il periodo d’incubazione è di
15gg.
La diagnosi si effettua con metodiche dirette, quali l’isolamento in embrioni di pollo, o la ricerca di genoma virale
mediante RT-PCR, o indirette, come l’indagine sierologia mediante la ricerca di IgM nell’infezione acuta.

Del virus del morbillo se ne conosce un solo tipo antigenico e l’ospite naturale è l’uomo. L’infezione morbillosa è
caratteristica dell’infanzia e si contrae per via inalatoria. Il periodo d’incubazione è di 9-12 giorni. Inizialmente il
virus si replica nella mucosa respiratoria, dalla quale, raggiunge i linfonodi regionali ed infetta le cellule del
sistema reticolo-endoteliale, compresi i linfociti. A distanza di 10-15gg, in concomitanza alla comparsa degli
anticorpi antivirali, si ha la comparsa dell’esantema maculo-papuloso, a patogenesi allergica.
L’infezione provoca una temporanea immunosopressione. L’immunità che ne consegue è molto duratura e le
reinfezioni sono poco probabili.
La diagnosi clinica è facile, tuttavia, accertamenti virologici sono attuabili mediante:
• Sierologia, dimostrabile mediante aumento delle IgG in due sieri (acuto e convalescente) o IgM in un
unico siero prelevato dopo 2 settimane dall’esordio.
• Isolamento virale;
• Dimostrazione del genoma mediante RT-PCR.
L’encefalite post-morbillosa si presenta dopo l’esantema (1/1000), caratterizzata da infiammazione e
demielinizzazione, con possibile origine autoimmune.
La panencefalite sclerosante subacuta (PESS) è una malattia degenerativa che, rappresenta una complicanza
tardiva di infezioni morbillosa, in quanto sono presenti elevati titoli di anticorpi neutralizzanti nel siero e nel
liquor. La connessione con il virus del morbillo è legata all’isolamento da biopsie cerebrali di una variante del
virus, che è difettiva ed esprime una parte delle proteine virali. L’utilizzo del vaccino ha ridotto notevolmente,
l’incidenza di questa complicanza.
Il vaccino antimorbilloso è allestito con virus attenuati (ceppo Schwarz o Edmonston-Zagreb EZ19), proveniente
da colture di embrione di pollo. Il vaccino è controindicato in pazienti immuno-compromessi e donne gravide.

2
Togaviridae
I Togavirus appartengono alla IV classe di Baltimore in quanto il loro genoma è formato da una molecola di RNA
monocatenario di senso positivo. Nella famiglia Togaviridae, si distinguono due generi:
• Alphavirus, comprende 27 specie, accomunate dal fatto di essere trasmesse da vettori artropodi. Le
affezioni variano da un semplice rialzo febbrile a encefaliti gravi. Alcuni esempi:
o Virus dell’encefalite equina;
o Semliki Forest Virus;
o Ross River Virus;
o Chikunguniya.
• Rubivirus, non sono trasmessi da artropodi, comprende solo il virus della Rosolia.
Il virione, di forma rotondeggiante è di 60-60 nm di diametro, formato da un peplos che racchiude un capside di
forma icosaedrica. Presenta 3 o 4 proteine strutturali principali, di cui 1 o 2 glicosilate.
Il recettore cellulare del virus non
è stato ancora chiarito.
L’internalizzazione del virione
avviene mediante endocitose e
fusione con la membrana della
vescicola. Durante la fusione, si
ha la dissociazione del dimero
E1/E2 e la trimerizzazione di Eq,
con conseguente riduzione del pH.
In seguito si ha l’esposizione di
una porzione fusogena e la fusione
dell’endosoma con la membrana
virale e conseguente
scapsidamento ed esposizione
dell’RNA virale.
Il genoma virale del virus della Rosolia, è costituito da una molecola monocatenaria di RNA a senso positivo,
lungo 10kb, con i geni delle proteine strutturali localizzati all’estremità 5’.
L’RNA genomico (+) può fungere direttamente da mRNA, essendo tradotto, immediatamente dopo l’infezione, in
un’unica catena polipeptidica che viene, successivamente, scissa nelle varie proteine funzionali.
Tra queste proteine funzionali, vi è l’RNA-polimerari RNA-dipendente che trascrive un intermedio negativo.
Questo, sempre dallo stesso enzima, verrà tradotto in due molecole (+). Di queste, una ha dimensioni ridotte (26S)
e funziona da messaggero che traduce un polipeptide da cui verrano liberate le proteine capsidiche, mentre quello
più grande (49S) va a formare il genoma della progenie virale.
L’assemblaggio virale avviene in corrispondenza delle
membrane dove, la proteina C viene scissa, in modo da
formare i capsidi. La regione basica della proteina C
interagisce con una sequenza al 5’ dell’RNA genomico.
La sequenza segnale della poliproteina E2-E1 favorisce
la traslocazione nel lume del RER, dove una proteasi
scinde le singole proteine, che matureranno nel Golgi
prima di entrare in membrana. La porzione ricca di
arginino di E2, interagisce con C.
Il virus non uccide le cellule, ma molto spesso ne
disturba la replicazione.

La rosolia è un’affezione frequente nell’età pre-scolare


e si trasmette per aerosol, in quanto il virus è presente
nel muco del naso-faringe, da qualche giorno prima a 1-
2 settimane dopo la scomparsa dei sintomi.
La presenza del virus nella faringe, precede e segue il
rash. La linfoadenomegalia coincide con la viremia.
La rosolia, che presenta un periodo d’incubazione di 13-21gg si manifesta con mal di gola, raffreddore, malessere,
linfoadenopatia, febbre, esantema maculo-papulare di color rosaceo, legato al deposito di immunocomplessi.
Quando l’infezione colpisce una donna durante i primi mesi di gravidanza (entro le 12 settimane), le conseguenze
sono drammatiche in una percentuale elevata di casi.

1
Il virus si trasmette costantemente al fetto, che contrae la Sindrome da Rosolia Congenita (SRC), caratterizzata da
cecità (cataratta, retinopatia e glaucoma), sordità, malformazioni gravi e microcefalia.
I neonati infetti in utero, eliminano il virus per un tempo più lungo.
Il meccanismo dell’azione teratogena dell’infezione
sembra collegarsi al rallentamento dell’attività
mitotica delle cellule del feto infettate dal virus. Non
si escludono però meccanismi che alterano la risposta
ai fattori di crescita o di citolisi diretta.

La diagnosi clinica di rosolia è facile. Nei casi dubbi,


l’isolamento virale non è la metodica più agevole in
quanto il virus si moltiplica nelle colture cellulari con
scarso o nullo effetto citopatico, e può essere messo
in evidenza sono con indagini immunologiche.
Molto più utile è l’indagine sierologica mediante reazioni di inibizione dell’emoagglutinazione di eritrociti di
piccione. La presenza di IgM è indicativo di un’infezione acuta o recente (fino a 6 settimane dalla scomparsa dei
sintomi), mentre i titoli elevati di IgG sono indicativi di infezioni pregresse o vaccinazioni. La ricerca di anticorpi
viene svolta anche nei casi di SRC in quanto la persistenza del virus provoca una risposta immune IgM mediata.
Nel caso di contemporanea presenza di IgM e IgG, in assenza di sintomi, in una donna nelle prime 8-12 settimane
di gravidanze viene misurata l’avidità delle IgG prima e dopo denaturazione. Se l’affinità è alta, l’infezione è stata
contratta almeno 3-4 mesi prima o è una reinfezione; se l’affinità è ridotta, l’infezione è recente.
Ai fini diagnostici, è utilizzabile anche la ricerca del genoma virale, mediante RT-PCR, che va ad amplificare il
gene relativo ad E1.

Esiste un vaccino attenuato, ottenuto con ceppo RA 27/3 da coltura in cellule diploidi umane. Non deve essere
effettuato su donne gravide, ma su donne in età fertile che non presentano anticorpi, e comunque, la gravidanza va
evitata per un mese.
In Italia, la vaccinazione è raccomandata tra i 12-15 mesi di vita, con un richiamo negli 11-12 anni, nell’ambito
del vaccino trivalente Morbillo, Parotite e Rosolia (Vaccino MMR).
Morbillo: virus attenuato da coltura su fibroblasti umani;
Parotite (Mumps): vivo e attenuato, è ottenuta da colture di fibroblasti umani;
Rosolia, anch’esso vivo attenuato.
Sono possibili reazioni avverse al vaccino, tra cui:
• Sintomi articolari (25);
• Febbre (5-10%);
• Esantema (5%).

2
Zoonosi
Le zoonosi sono malattie degli animali vertebrati che possono essere trasmesse all’uomo:
• Direttamente dall’animale vertebrato (morso, fluidi biologici o inalazione);
• Indirettamente attraverso la puntura di un insetto.

RHABDOVIRIDAE
I Rhabdovirus hanno un virione allungato, di forma cilindroconica (a proiettile), lungo 130-380nm. Il virione
consiste in un involucro lipoproteico, all’interno del quale, un nucleocapside elicoidale, è ordinatamente avvolto a
spirale.
Il genoma è formato da una molecola di RNA monocatenario, lineare, di senso negativo, associato alla proteina
capsidica N, che codifica per 5 proteine. Nel virione sono presenti da 4 a 5 proteine principali, tra cui RNA-
polimerasi RNA-dipendente. La replicazione è citoplasmatica e, la liberazione dei virioni avviene per
gemmazione dalle membrane.
Nel virione, il nucleocapside è ordinatamente impacchettato all’interno del peplos, al cui interno aderisce la
proteina virale M (matrice). Il peplos, contiene anche le proteine L e P che formano l’RNA polimerasi. Nella
membrana lipidica, sono inserite numerose copie della glicoproteina di superficie G.
La trascrizione del genoma porta
alla formazione di una serie di
mRNA(+) che vengono tradotti in
una serie di proteine, compresa
l’RNA polimerasi RNA-dipendente.
L’enzima neoformato, trascrive il
genoma negativo, in una serie di
copie complementari di (+)RNA
pre-gnomico e ritrascrive questo nel
(-)RNA genomico della progenie.
La via di trasmissione più frequente
è attraverso il morso di un animale
infetto. Il virus inoculato, si replica
localmente, probabilmente nei
fibroblasti e, successivamente,
penetra nei nervi periferici, con
andamento centripeto.
La migrazione del virus nei nervi, rende conto del lungo periodo di incubazione, che è di circa 3-4 settimane.
Questo ritardo, fornisce il tempo per effettuare una profilassi post-esposizione.
Una volta giunto nel SNC, il virus si moltiplica, provocando danni a carico del corno di Ammone e
dell’ippocampo che causano la tipica encefalite rabbica.
La malattia ha una sintomatologia che cambia in base alla fase del ciclo replicativi del virus. Si distinguono:
• Fase prodromica, in cui ancora il virus non ha danneggiato porzioni considerevoli del SNC. Si manifesta
con formicolio e parestesia della zona colpita, cui si associano febbre, mal di testa, anoressia, vomito e
mialgia.
• Fase neurologica, quando i danni al SNC diventano importanti. Si hanno confusione, allucinazioni,
convulsioni e idrofobia.
• Fase comatosa, in cui i danni al SNC sono ormai estesi e il soggetto entra in un coma che porta a paralisi
respiratoria e morte.
Le lesioni istopatologiche provocate dal virus consistono in un’iperemia generale del nevrasse, con degenerazione
dei neuroni della corteccia cerebrale e cerebellare. La moltiplicazione del virus nei neuroni, causa inclusioni
caratteristiche, dette Corpi di Negri.
La diagnosi clinica è facilitata dal dato anamnestico del morso di animale. Tuttavia, la conferma si può avere post-
mortem mediante la ricerca istopatologica dei corpi di Negri. Sono utilizzabili anche l’immunofluorescenza
indiretta per la ricerca di antigeni virali su campioni bioptici. L’isolamento virale è possibile, ma pericoloso in
quanto richiede la coltura in cavie.
La ricerca del genoma è possibile da campioni di saliva, mediante RT-PCR. La ricerca sierologica è possibile da
siero o liquor ma sono presenti all’insorgere della sintomatologia.
In Europa, la rabbia si presenta in due forme:
• La rabbia urbana, legata ad animali domestici, in particolare il cane e al randagismo canino;

1
• Rabbia selvatica, legata ad animali selvatici come la volpe. In Nord America, sono serbatoi anche gli
sciacalli, procioni e pipistrelli.
Nell’uomo, esiste un solo sierotipo virale. Il 95% delle morti, nel mondo, è associato al morso di cane, tuttavia, in
America, il 75% è dovuto a morso di pipistrelli.
Il tipo di vaccino più usato è allestito con una sospensione al 5% di cervello di coniglio, ucciso con virus rabbico
fisso, in cui il virus è attenuato con aggiunta di fenolo allo 0,25%. La profilassi pre-espositiva è raccomandata per
soggetti a rischio, come i veterinari.
Nei soggetti morsi, si tiene l’animale in osservazione per due settimane per vedere se manifesta sintomi della
malattia. In ogni caso, nel soggetto, si procede alla pulitura della ferita, e successivamente si attua
un’immunizzazione attiva, mediante la somministrazione di cinque dosi di vaccino a opportuni intervalli, nella
regione deltoidea. Nei soggetti con estese lesioni in zone ricche di innervazioni, si attua un’immunizzazione
passiva mediante inoculo di preparazioni di gamma-globuline umane iperimmuni.

ARENAVIRIDAE
Gli Arenavirus presentano un virione pleomorfo, di forma rotondeggiante, del diametro di 50-300nm, formato da
un peplos che racchiude due nucleocapsidi elicoidali e di forma circolare, in cui sono contenute due sequenze di
RNA monocatenarie ambisenso (gruppo V Baltimore), dato che ogni molecola contiene sequenze palindromiche
complementari agli estremi. L’RNA è associato alla proteina N e alla polimerasi. L’envelope presenta due
glicoproteine GP1 e GP2.
All’interno del capside, sono contenuti anche dei ribosomi di origine cellulare che vengono inglobati durante la
gemmazione.
Il genoma virale contiene, contemporaneamente, sequenze a
polarità positiva e sequenze a polarità negativa. L’espressione
dell’informazione genica avviene in due fasi: inizialmente la
porzione (-)RNA genomico è tradotta in (+)mRNA. Le proteine
derivate da questi messaggeri sono coinvolte nella sintesi
dell’intera sequenza complementare di RNA-genomico (o
antigenoma), dalla quale sono trascritti, a loro volta, gli mRNA
dei geni, con una sequenza positiva nel genoma originale.
Questi hanno pertanto, una sequenza identica, non
complementare, a quella della porzione di RNA genomico alla
quale corrispondono.
Il ciclo replicativo si svolge interamente nel citoplasma.
Nell’uomo, la patologia può essere variabile ed andare da una forma febbrile con meningite, come nel caso
dell’infezione da virus della coriomengite linfocitaria (LCMV), al collasso totale che si verifica per insufficienza
respiratoria o circolatoria, nel caso di febbri emorragiche.
La febbre emorragica si manifesta dopo 7-15 gg di sintomi aspecifici, con disidratazione, aumento
dell’emocromo, emorragia, shock ipovolemico e collasso cardiovascolare, che causa morte nel 5-35% dei casi.
La febbre di Lassa è causata dalla trasmissione all’uomo del virus, mediante ingestione di alimenti contaminati da
escrementi di Mastomys natalensis, nei quali provoca un’infezione cronica. È una malattia febbrile, sistemca, che
causa esantemi e morte nel 36-60% dei casi.
La coriomeningite linfocitaria è rara nell’uomo ed in genere sub-clinica. Le manifestazione cliniche sono
associate a sintomi simil-influenzali, nausea, vomito a cui seguono meningite e/o encefalite. Spesso si guarisce.

BUNYAVIRIDAE
Il virione, di forma circolare e di 90-120nm è formato
da un peplos che racchiude i tre nucleocapsidi
elicoidali, a struttura circolare e di dimensioni diverse.
Il virione contiene quattro proteine strutturali, inclusa
una RNA-polimerasi RNA-dipendente.
Il genoma virale è formato da tre segmenti di RNA che
assumono forma circolare per la presenza di sequenze
palindromiche complementari agli estremi.
Appartengono al V gruppo di Baltimore, 3 segmenti di
RNA(-).
I tre segmenti di RNA(-), a seconda delle dimensioni,
sono denominati:

2
• L (large), codifica per l’enzima trascrittasico;
• M (medium) codifica per le glicoproteine virali G1 e G2, presenti nel peplos;
• S (small) contiene i geni per la proteina nucleocapsidica (N).
I segmenti M ed S codificano anche per proteine non strutturali (NS).
L’intero ciclo replicativo si compie nel citoplasma e, a differenza di altri virus rivestiti, maturano gemmando
all’interno di vescicole dell’apparato di Golgi. La liberazione della progenie virale può avvenire per lisi e morte
cellulare, oppure per fusione delle vescicole contenenti i virioni con la membrana.
Ad eccezione del genere Hantavirus, tutti gli altri virus sono trasmessi da artropodi vettori e sono inclusi nel
gruppo biologico-ecologico degli Arbovirus (Arthropod-borne virus).
L’hantavirus, nell’ospite naturale, causa un’infezione asintomatica. Le infezioni sono per lo più rurali, associate a
Virus Seoul, ma possono anche essere urbane. La trasmissione avviene per inalazione di aerosol di escreti di
piccoli mammiferi infetti. Nell’uomo sono responsabili di lesioni renali che si presentano con un quadro di febbre
emorragica che in genere guarisce. La maggiore mortalità è associata alla febbre emorragica coreana legata al
virus Seoul.
La sindrome polmonare da Hantavirus è caratterizzata da un’estesa lesione degli endoteli del letto capillare
polmonare, con conseguente ostruzione essudativa dello spazio alveolare. Il sierotipo più diffuso è il virus Sin
Nombre.

FILOVIRIDAE
I Filovirus comprendono i virus Marburg ed Ebola, isolati dall’uomo in alcuni gravi episodi di febbri
emorragiche.
I virioni hanno forma allungata, filamentosa, con ramificazioni e ripiegamenti a forma di “6”, “U” o di “O”. il
diametro del virione è di 80 nm, mentre la lunghezza può raggiungere i 14.000 nm.
Sono ribovirus che appartengono al V gruppo di Baltimore, quindi con un genoma formato da una molecola di
RNA monocatenario a polarità negativa, e contengono l’RNA-polimerasi RNA-dipendente virus-specifica. Il
peplos contiene, associate, due proteine VP40 e VP24, con possibile funzione di matrice, e presenta inserita la
glicoproteina GP che rappresenta l’antirecettore.
Il peplos contiene il nucleocapside elicoidale con il genoma associato ad una proteina capsidica NP, alcune
molecole di proteine P con attività trascrittasica e due proteine VP30 e VP35 che cooperano con la trascrittasi.
Il ciclo replicativi si svolge interamente nel citoplasma.
L’infezione da virus
Ebola e Marburg è diffusa
e circoscritta in Africa.
Non sono noti gli ospiti
naturali, anche se alcuni
pipistrelli erbivori
mantengono la
replicazione senza
ammalarsi.
Le infezioni
asintomatiche nell’uomo
sono sporadiche; in
genere l’infezione umana
si associa a febbri
emorragiche con un tasso
di mortalità del 60-90%.
La viremia è molto
elevata è il soggetto
malato è infettivo.
La febbre emorragica legate all’infezione da Filovirus è sistemica e causa lesioni in quasi tutti i parenchimi, in
particolare fegato e milza. Il periodo d’incubazione varia da 6 a 14gg e la patologia determina sintomi iniziali e
tardivi.
Inizialmente si hanno mal di testa, dolori, malessere generalizzato e febbre. I sintomi tardivi comprendono diarrea
profusa, dolori addominali, vomito, gola secca e anoressia. Dopo una settimana compare un rash maculo-papulare
dovuto a trombocitpenia ed emorragie interne ed esterne. L’esteso danno endoteliale determina CID che
depaupera i fattori della coagulazione determina la sindrome da shock che porta a morte.
Il trattamento con agenti anticoagulanti ed inibitore del fattore VIIa si è rivelato efficace nella scimmia. Le
strategie proposte per un possibile vaccino sono:

3
• Virus vivo attenuato;
• Espressione di subunità antigeniche GP;
• Vaccini ricombinanti per GP;
• Adenovirus ricombinati che portano GP;
• Particelle simil-virali non infettive.
La prevenzione si attua mediante sistemi di protezione e osservazione e misure di biosicurezza di livello 4.

ARBOVIRUS
Le zoonosi possono trasmettersi indirettamente, mediante la puntura di un insetto che funge da vettore.
La maggior parte delle zanzare femmine si nutre di sangue umano e, dal momento che, quando la zanzara morde il
soggetto, gli trasmette un po’ di saliva, se la zanzara è portatrice di parassita, è in grado di infettare il malcapitato.
Le malattie provocate da arbovirus comprendono:
• Encefaliti;
• Malattie Febbrili
• Febbri emorragiche
Le malattie causano sporadicamente epidemie e le
infezioni sono spesso asintomatiche. La replicazione
iniziale interessa cellule endoteliali (Togavirus) o
cellule monolito/macrofagiche (Flavivirus). I virus a
RNA stimolano la produzione di Interferone che
determina nausea, cefalea, vomito, mialgia.
Si può avere una viremia secondaria che determina
esantema, artrite, epatiti.
La viremia primaria è associata a lievi sintomi
sistemici.
La guarigione è mediata da interferone, immunità
cellulo-mediata e anticorpi, che giocano un ruolo
nella viremia secondaria.

La diagnosi clinica è complicata perché molti agenti


causano gli stessi sintomi. La diagnosi viene fatta in
laboratori specializzati dotati di aree separate per il
trattamento di campioni biologici pericolosi. Si
utilizzano tecniche immunoenzimatiche per la ricerca
di antigeni virale e anticorpi, o RT-PCR. La positività
per IgG indica un’infezione pregressa e un’immunità
permanente.

Flavivirus
I Flavivirus hanno un virione rotondeggiante di 40-50nm, formato da un peplos che racchiude un capside sferico,
di incerta simmetria.
Il genoma consiste di una molecola di RNA monocatenario con polarità positiva (gruppo IV baltimore), infettante.
I virus presentano 3 proteine strutturali, di cui una glicosilata. La replicazione ha luogo nel citoplasma e la
particella neoformata si libera gemmando attraverso la membrana cellulare.
Il West Nile virus è l’agente eziologico della Febbre Gialla. Il suo ospite naturale sono gli uccelli. La maggior
parte delle infezioni da West Nile sono asintomatiche.

Tra i Phlebovirus, della famiglia Bunyaviridae, vi è il Virus Toscana, isolato in Italia nel 1971, unico virus in
grado di causare meningiti e meningoencefaliti. Queste forme sono indistinguibili da quelle provocate da altri
virus, ma può essere utile il criterio epidemiologico: le infezioni da TOSV sono più frequente in estate.
Le forme cliniche più frequenti sono: meningite (95%), menignoencefaliti (4-5%), forme simil-influenzali.
La febbre di Dengue è la più frequente febbre causata da artoprodi e presenta un ciclo silvestre (scimmie-zanzare)
ed un ciclo urbano (uomo-zanzare). Causa 50/100 casi ogni anno.
I sintomi sono:
• Febbre;
• Mal di testa;
• Dolore retro-orbitale;
• Mialgia, artralgia;

4
• Dolore alle ossa;
la presenza, talvolta, di un’esantema, che la può far confondere con morbillo o rosolia. Raramente evolve in
encefalite, è spesso asintomatica.
La febbre emorragica (DHF) e la sindrome da shock (DSS) sono complicanze molto serie di infezioni sequenziali
da parte dei sottotipi diversi di virus dengue e sono conseguenti all’Immune Enhanchement da parte di Ab non
neutralizzanti. Si manifestano con: aumento della permeabilità vascolare, emorragie, travaso di plasma nel
comparto extravascolare; ipovolemia, ipotensione, scompenso circolatorio e CID.
La febbre emorragica è causa ta da 4 sierotipi con 60-80 di omologia. La patologia è su base immune; l’ipotesi
che anticorpi preesistenti favoriscano l’ingresso e la replicazione virale nei monociti, che rilasciano mediatori
vasoattivi che aumentano la permeabilità vasale.
Nei casi di febbre di Dengue, si consiglia il riposo e il controllo della temperatura con antipiretici. Nei casi di
DHF si effettuano trasfusioni e somministrazione di liquidi endovena. Non esiste un vaccino efficace.
La febbre gialla, epidemica in Africa e Sud America, presenta un ciclo silvestre ed uno urbano. La malattia
febbrile è seguita da epistassi, emorragie, ittero, degenerazione epatica, renale e cardiaca. Il vaccino va effettuato
se si viaggia in aree endemiche.

5
Picornaviridae
Si tratta dei più piccoli tra i ribovirus. Il virione è sprovvisto di envelope ed ha un capside icosaedrico di 28-
30nm. Il genoma è formato da una molecola di RNA monocatenario a polarità positiva, infettante, di 7,2-8,4kb. I
virioni presentano 4 proteine strutturali principali. La replicazione ha luogo nel citoplasma ed i virioni si liberano
in seguito a lisi della cellula infetta.

La loro struttura è talmente regolare, che spesso i


virioni si associano in formazioni paracristalline nelle
cellule infettate.
Nel genoma, ci sono due regioni non tradotte UTR,
una all’estremo 5’, importante per la traduzione, la
virulenza e l’incapsidamento, l’altra a 3’, importante
per la sintesi del filamento a polarità negativa. La
5’UTR contiene diverse strutture secondarie a forma
di trifoglio e di stem loop, note come Internal
Ribosome Entry Site (IRES).

Il resto del genoma è formato da un’unica ORF che codifica per una poliproteina. Entrambe le estremità sono
modificate:
• Al 5’, dal legame covalente con una proteina basica, la VPg, importante per la replicazione;
• Al 3’ dalla poliadenilazione, codificata nel genoma, non aggiunta successivamente.
La famiglia di Picornaviridae, comprende 5 generi, differenti sulla base dell’organizzazione gnomica e dei
caratteri antigenici. Quelli che interessano la medicina sono:
• Enterovirus;
• Rhinovirus;
• Hepatovirus
La prima fase del ciclo replicativo è l’attacco alla membrana della cellula bersaglio. I rhinovirus e il Coxsackie A
si legano ad ICAM-1 (CD54) e LDLR (Low Density Lipoproteins Receptor), mentre il Coxsackie B si lega a
CAR, molecola simili ad IgG. Il Poliovirus si lega al CD155; Echo 2 ha il suo recettore in VLA-2, mentre Echo 6
EV70 lega il DAF (Defay Accelerator Factor).
Una volta introdotta nella cellula, il virione può avviare la replicazione del suo genoma. La replicazione inizia da
una sequenza IRES, che viene riconosciuta dal complesso di inizio trascrizione e media l’attacco della subunità
grande del ribosoma e il riconoscimento dell’inizio della traduzione.
Il genoma virale funge da messaggero perdendo il cappuccio e traduce, sui poliribosomi della cellula, per i quali
ha affinità maggiore rispetto agli mRNA cellulari, un lungo polipeptide. Questo polipeptide viene scisso, per
autoclivaggio, in tre regioni P1. P2 e P3. P3 genera l’RNA polimerasi e la proteasi.
L’RNA polimerasi trascrive il filamento complementare negativo, che fungerà da stampo per le copie virali.
L’elica complementare e l’RNA(+) formano complessi a doppia elica di breve durata IR che permettono il legame
della VPg al 5’. La 3Dpolimerasi permette anche la poliuridilazione di VPg, il che favorisce l’innesco al 3’ per la
produzione del filamento negativo.
Formate le proteine strutturali, si ha la formazione del
virione per autoassemblaggio. In questa fase si hanno
le ultime scissioni, comprese la produzione di VP2 e
VP4 a partire da VP0.
Il rilascio avviene per rottura della cellula, che può
essere programmata, in seguito al blocco delle sintesi
macromolecolari.

1
I Picornavirus sono distinti in 5 generi, dei quali, quelli che interessano la medicina sono:
• Enterovirus, stabili a pH 3 e resistenti al calore fino 50°C. Presentano tropismo per il tratto intestinale, ma
possono dare una viremia.
• Hepatovirus, acido-stabile, resiste fino a 60°C. Mostra un tropismo per le cellule epatiche e può dare
viremia.
• Rhinovirus, acido labile e sensibile al calore, presenta tropismo per le prime vie respiratorie e non è in
grado di determinare una viremia.

Gli enterovirus, nonostante il nome, non causano gastroenteriti. Sono molto resistenti all’azione inattivante di
numerosi enzimi, resistendo all’acidità gastrica e alla bile intestinale. Possono sopravvivere per lunghi periodi
nell’ambiente esterno.
Eccetto l’Enterovirus 70, tutti gli enterovirus si trasmettono attraverso il circuito oro-fecale ed hanno un’incidenza
maggiore nel periodo estivo-autunnale.
Comprendono diversi gruppi:
• Poliovirus;
• Coxsackie A;
• Coxsackie B;
• Echovirus;
• Entero.
Infettano l’ospite utilizzando come porta d’ingresso l’oro-faringe e/o il tratto alimentare. I virus attraversano
passivamente le mucose attraverso le cellule M, presenti sugli aggregati linfoidi delle mucose. Il tropismo è
determinato dalla presenza del recettore CD155. Dopo una prima moltiplicazione nella sede d’ingresso, si ha la
diffusione per via linfo-ematica alle cellule del reticolo-endoteliale. Dopo un periodo d’incubazione compreso tra
7 e 14gg, si ha la trasmissione agli organi bersaglio.
Il virus è presente nelle feci per 3-6 settimane.
Il poliovirus comprende 3 tipi con bassa omologia nucleotidica. L’85% dei casi di poliomielite paralitica è
associata al tipo 1. Il tropismo tissutale è limitato a poche cellule esprimenti CD155, come neuroni del SNC e
cellule linfo/epiteliali. Di norma, l’infezione si esaurisce a livello subclinico oppure può provocare malattie
minori, come la meningite asettica, caratterizzata da febbre, faringite.
Se raggiungono il nevrasse, i poliovirus causano la poliomielite. In questo caso, il virus si localizza nei neuroni
motori che possono andare incontro a distruzione. La distruzione dei neuroni motori provoca paralisi flaccida dei
muscoli innervati con diversa sintomatologia e gravità a seconda dei centri motori interessati. La poliomielite
bulbare (muscoli respiratori, faringei e corde vocali) è caratterizzata da elevata mortalità e gravi sequele.
Non esistono farmaci antivirali, tuttavia sono disponibili due vaccini:
• Intramuscular Poliovirus Vaccine (IPV), allestito con virus inattivato con formalina. Stimola la
produzione di IgG, ma non conferisce l’immunità umorale, pertanto il soggetto può presentare la malattia
minore. Il vaccino può essere usato anche da soggetti immunodepressi.
• Oral Poliovirus Vaccine (OPV), allestito con virus attenuato privo di neurotropismo. Fornisce
un’immunità mucosale che impedisce la replicazione virale.
Il Coxsackievirus, a seconda delle lesioni che inducono nell’animale, si distinguono in:
• Coxsackievirus A, causano lesioni vescicolari, comprese:
o Erpangina, o faringite vescicolare, consiste in una faringite febbrile accompagnata da vomito e
dolori addominali. Sono presenti numerose vescicole grigiastre che si trasformano in ulcere
dolenti. Guariscono spontaneamente.
o Congiuntivite acuta emorragica;
o Rinite;
• Coxsackievirus B, causano:
o Pleurodinia, o mialgia epidemica, caratterizzata da cefalea, febbre, dolori muscolari violenti,
localizzati al torace e all’addome. La guarigione è spontanea.
o Miocarditi e pericarditi, in cui la guarigione si accompagna a permanenti alterazioni della
funzionalità cardiaca.
o Diabete mellito di tipo I, dovuto ad una cross-reattività che provoca una risposta immune verso
le cellule β del pancreas.

Gli Echovirus, sono stati accidentalmente isolati da feci umane e, successivamente, associate a malattie, quali,
meningite asettica, esantemi, faringiti e congiuntiviti.

2
I Rhinovirus, sono la causa principale del “raffreddore comune”. A differenza degli altri Enterovirus, sono acido
labili e replicano bene a 33°C. Esistono circa 100 sierotipi che sono la causa delle infezioni ripetute. I sintomi
sono dovuti al danno sostenuto dall’epitelio ciliato del tratto respiratorio. Si diffondono per via aerea e per
contatto.

Per quanto riguarda la diagnosi di infezioni da Coxsackie B ed Echovirus, si può effettuare in modo diretto
mediante isolamento in coltura di campioni biologici come tamponi naso-faringei, feci e liquido cefalo-
rachidiano. Un’alternativa è la tipizzazione sierologica mediante pool di sieri neutralizzanti, andando per
esclusione.
La diagnosi di infezioni da Coxsackie A si effettua mediante isolamento in topolino neonato o attraverso RT-PCR.

Il trattamento si effettua con Pleconaril, che è un farmaco che blocca l’attacco al recettore, impedendo lo
scapsidamento e la replicazione virale. Tuttavia, l’efficacia è legata alla sensibilità del virus. Presenta ampio
spettro contro i virus che utilizzano lo stesso recettore e viene somministrato per via orale.

3
Virus responsabili di epatiti primarie

EPATITE A
Il virus dell’Epatite A (hav) è un picornavirus in cui rappresenta il virus prototipo del genere Hepatovirus. È
l’agente eziologico dell’epatite infettiva. L’epatite A ha un periodo di incubazione relativamente breve (da 15 a
30ggi) ed è endemica in tutto il mondo.
La malattia diffonde attraverso il circuito oro-fecale ed è frequentemente associata all’ingestione di frutti di mare.
Si può trasmettere con la trasfusione di sangue. Presenta una mortalità bassissima e la guarigione è priva di
ulteriori conseguenze.
Una volta entrato nel canale alimentare, si moltiplica nel tenue e viene escreto con le feci. Dal tenue va in circolo
e determina una viremia, raggiungendo il fegato. A questo livello si replica, determinando un’infezione non litica,
in quanto i virioni vengono eliminati dai processi secretori.
Il virus è presente nel materiale fecale 6-7 giorni prima dell’esordio dei sintomi e dell’aumento delle transaminasi
sieriche. Il virus può anche essere nel sangue nella fase iniziale della sintomatologia.
Al superamento dell’infezione, fa seguito un’immunità duratura.
La diagnosi si basa sulla dimostrazione di anticorpi anti-HAV di classe IgM, costantemente presenti nell’infezione
acuta, e si mantengono elevate per tre mesi dall’esordio. La presenza di IgG indica un’infezione pregressa.
Un vaccino, allestito con virus proveniente da colture infette, inattivato con formaldeide è disponibile. Il
trattamento vaccinale prevede una dose iniziale seguita da un richiamo a 6-12 mesi.
In caso di esposizione è consigliata un’immunizzazione passiva mediante somministrazione di gamma-globuline
umane in un’unica dose.

EPATITE E
Il virus dell’epatite E (HEV) è un ribovirus sprovvisto di
pericapside, con un capside isometrico ed un genoma formato da una
molecola di RNA a polarità positiva, classificato nella famiglia
Caliciviridae. Il genoma presenta 3 distinte sequenze trascrivibili o
ORF: ORF1, codifica per la poliproteina non-strutturale con attività
enzimatica; ORF2, codifica per la proteina principale del capside;
ORF3 codifica per una proteina che ha funzione nel corretto
assemblaggio del capside e si lega a proteine pro-infiammatorie, di
origine epatica, che creano l’ambiente adatto alla replicazione.
HEV si trasmette per via oro-fecale e l’infezione è appannaggio di aree
a basso livello economico-sociale di vita. Il periodo di incubazione è di
25-55gg. L’infezione si può presentare come casi sporadici endemici o
focolai epidemici.
La malattia colpisce prevalentemente soggetti fra 15 e 40 anni di età ed è associata ad un’elevata mortalità nelle
donne gavide.
La diagnosi si basa sulla ricerca anticorpale di IgG verso antigeni virali e la positività della reazione in assenza di
“marker” di infezione da altri virus epatici, consente una diagnosi sicura.

EPATITE B
Il virus dell’Epatite B (HBV) è il prototipo degli Hepadnavirus. Il virione ha un diametro di 42nm, ed è formato
da uno spesso involucro contente lipidi che circonda un nucleocapside. L’involucro lipidico contiene proteine che
rappresentano gli antigeni di superfici (HBsAg). Nelle proteine del nucleocapside (o core) sono presenti gli
antigeni del “core” (HBcAg).
Il genoma è formato da una molecola di DNA circolare bicatenaria incompleta. Il virione contiene una DNA-
polimerasi.
Il genoma HBV contiene quattro sequenze codificatrici parzialmente embricate, denominate C, P, S ed X.
Il gene P codifica una proteina con attività enzimatiche virus-specifiche ed un piccolo peptide che serve da
segnale di inizio dell’attività polimerasica. La polimerasi ha attività di primasi, trascrittasi inversa, RNasi H,
DNApolimerasi.
Il gene C presenta due segnali d’inizio della trascrizione e può codificare due proteine: la proteina C forma il core
virale ed è detto HBcAg; la proteina C+pre-C codifica una proteina, HBeAg che viene eliminata all’esterno e si
ritrova nel siero. È in grado di attraversare la placenta.
Il gene S codifica le proteine dell’envelope del virione (HBsAg). Presenta tre segnali di inizio della trascrizione e
codifica tre proteine: gp27, gp36 e gp42.
Il gene X codifica una proteina (HBxAg) con funzione trans-attivante della trascrizione.

1
L’HBV è assolutamente specifico per la specie umana ed il DNA virale viene trasferito nel nucleo dove, dopo il
completamento della struttura bicatenaria del genoma, ad opera degli enzimi cellulari preposti al riparo del DNA,
viene trascritto dalla RNA polimerasi II cellulare, dando inizio alla replicazione virale. Vengono formate due
classi di RNA, rappresentate da una serie di mRNA subgenomici e una serie di RNA(+) pre-genomico in cui è
trascritta l’intera sequenza della catena polinucleotidica del genoma.
Una volta che gli RNA sono trasferiti nel citoplasma, gli mRNA vengono tradotti nelle proteine virus-specifiche.
Gli RNA pre-genomici invece, sono bifunzionali e funzionano sia da mRNA parzialmente tradotti in proteine del
core e in DNA polimerasi RNA-dipendente, sia come stampo per la sintesi del DNA virale.
Dopo la sintesi delle proteine tradotte dagli RNA pre-genomici, questi vengono incapsidati dalle proteine del
“core” in una struttura detta provirione. Al suo interno, questi RNA vengono tradotti dalla trascrittasi inversa
(DNA polimerasi RNA-dipendente) con formazione di un complesso intermedio RNA/DNA. La rimozione
dell’RNA e la successiva trascrizione della catena complementare del DNA porta alla formazione del virione
defintivo.
La trascrizione del genoma di HBV non richiede la preventiva integrazione nel genoma cellulare. La maturazione
dei virioni completi avviene a livello delle membrane dell’ergastoplasma ed i virioni completi sono eliminati dalla
cellula per esocitosi, insieme ad una notevole quantità di HBsAg che, prodotta in eccesso, viene riversata in
circolo dove si presenta assemblato in particelle rotondeggianti e forme filamentose.
Il virione completo presenta tre glicoproteine di superficie HBs, denominate L, M ed S che si ritrovano negli
aggregati filamentosi.
Il danno epatico non è dovuto direttamente al virus, in quanto non determina un’infezione citopatica, ma alla
risposta immune che gioca un ruolo sia nella malattia acuta che cronica. La risposta immune umorale è
responsabile della protezione duratura e delle manifestazioni extraepatiche, dovute alla deposizione di IC.
La clearance virale, cioè la completa eliminazione del virus, è legato al risposta immune che, se non adeguata,
determina la cronicizzazione dell’infezione.
L’infezione si trasmette esclusivamente per via interumana attraverso l’inoculazione accidentale di sangue infetto
e per via sessuale. È trasmissibile anche dalla madre al feto per via transplacentare.
La malattia è per il 50-60% dei casi asintomatica, con un periodo d’incubazione fino a 6 mesi e si manifesta con:
ittero; astenia, dolori addominali, perdita di appetito, nausea, vomito e dolori articolari.
Nel 95% dei soggetti adulti, la malattia esita nella guarigione spontanea. Non è raro lo stato di portatore sano.
L’infezione non risolta evolve in epatite cronica, che a sua volta, in 5 anni, può causare una cirrosi epatica. La
cirrosi può essere compensata o determinare scompenso epatico che porta a morte nel giro di 5aa. Il 6-15% dei
soggetti può sviluppare un cancro.
La diagnosi è tipicamente sierologica con la definizione dell’assetto dei marcatori virali ottenuto con tecniche
immunoenzimatiche per la determinazione degli anticorpi HBsAg e HBcAg.
La definizione quantitativa dell’acido nucleico con tecniche molecolari di ibridazione o PCR è utile per valutare
l’attività della replicazione e la risposta alla terapia.

2
Le possibili tecniche molecolari di indagine per l’infezione cronica da HBV presentano una differente sensibilità e
comprendono test d’ibridazione, DNA binding e PCR.
Queste indagini quantitative possono essere usate in svariati casi clinici:
• Epatite Acuta, come possibile valore prognostico se si riducono entro due settimane;
• Infezione Persistente, necessarie per sapere quanto il virus si replica;
• Monitoraggio dell’infezione attiva e prognosi, in quanto la presenza di HBV DNA è associato ad un
probabilità significativamente alta di evoluzione verso CLD.
• Trattamento farmacologico dell’infezione.
• Management del paziente candidato al trapianto di fegato per malattia HBV correlata.
La terapia è consigliata in pazienti con:
• ALT persistentemente alte,
• attiva replicazione virale,
• danno epatico moderato o grave, fibrosi.
L’obiettivo del trattamento è quello di evitare la cirrosi, il carcinoma epatico e la morte. Ovviamente, può essere
utile anche per ridurre i livelli di transaminasi e la quantità di virus.
Il trattamento consiste in Interferone, nei pazienti HBeAg+ con epatite cronica attiva; o Lamivudina-Adefovir
(Entecavir, Telbivudina, Tenofovir), analoghi nucleosidici, inibitori della trascrittasi inversa. Oltre ad essere
possibili delle riaccensioni, nel trattamento con farmaci antivirali, è possibile anche lo sviluppo di una resistenza
dovute ad una mutazione nel gene della trascrittasi inversa.
La vaccinazione è efficace, grazie ad un vaccino allestito con antigene S ricombinante. Possono essere usate anche
le immunoglobuline-iperimmuni, allo scopo di prevenire l’infezione. Devono essere somministrate entro 24-72ore
dall’esposizione. Nei neonati, nati da madri HBsAg+ si somministrano in associazione al vaccino.
L’82% dei casi di Carcinoma primitivo del fegato (PLC) sono associati ad una infezione virale che, nel 60% dei
casi è sostenuta da HBV. Questa correlazione tra HBV e carcinoma è dovuto ad un effetto indiretto di HBV e
multifattoriale:
• il danno cronico legato alla continua attività immunitaria, determina un’iperplasia rigenerativa che
aumenta il numero di cellule a rischio di subire successive alterazioni genetiche che danno origine al
carcinoma epatico.
• L’HBV codifica per la proteina HBx che altera il normale controllo della crescita cellulare, in quanto,
essendo in grado di legare p53, può interferire con l’inibizione della crescita. Si esclude un ruolo diretto
di questa proteina, tuttavia, non si esclude un ruolo iniziatore.

EPATITE D
Scoperto nel 1977, l’Antigene delta fu inizialmente associato alle manifestazioni più severe di epatite B. Di fatto,
l’antigene delta ed i corrispondenti anticorpi, rappresentano i marcatori tissutali e sierici dell’infezione ad opera
del virus Delta (o HDV: Hepatitis Delta Virus).
Il virus Delta non è in grado di replicarsi autonomamente ed è, pertanto, un virus difettivo che richiede la presenza
di HBV per infettare e replicarsi.

3
Il virione consiste in una particella sferoidale di 36nm di diametro, formata da un envelope lipoproteico derivato
dall’HBsAg dell’HBV, che racchiude il genoma virale ed un paio di proteine specifiche che formano l’antigene
delta.
Presenta caratteristiche riconducibili sia a virus satelliti che a viroidi delle piante.
Il genoma è formato da una molecola di RNA a polarità negativa, composta da soli 1,7kb. I nucleotidi formano
una struttura senza estremi liberi e di aspetto bastoncellare, per la presenza di varie sequenze complementari che
condizionano appaiamenti intracatenari.
Nel genoma sono presenti sequenze con i caratteri di ribozima, che possiedono la capacità di catalizzare tagli e
risaldature in corrispondenza di peculiari sequenze dell’RNA genomico.
Il genoma del virus Delta è in grado di codificare una proteina con peculiari caratteristiche antigeniche che
rappresenta appunto l’antigene delta (δ-Ag).
Il genoma virale si replica nel nucleo cellulare e l’RNA-polimerasi II della cellula, in presenza del genoma virale
delta, è in grado di funzionare da RNA polimerasi RNA-dipendente. Questo enzima genera una intera sequenza di
RNA(+) che viene successivamente ritrascritta nella sequenza di RNA(-)-genomico definitiva, e in una sequenza
sub-genomica più piccola di mRNA che viene poi tradotta nell’antigene delta.
Il nucleo-capside, assemblato nel nucleo della cellula infetta, viene trasferito nel citoplasma dove si associa ad una
membrana cellulare alterata per la presenza delle glicoproteine specifiche del pericapside del virus HBV.
Fuoriesce dalla cellula avvolto in un pericapside che è lo stesso HBsAg dell’HBV.
Il virus Delta può essere trasmesso dalla madre al feto insieme al virus B.
La con infezione HDV-HBV o la sovrainfezione da virus Delta in soggetto infetto da HBV porta ad un
aggravamento della sintomatologia.
La diagnosi di infezioni da virus Delta si basa sul reperto del virus in circolo mediante PCR, e sullo studio della
risposta anticorpale anti-antigene Delta.
La vaccinazione anti-HBV rende ovviamente il soggetto immune anche nei confronti del virus Delta che è
incapace di autonoma replicazione.

EPATITE C
Il virus dell’epatite C (HCV) è un ribovirus con genoma formato da una molecola di RNA a polarità positiva,
provvisto di un envelope che presenta affinità con la famiglia Flaviviridae, nella quale è attualmente classificato.
Il recettore di HCV è rappresentato da CD81, proteina del gruppo delle tetraspanine, caratterizzate da 4 regioni
transmembranarie, presenti sulla superficie cellulare in associazione ad alcune integrine. Tuttavia, possono essere
coinvolti anche LDLR, GAG, Scavenger receptor class B type I (SR-BI) e claudina-1 (CLDN-1); la claudina è
coinvolta nell’ultima fase, a livello delle giunzioni strette degli epatociti polarizzati. L’internalizzazione avviene
per endocitosi mediata dalla clatrina. L’acidificazione dell’endosoma determina la fusinoe delle glicoproteine con
la membrana della vescicola.

4
Una volta introdotto nella cellula, il virus ha un ciclo di replicazione che segue quello degli altri ribovirus a
genoma positivo.
Il virus presenta una certa variabilità genomica che si traduce nella presenza di almeno 6 tipi genomici principali,
all’interno dei quali sono differenziabili diversi sottotipi.
Il genoma, formato da circa 9,5kb, codifica un’unica molecola proteica che viene poi tagliata, co- e post-
traduttivamente, nelle 3 proteine strutturali (una proteina DNA-binding che forma il capside, e due proteine E1 ed
E2 e, una volta complessate, vanno a formare i peplomeri inseriti nell’envelope) e, in 5 proteine non-stritturali NS,
dotate di attività enzimatiche essenziali alla replicazione virale.
E1 ed E2 mediano l’adesione e la penetrazione del virione nella cellula. E2 contiene due porzioni, HVR1 e HVR2,
più variabili del genoma. Anticorpi contro HVR1 sono in grado di neutralizzare il legame di E2, ma solo alcuni
sono veramente protettivi.
La variabilità di E2 sono il risultato di mutazioni random e di selezione di cloni mutanti che funzionano da falsi
bersagli per il sistema immune che pertanto produce anticorpi non neutralizzanti. E2 contiene una sequenza
identica per la fosforilazione da parte di PKR, interferendo con l’induzione dello stato antivirale, in quanto
compete con eIF2 nella fosforilazione da parte della protein-chinasi indotta dall’interferone.
NS5a interagisce con la PKR indotta dall’IFN, interferendo con lo stato antivirale indotto dallo stesso IFN. NS5b
rappresenta la RNA polimerasi RNA-dipendente; questa, non possedendo un processo di correzione dell’errore,
genera la variabilità virale che permette la creazioni di nuovi epitopi in grado di eludere l’immunità umorale e
cellulare.
NS3 è responsabile del processo proteolitico dell’intera poliproteina virale, oltre a srtotolare il DNA per
permettere la traduzione e la replicazione.
Le mutazioni legate agli errori della polimerasi, le ricombinazioni tra le varianti virali, sono alla base della
diversità intra-ospite. All’interno di ogni ospite coesistono molte varianti virali che, nell’insieme, sono dette
“quasispecie”. In seguito alla risposta antivirale, si selezionano nuove varianti in grado di evadere la risposta
antivirale.
Il momento decisivo per la cronicizzazione, dipende dalla comparsa della e dalla qualità della risposta immune: la
risposta T è più vigorosa nei pazienti che guariscono.
L’epatite C è un’infezione subdola, lentamente progressiva che sovente rimane asintomatica fino alla comparsa di
segni clinici di scompenso delle funzioni epatiche o, alla comparsa di un carcinoma epatico primario.
Con un periodo di variabile da 5 a 10 settimane, si può trasmettere per via percutanea, attraverso lo scambio di
siringhe, trasfusioni, incidenti sul lavoro; o per via permucosale da madre a figlio.
La diagnosi è possibile mediante diverse metodiche:
• Saggio immunoenzimatico (EIA), che evidenzia Ab contro il core e antigeni non strutturali del virus. La
posività deve essere confermata con immunoblotting, nelle popolazioni a bassa prevalenza di infezioni.
La positività del saggio è già di per se diagnostica, tuttavia, la precisazione del tipo di infezione richiede
altri test.
• Viremia HCV-RNA qualitativa, che si effettua mediante PCR. Il risultato positivo documenta l’attività
replicativa virale e non richiede ulteriori determinazioni. Il risultato negativo indica una replica virale
minima o una guarigione spontanea o indotta dalla terapia.
• Viremia HCV-RNA quantitativa, è eseguita mediante real-time PCR. Fornisce informazioni sulla quantità
di HCV circolante. La determinazione quantitativa di HCV-RNA trova indicazione solo prima e durante
la terapia.
• HCV genotipo, trova indicazione solo per studi epidemiologici o per determinare, nel singolo individuo,
la probabilità di risposta e la durata della terapia con IFN pugilato più ribavirina.
La profilassi non dispone ancora di un vaccino a causa dell’elevata diversità di sequenza tra i ceppi e la presenza
di quasispecie che evolvono continuamente nel corso dell’infezione.

5
Retrovirus
I retrovirus formano un gruppo di virus assolutamente peculiare. Il virione ha una forma quasi sferica, del
diametro di 80-130nm. È costituito da un envelope, che racchiude un nucleocapside di probabile organizzazione
elicoidale.
Il genoma è diploide, essendo formato da due molecole identiche di RNA monocatenario, di senso positivo. Il
virione possiede 7-8 proteine strutturali. Le glicoproteine del pelos contengono antigeni specie-specifici.
Nel virione è presente un enzima peculiare, rappresentato dalla “trascrittasi inversa” o DNA-polimerasi RNA-
dipendente, essenziale per il ciclo replicativo del virus.
L’assemblaggio avviene nel citoplasma, contemporaneamente all’acquisizione del peplos mediante gemmazione
attraverso la membrana cellulare.
I retrovirus sono attualmente distinti in 7 generi:
• Retrovirus di tipo B;
• Retrovirus di tipo C mammiferi;
• Retrovirus di tipo C aviari;
• Retrovirus di tipo D;
• Retrovirus del gruppo HTLV-BLV;
• Lenvirus;
• Spumavirus.
I primi cinque gruppi comprendono virus oncogeni e,
in particolare, il gruppo HTLV-BLV comprende i
virus responsabili di alcune forme di leucemia umana
a cellule T. Il genere Lentivirus comprende alcuni
virus responsabili di infezioni con un lungo periodo
d’incubazione ed i virus della sindrome da
immunodeficienza acquisita. Il genere Spumavirus
comprende retrovirus ospiti delle scimmie. I
retrovirus patogeni per l’uomo sono rappresentati dai
virus responsabili dell’AIDS, rappresentati da HIV-1
ed HIV-2, della sottofamiglia Lentivirinae, e dai virus
associati alla Leucemia a cellule T dell’adulto,
rappresentati da HTLV-I e HTLV-II, della
sottofamiglia Oncovirinae.

Le due molecole di RNA, poliadenilate all’estremità 3’, sono parzialmente embricate all’estremo 5’ mediante
legami idrogeno o per la presenza di sequenze complementari. A circa un centinaio di nucleotidi dall’estremità 5’,
la molecola di RNA è appaiata con una piccola molecola di RNA-transfer, il quale funge da innesco per la
trascrittasi inversa.
Ciascuna molecola di RNA presenta agli estremi, due sequenze di basi ripetute, delle quali, la più esterna è
ripetuta ai due estremi (sequenze R), mentre quella più interna è caratteristica dell’estremo 5’ (sequenza U5) e
dell’estremo 3’ (sequenza U3). L’insieme U3-R-U5 presente ad ogni estremo del DNA provirale, forma il
segmento LTR (Long Terminal Repeat) che contiene il promoter e l’enhancer necessari alla trascrizione del
provirus.
La sola funzione dell’RNA genomico è quella di fungere da template per la sintesi di una molecola
complementare di DNA bicatenario che viene sintetizzata nel citoplasma ad opera della trascrittasi inversa. Il
DNA neosintetizzato, a questo punto, migra nel nucleo e si integra col genoma cellulare, dove può rimanere
silente per lunghi periodi.
Il DNA del provirus contiene sequenze riconosciute dall’apparato trascrittivi della cellula che provvede alla
trascrizione di RNA(+), alcuni dei quali saranno tradotti in poliproteine, successivamente scisse nelle varie
proteine funzionali, mentre altri vanno a formare il genoma della progenie virale.
In alcuni retrovirus, in particolare i Lentivirus, una serie di mRNA porta alla sintesi di proteine regolatorie, alcune
delle quali hanno la funzione di stimolare la trascrizione del genoma virale, ed altre di proteggere gli RNA(+)
genomici dallo splicing.
Il genoma di HIV contiene tre geni, necessari alla replicazione virale: gag, codifica le proteine strutturali del core
virale; il gene pol codifica le proteine enzimatiche (trascrittasi inversa, proteasi, endonucleasi/integrasi) ed il gene
env, codifica per le proteine che, una volta glicosilate, formano le glicoproteine virus-specifiche dell’envelope

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virale. Sono inoltre presenti altri sei geni che traducono per proteine con funzioni regolatorie/accessorie nel ciclo
di replicazione.

I geni gag-pol sono cotradotti in una proteina di 180kD, che viene poi scissa in una proteina p55, precursore delle
proteine codificate da gag, e negli enzimi virus specifici: proteasi (PR o p11), trascrittasi inversa (RT o p66/51) ed
endonucleasi/integrasi (IN o p32). La proteina p55 viene a sua volta scissa nella proteina della matrice (MA o
p17), in una proteina p24 che forma l’involucro capsidico (CA) ed in una proteina p9 che si lega alle molecole di
RNA (proteina nucleo-capsidica o NC).
Il gene env è tradotto inizialmente in una poliproteina che viene glicosilata (gp160) e scissa nelle due
glicoproteine gp41 e gp120, delle quali, la prima è inserita nella membrana nell’involucro pericapsidico (proteina
transmembrana TM), mentre l’altra, ancorata a gp41, è esposta in superficie (SU).
Ai due lati del gene env, il genoma di HIV contiene sei sequenze che codificano altrettante proteine con funzioni
regolatrici o accessorie nel ciclo di replicazione virale.
Le due proteine regolatrici sono rappresentate da tat e rev, entrambe codificate da due esoni posti separatamente
nel genoma.
La proteina Tat è una proteina che rientra nel nucleo cellulare e funziona da transattivatore della trascrizione del
genoma virale. Tuttavia, non si lega al promoter delle sequenze LTR, ma ad una specifica sequenza di Tar degli
mRNA nascenti. Questa proteina è essenziale in quanto in quanto lega anche degli adattatori trascrizionali
costituiti da p300 e CBP (CREB binding protein) che favoriscono la trascrizione agendo sugli istoni.
Inoltre, Tat è in grado di agire sulla RNA-polimerasi II, rendendola in grado di terminare la trascrizione del
provirus.
La proteina Rev ha un’importante funzione nel regolare la sequenza di produzione di RNA virus-specifici. Una
volta prodotta, Rev rientra nel nucleo e, interagendo con sequenze RRE (Rev-responsive elements) presenti nella
regione env, li protegge dallo splicing, consentendo il trasporto nucleo-citoplasma degli mRNA più grandi.
Altre proteine con funzioni regolatrici sono le proteine Vpu e Nef.
La proteina Vpu è una proteina con la funzione di facilitare il trasporto del gene env verso la membrana cellulare.
Le glicoproteine gp160 sono spesso intrappolate nel reticolo endoplasmico per l’interazione con le molecole CD4
neosintetizzate dalla cellula. Vpu si lega alle molecole CD4 neosintetizzate e ne favorisce la degradazione,
liberando gp160 dal legame e favorendone il definitivo assetto nel peplos virale.
La proteina Nef agisce legandosi alle molecole di CD4 e HLA-I di cui facilita il trasporto, dalla superficie
cellulare e dall’apparato di Golgi, verso i lisosomi. In presenza di Nef, la quantità di CD4 e HLA-I espressa sulla
cellula infetta, viene notevolmente diminuita.
Vif e Vpr sono proteine “accessorie2 che vengono incorporate nel virione maturo, di cui sembra favoriscano
l’infettività.

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La proteina Vif è una proteina che viene incorporata nel virione di cui ne favorisce l’infettività. I virus defettivi
nel gene vif sono in grado di generare nuove infezioni, ma solo se trasmessi da cellula a cellula, mentre i relativi
virioni liberi sono dotati di scarso potere infettante.
La proteina Vpr ha un ruolo importante nel favorire il trasporto intranucleare del complesso nucleoproteico virale.

Il principale recettore specifico per HIV è la molecola CD4, presente sulla superficie dei linfociti T-helper e che
funziona da ligando specifico per molecole di MHC di classe II. La molecola CD4 è presente anche sulla
superficie di un notevole numero di monociti presenti nel sangue circolante, nei macrofagi tissutali, nelle cellule
dendritiche follicolari dei linfonodi.
La sensibilità all’infezione all’infezione da HIV dipende dalla contemporanea presenza, sulla superficie cellulare,
non solo di CD4, ma anche di almeno uno di una serie di possibili co-recettori.
In particolare, alla superficie dei macrofagi, il co-recettore è rappresentato dalla molecola CCR5, recettore
specifico per le chemochine RANTES, MIP 1α e MIP 1β. Analoga funzione possono svolgere i recettori 2b
(CCR2b) e CCR3 (specifico per l’eotassina) che sono espressi su eosinofili.
Gli stipiti di HIV-1 linfotropi, utilizzano come co-recettore, la molecola CXCR4, recettore della chemochina
SDF-1.
La contemporanea interazione tra gp120 da un lato, e CD4 ed un co-recettore, dall’altro, provoca delle alterazioni
che determinano la fusione dell’envelope con la membrana cellulare ed il rilascio del capside nel citoplasma. A
questo punto si verifica la retrotrascrizione del genoma virale nel DNA provirale, e l’integrazione del provirus nel
genoma della cellula.
Il genoma provirale integrato, contiene, nella sequenza 5’LTR, una serie di siti di in grado di legare fattori
trascrizionali “attivati” che permettono il legame della RNA-polimerasi II e l’avvio della trascrizione. Qualsiasi
stimolo in grado d’indurre lo stato di “attivazione” cellulare, è in grado di avviare la trascrizione del provirus ed il
ciclo virale.
Quando sono state prodotte un sufficiente numero di Rev, si ha il blocco della sintesi delle proteine regolatrici e
l’esportazione citoplasmatica degli RNA-genomici e degli mRNA per le proteine strutturali che, una volta
tradotte, si assemblano nel virione che acquisisce l’involucro pericapisidico (dalla zona con la quale ha interagito
la proteina MA e le glicoproteine gp120/gp41) e viene esportato nell’ambiente extracellulare, per gemmazione
dalla superficie cellulare.

Tutte le proteine che si producono nel corso dell’infezione da HIV sono antigeniche ed in grado di determinare
una risposta immunitaria. Le proteine strutturali più rilevanti sono rappresentate dalle proteine che formano
l’involucro capsidico (CA o p24) e da altre proteine della trascrizione del gene gag (MA o p17), dalle
glicoproteine di superficie (gp41 e gp120) e dai relativi precursori.
Gli anticorpi dotati di potere neutralizzanti sono quelli diretti nei confronti dell’antirecettore gp120, la cui efficaca
è notevolmente diminuita dalla notevole ipervariabilità genomica di HIV a livello del gene env.
L’analisi nucleotidica, mostra che i geni env e nef sono quelli più soggetti a variazioni, mentre le sequenze di gag
e pol sono più conservate. Le mutazioni che interessano env, comprendono delezioni “in-frame”, inserzioni e
duplicazioni.
Nonostante l’elevata variabilità delle glicoproteine di superficie, esse contengono comunque sequenze altamente
conservate e con una rilevante funzione biologica. Nella gp120 sono presenti almeno quattro sequenze
aminoacidiche costanti (C1-C4), intercalate con regioni ipervariabili (V1-V5), una delle quali corrisponde al
principale epitomo in grado di evocare la risposta anticorpale neutralizzante. La conseguenza è che gli anticorpi
neutralizzanti prodotti verso un virus sono poco o nulla efficaci verso altri stipiti virali prodotti nel corso della
stessa infezione.

L’infezione da HIV rappresenta la tappa iniziale di un processo che, nella maggior parte dei casi, nel giro di 7-10
anni, si traduce in un quadro patologico grave che si conclude invariabilmente con la morte del paziente.
L’infezione è sempre la conseguenza della trasmissione di tracce di sangue da un soggetto infetto ad uno sano,
attraverso i rapporti sessuali o l’uso promiscuo di siringhe tra tossicodipendenti, etc. l’infezione si può trasmettere
anche dalla madre al feto per via transplacentare o perinatale.
L’infezione può essere asintomatica o, dopo un periodo d’incubazione di 3-6 settimane, si traduce in una malattia
acuta, febbrile, senza una sintomatologia caratteristica, che si esaurisce spontaneamente nel giro di alcuni giorni.
L’infezione si accompagna ad una notevole viremia, e, nel giro di una settimana, o al massimo tre mesi, si
produce un’intensa risposta immunitaria che determina la scomparsa della viremia, mentre il virus è sequestrato
nei linfonodi, all’interno delle cellule dendritiche follicolari.
Inizia in questo modo la fase di latenza clinica, priva di manifestazioni morbose evidenti, che può durare anche
anni.

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Alla latenza clinica non corrisponde la latenza virale completa. Benché il provirus si trovi integrato nel genoma
delle cellule infette ed è latente, in un certo numero di cellule si osserva un’attiva replicazione virale che si
accompagna alla liberazione di virus e di prodotti virus-specifici solubili che innescano un processo patogenetico
in grado di determinare le lesioni fondamentali dell’affezione.
Anche se sono assenti i sintomi clinici, i soggetti infetti da HIV presentano un progressivo calo del numero di
linfociti CD4+ circolanti, che non si traduce in manifestazioni morbose drammatiche finché i linfociti superano i
600/mm3.
Quando la proliferazione virale a livello linfonodale raggiunge livelli critici, si manifestano i primi sintomi.
La sintomatologia inizia con la comparsa di una linfoadenopatia persistente, che caratterizza il cosiddetto stadio
LAS.
Subito dopo, inizia lo stadio ARC, caratterizzato da calo ponderale, febbre, diarrea ed astenia, che si accompagna
ad ulteriore diminuzione dei T-helper, con anemia, ipergammaglobulinemia e ridotta o assente risposta alle
indagini che valutano la risposta immune cellulo-mediata.
In molti soggetti, la comparsa di una malattia conclamata si associa alla prevalenza di una popolazione virale
CXCR4 linfo-tropica con la riduzione o scomparsa della popolazione CCR5 macrofago-tropica.
In coincidenza con la riduzione dei T-helper al di sotto dei 3-400/mm3, inizia la fase di AIDS conclamata, in cui il
virus è notevolmente presente nel sangue (intensa viremia), mentre si hanno complicazioni con l’insorgenza di
infezioni “opportunistiche” e da virus che evolvono con gravità (Pneumocystis carinii, candidosi esofagea,
infezioni disseminate da Herpes Simplex Virus).
In un numero variabile di pazienti, sono presenti anche lesioni degenerative del SNC che si esprimono con sintomi
psichiatrici di rilievo (ARD).
La compromissione delle capacità della risposta immune è l’aspetto patogenetico più rilevante della sindrome e
rappresenta l’elemento fondamentale cui ascrivere la responsabilità delle gravi e incontrollabili infezioni
microbiche e virali che intervengono, con ogni probabilità, anche nella comparsa delle manifestazioni tumorali.
La compromissione della risposta immune, trova il suo momento patogenetico fondamentale nella notevole
riduzione del numero di linfociti T-helper che, rappresentano la chiave di volta che regge l’edificio del sistema
immunitario.
Il numero di T4 infetti dal virus non supera mai il 20-30% della popolazione totale e non è, quindi, facile
comprendere come si arrivi ad una loro pressoché totale distruzione.
Tra i diversi meccanismi proposti per spiegare la distruzione della popolazione di linfociti T4, una buona evidenza
sperimentale è a favore della possibilità che linfociti T4 non infetti siano reclutati in conseguenza dell’induzione
della morte cellulare programmata, attraverso l’innesco di segnali cellulari non fisiologici conseguenti
all’interazione fra gp120, liberata dalle cellule infette, e la membrana delle cellule circostanti CD4+.
Oltre a gp120, anche la proteina transattivante Tat, liberata dalle cellule infettate può funzionare da amplificatore
del danno cellulare, sia stimolando l’attivazione e la proliferazione di cellule linfoidi, o inducendone l’apoptosi, si
inducendo, in cellule non infette, la produzione di citochine in modo abnorme e provocando una disregolazione
dei sistemi omeostatici che controllano la proliferazione e la differenziazione cellulare.
Gli stessi meccanismi sembrano responsabili anche della compromissione della vitalità e della capacità di
differenziamento delle cellule ematopoietiche progenitrici presenti nel sangue circolante e nel midollo osseo.

Poiché l’infezione da HIV, una volta verificatisi, si mantiene costantemente attiva, la sieropositività, cioè la
presenza di anticorpi specifici per HIV nel siero di un individuo, consente di porre inequivocabilmente la diagnosi
di infezione in atto.
La ricerca di anticorpi si esegue routinariamente mediante reazioni immunoenzimatiche nei confronti di
mescolanze di antigeni ricombinanti e/o di peptidi sintetici che riproducono gli epitopi antigenici più significativi
delle principali proteine strutturali dei virus HIV-1 e 2.
Pur consentendo una sicura diagnosi, la ricerca di anticorpi pone determinate limitazioni:
1. nella fase iniziale (3-4 settimane) la quantità di anticorpi non è ancora sufficiente ad essere evidenziata;
2. nei neonati da madri infette, i quali possiedono anticorpi sierici anti-HIV;
3. in quella modesta percentuale di soggetti infetti che presentano risultati borderline.
La ricerca di HIV può essere condotta mediante isolamento del virus in coltura, allestendo co-colture di cellule
mononucleate del sangue periferico di donatori normali, in presenza di idonei fattori in grado di stimolare
l’attivazione cellulare, e monitorando la comparsa di antigeni virus-specifici (in genere p24). Si tratta comunque
di una tecnica indaginosa e che richiede tempi lunghi e laboratori attrezzati. Le principali indicazioni routinarie di
questa metodica, comprendono il monitoraggio:
1. dei caratteri fenotipici di resistenza ai farmaci antivirali;
2. nello studio delle varianti antigeniche circolanti.

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Di norma, perciò, la ricerca della presenza di virus, nel sangue periferico, viene eseguita mediante rivelazione
della presenza di antigeni specifici (p24, proteina del “core”) e/o ricerca di specifiche sequenze nucleotidiche
(DNA provirale, RNA virionico).
Al fine di stabilire una diagnosi, nei casi in cui le indagini sierologiche non consentano interpretazioni sicure, la
ricerca del virus mediante rilevazione, con metodiche di amplificazione (PCR) della presenza di DNA provirale
nei linfomonociti circolanti, costituisce il tipo d’indagine di maggior affidamento.
Nel follow-up del paziente, per monitorare l’efficacia della terapia antivirale o per derivare indicazioni
prognostiche, è essenziale stabilire il livello di replicazione virale, misurando la quantità di virus. I parametri
virologici, in grado di dare utili indicazioni sulla carica virale sono fondamentalmente rappresentate da:
1. determinazione quantitativa di DNA provirale, mediante PCR;
2. determinazione della quantità di virus infettante presente nel sangue periferico (Infectious culture dose,
ICD);
3. determinazione dei livelli di proteina capsidico p24 (p24-antigenemia);
4. determinazione quantitativa di HIV-1 RNA nel plasma.
Nonostante i criteri di valutazione della carica virale presentano ciascuno un suo limite, essi sono tutti correlati in
modo soddisfacente tra di loro e con la gravità della malattia.
Mentre la DNA-PCR misura la quantità di virus latente, la determinazione di p24 è correlata all’intensità della
replicazione virale.

La terapia nel paziente affetto da AIDS può oggi contare su una efficace serie di farmaci antivirali specifici,
costituiti da inibitori nucleosidici e non nucleosidici della trascrittasi inversa, da diversi farmaci inibitori specifici
della proteasi virale e da almeno un farmaco che agisce inibendo la fusione del peplos del virione con la
membrana delle cellule sensibili. Il regime terapeutico attuale ha migliorato la prognosi dell’affezione, anche se
una serie di aspetti collaterali (tossicità degli inibitori delle proteasi, emergenza di stipiti farmaco-resistenti, ecc.)
non consente di guardare con ottimismo al trattamento dell’affezione nel lungo periodo.
Poiché al momento non è possibile la realizzazione di un vaccino efficace, il controllo dell’infezione è affidato a
misure preventive generali, come lo screening dei donatori, il controllo del sangue, l’educazione sessuale.

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ELISA è l'acronimo dell'espressione inglese Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay (Dosaggio Immune
Adsorbito Legato a un Enzima). Si tratta di un versatile metodo di analisi immunologica usato in biochimica
per rilevare la presenza di un dato antigene, tipicamente appartenente a un microorganismo patogeno, grazie
all'uso di uno specifico anticorpo.

ELISA trova ampio uso anche per misurare la concentrazione di anticorpi nel plasma sanguigno, come ad
esempio nei test per l'HIV.

Ci sono due varianti del test ELISA: una è chiamata ELISA COMPETITIVO e l'altro ELISA NON
COMPETITIVO.

Esistono inoltre due metodiche di ELISA NON COMPETITIVO: il metodo diretto o DAS-ELISA e il
metodo indiretto.

Metodo diretto

le fasi in sintesi prevedono:

1. Immissione di una soluzione dell'anticorpo primario, specifico per l'antigene da ricercare ed


individuare nel siero o in un dato lquido biologico , nei pozzetti di una apposita piastra da saggio in
polistirene. Il fondo del pozzetto viene saturato con l'anticorpo che aderisce al fondo dei pozzetti per
mezzo solitamente di gelatina di pesce e l'eccesso viene lavato via.
2. Aggiunta, in soluzioni con diverse concentrazioni non note, dei campioni dei quali bisogna saggiare
la presenza, o meno, dell'antigene caratteristico dell’organismo patogeno e lavaggio con soluzione
tampone; L'antigene, se presente, si lega specificamente con l'anticorpo e l'eccesso viene lavato via.
3. Aggiunta dell'anticorpo secondario,che può essere rappresentato da un anticorpo anti-
immunoglobiline umane,che possono essere ottenute da animali di grossa taglia inoculando in essi
siero umano(le cui proteine sono riconosciute come antigeni estranei al sistema immune dell'animale
e quindi determinano la formazione di anticorpi).Questo anticorpo viene coniugato con un enzima
(da cui il nome del test), tipicamente perossidasi o fosfatasi alcalina, e lavaggio con soluzione
tampone; L'anticorpo secondario si lega selettivamente all'antigene, se presente, e l'eccesso viene
lavato via. L’assenza dell’antigene specifico per l’anticorpo comporta che l’anticorpo secondario (e
il relativo enzima ad esso coniugato), con il lavaggio, venga dilavato.
4. Aggiunta di p-nitrofenilfosfato; Questa sostanza provoca una reazione con l'enzima coniugato
all'anticorpo secondario producendo p-nitrofenolo di colore giallo. Se l’antigene caratteristico
dell’organismo patogeno è assente nel pozzetto non vi sarà neanche l’enzima coniugato all’anticorpo
secondario - la reazione non può avvenire.
5. Aggiunta di idrossido di sodio per bloccare la reazione tra enzima fosfatasi e p-nitrofenilfosfato;
6. Lettura del risultato, espressione della reazione tra enzima fosfatasi e p-nitrofenilfosfato che produce
sul substrato una reazione cromogenica o fluorogenica - ovvero sviluppo di colore o luce di
fluorescenza - successivamente misurabile attraverso uno spettrofotometro.

Nel test ELISA NON COMPETITIVO indiretto l'antigene è legato al pozzetto e dato che al pozzetto della
piastra è legato l'antigene non si può avere la formazione del sandwich, ma un anticorpo si legherà
all'antigene, se presente, e un anticorpo secondario marcato con un enzima si legherà al complesso antigene-
anticorpo riconoscendolo.

Lo sviluppo del colore è indicativo della presenza dell'antigene che si voleva saggiare e l'intensità della
colorazione, misurabile grazie al spettrofotometro, è semi-quantitativa secondo una scala arbitraria di
intensità.

Il test è da intendersi valido se la reazione risulta positiva nel pozzetto di controllo dove è sicuramente
presente l'antigene e negativa nel pozzetto di controllo dove l'antigene sicuramente non è presente.

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Il test ELISA NON COMPETITIVO è un test qualitativo e semi-quantitativo: non fornisce un valore
effettivo ma afferma la presenza o l'assenza dell'analita. Il test ELISA COMPETITIVO è un test quali-
quantitativo: fornisce un valore specifico con una deviazione standard.

L'ELISA REVERSE method & device (ER m&d) usa una conformazione innovativa della fase solida:
un’astina di polistirene da cui protrudono 4-12 ogive. L’intera astina va introdotta direttamente nel campione
da saggiare e tutti i passaggi successivi (lavaggi, incubazione in coniugato e incubazione in cromogeno) sono
eseguiti semplicemente immergendo le ogive dell’astina estratta dal campione dopo opportuna incubazione
in pozzetti di micropiastre standard pre-riempiti con le soluzioni e i reagenti. Gli importanti vantaggi sono i
seguenti: - l’ astina introdotta nel campione ha le ogive sensibilizzate con reagenti differenti, in modo che in
ciascun campione sia possibile la ricerca simultanea di differenti anticorpi e di differenti antigeni per analisi
multi-target; - il volume del campione analizzato può essere aumentato a piacere per aumentare la sensibilità
del test in campioni clinici (saliva, urine), alimentari (latte di massa, pool di uova) e ambientali (acqua); -
un’ogiva di ogni astina non è sensibilizzata e funge da controllo negativo per valutare la specificità di
reazione del campione per tutti i test di ricerca di anticorpi e/o antigeni; - la distribuzione dei campioni, i
lavaggi e la distribuzione dei coniugati e del cromogeno sono estremamente semplificati, tanto da consentire
la realizzazione di kit da laboratorio di semplice uso manuale e di kit portatili per analisi in campo
(ambulatori, aeroporti, dogane, allevamenti).

Ha lo scopo di ricercare specifici anticorpi in un dato liquido biologico avendo a disposizione antigeni a cui
questi possano legarsi,o,al contrario per ricercare specifici antigeni avendo a disposizione anticorpi
monoclonali che possano legarsi a questi ultimi.

In caso di esito positivo,per conferma si esegue il Western Blot.

Western blot
Il western blot o immunofissazione è una tecnica biochimica che permette di identificare una
determinata proteina in una miscela di proteine, mediante il riconoscimento da parte di anticorpi
specifici; in generale, per facilitare il riconoscimento, la miscela di proteine viene prima separata in
base alle loro dimensioni (o peso molecolare) utilizzando un gel di poliacrilammide (ma esistono
variazioni quali il dot blot o slot blot, in cui la miscela proteica non viene separata in base alle
dimensioni, ma ci si affida alla selettività antigene/anticorpo); successivamente le proteine vengono
trasferite su di un supporto, che comunemente è una membrana di nitrocellulosa, e quindi si procede
al riconoscimento vero e proprio della proteina mediante l'utilizzo di un anticorpo specifico.
Recentemente sono state messe a punto tecniche che permettono il riconoscimento
antigene/anticorpo direttamente nella matrice del gel, evitando quindi il trasferimento su membrana.

Questa tecnica si usa quando il campione corso è composto da una miscela di moltissime proteine
tali che con una colorazione standard (blu coomassie o nitrato di argento) non si riuscirebbe a
distinguerle l'una dall'altra, oppure quando, pur avendo bande ben distinte (discrete), la proteina di
interesse è in quantità troppo basse per essere visualizzata con altre tecniche. Infatti il western
possiede tre passaggi in cui avviene l'amplificazione del segnale, ciò rende visibili anche decimi di
picomole (10-10mol) di proteina.

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