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TGV E TGO

I meccanismi che permettono lo scambio di materiale genetico nei batteri


sono raggruppabili in tre categorie principali:
1. la coniugazione, con la quale materiale genetico è trasferito da una
cellula a un’altra;
2. la trasformazione, ossia l’acquisizione da parte di una cellula di DNA
presente nell’ambiente;
3. la trasduzione, un processo attraverso il quale un batteriofago, nel
corso dell’infezione di una cellula batterica, può occasionalmente
trasferirle geni provenienti dal batterio in cui si è precedentemente
sviluppato
Tramite questi meccanismi il materiale genetico può essere trasferito in
modo unidirezionale, da un batterio “donatore” a uno “ricevente”. Per
questo si parla di trasferimento genico “orizzontale” (TGO o HGT,
horizontal gene transfer) o “laterale”, mentre nella riproduzione cellulare
(divisione binaria e mitosi, ma anche nella meiosi) si ha un trasferimento
genico “verticale” dalla cellula parentale alle due cellule figlie. Va detto
che il TGO non è ristretto all’interno della specie; infatti, il DNA di una
specie donatrice può essere trasferito anche a specie molto diverse,
incluse piante e animali (fig. 10.1).
TGO
➢ Il trasporto del DNA da una cellula all’altra, durante la coniugazione
e l’infezione fagica, o dall’ambiente esterno al compartimento
citoplasmatico durante la trasformazione, è un processo complesso.
➢ l DNA, infatti, deve attraversare le varie barriere rappresentate dalla
membrana esterna, la parete mureinica e la membrana
citoplasmatica per i batteri Gram negativi e nel caso dei batteri
Gram positivi deve superare lo spesso strato della parete e poi la
membrana citoplasmatica.
➢ l TGO consente ai batteri di condividere i successi evolutivi ottenuti
da altri batteri. Questa strategia evolutiva è responsabile della
formazione di genomi nei quali una sostanziale quantità di DNA è
aggiunta, sostituita o deleta dal cromosoma, comportando
un’accelerazione della variabilità genetica.
➢ Il TGO può fornire a una cellula, in seguito a un singolo evento,
nuove proprietà fenotipiche precedentemente evolutesi in altre
cellule, in particolare per quanto riguarda i cosiddetti geni non
essenziali o accessori, che consentono ai batteri che li ricevono di
conquistare nuovi habitat
➢ Il TGO è un fenomeno complesso che coinvolge diversi processi,
schematizzabili in una serie di fasi:
1. il DNA del batterio donatore viene preparato per il trasferimento;
2. il batterio ricevente entra in contatto con il DNA donatore;
3. il DNA donatore si stabilisce in modo permanente nella cellula o
sotto forma di replicone indipendente oppure integrandosi nel
genoma del ricevente: nel primo caso, di norma, nuova
informazione genetica si aggiunge a quella già presente nella
cellula; nel secondo, il DNA trasferito può aggiungersi oppure
sostituire regioni omologhe;
4. i geni trasferiti si esprimono e, qualora differiscano da quelli
prima presenti (alleli diversi oppure materiale genetico
aggiuntivo), conferiscono nuove caratteristiche fenotipiche alla
cellula ricevente. Contestualmente, anche il DNA acquisito può
andare incontro a mutazioni (delezioni, riarrangiamenti o
mutazioni puntiformi) che ne possono modificare le
caratteristiche adattandole al nuovo ambiente.
➢ Troviamo 3 modalità di trasferimento genico:
1. CONIUGAZIONE
Un processo attraverso cui una
molecola di DNA o parte di essa è
trasferita da una cellula donatrice a
una ricevente con l’utilizzo di un
complesso multiproteico
specializzato presente nel
donatore: l’apparato di
coniugazione.
La capacità di coniugare è conferita
al batterio da elementi genetici
(plasmidi o trasposoni) di tipo
autotrasferibile. Infatti, la
coniugazione è primariamente un
meccanismo di tipo infettivo con
cui questi elementi si trasferiscono
da un batterio a un altro.
Il trasferimento coniugativo
richiede che avvenga uno stretto
contatto tra le due cellule
interagenti.
Nei batteri Gram negativi questo è
inizialmente stabilito da filamenti
che si estendono al di fuori della
cellula (detti pili sessuali), mentre
per la maggior parte dei batteri
Gram positivi le modalità con cui le
due cellule entrano in contatto
coinvolgono prodotti diffusibili
codificati da plasmidi che permettono l’aggregazione cellulare attraverso
modalità ancora poco note.
Il trasferimento coniugativo è un fenomeno diffuso che è stato
riscontrato in molte specie Gram negative e Gram positive. Le nostre
conoscenze nei batteri Gram negativi derivano da studi condotti su pochi
plasmidi, principalmente il plasmide F di Escherichia coli, il plasmide ad
ampio spettro d’ospite RP4 e il plasmide Ti di Agrobacterium, che
promuove trasferimento genico dal batterio a una cellula vegetale.
Questi elementi genetici codificano per molte delle proteine coinvolte
nella coniugazione e i geni responsabili sono localizzati in una regione del
plasmide detta tra (transfer), che include i geni mpf (mating-pair
formation, formazione della coppia coniugativa) e dtr (DNA transport and
processing). I geni mpf codificano per proteine che partecipano alla
formazione e all’assemblaggio del pilo sessuale.
Il sistema Mpf svolge un ruolo centrale nel trasferimento del DNA non
solo tra batteri della stessa specie ma anche tra specie batteriche
appartenenti a generi diversi e, in alcuni casi, a funghi, piante e animali.
La rgione dtr codifica per proteine responsabili del processo con il quale
uno specifico filamento del DNA (detto T per transfer) è preparato per il
trasferimento.
PLASMIDE CONIUGATIVO F
Il plasmide coniugativo F, inizialmente identificato in E. coli K12 come
“fattore F” (fattore di fertilità), è il primo plasmide ad essere stato
scoperto e quello
maggiormente studiato. F
è anche il primo esempio
di episoma, termine
coniato da Jacob e
Wollman per indicare un
elemento genetico che
può essere replicato in
forma libera nel
citoplasma oppure
integrato nel cromosoma
batterico. Il fattore F è
rappresentativo di una più ampia famiglia di plasmidi, non tutti
necessariamente coniugativi. L’informazione genetica contenuta in
questo plasmide induce, nella cellula portatrice, il differenziamento del
pilo sessuale (pilo F) e di un sistema per la traslocazione del DNA. Il pilo o
pilus (fig. 10.3) è un’appendice essenziale per la coniugazione poiché
permette di stabilire un contatto con un’altra cellula e di trasferire in
questa il DNA tramite il sistema di traslocazione. Il pilo è una struttura
proteica filamentosa con diametro di 8 nm e lunga 20 μm che si estende
all’esterno della cellula, costituita da un polimero di una proteina detta
pilina codificata da un gene plasmidico (traA). Sulla superficie della cellula
ci possono essere da una a tre di queste strutture. Il trasferimento del
fattore F è frequente nel caso in cui una cellula sia provvista del plasmide
(batterio F+) e l’altra priva (batterio F–), raro tra coppie di batteri F+ . Il
plasmide F viene trasferito dalla cellula portatrice (cellula donatrice) a
quella ricevente.
STRUTTURA FISICA E ORGANIZZAZIONE GENETICA FUNZIONALE

Il plasmide F è una molecola di DNA circolare a doppio filamento di 94,5


kb con un contenuto G+C (49%) pari a quello del cromosoma (un dato a
favore dell’idea che la presenza di questi due repliconi nella stessa cellula
sia molto antica).
È possibile identificare varie regioni: la regione tra, dove sono
raggruppate le informazioni genetiche preposte alla coniugazione; la
regione rep, implicata nella replicazione vegetativa del plasmide, e una
terza regione in cui si trovano alcune sequenze mobili (tre IS e un
trasposone) coinvolte nell’integrazione del fattore F nel cromosoma oltre
a diversi geni (circa il 25% del genoma di F) a funzione ignota. In tutto
sono noti circa 60 geni coinvolti nelle diverse funzioni plasmidiche. La
regione tra di F (circa 35 kb) è costituita dal sito oriT e da almeno 25 geni
coinvolti nella formazione del pilo e nel trasferimento del DNA. I geni tra
fanno parte di un sottogruppo della famiglia del sistema di secrezione di
tipo IV (T4SS, fig. 10.4) conservato in altri plasmidi coniugativi dei batteri
Gram negativi, noto anche come apparato per la formazione della coppia
coniugativa (mpf). Tredici di questi geni (da traA a traL) sono necessari
per la sintesi della pilina e il controllo della formazione del pilo. A
un’estremità di questa regione si trova il sito oriT dove, nel corso della
coniugazione, inizia il trasferimento del DNA e la sua replicazione nella
modalità a cerchio rotante. Il DNA viene trasferito sotto forma di singolo
filamento. Il primo tratto che entra nel batterio ricevente (leading region),
costituito da una sequenza di 13 kb, codifica per diverse proteine, tra cui
le proteine SSB che, legandosi al ssDNA, lo proteggono dall’azione delle
nucleasi, e altri prodotti genici coinvolti in meccanismi di riparazione dei
danni al DNA, nella ricombinazione e nella ripartizione delle copie del
plasmide al momento della divisione cellulare. L’ultimo tratto di DNA ad
essere trasferito nella cellula ricevente contiene i geni tra.

MECCANISMO DI CONIUGAZIONE
Il trasferimento coniugativo del DNA coinvolge 2 gruppi di geni:
1. Geni tra → quelli preposti alla formazione del pilus e stabilire il
contatto coniugativo fra i batteri
2. Geni mob → coinvolti nel processamento e trasporto del DNA nel
batterio ricevente
La regione mob è definita da 2 regioni del DNA:
1. Mic → è il sito in oriT dove avvien eil taglio a singolo filamento (nick,
tacca)
2. La seconda esprime la proteina che taglia a livello di nic in oriT.
Nel processo di coniugazione distinguiamo 3 fasi:
➔ Formazione di una coppia coniugativa di batteri
➔ Il trasferimento (o mobilizzazione) del DNA
➔ La separazione delle cellule exconiugati
La coniugazione inizia con il contatto tra la punta del pilo F del donatore e
un sito recettore sulla cellula ricevente. Il pilo depolimerizza le unità di

pilina di cui è composto e si accorcia fino a che le membrane delle due


cellule non si uniscono e formano un poro coniugativo che stabilizza
l’accoppiamento tra le due cellule (fig. 10.5).
L’accoppiamento fra due cellule F+ è raro grazie a un meccanismo
chiamato esclusione di superficie (surface exclusion), che impedisce la
stabilizzazione del contatto fra il pilus e la cellula ricevente. In genere
questo fenomeno avviene quando un ceppo ricevente ha un plasmide
identico o molto simile a quello del donatore. L’esclusione è dovuta al
fatto che il plasmide coniugativo produce alcune proteine specifiche che
si localizzano sulla membrana interna ed esterna della cellula e inibiscono
il legame da parte di un pilo omologo. L’esclusione di superficie non
rappresenta in ogni caso una barriera assoluta al trasferimento genico,
dipendendo dalla presenza e dal livello d’espressione dei geni plasmidici
implicati in questo
processo.
Il trasferimento, o
mobilizzazione del
DNA, è un processo
complesso che
coinvolge un
apparato, il
rilassosoma
(relaxosome),
costituito da un
enzima che,
incidendo un’elica
del DNA di F al sito
nic, rilassa il
superavvolgimento
del plasmide (fig.
10.6).
Il rilassosoma
(codificato dal gene
traI) è un enzima
bifunzionale con
attività di nucleasi
e di elicasi a carico
di due domini
funzionali.
L’enzima, oltre a
processare il DNA
per la sua traslocazione, si associa al poro di trasferimento sulla
membrana e fornisce anche la forza motrice per il trasferimento
coniugativo (da cui deriva l’altro nome di questa proteina, strand
transferase). Il trasporto del rilassosoma al poro donatrice, del filamento
complementare mediante la DNA Pol III dell’ospite, mentre il filamento T
legato alla rilassasi è spinto nel batterio ricevente dove è convertito in
dsDNA mediante la sintesi discontinua dell’elica complementare. Il
risultato finale di questo processo è l’acquisizione da parte della cellula
ricevente di una copia di F, mentre la cellula donatrice ne mantiene
un’altra; ciascuna delle due molecole di dsDNA sarà costituita da un
filamento parentale e da uno neosintetizzato. Il meccanismo di
destabilizzazione e separazione dell’accoppiamento è poco conosciuto. È
possibile che sia un processo spontaneo oppure dovuto all’espressione di
qualche gene di F.

I batteri con fattore F integrato, chiamati Hfr possono infatti promuovere


il trasferimento del cromosoma batterico ad altri batteri per
coniugazione.
Nel batterio Hfr il fattore F rimane stabilmente integrato, ma può con
bassa frequenza escidersi dal suo sito d’integrazione mediante un
meccanismo di tipo inverso a quello dell’integrazione. L’escissione è in
genere precisa, ma in rari casi il plasmide escisso può portare con sé una
delle regioni fiancheggianti il sito d’integrazione.
Questi plasmidi ricombinanti, chiamati fattori F′, conservano tutte le
proprietà coniugative del fattore F promuovendo, in tal caso, il
trasferimento proprio e del frammento del cromosoma ad esso associato
(F′ lac, F′ trp ecc.). Questo fenomeno è detto F-duzione.

PLASMIDI CONIUGATIVI IN ALTRI BATTERI GRAM – E NEI


GRAM +
Il numero di plasmidi coniugativi nei batteri Gram negativi è
estremamente elevato. Negli enterobatteri ne sono stati identificati
centinaia, codificanti per resistenze a vari antibiotici, appartenenti a 20
diversi gruppi di incompatibilità. La famiglia di plasmidi maggiormente
studiata è quella dei plasmidi ad ampio spettro d’ospite del gruppo
d’incompatibilità IncW. I primi plasmidi isolati appartenenti a questo
gruppo sono stati pSa di Shigella, R388 di E. coli e R7K di Providencia
rettgeri. Questi tre plasmidi, di dimensioni relativamente piccole rispetto
al fattore F, hanno un’elevata similarità di sequenza (> 95%) e le
differenze sono a carico soprattutto dei geni per la resistenza agli
antibiotici. Il pilo da essi codificato è rigido e molto più lungo rispetto a
quello del plasmide F (10-12 nm di spessore e 450 nm di lunghezza).
Queste caratteristiche sono adatte alla coniugazione su superficie solida
contrariamente al gruppo IncF (cui appartiene il plasmide F) e di altri che
possono coniugare in liquido. L’organizzazione genetica dei plasmidi pSa,
R388 e R7K è di tipo modulare, e si ritrovano le funzioni essenziali de
scritte per il fattore F (moduli per la replicazione, controllo del numero
delle copie, risoluzione dei multimeri, partizione ecc.). Il confronto del
genoma di R388 con molti altri plasmidi del gruppo IncW ha rivelato che il
genoma di R388 è una sorta di mosaico costituito essenzialmente da una
combinazione di moduli funzionali presenti in altri plasmidi e acquisiti per
TGO. Oltre ai plasmidi presenti in vari generi batterici capaci di
coniugazione autonoma con modalità analoghe a quelle del fattore F
(detti pertanto plasmidi autotrasmissibili), esistono molti plasmidi (detti
mobilizzabili) che coniugano solo in presenza, nella stessa cellula, di un
altro plasmide coadiuvante. In pratica i plasmidi mobilizzabili sono
plasmidi coniugativi difettivi, che portano il sito oriT (la regione richiesta
in cis per il trasferimento) e solo parte dei geni necessari per la
coniugazione (in genere contengono la regione mob che codifica per il
rilassosoma, ma sono privi delle funzioni Mpf per la formazione del poro
coniugativo). Le funzioni geniche mancanti necessarie per coniugare sono
fornite in trans da un altro elemento coniugativo presente nella cellula.
Da notare, infine, che un plasmide coniugativo può virtualmente
“mobilizzare” qualsiasi altro elemento genetico (cromosoma, plasmide,
fago, trasposone) con cui abbia ricombinato, ampliando così il repertorio
di geni trasmissibili orizzontalmente per coniugazione. Oltre al
cointegrato F-cromosoma descritto sopra, sono stati identificati diversi
“repliconi coniugativi” che sono risultati, a un’analisi più approfondita,
composti da un cointegrato tra un plasmide coniugativo e uno non
coniugativo. La coniugazione è stata osservata anche in molti batteri
Gram positivi. Le differenze rilevanti rispetto ai batteri Gram
negativiriguardano le modalità con le quali avviene il contatto cellula-
cellula. È interessante notare che, oltre a plasmidi coniugativi di tipo F
trovati nel genere Streptomyces, sono stati individuati trasposoni capaci
di coniugare (trasposoni coniugativi detti anche integrative conjugative
elements o ICE) in Bacillus, Staphylococcus e Streptococcus. Il confronto
delle sequenze nucleotidiche delle regioni tra in molti plasmidi coniugativi
dei batteri Gram positivi ha svelato omologie con le proteine coinvolte nel
trasferimento del DNA plasmidico dei batteri Gram negativi, suggerendo
quindi un’origine filetica comune.

CONIUGAZIONE INTERSPECIE
L’ingresso del DNA per coniugazione è una procedura estremamente
potente di TGO. In alcuni casi si è dimostrato che la coniugazione può
avvenire non solo tra specie batteriche diverse (come, ad esempio, tra E.
coli e Salmonella, Helicobacter pylori e Campylobacter) ma anche tra
organismi appartenenti a domini diversi (Bacteria ed Eukarya), come ad
esempio tra E. coli e Saccharomyces kluyveri, E. coli e cellule ovariche di
porcellino d’India (Chinese hamster ovary CHO K1 cells) o il trasferimento
di geni di Agrobacterium tumefaciens nelle cellule della pianta ospite. Qui
ricordiamo soltanto che il trasferimento di DNA dal batterio A.
tumefaciens in piante superiori è stato il primo esempio di coniugazione
naturale tra batteri e piante e che i determinanti genetici della
proliferazione tumorale della pianta sono localizzati in un plasmide di
circa 200 kb detto Ti (per tumor inducing) presente nei ceppi virulenti di
A. tumefaciens. Una porzione del plasmide Ti, detta T-DNA, delimitata da
23 pb ripetute, è trasferita alla pianta con un meccanismo simile a quello
della coniugazione batterica.
2.TRASFORMAZIONE BATTERICA
La trasformazione
batterica è il processo
con cui il DNA presente
nell’ambiente esterno a
un batterio è catturato
da una cellula, trasferito
al suo interno e
acquisito stabilmente
nel patrimonio genetico
della cellula stessa. Il
DNA trasformante, una
volta acquisito in modo
stabile (o per
ricombinazione con una
regione omologa del
cromosoma o come
replicone autonomo),
diventa parte integrante
dell’informazione
genetica del batterio
ricevente che può così
acquisire nuove caratteristiche fenotipiche (fig. 10.11). La trasformazione
richiede un apparato specifico per traslocare il DNA (apparato di
competenza) costituito da proteine sintetizzate in condizioni fisiologiche,
dette competenza, che variano da specie a specie.
La competenza è un processo differenziativo che le cellule batteriche di
molte specie sviluppano in risposta a diverse condizioni di stress
ambientali.
In alcune specie come Bacillus subtilis, la competenza è una delle prime
fasi di una complessa risposta differenziativa delle cellule che in
determinate condizioni può condurre alla sporulazione.
COMPETENZE E APPARATI DI TRASFORMAZIONE

I batteri di molte specie naturalmente trasformabili non sono sempre


suscettibili di trasformazione, ma devono trovarsi nello stato di
competenza, che in molte specie si sviluppa spesso verso l’inizio della fase
stazionaria o più in generale in situazioni di carenza nutrizionale.
L’isolamento di mutanti non trasformabili ha permesso di identificare
numerosi geni (geni com) implicati nello sviluppo della competenza. La
frazione di batteri competenti alla trasformazione presenti in una
popolazione può variare nelle diverse specie e la regolazione del processo
è diverso nei batteri Gram positivi che ricorrono a prodotti diffusibili
secreti dalle cellule nell’ambiente esterno (fattori di competenza, fig.
10.12a-b) rispetto ai batteri Gram negativi, nei quali la competenza è un
processo esclusivamente intracellulare. In H. influenzae la competenza è
stata associata allo sviluppo di vescicole di membrana chiamate
trasformasomi, strutture con diametro di circa 20 nm che si estendono
per circa 35 nm sulla superficie cellulare che permettono la traslocazione
del DNA dall’ambiente esterno verso l’interno della cellula. La figura
10.13 confronta gli apparati di membrana per l’assunzione del DNA nei
batteri Gram positivi e Gram negativi.
3.TRASFEZIONE
Nel 1951 Norton Zinder e Joshua Lederberg, nel corso di studi simili a
quelli condotti pochi anni prima da
Lederberg e Tatum in E. coli, riuscirono
a osservare ricombinazione genetica tra
alcuni ceppi di Salmonella enterica
serovar Typhimurium. Anche in
Salmonella si osservava il passaggio
unidirezionale di marcatori da un ceppo
donatore a un ceppo ricevente;
tuttavia, contrariamente a quanto
avveniva nella coniugazione in E. coli, il
contatto fra le cellule dei due ceppi non
era necessario per la ricombinazione.
Infatti, si ottenevano ricombinanti
anche quando le due colture erano
separate da un setto poroso (fig. S10.1-
2) che non permetteva il passaggio di
batteri. Sembrava quindi che un
ipotetico “agente filtrabile” presente
nella coltura batterica donatrice fosse
responsabile del trasferimento di
marcatori genetici nel ceppo ricevente.
L’agente fu poi identificato come il fago
temperato P22 e il fenomeno fu
chiamato trasduzione. L’infezione di
vari ceppi di Salmonella enterica
Typhimurium, auxotrofi per vari fattori nutrizionali con il fago P22
cresciuto su un ceppo di Salmonella selvatico, produceva rari ricombinanti
selvatici capaci di crescere su terreno selettivo. La frequenza di questi
“trasduttanti” (ossia i cloni che avevano acquisito marcatori genetici
tramite trasduzione), espressa per particella fagica infettante, era
compresa tra 1 × 10–5 e 1 × 10–6 (circa 100 volte maggiore rispetto alla
frequenza di reversione delle mutazioni portate dal ceppo batterico).
Quando il batterio ricevente era portatore di varie mutazioni (a b c d e) si
osservava che la trasduzione di singoli marcatori avveniva con frequenza
pressoché identica. Inoltre, trasduttanti per un determinato marcatore
non acquisivano, salvo rari casi, altri marcatori. La scoperta della
trasduzione avvenne nello stesso anno in cui Alfred Day Hershey e Martha
Cowles Chase dimostravano che l’acido nucleico del fago è il depositario
dell’informazione genetica necessaria per la sua riproduzione,
permettendo di interpretare in modo corretto la natura della trasduzione.
Durante il ciclo di sviluppo del fago, frammenti di materiale genetico
dell’ospite sono occasionalmente incorporati all’interno delle particelle
fagiche che trasportano e trasferiscono ad altri batteri questo materiale.
Sono noti due tipi di trasduzione: quella detta generalizzata (fig. 10.14;
osservata, oltre che in Salmonella, in molti batteri Gram negativi, come E.
coli, Myxobacteria, Rhizobium, Caulobacter e Pseudomonas) e quella
specializzata (fig. 10.15).
Nel primo caso qualsiasi
regione del cromosoma
può essere trasdotta,
mentre nella
specializzata la
trasduzione è ristretta a
una specifica regione del
cromosoma. I due tipi di
trasduzione differiscono
per la natura dei fagi che
ne mediano il processo
e per le modalità con cui
si formano le particelle
trasducenti.
Tipicamente fagi come
P22 (in Salmonella), P1
(in E. coli) o PBS1 (in B. subtilis) compiono trasduzione generalizzata
mentre λ e i batteriofagi lambdoidi, Mu (in E. coli) e SPβ (in B. subtilis)
sono gli esempi più noti di fagi che compiono trasduzione specializzata.
TRASDUZIONE GENERALIZZATA

La natura fisica del DNA trasducente e stata chiarita da Judith Ebel-Tsipis,


con l’esperimento illustrato in figura 10.16 in cui si dimostra che le
particelle trasducenti sono costituite da un involucro proteico fagico che
contiene DNA del batterio donatore. Queste particelle virali anomale si
formano perché la specificità con cui il sistema di incapsidamento del
genoma virale riconosce il DNA da assumere non è assoluta e può quindi
succedere che vengano accidentalmente impacchettati nella testa del
virus frammenti casuali di DNA batterico. La dimensione del frammento di
DNA batterico incapsidato è pari a quella del genoma del fago che viene
sostituito (nel caso di P1 in E. coli, circa il 2% del cromosoma batterico).
Altri fagi, frequentemente utilizzati nella genetica dei microrganismi, sono
i batteriofagi P1 di E. coli e PBS1 di B. subtilis. P1, oltre a infettare E. coli,
ha un vasto spettro d’ospite con un comportamento simile a quello di
P22; poiché il suo capside è circa il doppio di quest’ultimo, P1 può
trasdurre frammenti di DNA batterico più grandi. PBS1 ha un ciclo simile a
quello di λ. È uno dei più grandi batteriofagi, con una testa di 120 nm di
diametro e un DNA di quasi 300 kpb e può quindi trasdurre regioni
genomiche molto grandi. Curiosamente, nel DNA di questo fago la timina
è sostituita dall’uracile; ciò ha consentito di distinguere facilmente il
genoma virale da quello ospite negli studi sul meccanismo di trasduzione.
Il DNA trasportato da un fago trasducente, una volta iniettato nella
cellula, può essere stabilmente integrato nel cromosoma mediante
ricombinazione omologa. Poiché il frammento di DNA è lineare,
l’integrazione richiede due crossing over. In alternativa, se possiede
un’origine di replicazione, il DNA può restare stabilmente nel citoplasma
in forma plasmidica. La determinazione della frequenza con la quale due
o più marcatori sono trasdotti simultaneamente è un dato che fornisce
indicazioni sul legame fisico esistente fra loro. I fagi impacchettano
lunghezze di DNA discrete nel loro capside e affinché due marcatori siano
cotrasdotti è necessario che siano relativamente vicini sul cromosoma
batterico. Poiché la dimensione massima del frammento di DNA batterico
impacchettato è pari alla dimensione del genoma del fago, questa
rappresenta la distanza massima che possono avere due marcatori per
essere portati sullo stesso frammento di DNA. Nel caso di P1 questa è
circa il 2% del cromosoma di E. coli. Una particella di P1 può quindi
trasdurre potenzialmente pezzi di DNA batterico pari al 2% del genoma.
La trasduzione è stata molto utilizzata per costruire mappe genetiche
dettagliate (ossia per definire l’ordine di geni tra loro vicini) mentre la
coniugazione consente una mappatura a minore risoluzione; oggi la
trasduzione generalizzata è ancora utilizzata nella costruzione di ceppi
batterici per trasferire singoli alleli da un ceppo a un altro.

TGO IN NATURA
➔ Coniugazione:

In condizioni naturali è probabile che la coniugazione sia un mezzo di


trasferimento orizzontale molto comune, se si considera la grande
diffusione di plasmidi coniugativi in ceppi batterici naturali. Questo
processo, tuttavia, come abbiamo visto, richiede che il donatore e il
ricevente vengano a contatto, limitando quindi il fenomeno a situazioni
particolari, dove numeri elevati di batteri si trovano concentrati in piccoli
spazi. Questo si verifica, ad esempio, nei biofilm, dove i batteri sono
immobilizzati in una matrice che consente prolungati contatti tra cellula e
cellula, la rizosfera delle piante, la cui ricchezza di nutrienti (essudati dalle
radici) richiama numerosi batteri nello spazio di pochi millimetri intorno
alle radici stesse, oppure l’intestino degli animali, dove convivono batteri
nell’ordine di centinaia di miliardi per grammo di materia fecale. Tutte
queste situazioni, inoltre, garantiscono un attivo metabolismo cellulare,
necessario affinché possa aver luogo la coniugazione, che richiede risorse
energetiche per la costruzione dell’apparato coniugativo e per la
replicazione del DNA. Il processo di coniugazione non sembra essere
troppo selettivo per quanto riguarda la possibilità che un batterio
donatore formi una coppia con un ricevente di una specie diversa. In
molti batteri Gram negativi è possibile che la struttura coniugativa del
donatore, il pilus, non riconosca le strutture lipopolisaccaridiche di
superficie del potenziale batterio ricevente, impedendo la coniugazione.
In altri casi, invece, come abbiamo visto, il donatore può coniugare con
riceventi appartenenti a generi diversi. Nei batteri Gram positivi possono
intervenire altri fenomeni che limitano la coniugazione a specie diverse,
come nel caso degli enterococchi (Enterococcus faecalis), nei quali questo
processo coinvolge feromoni che, regolando il riconoscimento del
ricevente, limitano la coniugazione solo ad alcuni ceppi particolari della
specie. La possibilità di un plasmide coniugativo di trasferirsi a un
potenziale ricevente può essere limitata, inoltre, da fenomeni detti di
esclusione di superficie, che impediscono il riconoscimento tra donatore e
ricevente. Un esempio può essere quello dei biofilm, dove l’adesione tra
le cellule è un fattore essenziale al mantenimento della struttura del
biofilm; in questo caso l’esclusione di superficie, se funzionasse, potrebbe
indebolire il contatto tra le cellule e di conseguenza distruggere lo stesso
biofilm. In effetti, secondo alcuni ricercatori, il meccanismo
dell’esclusione di superficie non si sarebbe evoluto per impedire il
trasferimento plasmidico da certi donatori, ma potrebbe essere una
funzione necessaria a separare le coppie una volta che il plasmide
donatore sia passato nel ricevente, a liberare il ricevente stesso e ad
aumentare le sue possibilità di diffondere ulteriormente il plasmide.
➔ Trasformazione

Nella trasformazione le cellule competenti acquisiscono DNA estraneo. La


competenza e la trasformabilità variano molto da ceppo a ceppo anche
all’interno della stessa specie ed è quindi difficile definire il contributo
della trasformazione nel trasferimento genico orizzontale in natura.
Inoltre, molte specie batteriche, ritenute incapaci di sviluppare la
competenza in modo naturale, possono essere trasformate in laboratorio
con trattamenti particolari che generano uno stato di competenza
artificiale. È quindi possibile immaginare che in certe condizioni naturali i
batteri possano incontrare delle situazioni simili a quelle che inducono la
competenza artificiale, come ad esempio il congelamento e lo
scongelamento, il passaggio di corrente ad alto voltaggio dovuto ai
fulmini, o la presenza di particolari sali; in tutti questi casi nelle comunità
batteriche naturali potrebbe quindi avvenire il trasferimento spontaneo
di DNA per trasformazione anche in specie che non sono incluse tra
quelle naturalmente competenti. Le cellule competenti sono però solo
uno dei due elementi necessari alla trasformazione, l’altro è il DNA libero
nell’ambiente. Da dove viene il DNA trasformante in condizioni naturali?
Tutte le cellule batteriche liberano DNA nel mezzo di coltura durante la
loro crescita, sia per lisi cellulare (le cellule che muoiono lisano e
rilasciano il loro contenuto all’esterno) sia per secrezione di tratti di DNA
cromosomico senza morte cellulare. In effetti alcuni ceppi di
Pseudomonas aeruginosa possono secernere DNA all’esterno fino a una
concentrazione di quasi 1 mg/mL, rendendo addirittura viscoso il mezzo
di coltura; ma la secrezione di DNA è un fenomeno assai diffuso tra i
batteri e in ambiente naturale potrebbe essere legato alla formazione di
strutture extracellulari e ai biofilm. Questo tipo di rilascio del DNA è
quindi un fenomeno controllato e potrebbe essere messo in relazione a
particolari stati funzionali della cellula, gli stessi probabilmente che
inducono la competenza. Accanto a questo bisogna poi considerare il
rilascio passivo di DNA da parte di cellule lisate, nelle quali la morte
cellulare è accompagnata dalla disgregazione della mureina della parete.
Poiché la degradazione della mureina è opera di enzimi specifici, anche il
rilascio di DNA da parte di cellule morte può considerarsi come un
fenomeno in qualche modo controllato, che potrebbe essere indotto in
determinate condizioni di crescita. Il DNA che viene rilasciato dalle cellule
batteriche nell’ambiente naturale, per poter essere utilizzato nella
trasformazione dalle cellule competenti eventualmente presenti, deve
anche essere protetto dalla degradazione. Infatti, in tutti gli ambienti
naturali abbondano microrganismi che degradano il DNA e lo usano come
nutriente. Inoltre, generalmente, i batteri che degradano il DNA
secernono gli enzimi necessari (le nucleasi) all’esterno e quindi gli
ambienti naturali come acqua, sedimenti e suolo sono particolarmente
ricchi di nucleasi che continuamente degradano il DNA liberato dalle
cellule. Nonostante questo, il DNA si trova nell’ambiente perché, oltre al
fatto di essere continuamente prodotto, viene in parte anche protetto
dalla degradazione.
Trasferimento genico orizzontale in natura 335 in parte anche protetto
dalla degradazione. Ciò è dovuto al fatto che il DNA è in grado di legarsi a
diversi tipi di substrati particolati presenti nell’ambiente naturale, quali
argille, quarzo, altri minerali e acidi umici. Questo legame immobilizza il
DNA e lo protegge dall’attacco delle DNasi; tuttavia, è stato anche
dimostrato che il DNA così legato è ancora in grado di trasformare cellule
batteriche competenti. Questi fenomeni spiegano perché in tutti gli
ambienti naturali nei quali è stato cercato, il DNA libero è sempre stato
trovato nell’acqua, nel suolo e nei sedimenti.
➔ Trasduzione:

I batteriofagi, come è stato visto in esperimenti di laboratorio, possono


trasferire nel corso di un’infezione il DNA del batterio nel quale si sono
moltiplicati. L’alto numero dei batteriofagi negli ambienti naturali (si
calcola che nelle acque degli oceani ci siano in media 107 fagi per millilitro
e in totale nell’intero pianeta almeno 1030 fagi con coda, che in totale si
replicano circa 1025 volte al secondo) ci suggerisce quale sia la loro
immensa potenzialità nel trasferimento genico orizzontale in ambiente
naturale. Il TGO mediato da fagi può avvenire, come in laboratorio, per
trasduzione generalizzata e per trasduzione specializzata. Nella
trasduzione generalizzata, gli effetti non sono molto diversi da quelli che
si possono osservare nella trasformazione, in quanto frammenti casuali
del DNA donatore sono trasferiti al ricevente; ma, a differenza della
trasformazione, il DNA è protetto dal capside fagico e può permanere
nell’ambiente per un tempo indefinito finché non incontra una cellula
ricevente. È noto, tuttavia, che i fagi tendono ad essere piuttosto specie o
ceppo specifici e quindi non si sa quanto la trasduzione generalizzata
possa contribuire al trasferimento genico interspecifico. Il fatto che i fagi
virulenti determinino la lisi del batterio infettato e quindi il rilascio del
DNA nell’ambiente, crea un legame tra trasduzione e trasformazione ed
evidenzia il contributo dei batteriofagi al TGO in ambiente naturale. La
trasduzione specializzata è probabilmente un evento molto diffuso in
natura, come suggeriscono gli studi dei genomi batterici di cui è stata
determinata la sequenza completa e che hanno mostrato di contenere
uno o più profagi integrati (► par. 8.2.3); ad esempio il ceppo patogeno
E. coli O157 possiede 18 profagi, circa il 15% del genoma. Spesso il
profago inserito nel genoma di un batterio può contenere geni particolari,
che sono espressi durante la lisogenia e sono responsabili della
conversione da lisogenia (lysogenic conversion genes, LCG) e che vengono
trasferiti con il DNA fagico quando viene indotta la lisi. In alcuni casi i geni
LCG hanno un contenuto in G+C diverso da quello del fago e dell’ospite, e
quindi presumibilmente si sono originati da un batterio appartenente a
un’altra specie filogeneticamente distante. Questo fatto dimostra quindi
la possibilità di eventi di trasduzione tra batteri anche non correlati
tassonomicamente. Va comunque sottolineato che l’infezione virale è di
per sé un “trasferimento genico”, indipendentemente dal fatto che si
verifichi trasduzione in senso classico. Questo vale nel caso molto comune
che si instauri lisogenia, con conseguente acquisizione da parte del
batterio dell’intero genoma fagico, ma anche nel caso meno frequente in
cui frammenti più o meno casuali di genoma fagico siano acquisiti dal
batterio. Un meccanismo con cui quest’ultimo evento può verificarsi sarà
discusso nella. Tutti questi fenomeni contribuiscono al ruolo prominente
dei fagi nel trasferimento genico orizzontale tra batteri.

BARRIERE CONTRO IL TGO


Come per la mutazione, così anche per il TGO esiste in natura un delicato
equilibrio tra conservazione dell’informazione genetica cellulare esistente
e acquisizione di DNA “estraneo”. Basti pensare che la formazione di
particelle fagiche trasducenti (sia generalizzate sia specializzate) è un
evento (apparentemente accidentale) relativamente infrequente; i geni
che promuovono la coniugazione o la trasformazione (come pure la
trasposizione) sono normalmente repressi; solo alcune (anche se molte)
specie batteriche sono capaci di trasformazione; trasduzione e
coniugazione non sono caratteristiche genetiche di una specie batterica
ma sono dovute a elementi genetici accessori. Oltre a ciò, si sono evoluti
diversi meccanismi che direttamente contrastano il TGO. Ne
menzioneremo due (presentati più avanti dopo che avremo trattato altri
argomenti utili per la loro comprensione) che agiscono dopo che il DNA è
entrato nella cellula ricevente e portano alla sua degradazione,
impedendone pertanto l’acquisizione permanente. Il primo è il sistema di
restrizione e modificazione, che agisce nei confronti di qualsiasi molecola
di DNA riconosciuta come “estranea”, illustrato nella ► Scheda 14.2. Il
secondo, il sistema CRISPR-Cas, agisce in modo specifico per ciascun
elemento genetico su cui opera. Ambedue questi fenomeni sono stati
identificati come sistemi di difesa dall’infezione di virus, ma il loro
significato biologico è più ampio. Ambedue hanno fornito ai ricercatori
potenti strumenti per la manipolazione genetica di microrganismi, animali
e piante.

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