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VIRUS

Sono
elementi
genetici
infettivi e
sono
definibili
come
parassiti
intracellulari
obbligati.
Possono esistere in due forme:
1. forma intracellulare → Nel quale il materiale genetico DNA o RNA si
replica sfruttando le funzioni metaboliche della cellula ospite
2. Forma extracellulare → Detta virione nella quale il materiale
genetico replicato è contenuto all'interno di un involucro proteico (il
capside) e costituisce una particella nucleoproteica in grado di
infettare una nuova cellula.
Una caratteristica essenziale che riguarda le modalità di riproduzione
distingue i virus dagli organismi cellulari. Infatti, a differenza di questi
ultimi, le particelle virali per riprodursi non si accrescono né vanno
incontro a divisione binaria, ma si formano per assemblaggio di
componenti preformati che sono sintetizzati de novo dalla cellula ospite
in base all’informazione genetica del virus. Le particelle così prodotte, i
virioni, rappresentano la forma extracellulare che permette, nel ciclo
infettivo, la diffusione e la trasmissione del genoma virale tra gli ospiti.
I virus sono stati identificati come nuove entità biologiche solo poco più di
un secolo fa, nel 1892, dal botanico russo Dimitry Ivanovsky. egli
constatò che la malattia del mosaico delle piante sembrava non
dipendere da microrganismi va bene infettivi che non a rimanere
intrappolati nei filtri e che sembravano impossibilitati a crescere su un
mezzo di cultura in assenza di cellule ospiti. Soltanto nel 1930 fu possibile
visualizzare tali agenti infettivi al microscopio elettronico.

STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE DEI VIRIONI


Il virione è la forma extracellulare della particella virale completa, dotata
di capacità infettiva.
Questa particella è costituita dal genoma circondato da un involucro
proteico protettivo, il capside.
L’osservazione al microscopio elettronico evidenzia l’ampia diversità di
forme e strutture dei virioni: dai più semplici, che comprendono una
singola molecola di acido nucleico e un solo tipo di proteina strutturale,
fino ai più complessi formati da molte proteine diverse e da altri
componenti. Le loro dimensioni variano, di norma, tra i 20 e i 400 nm. In
alcuni di essi il nucleocapside, ovvero l’insieme del genoma e delle
proteine del capside, è contenuto all’interno di un ulteriore involucro,
detto pericapside o envelope. I virus con envelope sono detti virus
rivestiti, mentre i virus che non lo presentano sono anche chiamati virus
nudi
GENOMA
Queste strutture nucleoproteiche manifestano una grande diversità
rispetto ai genomi procariotici ed eucariotici. Il materiale genetico dei
virus può essere:
1. Sia il DNA che l’RNA (o anche piccoli frammenti di DNA e RNA come
nel caso dei grapped) lineare o circolare costituito da un’unica
molecola o segmento.
2. A doppia elica (dsDNA e DSRNA), parzialmente a doppia elica o a
singola elica (ssRNA o SSDNA) nel caso della singola elica può
essere con polarità positiva (+) quando il filamento è codificante o
con polarità negativa (-) quando il filamento non è codificante.
Il numero di geni codificati da un genoma virale varia da meno di una
decina fino a diverse centinaia.
La presenza di RNA come materiale genetico è una sorta di conferma alla
teoria che all’inizio dell’evoluzione funzioni di regolazione e
contenimento di informazioni genetiche fossero entrambe assegnate a
particelle ribonucleiche piuttosto che al DNA, che invece sarebbe
sviluppato più tardi per separare le due funzioni e garantire una resa
migliore. Non vi sono ancora certezze su come la categoria di materiale
genetico influenzi anche l’ospite specifico dei virus stessi.
Sicuramente mentre i virus a DNA possono sfruttare i meccanismi di
replicazione delle cellule ospite, quelli a RNA non possono disporre di
alcuna RNA polimerasi, RNA dipendente (in qunato le cellule non
possiedono tali enzimi) perciò questi virus hanno sviluppato dei
meccanismi di autoreplicazione che permettono di produrre mRNA in
grado di essere processati dai ribosomi della cellula ospite.
In genere, i virus a DNA presentano una maggiore variabilità nelle
dimensioni con limiti che variano da poche kb (come nel caso del genoma
circolare a singola elica di DNA di 1,7-2,3 kb dei Circoviridae) fino a
diverse centinaia di kb (come nel caso dei Mimivirus che infettano alcuni
protozoi e che hanno un genoma di 1200 kb). Al contrario, i genomi dei
virus a RNA sono piuttosto piccoli, con dimensioni massime intorno a 30
kb, come ad esempio il genoma di alcuni Coronavirus.

CAPSIDE
È una struttura proteica che riveste il materiale genetico virale
proteggendolo da agenti chimici, fisici ed enzimatici, permettendo la
persistenza del virione nell'ambiente partecipando attivamente alla fase
iniziale del processo infettivo.
Il capside è costituito dalla subunità proteiche prevalentemente basiche
per poter meglio interagire con i gruppi carichi negativamente del
materiale genetico, distribuite in strutture ripetute che formano nel
complesso capsomeri e che consentono un corretto incapsidamento del
genoma.
La struttura del capside può essere icosaedrica, elicoidale ed ogni
particella virale ne ha sviluppata una propria.
➔ I virus a struttura icosaedrica (HPV, Polioma, Adenovirus) presentano
i capsomeri distribuiti in modo da formare 20 facce triangolari, 12
vertici e 30 spigoli. Sìanche se in varie specie questi numeri possono
cambiare. I capsomeri che occupano i vertici (12) prendono il nome
di pentoni attraversati negli adenovirus da filamenti proteici. Tutte
gli altri prendono il nome di esoni.
➔ La simmetria elicoidale (virus del mosaico del tabacco,
Orthomyxovirus, Paramyxovirus, Rhabdovirus) le unità strutturali
sono disposte una dopo l’altra in modo da formare un’elica costituita
da un numero costante di unità per ogni spirale. La sovrapposizione
dei successivi giri dell’elica (il passo dell’elica) determina la
formazione di un cilindro entro cui è adeso il genoma virale.
Variando la lunghezza dell’elica è possibile accogliere genomi di
diversa lunghezza. Questi nucleocapsidi si presentano al microscopio
elettronico con una forma bastoncellare o filamentosa.

➔ Altri virus più complessi possono presentare una struttura a metà fra
quella elicoidale e quella icosaedrica (poxivirus)

Inoltre, sebbene i virioni siano particelle metabolicamente inerti, al loro


interno possono essere presenti proteine con funzione enzimatica, che
compiono la propria attività durante le fasi iniziali del processo di
replicazione (come trascrittasi inversa).

INVOLUCRO PERICAPSIDICO (envelope)


I virus che possiedono questo rivestimento si dicono “virus rivestiti”
distinti dai virus nudi. Questo doppio strato lipidico contiene proteine
enzimatiche specializzate. Mentre tali proteine sono codificate dal
genoma virale, la porzione lipidica deriva da gemmazione effettuate dalla
particella virale durante la sua produzione all’interno della cellula ospite.
Molti virus all’interno della cellula possono essere assemblati a livello
della membrana oppure nel caso degli eucarioti possono gemmare con le
vescicole del golgi o col nucleo.
All’interno del pericapside si possono distinguere:
a. Proteine della matrice → che legano il nucleocapside allo strato
lipidico. Sono localizzate all’interno del virione. queste proteine non
sono glicosilate, alcune contengono segmenti per l’ancoraggio al
doppio strato lipidico, altre sono associate alla membrana grazie a
regioni idrofobe, altre ancora interagiscono con le glicoproteine del
pericapside.
b. Glicoproteine →sono proteine transmembrana che in genere
presentano un dominio esterno molto sviluppato e una piccola
porzione intraparticellare. Presentano inoltre una regione idrofoba
che permette l’ancoraggio al doppio strato lipidico. Spesso, più
monomeri di queste proteine si associano a formare strutture
caratteristiche, le spicole, visibili al microscopio elettronico.
Queste proteine sono pesantemente glicosilate (gli zuccheri
possono costituire fino al 75% della proteina) e spesso
rappresentano i principali antigeni dei virus rivestiti. Le glicoproteine
dell’envelope hanno il ruolo di sovrintendere ai contatti del virus
con l’ambiente esterno;
c. Proteine canale → queste proteine contengono diversi domini
idrofobi transmembrana e formano un canale proteico che
attraversa il pericapside. Possono formare canali ionici e in generale
agiscono modificando il microambiente del virione consentendo
modificazioni biochimiche necessarie per la maturazione del virus e
per la sua infettività: un esempio è la proteina M2 del virus
dell’influenza.
L’involucro pericapsidico è la parte del virione che interagisce per prima
con la cellula ospite e quindi le proprietà di queste membrane sono
fondamentali per la specificità dell’infezione dei virus rivestiti.

CLASSIFICAZIONE DEI VIRUS


• Sistema classico (ICTV):
Si tratta di un sistema di classificazione che segue il classico sistema
gerarchico di Linneo. Prevede il raggruppamento dei virus in base a
proprietà morfologiche e funzionali simili.
Nel 1973 è stato istituito il comitato internazionale per la tassonomia dei
virus (ICTV) con l’obiettivo di classificare in specie, generi, famiglie e
ordini le varie tipologie di virus. Nella stessa specie solitamente rientrano
virus che manifestano una linea replicativa nella stessa nicchia ecologica e
che hanno proprietà comuni.
• Sistema secondo Baltimore
La produzione di proteine virali in questi parassiti è completamente
dipendente dei macchinari di traduzione messi a disposizione
dall’organismo ospite. Pertanto, il ricercatore Baltimore propose una
classificazione basata sulla tipologia di acido nucleico che caratterizza il
virus ma soprattutto sulla strategia da esso adottata durante un processo
infettivo per produrre mRNA che poi verrà tradotto a livello dei ribosomi
degli ospiti.
Si possono quindi distinguere 7 classi:
1. DsDNA → devono subire il processo di trascrizione del filamento (-)
2. ssDNA → avviene la sintesi del filamento complementare l’intermedio
a dsDNA subisce la trascrizione del filamento (-) altrimenti se l’ssDNA è
già un filamento – la trascrizione avviene direttamente
3. DsDNA → subisce la trascrizione del filamento (-)
4. SsRNA (+) → viene sfruttato direttamente come Mrna
5. SsRNA (-) → subisce la trascrizione per formare il filamento + da usare
come mRNA
6. ssRNA del retrovirus → qualunque sia l’orientamento, formano grazie
alla trascrittasi inversa un intermedio a dsDNA che poi verrà trascritto a
livello del filamento - .

BATTERIOFAGI, VIRUS DEI PROCARIOTI


Sono riscontrati più di 140 generi dei virus dei procarioti e di Archaea
(batteriofagi) che oltre a svolgere un ruolo ecologico importante
partecipano attivamente al trasferimento genico orizzontale mediante
processi di trasduzione.
Anche i virioni dei batteriofagi presentano un capside che può assumere
varie forme. La maggior parte presenta una testa icosaedrica e una coda
di varie dimensioni (tra 10 e 80 nm), tranne per i batteriofagi filamentosi
che invece presentano una struttura elicoidale. Contrariamente ai virus
degli eucariotici che entrano nelle cellule per endocitosi, i batteriofagi
hanno la peculiarità di aderire alla superficie ed iniettare solo l’acido
nucleico all’interno della cellula ospite mediante un organello specificio
chiamato coda. La coda, assemblata separatamente con un ìprocesso
piuttosto complesso, è attaccata al capside (o testa) che contiene il
genoma impacchettato attraverso un provesso che richiede energia
prodotta dall’isrolisi dell’ATP. I fagi con coda (Caudovirales) costituiscono
tre famiglie che si distinguono per le caratteristiche della coda:
Myoviridae, con coda contrattile, Siphoviridae, con lunga coda non
contrattile, e Podoviridae, con coda corta non contrattile.
Per comprendere la diversificazione delle strutture si possono fare tre
esempi
1. BATTERIOFAGO T4 (160 Kbp) → Il virione di T4 (fig. 14.11a) è una
“nanomacchina” complessa costituita da oltre 40 diverse proteine
delle circa 160 codificate dal suo genoma, ed è formato da una serie
di componenti
modulari. Il capside
(testa) icosaedrico
allungato (circa 111 ×
78 nm) contiene l’acido
nucleico. Al capside è
attaccata una coda (113
× 16 nm) la cui struttura
è comune agli altri
Myoviridae. La coda è costituita da una doppia struttura tubulare.
Quella interna è un tubicino di circa 4 nm di apertura, costituito da
subunità identiche di una proteina di circa 20 kDa, arrangiate con
una certa periodicità. Questa è rivestita da una guaina tubulare
contrattile formata da copie di una proteina di 60 kDa. Nel caso di
T4 e di molti altri Myoviridae, la coda termina con una piastra basale
esagonale cui sono attaccate le lunghe fibre della coda. La coda è
una struttura importante che durante l’infezione cambia
conformazione, comportando la contrazione della sua guaina
esterna e la penetrazione del tubo interno nella cellula per il
trasferimento del DNA. Tra la testa e l’inizio della coda, una sorta di
collare raggruppa sei piccole fibre, mentre sei fibre lunghe sono
ancorate sulla piastra basale. Oltre 150 batteriofagi diversi che
infettano oltre 30 specie di batteri Gram negativi hanno una simile
morfologia

2. BATTERIOFAGO λ (49Kbp) → La testa del batteriofago λ (fig.


14.11b) è icosaedrica simmetrica di
tipo isometrico, di circa 60 nm di
diametro. È formata da due proteine
principali (proteine E e D), ciascuna
presente in circa 400 copie, e
contiene la molecola di DNA lineare a
doppia elica, impacchettata senza
contrarre legame con le proteine. La
coda, lunga 150 nm, è costituita da
un cilindro non contrattile ma
flessibile (corpo centrale) formato da
32 cerchi impilati (ciascuno
composto da un omoesamero), e da un’estremità conica composta
da proteine di tipo diverso cui si attaccano fibre proteiche di due
tipi: una fibra corta che si estende dal centro del cono della coda e 4
fibre lunghe attaccate a livello della giunzione tra coda e cono
terminale. Questa struttura è comune a molti fagi a dsDNA.

3. BATTERIOFAGO M13 (6,5 Kbp) → La struttura dei fagi filamentosi


(come M13; fig. 14.11c) è più semplice e coinvolge un minor
numero di proteine diverse. M13 è un fago filamentoso lungo 1 μm
e con un diametro di 56 nm. Il capside è formato da cinque diversi
tipi di proteine: le proteine p3, responsabile dell’adesione al pilo
della cellula ospite, e p6 a un’estremità (cinque copie ciascuna), p9 e
p7 all’altra estremità (cinque copie ciascuna) e la proteina p8 che,
con circa 2700 copie, costituisce il corpo filamentoso dell’involucro.
All’interno del filamento si trova il genoma di M13, una molecola di
DNA circolare a singola elica di circa 6500 nucleo

GENOMI DEI BATTERIOFAGI


I genomi dei batteriofagi variano in composizione chimica, struttura e
peso molecolare. L’acido nucleico virionico può essere RNA o DNA, a
singolo (ss) o a doppio filamento (ds), con struttura circolare o lineare,
costituito da un’unica molecola oppure segmentato. Il DNA può essere
inoltre superavvolto e comunque compattamente impaccato nel capside.
Le estremità dei genomi dei fagi con DNA a doppia elica possono essere
costituite da sequenze identiche ripetute, oppure possono essere a
singola elica e tra loro complementari (dette estremità coesive poiché
possono appaiarsi tra loro); la genesi e il significato funzionale di questi
particolari saranno discussi più avanti. Alcuni fagi, inoltre, hanno nel
genoma basi insolite come l’idrossimetilcitosina e il 5-idrossimetiluracile,
che sono incorporate come tali al momento della replicazione, o
contengono modificazioni post-replicative (metilazioni, glicosilazioni). Le
dimensioni dei genomi variano dai circa 6500 nucleotidi per il DNA del
batteriofago M13 alle 49 kpb di λ, alle 160 kpb di T4, fino a raggiungere le
circa 500 kpb del batteriofago G, il più grande tra quelli noti (mentre nei
virus di eucarioti il genoma di maggiori dimensioni è quello di
Acanthamoeba polyphaga mimivirus APMV, di 1185 kb). Ricordiamo che il
più piccolo genoma batterico, quello di Mycoplasma genitalium, è di 580
kpb. Il numero dei geni varia, di conseguenza, da una decina per i fagi più
piccoli (fagi filamentosi) ad alcune centinaia; batteriofagi temperati di
medie dimensioni come λ e Mu hanno, rispettivamente, 50 e 38 geni.
Questi sono distribuiti lungo il genoma in modo non casuale e sono
organizzati in moduli funzionali. Le regioni intergeniche sono in genere
molto ridotte e a volte i geni possono essere in parte sovrapposti, sia
mantenendo la stessa fase di lettura sia in fase di lettura sfalsata. Queste
strategie permettono, tra l’altro, di incrementare il “potere codificante”
di una molecola di acido nucleico, le cui dimensioni sono limitate dalla
struttura del capside. I genomi differiscono anche per le loro modalità
d’ingresso nella cellula ospite. Il genoma può essere introdotto nel
batterio in modo continuo e immediato o in fasi successive intervallate da
una breve pausa. La trascrizione può utilizzare la RNA polimerasi batterica
o virale o richiedere sia l’enzima dell’ospite sia quello virale. Molteplici
sono i sistemi di regolazione, varie sono le modalità di replicazione (forma
θ, σ e altre tipologie)

TITOLAZIONE DEI BATTERIOFAGI


Metodo delle placche
Sistema che sfrutta la manipolazione della relazione batteriofago – ospite
e che permette di determinare la concentrazione dei fagi nel sistema di
interesse.
➔ Il sistema richiede di un indicatore, quindi un batterio che sia
sensibile al fago. inoculando una quantità abbondante di batteri su
un mezzo di coltura agarizzato e incubando la piastra, si otterrà su di
essa una patina di colonie confluite l’una sull’altra (tappeto)
➔ Se però al momento dell’inoculo dei batteri viene introdotta anche
una certa quantità opportunamente diluita di particelle infettive, al
termine dell’incubazione si potrà constatare la presenza di aree priva
di batteri in quanto lisati. Queste aree vengono definite placche.
➔ Queste placche rappresentano la dispersione di più particelle virali
propagate in cellule batteriche adiacenti a partire dall’inoculo iniziale
fino ad ottenere placche di dimensioni visibili ad occhio nudo. Ogni
plassa è proporzionale al numero di fagi inoculati con l’indicatore
batterico e deriva dalla propagazione delle particelle infettive di un
singolo virus che ha infettato una singola cellula batterica poi lisata.
Pertanto conoscedno il volume inoculato p l’opportuna diluizione si
può risalire alla concentrazione di particelle virali espresse in Unità
Formanti Placca (PFC).
RIPRODUZIONE DEI BATTERIOFAGI

La riproduzione dei virioni può avvenire solo all’interno di una cellula


ospite infettata ove avvengono, indipendentemente, la replicazione del
genoma virale e la produzione del capside proteico (e di altri eventuali
componenti del virione, come ad esempio la coda). Questi si assemblano
poi tra di loro per formare i nuovi virioni maturi che saranno rilasciati
nell’ambiente, spesso in seguito a distruzione dell’involucro cellulare (lisi).
Questa complessa modalità di replicazione è detta ciclo litico.
Molti fagi sono capaci anche di instaurare con la cellula ospite una sorta
di “mutualismo molecolare” detto ciclo lisogeno in cui il genoma virale si
mantiene nella cellula ospite senza esprimere i geni per il ciclo litico.
In tal modo il genoma virale si propaga nella linea cellulare che lo ospita
senza produrre virioni né lisare le cellule. Solo occasionalmente in tali
cellule (dette cellule lisogene) potrà avvenire il ciclo litico. I batteriofagi
capaci di compiere esclusivamente ciclo litico sono detti virulenti, mentre
quelli capaci di compiere sia ciclo litico sia ciclo lisogeno sono detti
temperati
Per quanto riguarda il ciclo litico può essere schematizzato nelle seguenti
fasi:
a. Adsorbimento:
è la fase iniziale del ciclo riproduttivo virale. Avviene in 2 stadi:
1. Reversibile → che segue un evento di collisione casuale tra il fago
e il batterio
2. Irreversibile → dovuto a interazioni specifiche (adsorbimento) tra
componenti specializzati del virione e strutture di superficie della
cellula ospite (recettori).
Molti batteriofagi di batteri Gram negativi possono riconoscere
componenti diverse del lipopolisaccaride o proteine specifiche della
membrana esterna, mentre fagi che infettano batteri Gram positivi
possono riconoscere componenti del peptidoglicano o degli acidi
teicoici, proteine di superficie o componenti della stessa membrana
plasmatica; altri fagi (sia di Gram positivi sia di Gram negativi)
riconoscono componenti della capsula polisaccaridica.
Le strutture del virione specializzate nell’adsorbimento possono
essere le fibre o altre proteine della coda, estroflessioni (spike)
presenti su un vertice “specializzato” del capside, o anche lipidi del
capside. L’adsorbimento può richiedere ioni (frequentemente ioni
bivalenti come Ca2+ e Mg2+) o altri fattori ambientali; nel caso di
T4, ad esempio, è richiesto l’aminoacido l-triptofano.
b. Penetrazione:
Quasi tutti i batteriofagi noti infettano il batterio mediante iniezione
del proprio acido nucleico. Oggi è noto che molti batteriofagi,
insieme al DNA, iniettano enzimi come la RNA polimerasi specifica
del fago, oppure proteine che modificano la RNA polimerasi
batterica, proteine richieste per l’iniezione stessa del DNA, per il
packaging, per la protezione del DNA dalle nucleasi una volta
all’interno della cellula ecc. Il DNA adsorbito entra nella cellula in
modo ordinato; per alcuni fagi (T5 e T7), l’ingresso del genoma
fagico nella cellula non avviene in modo continuo ma graduale.
Dopo l’ingresso di una prima porzione del DNA vi è una pausa tale
da permettere l’espressione dei geni, definiti precoci, in essa
presenti, e solo successivamente viene iniettato anche il genoma
restante.
c. Trascrizione:
l’informazione genetica una volta iniettata nel citoplasma batterico
veiene espressa per attuare la moltiplicazione virale, nella quale
possiamo riconoscere quattro processi che si svolgono
sequenzialmente:
1. Replicazione del genoma virale
2. La produzione delle proteine morfogenetiche (necessarie per la
costruzione dell’involucro)
3. L’assemblaggio del virione (morfogenesi)
4. Lisi della cellula ospite con rilascio nell’ambiente delle nuove
particelle virali.
Ciò richiede che i geni virali siamo espressi in modo ordinato
secondo un programma sequenziale.
I diversi tipi di rapporti che i fagi contraggono con la cellula ospite
hanno diversificato i meccanismi di lettura dell’acido nucleico virale.
A seconda della classe di virus avvengono una serie di processi con
lo scopo di esprimere i geni virali sfruttando i ribosomi della cellula
ospite. I vari virus adottano strategie diverse per formare un mRNA
d. Replicazione:
I meccanismi noti di replicazione dei genomi fagici sono molto più
diversificati rispetto a quelli studiati nei cromosomi batterici e nei
plasmidi. Per quanto concerne i fagi a DNA, ci sono fagi totalmente
dipendenti dall’apparato replicativo dell’ospite; 30 genomi fagici, su
oltre 220 sequenziati, non sembrano possedere alcuna proteina
implicata nella replicazione; ne sono un esempio il batteriofago Mu
e altri fagi che replicano per trasposizione. Altri fagi, invece,
codificano per molti o tutti gli enzimi di replicazione come DNA
polimerasi, primasi, elicasi, proteine SSB, ligasi ecc.; altri si limitano
a esprimere solo alcuni fattori che reclutano l’apparato replicativo
del batterio. La replicazione dei fagi varia anche per la natura dei
suoi intermedi strutturali che possono essere DNA circolari, lineari o
lunghi concatameri (multimeri del genoma). Infine, strategie
replicative speciali sono attuate nel caso di genomi lineari, a RNA e a
singolo filamento (vedi oltre). L’inizio della replicazione rappresenta
una fase critica per regolare questo processo e determinarne la
modalità. Per molti fagi a DNA lineare a doppia elica, il genoma
viene convertito in forma circolare non appena penetra nell’ospite,
mediante ligazione delle estremità della molecola.
Il DNA circolare può così iniziare a replicare secondo il modello θ
(con separazione delle eliche al sito di inizio di replicazione e sintesi
di uno oppure due RNA innesco per la sintesi del filamento leading,
a seconda che la replicazione sia unidirezionale o bidirezionale),
oppure secondo la modalità σ (con incisione di un’elica e
utilizzazione dell’estremità 3′ così generata come innesco per la
DNA polimerasi; vedi anche la replicazione coniugativa del plasmide.
Alcuni fagi, come il batteriofago λ, iniziano la loro replicazione
secondo il modello θ passando poi al modello σ (fig. 14.16a). Infatti
questo secondo modo permette la formazione di lunghe molecole
multimeriche (dette concatameri), che per λ e molti altri fagi sono il
substrato per l’impacchettamento del DNA nei capsidi.
Per i fagi che replicano il loro DNA in forma lineare, si presenta il
problema della replicazione delle estremità (telomeri) discusso nel
► paragrafo 8.2.1 e nella Scheda Web 9.6 - La replicazione dei
cromosomi lineari, ove sono state anche illustrate come esempi le
soluzioni che si ritrovano nel batteriofago Φ29 di Bacillus subtilis e
nel fago temperato N15 di E. coli. Una diversa soluzione a questo
problema è offerta dai fagi con DNA lineare con estremità
“ridondanti”, ossia con una porzione di genoma ripetuta alle
estremità (terminal repeats), come ad esempio i fagi T4 o T7 di E.
coli o il fago temperato P22 di Salmonella enterica. In alcuni casi, il
DNA può circolarizzare grazie a un evento di ricombinazione
omologa tra le estremità ripetute; in altri casi (T4 e T7) le molecole
replicate ricombinano tra loro a livello delle estremità ripetute (fig.
14.16b), formando concatameri.
e. Morfogenesi e impacchettamento:

La morfogenesi virale è un processo molto complesso, che però è


stato studiato con successo in diversi sistemi sperimentali con
l’ausilio combinato di approcci genetici e biochimici.
I diversi componenti vengono costruiti modularmente lungo “catene
di montaggio” indipendenti (sintesi del DNA; costruzione di teste
immature vuote, a volte con l’aiuto di “impalcature” proteiche;
costruzione del corpo della coda e delle fibre della coda), poi questi
vengono assemblati in strutture più complesse (il DNA viene
impacchettato nelle teste, formando le teste “piene”; le fibre della
coda si associano alla coda e questa alle teste piene formando così
un fago maturo).
Il DNA concatemarico rappresenta il substrato dal quale inizia
l’incapsidamento che può essere di due tipologie. L’incapsidamento
a “genoma predefinito” (λ) prevede che un endonucleasi tagli il DNA
in un punto specifico (sequenza cos) e che esso venga integrato fino
ad una sequenza ter che corrisponde al taglio di un'altra porzione
(estremità fise).
L’incapsidamento a testa piena (T4) viene incapsidato tanto DNA
quanto il capside può contenere senza tagli in punti specifici;
pertanto, al termine il virione presenterà sequenze ripetute. Nei
virus filamentosi il capside si genera come involucro esterno del
DNA.

Nel caso dei batteriofagi filamentosi, il capside è invece costruito


attorno all’acido nucleico (una molecola di DNA circolare a singola
elica) che ne determina pertanto la lunghezza in un processo di tipo
secretorio attraverso la membrana batterica, che non causa lisi
cellulare (fig. 14.19).
f. RILASCIO E DISSEMINAZIONE:
l’estrusione avviene in maniera continua nel caso dei virus
filamentosi. Altri virus litici invece vengono estrusi di conseguenza
ad un processo di lisi ad un processo di lisi cellulari che ad esempio
nel FAGO λ viene indotto dalla produzione di un’endonucleasi (che
ha come bersaglio la parete mureinica) rilasciata nel citoplasma e di
un’olina che si inserisce nello spessore di membrana e causa in un
determinato momento lesioni che consentono all’endolisina di
disgregare la parete e comportare la lisi.
ESPERIMENTO CICLO UNICO DI CRESCITA
Nel 1939 E.L. Ellis e M. Delbrück, con il loro classico esperimento detto
“ciclo unico di crescita” (one step growth) con il fago virulento T2,
gettarono le basi teoriche e metodologiche per lo studio del complesso
fenomeno della replicazione virale. In questo esperimento si misura la
concentrazione di ufp nel corso di un’infezione sincrona di una
popolazione batterica.
Sono state fatte delle osservazioni in due situazioni con una molteplicità
di infezione (m.d.i) ossia il rapporto fagi/cellule diverso
➔ Nel primo esperimento da una coltura indicatrice viene infettata con
particelle virali in modo che m.d.i valga o,1. Essendo un valore
piccolo, esso sta a significare che sono presenti più cellule che virus.
La coltura viene incubata e sorvegliata ad intervalli di tempo regolari.
Si potrà constatare un’iniziale fase di latenza cui il titolo du ufp
rimane costante per poi arrivare ad un improvviso aumento di tale
concentrazione in risposta al burst (scoppio). Il numero dei virioni
prodotti in seguito a questa fase viene detto numero di scoppio.
➔ Nel secondo caso si inocularono particelle virali in modo che m.d.i
valga 5-10. In questo modo sono presenti più virus che cellule. In
questo secondo esperimento si possono monitorare anche la
concentrazione e la densità ottica delle cellule indicatrici in modo da
constatare che entrambe diminuiscono in corrispondenza delle fasi
di scoppio.
C

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