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Unità di misura di biologia

Il potere di risoluzione dell’occhio umano è la minima distanza che viene percepita tra
due punti perché questi siano ancora due punti e non convergano in un unico punto.
- Il potere di risoluzione dell’occhio umano è di 0,2 mm(millimetri).
Se la distanza che si interpone tra due strutture è inferiore a tale valenza(0,2 millimetri),
allora non è visibile all’occhio umano.
- Il potere di risoluzione del microscopio ottico è di 0,2 µ (micron)
Il micron è un millesimo di millimetro.
- Il potere di risoluzione del microscopio elettronico 0,2 nm (nanometri)
Serve per studiare l’ultrastruttura (tutto ciò che c’è dentro la cellula). La membrana
plasmatica è osservabile al microscopio elettronico
Il nanometro è la millessima parte del micron, quindi è una millionesima parte del
millimetro.
Le dimensione biologhiche dunque richiedono per il loro studio l’ausilio degli strumenti
didattici quali i microscopi, in base al loro potere di risoluzione.

Virus
I virus sono la prima forma di vita non cellulare.
• Non hanno una membrana plasmatica, mancano delle informazioni genetiche
necessarie all’assorbimento di tutte le funzioni che sono indispensabili per
l’autonomia vitale.
• Organizzazione non cellulare: non sono cellule, non sono costituiti da cellule; sono
parassiti intracellulare obbligati significa che un virus deve trasferire il proprio
acido nucleico all’interno di una cellula (che sia essa procariotica o eucariotica)
perché lui manca di tutti gli apparati di trascrizione, di sintesi, quindi è necessario
che trasferisca le sue informazioni in una cellula e sfrutterà gli apparati di sintesi
della cellula per duplicarsi, quindi è incapace di riprodursi autonomamente. I virus
infettano le cellule eucariotiche quanto quelle procariotiche, purchè siano cellule,
quindi che siano in grado di duplicare l’informazione genetica, trascriverla e
sintetizzare proteine
• Presenza di un unico tipo di acido nucleico: la struttura comune a tutti i virus è il
corredo genomico che prevede esclusivamente uno dei due acidi nucleici ( o dna o
rna), motivo per cui si sente parlare di virus a RNA e virus a DNA.
• Moltiplicazione: per dividersi sfruttano gli apparati di sintesi delle cellule e quindi
moltiplicano il loro numero, questo vuol dire che quando una cellula viene infettata
da un virus, da questa cellula usciranno centinaia e centinaia di particelle virali,
quindi è una moltiplicazione esponenziale perché tutte quelle centinaia di particelle
viraliche escono da un’unica cellula, andranno ad infettare altre cellule, quindi le
infezioni virali si espandono molto rapidamente proprio per questa moltiplicazione.
Morfologia virus:
➢ virus elicoidali: ricordano delle eliche
virus icosaedrici: forma sferica
➢ virus rivestiti e virus complessi: dipende dalla presenza o meno di un involucro di
natura proteica per proteggere questo acido nucleico e della presenza di un
eventuale parete all’esterno dell’involucro (si parlerà di capside).
Dimensione virus: 10-300 nanometri.
Presentano il capside, il quale è un rivestimento proteico che va a circoscrivere l’acido
nucleico, quindi ‘’simula’’ quella che noi possiamo pensare come membrana plasmatica in
una cellula. Delimita la particella virale e quindi contiene al suo interno l’unico acido
nucleico che presenta. I virus complessi possiedono un ulteriore involucrio lipoproteico
più esterno, chiamato envelope (o pericapside).
Virus con morfologia complessa: batteriofagi.
I batteriofagi sono in grado di attaccare le cellule batteriche, quindi prediligono infettare
cellule procariotiche. Hanno una morfologia complessa perché assumono una struttura,
definita a fago, dove noi possiamo individuare 3 porzioni della particella virale: testa,
colletto con lo stiletto e le fibre caudali.
Ciò vuol dire che la particella virale è in grado di prendere contatto con la cellula batterica,
con quelle che sono le sue fibre caudali, una volta che prende contatto con la membrana
plasmatica della cellula batterica, tira su le fibre caudali e quindi avvicina il suo stiletto alla
membrana. Al centro dello stiletto ci sono delle proiezioni proteiche che prendono il nome
di spine caudali; con queste spine caudali vanno a perforare la membrana plasmatica della
cellula batterica, la devono perforare perchè attraverso questo varco devono trasferire il
proprio acido nucleico che si troverà nella testa.
Dunque le fibre caudali prendono contatto, si retraggono, le spine caudali vanno a
perforare per cui l’acido nucleico può essere trasferito nella cellula, mentre il capside
rimarrà all’esterno della cellula.
Nel momento in cui l’acido nucleico viene trasferito nella cellula procariotica o eucariotica:
➢ se il virus è a DNA, allora il DNA verrà duplicato dal DNA polimerasi , comincia a
duplicare, fa tante copie. Questo DNA virale verrà intanto utilizzato per ricostruire
quello che è l’acido nucleico della nostra particella virale, ma servirà anche a
trascrivere l’informazione nell’RNA e a sintetizzare le proteine del capside perché
affinchè la particella virale sia integra e possa fuoriuscire dalla cellula che ha
infettato e andare ad infettare altre cellule. Si deve riorganizzare, nel caso del
batteriofago dovrà riformare la testa, lo stiletto e li fibre caudali. Se il nostro virus è
a DNA, tutto fila liscio: il virus inietta il proprio DNA all’interno della cellula dove c’è
la DNA polimerasi, la quale vede questo pezzo di DNA e lo duplica facendo tante
copie.
L’apparato di trascrizione lo riconosce e lo trascrive in tante copie di RNA
messaggero, i ribosomi lo traducono e cominciano a sintetizzare proteine. Una volta
che ci sono tutte le proteine, il capside si riassembla, le copie di dna sono state già
duplicate quindi vengono rincapsulate all’interno della tesa, la particella virale è
pronta infettare la cellula.
➢ Se il virus è a RNA, in una qualunque cellula sia essa procariotica o eucariotica, non
esiste un enzima che fa tante copie di RNA. I virus a RNA possiedono insieme al suo
RNA un enzima che si chiama trascrittasi inversa. Questo enzima viene trasferito
nella cellula che viene infettata insieme all’RNA virale, questa trascrittasi inversa si
lega all’RNA e lo utilizza come stampo per formare un filamento complementare,
quindi si viene a formare una molecola di CDNA, la quale è una molecola di DNA
perché formata da due filamenti complementari e antiparalleli, però questi due
filamenti sono il risultato di un processo di trascrizione inversa, cioè si parte
dall’RNA per formare un filamento complementare. Quindi il risultato è sì una
molecola a due filamenti che noi chiamiamo generalmente DNA, ma per differirlo
dal DNA genomico e per far capire che è un DNA virale che l’ho ottenuto a partire
da una molecola di RNA, lo chiameremo CDNA.
Momenti: contatto con le fibre, contrazione, perforazione, iniezione acido nucleico, Fasi
della moltiplicazione dei batteriofagi:
o assorbimento→il contatto tra particella virale e la cellula, una volta avvenuto il
contatto
o iniezione→ trasferimento del materiale genetico, quindi iniezione dell’acido
nucleico virale all’interno
o fase replicativa precoce→ in cui inizia la fase di duplicazione
o replicazione del genoma virale→ si avrà una moltiplicazione delle copie del genoma
virale, questo verrà utilizzato per trascrivere l’rna necessario per la sintesi delle
proteine
o sintesi delle proteine capsidiche→
o assemblaggio del capside e impacchettamento del genoma virale→ rilascio dei virus
maturi
Cellule procariotiche
Esempio cellule batteriche. È considerata più semplice dal punto di vista organizzativo, è
meno complessa in termini di organuli, però di fatto sono in grado di adattarsi, quindi sono
molto avanti anche rispetto alla stesse cellule eucariotiche.
Mancano:
i sistemi membranosi interni al citoplasma→ involucro nucleare, apparato del Golgi, il
reticolo endoplasmatico, mitocondri, lisosomi.
Possiede:
➢ Acidi nucleici (entrambi): il DNA è immerso nel citoplasma in quella regione
chiamata nucleoide e questo DNA differisce da quello della cellula eucariotica (è
lineare e organizzato in cromosomi quando si dovrà dividere altrimenti sottoforma
di cromatina) perché sarà circolare .
➢ Ribosomi: pertanto è in grado di duplicare la sua informazione genetica, è in grado
di trascriverla, è in grado di sintetizzare enzimi e le proteine che le servono per
svolgere tutte le sue attività metaboliche; dunque manca dei sistemi membranosi
interni alla cellula, ma è in grado di vita autonoma, questa autonomia le è conferita
dalla presenza di entrambi gli acidi nucleici e dalla presenza dei ribosomi.I ribosomi
però li hanno perché dal punto di vista chimico sono costituita da RNA ribosomiale e
proteine, ma non c’è una membrana che li delimita, è solo dato dalla cooperazione
di RNA ribosomiale e proteine.
➢ membrana plasmatica che li delimita
➢ una parete cellulare
I batteri si diviono per scissione binaria. Hanno una molecola di DNA circolare, dunque la
divisione è molto più semplice rispetto alla divisione negli eucarioti. Al termine della
duplicazione avremo due molecole di DNA circolari, contestualmente la cellula si accresce
e a questo punto avverrà la scissione binaria: le due molecole di DNA circolare si
sposteranno verso i poli opposti della cellula batteria e al centro si divideranno, originando
due cellule figlie, che differiscono in termine di corredo plasmidico (nel senso una cellula
può essere resistente e l’altra no).
➢ Plasmidi: i batteri sviluppano resistenza agli antibiotici con i plasmidi. Il plasmide è
una molecola di dna circolare ed è indispensabile perché porta informazioni legate
alla resistenza agli antibiotici, viene trascritta con la coniugazione o riproduzione
parasessuale. Due cellule batteriche possono prendere contatto fisicamente l’una
con l’altra attraverso un prolungamento citoplasmatico, che parte da una cellula
batterica che si estende fino all’altra, creando un canale, attraverso questo canale
vengono trasferite le molecole plasmidiche. Quando viene trasferito il plasmide ad
un’altra cellula, io gli sto dando la mia informazione di resistenza.
Cellule eucariotiche
Esempio: piante, animali e uomo. Hanno dimensioni maggiori rispetto a quelle
procariotiche.
Presentano:
organuli e sistemi membranosi:
➢ nucleo: si trova in una posizione centrale, delimitato da una membrana.
➢ nucleolo: si trova all’interno del nucleo, è in questa zona che vengono sintetizzati i
ribosomi
➢ reticolo endoplasmatico: sistema di membrane interno alla cellula, si trova in
continuità col nucleo.
➢ reticolo endoplasmatico granulare: biosintesi glicoproteine. Ha un aspetto
punteggiato dovuto alla presenza dei ribosomi.
➢ Ribosomi
➢ Reticolo endoplasmatico liscio: sintesi prodotti steroidei (esempio ormoni). I
prodotti derivanti arrivano all’apparato del Golgi.
➢ apparato del Golgi: smista i prodotti di secrezione, è per questo che si trova a
seguire del RE.
➢ Lisosomi: sono enzimi litici. Essi intervengono nel regolare la morte cellulare.
➢ Mitocondri: fungono da centrale produttiva della cellula. Sono capaci di dividersi
autonomamente perché hanno DNA e ribosomi.
Cellula eucariotica vegetale: presenta la parete cellulare che dà forma, il vacuolo, i plastidi,
cloroplasti, leucoplasti, cromoplasti.
Popolazioni cellulari:
le popolazioni cellulari possono essere:
1. Cellule labili (soggetti a rinnovamenti) sono quelle cellule che hanno vita breve
(perché non possiedono il nucleo) per cui devono rinnovarsi, quindi andare
incontro a divisione cellulare. Tipico esempio sono le cellule degli epiteli,
elementi figurati del sangue, spermatozoi.
2. Cellule stabili (in espansione, rinnovabili condizionali): sono quelle cellule che
normalmente non proliferano ma che possono farlo se il tessuto di cui fanno
parte viene danneggiato, ad esempio gli epatociti.
3. Cellule perenni (statiche, non rinnovabili): sono cellule che hanno perso la
capacità di replicare una volta specializzate. Esse appunto accompagnano
l’accrescimento, quando quest’ultimo è completo e quindi si sono specializzate,
perdono la capacità di replicarsi. Esempio: neuroni celebrali.
Allestimento dei preparati per la microscopia ottica e elettronica
I microscopi da osservare al microscopio devono essere prima processati attraverso una
serie di passaggi che servono ad arrestare le funzioni biologiche.
La fissazione permette di bloccare l’autolisi cellulare, preservando così nel tempo la
morfologia del tessuto

OTTICA
Per esaminare una parte di tessuto, devo prelevarlo, sciaquarlo e metterlo in una provetta
aggiungendo sostanze.

• La fissazione può essere:


➢ Chimica: mediante sostanze chimiche. Tra i fissativi chimici si possono distinguere i
fissativi che coagulano le proteine e i fissativi che non coagulano le proteine.
Il campione deve essere ridotto per facilitare la penetrazione del fissativo e
garantire una fissazione omogenea. Il fissativo dà i suoi risultati dopo molto tempo8
dalle 4 alle 24 ore); le ore variano in base alla consistenza del campione, ad esempio
una parte di muscolo impiegherà più ore.
➢ Fisica: mediante congelamento. Si usa un congelatore a -80° in azoto liquido. Non si
usa il congelatore normale poiché una volta scongelato rilascerebbe acqua che
comprometterebbe la sua reale visione.

• Disidratazione e diafanizzazione
Dopo aver aggiunto il solvente, bisogna disidratare il tessuto eliminando acqua
(disidratazione).
Si toglie il fissativo e si procede a immergere il tessuto in una soluzione alcolica a
concentrazione crescente (si parte da alcool al 50%... fino ad arrivare ad alcool a
100%). Questo processo deve essere graduale per non provocare il raggrinzimento
delle cellule.
Il tessuto non lo si può lasciare nell’acqua poiché si creerebbero batteri che andrebbero a
mangiare il tessuto. La rimozione dell’acqua è necessaria per una buana osservazione del
campione al microscopio ottico e per poter infiltrare il tessuto con la paraffina (idrofoba).
A questo punto togliamo l’alcool al 100% e aggiungiamo lo xilene (che serve a capire
se il campione è pronto all’inclusione).
Poiché lo xilene è un solvente diafanizzante (diventa trasparente con la disidratazione), a
fine infiltrazione i tessuto risulterà trasparente (diafanizzazione).
• Preparazione all’Inclusione - inclusione
Per la microscopia ottica il mezzo d’inclusione è la paraffina (fusa). È una miscela di
idrocarburi saturi che diventa fluida se riscaldata(50-60°) mentre solidifica a
temperatura ambiente.
Dunque togliamo un po’ di xilene e lo immergiamo nella paraffina, poi togliamo lo
xilene e lasciamo solo paraffina.
Se il campione è pronto avrà un colore lucido e trasparente.
Se il campione è scuro significa che contiene ancora acqua per cui bisogna disidratarlo
ancora.
Una volta pronto il campione, siamo pronti all’inclusione e quindi a lasciarlo nella
paraffina. La paraffina si andrà ad indurrire intorno al campione, dando vita ad un
blocchetto indurrito di paraffina. Si fa raffreddare e dopodichè si procede al taglio.
• Taglio
Il taglio viene fatto con il microtomo (a slitta o rotativo). Il microtomo permette di
fare sezioni sottili, permette di dare un taglio con cui avremo un giusto poter di
risoluzione al microscopio.
Ottenute le sezioni in paraffina, si mettono in bagnomaria per far distendere la
sezione e poterla poggiare sul vetrino.
Dopo si poggiano le sezioni su una stufa al fine di far assorbire l’acqua senza che la
paraffina si sciolga(a meno di 50°).
Dopodichè i vetrini vanno in istoteca, cioè cassettini in cui si conserveranno in modo
duraturo fino all’osservazione.
• Sparaffinatura e idratazione
Una volta pronto il vetrino si procede alla colorazione, dunque si dovrà eliminare la
paraffina (sparaffinatura) poiché essa serve solo ad ottenere un blocco da poter tagliare.
Per poter tagliare la paraffina si userà lo xilene: questa volta però si dovrà reidratare il
campione (dunque si farà il processo inverso della disidratazione, ovvero si immergerà il
campione prima in alcool a concetrazione al 100%, poi 70%.. ecc fino ad arrivare all’acqua).
• Colorazione
I coloranti sfruttano le interazioni chimiche.
Il campione è pronto alla colorazione:
➢ ematossilina: è un colorante basico, colora in violetto i nuclei, i ribosomi. I coloranti
basici si legano a componenti acidie del tessuto.
➢ Eosina: è una colorante acido, colora in rosa il citoplasma. I coloranti acidi si legano
a componenti basici del tessuto.
Terminata la colorazione, il vetrino non è pronto: disidratazione, xilene.
• Ultimo passaggio: montaggio vetrino coprioggetto (per conservare il vetrino si usa
il copriogetto).

ELETTRONICA
• La fissazione microscopia elettronica si fa in due step:
1. Prefissazione: si fa in gluteraldeide.
Quindi facciamo il prelievo del nostro tessuto , lo mettiamo in provetta con gluteraldeide,
togliamo la gluteraldeide che serve per la prefissazione e mettiamo il vero fissativo che è il
tetrossido di osmio
2. Fissazione: tetrossido di osmio. Il tetrossido di osmio nella membrana plasmatica
influenza la struttura della membrana.
• La disidratazione è uguale a quella ottica→ si sostituisce acqua con alcool a
concentrazione via via crescente fino ad arrivare ad alcool a 100%
• Preparazione all’inclusione: sostituiamo l’alcool con ossido di propilene o acetone.
• Inclusione: viene fatta in resine sintetiche (non viene fatta in paraffina come in
quella ottica).
Queste resine danno al campione resistenza e un aspetto cristallino che non gli consente di
essere tagliato al microtomo con la lamina metallica.
Una volta conclusa l’inclusione aspettiamo che polimerizzino le resine (nella microscopia
ottica aspettavamo che la paraffina si solidificasse).
• Taglio: a questo punto il taglio dovrà essere fatto con uno strumento che prenderà
il nome di ultramicrotomo, ultramicrotomo perché questa processazione la
facciamo per andare a studiare l’ultrastruttura della cellula, questa volta avremo
delle sezioni con uno spessore di 40-50 nanometri (microscopio ottico spessore 4-5
micron).
Non esiste un ingranaggio talmente preciso da consentire alla nostra lama di avanzare di
40 nanometri, per cui vedremo che l’ultramicrotomo ci consente di fare tagli di questo
spessore così piccolo, così sottile perché l’avanzamento della lama (che non è una lama di
metallo) è garantita dall’espansione termica di un metallo. Anzichè esserci un ingranaggio
meccanico, all’interno dello strumento c’è posizionata una barra di metallo, quando i
metalli vengono riscaldati si espandono, ma l’espansione è contenuta, quindi sarà
un’espansione sufficiente a garantire l’avanzamento di dimensioni talmente precise
dell’ordine dei nanometri.
Le resine sono dure sono dure e cristalline, quindi se proviamo a tagliarle con la lama di
metallo o si graffia o si sbriciola il campione, quindi c’è uno strumento che fa dei tagli
precisi e netti, ovvero il diamante o il vetro. In questo caso nell’ultramicrotomo, avremo o
le punte di diamante o una lama di vetro.
Nella microscopia ottica le sezioni che tagliavamo e quindi i nostri nastrini di paraffina con
all’interno il nostro tessuto, li mettevamo nel bagnomaria perché si distendesse la
paraffina dopodichè le recuperavamo sul vetrino e il vetrino veniva conservato
nell’istoteca finchè non doveva essere colorato).
Dato che qui parliamo di dimensioni piccole, non è possibile mettere le sezioni sul vetrino,
dunque le sezioni che otteniamo all’ultramicrotomo vengono raccolte su delle mensch
piuttosto che vetrini e hanno la grandezza di una capocchia di uno spillo… su queste
mensch (sono delle reticelle) si recuperano le sezioni e quindi si conservano in dei
cofanetti, al cui interno c’è una struttura a nido d’ape dove dentro ad ogni piccola
fessurina si posiziona ognuna di queste reticelle.
Man mano che le sezioni vengono fatte, finiscono in una piccola ciotolina dove c’è
dell’acqua in modo che sul fil dell’acqua e da lì verranno recuperate su queste reticelle.
Colorazione:
Una volta fatto il taglio e raccolte le nostre sezioni sulle reticelle, dobbiamo colorare i
preparati, ma nella microscopia elettronica è più corretto parlare di contrasto perché una
volta che un fascio di elettroni colpisce il campione biologico, noi vediamo qualcosa in
bianco e qualcosa in nero perché dipende da come è fatto il campione: ciò che si lascia
attraversare dagli elettroni apparirà bianco, ciò che invece è elettrondenso, non si lascia
quindi attraversare dagli elettroni, sulla nostra lastra lasceranno l’ombra, quindi appare
nero…
Per preparare un buon campione da osservare al microscopio elettronico, possiamo
operare un contrasto, cioè utilizzare sostanze elettrondense, metalliche (acetato di uranile
e citrato di piombo) perlopiù che vanno a legare la componente che a livello cellulare è già
di suo elettrondensa, ma anziché vederla un grigio chiaro chiaro, lo si contrasta di più in
modo da avere una bella immagine.

La processazione dei lipidi


Se vogliamo studiare un campione di tessuto adiposo (ricco di lipidi), non possiamo
utilizzare la stessa processazione preveista per il microscopio o elettronico che sia. Il
tessuto adiposo non lo si può trattare con l’alcool, poiché i lipidi che compongono il
tessuto adiposo ci scioglierebbero a causa dell’alcool, non rimarrebbe nulla.
• Prefissazione: agente chimico → Formal-Calcio
• Fissazione: Calcio bicromato.
• Disidratazione: gelatina.
Dato che in questo caso gli alcool non si possono utilizzare, si utilizza la gelatina, capace di
assorbire acqua. I passaggi quindi (lavaggi, preparazione all’inclusione, inclusione) sono
tutti passaggi in gelatina. Quindi si utilizza gelatina a percentuali diverse, per cui il nostro
campione lo mettiamo a contatto con gelatina all’1%, quindi tira via un po’ d’acqua, tolgo e
la metto al 5%, tira via ancora più acqua, tolgo e la metto al 10%, quindi lo mettiamo a
contatto con gelatina che arriva fino ad una concentrazione massima del 20%. Dunque non
sostituiamo l’acqua con l’alcool, ma proprio tiriamo fuori quel po’ di acqua che ci può
essere nel campione a base lipidica con dei passaggi in gelatine.
• Inclusione: si include il campione in gelatina al 20%. Però la gelatina non è solida,
poiché il blocchetto da poter tagliare deve essere solido, per solidificare la gelatina
con dentro il nostro campione biologico, lo mettiamo nel congelatore.
• Taglio: dato che abbiamo congelato il blocchetto, non lo possiamo tirare fuori e
metterlo a temperatura ambiente e tagliarlo al microtomo, quindi vi è un terzo tipo
di microtomo→ Il criostato, non è altro che un microtomo rotativo, posizionato
all’interno di una camera fredda. Si imposta una temperatura bassa all’interno di
questa camera fredda, la manopola è messa all’esterno per cui si fanno i tagli
dall’esterno, dopodichè si alza il coperchietto (è tipo un congelatore a pozzetto, con
il coperchio però fatto di vetro per poter vedere dentro e questa manopola messa
fuori) e recuperiamo le nostre sezioni sul vetrino.
• Le sezioni ottenute al criostato le andremo a conservare nelle scatole ad hoc, fino
all’osservazione.
Microscopi luce (ottici, 0,2 micron)
Microscopio composto.
Un microscopio dal punto di vista strutturale è formato da:
oculari, tubo (dove c’è il sistema di lenti), revolver porta obiettivi, tavolino porta oggetti,
un diaframma e un condensatore.
- oculari: è laddove dove l’osservatore appoggia gli occhi per osservare il suo preparato
- Il tubo dove c’è il sistema di lenti che porta al revolver porta obiettivi
- revolver porta obbiettivi: monta più obbiettivi che vanno da 4x al 100x.
gli obbiettivi insieme agli oculari rappresentano i sistemi viventi che determinano
l’ingrandimento del microscopio.
Con il microscopio ci aiutiamo per migliorare il potere di risoluzione, quindi ci aiuta a
vedere come è fatta una cellula superando il limite di risoluzione, però per far questo deve
ingrandire, ingrandisce grazie a questa combinazione di lenti. Le lenti che determinano
l’ingrandimento del microscopio ottico sono le lenti dell’oculare e le lenti dell’obiettivo.
Come facciamo noi a sapere di quante volte il nostro preparato è ingrandito?
Sulla viera dell’oculare ci sarà scritto 10x (o 2x dipende dall’oculare che si monta) significa
che già da solo l’oculare ingrandisce di 10 volte. Il revolver è un revolver che monta più
obbiettivi che vanno da 4x al 100x. Quindi noi useremo il 4x per dare un’occhiata
all’insieme al vetrino; se lo voglio vedere meglio ruoto il revolver e metterò l’obiettivo 10x,
aumenta l’ingrandimento… con il 10x non vedrò più tutta la sezione, vedrò una sezione più
piccola ma più grande. Se voglio guardare meglio, ruotiamo il revolver e passiamo al 40x…
quindi vedrò una porzione di preparato ancora più piccola ma più ingrandita. Alla fine
metterà una goccina di olio e userò l’obiettivo 100x. L’olio serve perché l’obiettivo 100x
non lavora a secco come tutti gli altri, ma lavora ad immersione in olio, un olio per
microscopia che abbatte il potere di rifrazione della luce; quindi c’è un contatto diretto tra
il nostro obbiettivo e il nostro preparato. Quella goccina d’olio crea un continuità tra il
vetro del nostro preparato e la lente del nostro obiettivo.
Quindi se sto utilizzando un oculare che ingrandisce 10x di suo e un obbiettivo che è al 4x,
di quante volte sto vedendo il mio preparato ingrandito rispetto alla sua dimensione reale?
40. Perché l’ingrandimento totale è dato dalla moltiplicazione tra il fattore di
ingrandimento dell’oculare per il fattore di ingrandimento dell’obbiettivo.
…Se uso un revolver porta obbiettivo al 10x e l’oculare che è gia al 10x… 10 x 10→100x.
Quando arrivo ad utilizzare l’obiettivo 100x… 10 x 100→1000, sto ingrandendo di 1000
volte. Decade il limite di risoluzione del microscopio ottico. Oltre quell’ingrandimento non
possiamo spingerci, ecco perché se dobbiamo vedere dentro la cellula abbandoniamo il
microscopio ottico e prendiamo il microscopio elettronico.
• tavolino porta oggetti: si trova sotto gli obbiettivi. Su questo tavolino ci sarà una
linguetta metallica che si utilizza per fissare il vetrino, dunque lo si blocca con la
linguetta in modo che sia fermo lì.
Il preparato che c’è sul vetrino si osserva grazie ad una sorgente luminosa che illumina il
preparato, lo restituisce all’obbiettivo, l’obbiettivo lo riflette in un percorso di lenti e lo ridà
all’osservatore.
Dunque il nostro preparato verrà colpito da una fonte luminosa: un fascio di luce bianca
(perché stiamo parlando di microscopio ottico). Dunque non sarà altro che una semplice
lampadina, che appena accendiamo il nostro microscopio, vedremo questo fascio di luce
che passa attraverso un condensatore e un diaframma che avranno il compito di regolare
l’ampiezza del fascio di luce che deve andare a colpire dritto il campione; illuminato il
campione, questo verrà restituito all’oculare.
Per mettere a fuoco il campione: si deve trovare la giusta distanza focale per l’obiettivo
che stiamo utilizzando, al cambiare dell’obbiettivo, cambia la distanza focale. Quindi si
deve avvicinare o allontanare il preparato dall’obbiettivo in modo da permettergli la messa
a fuoco, cioè la visualizzazione.
Questo viene fatto con delle manopole:
- la vita macrometrica: consente di fare movimenti più ampi, per cui il tavolo si muove più
rapidamente. Permette di cercare il punto focale, il preparato
- la vita micrometrica: serve per fare piccoli movimenti di messa a fuoco. Mettiamo a
fuoco in maniera fine.
Quando il nostro campione viene colpito dal fascio di luce, l’immagine che dà all’oculare è
piatta e capovolta, per cui ciò che è a destra noi la vediamo a sinistra e viceversa. Dunque
non è un lavoro immediato.
Un solo obiettivo, un solo punto di vista.
Nel caso in cui dovessimo prelevare un campione biologico, non è utile utilizzare un
microscopio ottico (composto), che mi dà un immagine capovolta.
Si utilizzerà quindi in questo caso un microscopio stereoscopico.
Microscopio stereoscopio (microscopio da lavoro)
È conosciuto come microscopio da lavoro (quando devo fare lavori di precisione, quando
devo dissezionare).
È stato nominato nel caso dell’ultramicrotomo, è montato sull’ultramicrotomo. Permette
di vedere in 3D e in maniera dritta le sezioni che sto facendo all’ultramicrotomo.
- Presenta un piano fisso dove si appoggia il campione da osservare. Non presenta
un tavolino che si alza e si abbassa.
- oculare (10x, 5x dipende dagli oculari acquistati)
- una coppia di obbiettivi (non c’è un revolver portaobiettivi) che
contemporaneamente osservano il nostro campione, dunque fornisce una doppia
angolazione di visione, un doppio punto di vista. L’immagine che restituisce sarà
tridimensionale.
- Prisma a riflessione totale: si trova tra l’obiettivo e l’oculare. Al prisma arriva
l’immagine capovolta, e il prisma non fa altro che ribaltarla nuovamente, quindi la
restituisce dritta e tridimensionale all’osservatore.
- Fonte luminosa: fascio di fotoni, luce bianca. In questo caso possiamo avere la
luce che parte da giù o due fibre ottiche che partono da dietro, che possiamo
portare davanti e direzionarle sul campione aggiustando la direzione della luce. In
ogni caso è sempre e comunque un fascio di luce.

Microscopio da ricerca
Consentono non solo di osservare ma anche di acquisire le immagini di quello che si
guarda. Quello che si vede all’oculare viene trasferita al pc e noi acquisiamo le immagini di
interesse, che sono poi quelle che vengono utilizzate per pubblicare i libi di testo, articoli
scientifici. Vi è una porzione in più rispetto al microscopio precedente:
- Filtri per la fluorescenza. Questo microscopio oltre ad essere un microscopio
ottico composto, è un microscopio ad epifluorescenza, quindi potremmo
guardare anche i preparati che vengono marcati con dei marcatori fluoriscenti.
- Fonte luminosa: si utilizza una lampada a fluorescenza (FluArc) la quale eccita il
campione. (Non si usa il fascio di fotoni altrimenti la fluorescenza decade) Nel
momento in cui la lampada va ad eccitare il campione, questo non raccoglie tutte
le fluorescenze, solo quelle di nostro interesse.
- Simula la funzionalità di un microscopio confocale, il quale fa una scansione a
diversi piani focali del nostro preparato, tanto le sezioni da osservare al
microscopio confocale sono spesse 30-50 micron; mentre quelle per l’ottico 4-5
micron. Dunque è evidente che le sezioni del microscopio confocale siano più
spesse, questo perché utilizza un fascio laser per andare ad osservare il campione,
quindi va delle scansioni, riesce ad attraversare più stradi del campione e quindi ci
dà un immagine tridimensionale perché osserva tutto ciò che c’è nella profondità
delle nostre sezioni. Questo motorino motorizzato gli permette.
- È completamente motorizzato, possiede un tavolino motorizzato quindi se si
guarda un preparato dove c’è ad esempio un neurone si vede la parte iniziale ma
non si vede il tipo di cellula che va ad innervare… con questo microscopio si
imposta la profondità (si imposta start e stop), si imposta il punto di partenza e il
punto di fine e tutte, e tutte le foto che si fanno si devono distanziare ad esempio
di 0,5 micron. Dunque si fa la prima foto e si alza il tavolino di 0,5, e cosi via... alla
fine non è un confocale, quindi dopo aver eseguito gli ordini, le immagini risultano
sfocate con un solo dettaglio a fuoco, ma grazie alla funzionalità Z-STACK, la quale
permette di prendere queste immagini e vengono rimontate una sull’altra,
l’immagine risultante prenderà il pezzetto a fuoco di tutte le foto, ci darà un
immagine 3D. La z-stack permette di muovere non solo sull’asse x e y, ma anche in
profondità. Quindi questo microscopio permette di fare diverse foto sfocate che
mettendole assieme crea un’immagine tridimensionale.
- È un microscopio che fa da microscopio ottico, ad epifluorescenza e motorizzato,
quindi simula anche se non lo è un microscopio confocale
Microscopio invertito
L’obiettivo guarda il campione da sotto, anzi che da sopra. Si usa quando si lavora con
le piastre, con la piastra pepi, con le cellule di cottura, con gli embrioni. Invertito perché
è appunto invertita la posizione tra tavolino e percorso ottico, quindi la fonte luminosa
sarà da sopra, gli obiettivi con il sistema di lenti e oculari, partono da sotto.

Microscopio elettronico (0,2 nanometri)


Lo useremo per osservare sezioni ultrasottili che abbiamo raccolto sulle resinelle che
avevano quella struttura a mensch, che le avevamo ottenute con l’ultramicrotomo.
- Per osservare il campione sia nel caso del microscopio a trasmissione che a
scansione, utilizziamo un fascio di elettroni (non fotoni). Ci sarà un cannone che
va a sparare questo fascio di elettroni dentro tutto il percorso ottico che c’è
contenuto all’interno del microscopio elettronico.
Le parti sono sempre le stesse:
- filamento di emissione del nostro fascio di elettroni
- gli elettroni passano dentro ad un condensatore che regola la direzione del fascio
di elettroni che deve andare a colpire il nostro campione
Condensatore→regola il fascio di elettroni che devono passare per andare a colpire il
Microscopio a trasmissione
- guarda dentro la cellula, l’ultrastruttura, studia gli organuli e i sistemi membranosi
- condensatore
- c’è uno sportellino che si apre, dove c’è l’alloggiamento per la nostra reticella,
sopra di essa c’è il campione da guardare, e passerà il fascio di elettroni.
- A questo punto ci sarà un proiettore che proietta sullo schermo, che può
impressionare una lastra fotografica oppure può restituire l’immagine all’oblò
dello schermatore.
Microscopio a scansione
- guarda la superficie della cellula, guarda dall’esterno, fa una scansione della
superficie
- c’è un condensatore, ma siccome fa delle scansioni, ci sarà anche lo scanner che
ha il compito di shioccare questo fascio di elettroni, in modo da andare a fare
diversi scansioni, diversi livelli.
- Immagine tridimensionale
CRIOFRATTURA
Serve principalmente per studiare la membrana plasmatica. La membrana plasmatica ha
uno spessore di 7-7,5 nanometri per cui non è osservabile nella sua organizzazione
strutturale al microscopio ottico il quale ha un potere di risoluzione di 0.2 micron.
La membrana va studiata al microscopio elettronico.
Il preparato nel microscopio elettronico viene fissato in due step:
- Prefissazione in gluteraldeide
- Fissazione in tetrossido di osmio (il tetrossido di osmio ha però un difetto→ cioè
DENATURA LE PROTEINE.)
La membrana è costituita da fosfolipidi e proteine.. se il passaggio in tetrossido di osmio
denatura le proteine, ciò che andremo a vedere non è una copia fedele alla membrana
originale, motivo per cui studieremo modelli di membrana.
- Modello a mosaico fluido, che è quello oggi considerato valido.
- Modello a sandwich, dove ci diranno che i primi osservatori che osservavano la
membrana plasmatica al microscopio elettronico vedevano i fosfolipidi e le
proteine disposte sopra le teste dei fosfolipidi come se fossero delle proteine
lineari, ciò però non è compatibile perché la membrana plasmatica deve creare
una continuità con l’ambiente circostante, deve poter scambiarsi le informazioni.
Utilizzarono così un’altra tecnica che gli permettesse di osservare l’organizzazione della
membrana plasmatica preparata al microscopio elettronico senza però utilizzare il
tetrossido di osmio→ criofrattura:
per cui viene utilizzata come tecnica quella del congelamento mediante la criofrattura,
cioè congelo la cellula e poi la fratturo nel punto di minore resistenza, cioè in questo caso il
punto in cui i due strati fosfolipidici si guardano, perché non c’è contatto ma sono solo
accostati.
Si procede al congelamento, e una volta congelata si taglia con una lama nel punto di
minore resistenza e si separano le due metà del doppio strato fosfolipidico.
Ciascuna metà del doppio strato viene utilizzata come stampo e gli si stratifica sopra una
parte lamina metallica (metalli fusi). (Esempio: dentista che prende l’impronta, idem fa la
criofrattura).
Una volta solidificato tolgo via la lamina metallica, ottenendo l’impronta. L’impronta che
troveremo è formata da una parte di membrana non piatta, vedremo le impronte lasciate
dalle proteine. Nell’altra metà, troverò l’abballamento perché le proteine di membrana
sono proteine globulari. Questa osservazione della natura delle proteine associata alle
membrana non può essere osservata al microscopio elettronico trattando la cellula con il
tetrossido di osmio, perché tutte queste proteine globulari, il tetrossido di osmio le
denatura e diventano proteine fibrillari, per cui si distribuiscono in modo uniforme sulle
teste fosfolipidi, per cui perdono la loro struttura e la loro posizione del doppio strato
lipidico.
La criofrattura ha permesso di studiare la vera struttura delle proteine associate ai
fosfolipidi di membrana. Viene utilizzata questa tecnica perché l’unico fissativo utilizzato
per la microscopia elettronica è il tetrossido di osmio. Ciò che vediamo nel modello a
sandwich è una struttura alterata della reale visualizzazione di membrana a causa del
tetrossido di osmio.
Questa tecnica ha inoltre messo in evidenza in nucleo, l’involucro nucleare e i pori nucleari.

FRAZIONAMENTO CELLULARE
Come si fa a parlare con tanta sicurezza della composizione chimica dei vari organuli, dei
vari sistemi membranosi?
Come si fa partendo dalla cellula ad avere la singola frazione che ci interessa? Si fa con la
tecnica del frazionamento cellulare
- per centrifugazione
- per ultracentrifugazione
Partiamo da un campione in cui viene messa tutta la componente cellulare del tessuto che
vogliamo studiare, dopodichè questo viene messo in una centrifuga, grazie alla quale
riusciremo a separare tutto ciò che c’è all’interno del citoplasma cellulare secondo un
gradiente:
-Tutto ciò che è pesante si va a depositare sul fondo
-Tutto ciò che è leggero va su.
Questa tecnica prevede che: in base ai giri (RTM) che noi fissiamo nel nostro giro di
centrifuga riusciamo a separare le nostre componenti.
Quindi ad esempio:
- Tra 800/1000 giri riusciamo a separare i nuclei dal resto della cellula.
- Per vedere i ribosomi,cloroplasti, i lisosomi e tutti gli altri organuli bisogna aumentare il
numero di giri fino a 35.000
- Se arriviamo fino a 80.000 riesce a far depositare sul fondo i sistemi membranosi come il
Reticolo Endoplasmatico.
Più è leggera la sezione che si vuole separare, maggiore deve essere la potenza da dare alla
centrifuga.
In base alla potenza data (al numero di giri) si passa da centrifugazione ad
ultracentrifugazione.
Aumentando i giri (RTM), porto a sedimentare porzioni sempre più minute di tutto ciò che
trovo nel citoplasma. Man mano che si manda giù, devo cambiare provetta. Ad esempio
dopo aver fatto sedimentare i nuclei, si recupera il surnatante(cioè tutta la parte che resta
su) la mettiamo in una provetta pulita, quindi in questo mi rimarranno i nuclei.

Macromolecole
Una cellula eucariotica animale presenterà una membrana che la delimita, all’interno
troveremo una serie di sistemi membranosi: nucleo, reticolo endoplasmatico, apparato del
golgi e tutti gli organuli (ribosomi, lisosomi..)
Nella cellula il suo interno è definito con il nome di citoplasma. Al microscopio vedremo in
blu il nucleo e in rosa il citoplasma. Il citoplasma è composto dal citosol che è la
componente acquosa del citoplasma, ed è la sede (nel citoplasma) in cui avverranno tutte
le attività metaboliche della cellula.
Nel citoplasma quindi troviamo: il citosol, i ribosomi , i sistemi membranosi (reticolo
endoplasmatico, apparato di Golgi, derivati dal reticolo endoplasmatico e quindi i lisosomi,
vacuoli di varie categorie), gli organuli(mitocondri, plastidi, centrioli); accumuli di
glicogeno-lipidi.
Componenti chimici di una cellula
- Organica: le macromolecole, cioè proteine , lipidi, carboidrati e acidi nucleici che sono le
quattro classi delle macromolecole
- Inorganica : l’acqua (85%), i Sali (1.25%), e i metalli pesanti (al livello del funzionamento
cellulare sono indispensabili anche se in piccola quantità perché funzionano da cofattori di
enzimi attivanti.)
Le proteine sono la classe di macromolecole in maggiore percentuale (20%) perché le
proteine le troviamo un po' dappertutto con molteplice funzione; i lipidi si presentano
sotto forma di strutture in membrane biologiche(2-3%); i carboidrati (1%); acidi Nucleici
(1%) perché abbiamo una percentuale fissa di DNA, mentre gli RNA vengono trascritti ma
hanno una vita breve, per cui vengono degradati per poi essere nuovamente trascritti, per
cui non si accumulano.
Nel parlare della composizione chimica della cellula possiamo fare una distinzione fra:
- Costituenti intrinseci (lipidi) vanno a formare il 40% rispetto al 100% della struttura
organica.
- Costituenti estrinseci (proteine) che presentano una percentuale certamente maggiore.

Lipidi
Sono insolubili in acqua, comprendono i gliceridi (glicerolo + 1, 2 ,3 molecole di acidi
grassi). Gli acidi grassi sono saturi se il legame è singolo ed è lineare, sono insaturi quando
il legame è doppio e c’è una ripiegatura della struttura.
Possiamo distinguere lipidi:
• Semplici: - monogliceridi (glicerolo + una molecola di acidi grassi)
- digliceridi (glicerolo + 2 molecole di acidi grassi)
- trigliceridi (glicerolo + 3 molecole di acidi grassi)
• Composti: - fosfolipidi, i quali sono simili ai trigliceridi dal punto di vista strutturale,
ma il glicerolo lega 2 molecole di acidi grassi e il terzo carbonio si lega al
gruppo fosfato). Essi hanno una testa idrofila (polare) e 2 code idrofabe
(apolari), sono dunque definiti anfipatici.
- glicolipidi
- sfingolipidi
- steroidi
- steroli
- caratenoidi
Carboidrati
• Monosaccaridi : 5 atomi→ - ribosio
6 atomi→ - glucosio e destrosio
- galattosio
- fruttosio o levulosio
• Oligosaccaridi: disaccaridi→ - saccarosio (glucosio + fruttosio)
- Maltosio (2 di glucosio)
- Lattosio (glucosio + galattosio)
trisaccaridi→ unione di 3 monosaccaridi
tetrasaccaridi→ unione di 4 monosaccaridi
• Polisaccaridi: omopolissacaridi→ - cellulosa ( glucosio)
- glicogeno (glucosio)
eteropolisaccaridi→ - amido (amillosio, amillopectina)
i carboidrati più semplici sono, più solubili saranno: monosaccaridi e oligosaccaridi sono
solubili, i polissaccaridi sono insolubili.
I monosaccaridi sono l’unità più piccole. I polisaccaridi hanno la funzione di: riserva
energetica o strutturale, nel caso della cellulosa.
Acidi nucleici
Sono cellule autonome sia nelle cellule eucariote e sia nelle cellule procariote. Contengono
l’informazione genetica, cioè l’insieme delle istruzioni necessarie alla sintesi delle proteine.
Eucarioti→ DNA e RNA
Procarioti→ DNA e RNA
Virus→ DNA o RNA

Biomolecola Struttura Dov’è nella Composizione Funzione


cellula
DNA: acido 2 filamenti Nel nucleo Nucleotidi: Contenerele
desossi-ribo- complementari -baseazotata informazione
nucleico (doppia elica) e -deossiribosio genetiche
antiparalleli che -fosfato ereditarie.
si associano per (basi
formare la azotate:adenina,
struttura ad citosina,
elica. guanina, timina)

RNA messaggero Singolo Nel nucleo -base Tradurre le


filamento e nel azotata informazioni
citoplasma -ribosio contenute nel DNA
-fosfato sotto forma di
(basi proteine.
azotate:
adenina,
citosina,
guanina,
uracile)
RNA: RNA di trasporto Singolo Nel
acido filamento citoplasma
ribo-
nucleico
RNA ribosomiale Singolo Nel
filamento citoplasma
Proteine
Le proteine possono essere classificate in vari modi:
1. in base alla struttura possiamo avere proteine semplici cioè costituite da una semplice
sequenza amminoacidica oppure proteine coniugate. Si parla di proteine coniugate
quando oltre alla sequenza amminoacidica abbiamo un gruppo che non è di natura
proteica, questo gruppo prende il nome di gruppo prostetico (come l’emoglobina fatta da
4 catene proteiche ma ognuna di queste lega un gruppo EME, nel caso dell’emoglobina,
mentre in generale si parla appunto di gruppo prostetico)
2. in base alla funzione possiamo avere proteine strutturali che sono proteine che entrano
come proteine globulari nella composizione chimica della membrana plasmatica, ma
abbiamo anche prodotti di secrezione (cioè tutti quei prodotti di natura proteica che la
cellula sintetizza ma va ad esocitarli cioè va all’esterno della cellula perché è lì che devono
svolgere le loro funzioni)
- in base alla funzione enzimatica, sono proteine specializzate nell’accellerare le reazioni.
- anticorpi, vengono prodotti in maniera mirata contro un antigene ben preciso, per cui si
innesca una reazione antigene-anticorpo. Quando si parla di anticorpo si intendono
proteine specializzate nel riconoscimento di qualcosa che è non-self, cioè non ci
appartiene, ci è estraneo ed è da attaccare.
- recettori di superficie: le cellule riescono a captare un segnale da un’altra cellula perché
le cellule presentano delle “antenne”. Le antenne della cellula sono residui di glicoproteine
con funzione recettoriale. Sono quindi proteine coniugate con parti formate da
amminoacidi ma anche da carboidrati.
3. in base alla conformazione possiamo avere:
- proteine globulari: quando si organizzano con una struttura globulare
- proteine fibrillari: quando hanno un andamento lineare (come accadrà per i componenti
del citoscheltro.)
L’actina nasce come actina globulare, cioè sono monomeri di actina che si defisce G. Nella
cellula però l’actina si trova sottoforma globulare (Actina G), quando è come deposito, nel
momento in cui serve l’actina, è necessario che essa polimerizzi, cioè i monomeri di actina
si devono unire tra loro e formare una catena lineare, per cui diventa fibrillare (Actina F).
Accade anche per la tubulina.
Composizione chimica
Le proteine sono strutture complesse che si vengono a creare da un legame covalente tra
monomeri.
Partiamo con il definire la differenza tra legame ionico e legame covalente.
Il legame ionico è un legame debole, cioè mi serve poca energia per creare e libera poca
energia quando si spezza.
Al contrario, il legame covalente è un legame forte, cioè è necessaria tanta energia per
formarlo e libera molta energia quando si spezza.
Quindi se io devo formare una proteina formata da più amminoacidi, il legame che si
instaura tra gli amminoacidi deve essere un legame covalente perché si deve instaurare un
legame forte.
Ad esempio i DNA come RNA è fatto da nucleotidi. Tra i nucleotidi che devono andare a
formare il filamento di acido nucleico ci saranno legami covalenti, ma la molecola di DNA è
formata da due filamenti complementari e antiparelleli. Il legame che si viene a formare
tra due i filamenti sono deboli legami a idrogeno ,questo perché deve avere una struttura
‘’malleabile’’, perché ogni volta che la cellula ha bisogno di trascrivere un’informazione i
due filamenti si devono allontanare e far entrare la dna polimerasi, mentre quando la
cellula si deve dividere i due filamenti si devono proprio staccare per far avvenire
l’intervento della dna polimerasi. Il legame che si viene a formare tra due filamenti che
formano la molecola saranno deboli perché deve assecondare le attività che il DNA deve
svolgere, ma i legami tra i monomeri della macromolecola devono essere forti.
Ritornando alle proteine, la loro formazione avviene mediante l’unione di amminoacidi
mediante legame peptidico che è un legame covalente.
Amminoacidi
Gli amminoacidi sono formati da un atomo di C (carbonio) centrale, il quale legherà
sempre un gruppo carbossilico -COOH, un gruppo amminico -NH2, un H (idrogeno e un
gruppo –R).
Il gruppo R(radicalico) è l’unico gruppo che determina la differenza tra i vari amminoacidi,
il resto della struttura è uguale per tutti gli amminoacidi, il resto della struttura rimane
costante perché mi deve garantire e mantere l’uniformità di legame ad ogni In base alla
natura del gruppo R si potranno classificare i vari amminoacidi.
Le proteine posso assumere diverse strutture:
- Struttura Primaria: fa riferimento alla semplice sequenza amminoacidica; Indica l’ordine
degli amminoacidi che la compongono. Dalla sequenza degli amminoacidi dipenderà la
specificità e l’attività biologica; Una volta ottenuto l’ordine degli amminoacidi i gruppi
radicalici potranno interagire fra loro, creando legami. Le interazioni che si instaurano fra
gli amminoacidi vicini porteranno alla Struttura secondaria.
- Struttura Secondaria: Le interazioni fra amminoacidi vicini creano la struttura secondaria;
Si possono ottenere due strutture o ad a-elica oppure a B-foglietto pieghettato. Nel
momenti in cui si creano avvolgimenti e interazioni fra amminoacidi che prima non erano
affiancati ecco che si assume la conformazione che questa proteina assume nello spazio
dando vita alla struttura terziaria.
- Struttura Terziaria: si viene a formare quando si creano interazione tra amminoacidi che
inizialmente non erano vicini fra loro; La proteina assume una forma globulare per cui si
accorcia ma diventa piu’ larga.
- Strutta Quaternaria: si parla di struttura quaternaria quando ogni volta che una proteina
tende ad essere funzionale necessità dell’associazione di due o piu’ subunità proteiche. Nel
caso dell’emoglobina è costituita da 4 subunità proteiche(ma è un caso.. perché molte
altre sono formate da 2-3 o 5 subunità.) due a e due b, ognuna con il gruppo EME. Ma se
dovessimo togliere una subunità la proteina non sarebbe piu’ funzionale.
- Struttura Quinaria: fa riferimento alla capacità della proteina di conservarsi nel tempo,
cioè se la proteina ha la tendenza o meno a mantenere la sua organizzazione
amminoacidica oppure se risponde alle variazioni ambientali modificando l’organizzazione
amminoacidica;

Membrana plasmatica
È di natura lipoproteica. È costituita da fosfolipidi che creano lo scheletro (bylayer) e poi si
possono trovare anche colesterolo e glicolipidi.
• Fosfolipidi: molecole anfipatiche formati da una molecola di glicerolo che lega due
catene di acidi grassi ed un gruppo fosfato con la funzione di fare da tramite con la
testa polare idrofile, che contiene un alcol organico (serina, colina, ecc.). La testa è
polare idrofila e la coda è apolare idrofaba grazia alla struttura degli acidi grassi, i
quali conferiscono apolarità alla coda.

• Sfingolipidi: la molecola portante non è più il glicerolo, ma la sfingosina che lega


l’acido grasso (idrofaba) e una FOSFORILCOLINA (idrofila).

• Colesterolo: è una molecola piccola, presenta un piccolo gruppo idrofilo (-OH). Si


posiziona tra i fosfolipidi, posizionando il gruppo idrofilo tra le teste dei fosfolipidi, il
resto della molecola tra le code, infatti il ruolo principale del colesterolo è
moderatore della fluidità perché la sua presenza fa sì che la membrana rimanga
sempre al suo stesso stato di fluidità, evita gli sbalzi di temperatura (liquefazione e
congelamento della membrana). Si trova negli eucarioti animali, mentre nei funghi
troviamo l’erbosterolo.

• Glicolipidi: sfingosina + acido grasso + oligosaccaride. Sono lipidi con residui


glucidici, con funzione recettoriale nei confronti dei messaggeri, ormoni ecc→
riconoscimento.
Funzioni membrana plasmatica
- Dà un’identità alla cellula, separandola dall’ambiente esterno (la membrana è
appunto semipermeabile grazie ad una membrana che la separa dall’esterno, ma
resta comunque in rapporto con l’ambiente esterno, perché attraverso la M.P
avverranno scambi.
- Regola gli scambi di sostanze nutritive, ioni e molecole tra la cellula e l’ambiente
esterno e viceversa.
- Risponde agli stimoli esterni (permette di ricevere input ai quali si risponde. Le
cellule che per eccellenza ricevono input e rispondono sono quelle del tessuto
nervoso e quello muscolare. Si fa riferimento ai muscoli volontari scheletrici e
muscoli involontari cardiaci).
- Risposta ormonale (presenza di recettori glucidici)
- Interazioni con cellule vicine (inibizioni da contatto, attraverso i recettori)
- Proprietà antigeniche (recettori)
- Reazioni immunitarie.
Gli ultimi 4 punti sono regolate dalla membrana plasmatica tramite le proteine di
superficie (glicoproteine) e i glicolipidi.
Trasporti mediati per mezzo di estroflessioni della membrana:
- Trasporto passivo
- Trasporto attivo
- Trasporto attivo di vescicole
- Esocitosi→ via secretoria
- Endocitosi→ via endocitoria

Composizione chimica della membrana plasmatica


Costituenti intrinseci: lipidi e proteine
Costituenti periferici: alcune proteine o glicolipidi
Costituenti esterni: glicocalice
Proteine
➢ Glicoproteine: proteine di membrana associate a residui glucidici con funzione
recettoriale.
Funzioni: riconoscimento cellulare, risposta ad ormoni, proprietà antigeniche o
stimolazione alla risposta immunitaria.
➢ Proteine di trasporto (carriers): funzione: garantiscono la permeabilità della
membrana, aiutano molecole molto grandi ad es. glucosio a passare attraverso la
m.p→ diffusione facilitata.
➢ Proteine enzimatiche: funzione: attività metabolica, ATPasi, pompa Na+/k+→
trasporto attivo (idrolizzazione ATP); altre proteine enzimatichr che si trovano nelle
creste mitocondriali che invece, sintetizzano ATP.
➢ Proteine: lipoproteine (proteine associate alla porzione lipidica)
➢ Costituenti lipidi: fosfolipidi, sfingolipidi, glicolipidi e colesterolo.
➢ Carboidrati: glicolipidi e glicoproteine
➢ Acido sialico: mantiene il potenziale di membrana
MODELLO A SANDWICH (DAVSON E DANIELLI)
Fu il primo modello proposto, prospettava una membrana costituita da un bilayer
lipidico con proteine filamentose disposte sulle teste dei fosfolipidi.
Grazie alla criofrattura però si è riuscì a riconoscere che alla base del modello della
membrana plasmatica ci stavano proteine globulari, non filamentose.
MODELLO A MOSAICO FLUIDO (SINGER E NICOLSON)
Studiato grazie all’avvento della tecnica criofattura, la quale ha permesso di baipassare il
trattamento delle membrane con il tetrossido di osmio, il quale denatura la M.P, per cui
quello che si vedeva al M.E era un artefatto tecnico, legato alla capacità del tetrossido di
osmio di denaturare le proteine globulari, per cui le proteine si andavano a posizionare
sulle teste dei fosfolipidi come fossero delle proteine lineari, mentre di fatto così non è.
Per cui il modello a mosaico fluido, il quale oggi è ritenuto valido, presenta l’ossatura
lipidica della membrana plasmatica e ci fa vedere come i fosfolipidi si organizzano a
formare il bilayer fosfolipidico, c’è un accostamento testa-coda code-teste, in modo che le
teste idrofile stiano a contatto con l’ambiente exstracellulare e intracitoplasmatico, in
entrambi i casi con teste a basa acquosa, mentre le code idrofobe sono affrontate le une
alle altre a formare il core, la parte centrale di questo bilayer; questa disposizione dello
scheletro lipidico, regola la permeabilità della membrana, perché la membrana
plasmatica è una membrana semipermeabile, ’’semipermeabile’’ perché si lascerà
attraversare liberamente esclusivamente dalle molecole che sono affini alla parte centrale
di questo bilayer, quindi che sono molecole idrofobe.
Tutto ciò invece a carica elettrica, cioè tutto ciò che è idrofilo, non può liberamente
attraversare la membrana, per cui si dice che la membrana ha una permeabilità selettiva:
sa chi e chi non deve lasciar passare. Però tutto ciò che resta fuori per affinità chimica, di
fatto la cellula può lasciarlo entrare o uscire dalla cellula mediante i trasportatori.
Oltre alla struttura fosfolipidica, oltre al colesterolo, bisogna fare riferimento anche ad una
buona parte di proteine, delle quali abbiamo scoperto grazie alla criofrattura essere
proteine globulari.
Queste proteine di membrana a cosa serviranno? Come si posizioneranno lungo il nostro
bilayer? Che tipo di nomenclatura possiamo utilizzare per queste proteine?
➢ Proteine estrinseche o periferiche: sono proteine che prendono contatto
esclusivamente con le teste idrofile, sia che si trovino sul comparto exstracellulare,
sia che si trovino sul comparto citoplasmatico (intracellulare).
➢ Proteine intrinseche o integrali: sono proteine che interrompono in parte o in tutto
il doppio strato fosfolipidico. Ci sono quelle che lo interrompono in parte e quelle
che lo interrompono per tutto il suo spessore, ma in tutti i casi c’è un rapporto
intimo con le code idrofobe del doppio strato lipidico. Proteine unipasso: se
attraversano una sola volta il doppio strato. Proteine multipasso: sa la proteina
attraversa più volte il doppio strato.
➢ Proteine transmembrana: una proteina intrinseca che attraversa il doppio
strato(glicoproteina), hanno funzione di regolare il trasporto.
Le proteine di membrana sono in parte glicoproteine, ogni cellula necessita di
glicoproteine perché i residui glucidici che sporgeranno all’esterno della membrana
plasmatica hanno un ruolo recettoriale.
I carboidrati a differenza di lipidi e proteine, non entrano come tali nella composizione
della membrana, ma li troveremo sempre ed esclusivamente associati ai lipidi o alle
proteine. Quindi le glicoproteine sporgono nell’ambiente extracellulare come delle
antenne con il compito di captare i segnali che vengono dall’esterno.
Tutta questa struttura che si sfiocca all’esterno della membrana si chiama glicocalice,
ovvero la struttura esterna alla membrana formata da residui glucidici, i quali non sono
altro che i carboidrati che accentuano ulteriormente l’asimmetria della membrana,
presentandosi in maniera esclusiva sul versante esterno a formare il glicocalice.
Si trova in diversi tipi cellulari:
➢ Nella parete cellulare delle cellule vegetali, costituita perlopiù da cellulosa, la quale
non è altro che una manifestazione visibile del glicocalice (cioè di queste strutture
zuccherine che sono depositate all’esterno della membrana plasmatica stessa).
➢ Nella zona pellucida della cellula uovo, che è un rivestimento di queste cellula uovo
che sarà indispensabile per il riconoscimento e il legame dello spermatozoo al
momento della fecondazione.
Al variare del tessuto che si prende in esame, varierà la struttura del GLICOCALICE.
➢ lo possiamo trovare come cuticola di alcune cellule epiteliali.
➢ lo troveremo come lamine basali in tutte le cellule degli epiteli di rivestimento,
perché tutti gli epiteli poggeranno sul connettivo sottostante, ma per non collassare
in questo connettivo, ci sarà una trama che li sorregge che prenderà il nome di
lamina basale, la quale non è altro che glicocalice.
➢ rivestimenti glicoproteici e mucopolissaccaridi sulla superficie libera delle
membrane mucose di tutte le cellule che producono muco e che devono mantenere
lubrificato l’ambiente stesso.
Funzioni glicocalice:

➢ Protezione legata al riconoscimento, quindi legato all’istocompatibilità, legato alle


risposte o reazioni immunitarie, perché se i nostri glicocalici sono costituiti da questi
residui glucidici che sporgono dalla membrana e il loro ruolo è recettoriale, è di
riconoscimento, questi riescono a capire se un qualcosa con cui prendono contatto
è self (tipico dell’individuo stesso) o non-self. È alla base dei rigetti, quando ci sono i
trapianti).
Come viene fatto il riconoscimento selettivo? Come fa un tessuto a capire che il
pezzetto che gli sto innescando deve essere accattato o rigettato?
Perché si crea un rapporto di compatibilità tra recettori e qualcosa che che viene
riconosciuta dalla cellula che arriva; se c’è un riconoscimento specifico, allora lo
riconosce come self e viene accettato, se questo riconoscimento non avviene,
avviene il cosiddetto rigetto perché si innescano tutte le reazioni contro un qualcosa
estraneo.
➢ partecipano all’idrolisi terminale di proteine e carboidrati, soprattutto a carico di
enzimi che troviamo nella mucosa intestinale.
➢ hanno proprietà filtrante: filtrano laddove noi abbiamo la capacità di recuperare
acqua che viene trasudata dai vasi sanguigni, quindi ad esempio a livello delle
cellule endoteliali (cellule che rivestono i vasi sanguigni).
➢ regolazione degli scambi, soprattutto a carico delle lamine basali (dove diciamo che
il nostro epitelio poggia sul connettivo sottostante.)
➢ trasporto di ioni
➢ pinocitosi
➢ riconoscimenti (cellulare, riconoscimento del contatto tra cellule e verifiche di
compatibilità)
➢ catalisi enzimatica nei casi in cui questa si deve verificare
➢ l’assorbimento (nel caso degli endoteli)
➢ il mantenimento delle cariche elettriche (vedremo che questo accadrà su tutte le
cellule, tutte le membrane plasmatiche, tutte le cellule avranno un loro potenziale
di membrana)
➢ funzione di barriera sempre legata al riconoscimento
➢ funzione di adesione, vuol dire che tramite il glicocalice le cellule sono in grado di
prendere contatto con le cellule vicine. Questo tipo di interazione è fondamentale
nel regolare quella che è la corretta divisione delle cellule. Normalmente una cellula
segue un suo ciclo cellulare: i momenti tipici sono l’interfase (in cui la cellula si
accresce), fase M (durante la quale la cellula si divide e ne derivano due nuove
cellule, ognuna delle quali riprende interfase e di nuovo divisione).
Chi dice alla cellula che è pronta a dividersi o che non si deve dividere più? Cosa accade
quando questo controllo non regola più?
Quando il controllo della divisione non c’è più, le cellule si dividono all’impazzata e
abbiamo i problemi legati alle neuplasie e quindi alle masse tumorali.
Invece generalmente che cosa dice a una cellula che si può dividere oppure di rimanere
ferma?
➢ È il rapporto che vige tra nucleo e citoplasma, quindi è lo spazio che la cellula
occupa.
• Se la cellula subisce il cosiddetto fenomeno dell’inibizione da contatto, cioè le
cellule son troppo vicine, quindi aderiscono al glicocalice in maniera stretta, le
dicono che non ha spazio e che è inutile che si accresca poiché non si può dividere,
la cellula dunque si ferma in stand-bike, si mantiene in interfase, non entra in fase
M.
• Quando invece questa inibizione da contatto non c’è, la cellula può accrescersi in
Interfase, si altera il rapporto che vige tra il nucleo e il citoplasma perché il nucleo
mantiene sempre le sue dimensioni, mentre se la cellula si sta accrescendo, il
citoplasma l’asseconda e si accresce il volume quindi si altera il rapporto definito
nucleo-plasmatico e la cellula sa che deve dividersi per ripristinare il corretto
rapporto tra nucleo e citoplasma… tutto questo è regolato dalla presenza del
glicocalice e dal concetto di spazio che alla cellula arriva grazie ad inibizione da
contatto che è mediata dal glicocalice.
Dunque il glicocalice assorbe ruoli fondamentali per il corretto funzionamento e la
corretta vitalità della cellula stessa. Il glicocalice NON è fuliggine esterna alla
membrana, MA invece è qualcosa di inconsistente proprio perché sono solo questi
residui glucidici che sporgono con funzioni fondamentali, quindi non formano una
struttura lassa (almeno questo nelle cellule arenali)
Funzioni proteine di membrana:
• proteine con le catene di carboidrati: hanno il compito di fungere da recettori,
quindi
riconoscimento cellulare, istocompatibilità, inibizione da contatto.
• proteine che si sporgono da una parte e dall’altra, sono principalmente legati ai
trasporti di membrana, sono quelle che garantiscono alle molecole che liberamente
non riescono a muoversi lungo il doppio strato lipidico, di poter essere portate
all’esterno della cellula se è la cellula stessa che le sta sintetizzando o al contrario di
poter essere internalizzate se la cellula ne ha bisogno. (qui vi fa vedere queste proteine
che fungono da PROTEINE CANALI, DA PROTEINE TRASPORTATRICI, quindi
comunque proteine di membrana associate alla funzione di COMUNICAZIONE
CELLULARE, QUINDI DI TRASPORTI A CARICO DELLA MEMBRANA).
Tipi di trasporto:

• Trasporti passivi: quando il trasferimento avviene senza dispendio di energia,


quindi a guidare questo spostamento di sostanze è un gradiente di concentrazione.
esempio: se questa aula fosse potenzialmente piena, qualcuno si affaccia e dice che
va a prendere un po’ d’aria, quindi la tendenza sarebbe quella di andare fuori e non
di fare entrare altra gente, quindi secondo gradiente di concentrazione vi portereste
dalla stanza che è piena e manca l’aria, verso il corridoio dove invece c’è spazio ed è
più libero. Quindi è un trasporto passivo perché avviene spontaneamente da un
ambiente dove c’è una concentrazione più alta ad un ambiente dove c’è una
concentrazione più bassa.
Generalmente quando si parla di trasporti, si fa riferimento all’utilità di soluti, molecole,
ioni che devono attraversa la membrana e portarsi da un comparto all’altro, però quando
le membrane sono semipermeabili, possiamo avere il movimento NON solo di soluti, ma
anche di solventi.
➢ Osmosi: a muoversi lungo una membrana non è un soluto ma è un solvente, quindi
è l’acqua che va ad equilibrare le concentrazioni tra i due comparti. Il solvente si
sposta dal comparto in cui la concentrazione è maggiore a quella minore.
Esempio: globuli rossi se messi in:
- soluzione ipertonica, cedono acqua e quindi si raggrinziscono
- in soluzione ipotonica, accettano acqua e quindi possono rigonfiarsi fino a lisarsi, a
spaccarsi. Questo accade quando la membrana risulta impermeabile al soluto, non
lascia passare il soluto e quindi è il solvente che cerca di bilanciare le concentrazioni
ioniche.
Se mettiamo a confronto due sostanze liquide miscibili, la concentrazione del soluto che
abbiamo in una delle due sostanze si va a redistribuire uniformemente in tutto il volume
che ha a disposizione.
La situazione cambia se i due comparti vengono isolati da una membrana:
se è il soluto che si può muovere, il soluto tenderà a passare dal comparto dove è più
concentrato al comparto dove è meno, fino a cercare di equilibrare le cariche elettriche.
Esistono due tipi di trasporti passivi, in entrambi i casi avviene sempre secondo gradiente
di concentrazione, senza dispendio di energia, però nella:
➢ Diffusione semplice: si parla di sostanza che possono liberamente attraversare il
doppio strato lipidico, non hanno bisogno di nulla, da una parte più concentrazione
e dall’altra meno.
➢ Diffusione facilitata: si parla di molecole che per affinità chimica o per le dimensioni
non riescono liberamente ad attraversare la membrana. La diffusione facilitata
presente dei limiti:
- presenza di proteine carriers: compito di legare e trasferire una molecola
nell’altro lato, ma il trasferimento avviene comunque secondo gradiente di
concentrazione. Un esempio di diffusione facilitata è: il trasferimento attraverso le
membrane plasmatiche della molecola di glucosio (es. quando noi mangiamo,
avvenuta la digestione, assorbiamo i principi nutritivi, primo fra tutti il glucosio, che
è la fonte di energia per tutte le nostre cellule).
Il glucosio per la sua conformazione non riesce ad attraversare liberamente le
membrane plasmatiche, per poterlo fare necessita di un trasportatore, quest’ultimo
lo trasporta secondo gradiente di concentrazione.
Sfrutta il rientro con il sodio che rientra secondo gradiente di concentrazione, ma
per il sodio si tratta di un trasporto attivo secondario, vuol dire che è un trasporto
attivo che avviene secondo gradiente di concentrazione.
Differenza tra diffusione semplice e facilitata:
I trasportatori che troviamo lungo la membrana, sono in numero indefinito, quindi
se una molecola assume più zuccheri rispetto a quelli che i trasportatori possono
trasportare, non si accelera il trasporto, ma si saturano i trasportatori, quindi la
velocità di trasporto non dipende dalla concentrazione della molecola da
trasportare (come invece accade nella diffusione semplice: perché più è alta la
concentrazione della sostanza da internalizzare, più velocemente passa);
Se abbiamo la necessità di utilizzare un trasportatore, al crescere della
concentrazione della sostanza da trasportare, non cresce la velocità di trasporto, ma
cresce fino a raggiungere una velocità standard che è legata al concetto di
saturazione.
Nel momento in cui tutti i trasportatori hanno legato la molecola e la stanno
trasportando, anche se fuori c’è altro che aspetta, aspetterà. Quindi se già hanno
legato una molecola di glucosio, l’altra aspetterà.
Avviene secondo gradiente di concentrazione, ma i trasportatori sono specifici
quindi si va incontro al concetto di saturazione. Essendo specifico il trasportatore, ci
deve essere l’interazione con la proteina ligando, questa interazione sarà breve, il
tempo del legame che permette di trasportare il ligando dall’altra parte della
membrana e avvenuto il trasporto viene liberato. Ci saranno quindi due diversi stadi
conformazionali: stato legato e stato libero.
Le proteine coinvolte nella diffusione facilitata sono proteine trasportatrici (proteine
carriers) o proteine canale:
- Proteine canali: proteine fisse lungo la membrana che hanno il compito di far
attraversare principalmente ioni, infatti sono spesso chiamati canali ionici. L’acqua
è una molecola neutra, però di fatto presenta un dipolo interno, fra i due atomi di
idrogeno si forma un angolo di 180°, ma forma una regione in cui avremo l’ossigeno
con la sua forte carica negativa e due protoni con la loro carica positiva, tant’è vero
che abbiamo parlato di potere di solvatazione dell’acqua, cioè l’acqua riesce a
sciogliere i sali perché va a formare una sorta di mantello attorno a ioni con carica
elettrica positiva, andandogli a mettere tutto attorno l’ossigeno; quelli invece con
carica elettrica negativa, posizionandogli attorno i protoni.
La stessa acqua quindi non si muove liberamente attraverso la membrana, che
invece è formata dalle code idrofobe, per poter passare dall’esterno all’interno e
viceversa, e quindi bilanciare i volumi, è necessario che ci siano dei canali, che sono
definite acquaporine (canali proteici che lasciano passare l’acqua). L’acquaporina
ha una struttura quadernaria, perché abbiamo la presenza di più subunità
proteiche per formare la proteina canale funzionale.
- Proteine trasportatrici: sono in grado di legare la molecola da trasportare,
muoversi all’interno della membrana per liberarla dall’altro lato, questo è il classico
movimento definito flip-flop. Può alternare 2 conformazioni: una con il sito di
legame esposto verso l’esterno della cellula; una con il sito di legame esposto verso
l’interno della cellula. Ci sono proteine che sono in grado di trasportare
contemporaneamente più sostanze, più molecole, più ioni:
o uniporto: lega e trasferisce dall’altra parte una sola molecola alla volta
o co-tra-sporto: trasportano contemporaneamente due molecole
o co-tra-sporto per simporto: se le due molecole vengono trasferite nella stessa
direzione
o co-tra-sporto per antiporto: se una molecola viene portata in una direzione e l’altra
nella direzione opposta (esempio pompa ionica sodio-potassio).
• Trasporti attivi:
Si fa riferimento a tutti quei trasporti che avvengono con dispendio di energia, dunque ciò
significa che è necessario l’intervento di trasportatori, cioè di proteine che possono avere
la capacità enzimatica, ATPasi, cioè la capacità di scindere atp; se un trasporto è attivo,
deve avvenire contro gradiente di concentrazione, quindi deve essere mediato da
proteine che sono in grado di ricavare energia che serve per il trasporto, bruciando atp.
Anche nel trasporto attivo si va incontro a saturazione dei trasportatori e specificità,
interazione proteine-ligando per brevi periodi, stati conformazionali e diversa affinità.
Tra la diffusione facilitata e il trasporto attivo, la differenza risiede solamente nella
necessità di spendere o meno energia per il trasporto.
Esistono due tipi di trasporti attivi:
➢ trasporti attivi primari: richiedono la scissione di energia perché il trasporto
avvenga.

➢ trasporti attivi secondari: dipendono dal traporto attivo primario, una volta che il
gradiente c’è, lo si sfrutta per far entrare qualcos’altro. Un esempio è il passaggio
sodio-glucosio: Na+ viene trasportato all’interno secondo gradiente; questo
trasporto produce un’energia che viene sfruttata dal glucosio per essere co-tra-
sportato per simporto contro gradiente.
Si parla di trasporti attivi ogni qualvolta c’è un trasporto contro gradiente di
concentrazione, con dispendio di energia e questo porta al trasporto attivo primario, ma
questo trasporto attivo creerà un gradiente di concentrazione, che verrà utilizzato per
internalizzare altre sostanze, ma questo rientro secondo gradiente, di fatto èun trasporto
attivo secondario perché il gradiente è stato creato con dispendio di energia.
Esempio di trasporto attivo: pompa ionica sodio-potassio (Na+/K+ )
È un co-tra-sporto per antiporto. La pompa ionica è una proteina di trasporto che è
presente a livello di tutte le membrane biologiche, ha il compito di legare
contemporaneamente ioni Na+ e ioni K+ .
Opera in antiporto: è vero che lega due diverse tipologie ioniche, ma le trasporta una
verso l’esterno della cellula, una verso l’interno. Pomperà 3Na+ all’esterno della membrana
plasmatica, 2K+ all’interno della membrana, il tutto mediato dall’atp. L’attività continua
di questa pompa ionica cosa genera una differenza di potenziale e quindi un gradiente di
concentrazione (o creato con un trasporto attivo primario, quindi con dispendio di energia
però il gradiente di concentrazione di suo permette di attraversare la membrana secondo
gradiente di concentrazione, chi sfrutta questo? Il glucosio), perché noi avremo tanti ioni
sodio fuori e tanti potassio dentro, ma la pompa ionica sodio-potassio continuerà a
lavorare imperterrita nonostante si sia venuto a creare il gradiente di concentrazione,
quindi è costretto ad operare un trasporto contro gradiente di concentrazione e con
dispendio energia.
La pompa ionica sodio-potassio opera quindi un trasporto attivo, quindi scinde ATP per
spingere ioni sodio all’esterno della cellula dove sono già altamente concentrati e ioni
potassio all’interno della cellula dove sono già altamente concentrati, quindi opero un
trasporto contro gradiente di concentrazione che necessita di dispendio di energia.
È vero che entrambi gli ioni sono con carica positiva, però 3 li portiamo all’esterno e 2 che
portiamo all’interno, quindi a cavallo della membrana si verrà a instaurare una differenza
di cariche elettriche che vede un accumulo di cariche elettriche positive fuori e un
accumulo di cariche negative dentro, prenderà il nome di potenziale di membrana, il cui
valore è -70/-90 Mv. Se con un elettrodo si calcola questo potenziale che vige a cavallo
della membrana, oscilla tra i -70/-90 Mv, al variare della tipologia cellulare (è alla base
della trasmissione dell’impulso nervoso, quando noi diciamo che il tessuto nervoso, manda
inpulsi nervosi, manda dei segnali che viaggiano lungo la M.P., sarà questo potenziale di
membrana che verrà alterato e si parlerà in quel caso di potenziale d’azione, ma la base è
la potenziale di membrana). Lungo le membrane plasmatiche di ciascuna delle nostre
cellule vige questo disequilibrio di cariche elettriche tra l’interno e l’esterno della cellula
con carica elettriche p. fuori per accumulo di ioni sodio che pompa fuori la pompa ionica
sodio-potassio e accumulo di cariche n. all’interno. Questo disequilibrio lo chiameremo
potenziale di membrana ed è mantenuto da un trasporto attivo operato dalla pompa
ionica sodio-potassio che lavora contro gradiente di concentrazione con dispendio di
energia.

• Esempio trasporto attivo con coinvolgimento delle vescicole:


➢ esocitosi: quando la cellula sintetizza e rilascia all’esterno
➢ endocitosi: quando la cellula deve internalizzare verso il citoplasma
Esocitosi: molto spesso quando la cellula quando sintetizza prodotti di secrezione
(ormoni), non li lascia fuoriuscire dalla membrana liberamente, ma li trattiene all’interno
di vescicole, le quali stazionano nel citoplasma fino a quando non arriva un input che dice
che li può rilasciare. Questo traffico vescicolare parte già dal RER, dove avverrà la sintesi
delle glicoproteine. Quando una cellula sintetizza qualcosa da portare all’esterno, questo
qualcosa il più delle volte è complesso (glicoproteine, glicolipidi), quindi passa
necessariamente dal reticolo endoplasmatico e dall’apparato del Golgi. Questi
trasferimenti avvengono all’interno di vescicole. L’apparato del golgi viene considerato il
centro di smistamento cellulare, tutto ciò che arriva nel golgi può poi essere smistato ed
andare in tre posti: all’esterno della cellula, alla membrana plasmatica o rimanere nel
citoplasma come lisosomi. Tutto ciò che deve essere portato all’esterno della cellula viene
portato con le vescicole che si portano in prossimità della membrana e si fondono con la
membrana stessa, quindi le membrane si fondono, e il prodotto che era contenuto nella
vescicola viene liberato all’esterno.
Endocitosi: la cellula che riceve questi segnali, che riceve queste molecole, che deve
internalizzare, invece farà il contrario: presenterà dei recettori di membrana che captano
la presenza di queste sostanze, quindi si devono endocitare le cose; quindi si formano delle
vescicole per endocitosi, cioè si staccano le vescicole dalla membrana plasmatica e verso il
citoplasma. Ciò che ha internalizzato la cellula lo deve digerire, dunque saranno i lisosomi (i
quali si occupano della digestione nella cellula) a farlo con i loro enzimi litici.
La vescicola che si forma per endocitosi andrà a fondersi con un lisosoma in modo da
digerire quello che è stato internalizzato. Questo continuo processo di esocitosi ed
endocitosi mantiene la membrana plasmatica in equilibrio. La dimensione della membrana
rimarrà costante perché quello che riceve da esocitosi, perde per endocitosi, quindi il
pezzetto di membrana che arriva con le vescicole, viene poi riutilizzato per formare nuove
vescicole, quindi c’è un rapporto di equilibrio definito dinamico, cioè c’è movimento a
cavallo di questa membrana ma il tutto è in equilibrio, ciò che perdo poi recupero.
- gemmazione: nel caso in cui i pezzetti di membrana vengono proprio ceduti
all’esterno. In questo caso abbiamo prodotti che vengono allontanati dalla cellula
non per esocitosi, si vengono proprio a formare delle vescicole che si staccano dalla
membrana plasmatica e si portano all’esterno della cellula. Il prodotto che deve
essere portato all’esterno viene eliminato con un pezzo di membrana della cellula
stessa, quindi si forma questa gemma che lascia la cellula stessa.
Tipi di endocitosi:
➢ pinocitosi: quando internalizza sostanze disciolte nell’acqua. L’obiettivo non è
l’acqua, ma è il soluto e quello che c’è disciolto nell’acqua, è il micronutriente che
mi serve dall’esterno; nel formare la vescicola da portare dentro, non sono in grado
di discriminare, le dimensioni sono piccole e quindi internalizza le sostanze insieme
all’acqua.
➢ diacitosi: avviene a carico degli endoteli, negli endoteli i vasi sanguigni e i capillari
da un lato ricevono il glucosio e dall’altro lato lo devono cedere, da un lato ricevono
gas respiratori e dall’altro li devono lasciare. Quindi sono le stesse cellule a fare
endocitosi ed esocitosi, quindi in questo caso si parla di cellule in grado di fare
diacitosi, cioè operano entrambi le tipolgie di trasporto, internalizzano e cedono.
➢ fagocitosi: quando la cellula internalizza sostanze parti di cellule, qualcosa di grosse
dimensioni. Questo avviene ad esempio nei globuli bianchi, quindi primi fra tutti i
macrofagi, i quali sono le cellule spazzine perché devono digerire i batteri (cellule
intere) e sostanze che vengono conosciute come antigeni e quindi come tali
vengono oxonizati, ovvero vengono completamente rivestititi dagli anticorpi. Tutto
ciò che di estraneo (antigene) viene inglobato e viene riconosciuto come estraneo e
quindi fagocitato dai macrofagi.
➢ endocitosi mediata da recettore: avviene quando la sostanza da internalizzare è
presente con concentrazioni bassissime, ma la sua presenza all’interno del
citoplasma cellulare è indispensabile per il corretto funzionamento e per la corretta
vitalità della cellula. La cellula deve necessariamente utilizzare dei recettori di
membrana che siano in grado di captare anche le concentrazioni più basse di quella
sostanza per poterla legare con certezza e internalizzare. Quindi è sempre un
endocitosi perché sta internalizzando, ma con l’ausilio dei recettori di membrana, i
quali sporgono verso l’ambiente exstracellulare, captano la presenza del ligando,
una volta avvenuto il legame tra il ligando-recettore, ecco che si viene a formare
una vescicola.
Oltre ad esserci i recettori per il ligando specifico, c’è una proteina che prende il
nome di clatrina che si trova a ridosso della membrana plasmatica, sul versante
citoplasmatico; il compito dalla clatrina sarà quello di accellerare il processo di
invaginazione (formazione della vescicola).
- La clatrina è una proteina formata da tre bracci, quindi assume un aspetto triscele,
proprio perché ricorda il simbolo della trinacria.
Ogni triscele (o trischelion) è formato da polimeri di clatrina, dove i tre bracci
prendono la presenza di tre catene lunghe e tre catene corte.
Nel momento in cui si deve venire a formare la vescicola ammantata da clatrina,
questi trisceli polimerizzano tra loro andando a formare un cestello di clatrina che
forma un mantello intorno alla nostra vescicola. Quindi il compito è di,
polemiralizzando, di tirare più rapidamente giù la vescicola, informazione, quindi
accellelare la velocità di endocitosi.

Ci sono diversi passaggi nell’endocitosi mediata da recettore: tutto ciò che la cellula
internalizza per endocitosi, va poi a fondersi con il lisosoma in modo che avvenga la
digestione e venga liberata la sostanza internalizzata. Ma nell’endocitosi mediata
da recettori c’è un passaggio in più.
Situazione di partenza: la membrana plasmatica che presenta i recettori specifici e
la clatrina, nel momento in cui è avvenuto il riconoscimento ligando-recettore ecco
che si comincia a invaginare (la membrana plasmatica). Questa invaginazione è
accellerata dalla presenza di questa clatrina che sul versante citoplasmatico
polimerizza, lega tra loro andando a formare una sorta di struttura a canestro che
tira verso l’interno la vescicola; nel momento in cui questa vescicola si è formata,
vedremo all’esterno della vescicola stessa un manto proteico di clatrina che lo
avvolge fino a far chiudere la vescicola, all’interno vedremo il ligando che è ancora
legato al recettore. Una volta che si forma la vescicola, la clatrina viene eliminata.
Conoscendo la politica della cellula che non consuma niente e non butta via niente, questa
vescicola non può andare incontro così com’è alla lisi, non si può fondere con un lisosoma,
la cellula non si permette il lusso di lisare e quindi perdere i recettori.
Infatti una volta all’esterno della cellula, si viene a formare una vescicola particolare che
prende il nome di Curl (è l’acronimo inglese di comparto, di dissociazione del ligando dal
recettore). Avviene una scissione di questa vescicola in due metà:
- la porzione che contiene i recettori torna alla membrana, si fonde con la membrana
e quindi i recettori di membrana (cioè ripristina questa situazione) vengono di
nuovo esposti e nuovamente legare il ligando.
- La componente che presente il ligando può andare incontro a fusione con il
lisosoma, quindi può andare incontro a digestione.
La clatrina una volta finito il suo compito di accellelare il processo di formazione della
vescicola, la clatrina torna a dissociarsi nelle subunità e torna a ridosso della membrana.
Anche il recettore viene recuperato e torna alla membrana, mentre il ligando si fonde con
il lisosoma e verrà digerito, cioè liberato nel citoplasma per essere utilizzato.
Esempi di ligandi che necessitano di questo tipo di internalizzazione e che sono presenti in
basse ma sono indispensabili per il funzionamento cellulare tanto da richiedere la presenza
di recettori specifici e da richiedere la presenza della clatrina e quindi la dissociazione del
ligando dal recettore per il recupero dei recettori, sono:
- Ferro: senza il Fe l’emoglobina non è in grado di legare l’ossigeno e i nostri globuli rossi
non funzionerebbero, quindi il ferro necessita di essere captato dalla cellula e recuperato,
non può essere eliminato, è un oligoelemento indispensabile
- Colesterolo: quello buono deve essere reinternalizzato, deve essere recuperato dalla
cellula, serve per il corretto funzionamento in tutte le membrane biologiche. Presenta una
struttura chiamata Apo B, (ovvero la porzione che viene riconosciuta dal recettore
specifico della membrana per il colesterolo), per questo Apo B la membrana presenterà dei
recettori specifici; una volta che si ha questo riconoscimento Apo B-recettore si avvierà
l’endocitosi mediata da recettore.
Specializzazioni della membrana
La membrana plasmatica può dar vita a delle specializzazioni che si hanno o a carico delle
membrane laterali, della membrana basale o a carico della superfice libera. Questo accade
nelle cellule che presenteranno una polarità, le cellule epiteliali, poiché quest’ultime
poggeranno sul connettivo sottostante e rivestono sia l’interno che l’esterno di organi.
La porzione apicale guarda l’esterno, guarda le cavità corporee, le superfici libere. Le
parti invece laterali della membrana prendono contatto con le cellule adiacenti.
1. Specializzazioni della porzione libera della membrana: villi, i quali aumentano la
superficie per l’assorbimento si sostanze nel tratto intesinale insieme ai microvilli,
all’orletto striato o orletto a spazzola (quello più comune). Sono sorretti dai
microfilamenti actimi. Esse sono evaginazioni ed estroflessioni della membrana
plasmatica.
2. Specializzazione della superificie basale della membrana: lamina basale, la quale è
una specializzazione del glicocalice.
3. Specializzazioni della porzione laterale della membrana: giunzioni cellulari
La membrana basale è costituita da 3 strati:
- Lamina lucida: è quella a ridosso della cellula, di natura proteica. Composta da tre
proteine: laminina, entactina e integrine.
- Lamina densa: si trova al di sotto della lamina lucida, composta da un reta di fibre
collagene di tipo IV rivestita da proteoglicani. La porzione a contatto con la lamina
reticolare possiede fibronectina.
- Lamina reticolare: composta da fibre collagene di tipo I e III.
Giunzione tipica della porzione basale:

Emidesmosomi: sistemi giunzionali che connettono la cellula epiteliale alla membrana


basale. È la metà speculare di un desmosoma, mezza giunzione aderente.
Giunzioni lungo la porzione laterale della membrana:
le cellule epiteliali non sono solo aderenti le une alle altre, ma tra le loro membrane delle
regioni cellulari a stretto contatto, si stabiliscono giunzioni cellulari.

• Giunzioni occludenti: vedono il coinvolgimento delle proteine (vengono sintetizzate


da ciascuna cellula coinvolta) che fanno aderire le due membrane delle cellule
adiacenti, in questo modo occludono lo spazio intermembrana, quindi impediscono
a sostanze perlopiù liquide di scendere tra le cellule. Questo tipo di giunzioni
diventono di fondamentale importanza nello stomaco, nel qual accade la digestione
a opera di succhi gastrici che rendono il ph dello stomaco pari a 2, fortemente acido;
mentre lo stomaco è in grado di proteggersi perché ci sarà uno strato di cellule
mucose in grado di produrre muco che formano proprio un film vischioso, le cellule
sottostanti non sono in grado di vivere a contatto con un ph cosi acido, quindi a
livello dell’epitelio dello stomaco, la presenza delle giunzioni occludenti è di
fondamentale importanza perché i succhi che portano la digestione nello stomaco
non scendano negli strati cellulari sottostanti, qualora questo dovesse acccadere si
forma l’ulcera ( in questo caso si prendono quelle bustine che sono proprio
vischiose, perché hanno il compito di formare questo film che faccia scivolare i
succhi e che vada a impermealizzare l’epitelio.)
• giunzioni aderenti: hanno il compito di resistere alle sollecitazioni meccaniche,
grazie alla sintesi di proteine che formano le cosiddete placche di adesione. Coloro
che aderiranno a queste placche citoplasmatiche sono i filamenti intermedi (sono
stabili, ci sono sempre in qualunque momento della vita cellulare, sono di natura
filamentosa, non sonosoggetti a polemerizzazioni e depolemerizzazioni, sono corde
robuste). Se una cellula vuole aderire saldamente alla sua vicina, il miglior sistema è
quello di creare una continuità tra i filamenti intermedi di una cellula e i quelli della
cellula adiacente in modo da creare una struttura continua che saldamente
trattiene unite le cellule.
I principali rappresentanti delle giunzioni aderenti sono i desmosomi: in essi
ciascuna cellula sintentizza la propria placca di adesione.
• giunzioni comunicanti: il loro ruolo è quello di consentire il fluire diretto di
informazioni da una cellula ad una cellula vicina. Questo è possibile grazie a delle
proteine canale, i connessoni. Questi canali garantiscono il passaggio di piccoli ioni
da una cellula all’altra senza interruzione, senza intervalli temporali.
Esempio: il cuore riesce a contrarsi e si lassa tutto assieme grazie ai dischi
intercalari, che sono delle aree di giunzione di contatto lungo le quali l’informazione
che dice al cuore che si deve contrarre viaggia come se fosse un’unica grande
cellula, perché l’inpulso parte dal punto di insorgenza e si propaga per tutto il cuore
grazie a questo tipo di giunzioni che non creano impedimento.
La cellula
Nelle cellule eucariote troviamo:
- nucleo: che è una piccola area di citoplasma circoscritta dall’involucro nucleare;
gestisce tutte le funzioni cellulari, perché è qui che troviamo gli acidi nucleici
quindi è qui che vengono prese le decisioni di duplicazione, di trascrizione e quindi
di avvio di sintesi proteica.
- citoplasma: avvengono tutte le attività metaboliche e sintetiche, le decisioni
vengono prese nel nucleo, ma il lavoro viene svilppato nel citoplasma. È nel
citoplasma che troveremo tutti gli organuli e tutti i sistemi membranosi.
Citoplasma:
- Ialoplasma o citoplasma fondamentale→ citosol (fase otticamente vuota al M.O)
Ribosomi
Reticolo endoplasmatico
Apparato del Golgi
Lisosomi
Vacuoli
- Organuli → mitocondri
Cloroplasti
Centrioli
- Inclusioni→ granuli di glicogeno
Lipidi
pigmenti
SISTEMI MEMBRANOSI
Sono tutti quei sistemi di membrane interne al citoplasma:
- Reticolo endoplasmatico
- Involucro nucleare: è una cisterna espansa del reticolo endoplasmatico granulare,
quindi è ovvio che lo stesso Involucro nucleare rientri nei sistemi membranosi.
- Apparato del Golgi
Organuli che originano del sistemi membranosi sono:
- lisosomi: digeriscono perché consentono enzimi litici, si staccano da quella che è
la faccia cis dell’apparato del Golgi
- Perossisomi: intervengono a detossificare il perossido di idrogeno.
Reticolo endoplasmatico
È una rete tridimensionale di cavità intercomunicanti delimitata dalla membrana unitaria.
Le strutture che si vengono ad organizzare sono:
Fase interna: - cisterne
- tubuli
- vescicole
Ciascuna cisterna, ciascun sistema tubulare, ciascuna vescicola delimita:
Fase esterna o matriciale, cioè la porzione della matrice.

Funzioni reticolo endoplasmatico granulare (RER)


- Scambi di sostanze che possono avvenire per trasporto attivo o per diffusione.
- Processi di glicosilazione: processo che porta alla sintesi di glicoproteine avviene a
carico dei ribosomi adesi al RER, quindi sarà il RER ad essere adibito alla sintesi di
glicoproteine. Queste ultime non sono semplici proteine, non sono solo formati solo
da amminoacidi, a queste proteine vengono aggiunte delle porzioni glucidiche.
Questo di rimaneggiamento e di folling strutturale termina nell’apparato del Golgi,
però il processo di aggregazioni di porzioni non proteiche avviene nelle cisterne del
RER. I ribosomi liberi nel citoplasma non lo possono fare perché il loro compito è
leggere i codoni e agganciare l’amminoacido corrispondente, quindi operano la
sintesi della proteina.
I ribosomi in una cellula si possono trovare sia adesi al RER (sintetizzano prodotti che
devono essere glicosilati) sia liberi nel citoplasma (sintetizzano proteine, enzimi tutto ciò
che è esclusivamente in forma proteica e deve rimanere nella cellula), la loro funzione in
entrambi i casi è la di sintesi proteica. Differenza tra le proteine sintetizzate dai ribosomi
liberi nel citoplasma e quelle proteine sintetizzate dai ribosomi adesi al reticolo è la
destinazione delle proteine.
L’apparato del Golgi smista in tre diverse direzioni: verso l’esterno della cellula e quindi
sono prodotti di secrezione(ormoni), o li manda alla membrana e diventano proteine di
membrana oppure li mandano alla cellula sotto forma di lisosomi (enzimi litici che
rimangono all’interno di queste vescicole). Ma in tutti e tre i casi le proteine che vengono
sintetizzate non sono proteine semplici formate solo da amminoacidi, ma sono
glicoproteine.
- Sintesi di proteine, enzimi, lisosomi e perossisomi. Con ‘’ enzimi litici’’ si fa
riferimento a quegli enzimi che devono stare dentroi lisosomi, e con ‘’proteine ad
attività enzimatica’’ si fa riferimento a quelle che stanno dentro i perossisomi.
Tanto gli uni quanto gli altri origineranno si formano inizialmente nel RER dove
appunto inizia questo processo di glicosilazione, di rimaneggiamento e in un
secondo momento vengono mandati al Golgi perché si completi tutto il processo e
si occupi di smistarlo.
- Processi di eliminazione e di accumulo: esempio→ ormoni. Essi non vengono secreti
man mano che vengono prodotti, ma ci sono dei sistemi di controlli a feedback. Gli
ormoni vengono secreti e mantenuti da sistemi a feedback. Gli ormoni si formano a
partire dal DNA il quale viene trascritto, il ribosoma sintetizza, nel Reticolo
endoplasmatico viene glicosilato, passa all’apparato del Golgi il quale lo libera
all’interno delle vescicole, quindi le vescicole stazionano a ridosso della membrana,
ma non vengono rilasciati, stazionano lì finchè non arriverà l’input che dice che può
rilasciarli perché gli servono gli ormoni. In quel caso opera un processo di accumulo.
I processi di eliminazione: esocitosi, viene riversato all’esterno.
- Processi di assunzione: si fa riferimento all’ endocitosi (che sia fagocitosi o
pinocitosi), la cellula una volta immagazzinata si va a fondere con i lisosomi, i quali
sono stati prodotti dall’apparato del Golgi, ma all’interno troviamo gli enzimi litici
che li ha prodotti il reticolo endoplasmatico.

Funzioni del reticolo endoplasmatico liscio (REL)


Il REL non modifica prodotti proteici (come il RER), bensì prodotti lipidici e in questo caso il
glicogeno.
- metabolismo del glicogeno: Il REL regola l’equilibrio tra glicogenesi e glicogenolisi.
Il glicogeno è un polisaccaride dato da monomeri di glucosio, viene sintetizzato
quando assumiamo più zuccheri di quelli che dovremmo con la dieta, pertanto la
cellula lo mette da parte come fonte di riserva energetica. Affinchè i monomeri di
glucosio si leghino tra loro è necessario che ci sia la sintesi di enzimi che catalizzano
questo tipo di reazione, questa via metabolica è nota come glicogenesi che è
l’origine del glicogeno.
Al contrario, se siamo in un calo ipoglicemico e abbiamo bisogno di glucosio, ci sarà la
scissione del glicogeno per restituire zucchero nei momenti di carestia, di dieta, quando
andiamo in riserva (glicogenolisi).
Il metabolismo del glicogeno è proprio mantenuto dal reticolo endoplasmaico liscio.
- metabolismo dei lipidi e biosintesi degli ormoni steroidei: il REL lo troviamo
particolarmente sviluppato (più del REG) nelle ghiandole a secrezione steroidea. Gli
ormoni possono essere di natura proteica o lipidica, quando sono di natura lipidica
si definiscono steroidei; la parte proteica è legata al REG, la parte steroidea è gestita
dal REL.
Il reticolo endoplasmatico è presente in tutti i tipi cellulare, però in base alla funzione
fisiologica del tipo cellulare noi troveremo più sviluppata la porzione granulare rispetto a
quella liscia e viceversa.
- Processi di idrossilazione e deaminazione : sono meccanismi chimici che portano
alla detossificazione dei principi attivi, di tutti i composti tossici con i quali veniamo
a contatto. Tutto questo avviene nel fegato, infatti nelle cellule epatiche la porzione
di reticolo endoplasmatico più sviluppato è quello liscio, perchè sono enzimi che
vengono sintetizzati dal REL che intervengono nell’operare questi processi di
detossificazione.
- Sede di potenziali elettrici: i muscoli volontari si contraggono e si rilassano in
risposta a stimoli che arrivano dal sistema nervoso centrale. Perché si abbia la
contrazione delle miofibrille, ci deve essere energia e calcio, e colui che si occuperà
di accumulare calcio sarà il REL, che funge da deposito di ioni calcio. Nel momento il
cui il calcio servirà, il REL lo lascerà uscire e servirà a gestire la contrazione, quando
non serve più viene incamerato all’interno del REL.
Continuità tra reticolo endoplasmatico granulare e involucro nucleare: L’involucro nucleare
non è altro che una cisterna espansa del reticolo endoplasmatico granulare il quale si
continua con quello liscio perché non esiste l’una senza l’altra porzione. Il reticolo
endoplasmatico tutto nella sua interezza è granulare e liscio, però in ogni tipologia
cellulare in base alla sua funzione fisiologica troveremo sviluppata una o l’altra porzione.
Differenza dal punto di vista anatomico tra REL e REG: organizzazione
- granulare: fatto da una serie di cisterne comunicanti tra loro, infilate le une sulle
altre con le vescicole che garantiscono la progressione del prodotto che viene
secreto da una cisterna alla successiva. Le cisterne appaiono come tanti puntini che
noi oggi sappiamo essere ribosomi adesi alle cisterne.
- liscio: formato da un sistema di tubuli interconnessi tra loro. Nel caso del R.E.L sono
dei sistemi di tubuli che si interconnettano tra loro. Sono strutture tubulari.
Composizione chimica del REL e REG:
Omogenizzazione: separazione dei componenti della cellula attraverso centrifugazioni del
nostro campione. Quando si studia il R.E con l’omogenizzazione, questo si rovina, non
riesce a mantenere la sua struttura, si frammenta in microsomi, cioè dei piccoli corpi fatti
da membrana ma con adesi tutti i ribosomi.
Se si utilizza un detergente che va a lisare le membrane plasmatiche, ecco che nel fondo
della nostra provetta rimane solo la componente ribosomiale.
Questo è il metodo che è stato utilizzato all’inizio degli studi per capire come fosse fatto il
reticolo endoplasmatico granulare. Questo tipo di test viene fatto anche oggi per studiare
i processi di sintesi, di detossificazione nei quali sono coinvolti.
Dunque per seguire il destino di una glicoproteina bisogna marcare gli amminoacidi che
servono per la sintesi di quella glicoproteina o marcare residui glucidici che serviranno per
la sua glicosilazione, per cui si vedrà inizialmente la marcatura localizzata a livello del REG,
poco tempo dopo la marcatura è nell’apparato del golgi ed è nelle vescicole, se lo si guarda
ancora dopo si vede già che è in esocitosi. Quindi questi sono i cosiddetti test di marcatura
per capire quali sono i comparti citoplasmatici coinvolti in questo processo.

Ribosomi
I ribosomi adesi al RE sono quelli che si occupano di sintetizzare le glicoproteine, perché
all’interno delle cisterne avverà la glicosilazione.
Il ribosoma che lega la molecola di RNA messaggero e inizia la sintesi proteica, sa se quella
proteina deve essere internalizzata nella cisterna del RER o deve essere lasciata libera nel
citoplasma tramite una sequenza segnale. Quando le proteine devono essere glicosilate, il
trascritto, quindi l’RNA messsaggero porta un primo pezzetto di informazione che porta alla
sintesi del cosiddetto peptide segnale, cioè un pezzetto di proteina che fa capire al ribosoma
che la proteina stessa si deve legare ai recettori presenti sulle membrane delle cisterne del
RER. Se questo piccolo segnale c’è, allora il ribosoma capisce che quella proteina deve essere
glicosilata e quindi il ribosoma aderisce al RE, sulla membrane delle cisterne ci saranno
presente dei recettori per questo peptide segnale, avvenuto il riconoscimento, la proteina (che
il nostro ribosoma sta sintetizzando) verrà trasferita all’interno delle cisterne del RER, una
volta all’interno si avvia il processo di glicosilazione; quindi la proteine non sarà una proteina
semplice, ma una proteina glicosilata, con la presenza di residui glucidici.
Se il peptide segnale non c’è, significa che la proteina deve rimanere nel citoplasma, è una
proteina semplice perché è costituita in maniere pura ed esclusiva da amminoacidi; quindi
non aderisce al RE, resta nel citoplasma, termina la sintesi, libera la proteina.
Gli attori di questo processo di sintesi sono i ribosomi.
I ribosomi sono formati da proteine e RNA ribosomiale.
Sono presenti sia nelle cellule eucariote e sia in quelle procariote:
Eucarioti
Luogo d’origine→nucleolo, piccolo addensamento all’interno del nucleo.
I ribosomo negli eucarioti si possono trovare liberi nel citoplasma, aggregati a formare i
polisomi (più ribosomi uniti tra loro) e associati alla membrana del RE.
Procarioti
Luogo d’origine→ a livello del nucloide, genoforo.
I ribosomi nei procarioti li troviamo liberi nel citoplasma, associati a leggere la stessa
molecola di RNA messaggero prima di formare i polisomi.
I procarioti non hanno il REG, quindi i ribosomi vengono associati alla membrana plasmatica (
l’unica membrana che hanno l’utilizzano sia per far aderire i ribosomi, sia per formare atp, i
procarioti non avranno mitocrondi).
Differenze ribosomi dei procarioti e ribosomi degli eucarioti
Le differenze sono in termini di unità di sedimentazione, unità svedberg. Le differenze
dipendono dal tipo di RNA ribosomiale che entra nella composizione chimica e dal numero di
proteine associate.
- Nei procarioti abbiamo un ribosoma intero che è chiamato 70s (svedberg) che invece
vede dissociate le due subunità come una 50s e una 30s. S sta per svedberg, dal
ricercatore che ha studiato questa cosa, ha studiato in quanto tempo le nostre subunità
ribosomiali vanno a sedimentare sul fondo. La cosa particolare che venne fuori è che se
si lasciano sedimentare le singole subunità, la maggiore sedimenta il 50s, la minore il
30s, quindi ci si aspettava che assieme sedimentassero 80s… invece quando sono unite
sedimentano il 70s, quindi più rapidamente. Questo perché quando le due subunità
sono unite assieme, creano meno impedimento sterico, quindi creano meno attrito
durante la sedimentazione e vanno giù rapidamente.
- Negli eucarioti abbiamo un ribosoma intero chiamato 80s, dato dall’insieme di due
subunita: la maggiore 60s e la minore 40s. Insieme risulterebbe 100s, invece quando le
due subunità sono unite sedimentano più rapidamente ancora una volta perché danno
meno attrito e quindi sedimentano in 80s.
Questi diversi pesi e questi diversi tempi di sedimentazione vanno attribuiti alla composizione
chimica.
Composizione chimica
- Nei procarioti troviamo per la subunità maggiore 2 molecole di RNA ribosomiale. 49
proteine circa
- Negli eucarioti troviamo per la subunità maggiore 3 molecole di RNA ribosomiale.
34 proteine circa.
Nei procarioti non c’è una differenza spaziale e temporale tra la trascrizione e la sintesi
proteici, perché mano mano che avviene la trascrizione , avviene anche la sintesi proteica,
avvengono contemporaneamente, non ci sono compartimentazioni. Al centro abbiamo la
molecola di DNA, mano mano che viene trascritta, contemporaneamente i ribosomi si
legano per la sintesi proteica. Avvengono contestualmente per 2 motivi: 1. Non c’è nucleo
e quindi non c’è una separazione fisica. 2. Non esistono introni nel genoma batterico e
quindi non si deve andare nell’RNA messaggero, è già maturo in seguito al processo di
trascrizione.

Negli eucarioti il processo di trascrizione avviene nel nucleo, una volta terminata la
trascrizione è necessaria la maturazione del nostro RNA, il quale è di nuova sintesi, è
chiamiamo RNA eterogeneo perché costituito da entroni ed esoni; quindi verranno rimossi
gli entroni, verranno risaldati assieme gli esoni, verrà aggiunta la coda poli(a) e il cappuccio
dall’altra parte; solo a questo punto l’RNA messaggero maturo può uscire dal nucleo e
passare nel citoplasma dove avverrà la sintesi proteica.Quindi la trascrizione è circoscritta
al nucleo, avviene temporalmente prima e spazialmente nel nucleo , la sintesi proteica
avviene dopo la traslocazione del nostro RNA messaggero maturo e nel citoplasma.
Differenza in termini di tempo e sede.
I ribosomi dal punto di vista strutturale:
sono formati da 2 subunità: una subunità minore e una subunità maggiore. Queste due
subunità risulteranno associate a formare il ribosoma intero solo durante il processo di
sintesi proteica, solo quando devono leggere il filamento di Mrna, terminata la loro
frazione di lettura e sintesi proteica, le subunità si dissociano.
Tra le due subunità c’è un alloggiamento per il filamento di Mrna che prende il nome di
solco, perché è lì che si deve posizionare il filamento di mRNA perché non venga
schiacciato quando le due subunità si ricongiungono.
Una volta trascritto, l’ mRNA non ha vita lunga, ha una vita molto breve, infatti prima che
l’mRNA passi nel citoplasma, per proteggersi dalla degradazione, alle due estremità
aggancia a un’estremità un cappuccio e nell’estremità opposta una coda poli(a). Aggiunge
tante delinee perché una volta che passa nel citoplasma, è immediatamente oggetto di
attacchi enzimatici, quindi queste due estremità ‘’proteiche’’ danno il tempo al ribosoma di
leggere l’informazione e sintetizzare la proteine.
Più ribosomi possono leggere la stessa molecola di RNA messaggero in modo da
sintetizzare più copie della proteina, sfruttando lo stesso messaggio. Ma non tutti i
ribosomi insieme, quindi uno si lega e parte con la sintesi, nel momento in cui quel
ribosoma libera il codone d’inizio AUG, ecco che ne può arrivare un altro ribosoma e
comincia da quel punto in poi la sintesi, quando questo si allontana e libera il codone di
inizio, e può arrivare un altro ribosoma, quindi il risultato sarà quello di avere una molecola
di RNA messaggero che vede in punti diversi legati più ribosomi, questa struttura di un
unico filamento di RNA con più ribosomi adesi, prende il nome di polisoma (più corpi sulla
stessa molecola di RNA).
Sintesi proteica o traduzione
Gli attori sono: mRNA , ribosoma, tRNA → struttura a quadrifoglio: uno stelo accettore e la
presenza di 3 anse. Stello accettore: lega l’amminoacido. Ansa dell’anticode serve a legarsi
al codone dell’Mrna maturo. All’interno del ribosoma si trovano due siti:
- un sito A sta per sito ‘’amminoacidico’’, è il sito esposto, quello di nuova lettura;
cioè il ribosoma lega il codone, arriva il tRNA verifica che sia quello giusto il codone,
se è giusto il ribosoma si lega e avanza; quindi legge un nuovo codone, quindi
espone un nuovo sito A cioè quello che aspetta l’amminoacido nuovo;
nel momento in cui Il tRNA arriva col suo anti codone e verifica che ci sia
complementarietà col codone esposto, si lega il tRNA e il ribosoma farà un nuovo
passo e leggerà un nuovo codone. Tra le due molecole di tRNA che c’erano già
legate avviene il legami peptidico tra i due amminoacidi adiacenti.
Quando il ribosoma avanza di un nuovo codone, succede che il tRNA che occupava
il sito A, passerà al sito P, quello che occupava il sito P verrà eliminato libero,
scarico. Sarà l’ultimo tRNA a farsi carico di entrambi gli amminoacidi preceduti, e
andrà ad occupare il sito P, perché P sta per ‘’peptidico’’, vuol dire che è il sito
dove c’è il tRNA che si porta tutta la catena proteica che si è fino a quel momento
formata (non l’amminoacido singolo che è appena arrivato), che si è formata per
formazione peptidico tra amminoacidi.
Come si fa a sapere che l’RNA di trasporto che sta arrivando porte l’amminoacido giusto?
Perché c’è complementarietà tra il codone dell’RNA messaggero (AUG) e l’anticode
(UAG).
- Se questa complementarietà non c’è, l’RNA transfert si allontanerà e il ribosoma
resta fermo finchè non arriva quello giusto.
- Se c’è questa complementarietà allora stanno trasportando l’amminoacido giusto,
l’RNA transfert forma il legame anti-codone e si ferma, il ribosoma avanza per
andare a leggere il codone successivo.
Nel momento in cui espone il codone successivo, il meccanismo di riconoscimento sarà
identico, quindi si avvicina una nuova molecola di RNA transfert, verifica la
complementarietà codone-anticodone, se c’è ecco che si avvia la sintesi delle proteine
perché troveremo legati 2 RNA transfert con 2 amminoacidi vicini.
Tra gli amminoacidi affinchè si formi la proteina, si formerà un legame peptidico, quindi
si avvia l’allungamento della catena, che si allunga leggendo codone dopo codone e
aggiungendo amminoacido dopo amminoacido per tutta la catena.
Chi si farà carico della proteina?
A farsi carico della proteina è sempre l’ultima molecola di RNA transfert che si tiene il
suo amminoacido e quelli precedenti e così via fino al suo termina.
Complesso del Golgi
Si trova subito dopo RE, si occupa smistare i prodotti di sintesi, quindi:
- Stazione intermedia nel trasporto di prodotti di secrezione proteica: vengono
sintetizzati nel REG, arrivano nel Golgi tramite vescicole, dal golgi vengono smistati
all’interno di vescicole che vanno alla membrana plasmatica per rimanere come
glicoproteine, o all’esterno della membrana quindi con prodotti di esocitosi oppure
possono rimanere nel citoplasma come lisosomi.
- Sede di elaborazione di alcuni polisaccaridi, glicosaminoglicani.
- Sede di associazione della componenti carboidratica con proteine: questo è perché
va a ultimare il processo di glicosilazione che si è avviato nel REG.
- Sintesi ed escrezione della cellulosa e pectina.
- Sintesi polisaccaridi e proteoglicani della sostanza fondamentale.
- Sede di formazione di acrosoma (grossa vescicola che contiene enzimi litici).
L’apparato del golgi si divide in 3 regioni:
- Porzione cis: è la faccia rivolta verso i RE, quindi è la faccia che accoglie le vescicole
dal RER.
- Porzione intermedia
- Porzione trans: quella che guarda la membrana plasmatica, è la zona in cui le
vescicolesi separano e si dirigono ai loro distretti.
Continuità del traffico vescicolare
Ha inizio nel REG, da dove si staccano le vescicole che arrivano alla faccia cis del Golgi ,
arrivano nell’ultima faccia e da qui seguono le 3 direzioni.
Esistono però due teorie sulla progressione dei prodotti:
- modello di trasporto mediato da vescicole, MODELLO ACCREDITATO.
- progressione delle cisterne: si ipotizza che tutte le vescicole in arrivo dal REG, si
fondano tutte assieme per andare a formare la faccia cis dell’apparato del golgi, e
che siano le intere cisterne ad avanzare fino poi a gemmare, a frammentarsi in
vescicole per andare incontro a esocitosi. Ad ogni nuovo arrivo di vescicole dal REG,
queste si fondono e formano una nuova faccia cis, che spinge su, fa progredire le
cisterne preesistenti.
L’apparato del Golgi è centro di smistamento, smista verso 3 direzioni perché:
- o produce enzimi litici che restano sotto forma di lisosomi nel citoplasma
- o produce proteine di membrana, le glicoproteine con attività recettoriale che
vanno e restano nella membrana
- o sono prodotti di secrezione che vanno per esocitosi fuori.
Mentre i prodotti di secrezione e le glicoproteine di membrana fuoriescono maturi dalla
faccia trans, gli enzimi litici fuoriescono già maturi come lisosomi dalla faccia cis. È l’unica
eccezione, perché si organizza quell’ambiente fortemente acido che serve per la
funzionalità dei lisosomi già nella faccia cis, quindi la progressione nelle altre facce
porterebbe alla digestione dello stesso apparato del Golgi, quindi si maturano e i lisosomi
fuoriescono come tali dalla faccia cis.
Forme varie di secrezione proteica
Secrezione costitutiva: la secrezione avviene subito dopo la formazione delle vescicole.
Costitutiva perché avviene in maniera continua e senza controllo (cioè la cellula
costantemente sintetizza la proteina, questa viene glicosilata, passa nell’apparato del golgi,
vescicole e viene smistata.).
Secrezione regolata: quando il prodotto di secrezione (una volta sintetizzato, una volta
glicosilato, una volta modificato e smistato) viene accumulato nelle vescicole a ridosso
della membrana in attesa che arrivi l’input per il rilascio. Esempio negli ormoni, nei
neutrasmettitori a livello delle cellule nervose.
Mitocondri
Sono definiti tipici della respirazione cellulare, sono semiautonomi, sono gli unici organuli
delimitati da una doppia membrana.
Composizione lipoproteica
Proteine (65-70%) si dividono in:
- proteine strutturali: tipiche della struttura delle membrane biologiche.
- enzimi: sono sedi del metabolismo cellulare, è lì che avvengono le trasformazioni, è
lì che avvengono quelle reazioni che porteranno alla produzione di ATP e perlopiù
tutte le reazioni sono catalizzate da enzimi.
Lipidi si suddividono in:
- Fosfolipidi: costituiscono l’ossatura delle membrane plasmatiche
- Colesterolo: si infila tra le code idrofobe di questi fosfolipidi per mantenerne la
struttura fluida.
Nucleotidi
- DNA- RNA: presenza di un DNA MITOCONDRIALE che rende la vita del mitocondrio
semiautonoma. Sono in grado di utilizzare il proprio genoma per avere informazioni
utili per le proteine e per gli enzimi che si trovano a livello mitocondriale.
Pecularietà: la molecola di DNA è circolare (esso si spiega dall’origine del
mitocondrio→ teoria endosimbiontica).
Sono in grado di dividersi autonomamente rispetto alla cellula che li ospita, si
dividono indipendentemente dalla divisione cellulare, si dividono se serve un
maggior quantitativo di energia. Aumentano il loro numero in maniera funzionale.
Definiti a vita semiautonoma, quindi le informazioni contenute nella molecola di DNA
circolare, non sono sufficienti per tutte le proteine per tutti gli enzimi che servono a livello
mitocondriale. Il mitocondrio non vive come un’isola felice all’interno della cellula, ma
deve interagire con il resto della cellula. Dipende dal nucleo la sintesi di parte di proteine
che poi dovranno operare all’interno del mitocondrio, non è del tutto autonomo, deve
comunque sottostare al regime che vige all’interno della cellula.
ATP e ADP: rispettivamente la molecola energetica per eccellenza della cellula e la
forma che viene come risultato della scissione di ATP.
- NAD e FAD: trasportatori di elettroni che vengono liberati durante le varie reazioni
metaboliche della respirazione cellulare. Il NAD esiste in due forme: il NAD+
(ossidato, quando privo di elettroni) e NADH (ridotto, quando ha legato gli
elettroni). Il FAD esiste in due forme: FAD (ossidato) e FADH2 (ridotto).
- Ioni
Morfologia mitocondrio
Per studiare i mitocondri è già sufficiente il microscopio ottico perché sono organuli
voluminosi che sono visibili.
Sono delimitati da una doppia membrana che però non hanno decorso parallelo:
una membrana esterna che circoscrive il mitocondrio e una membrana interna in cui vi è il
dna circolare, i ribosomi e si ripiega a formare le creste mitocondriali (dove ci sono i
complessi di atp sintetasi). Questa membrana interna delimita a sua volta una cavità
interna del mitocondrio che prenderà il nome di camera mitocondriale interna pom
matrice mitocondriale (dna circolare, ribosomi, avviene la sintesi proteica)
Tra la membrana esterna e la membrana interna vi è uno spazio che prende il nome di
spazio intermembrana o camera esterna (è funzionale).
Quando la membrana ha bisogno di aumentare la superficie dal punto di vista funzionale,
operativo, fisiologico, crea delle espansioni chiamate creste (come accade nei villi).
L’ultima tappa della respirazione aerobica che è quella della fosforilazione ossidativa che
porta alla produzione dell’atp, avviene lungo la membrana mitocondriale interna, quindi il
mitocondrio per poter produrre più energia possibile deve creare più spazio lungo la sua
membrana mitocondriale interna in modo che lì si possano posizionare gli enzimi che
operano in questa tappa.
I mitocondri non hanno una forma predeterminata, ma sono degli organuli abbastanza
versatili anche dal punto di vista morfologico. Quindi la morfologia del mitocondrio varia al
variare delle cellule e varia al variare dell’organismo modello. Ha una forma cilindrica, più
tondeggiante. Varia dal tipo cellulare e dalla funzionalità.
Sono definiti a vita semiautonoma non solo perché sono in grado di utilizzare il proprio
genoma per avere informazioni utili per le proteine e per gli enzimi mitocondriali, ma
perché sono in grado di dividersi autonomamente rispetto alla cellula che li ospita, si
dividono indipendentemente dalla divisione cellulare, si dividono se serve un maggior
quantitativo di energia. Aumentano il loro numero in maniera funzionale.
Lungo le creste mitocondriali ci saranno i citocromi, i quali sono complessi proteici che
hanno il compito di operare la catena di trasporto degli elettroni.
Ma cosa determinerà la produzione di atp? Chi si occupa fisicamente di agganciare un
gruppo fosfato all’adp, e creare ATP? Il complesso di ATP sintetasi, definito complesso
perché costituito da due porzioni: una porzione chiamata FO e una porzione chiamata F1,
l’insieme di queste due porzioni costituiscono il complesso enzimatico chiamato atp
sintetasi.
Rapporto tra cellula vegetale e cellula animale
Nel mitocondrio si completa la respirazione aerobica, se invece un organismo fa
respirazione anaerobica, il mitocondrio non viene coinvolto proprio. Perché un
mitocondrio possa funzionare è necessario che qualcuno fornisca una fonte di energia, il
glucosio, è la fonte immediata di energia perché si scinde velocemente e produce energia.
Il glucosio quindi deve essere scisso per portare nell’ultima tappa alla produzione di ATP.
Chi si occupa di produrre il glucosio?
Il catalizzatore che avvia la fotosintesi è la luce.
Mentre le cellule vegetali questo ciclo lo iniziano e lo finiscono, quindi sono autonome,
l’organismo animale mancano della prima parte, devono introdurre il glucosio con
l’alimentazione.
Funzioni cellulari che richiedono energia

L’atp è indispensabili per tutti i processi metabolici cellulari. L’atp che viene prodotta nel
mitocondrio e servirà per:
- la contrazione muscolare, per la motilità
- per la biosintesi di sostanze cellulari (ogni qual volta è richiesta una trasformazione
enzimatica, gli enzimi necessitano di energia)
- trasporto attivo (con dispendio di energia)
- Trasmissione degli impulsi
- bioluminescenza
Dopo che l’ATP è stata utilizzata resta l’ADP (l’adenosina di fosfato), un nucleotide privato
di un gruppo fosfato.
Il mitocondrio sarà in grado di ricaricare questa molecola di ADP agganciandogli un gruppo
fosfato, quindi rigenera l’ATP che servirà nuovamente per tutti i processi metabolici.
L’ATP (l’adenina trifosfato) è un nucleotide, formata da una molecola di zucchero, dalla
base azotata e 3 gruppi fosfato. È un processo continuo, quindi: ATP viene prodotta, ATP
viene scissa, quindi si riproduce ATP difosfato inorganico, si ricomincia col ciclo, quindi si
riproduce, si scinde e così via.
La cellula non si ferma mai, quindi per mantere tutte le sue normali funzioni necessita
costantemente di energia.
Il mitocondrio però non può incamerare ATP, non funge da batteria. Esso produce e
rilascia. Non è un accumulatore di energia. La produce a richiesta, quindi se ne serve di più
si dividono e fanno fronte alla richiesta energetica.
Tappe respirazione aerobica
- Glicolisi: avviene nel citoplasma. Tutte le cellule anaerobiche e aerobiche fanno
glicolisi.
C6H12O6+2NAD+→ 2C3H4O3+2NADH+2ATP
È la prima tappa, coincide con la scissione del glucosio fino ad ottenere 2 molecole
di piruvato. Il NAD+ si riduce in NADH. Il NADH (un primo trasportatore che si farà
carico di protoni per la catena di trasporto).
Le due molecole di ATP in realtà erano 4, ma 2 vengono impiegati nella glicolisi,
quindi la resa netta è di 2 molecole di atp.
- Decarbossilazione ossidativa: avviene nella membrana plasmatica del mitocondrio.
Viene eliminata una molecola di CO2 dal piruvato. Per cui da C3H4O3→ C2H3O
(gruppo acetile). Una volta formatosi il gruppo acetile, esso viene ossidato
aggiungendogli una molecola di coenzima-A. Si forma l’ACETIL-CoA.
La decarbossilazione serve per far entrare questo composto nella membrana
interna del mitocondrio, cosa che il piruvato non sarebbe riuscito a fare.
- Ciclo di Krebs (noto anche come ciclo dell’acido citrico o ciclo degli acidi
tricarbossilici). Avviene nella membrana interna del mitocondrio.
L’acetil-CoA reagisce con l’acido ossalacetico portando alla formazione dell’acido
citrico e da qui una serie di traformazioni che portano alla formazione di altro acido
ossalacetico. Ecco perché ciclo di krebs perché la stessa molecola che avevamo in
partenza, riavremo alla fine. Due giri nel ciclo di Krebs! Sono due le molecole di
acetil-CoA. Da ogni ciclo:
- 3 NAD+ → NADH - 6 NADH
- 1 FADH2 - 2 FADH2
- 1 ATP - 2 ATP
- 2 CO2 - 4 CO2
- Catena di trasporto degli elettroni, ultima tappa fondamentale affinchè avvenga la
fosforilazione ossidativa: avviene nelle creste mitocondriali. Dal ciclo di Krebs
verranno fuori NADH e FADH, i quali una volta che si sono fatti carico di protoni ed
elettroni, si devono scaricare cedendo il carico (protoni e elettroni) ai citocromi
(complessi proteici che si trovano lungo la membrana mitocondriale interna ).
Questi citocromi accettano solo gli elettroni, i quali passano di mano in mano fino
all’accettore ultimo che termina questa catena di trasporto, ovvero l’ossigeno
(stiamo parlando di respirazione aerobica). L’ossigeno quindi serve per prendersi gli
elettroni, toglierli dal circolo, legare protoni e formare acqua.
Dato che i citocromi non accettano i protoni, fanno da ponte tra la camera interna e
la camera esterna, i protoni che non li vogliono li spingono verso lo spazio
intermembrana. Si forma così un gradiente protonico. In questo caso si occuperà
l’ATP sintetasi, formata da due porzioni: una porzione FO che funge da canale e
garantisce il rientro e la porzione F1 recupera l’energia che si libera dal rientro in fila
di tutti i protoni per legare il fosfato inorganico all’adp (come un tornello agli
ingressi del supermercato, che costringe le persone a passare da lì, se questo
tornello avesse collegato un accumulatore di energia, accumulerebbe energia, la
stessa cosa fa l’atp sintentasi, dal momento che i protoni crearo un gradiente, sono
obbligati a rientrare attraverso FO, sono tutti messi l’ in fila quindi rientrano tutti
forzatamente attraverso FO. F1 non fa altro che ruotare e accumulare energia,
questa energia che si libera dal dissipazione del gradiente protonico, è l’energia
sufficiente per legare il gruppo fosfato all’adp, dalla dissipazione del rientro
protonico si libera l’energia che F1 usa per legare il gruppo fosfato all’adp e
produrre atp ), a far entrare i protoni.
Differenza morfologica tra un mitocondrio a riposo e un mitocondrio operativo
Mitocondrio operarivo (forma condensata): i mitocondri assumano questa forma quando
nello spazio intermembrna vi è un’alta concentrazione di ioni H+ che determinano un ph
fortemente acido nel quale gli organuli, come nel caso del mitocondrio, non possono
vivere. (eccetto i lisosomi). Per cui il mitocondrio richiama l’acqua dall’esterno (per evitare
appunto di non digerirsi in presenza di questo ph acido, in questa maniera l’acqua dilusice i
protoni), ma questo richiamo dell’acqua nello spazio intermembrana dilata e schiaccia la
matrice. Quando il mitocondrio si trova in questa forma la porzione F1 protude dalla
membrana, questo non è altro che l’effetto dello schock osmotico.
Mitocondrio a riposo (forma ortodossa): Quando invece tutto è sereno, quando la matrice
torna ad avere il suo spazio e viene ridimensionato quello che è lo spazio intermembrana.
I mitocondri si posizionano nei muscoli scheletrici, in modo sistemati, impilati perché sono già
pronti a poter fornire energia alla contrazione della nostra fibra muscolare.
Quando il mitocondrio è a riposo, la porzione F1 non fuoriesce dalla membrana, non protrude
dalla membrana. Il complesso ATPsintetasi è posizionato nello spessore della membrana
mitocondriale interna.
Bilancio energetico della respirazione aerobica
GLICOLISI→ 2 ATP 8ATP
2 NADH → 6ATP
DECARBOSSILAZIONE OSSIDATIVA→ 2NADH → 6ATP 6ATP
CICLO DI KREBS→ 6 NADH → 18 ATP
2 ATP 24 ATP= 38 ATP
2 FAH2 → 4ATP

Diventano 36 ATP perché due vengono impiegati per far entrare il NADH, sviluppato dalla
glicolisi, nel citoplasma ad entrare nel mitocondrio.
Altre due perché si considera 1 NADH = 2,5; 1 FADH 2 = 1, 5.

le cellule che fanno meccanismo anaerobico non si possono fermare all’acido critico? Quando

si parla metabolismo anaerobico, si parla di fermentazione:

-fermentazione lattica →acido lattico


-fermentazione alcolica→alcol etilico
La resa energetica netta di ognuno dei due processi di fermentazione è pari a 2 molecole di
atp, le uniche 2 che si sviluppano durante la glicolisi perché la prima tappa è comune: glucosio
che si scinde fino a 2 molecole di acido piruvico.
Poi l’acido piruvico controlla
se c’è ossigeno allora→carbossilazione
Non c’è ossigeno→fermantazione
Perché? Da questo momento in poi l’atp l’abbiamo prodotta nel processo di trasformazione
glucosio e acido piruvico, perché devo produrre acido lattico?
Perché si accumula NAD ridotto, se ci si fermasse all’acido piruvico, saturerei i trasportatori
quindi non avrei la possibilità di scindere nuovo glucosio e di formare quelle 2 molecole di atp
che consentono di non morire per strada. Quindi il resto della fermentazione è necessaria per
liberare i trasportatori, farli tornare dalla forma ridotta alla forma ossidata. Quindi la funzione
della fermentazione è la rigenerazione dei trasportatori, in modo che questi possano tornare a
garantire tutto il processo di formazione di atp.

Citoscheletro
Il citoscheltro è una rete tridimensionale fatta da proteine che ha il compito di creare
un’impalcatura altamente dinamica in grado di mantenere ordinate all’interno del
citoplasma cellulare organuli e sistemi membranosi. È definita come un’impalcatura
altamente dinamica proprio perché alcune componenti del citoscheletro si possono
organizzare e disorganizzare al bisogno.
Funzioni:
- Tridimensionalità delle cellule
- Dividere il citoplasma e localizzare gli organelli
- Movimento vescicolare
- Movimento cellulare
- Ruolo essenziale nella divisione cellulare
Le componenti che costituiscono il citoscheletro:
• Filamenti intermedi: rappresentano l’unica componenti stabile del citoscheletro.
Costituite da proteine già filamentose, per cui non vanno incontro a questo
processo di assemblaggio e disassemblahgio. Per andare a costituire questi filamenti
intermedi, queste proteine si dovranno associare tra loro per dare degli intrecci e
delle corde sempre più resistenti; però non parliamo di monomeri globulari, ma
parliamo di proteine stabili. Non subiranno processi di polimerizzazione e
depolimerizzazione. Diametro 8-12 nm.
La struttura del citoscheletro è dinamica perché i microtubuli e i microfilamenti
polimerizzano e depolimerizzano costantemente.

Microtubuli
- Vi è un flusso in entrata e in uscita ai due bordi del microtubulo.
- Si presenta come una struttura cava, costituita dalla proteina tubulina. Saranno
coinvolte due tipi di esoforme nella costituzione del microtubulo: alfa tubulina e
beta tubulina.
- Affinchè si formi un filamento non si legano a caso alfa e beta tubulina, ma un
monomero alfa si deve legare a un monomero beta per formare un dimero.
- Dal momento in cui i due monomeri sono di natura diversa, si parlerà di
eterodimero.
- L’associazione di eterodimeri porterà alla formazione di un filamento che prende il
nome di un protofilamento . Nell’andare a formare il protofilamento, non si
associano i singoli monomeri di tubulina, ma si legano i dimeri. Quindi alfa-beta
forma un eterodimero.
- 13 protofilamenti affiancati l’uno all’altro, sono sufficienti a circolarizzare e quindi a
formare il nostro microtubulo cavo, al cui interno è vuoto.
- Mentre il fine ultimo del mitocondrio era la produzione di atp, qui interviene un
altro nucleotide per dare energia, il guanosintrifosfato o GTP. L’energia che serve
per formare i legami tra gli eterodimeri e per formare i protofilamenti che servono a
formare il nostro microtubulo, vengono dal GTP.
- Nel momento in cui i 13 protofilamenti sono tutti pronti e disponibili, inizia questo
processo di chiusura per avere il nostro microtubulo cavo. Presenta due estremità
che chiameremo (+) e (–) perché ad un’estremità è più rapida la velocità di
aggancio, quindi la velocità di crescita, è da questa direzione che si allungherà il
nostro microtubulo, mentre l’altra è definita meno perché è maggiore la velocità di
distacco. Quindi in una direzione si allunga e nell’altra si accorcia, in un equilibrio
dinamico perché la dimensione è costante. Il microtubulo è una struttura instabile
perché gli eterodimeri continueranno ad aggiungersi ad una estremità e a staccarsi
all’estremità opposta e si crea quindi una situazione di equilibrio.
Esempio struttura instabile di microtubuli
- fuso mitotico: al momento della divisione cellulare si forma il fuso mitotico con
l’obbiettivo di legare i cinetocori e quindi trainare ai poli opposti della cellula i
cromatidi fratelli o cromosomi nel caso della meiosi I.
Alla fine il fuso mitotico sparisce, il fuso mitotico è un esempio di struttura
microtubulare.
- binari molecolari: a livello cellulare, i binari sono fatti da microtubuli. Ogni qual
volta che pensiamo al traffico di vescicole (che si spostano nella cellula), non
dobbiamo pensare ad un traffico che va a caso, ma ci sono dei binari che indicano la
strada, che fanno seguire i percorsi. I binari sono costituiti da microtubuli.
- cellula flagellata umana→ spermatozoo, è un struttura microtubulare che è
indispensabile per la mobilità e deve necessariamente essere costantemente
presente, dal momento che la sua struttura interna è sorretta da microtubuli
instabili per natura, l’unico modo per stabilizzarli è associargli proteine
stabilizzatrici, le proteine maps (map è l’acronimo di proteine associati ai
microtubuli), sono le proteine che stabilizzano l’estremità del microtubulo.
• Centrosoma: è localizzato vicino al nucleo cellulare, è il punto di origine dei
microtubuli. Da esso i microtubuli si estendono a raggiera verso la periferia.
Regola la polimerizzazione dei microtubuli, gestisce l’organizzazione dei microtubuli.
Il centrosoma è costituito da 2 centrioli (2 centrioli disposto l’uno perpendicolare
all’altro formano il cosiddetto centrosoma ).
Un centriolo è formato dall’associazione di 9 triplette di microtubuli.
I centrioli si duplicano prima della divisione cellulare e migrano ai poli opposti della
cellula.
Nel momento in cui la cellula è pronta a dividersi, lo troveremo duplicato, in modo
che un centrosoma si porti ad un’estremità della cellule, l’altro centrosoma
all’estremità apposta. È a partire da questi centrosomi che si avvierà il processo di
formazione del fuso mitotico.
• Centrioli: sono esempio di microtubuli stabili, ciò significa che a questi microtubuli
si sono andati ad associare le proteine maps, che inibiscono polimerizzazione e
depolimerizzazione.
I centrioli sono formati da 9 triplette di microtubuli non completi.
Nella tripletta dei microtubuli che vanno a costituire il centriolo, avremo: un
microtubulo completo (formato da 13 protofilamenti) e altri due microtubuli
incompleti che si saldano sul precedente.
I microtubuli li possiamo trovare :
- nella cellula nervosa, i neuroni che si svilupperà lungo l’assone, lungo il dendrite da
questa struttura fatta da microtubuli e servirà al traffico di informazioni.
- in una cellula in divisione li troveremo associati principalmente al fuso mitotico che
si dirama dai centrioli e quindi dal centrosoma con l’obiettivo di raggiungere il
centro della cellula dove deve necessariamente staccare e portare ai poli opposti i
cromatidi.
- una cellula epiteliale o cigliata, che sorregge quelle che sono proprio le ciglia.
- in una cellula ciliata: le vie aree dell’apparato respiratorio, le ciglia in questo caso
servono a filtrare l’aria, trattenere se c’è particolato e quindi poi provvedere
all’espulsione di uno stranuto.
- globulo rosso: esso mantiene la sua forma perché c’è questa rete tridimensionale
che gli dà sostegno.
• Ciglia e flagelli: sono formati da 9 coppie di microtubuli periferici + una coppia di
microtubuli centrale. Questa è la struttura di sostegno interno di ciglia e flagelli che
prende il nome di assonema o struttura a ruota di carro.
Struttura 9 + 2 perché mentre le 9 coppie periferiche sono costituite da un
microtubulo completo e uno incompleto che gli si addossa per completarsi, quelli
centrali entrambi completi. Quindi per far risaltare questa differenza si chiama
struttura 9 coppie + 2 microtubuli centrali.
Nella struttura basale di ciglia e flagelli troveremo solo ed esclusivamente
l’organizzazione la struttura tipica dei centrioli (9 triplette di microtubuli non
completi); nella parte libera troviamo la tipica struttura a ruota di carro o
assonema (9+2).
La struttura basale è la parte interna al citoplasma cellulare, ciglia e flagelli sporgono
dalla cellula, come un estroflessione citoplasmatica, il citoplasma che si estroflette è
spinto dai microtubuli che stanno polimerizzando. Chi lo dice ai microtubuli di
polimerizzare? Il centriolo.

Movimento a frusta
Tanto ciglia quanto flagelli devono compiere il movimento di flessione perché
devono permettere il movimento della cellula, perché devono filtrare, devono
spingere roba, devono quindi creare questo movimento a frusta; in questa struttura
a ruota di carro 9+2 ci deve essere una connessione, i microtubuli non possono
essere liberi per i fatti loro, ma devono essere collegati fra loro, a collegarli si
occupano delle proteine:
- i ponti di nexina → collegano tutti i microtubuli tra di loro, collegano le 9 coppie di
microtubuli periferiche con la coppia centrale
- proteina motrice e ATPasica (ovvero la dineina) → è in grado di legare e scindere
ATP, per fornire energia per il movimento.
Modalità movimento ciglia e flagelli
Movimento a frusta: è caratterizzato da una fase di spinta e quindi dopo la fase di recupero. È
il movimento tipico: carica e torna indietro. La carica è garantita dalla dineina che scinde l’atp,
mentre la fase di ritorno indietro è passiva. Questo continuo movimento di carica e di ritorno
crea un continuo flusso di aria nelle vie aree.
Nel momento in cui questo movimento avviene, quindi quando le ciglia vanno a flettersi, la
flessione riguarda i microtubuli che ci sono all’interno, ecco perché la necessità che la struttura
a ruota di carro 9+2 sia ancorata. Cosa serviva per ancorare? La proteina nexina, che formava
quei ponti in modo che tutta la struttura si comporti in maniera uniforme, cioè rimane come
una struttura integra, unitaria e non si disgreghi quando ci sono questi movimenti.

Microfilamenti
- Costituiti da proteine glubulari che si assemblano per polimerizzare. Il monomero
che va a formale il microfilamento è l’actina. L’actina esiste in 2 forme: actina G
(globulare) che associandosi va a costituire l’actina F (filamentosa).
Altamente dinamici come i microtubuli.
Fasi polimerizzazione dei microfilamenti:
1. attivazione del monomero di actina G, una volta che i monomeri vengono
attivati…
2. nucleazione, si uniscono a formare un piccolo core (3\4 monomeri di actine
unita tra loro).
3. allungamento: si aggiungono altri monomeri di actina G per allungare il
microfilamento actimico.
Questi passaggi iniziali servono perché l’actina G non polimerizza
spontaneamente.
- La polimerizzazione dal punto di vista energetico è sostenuta dall’ATP (l’eccezione è
rappresentata dai microtubuli che come fonte di energia utilizzavano la GTP.). è
l’atp che va a regolare tutto questo processo di aggancio di nuovi monomeri.
- Anche nei filamenti actimi (come per i microtubli) si vengono a creare l’estremità
instabii. Presentano un’estremità dov’è più rapida la velocità di aggancio di nuovi
monomeri di actina (+) e un’altra estremità in cui è più rapida la velocità di distacco
dei monomeri (-), tutto questo sempre in un equilibrio dinamico.
Strutture di microfilamenti actimici (che così come i microtubuli si forma quando è
necessario e sparisce subito dopo):
• Citodieresi: una volta che il fuso mitotico ha finito il suo compito e ha separato
quelli che sono i cromosomi (se in meiosi) o i cromatidi (se in mitosi), avviene la
divisione delle due cellule figlie, si dividono grazie al coinvolgimento di una
struttura proteica che piano piano strozza la membrana plasmatica fino a dividere
le due cellule figlie, questa struttura è un anello contrattile fatto da microfilamenti
actmici.
Quindi vediamo che polimerizza questo filamento actimico e si dispone tutto sotto
la membrana plasmatica, pian pianino depolimerizza e diventa sempre più piccolo
fino a strozzare completamente il citoplasma cellulare per originarne due. Ma finita
la citodieresi non ci sarà più traccia di questo anello contrattile, fino alla citodieresi
successiva. È una componente altamente dinamica anche questa.
• Intestino e villi intestinali: formati da questo epitelio con i villi. Non possiamo
sognarci che un momento prima il villo ci sia e un momento dopo no, i villi servono
proprio per garantire l’assorbimento di tutto ciò che nello stomaco abbiamo
digerito; per cui ci saranno anche qui delle proteine che si legano all’estremità dei
microfilamenti actimici dei villi con il compito di stabilizzarli, in modo tale che i villi
ci siano e permangano, in questo caso di parla di proteine cop o proteine ancillari .

Nel momento in cui si viene a formare quella che è la nostra catena del
microfilamento, il microfilamento appare costituito da due filamenti intrecciati tra
loro che si avvolgono. Questo è il nostro microfilamento actimico con la sua
polarità, cioè ad un’estremità agganciamo nuove subunità all’altra estremità le
togliamo, quindi è un equilibrio dinamico da sopra a sotto la dimensione è
costante, però se io marco questi tre monomeri di actina e li aggancio, al passare
del tempo vengono liberati dalla parte opposta. Questo ci dà l’idea del fatto sì la
stessa dimensione e quindi un equilibrio, ma è un equilibrio dinamico non è statico,
le sue componenti variano perché noi agganciano nuovi monomeri da un’estremità
e a tirarl fuori dall’altra per non mantenere constante la sua dimensione.
Quando si fa riferimento all’equilibrio dinamico fa riferimento a questo.

Filamenti intermedi
• Sono filamenti stabili, e questa fa la prima differenza rispetto a microtubuli e
filamenti actimici (i quali sono altamente dinamici e quindi instabili).

• Un’altra pecularietà è: NON POSSIAMO DIRE QUAL è LA PROTEINA CHE LI


COSTITUISCE perché i filamenti intermedi sono definiti tessuto specifici, vuol dire
che si può individuare una proteina specifica per ogni tessuto, quindi i filamenti
intermedi delle:
- cellule peculiari saranno costituiti da cheratine
- cellule connettivali saranno costituiti da vimentina
- cellule muscolari saranno cosituiti da desmina
- cellule nervose saranno costituiti da neurofilamenti
Come si fa a dire nei casi tumorali di che origine sono le metastasi? Perché a volte si
trovano tumori non primari, ma secondari?
Per il riconoscimento delle metastasi nelle neoplasie, si fa lo studio sui filamenti intermedi,
si cerca la natura dei filamenti intermedi, in base alla risposta che si ha, si capisce da quale
tessuto arriva.
Differenza tra le varie proteine che possiamo trovare:
cheratine: ci sono le cheratine dure e le cheratine molli, sono tutte le cheratine che
troviamo in tutti gli epiteli.
vimentina e desmina: le troviamo nelle cellule muscolari e nelle cellule connettivali
proteine acida gliale: le troviamo nelle cellule gliali quindi nel tessuto nervoso come cellule
di supporto.
periferina: la troviamo nei neuroni periferici
neurofilamenti: li troviamo nei neuroni
lamine: le troviamo supportare l’involucro nucleare
Quindi la natura della proteina serve ad identificare il tessuto.
- L’altra peculiarità è la stabilità: sono filamenti stabili, rappresentano l’unica
componente stabile del citoscheletro perché costituiti da proteine già filamentose.
Non subiranno processi di polimerizzazione e depolimerizzazione.
Per andare a costituire questi filamenti intermedi, le proteine si dovranno associare
tra loro per dare degli intrecci e delle corde sempre più resistenti; però non
parliamo di monomeri globulari, ma parliamo di proteine stabili.
Il filamento intermedio è dato dall’associazione di più proteine:
➢ Inizialmente la stessa proteina si associa a un’altra copia proteica per formare il
dimero, e si associandosi testa-testa coda-coda, quindi l’estremità ammino-
terminale con l’estremità ammino-terminale e l’estremità carbossi-terminale con
l’estremità carbossi-terminale.
➢ I dimeri si associano tra loro a formare i tetrameri, ma questa volta i due dimeri si
associano testa-coda, cioè l’estremità ammino-terminale di un dimero si accosta
all’estremità carbossi-terminale dell’altro dimero.
➢ I tetrameri si associano tra loro per formare i protofilamenti, i quali si aggregano a
formare queste corde proteiche che sono i nostri filamenti intermedi.
La loro localizzazione a livello cellulare si spinge da una parte all’altra della cellula perché il
loro obiettivo è quello di conferire resistenza alle lamine cellulari, quindi il loro compito è
quello di formare una continuità citoscheletrica tra le cellule adiacenti in modo da
conferire resistenza.
Nucleo
Il cuore della cellula è il nucleo, dove risiedono gli acidi nucleici, è qui che viene decisa
tutta quella che è l’attività funzionale della cellula stessa. Il nucleo è una porzione di
citoplasma che viene delimitata dall’involucro nucleare (cisterna espansa del RE).
Nel nucleo in interfase troviamo:
- involucro nucleare, è una doppia membrana.
- nucleoplasma: nel quale troviamo immersi DNA e RNA come prodotti di
trascrizione.
- nucleoli: la sede di trascrizione degli RNA ribosomiali, che servono esclusivamente
per formare i ribosomi. È una regione all’interno del nucleo che si presente più
densa, più colorato quando si fanno le osservazioni perché lì troveremo sia DNA che
rRNA
Rapporto nucleo plasmatico→ ci deve essere un rapporto costante tra la dimensione del
nucleo e il citoplasma stesso, quindi: Vnucleo : (Vc –Vnucleo).
Il volume occupato dal nucleo diviso le differenza tra il volume occupato dal citoplasma
sottratto il volume occupato dal nucleo.
Questo rapporto tra la dimensione del nucleo e la dimensione della cellula deve essere
costante, se invece la cellula ha già fatto G1, a seguire G2, si accresce e questo rapporto
non resta costante, perché il volume del citoplasma aumenta. Questo rapporto nucleo-
plasmatico è l’input che dice alla cellula se è arrivata la dimensione giusta per poter avviare
il processo di divisione. Questo controllo è regolato dal glicocalice.
Le cellule possono possedere uno o più nuclei:
• cellule mononucleate: un unico nucleo o lo sono quasi tutte le cellule.
• cellule binucleate: questo accade tra alcune tipologie di cartilagine e accade nelle
cellule epatiche.
• cellule polinucleate: esempio la fibra muscolare scheletrica, è una fibra e non una
cellula muscolare scheletrica perché è l’insieme di più cellule.
Questa fusione di più cellule comporta la formazione di un’unica grande cellula con
un’unica grande massa citoplasmatica ma tanti nuclei quante sono le cellule che si
sono fuse insieme.
Questo concetto di polinucleato si associa a due casi:
➢ plasmodi: partiamo da una cellula che fa cariocinesi (quindi divide l’informazione
genetica), ma questa cariocinesi non è seguita da citodierisi, quindi non si divide
fisicamente in due cellule figlie, ma compartecipa tutto il citoplasma e diventa
polinucleare.
Quei due nuclei che si sono creati continueranno a fare cariocinesi, ma non citodieresi,
quindi cresce cresce questa massa e rimane un’unica massa citoplasmatica plurinucleata
➢ sincizi: sono singole cellule che si fondono tutte assieme. Questo è quello che
accade nella fibra muscolare striata; durante lo sviluppo embrionale vedremo i
precursori delle cellule muscolari che si fondono tra loro a formare l’abbozzo della
fibra muscolare, ma sono singole cellule che vanno a convergere tutte insieme a
formare quindi la massa.
In entrambi i casi si forma una massa citoplasmatica condivisa polinucleata. Però è diversa
l’origine perché nei plasmodi si parte da una cellula che fa cariocinesi ma non si spezza in
due cellule, nei sincizi partiamo da cellule singole che convergono e si formano assieme.
DNA all’interno della cellula, può essere presente sottoforma di:
- cromatina: forma attiva, è la forma che si lascia leggere, è la forma che può essere
duplicata, trascritta, quindi è quello che c’è generalmente durante l’interfase della
vita di una cellula. È despiralizzata
Quando il DNA è sottoforma di cromatina, non è leggibile tutta
contemporaneamente, infatti all’interno della cromatina vi sono:
- aree che sono in quel momento leggibili e quindi parleremo di eucromatina.
- aree che sono in quel momento inattive e quindi le zolle di eterocromatina.
- cromosomi: forma altamente spiralizzata, quindi inattiva perché serve solo per
dividerla; La troviamo appunto al momento della divisione cellulare, perché serve
che l’informazione genetica sia compattata così da poter ridistribuire in maniera
uguale tra le cellule figlie, quindi si preferiscono i cromosomi.
L’involucro nucleare è la continuità del REG. L’involucro nucleare non è continuo, ma
presenta dei pori nucleari, punti ben precisi di scambio bidirezionale tra il nucleo e il
citoplasma.
Non tutte le sostanze che attraverso l’involucro nucleare per andare dal citoplasma al
nucleo o viceversa passano liberamente attraverso i pori, dipende da quello che deve
passare.
Il passaggio tra nucleo e citoplasma o viceversa può avvenire:
- liberamente attraverso i pori
- attraverso l’involucro nucleare con formazione di vescicole
- può avvenire anche con formazioni di piccole blebs (piccole vescicolette che
originano da una sola citomembrana),
- attraverso la progressione lungo le cisterne del reticolo endoplasmatico.
Ovviamente noi dobbiamo focalizzare l’attenzione sui pori nucleari.
Struttura poro nucleare:
I pori nucleare sono da considerare dei punti a livello dei quali le due citomembrane che
costituiscono l’involucro vanno a fondersi, vanno a collabire, cioè si uniscono e unendosi
lasciano questa apertura. Il canale servirà a far passare tutto ciò che liberamente non
attraversa la membrana.
Anlus: anello proteico che si sviluppa attorno a questo poro nucleare. Esso a livello del
poro forma una struttura definita ‘’a canestro’’, perché viene a formarsi una struttura (a
canestro) che converge verso il centro e che quindi riduce il lume del poro, riduce le
dimensioni delle molecole che possono entrare attraverso il poro.
Per cui rispetto a quello che è il diametro del poro, il reale diametro di passaggio per le
molecole è molto più piccolo.
Generalmente un poro ha un diametro di 120 nm circa, però di fatto la porzione libera al
centro di questo poro dove veramente possono passare le sostanze, ha un diametro di
circa 50 nm, meno della metà. Questa differenza è coperta proprio da queste proteine del
poro, che sono le proteine che vanno a formare l’anlus.

Nucleoscheletro
Come il citoscheletro, anche il nucleo si dovrà sorreggere e ha la sua forma da mantenere.
Nel citoplasma del nucleo (il nucleoplasma), ci sarà una porzione proteica associabile al
citoscheletro, che prende il nome di nucleoscheletro.
La lamina densa si va ad accostare a quello che è l’involucro nucleare. La lamina densa non
fa collassare l’involucro nucleare a schiacciare il nucleoplasma. Questa lamina densa è la
componente dei filamenti intermedi del nucleoscheletro; è formata da proteine cosiddette
lamine.

Nucleolo
Si trova all’interno del nucleo, è un addensamento. È indispensabile perché è qui che
avvengono i processi di trascrizione dell’rRNA, quindi sede di sintesi dei ribosomi.
- è un organizzatore nucleare: contiene geni che codificano per l’rRNA (RNA
ribosomiale).
- Forma prodotti di trascrizione di tali geni: è qui che si accumulano gli RNA
ribosomiali, è qui che si vanno ad assemblare quelli che sono i ribosomi.
- Forma enzimi: servono per i processi di sintesi, maturazione e organizzazione dei
ribosomi. La sintesi delle proteine avviene sempre e solo nel citoplasma, quindi le
proteine ribonucleoproteiche che poi troveremo associate ai ribosomi, arriveranno
dal citoplasma, quindi è uno dei meccanismi di passaggio tra citoplasma verso il
nucleo.
Coloro che si occuperanno di di associare l’ rRNA alle proteine sono gli enzimi, i
quali arrivano anche questi dal citoplasma, ma li troviamo tutti a livello del nucleolo
perché è lì che stanno operando.
Composizione chimica nel nucleolo:
DNA, RNA e Proteine tra cui l’RNA polimerasi, la quale si occupa di operare la trascrizione
dell’RNA.
Passaggi che portano dalla formazione della cromatina (forma attiva) alla forma dei
cromosomi (forma inattiva).

Processo di spiralizzazione:
Non si passa in maniera immediata da cromatina a cromosomi, ci sono diversi livelli:
➢ Accostamento del DNA a proteine istoniche: le proteine istoniche (2 proteine
istoniche H2A, 2 proteine istoniche H2B, 2 proteine istoniche H3, 2 proteine
istoniche H4) si assembleranno a formare un cosiddetto core istonico o ottamero
istonico, ‘’ottamero ‘’perché ci saranno 8 proteine istoniche.
Attorno a questo ottamero istonico, il DNA si avvolgerà per circa due giri, finiti i
quasi due giri il DNA incontrerà un nuovo ottamero istonico e si avvolgerà per altri
due giri quasi completi, finito questo avvolgimento uscendo troverà un altro
ottamero istonico e così via. Tutta questa struttura prende il nome di collana a filo
di perle o NUCLEOSOMA (perché tutti questi ottameri istonici con il DNA avvolto,
formano una sorte di perla). Il nucleosoma rappresenta la prima forma di
spiralizazzione del DNA, perché il nucleosoma è dato dall’ottomaero istonico con il
DNA attorno ad esso avvolto. Prima fase di spiralizzazione della cromatina.

➢ Seguirà un’altra fase di compattazione, ci sarà dunque un’altra struttura ancora più
compatta, ovvero la cosiddetta struttura a solenoide. Questa ulteriore fase di
compattazione sarà dovuta all’intervento di un’altra proteina istonica (H1) che non
era coinvolta nella formazione dell’ottamero. Una volta compattata a solenoide, si
verrà a formare le cosiddette anse, queste anse andranno a sistemarsi in maniera
ordinata su un’impalcatura proteica che prende il nome di scaffold proteico
(costituito da proteine non istoniche), questo servirà a fare ancorare
ordinatamente le anse del DNA in modo che si venga ad organizzare l’aspetto tipico
del cromosoma.
Proteine istoniche
Le proteine istoniche si associano al DNA per avviare il processo di spiralizzazione.
- Sono proteine basiche
- Funzione strutturale perché è intorno a queste che si andrà ad avvolgere il nostro
DNA.
- sintetizzate durante la fase S del ciclo cellulare e si legano ai gruppi fosforici del
DNA.
Sono 5: Istone H1, Istone H2A e Istone H2B (due esoforme), Istone H3, Istone H4
Di queste 5 proteine istoniche, solo 4 (dalla H2A alla H4, quindi esclusa l’H1) si associano in
coppie a formare l’ottamero, vuol dire che a formare il cilindretto proteico intorno al quale
si avvolge il DNA parteciperanno: 2 proteine istoniche H2A, 2 proteine istoniche H2B, 2
proteine istoniche H3, 2 proteine istoniche H4.
Tra un nucleosoma e un nucleosoma successivo rimane il DNA definito linker, di
collegamento.
Dalla struttura a collana di filo perle alla struttura a solenoide si passa con l’intervento
dell’Istone H1, il quale si va a legare al DNA linker (quello posizionato tra due nucleosomi
successivi), quindi si lega al DNA che fuoriesce dal nucleosoma e si inserisce sul
nucleosoma successivo. Legandosi ha il compito di compattare ulteriormente la struttura,
quindi se questa è la nostra collana a filo di perle, nel momento in cui si legherà l’istone
H1, questo nucleosoma anzichè posizionarsi qui, l’istone H1 lo tira, lo avvicina, lo posiziona
qua sotto, quindi si tira dietro questo altro pezzetto… quindi li compatta ulteriormente
passando a quella struttura spirale chiamata solenoide.
Proteine non istoniche
- Vanno a formare lo scaffold proteico, cioè lo scheletro del cromosoma al quale si
vanno ad ancorare le anse,
- Le proteine non istoniche danno quella conformazione a x che noi conosciamo come
cromosoma, è proprio lo scaffold proteico che assume questo aspetto, e a questo
scaffold proteico si ancorano tutte le anse.
- sono proteine di tipo acido-neutre
- hanno un ruolo funzionale, perché ha proprio il compito di far ancorare le anse del
DNA in modo che rimangano bene ordinate in quella che è la struttura del DNA,
vengono sintetizzate nel corso della vita cellulare, quindi non legate al momento
della duplicazione, e si legano alle basi azotate.
Noi vediamo il cromosoma a forma di X, ma chi lo dice alle anse del DNA che devono
assumere quell’aspetto? Un’impalcatura proteica, cioè lo scaffold proteico. A questo
scaffold proteico si andranno ad ancorare ordinatamente le anse del nostro DNA.
L’obbiettivo principale di tutto questo processo è quello di compattare al meglio le
informazioni in modo da poterli ridistribuire. Nel momento però in cui abbiamo questo
processo di compattazione, è vero che compattiamo e quindi riduciamo l’estensione di
questa informazione genetica a scapito del diametro: si parte da una molecola di DNA e si
arriva alla fine alle anse, quindi partiamo da strutture che sono larghe pochi nanometri per
arrivare a strutture molto più ampie, siamo nell’ordine dei micron.
Il cromosoma
Un cromosoma corrisponde ad un’unica molecola di DNA condensata. Il DNA è poco
visibile in questa struttura perché generalmente si trova in forma di CROMATINA
decondensata. Il DNA condensa infatti solo prima della divisione cellulare. Dopo la
duplicazione del DNA, prima della divisione cellulare, il cromosoma è costituito da 2
cromatidi fratelli, i quali sono uniti al centro dal centromero (rappresenta il punto in cui
prendono contatto i due cromatidi fratelli per interposizione di proteine); non
necessariamente deve occupare una posizione centrale la strozzatura, può essere anche
eccentrico e quindi individuare braccia lunghe e braccia corte del cromosoma.
Quando deve avvenire la separazione dei cromatidi fratelli, le fibre del fuso mitotico si
legheranno ai cinetocori (si trovano ai due lati del centromero, nelle porzione esterne di
un cromatidio e dell’altro cromatidio).
Al microscopio elettronico il centromero appare densa proprio per l’elevata presenza di
proteine, le coesine che si posizionano proprio a livello del centromero con il compito di
tenere vicini i due cromatidi fratelli.
Questi complessi di coesina si formano quando il cromosoma si deve organizzare lungo
piazza equatoriale, quindi:
- in profase si organizza
- in metafase si vede formato perfettamente quello che noi chiamiamo centromero,
- in anafase quando le fibre del fuso hanno legati i cinetocori e tirano verso i poli
opposti i cromatidi, sappiamo che stanno andando incontro a depolimerizzazione,
quindi si staccano gli eterodimeri di tubulina dal centro verso la periferia; quei
complessi di coesine vengono degradate, quindi se vado a degradare la coesina, i
due cromatidi son liberi di andare uno ad un polo, l’altro al polo opposto della
cellula.
Il cromosoma è il risultato visibile della duplicazione del DNA avvenuta in fase S.
I due cromatidi sono definiti ‘’cromatidi fratelli’’ perché sono l’uno la copia identica
dell’altro perché è il risultato della duplicazione semiconservativa avvenuta in fase S.
Quindi ipoteticamente se fosse possibile osservare i cromosomi durante l’interfase (ma
OVVIAMENTE NON è POSSIBILE, durante L’INTERFASE ABBIAMO SEMPRE LA CROMATINA),
noi il cromosoma ce l’avremmo con un singolo cromatidio.
Cariotipo
Il cariotipo o il cariogramma di ciascun individuo viene studiato in metafase. In metafase
perché è il momento nel quale troviamo tutte le coppie di cromosomi distribuiti lungo il
piano equatoriale.
In ciascuna delle nostre cellule somatiche noi troviamo 23 coppie di cromosomi, quindi 46
cromosomi totali:
- 22 coppie definite di autosomi, portano le informazioni per tutti gli enzimi, tutte le
proteine
- 1 coppia di cromosomi sessuali, cioè quella coppia di cromosomi che serve per
individuare il sesso dell’individuo: XX→ se il sesso è femminile; XY→se il sesso è
maschile.
Quando parliamo di coppie di cromosomi, i due elementi della coppia sono omologhi, NON
identici, perché:
Cromosoma: tratto di DNA lungo il quale ci sono i geni.
Geni: pezzetti di DNA che codificano per una proteina, per un enzima, per un polipeptide .
- Su ogni cromosoma si hanno le cosiddette ‘’mappature’’, cioè noi sappiamo
perfettamente che tipi di geni ci sono localizzati sul cromosoma 1 (ad esempio
potremmo avere il gene che determina il colore dei capelli, quello che determina il
colore della pelle). Si sa perfettamente la mappatura e si sa perfettamente il locus
genico (l’indirizzo di casa).
Per cui se io so che il gene che determina il colore dei capelli è posizionato sul
cromosoma 1, in seconda posizione, quella stessa posizione, quindi quello stesso
locus genico è rispettato sul cromosoma omologo (cromosoma 2), noi abbiamo la
stessa identica corrispondenza dei loci genici. Gli stessi geni che io ho sul primo
cromosoma della coppia, identici ce li ho sull’altro cromosoma omologo.
- Un gene può esistere però in più varianti. Le varianti dello stesso gene, sono
chiamati alleli.
Possiamo avere per lo stesso gene una forma alternativa, quindi una forma allelica
differente, motivo per cui poi può avvenire il crossing over: possiamo andare a scambiare
porzioni di DNA, porzioni di informazione che cambiano in termini di tipo di allele, ma non
certo di tipo di gene.
Tra due genitori con gli occhi marroni può nascere una figlio con gli occhi azzurri, questo
vuol dire che né il padre né la madre erano omozigoti per il colore scuro.
Omozigote: che entrambi gli alleli dello stesso gene, presenti quindi uno su un cromosoma
e uno sul cromosoma omologo, sono identici tra loro.
Eterozigoti: quando i due alleli sono diversi.
Quindi i cromosomi omologhi presentano gli stessi loci genici, la stessa sequenza di geni,
ma un gene può trovarsi in più forme alternative, cioè in più forme alleliche. Quindi quello
che può cambiare tra i due cromosomi omologhi sono gli alleli degli stessi geni, ma non
certo la sequenza dei geni, quella deve essere identica.
Esempio: quando noi compriamo un maglioncino, noi scegliamo il colore (esempio rosa)e,
ma lo stesso maglioncino c’era in più varianti di colore, ma è lo stesso articolo, la stessa
cosa è quando si parla di alleli, il gene è quello ma con più varianti (ovvero alleli).

Ciclo cellulare
Rappresenta l’intervallo che c’è tra l’origine di una cellula e la sua stessa divisione. Si divide
in:

• Interfase: fasi G1, S, G2. La sigla ‘’G’’ di G1 e G2 sta per ‘’growth’’, ovvero
‘’accrescimento’’.
Fase G1: è una fase parecchio lunga perché è la fase di preparazione. È la fase in cui la
cellula si è appena originata, quindi comincia a rispristinare la sua dimensione volumetrica.
Non è solo un accrescimento passivo in termini volumetrici, ma iniziano i vari processi di
tutto il metabolismo cellulare accostati alla sintesi degli organuli cellulari, di proteine;
Fase S: si ha la duplicazione dell’informazione genetica (DNA); a questo punto si completa
la fase di accrescimento. Si ultimano le duplicazioni degli ultimi organuli interessati e si
inizia la preparazione alla divisione cellulare. Anche questa fase è abbastanza lunga, ma
dipende più che altro dall’organismo modello che si prende in considerazione (più è
piccolo l’organismo e più è semplice dal punto di vista strutturale e funzionale, più è rapida
la divisione e il ciclo cellulare).
Fase G2: è abbastanza breve perché la cellula è già pronta alla divisione, ha già duplicato il
materiale genetico, quindi questa fase è di verifica che tutto sia andato a buon fine e a quel
punto si transita in fase M.

• Mitosi o meiosi: fase M.

Nei passaggi da una fase all’altra ci sono i cosiddetti ‘’checkpoint’’ ovvero dei punti di
controllo che verificano, per cui se quello che era previsto nella fase non è accaduto, la
cellula non può transitare alla fase successiva.
La proteine coinvolte nel controllo del ciclo cellulare sono la proteine chinasiche
dipendenti dalla ciclina (cdk).
Se esistono queste proteine che fanno da controllori, questo vuol dire che G1, S, G2 ed M
esistono realmente, mentre i singoli momenti di mitosi e meiosi (profase, metafase,
anafase e telofase) sono solo a scopo didattico. Perché è un processo unico di divisione che
inizia e termina, non ci sono punti di controlli, non ci sono reali step.
Non tutte le cellule seguono il normale ciclo cellulare:
- cellule labili→ sono in continuo alternarsi di g1, s, g2 e m, in maniera continua.
- cellule perenni e cellule stabili→ dopo un certo giro di divisione, una volta raggiunta
la maturità escono dal ciclo cellulare e entrano in una fase di quiescenza, nota come
la fase G0.
In base alla specie modello che si prende in considerazione, varia la durata delle singole
fasi, quindi quelle tappe dipendono dal tipo cellulare e dagli organismi modello. Ci sono
cellule che si duplicano più rapidamente rispetto ad altre, anche all’interno dello stesso
organismo.
Duplicazione del DNA
Avviene durante la fase S del ciclo cellulare e segue sempre il principio di
complementarietà delle basi azotate.
Il DNA segue una duplicazione semiconservativa, definita così perché: la molecola per
metà sarà fatta dal filamento che c’era già nella cellula, mentre l’altro di nuova sintesi.
Per cui se si parte da una molecola di DNA PARENTALE (cioè quella della cellula madre),
che deve andare incontro a duplicazione. Ciascuno dei 2 filamenti della molecola fungerà
da stampo per la sintesi di un nuovo filamento.
Al termine del processo di duplicazione, avremo 2 molecole distinte di DNA, ciascuna
molecola sarà costituita da:
- Un filamento parentale (che ha fatto da stampo)
- Un filamento neo-sintetizzato
Come avviene:
Nel momento in cui si deve venire a duplicare la molecola del DNA, si viene a formare una
forcella di duplicazione, cioè il punto in cui i 2 filamenti si separano, si forma una sorta di
forcina.
Nella nostra cellula, coloro che determinano la separazione dei 2 filamenti di DNA sono
enzimi:
- Elicasi: hanno il compito di rompere questi legami ad idrogeno e quindi srotolare
l’elica.
- Proteine SSBP: proteine che si legano al singolo filamento e quindi impediscono il
riformarsi dei legami a idrogeno, quindi impediscono che i 2 filamenti si riappaino
riprendendo la stessa struttura ad elica.
- Topoisomerasi: si occupano di eliminare i sopravvolgimenti.

I due filamenti tra loro però sono antiparalleli, quindi nel momento in cui noi apriamo
questi 2 filamenti, uno presenterà un’estremità libera 5’, l’altro presenterà l’estremità
libera 3’.
Sintesi 5’3’ verso la forcella
L’enzima DNA polimerasi ha il compito di leggere e duplicare il nostro filamento. Legge un
nucleotide alla volta (si lega e legge, ha trovato guanina e quindi non ha scelta, il
nucleotide deve agganciare la citosina e va avanti…) fino a completare l’intero filamento
parentale.
La DNA polimerasi però non è in grado di sintetizzare un filamento ‘’de novo’’ del DNA,
quindi prima che intervenga, ha bisogno di un innesco per iniziare la sua sintesi. Sarà un
enzima ad RNA polimerasi a produrre questo innesco (o Primer).
Questo primer non va bene per la duplicazione, quindi una volta che a questo primer si
attacca la DNA polimerasi, questo innesco va via grazie ad un enzima che prende il nome di
RNAasi H, una famiglia di enzimi che hanno il compito di distruggere i nucleotidi.
A questo punto la DNA polimerasi III inizierà ad agire sintetizzando uno alla volta
nucleotidi seguendo il principio della complementarietà delle basi.
Un’altra isoforma dello stesso enzima, la DNA polimerasi I, agirà fornendo i nucleotidi
sintetizzati nello spazio lasciato dal primer e li lega a sua volta.
A questo punto interviene la DNA-ligasi con il compito di legare i due filamenti sintetizzati
dalle due polimerasi portando alla formazione di un legame fosfodiestereo.
La DNA polimerasi si lega all’estremità 3’ libera, sintetizza il filamento complementare e
antiparallelo, quindi il filamento con direzione 5’3’ verso la forcella di duplicazione.
Mentre la DNA polimerasi sintetizza, la forcella di duplicazione si sarà spostata perché si
srotolerà un altro pezzetto di molecola, in modo che la DNA polimerasi possa trovare
ancora informazione libera da leggere.
Sintesi 5’3’ dalla forcella di duplicazione
Sull’altro filamento l’estremità libera è 5’, quindi manca il complementare che abbia il 3’,
ma la DNA polimerasi non sa sintetizzare un filamento in direzione 3’5’, lo sa fare solo in
direzione 5’3’, quindi non si lega all’estremità libera, ma si lega alla forcella di
duplicazione per sintetizzare in direzione 5’3’.
Dalla forcella di duplicazione legge verso l’estremità libera 5’, e quando finisce
l’informazione si stacca e nel frattempo alle sue spalle la forcella si è spostata e si è quindi
liberato un nuovo pezzo di filamento leggibile (quindi si stacca, torna indietro e si lega a
quella che nel frattempo è diventata la nuova forcella di duplicazione e legge).
La DNA polimerasi sarà costretta a sintetizzare (sul filamento definito lento) a frammenti
di Okazaki, perché sintetizza un nuovo filamento sempre in direzione 5’3’, in direzione
opposta rispetto a quella della forcella.
I frammenti però non rimangono ‘’frammenti’’ poiché al termine del processo di
duplicazione interviene un nuovo enzima: DNA ligasi. Esso avrà il compito di sintetizzare
quei frammenti mancanti e quindi legare tra i frammenti di Okazaki.
Quindi avremo in sintesi:
- Una sintesi che avviene in direzione 5’3’ verso la forcella, in maniera rapida perché
è una sintesi progressiva.
- Una sintesi che avviene di direzione 5’3’, ma che avviene allontanandosi dalla
forcella di duplicazione, che avviene in maniera lenta perché avviene per
formazione di frammenti.
Il DNA nella cellula lo troviamo sotto forma di:
- Cromatina: sarà la sua forma attiva, potrà essere duplicato, vuol dire che può essere
trascritto.
- Cromosomi: forma fortemente spiralizzata, condensata del DNA, che quindi è nella
sua forma inattiva. Noi troveremo i cromosomi solo nel momento della divisione
cellulare, dopo che la cellula ha duplicato il suo patrimonio genetico, lo compatta
per poterlo ripartire in maniera equilibrato e corretto alla cellula figlie.
Da una forma all’altra si passa attraverso una serie di processi di spiralizzazione.

Trascrizione
L’altro processo che può subire il DNA (oltre la duplicazione) quando si trova nella sua
forma di eucromatina, è il processo di trascrizione.
Consiste nel copiare l’informazione contenuta in un tratto di DNA nell’RNA. RNA
polimerasi è l’enzima che si occuperà di fare questa trascrizione. La trascrizione così
come la duplicazione avverrà in direzione 5’3’, anche qui nucleotide dopo nucleotide,
l’RNA polimerasi avrà il compito di agganciare il nuovo nucleotide, con l’eccezione che
laddove sul filamento stampo incontreremo l’adenina, sul nuovo filamento
attaccheremo l’uracile.
Anche qui si viene a formare una bolla di trascrizione:
- nel caso dei batteri, quando parte la trascrizione, questa avviene nell’intera
molecola di DNA circolare, parte da punto di origine e procede per tutta la
molecola.
- nel caso degli eucarioti, si avrà la trascrizione di un gene alla volta. Dove per gene
indichiamo un tratto di DNA che porta l’informazione utile per un enzima, una
proteina, in generale un peptide.
A monte di ciascun gene ci sarà un punto promotore dove si verrà a formare questa bolla
di trascrizione, cioè il punto dove l’RNA polimerasi capisce che si deve andare a legare
perché da quel punto in poi deve iniziare la trascrizione.
Per cui l’RNA polimerasi si infila tra i 2 filamenti e comincia a sintetizzare il filamento di
RNA. Ma l’RNA polimerasi sa operare in direzione 5’3’ (sempre, per entrambi gli acidi
nucleici).
Il filamento di DNA che fungerà da stampo per la trascrizione dell’RNA è il filamento 3’5’.
Man mano che la trascrizione procede, alle spalle della bolla di trascrizione la molecola di
DNA si ricompatta.
I 2 filamenti man mano che la trascrizione avviene, si riavvolgono, quindi al termina della
trascrizione avremo:
- 2 filamenti di DNA integri che si compatteranno a darci la molecola del DNA.
- Il filamento di RNA di nuova sintesi che viene liberato.
L’RNA che si viene a formare non è maturo, è un pre-RNA o RNA-spazzatura: prima di
lasciare il nucleo e trasferisi nel citoplasma, il pre-RNA segue un processo di
maturazione, noto anche come splicing, rimozione degli introni.
‘’Introni’’ perché rimarranno all’interno del nucleo come serbatoio dei nucleotidi che
serviranno alla DNA polimerasi e all’RNA polimerasi.
Mentre tutti gli esoni ovvero tutte le porzioni codificanti verranno risaldati assieme tra
loro per andare a formare la nostra molecola di RNA messaggero maturo. Dentro il DNA
abbiamo pezzi codificanti e pezzi non codificanti.
La molecola di RNA ricalca fedelmente la struttura del DNA perché è una copia fedele,
mentre l’RNA messaggero che poi passerà nel citoplasma, ha una dimensione ridotta
rispetto all’RNA eterogeneo, questo perché gli abbiamo tirato fuori le sequenze non
codificate.
Traduzione o sintesi proteica
L’informazione trascritta nell’mRNA è utilizzata per sintetizzare la sequenza degli
amminoacidi di una catena polipeptidica.
I ribosomi una volta ricevuta la molecola di RNA messaggero sintetizzano proteine,
operando una vera e propria traduzione da un linguaggio all’altro. Leggono un messaggio
che è contenuto nella molecola di RNA e quindi scritto in nucleotidi e danno vita invece a
una proteina costituita da amminoacidi.
In questo caso il dizionario di cui necessitano i ribosomi prende il nome di codice genetico:
insieme dei 64 codoni che vanno a costituire tutte le possibili combinazioni dei nostri
nucleotidi raccolti a 3 a 3.
- Il codone specifica l’amminoacido da utilizzare di volta in volta per costituire una
catena polipeptidica.
- Quindi quando parliamo di codone, altro non è che una tripletta di nucleotidi. Ogni
sequenza di 3 basi azotate (3 lettere) è un codone.
- Con 4 ‘’lettere’’ (le basi) si possono scrivere 64 parole ognuna formata da 3 lettere
(codoni).
Il codice genetico è una mappatura quella che viene fatta, posizionando le basi azotate
che sono 4:
- prima fase: uracile, citosina, adenina e guanina
- seconda fase: uracile, citosina, adenina e guanina
- terza fase: uracile, citosina, adenina e guanina
Esempio:
1. se la prima lettera è uracile, la seconda è uracile e la terza è uracile, avremo UUU. Se
il nostro ribosoma incontra questo codone fatto da 3 basi azotate tutte e 3 uracile,
l’amminoacido che deve richiedere per la sintesi proteica è il Fenilalanina.
2. Se invece abbiamo adenina, uracile e citosina, allora l’amminoacido corrispondente
sarà l’isoleucina.

Il codice genetico è:
- univoco: c’è una corrispondenza univoca tra codone e amminoacido. Ciò significa
che quando il nostro ribosoma incontra il codone, può agganciare solo ed
esclusivamente un solo amminoacido, perché ad ogni codone corrisponde un solo
amminoacido.
- ridondante o rigenerato: più codoni sono sinonimi tra loro, per cui più codoni
possono codificare per lo stesso amminoacido.
- universale: non è del tutto vero perché ci sono delle eccezioni nel mondo proteico
rispetto a quello eucariotico e anche in quello degli stessi eucarioti, tra quello
mitocondriale e genomico. Ma in linea di massima si considera universale.
Il codice genetico è costituito da 64 codoni:
- un codone di inizio AUG che codifica per la metionina. Quindi tutti i codoni d’inizio,
iniziano con la metionina negli eucarioti. Nei batteri, questo stesso codone AUG
codifica per la formilmetionina.
- 3 codoni di stop o di terminazione: UAA, UAG, UGA. Si chiamano anche codoni non
senso perché quando il ribosoma incontrerà uno di questi 3 codoni, di fatto non
codificherà per nessun amminoacido, ma dirà ai ribosomi di aver finito il suo
compito e quindi lascerà la proteina perché la sintesi è finita.
-RNA messaggero subisce questo processo di maturazione prima di poter transitare nel
citoplasma.
-RNA di trasporto è una molecola particolare perché ha una struttura a quadrifoglio
dove ci fa vedere la presenza di uno stelo accettore e la presenza di 3 anse. Questa
struttura è importante perché ha 2 siti di legame fondamentali durante la sintesi
proteica, che sono: lo stelo accettore e l’ansa dell’anticodone.
Lo stelo accettore ha questo nome perché lega l’amminoacido, lo stelo è indispensabile
come sito di attacco dell’amminoacido.
L’ansa dell’anticode serve a legarsi al codone dell’RNA messaggero, quindi durante la
sintesi proteica arriva il nostro filamento di RNA messaggero maturo, arriva il nostro
ribosoma che lo lega, lo legge, trova il punto di stacco, quindi incontra AUG e gli dice
che da quel punto deve iniziare.
Il ribosoma si ferma e aspetta che arrivi l’RNA di trasporto che porti la metionina.
Come si fa a sapere che l’RNA di trasporto che sta arrivando porte l’amminoacido
giusto?
Perché c’è complementarietà tra il codone dell’RNA messaggero (AUG) e l’anticode
(UAG).
-Se questa complementarietà non c’è, l’RNA transfert si allontanerà e il ribosoma resta
fermo finchè non arriva quello giusto.
-Se c’è questa complementarietà allora stanno trasportando l’amminoacido giusto,
l’RNA transfert forma il legame anti-codone e si ferma, il ribosoma avanza per andare a
leggere il codone successivo.
Nel momento in cui espone il codone successivo, il meccanismo di riconoscimento sarà
identico, quindi si avvicina una nuova molecola di RNA transfert, verifica la
complementarietà codone-anticodone, se c’è ecco che si avvia la sintesi delle proteine
perché troveremo legati 2 RNA transfert con 2 amminoacidi vicini.
Cosa accade tra gli amminoacidi perché si formi la proteina?
Tra gli amminoacidi affinchè si formi la proteina, si formerà un legame peptidico, quindi
si avvia l’allungamento della catena, che si allunga leggendo codone dopo codone e
aggiungendo amminoacido dopo amminoacido per tutta la catena.
Chi si farà carico della proteina?
A farsi carico della proteina è sempre l’ultima molecola di RNA transfert che si tiene il
suo amminoacido e quelli precedenti e così via fino al suo termina.
La differenza di sito e quindi di tempi che c’è tra trascrizione e sintesi proteica nei
procarioti e negli eucarioti:
- Nei procarioti: mancano i sistemi membranosi interni al citoplasma, quindi non
abbiamo una separazione fisica tra il nucleo (dove avviene la trascrizione) e
citoplasma (dove avviene la sintesi proteica).
- Sintesi e trascrizione avvengono contestualmente, quindi ancora prima che la
trascrizione sia finita, la sintesi proteica si aggrava. Avviene contestualmente per 2
motivi: 1. non c’è nucleo e quindi non c’è una separazione fisica. 2. Non esistono
introni nel genoma batterico e quindi non si deve andare nell’RNA messaggero, è già
maturo in seguito al processo di trascrizione.
- Negli eucarioti: si può passare dal nucleo al citoplasma solo dopo che l’RNA
messaggero ha subito il suo processo di maturazione.
Quindi c’è una separazione fisica spaziale e temporale negli eucarioti, mentre non c’è
una distinzione né spaziale e né temporale nei procarioti.

Divisione cellulare
Mitosi Meiosi
cellule somatiche cellule della linea germinale

2 cellule diploide(cloni, 4 cellule aploidi differenti


cellule figlie identiche
alla cellula madre)

MITOSI (si intende la sola divisione del nucleo)


Profase:
Spiralizzazione del DNA, si passa dalla cromatina ai cromosomi, sparisce l’involucro
nucleare; i centrosomi migrano ai poli della cellula e danno forma alla fibre del fuso
mitotico, meglio parlare di apparato mitotico:
microtubuli del fuso→ si dirigono dal centrosoma verso il centro della cellula(verso i
cromosomi). Fibre dell’aster→ assumono un aspetto stellato e si dipartono dal
centrosoma e si dirigono verso la membrana plasmatica .
Metafase:
i nostri cromosomi sono distribuiti lungo il piano equatoriale , il fuso mitotico è già
formato ed ha già agganciato i cinetocori.
Anafase:
avviene la separazione dei cromatidi fratelli, i quali si portano ai poli opposti. Avviene
la cariocinesi, ovvero la divisione del patrimonio genetico, il quale viene ripartito tra le
2 cellule figlie.
Telofase:
Ci sarà la citodieresi: strozzatura della cellula madre in 2 cellule figlie. Sara un anello
contrattile fatto da microfilamenti actimici che andrà a strozzare (partendo dal centro)
la cellula in 2 cellule figlie. La citodieresi non termina così, infatti accadrà l’opposto di
tutto ciò che è accaduto in profase: despiralizzazione cromosomi in cromatina,
riorganizzazione involucro nucleare, quindi per prima cosa spariranno le fibre del fuso,
ma questo va da sé perché nel momento in cui avviene la separazione dei cromatidi
fratelli, le fibre del fuso si sono già depolarizzate e quindi non ci sono più.

Mitosi bivalente: le 2 cellule figlie prenderanno strade diverse.


Una si differenzierà e darà vita ad una cellula di un particolare tipo.
Una rimarrà cellula staminale, a costituire un serbatoio di cellule staminali.
Mitosi equivalente: una cellula si divide per dar vita a 2 cellule identiche tra loro, con lo
stesso destino.
MEIOSI:
Meiosi I→ è riduzionale, dimezza il patrimonio genetico.
Profase:
Spiralizzazione cromatina in cromosomi; l’involucro nucleare si dissolve, si inizia ad
organizzare il fuso mitotico. Avviene il crossing-over: appaiamento punto per punto tra
i cromosomi omologhi e scambio di porzioni tra cromatidi non fratelli. Dopo questo
scambio, i cromatidi cercheranno di separarsi, ma rimarranno uniti nel punto di
scambio chiamato chiasma (struttura a croce). Sul piano equatoriale non ci
presenteremo col singolo cromosoma, ma con la tetrade (4 bracci: 2 cromatidi di un
cromosoma, 2 cromatidi dell’altro cromosoma omologo).
Metafase I:
si dispongono le tetradi lungo il piano equatoriale. Le fibre del fuso mitotico agganciano
i chiasmi .
Anafase I:
i cromosomi della coppia si muovono verso i poli opposti ( un cromosoma andrà giù,
l’altro andrà su). In questa fase si assisterà ad una divisione riduzionale (madre= 23
coppie di cromosomi omologhi → 23 cromosomi
→23 cromosomi
Per cui le due cellule figlie stanno ereditando 23 cromosomi a testa, viene dimezzato
il patrimonio genetico.
Telofase I:
insieme alla profase II sono rapidissime, devono essere sequenziali. Le due cellule in
telofase I sanno di non essere definitive.

Meiosi II (assomiglia alla Mitosi)


Profase II:
dalla profase si entra subito in metafase II
Metafase II:
lungo il piano equatoriale si dispone il cromosoma, le fibre del fuso agganciano i
cinetocori.
Anafase II:
si separano i cromatidi fratelli tra le due cellule figlie. Parleremo di divisione
equazionale.
Telofase II:
avremo 4 cellule aploide
Sotto momenti profase I:
- Leptotene: la cellula è entrata in fase M. Dissolvimento involucro nucleare,
spiralizzazione cromatina in cromosomi.
- Zigotene: appaiamento dei cromosomi omologhi punto per punto ad opera del
complesso sinaptinemale.
- Pachitene: avviene il crossing over. Scambio tra il cromosoma paterno e quello
materno.
- Diplotene: il complesso sinaptinemale si dissolve. I cromosomi tendono a separarsi
ma restano uniti nei chiasmi.
- Diacinesi: i cromosomi omologhi terminano il processo di spiralizzazione. Formazione
tetradi, si dispongono sul piano equatoriale.

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