Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CLONAGGIO MOLECOLARE
Nel genoma di un organismo diploide, ad esempio in una cellula umana, un gene è presente in
genere in duplice copia, “diluito” in mezzo a moltissime altre sequenze di DNA. Tramite il
clonaggio molecolare è possibile isolare un singolo gene o, più in generale, un frammento di DNA
dal genoma di un organismo e produrne molte copie identiche. La disponibilità di un gene in forma
pura e in grande quantità ne consente lo studio a livello molecolare.
Con opportune tecnologie è possibile inserire un gene, ad esempio il gene A, all’interno del
plasmide che costituisce il cosiddetto vettore di clonaggio e ottenere un vettore “ricombinante”. Il
vettore “ricombinante” così generato (vettore di clonaggio + gene da clonare) deve essere poi
introdotto, mediante le opportune tecniche di trasformazione, all’interno di cellule ospiti
(normalmente E. coli) in cui possa mantenersi e moltiplicarsi. I batteri così ottenuti portano copie
clonate del gene A.
Le tappe del clonaggio molecolare sono basate sull’uso di:
vettori di clonaggio
enzimi di restrizione
ligazione
Il clonaggio di un gene è costituito da diverse tappe. Dalla cellula di E. coli viene isolato il
plasmide, mentre dalle cellule che contengono il DNA da clonare, ad esempio dalle cellule umane,
viene estratto il DNA genomico. Entrambi i DNA (plasmidico e genomico) vengono tagliati con lo
stesso enzima di restrizione.
2.2 I PLASMIDI
I plasmidi sono elementi genetici extracromosomici che si replicano autonomamente in cellule
batteriche. Normalmente i plasmidi hanno DNA circolare a doppio filamento, superavvolto, anche
se esistono dei plasmidi con DNA lineare. All’interno delle cellule di E. coli il DNA plasmidico si
trova in una forma caratteristica, in cui il DNA circolare a doppio filamento si superavvolge nello
spazio intorno all’asse della doppia elica. Tale struttura viene chiamata “struttura superavvolta”
ed essendo la struttura più stabile dal punto di vista termodinamico, è quella presente in natura.
I plasmidi che vengono oggi utilizzati come vettori di clonaggio sono dei derivati di plasmidi
naturali che sono stati “ingegnerizzati” in modo da rispondere a ben precisi requisiti:
1) contengono una sequenza, denominata sequenza ori che funziona come origine di replicazione
del DNA plasmidico nelle cellule batteriche ospiti e che permette, quindi, ai plasmidi di replicarsi
come elementi extracromosomici. La replicazione del DNA plasmidico avviene quindi in modo
indipendente dalla replicazione del DNA del cromosoma;
2) contengono almeno un marcatore selettivo che permette di distinguere le cellule ospiti che
contengono il plasmide da quelle che non lo contengono. Normalmente si utilizzano come
marcatori selettivi geni che conferiscono la resistenza agli antibiotici, ossia la capacità di crescere
in presenza dell’antibiotico ampicillina (amp) o tetraciclina (tet) o cloramfenicolo. Occorre a
questo proposito tenere presente che le cellule batteriche, se non contengono il plasmide che
porta il gene per la resistenza ad un antibiotico, sono “antibiotico-sensibili”, ossia sono incapaci di
crescere in un terreno di coltura in cui sia presente l’antibiotico;
3) un buon vettore di clonaggio deve contenere una zona dove è possibile “inserire” il DNA
esogeno da clonare. Questa zona, che è chiamata polylinker, o zona di clonaggio multiplo, è
costituita da un tratto di DNA che contiene delle sequenze, dette siti di restrizione, che sono
riconosciute come siti di taglio da parte di enzimi di restrizione. E’ intuitivo che se noi vogliamo
inserire un frammento di DNA in una molecola circolare, quale è il plasmide, dobbiamo tagliarla in
un punto (e il taglio viene fatto con un enzima di restrizione). Inoltre, se vogliamo che
l’inserimento del frammento di DNA avvenga in un punto preciso, è necessario poter tagliare il
plasmide in un solo punto prestabilito. Questo viene ottenuto facendo sì che nel punto dove
vogliamo inserire il DNA esogeno, e solo lì, sia presente un sito di taglio per un enzima di
restrizione. Il polylinker quindi contiene siti unici di taglio per enzimi di restrizione.
I vettori plasmidici di impiego generale sono stati progettati per clonare frammenti di DNA
relativamente piccoli (<10 kpb in E. coli).
I FAGI
Vengono impiegati per la clonazione efficiente di sequenze di DNA di maggiori dimensioni (15-20
kb). Formano delle pacche di lisi. Quando si vuole partire da una colonia batterica, i fagi lisano i
batteri e il clone molecolare viene contenuto in una placca di lisi.I fagi più usati sono quelli
derivanti dal batteriofago lambda.
I COSMIDI
Un cosmide è semplicemente un plasmide, di solito intorno alle 5 Kb contenente un sito cos. Come
tutti i vettori plasmidici contiene una ori, un marcatore di resistenza e siti unici di restrizione. Una
volta che il DNA del fago viene replicato, un enzima specifico riconosce il sito COS e taglia il
filamento di DNA per creare i frammenti che poi vengono impaccati nella testa del fago. Vengono
contenuti inserti di circa40-45 Kb.
BAC
È un vettore artificiale di DNA basato sul plasmide F (contenente il fattore di fertilità che permette
la coniugazione batterica) isolato da E. coli. Si differenzia dal resto dei plasmidi perché è in grado
di tollerare inserti fino a 300Kb e definiti per questo vettori ad alta capacità. La tecnica utilizzata
per inserire tali vettori nei batteri ospiti è la trasformazione per elettroporazione.
YAC
Sono cromosomi artificiali di lievito e in quanto tali hanno caratteristiche in comune con i
cromosomi eucariotici. Infatti sono caratterizzati dalla presenza di:
Centromeri, telomeri e sequenze a replicazione autonoma
Marcatore di resistenza per stabilire una selezione positiva in E. coli
Ori
Marcatori di selezione
Siti di restrizione unici
Possono contenere inserti di DNA più grandi fino a 2 Mb.Alcuni vettori non solo permettono
l’isolamento e la purificazione di specifici DNA ma sono anche in grado di dirigere l’espressione di
geni del DNA inserito. Tali plasmidi sono detti vettori di espressione e possiedono promotori
trascrizionali, derivanti dalla cellula ospite, immediatamente adiacenti al sito di inserzione. Se la
regione codificante di un gene (priva del promotore) è posizionata nel sito d’inserzione
nell’orientamento corretto, allora il gene inserito verrà trascritto in mRNA e tradotto in proteina
dalla cellula ospite. I vettori di espressione sono usati per:
Esprimere geni eterologhi o mutati al fine di determinarne la funzione
Produrre grandi quantità di proteine da purificare.
Inoltre il promotore del vettore d’espressione può essere scelto in modo tale che l’espressione
dell’inserto possa essere regolata dall’aggiunta di un semplice composto al terreno di coltura
come uno zucchero o un amminoacido.
ENDONUCLEASI DI RESTRIZIONE
Le molecole di DNA sono troppo grandi per essere manipolate o analizzate in laboratorio. Se
dobbiamo studiare singoli geni o siti specifici del DNA, le grandi molecole che si trovano nelle
cellule devono essere rotte in frammenti maneggevoli. Ciò si ottiene mediante l’uso di
endonucleasi di restrizione che tagliano lunghe molecole di DNA a doppio filamento in frammenti
più piccoli.
Tali enzimi sono prodotti da diverse specie batteriche per le quali costituiscono un mezzo di difesa
contro i virus invasori in quanto degradano ogni DN riconosciuto come estraneo, restringendo così
l’infezione. Quando un virus inietta il suo DNA all’interno di una cellula batterica, questa è capace
di modificare i siti di restrizione del proprio genoma in modo che l’enzima di restrizione da essa
prodotto non possa tagliare il proprio DNA. Ogni endonucleasi di restrizione è accompagnata da
un enzima di modificazione che protegge il DNA cromosomico dal taglio, metilando la stessa
sequenza riconosciuta dall’enzima di restrizione. Tale sistema è definito restrizione e
modificazione: il batterio modifica il proprio DNA metilandolo in determinate posizioni; il DNA
fagico, non metilato, viene riconosciuto e degradato dalle endonucleasi di restrizione.
Le endonucleasi di restrizione sono state classificate in 3 gruppi sulla base della loro struttura, del
cofattore enzimatico necessario, della sequenza bersaglio (target) riconosciuta e della posizione
della loro sequenza di taglio rispetto alla sequenza target riconosciuta.
ENDONUCLEASI DI TIPO I : sono complessi enzimatici multimerici con subunità multiple
non identiche. Riconoscono sequenze specifiche di DNA ma agiscono ad una certa distanza
da queste, spostandosi lungo il DNA per una lunghezza variabile prima di tagliare. Questo
taglio aspecifico del legame fosfodiestereo non genera dei frammenti specifici e
riproducibili.
ENDONUCLEASI DI TIPO III : sono grossi complessi multimerici che tagliano a livello di una
sequenza specifica ad una distanza fissa dalla sequenza di riconoscimento (circa 20-30 pb di
distanza).
ENDONUCLEASI DI TIPO II: sono composti da una sola subunità e di solito richiedono solo
Mg2+ come cofattore. Ciascun enzima di classe II riconosce e taglia una specifica sequenza
bersaglio detta anche sequenza consenso. Questa sequenza di circa 4-8 paia di basi è detta
sito di restrizione. Si tratta di siti con sequenze palindromiche cioè sequenze di DNA a
doppia elica a simmetria binaria cosi chiamate perché se lette secondo la stessa polarità
(5’-3’) sono identiche nei due filamenti. Una conseguenza di ciò è che l’enzima è un dimero,
più precisamente un omodimero, perché deve riconoscere la stessa sequenza su entrambi i
filamenti.