Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La coltivazione dei batteri in laboratorio richiede l’impiego di “terreni “o “mezzi di coltura “con i quali si
cerca di riprodurre artificialmente un ambiente in grado di soddisfare le esigenze metaboliche del batterio
che si desidera coltivare. Naturalmente un terreno prima della semina dovrà esser sterile in incubatrici
altrettanto sterili. I terreni di coltura si distinguono in liquidi e solidi, l’unica differenza è appunto lo stato
fisico. Il materiale solidificante più usato è rappresentato dall’agar, un polisaccaride acido estratto da
alcune alghe, il quale disciolto a caldo in un liquido, ne provoca durante il successivo raffreddamento la
gelificazione. L’agar non è tossico per i batteri e solo pochissimi di loro possiedono enzimi capaci de
depolimerizzarlo. La gelificazione è abbastanza solida per consentire manipolazioni e umida per la
replicazione, ma povera di acqua il che rende difficoltoso il movimento dei batteri. La composizione chimica
dei diversi terreni di coltura è naturalmente differente in relazione alle necessità nutrizionali del batterio
che si desidera coltivare. I terreni di base usati in batteriologia medica, per la coltivazione dei batteri senza
particolari esigenze nutritive, sono costituiti dal:
-Brodo normale: Costituito da una soluzione allo 0,5 di peptoni (prodotti della digestione della carne) e per
lo 0,3 da estratti di carne. Il tutto tamponato a pH 7 e portato all’isotonicità con NaCl.
-Brodo normale solidificato con agar: Brodo normale addizionato all’1.5 % di agar.
Ai terreni di base (brodo e agar normali) si aggiungono, di volta in volta e a seconda delle esigenze
nutrizionali del batterio che si desidera coltivare, vari altri materiale come: sangue, siero, estratto di lievito
ecc… molto spesso l’aggiunta di uno di questi materiali può servire a più di uno scopo. Ad esempio,
l’aggiunta di siero non solo arricchisce il terreno di sostanze utilizzabili dal batterio come alimenti, ma
elimina anche varie sostanze che potrebbero essere tossiche anche in piccole quantità, attraverso la
multiforme capacità dell’albumina di legare varie classi di composti a basso peso molecolare. L’aggiunta di
sangue oltre ad arricchire il terreno consente anche di rilevare la produzione di tossine batteriche
emolitiche e così via. Inoltre il terreno dovrà essere incubato alla temperatura ottimale per il metabolismo
batterico (circa 36 °C) dovrà essere fornita la concentrazione di CO2 necessaria che di norma coincide con
quella presente nell’aria, inoltre, per i batteri aerobi, si dovrà assicurare la fornitura di ossigeno.
Ovviamente per gli anaerobi obbligati sarà necessario sottrarre tutto l’ossigeno dall’ambiente di
incubazione.
COLTURE ISOLANTI
Per studiare un batterio, come qualsiasi altro microrganismo, e procederne alla identificazione, è
assolutamente necessario poter disporre di una coltura pura, di una coltura cioè, costituita esclusivamente
da batteri identici. Poiché’ raramente una specie microbica si ritrova in natura in assenza di altri
microrganismi si comprende come il primo passo per lo studio di un batterio sia costituito dal suo
ottenimento in coltura pura, isolandolo dal materiale di origine e dalle specie microbiche contantinanti. Le
colture isolanti tendono appunto a questo scopo. Di norma, i terreni che si impiegano per l’isolamento sono
terreni solidi, in quanto l’utilizzo di un mezzo liquido determinerebbe ancora la comparsa di popolazioni
batteriche miste rispetto quelle di partenza. Con i terreni solidi invece inoculando i vari batteri in punti
diversi e distanziati tra loro avremo colonie separate e circoscritte (per batteri incapaci di muoversi.
COLTURE DI MANTENIMENTO
Per mantenere una coltura in laboratorio sono necessari periodici trapianti in terreni freschi per evitare la
morte di fame dei batteri. Per ridurre la frequenza dei trapianti si mantiene la coltura a temperature
inferiori (frigorifero e a T ambiente) dopo che si è raggiunta la fase stazionaria. Per tempi molto lunghi si
ricorre all’essiccamento in liquidi ricchi di sostanze proteiche oppure alla liofilizzazione.
Plasmidi: sono elementi genetici extra cromosomici, formati da una molecola di DNA bicatenario a struttura
circolare, sono estremamente più piccole di quelle del cromosoma batterico (che presenta da 1 a 5 milioni
di coppie di basi). Un singolo batterio può contenere numerosi plasmidi differenti e di diverse dimensioni
ed esser presenti in copie. Naturalmente ogni specie batterica ha un corredo plasmidico peculiare. Le
funzioni codificate dai plasmidi, tra l’altro, raramente sono indispensabili per la sopravvivenza e la
moltiplicazione del batterio in ambienti ottimali ed è relativamente facile osservare la perdita di uno o più
plasmidi nei batteri mantenuti a lungo in colture artificiali. Ogni plasmide possiede una serie di geni
finalizzati alla duplicazione del plasmide stesso e alla sua ripartizione nelle cellule figlie. Molti plasmidi però
possiedono informazioni genetiche ulteriori in grado di codificare prodotti utili a garantire la sopravvivenza
del batterio in particolari situazioni. Le proprietà cellulari codificate da questi plasmidi sono numerose
(anche se a volte non indispensabili alla sopravvivenza ) comprendono , la produzione di tossine , di pili e di
altri tipi di adesine, la produzione di enzimi capaci di interferire con l’azione di diversi farmaci antibatterici ,
la produzione di batteriocine (proteine “ tossiche “ in grado di uccidere altri batteri ) .Alcuni plasmidi ,
denominati “ plasmidi coniugativi “ sono in grado , mediante un particolare set di geni , di codificare una
serie di prodotti che sono in grado di promuovere un intimo contatto tra cellule diverse ed il successivo
trasferimento del plasmide attraverso un ponte coniugativo consentendo così il trasferimento orizzontale
( da una cellula donatrice ad una accettrice) in aggiunta a quello verticale , possibile per tutti i plasmidi.
Sia il cromosoma batterico che i plasmidi contengono elementi che possono traslocare da una zona all’altra
del genoma e sono denominati elementi trasponibili:
- Sequenze di inserzioni: piccoli tratti di DNA i cui estremi sono caratterizzati dalla presenza di corte
sequenze nucleotidiche ripetute.
- Trasposoni: elementi genetici di maggiori dimensioni. L’elemento trasponibile originale rimane nella sede
iniziale mentre una sua copia compare in un’altra zona del genoma.
- Elementi invertibili: simili ai trasposoni ma hanno in più un enzima peculiare, la DNA-invertasi che è
capace di invertire l’orientamento dell’elemento che lo possiede, nella sua collocazione nel cromosoma.
Le mutazioni
Le mutazioni consistono in modificazione della sequenza di basi in zone più o meno ampie del DNA e
possono essere rappresentate da microlesioni, quando sia alterata una singola coppia di basi, o in
macrolesioni quando la modificazione riguardi sequenze di maggiori dimensioni. Le mutazioni sono le
medesime di quelle già viste per gli eucarioti. Come è noto le mutazioni sono per la maggior parte
conseguenza di errori nella duplicazione del DNA ed avvengono quindi con una frequenza bassissima. Le
principali mutazioni microlesioni comprendono:
-Transizione: Una base purinica è sostituita con un’altra base purinica o una base pirimidinica con un’altra
pirimidinica
-Trasversione: sostituzione di una base purinica con una pirimidinica o viceversa
-Frame shift: Scorrimento della sequenza di trascrizione dovuta all’aggiunta a o perdita di una o due basi.
Le macrolesioni invece:
-Delezione: perdita di più di una coppia di basi -Duplicazione di sequenze preesistenti
-Inversione e traslocazione: dovute rispettivamente ad inversioni e trasferimenti di basi all’interno della
sequenza nucleotidica
Le mutazioni possono essere a volte compatibili con la vita del batterio, a volte letali in quanto geni mutati
determinano un alterata o mancata codifica di proteine indispensabili alla vita cellulare.
Solo la trasformazione è evoluta per portare al trasferimento di materiale genetico. Le altre due possono
portare al trasferimento di materiale genetico ma solo come conseguenza di errori.