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I BATTERIOFAGI

i batteriofagi, o fagi, sfruttano l’apparato biosintetico dei batteri

per potersi replicare e, in seguito all’infezione, ne inducono la


morte per lisi. I fagi quindi sono una vera e propria minaccia per i
batteri.

La scoperta di agenti antibatterici si ebbe nel 1896 ad opera di


Hankins, ma fu F.W. Twort che realizzò un primo resoconto sui fagi
nel 1915. Felix d’Herelle, invece, condusse i primi esperimenti sui
batteriofagi.

I batteriofagi hanno dimensioni variabili, il diametro è compreso


generalmente tra 23 – 30 nm.

La struttura che essi presentano è ben precisa, dall’alto verso il


basso troveremo:

La testa, chiamata capside, di forma icosaedrica, in cui è raccolto


l’acido nucleico;
Un collare;
La coda, struttura tubulare cava, avvolta da una guaina
contrattile;
Una placca basale;
5 – 6 filamenti (le fibre caudali o fimbrie).
Il genoma è costituito da DNA o RNA, a doppio o singolo
filamento.

La classificazione dei batteriofagi dipende da diverse caratteristiche, soprattutto


dal ciclo biologico. I batteriofagi virulenti danno luogo al ciclo litico, mentre
i batteriofagi temperati danno luogo al ciclo lisogenico. Descriveremo i
rispettivi cicli biologici nel paragrafo successivo.
Esistono inoltre delle sigle, o delle semplici lettere, per distinguere tra fagi a
DNA o a RNA. Tra le sigle per i fagi a RNA menzioniamo MS-1, MS-2, mentre
per i batteriofagi a DNA possiamo usare, per esempio, la lettera T o la lettera
greca lambda (λ).

I batteriofagi T sono generalmente quelli più complessi, ricordiamo il fago T2 che


infetta esclusivamente Escherichia coli ed è stato utilizzato in un importante
esperimento genetico, come approfondiremo in seguito nel paragrafo apposito.

I batteriofagi infettano determinati batteri aderendo alla loro superficie.


L’adesione è possibile grazie a proteine virali che riconoscono specifici recettori
presenti sulla superficie batterica.

In seguito, il fago, grazie alla propria struttura, attacca il batterio, in quanto fissa
le sue fimbrie sulla membrana dell’ospite e, con un meccanismo di contrazione,
inietta all’interno il proprio genoma, mentre rimane all’esterno l’involucro
proteico.
Il genoma fagico, una volta penetrato all’interno del batterio ospite, da luogo al
ciclo litico o al ciclo lisogenico.

 Il ciclo litico prevede che il genoma fagico sfrutti l’apparato


di replicazione dell’ospite producendo nuove particelle fagiche.
La cellula ospite raggiunge così il volume di scoppio, le particelle
fagiche sono rilasciate all’esterno, di conseguenza il batterio si
disgrega per lisi. Tra la fase di attacco del batteriofago e il rilascio
delle particelle fagiche trascorrono circa 30 minuti.
 Nel ciclo lisogenico invece, il genoma fagico si integra in un punto
specifico del cromosoma batterico, quindi, quando quest’ultimo si
replica, si replicherà anche il genoma del batteriofago. Il genoma
fagico è trasferito alle nuove generazioni, senza causare danni al
batterio. In questa condizione il fago è chiamato profago, il batterio
che lo contiene è chiamato lisogeno e lo stato di integrazione tra il
fago e il batterio è detto lisogenia. In condizioni di stress, o con la
presenza di stimoli opportuni, il genoma del fago viene escisso da
quello dell’ospite andando incontro al ciclo litico.

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