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BIOCHIMICA STRUTTURALE/ BIOCHIMICA METABOLICA

STRUTTURA TRIDIMENSIONALE DELLE PROTEINE


Le proteine assumono 4 livelli di struttura: struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.
STRUTTURA PRIMARIA: l’ordine in cui gli amminoacidi sono legati con un legame peptidico all’inter-
no della catena. Essa è una struttura lineare.
STRUTTURA SECONDARIA: la struttura primaria si piega perché una interazione tra gli atomi che costi-
tuiscono la struttura primaria. La struttura secondaria è l’organizzazione locale della sequenza, dovuta princi-
palmente ai legami ad idrogeno formati dal legame peptidico. Di questo tipo sono le strutture “alfa elica” e la
struttura “foglietto beta”.
ALFA ELICA: si chiama elica perché assume una struttura elicoidale, in quanto l’ossigeno e l’idrogeno in-
terni alla catena le fanno assumere questa forma. Si chiama alfa perché è un’elica destrosa perche sale da si-
nistra verso destra. Questi legami si formano ogni 3,6 amminoacidi ogni singolo giro, il che significa che
ogni molecola di questo tipo è grande 5,4 angstrom. Ma gli amminoacidi presentano anche un residuo R, una
catena laterale, che ha una struttura ben definita, che caratterizza ogni singolo amminoacido; essi puntano
verso l’esterno dell’alfa elica, cosa importante perche questi potranno poi interagire tra di loro nei livelli suc-
cessivi di struttura delle proteine.
FOGLIETTO BETA: I foglietti beta sono di due tipi: antiparalleli e paralleli. Sono sempre strutture più
piatte rispetto a quello dell’alfa elica. Sono sempre stabilizzate dai legami ad idrogeno tra l’idrogeno
dell’azoto e l’ossigeno del carbonio di un legame peptidico; si hanno porzioni di proteina che si affiancano le
une alle altre, ci sono delle angolazioni, dovute agli angoli di legame dei vari atomi, mai di 180 gradi, che gli
conferiscono una struttura un po' ripiegata. Lateralmente, le catene laterali degli amminoacidi sono posizio-
nate o sotto o sopra il piano del foglietto, in maniera alternata.
Si definiscono paralleli e antiparalleli perche nel foglietto antiparallelo gli amminoacidi sono antiparalleli.
Si dicono paralleli perche le catene degli amminoacidi vanno contati sempre secondo la stessa direzione. Il
foglietto parallelo è un po' più ripiegato e gli amminoacidi di cui è formato vanno contati sempre da sinistra
verso destra.
La struttura secondaria è la disposizione regolare degli amminoacidi che si trovano vicini alla struttura pri-
maria.
La struttura super-secondaria, chiamate anche motivi; vengono utilizzate più di una struttura secondaria.
Come il beta-barile, struttura che si trova molto spesso nei canali di membrana.
STRUTTURA TERZIARIA: è l’insieme dei ripiegamenti tridimensionali (strutture secondarie), che determi-
nano la forma complessiva della molecola. Si ottengono quindi strutture globulari, oppure delle strutture fi-
brose. La più importante proteina fibrosa nel nostro corpo è la cheratina e il collagene e l’elastina, ma la
maggior pare delle nostre proteine sono di natura globulare. Tutti questi ripiegamenti sono stabilizzati delle
interazioni chimiche deboli che si instaurano tra le strutture laterali degli amminoacidi, come ad esempio tut-
ti di legami deboli come le forze di wander walls, i legami ad idrogeno o i legami ionici o i dipoli.
STRUTTURA QUATERNARIA: presente solo in alcune proteine, quelle costituite da più catene polipeptidi-
che, riunite insieme a formare una struttura complessa (dimeri di due subunità, tetrameri di quattro subunità).
All’interno di queste strutture ci sono delle associazioni di base, come due subunità alfa e due di beta, questo
è definito “protomero”. L’emoglobina è formata da due protomeri.
Quando una proteina si è ripiegata, la proteina assume una disposizione dei suoi atomi nello spazio tridimen-
sionale; questa è definita la struttura della proteina, cosa direttamente correlata alla sua funzione, quindi se la
proteina cambia struttura, essa non potrà svolgere quella funzione.
Il odo in cui si ripiegherà è determinato dalla struttura primaria e una volta che la struttura è fatta, sarà man-
tenuta dalle interazioni deboli. La conformazione di una proteina è data anche da fattori ambientali. Una pro-
teina si denatura quando perde la sua struttura terziaria o quaternaria e si srotola in una struttura denaturata,
quindi verrà persa anche la loro funzione, e sono definite biologicamente inattive. Per alcune proteine è pos-
sibile cambiare le condizioni ambientali e continuare a svolgere la stessa funzione di prima con la medesima
struttura precedente (rinaturazione).
CONFORMAZIONE: è la disposizione spaziale degli atomi. Una proteina può passare da una conformazio-
ne all’altra senza rottura di legami covalenti.
CONFORMAZIONE NATIVA: è quella struttura che conferisce alla proteina la sua funzione.
L’emoglobina è una struttura nativa e può avere più di una struttura nativa. L’emoglobina è un tetramero con
due subunità alfa e due subunità beta, quindi è una struttura quaternaria e le struttura e stabilizzata dalle inte-
razioni laterali deboli degli amminoacidi. La prima struttura è detta rilassata. La seconda struttura (struttura
tesa) è quando le quattro subunità interagiscono in modo diverso, quindi tridimensionalmente ha una struttu-
ra diversa. Al centro delle 4 subunità c’è uno spazio vuoto che nella struttura tesa è più stretto perché ci sono
più interazioni, rispetto alla struttura rilassata. La struttura rilassata diventa tesa quando le interazioni cam-
biano e la struttura è diversa.
Anche i trasportatori possono cambiare la loro struttura nativa. Essi servono per trasportare delle molecole
idrofilici oltre la catena fosfolipidica. Il legame della molecola con la proteina cambia e cambia ulteriormen-
te quando il soluto oltrepassa la catena fosfolipidica. La prima serve per legare, la seconda e la situazione in-
termedia e l’altra serve per rilasciare il soluto.
RIPIEGAMENTO ERRATO DELLE PROTEINE
Negli ultimi 20 anni è stati descritto un ripiegamento non corretto ma sempre nativo: se una proteina viene
denaturata, può riassumere la struttura iniziale(nativa), oppure una struttura che può permetterle di svolgere
un altra funzione, diversa da quella nativa. In quest’ultimo caso, ne scaturiscono delle malattie, come ad
esempio il morbo della mucca pazza. In questa malattia: all’interno della cellula c’è una proteina (amiloide)
costituita da delle alfa eliche unite da delle anse e accade che la prima proteina perde la sua struttura fisiolo-
gica e ne assume un’altra, totalmente diversa, costituita da una serie di foglietti beta legati tra di loro.
Quest’ultima non è in grado di svolgere la sua funzione originaria. Poi una volta formata questa proteina in-
fettiva, questa è in grado di andare ad interagire con le proteine non infettive e trasformarle in proteine infet-
tive. I prioni sono delle proteine che assumono nuovi ripiegamenti, e non denaturamenti. Un altro esempio è
il morbo di Alzheimer dove ci sono delle proteine amiloidi, presenti all’interno di una proteina molto più
grande che si trova nella membrana plasmatica, che la mantiene in una determinata posizione, in ambiente
idrofobico. Quando insorge la malattia ci sono degli enzimi in grado di liberare queste proteine. Si trovano
quindi isolate e si trovano nel citoplasma in un ambiente idrofilico, cambia conformazione, creando danno
alle cellule cerebrali.
TRASPORTO DELL’OSSIGENO
l’emoglobina è contenuta negli eritrociti e ha la funzione di trasporto dell’ossigeno. Ma c’è un altra proteina
che serve a legare l’ossigeno ed è la mioglobina, costituita da una sola subunità e localizzata nei muscoli. En-
trambe le proteine sono costituite da un gruppo eme per la mioglobina, e da quattro gruppi eme per l’emoglo-
bina. Quest’ultima è costituita da due subunità, due di tipo alfa e due di tipo beta, organizzate in due proto-
meri alfa-beta, quindi il protomero è l’unità di base dell’emoglobina. Sia quest’ultima che la mioglobina
sono costituite da alfa eliche, unite da delle connessioni.
FUNZIONE DELL’EMOGLOBINA
L’emoglobina serve per il trasporto dell’ossigeno e serve anche a trasportare l’anidride carbonica. L’ossigeno
vi si lega a livello degli alveoli, quattro molecole alla volta, una molecola di ossigeno per ogni gruppo eme.
L’emoglobina che lega ossigeno viene spesso identificata col nome di ossi-emoglobina, che attraverso il tor-
rente circolatorio, raggiunge i tessuti periferici e lo rilascia per il metabolismo cellulare. Poi i tessuti rilascia-
no anidride carbonica, il prodotto di scarto del metabolismo cellulare, che andandosi a legare con l’emoglo-
bina, forma la carbamminaemoglobina (con CO2). Quest’ultima ritorna ai polmoni, rilascia l’anidride car-
bonica che viene espulsa tramite l’espirazione. Perche si chiama carbamminaemoglobina? Perche ci interessa
il primo amminoacido delle quattro catene polipeptidiche, quello che ha l’estremità n-terminale libera.
Quindi il gruppo amminico reagisce con l’anidride carbonica e si forma la carbamminoemoglobina.
La mioglobina serve a legare l’ossigeno liberato dall’emoglobina e ha la funzione di essere deposito di ossi-
geno. Le cellule muscolari si contraggono, per farlo necessitano di ossigeno e quando questo diminuisce, la
mioglobina rilascia l’ossigeno, in modo da consentire sempre la contrazione muscolare. Mioglobina ed emo-
globina sono considerate emo-proteine perché contengono il gruppo eme. Questo gruppo non è una proteina
e prende il nome di gruppo prostetico, gruppo fondamentale perche esse possano svolgere la loro funzione,
infatti esse legano ossigeno in modo reversibile, cioè può legarsi e slegarsi in modo temporaneo.
GRUPPO EME
Il gruppo eme è costituito da due entità: la prima è la protoporfirina-9, struttura formata da tanti atomi di
azoto e carbonio, all’interno della quale è presente un atomo di ferro in forma ridotta(sei molecole di ossige-
no). Quest’ultimo è presente in forma ridotta o ferrosa(fe2+) e una forma ossidata o ferrica (fe3+). Se il ferro
è ridotto, il ferro potrà formare sei legami, quattro con la protoporfirina-9, uno per legare la parte proteica
dell’emoglobina e l’altro per legare l’ossigeno. Se è in forma ossidata il ferro fa solo 5 legami: quattro sono
sempre con l’anello della protoporfirina-9 e uno con la parte proteica dell’emoglobina; ne manca uno, quello
per legare l’ossigeno. All’interno dei globuli rossi ci sono una serie di processi che mantengono il ferro in
forma ridotta, per permettere all’emoglobina di legare ossigeno e svolgere la sua funzione di legare, trasporto
e rilascio di ossigeno.
L’istidina è l’amminoacido in grado di interagire con l’atomo di ferro quando è inserito all’interno del grup-
po eme. Dall’altro lato il ferro interagisce con l’ossigeno (ferro 2+); l’ossigeno a sua volta è in grado di inte-
ragire con un’altra istidina, presente in un altro punto della catena proteina dell’emoglobina.
COME FA L’EMOGLOBINA A TRASPORTARE OSSIGENO?
L’ossigeno, essendo una molecola molto reattiva, produce sostanze nocive, cioe i radicali liberi. Ma il fatto
di essere legato all’emoglobina, rimane distante dall’ambiente cellulare e non genera queste sostanze nocive.
Dove avviene il legame dell’ossigeno? Nei polmoni, dove la quantità di ossigeno è molto elevata, poi il tra-
sporto avviene nei tessuti, dove è poca, perche usato per il metabolismo cellulare. La quantità di ossigeno
presente in un tessuto è indicata come “pressione parziale di ossigeno”. Come fa l’emoglobina a sapere se
si trova in un polmone o in un tessuto periferico? Lo capisce in base alla pressione parziale dell’ossigeno
presente nell’ambiente.
L’emoglobina presenta più di una conformazione nativa, la conformazione Tesa e Rilassata. Se essa è senza
ossigeno, la struttura è Tesa (deossiemoglobina). Quando si lega l’ossigeno alla molecola dell’emoglobina,
quest’ultima si trasforma in una struttura R (ossiemoglobina), rilassata, conformazione tipica dell’ossiemo-
globina. Le due strutture hanno diversa affinità per l’ossigeno. Quella T ha una bassa affinità per l’ossigeno,
mentre quella R ha un’alta affinità per l’ossigeno. Se una molecola ha un’alta affinità per l’ossigeno ha anche
difficoltà nel rilasciarlo nei tessuti, in quanto l’emoglobina arriva nei tessuti completamente satura di ossige-
no. Una proteina che ha due forme è definita proteina allosterica.(dal greco diversa forma). Una proteina al-
losterica è una proteina che può avere due conformazioni diverse, indotte dal legame di ligandi. Per l’emo-
globina, il ligando è l’atomo di ossigeno; questi ligandi vengono anche detti modulatori o effettori alloste-
rici.
Come si lega l’ossigeno all’emoglobina? In ogni catena è presente il gruppo eme, il responsabile del diret-
to legame con l’ossigeno. Quando una molecola di ossigeno si è legata all’emoglobina, l’emoglobina cambia
forma, comincia a passare dalla struttura T(senza ossigeno) alla struttura R(piena di ossigeno); da ricordare
che ci vogliono tante molecole di ossigeno affinché una sola molecola di ossigeno si leghi alla proteina, per-
ché quando questa è priva di ossigeno, ha una bassissima affinità per l’ossigeno. Mano a mano che si lega
l’ossigeno, l’affinità per l’ossigeno aumenta. Si dice che l’emoglobina lega l’ossigeno in maniera cooperati-
va, perche le molecole di ossigeno cooperano le une con le altre per aumentare l’affinità che la proteina ha
nei confronti dell’ossigeno.
Ma come può l’ossigeno influenzare la capacità delle altre componenti di legare l’ossigeno?
Le subunità dell’emoglobina interagiscono tra di loro tramite legami chimici deboli, ma sono in grado si sen-
tire ciò che accade nella prima subunità. Dentro il gruppo eme, c’è l’atomo di ferro (Fe2+) che può creare sei
legami totali: 4 con l’anello del gruppo eme, il quinto con l’istidina dell’emoglobina e il sesto per legare
l’ossigeno. Quando l’ossigeno entra nella proteina, il legame con l’ossigeno fa si che l’atomo di ferro scenda
lungo la catena del gruppo eme.
Il legame con l’ossigeno fa si che l’atomo di ferro diventi più centrato, ma siccome il ferro è legato alla parte
proteica, anche quest’ultima risentirà dello spostamento del ferro. Cosi, man mano che l’ossigeno si lega, la
proteina passerà dalla struttura T alla struttura R, cui l’ossigeno srà legato totalmente.
EFFETTORI ALLOSTERICI DELL’HB.
Effettore allosterico ossigeno
Gli effettori sono quegli elementi che sono in grado di far cambiare conformazione all’emoglobina, legando-
si alla molecola, modificando la sua affinità per l’ossigeno. Nei polmoni, l’ossigeno si lega alle 4 subunità
dell’emoglobina e quest’ultima carica, attraverso il circolo sanguigno e i tessuti, dove si avrà una concentra-
zione di ossigeno più bassa, rilascerà le molecole di ossigeno, e la conformazione nei tessuti diventa T. Cosi
l’ossigeno viene liberato, aumentando l’efficienza di rilascio. Se la conformazione rimanesse R(piena di ossi-
geno), l’emoglobina non lascerebbe ossigeno. Nei tessuti periferici, l’emoglobina ha una saturazione del
50%, perche si ha un rilascio e un legamento di ossigeno contemporaneamente. La mioglobina che deve con-
servare l’ossigeno perche è un deposito di ossigeno per la contrazione, lo deve mantenere legato anche nei
tessuti periferici, e lo rilascia solo quando la concentrazione di ossigeno pari a zero.
Ci sono altri effettori allosterici pH e CO2 insieme che costituiscono l’effetto Bohr, la CO2 da sola e il
2,3,bifosfoglicerolo.

EFFETTO DEL PH SUL LEGAME DI OSSIGENO AD HB (effetto bohr)


il pH del sangue è di circa 7,4. se si abbassa il pH a 7,2 si assiste all’emoglobina che è in grado di rilasciare
più ossigeno anche a pressioni parziali elevate, cioe può rilasciare ossigeno quando la concentrazione
dell’ossigeno è più elevata, quando si ha un pH acido, oltre che ad una concentrazione di ossigeno bassa
(maggiore rilascio di ossigeno). Il pH è un modo per misurare la quantità di protoni presente nell’ambiente.
Se si ha un ambiente con tanti protoni, questi si legano alla parte proteica dell’emoglobina, facilitando la
conformazione dell’emoglobina da R a T(rilascia con più facilità l’ossigeno) . Un tessuto produce tanti pro-
toni quando ha un metabolismo attivo, cioè quando sta compiendo lavoro. Un altra molecola che viene pro-
dotta da un tessuto metabolicamente attivo è l’anidride carbonica, gas idrofobico, quindi può uscire dai tessu-
ti periferici ed entrare negli eritrociti. Al loro interno c’è l’anidrasi carbonica che catalizza la reazione ani-
dride carbonica più acqua. Questa reazione produce un acido, l’acido carbonico. Questo acido, quando è in
un ambiente acquoso, si dissocia, rilasciando protoni. In questo caso rilascia un protone e lo ione bicarbona-
to, ione che viene rilasciato nel circolo.
il destino del protone ? Si lega all’emoglobina in conformazione R, facilitando la conversione da R con 4
molecole di ossigeno a T, promuovendo il rilascio di ossigeno.
Nei polmoni, lo ione entra nel globulo rosso, va a reagire con l’emoglobina che porta con se i protoni, con
questi ultimi, lo ione bicarbonato forma di nuovo l’acido carbonico e l’emoglobina passa dalla conformazio-
ne T alla conformazione R (piena di ossigeno). Successivamente lo ione reagisce con l’acqua e forma anidri-
de carbonica che verrà poi eliminata con l’espirazione.
L’effetto Bohr stabilisce che il legame degli ioni H+ è inversamente proporzionale al legame dell’ossigeno.
FATTORE ALLOSTERICO CO2
L’anidride carbonica si lega ai residui ammino-terminali dell’emoglobina in conformazione T, formando la
carbamminaemoglobina, rendendo più stabile la conformazione T dell’emoglobina. I tessuti periferici gene-
rano protoni e anidride carbonica, che interagiscono con l’emoglobina, andandone a stabilizzare la conforma-
zione T, quella conformazione che avendo sulla struttura poco ossigeno, impedisce all’ossigeno rilasciato di
rilegarsi all’emoglobina.
RUOLO DEL 2,3 BIFOSFOGLICERATO. (2,3-BPG)
è una molecola a tre atomi di carbonio. La sua totale assenza, 5 mmol/L(normali condizioni di vita) e una
quantità di 8 mmol/L che si ha quando si ha il sangue di individui che vivono ad alte altitudini, quando
l’ossigeno nel sangue è inferiore. Se la molecola è assente, la curva di saturazione dell’emoglobina diventa
simile a quella della mioglobina, cioe perde la capacità di rilasciare ossigeno a livello dei tessuti.
Se l’aria che inspiriamo contiene meno ossigeno, nei polmoni l’emoglobina si satura meno, quindi quando
arriva nei tessuti rilascerà meno ossigeno. Se però lo stesso individuo aumenta la quantità del bifosfoglicera-
to, il suo metabolismo funzionerà correttamente.
Come fa il bifosfoglicerato a legarsi con l’emoglobina?
Il 2,3 bifosfoglicerato, si lega al centro della cavità centrale dell’emoglobina, presente nella conformazione T
(de-ossiemoglobina, povera di ossigeno).
La sua presenza, rende fisicamente più complicata la transizione dell’emoglobina con la T a quella R. Quin-
di l’emoglobina esisterà in conformazione T più lungo, permettendo il rilascio di ossigeno per un intervallo
di tempo superiore, aumentando la quantità di ossigeno rilasciato nei tessuti periferici.
La presenza del bifosfoglicerato fa diminuire l’affinità dell’emoglobina dell’ossigeno e permettendo il rila-
scio dell’ossigeno.
Il 2,3 bifosfoglicerato è sintetizzato nei globuli rossi; essi sentono che c’è una diminuita quantità di ossigeno
nell’aria, quindi l’emoglobina è meno saturata, e gli eritrociti rispondono sintetizzando questa piccola mole-
cola. I globuli rossi ricavano la loro energia dalla glicolisi. Quando hanno bisogno di questa molecola, viene
sfruttata la reazione di glicolisi, che permette la sintesi della molecola, a spese di ATP.
Ma anche il midollo osseo registra questa mancanza di ossigeno e sintetizzerà di globuli rossi che conterran-
no una maggiore quantità di enzimi che catalizzeranno questa reazione che sintetizzeranno 2,3 bifosfoglice-
rato.
RELAZIONE TRA EMOGLOBINA E CO
CO è la formula di struttura del monossido di carbonio. Perche questo è tossico? Perche interferisce con la
distribuzione di ossigeno ai tessuti periferici, che crea una anossia a tutti i livelli tissutali.
Il gruppo eme ha al centro l’atomo di ferro che lega la proteina (x) e dall’altro c’è il legame con l’ossigeno
con un determinato angolo, cosi che il legame ferro-ossigeno è indebolito. Il gruppo eme può legare anche il
monossido di carbonio, che quando entra nell’emoglobina vi si lega perpendicolarmente, che crea un legame
molto forte che in condizioni normali è inscindibile. Questo tipo di emoglobina è chiamata carbossiemoglo-
bina, che lega il monossido di carbonio al gruppo eme, con un’affinità di 200.000 volte superiore rispetto a
quella che l’eme ha per l’ossigeno?. Si può mettere l’individuo in presenza di ossigeno molto elevate, usano
la camera iperbarica, in modo tale che CO può venire spaziato e sostituito con l’ossigeno. Ma perché si può
morire quando si respira CO? Se l’eme è occupato dal CO non può legare contemporaneamente anche l’ossi-
geno, quindi si ha una saturazione di O inferiore. Inoltre, se si ha un eme che porta un ligando, l’emoglobina
si trasforma in conformazione R, impedendo l’emoglobina di passare dalla conformazione R in conformazio-
ne T e rilasciare ossigeno; quindi se contiene ossigeno al 50%, l’emoglobina non sarà più in grado di rilascia-
re ossigeno nei tessuti.
Quando CO si lega all’emoglobina, questa mantiene una conformazione R, si ha una intossicazione.
QUANTI TIPI DI EMOGLOBINA ESISTONO?
I tipi si distinguono per la composizione delle subunità delle sue catene.
HbA: ci sono due catene alfa, e due catene beta. (90%)
HbA2: le subunità beta sono sostituite da due subunità delta (2-5%)
HbF: fetale, presente nei feti, con struttura due alfa e due gamma. (<2%)
nell’embrione si hanno le catene alfa che si sviluppano dall’inizio, mentre quelle delta ci sono ma poi spari-
scono.
La presenza di catene diverse(alfa, beta o gamma) modificano l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno e
l’emoglobina che ha un affinità minore è l’emoglobina A, tutte le altre ce l’hanno maggiore. Perche
l’embrione e il feto ricevono ossigeno dall’emoglobina A che dev’essere legato alle emoglobine fetali ed em-
brionali e portarlo ai tessuti periferici. L’HbF può legare ossigeno ad una pressione parziale di ossigeno an-
che minore. Se l’HbF aumenta, si hanno problemi al midollo (leucemia o tumore del midollo).
HbA1c: alfa2, beta2 più glucosio (3-9%). è l’emoglobina glicata. Il glucosio si lega alla parte proteina
dell’emoglobina attraverso una reazione non enzimatica e la frazione di emoglobina glicata presente in un in-
dividuo è direttamente correlata ad una quantità di glucosio presente nel torrente circolatorio. Non ha nessu-
na funzione, ma è importante perche è utilizzata come marcatore del diabete scompensato. I medici utilizza-
no questo valore per valutare se un individuo ha sbalzi di glicemia in un arco di 120 giorni. Se un diabetico
sa di esserlo e prende i farmaci e si trova ad avere questo valore elevato, la terapia non è opportuna oppure
ha mangiato in maniera non corretta.
ANEMIA FALCIFORME
E’ caratterizzata dalla presenza di globuli rossi con forma diversa del normale.
Succede che i globuli rossi modificati hanno una membrana più fragile e hanno poco comprimibilità, quindi
rompersi e portare a dei micro-infarti. Perché il globulo rosso assume una forma diversa? È stato individuato
che questi globuli rossi presentano una mutazione a libello del glutammato della catena beta in avalina, pro-
vocando un cambiamento della struttura della subunità beta dell’emoglobina. Una delle due subunità beta ha
una forma diversa e quando l’emoglobina è in conformazione T senza ossigeno, le molecole di emoglobina
riescono a legarsi, andando a formare delle fibre, fibre che si allineano diventando insolubili e trasformarsi in
cristalli. Questo processo impedisce anche all’emoglobina di legare ossigeno, che porta all’anossia nei tessuti
periferici. Quando arriva l’ossigeno, questo è in grado di bloccare in piccola parte questo processo, quindi
una minima parte di ossigeno viene comunque trasportato. L’essere eterozigoti, in certe zone del mondo può
conferire un vantaggio: ci sono delle zone in cui questo tipo di anemia è presente insieme alla malaria. La
malaria è causata da un parassita all’interno dei globuli bianchi ma se un soggetto è eterozigote di anemia
falciforme, questo genera un vantaggio. Quando si formano questi cristalli, essi sono in grado di uccidere
questo parassita.
METAEMOGLOBINA
Il ferro viene ossidato a ferro 3+ e l’emoglobina che ha questo ferro è la metaemoglobina. Se il ferro si ossi-
da, l’emoglobina diventa molto scura. (Cianosi color cioccolato).
ENZIMI
Gli enzimi sono dei catalizzatori proteici, quindi presentano una determinata struttura, possono avere una o
più conformazioni native. Ci sono degli RNA catalitici che sono coinvolti nello splicing dei geni(1%). Per
svolgere la loro funzione hanno bisogno di cofattori non proteici, fondamentali perché possano svolgere la
loro funzione. I cofattori si chiamano gruppi prostetici e dal punto di vista chimico possono essere ioni me-
tallici o coenzimi. Un enzima con un gruppo prostetico è chiamato oloenzima. Se ci si riferisce solo alla
parte proteica dell’enzima si chiamerà solo la parte proteica dell’enzima Apoenzima oppure apoproteina.
Ioni inorganici: rame, ferro, potassio, magnesio, manganese, selenio o zinco.
I coenzimi sono dei trasportatori temporanei di specifici atomi o gruppi di atomi. La biotina serve a trasferire
anidride carbonica. Il coenzima-A serve a trasportare gli acidi grassi. Il FAD e il NAD servono per trasporta-
re elettroni. I coenzimi vengono sintetizzati dagli organismi, a partire da dei precursori, cioè le vitamine.
Queste hanno la caratteristica che devono essere introdotte con la nostra alimentazione.
LE VITAMINE
Sono suddivise in vitamine idrosolubili e liposolubili.
Tutte le vitamine idrosolubili svolgono la funzione di coenzimi, mentre tra le vitamine liposolubili svolge la
funzione di coenzima solo la vitamina K.
Niacina e vitamina B2 danno vita al NAD e al FAD per il trasferimento degli elettroni.
Acido pantotenico serve per sintetizzare il coenzima A che serve per il trasporto di gruppi acilici, derivati
degli acidi grassi. Per molte di queste, la carenza porta alla malattia. Se l’assunzione è insufficiente spesso si
aggiungono dei supplementi orali. Per le vitamine liposolubili, l’assunzione eccessiva non è tossica, tranne
per la vitamina B6. La vitamina K svolge un ruolo di gamma-carbossilazione dei residui di glutammato, nei
fattori della coagulazione e in altre proteine. La vitamina A svolge la funzione nel meccanismo della visione,
nella riproduzione e nel differenziamento. La vitamina A e la vitamina D sono considerati degli ormoni.
La vitamina E svolge la funzione di antiossidante. Queste vitamine, essendo liposolubili, tendono ad accu-
mularsi nel tessuto adiposo.
NOMENCLATURA DEGLI ENZIMI
La nomenclatura tradizionale è caratterizzato dal suffisso -asi.
Uno dei fosfati dell’ATP è stato trasferito nel glucosio e l’ATP si è trasformato in ADP. L’enzima è l’esochi-
nasi nella nomenclatura tradizionale. Nella nuova nomenclatura viene chiamato ATP fosfotransferasi.
Gli enzimi vengono classificati in base al tipo di reazione e sono state identificate sei diverse classi. La prima
classe è quella che contiene le ossido-reduttasi, che catalizzano le reazioni di ossidoriduzioni; gli enzimi
sono il NAD e il FAD. La seconda è la transferasi che catalizzano il trasferimento di gruppi contenenti car-
bonio, azoto o fosforo.
Il terzo è quello delle idrolasi, che catalizzano la scissione dei legami mediante l’addizione dell’acqua. Il
quarto è il gruppo delle liasi, che scindono i legami tra due carboni, tra carbonio e zolfo. Il quinto gruppo e
quello delle isomerasi che catalizzano la conversione degli isomeri gli uni negli altri. L’ultima comprende le
ligasi che catalizzano la formazione di nuovi legami tra il carbonio e l’ossigeno, lo zolfo e l’azoto, reazione
che richiede energia che viene fornita dell’ATP.
PROPRIETà DEGLI ENZIMI
se sono dei catalizzatori proteici, la loro funzione è quella di aumentare la velocità delle reazioni, senza esse-
re consumati. Alla fine del processo chimico, l’enzima risulta non modificato.
essi hanno una determinata struttura terziaria e quaternaria è hanno la capacità di legare un substrato ad un
sito attivo, formando un complesso enzima-substrato. Le iterazioni con l’enzima aiutano la trasformazione
dei substrati in prodotto, che ha una struttura non più compatibile con sito attivo, quindi viene rilasciato.
Questi eventi generano delle proprietà: la specificità perche un determinato enzima potrà solo con uno o con
altri pochi substrati. Regolazione: l’organismo può scegliere se fare accadere o meno la reazione, inibendo o
meno l’enzima. Compartimentalizzazione: molti enzimi sono in specifici organelli, quindi la reazione av-
viene solo in specifici compartimenti, come ad esempio la degradazione delle proteine vecchie avviene sono
nei lisosomi.
MECCANISMO D’AZIONE DEGLI ENZIMI
Ci sono due diversi aspetti: i cambiamenti energetici che si verificano nel corso di una reazione, oppure il
modo in cui il sito attivo catalizza la reazione.
CAMBIAMENTI ENERGETICI
Quando le reazioni non sono catalizzate, il substrato viene convertito nel prodotto finale. Ogni composto
possiede un determinato livello energetico. L’energia che interessa è l’energia libera di Gibbs, quella che
può essere utilizzata per lo svolgimento della reazione precedente. Quando A si deve trasformare in B, si
deve accumulare un po' di energia che gli permette di raggiunge lo stato di transizione che gli permette di
raggiungere poi il prodotto B. Cosa fa l’enzima? Permette di abbassare l’energia di attivazione, quindi sarà
molto più facile la trasformazione in prodotto. (la velocità aumenta, ma non modifica l’equilibrio della rea-
zione). Una reazione all’equilibrio è una reazione dove non tutti i reagenti si trasformano in prodotti e la
loro quantità non si modifica mai.

CHIMICA DEL SITO ATTIVO


Il sito attivo e una macchina molecolare che impiega una varietà di meccanismi chimici per facilitare una
conversione del substrato in prodotto. Si può verificare: effetti di prossimità ed orientamento, catalisi
acido-base, catalisi covalente, catalisi da ioni metallici. Tutti questi permettono di stabilizzare lo stato di
transizione e possono anche avvenire contemporaneamente.
La presenza di un enzima ci permette di modulare la velocità di una reazione. I fattori che influenzano la ve-
locità di reazione è la concentrazione del substrato. Si ha una proporzionalità diretta tra i due fattori quan-
do la quantità di substrato non è elevatissima, successivamente se si ha troppo substrato, la velocità rimarrà
costante, non aumenterà: questo meccanismo prende il nome di saturazione, se l’enzima è saturato si perde
questa proporzionalità diretta. In una reazione non catalizzata, se si aggiunge sempre substrato, si avranno
comunque dei prodotti sempre maggiori.
FATTORI CHE INFLUENZANO LA VELOCITÀ DI REAZIONE
PH
La pepsina che agisce nello stomaco a pH molto acido, nell’intestino non funzione
TEMPERATURA
Alcuni enzimi funzionano solo a determinate temperature; l’enzima dell’uomo a basse temperature non fun-
ziona. Sopra una certa temperatura, la proteina si denatura e si inattiva, quindi non riesce più a catalizzare la
reazione. Dopodiché ogni proteina ha sua temperatura di inattivazione termica e varia da proteina a proteina.
TEORIA DI MICHAELIS-MENTEN
La velocità delle reazioni è stata studiata anche dal punto di vista matematico. La velocità iniziale delle rea-
zioni è uguale alla velocità massima moltiplicata per la quantità di substrato, tutto fratto la somma della co-
stante di michaelis-menten e la quantità di substrato. La costante rappresenta una particolare quantità di sub-
strato, cioè quella quantità di substrato che fa si che la reazione proceda con una velocità che uguale alla ve-
locità massima fratto 2. la costante e la velocità dimezzata si chiamano fattori cinetici.
Una costante bassa dice che un enzima ha bisogno di meno substrato per raggiungere la velocità massima e
ci fa capire che il substrato ha un affinità maggiore per un determinato enzima. Più il valore della costante è
elevato, più l’enzima avrà un’affinità minore per il substrato.
MECCANISMI DI INIBIZIONE ENZIMATICA
L’inibizione può essere reversibile e irreversibile.
Molti farmaci sono degli inibitori enzimatici, e il meccanismi di inibizione sono tre: inibizione competitiva,
incompetitiva e e mista. Un inibitore diminuisce l’attività dell’enzima.
INIBIZIONE COMPETITIVA: il substrato e l’inibitore competono per legarsi al sito attivo dell’enzima.
Se si lega il substrato l’enzima sarà in grado di catalizzare la reazione, se si lega l’inibitore, questo rimane le-
gato all’enzima, impedisce il legame con il substrato e non si avrà la formazione del prodotto. Un meccani-
smo per rendere questo meccanismo reversibile è quello di aumentare la quantità di substrato.
INIBIZIONE INCOMPETITIVA: sull’enzima ci sono due siti, il sito attivo del substrato e un altro sito al
quale può legarsi l’inibitore. In questo caso il substrato si lega all’enzima e la reazione viene catalizzata. Se
l’inibitore vi si lega nell’altro sito. diminuisce la capacità dell’enzima di catalizzare la reazione. Alla fine si
avrà una minore o assente produzione di prodotto. Questo può essere reversibile, se si rimuove l’inibitore.
INIBIZIONE MISTA: si possono verificare varie situazioni; se si lega prima l’inibitore o il substrato. Se si
lega prima quest’ultima, l’enzima catalizza la reazione per il prodotto. Poi si lega l’inibitore sia all’enzima
privo di substrato o con il substrato. Se si lega l’inibitore, l’enzima non catalizza la reazione (meccanismo re-
versibile).
ENZIMI REGOLATORI
Sono enzimi che servono a regolare le vie metaboliche. Una via metabolica è un insieme di reazioni che con-
sentono di trasformare un composto in un altro. Si ha un susseguirsi di reazioni con la produzione di moleco-
le intermedie che vengono poi convertite in prodotti finali. Se non mi serve un determinato prodotto, blocco
l’enzima, chiamato regolatore, ed è in genere il primo. In un processo di feedback negativo, la molecola ini-
bisce l’enzima che la sintetizza. Ma può anche attivare l’enzima, ci sono molecole che servono ad attivare
l’enzima 1 in modo che la produzione di una molecola diventi maggiore. Queste molecole che inibiscono o
che attivano l’enzima sono chiamate effettori allosterici.
La presenza degli enzimi regolatori presenta una modulazione del tutto o niente.
Modificazione covalente: qualcosa viene legato all’enzima tramite un legame covalente che modifica la
conformazione dell’enzima. La modificazione covalente può anche essere in grado di bloccare l’enzima.
Gli enzimi allosterici presentano due subunità: subunità catalitica e subunità regolatoria, quest’ultima ha un
modulatore. Se il modulatore è positivo, l’enzima sarà più attivo. Quando legano effettori allosterici, si ha
un’attivazione(effettore positivo) o un inibizione (effettore negativo), catalizzano una reazione limitante.
Gli enzimi regolatori possono essere regolarsi tramite modificazioni covalenti. Una modificazione covalente
è la fosforilazione. L’ATP cede il suo fosfato all’enzima, che diventerà fosforilato. Questo enzima ha un’atti-
vità diversa da quello non fosforilato. Non è implicito che fosforilazione sia un attivazione, quindi può anche
essere una inibizione.
Un altro meccanismo che attiva gli enzimi è il taglio proteolitico. Molti enzimi digestivi e della coagulazio-
ne vengono attivati in questo modo. Cosa significa? La proteolisi è la rottura della proteina, perche viene de-
gradato un legame peptidico. Il tripsinogeno è il precursore inattivo dell’enzima digestivo tripsina.

STRUTTURA E ASSORBIMENTO DEI NUTRIENTI


il nostro organismo ha la capacità di sintetizzare delle molecole, ma non tutte. Ci sono degli acidi grassi e de-
gli amminoacidi che noi non siamo in grado di sintetizzati. Questi sono chiamati componenti essenziali.
Inoltre, ci sono le vitamine che sintetizzano gli enzimi e i minerali. Tra i nutrienti è compreso l’etanolo, che
non serve. Ma se l’etanolo viene introdotto in quantità elevate può contribuire alla produzione di energia del
nostro organismo, ma è vero che vengono introdotti anche dei danni ai nostri tessuti.
CARBOIDRATI
I carboidrati presentano una formula bruta (una molecola d’acqua per ogni molecola di carbonio).
Il carboidrato più piccolo possiede tre atomi di carbonio, come la gliceraldeide(aldotrioso) e il
diidrossiacetone(chetotrioso).
Tutti i carboidrati possiedono un carbonio carbonilico, che può essere parte di un aldeide o di un chetone. Se
è un aldoso, il carbonio chetonico è il numero uno, se il gruppo chetonico è il carbonio numero 2, il carboi-
drato sarà un chetoso.
Inoltre, vengono classificati anche in base al numero di carboni che presentano lungo la catena; il ribosio è
un aldopentoso, il glucosio è un aldoesoso. Gli zuccheri più grandi hanno circa nove atomi di carbonio.
Quando gli zuccheri esistono come singole molecole, si parla di zuccheri monosaccaridi, come il glucosio.
Questo può esistere nella sua forma ciclica e lineare. Gli aldoesosi più importanti sono il galattosio e il man-
nosio, che svolge un ruolo importante nella modificazione delle proteine. Gli aldoesosi glucosio e galattosio
si differenziano in base alla configurazione di un solo atomo di carbonio, quindi si chiamano epimeri. Il
mannosio è l’epimero due del glucosio, il glucosio è l’epimero 4 del galattosio.
Tra i chetoesosi c’è il fruttosio. Negli aldopentosi c’è il ribosio. Il deossiribosio è il ribosio senza il gruppo
ossidrilico. Il deossiribosio serve per sintetizzare i deossiribonucletidi per sintetizzare il dna.
DISACCARIDI
Il legame che serve ad unire tra di loro due zuccheri è il legame glicosidico e ne esistono due varianti. Uno si
chiama beta e l’altro alfa. Il carbonio 1 di uno zucchero si lega con un altro carbonio dell’altro zucchero. Se
il legame è sopra il piano, questo tipo di legame è indicato con la lettera greca beta. Se il carbonio 1 di uno
zucchero forma un legame che parte da sotto il piano, il legame viene indicato come legame alfa. Un disac-
caride molto comune è il saccarosio, nel quale si ha il fruttosio legato con un legame beta ad una molecola di
glucosio.

POLISACCARIDI
Quando si va ad analizzare le strutture lunghe degli zuccheri, si hanno i polisaccaridi. Si possono avere cate-
ne fatte dalla stessa unità, come tante molecole di glucosio; oppure diverse molecole. Se le unità sono uguali,
si hanno gli omo-polisaccaridi, se le unità sono diverse si hanno gli etero-polisaccaridi. Successivamente
questi possono essere ramificati e non ramificati.
Cellulosa, amido e glicogeno sono tutti omo-polisaccaridi, formati tutti da molecole di glucosio. Amido e
glicogeno hanno delle strutture non lineari; l’amido è in parte ramificato, mentre il glicogeno è totalmente
ramificato. Nella cellulosa, le unità di glucosio sono legate tramite un legame di tipo beta, permettendo alle
catene di essere lineari, potendosi poi appaiare formando strutture molto più complesse. Diversamente,
l’amido e il glicogeno assumono strutture granulari, perche tendono a ripiegarsi su su stessi. Nell’amido le
molecole di glucosio sono legate con legame alfa 1-4. L’amido è costituito dall’amilopectina( ramificata) e
l’amilosio(lineare). Il glicogeno è la molecola di riserva di glucosio degli animali. Anche questo ha una
struttura in cui le molecole di glucosio sono legate con legame alfa 1-4. A questi legami si aggiunge l’esisten-
za di legami alfa 1-6, creati nei punti di ramificazione; questo rende la molecola di glicogeno una struttura di
riserva energetica.
GLICOSAMMINOGLICANI: sono polisaccaridi, che hanno unità di glucosio, dei residui NH2(gruppi am-
minici) e glicani, perche sono molecole molto grandi. I glicosamminoglicani sono: cheratansolfato, epari-
na, acido ialuronico e condroitinsolfato ( nella sostanza amorfa). Tranne l’acido ialuronico, tutti gli altri
possono formare i proteoglicani: la parte proteica è minoritaria rispetto alla parte glucidica. Un proteoglica-
no è l’aggrecano.
I carboidrati possono anche essere legati alle componenti proteiche o lipidiche delle nostre membrane. Si ha
una glicoproteina, una proteina con una piccola componente di carboidrati. Poi ci sono i proteolipidi, in cui
la componente proteica è preponderante alla componente lipidica.
COME DIGERIAMO I CARBOIDRATI?
Per digerire la componente glucidica, dobbiamo andare a scindere i legami glicosidici, usando le glicosidasi,
enzimi specifici per i legami alfa glicosidici, quindi non scindono i legami beta glicosidici. Questi enzimi
sono presenti per primi a livello della bocca, con la presenza dell’alfa-amilasi, dove comincia una prima di-
gestione. Quando arriva nello stomaco, l’amilasi salivare viene denaturata. Il bolo passa nell’intestino tenue,
dove ci sono degli enzimi, tra i quali un alfa-amilasi pancreatica. Successivamente entrano in gioco enzimi
digestivi prodotti dalle cellule mucose dell’intestino, si hanno cosi glucosio, fruttosio e galattosio. Questi
vengono assorbiti dalle cellule intestinali e vengono immessi nel circolo sanguigno. Per la cellulosa, essendo
molto grande, non possediamo gli enzimi per scinderla e viene poi eliminata senza essere digerita.
DIGESTIONE DEL LATTOSIO
Ci sono degli individui che hanno una carenza di lattasi; il lattosio rimane indigerito nell’intestino tenue, rag-
giungendo l’intestino crasso. La flora batterica del crasso metabolizza il lattosio, producendo anidride carbo-
nica, idrogeno e molecole a tre e due atomi di carbonio. Quindi si ha la produzione di gas, oppure di acqua
all’interno del nostro intestino.
I carboidrati sono molecole polari, quindi non sono in grado di attraversare la membrana plasmatica apolare.
Quindi necessitano di trasportatori, il glut-5, che permette l’ingresso di glucosio e il trasportatore SGLT
che porta all’interno della membrana plasmatica il glucosio, il galattosio e lo ione sodio. Quest’ultimo viene
poi portato all’esterno della cellula attraverso la sodio-ATPasi(pompa sodio potassio) a spese di energia; que-
sto è un tipo di trasporto attivo secondario. Queste componenti poi passano al torrente circolatorio attraver-
so il glut-2. Di questi tipi di trasportatori ne sono stati individuati 12, ma solo 4 sono trasportatori di gluco-
sio. Il 2 si trova nel fegato, nel pancreas e nell’intestino, il tre è nel cervello, il 4 nel muscolo, nel tessuto adi-
poso e nel cuore. Quest’ultimo è attivo solo in presenza di insulina. Il 5 serve per trasportare il fruttosio.
DIGESTIONE DELLE PROTEINE
Digerirle significa andare a rompere i legami peptidici che tengono unite le subunità della proteina. La dige-
stione prevede la denaturazione delle proteine e che avvenga dopo la rottura dei legami peptidici. La dige-
stione delle proteine avviene nello stomaco, con i succhi gastrici, in cui c’è acido cloridrico e l’enzima pep-
sina. La gastrina è un ormone che innesca tutti i processi digestivi. Poi ci sono le cellule che secernono il
pepsinogeno, il precursore inattivo della pepsina. La funzione dell’HCl è quella di andare ad uccidere delle
componenti batteriche, ma ha anche il ruolo chiave del suo pH acido, permettendo la denaturazione delle
proteine, così tutti i legami peptidici vengono esposti. Il pepsinogeno si attiva attraverso il pH acido. La
pepsina va ad attaccare i legami peptidici liberi e forma amminoacidi e i polipeptidi. Successivamente, il
contenuto dello stomaco passa nell’intestino, dove il pH è quasi neutro; tutti gli enzimi dell’intestino funzio-
nano a pH basico. Il pancreas libera il bicarbonato per basificare, poi secerne anche granuli contenti zimoge-
ni, i precursori degli enzimi digestivi. Gli zimogeni vengono attivati tramite taglio proteolitico per formare
enzimi attivi. Questi formeranno frammenti sempre più piccoli di proteine. Poi le dipeptidasi e tripeptidasi
sono in grado di denaturare tutti gli altri piccoli frammenti di proteine. Gli zimogeni vengono secreti in una
forma inattiva, caratterizzati dalla desinenza -geno, per altri la forma inattiva è con l’enzima -pro. Come ven-
gono attivati? Nel lume intestinale, è presente l’enzima enteropeptidasi, che è in grado di tagliare il tripsino-
geno per formare la tripsina che, una volta formatasi va ad attivare sempre ,tramite taglio proteolitico, tutti
gli altri enzimi che catalizzeranno la rottura di tutte le altre porzioni amminoacidiche. Infine, gli amminoaci-
di vanno ad essere utilizzati per la sintesi delle nostre proteine corporee, ma servono anche a costruire le por-
firine, come il gruppo eme. Poi per sintetizzare la creatina, i neurotrasmettitori, i nucleotidi e i componenti
che contengono azoto. Dopodiché, gli amminoacidi possono venire ossidati a scopi energetici, ottenendo poi
anidride carbonica o gruppi chetonici.
AMMINOACIDI
Esistono amminoacidi essenziali e non essenziali. Gli essenziali sono la metionina, la treonina e la valina.
Ci sono amminoacidi che possono essere usati per la sintesi di glucosio (glucogenici) e quelli per sintetizzare
gruppi chetonici (chetogenici) e altri che forniscono atomi di carbonio, che sono sia glucogenici che cheto-
genici(leucina e lisina).

STRUTTURA E ASSORBIMENTO DEI LIPIDI


Il lipide più semplice sono gli acidi grassi, che servono per costruire dei lipidi più complessi. Ci sono i tri-
gliceridi, che presentano uno scheletro di glicerolo e tre acidi grassi legati ad esso e hanno una funzione di
riserva, servono a conservare gli acidi grassi, costituiti da una testa polare e da una coda idrofobica. I triglice-
ridi sono completamente idrofobici e quindi possono essere conservati.
Fosfolipidi più abbondanti sono quelli che presentano uno scheletro di glicerolo, due code di acidi grassi e
una testa polare. Questi servono a formare le membrane cellulare e hanno una funzione di segnalazione, per-
che possono anche segnalare dei messaggeri. Un altro componente lipidico è il colesterolo, che ha sia la fun-
zione strutturale che funzionale. La prima perche serve a regolare la fluidità strutturale e la seconda perche è
il precursore di tutta una serie di molecole che sono importanti per delle funzionalità delle cellule e dell’orga-
nismo.
Infine si hanno i glicolipidi che sono dei fosfolipidi collegati a dei carboidrati. Questi stanno nelle membra-
ne.
ACIDI GRASSI
Hanno la testa polare e una coda idrocarburica, che può essere satura o insatura; queste dipendono dal nume-
ro di idrogeni legati alla catena. Se gli atomi di carbonio fanno dei doppi legami tra di loro si hanno catene
insature, alle quali mancano degli idrogeni, rispetto al saturo. L’altra componente della catena è il gruppo
carbossilico idrofilico.
Quello più piccolo è l’acido formico, ad un solo atomo di carbonio. L’acido palmitico è un acido che sinte-
tizziamo, è un acido grasso saturo a 16 atomi di carbonio; l’acido linoleico che ha due doppi legami e ha 18
atomi di carbonio. Il carbonio 1 è sempre quello del gruppo carbossilico. L’acido grasso alfa-linoleico non
lo sappiamo sintetizzare, quindi va introdotto con l’alimentazione e servono per sintetizzare parte di acidi
grassi, come l’acido linoleico. L’acido arachidonico ha 20 atomi di carbonio ed è il precursore delle prosta-
glandine, mediatori dell’infiammazione e serve per sintetizzare i trombossani, coinvolti nei processi della
coagulazione delle piastrine. L’uomo è in grado di sintetizzare acidi grassi con doppi legami fino al carbonio
9, quindi tutti gli altri vanno introdotti con l’alimentazione.
Gli acidi omega 3 e omega 6 sono acidi grassi insaturi e si sottolinea quale carbonio è insaturo a partire
dall’estremità omega, dove omega è l’ultimo carbonio dell’acido grasso.
COLESTEROLO
è una molecola costituita da una piccola testa polare,, da un sistema di anelli, chiamato nucleo steroideo e da
una coda idrofobica, quindi è una molecola idrofobica. (ciclopentanoperidrofenantene). Assumiamo in forma
libera o in forma esterificata, dove la teta polare viene legata da un acido grasso, formando l’estere del cole-
sterolo, che ha la caratteristica di essere completamente idrofobico, quindi il gruppo ossidrico sporgerà al di
là o al di là della membrana nell’ambiente acquoso.
DIGESTIONE DEI LIPIDI
Il problema della digestione dei lipidi sta nella loro natura idrofobica, mentre gli enzimi che servono a dige-
rirli hanno natura idrofilica. Quindi uno dei primi eventi che deve accadere per la digestione è rendere queste
molecole almeno in parte idrofiliche. Ciò accade nell’intestino grazie ai sali biliari. Questi hanno una strut-
tura anfipatica, cioè hanno delle porzioni idrofiliche e altre idrofobiche. Questi sono in grado di dividere i
lipidi in frammenti più piccoli, poi vanno a circondarli formando delle emulsioni. In questo modo, gli enzimi
digestivi potranno inserirsi in queste particelle, chiamate particelle miste. I sali biliari sono sintetizzati nel
fegato, a partire dal colesterolo. Il fegato poi li raccoglie nella cistifellea e, in seguito ad una risposta ormo-
nale durante la digestione, la cistifellea rilascia i sali biliari nel duodeno durante la digestione. Quindi si ha la
formazione di emicelle miste tra lipidi alimentari e acidi biliari, creando degli spazi che permettono agli enzi-
mi che devono digerire i lipidi di entrare nelle emicelle miste. Questi enzimi appartengono alla classe delle
lipasi. Questi enzimi sono sintetizzati dal pancreas esogeno e riversati nel duodeno e staccano due acidi gras-
si dai fosfolipidi, rilasciando lo scheletro di glicerolo del fosfolipide. Anche le lipasi sono dei zimogeni e
vengono attivati tramite taglio proteolitico nell’intestino dalla tripsina.
A livello della bocca e dello stomaco avviene una piccola digestione dei lipidi, ma la grande digestione av-
viene nell’intestino, dopo che si sono formate le emicelle miste tra lipidi e sali biliari.
Quindi il pancreas rilascia gli zimogeni, come le lipasi. Di queste c’è la colesteril-esterasi che rimuove l’aci-
do grasso dal colesterolo, ottenendo acido grasso e colesterolo libero. Le lipasi staccano due acidi grassi dai
fosfolipidi, lasciando il resto della molecola, cioè uno scheletro di glicerolo con la testa polare. Poi ci sono
altri tipi di lipasi, specifici per i triacil-gliceroli, che staccano due acidi grassi, che lasciano il glicerolo con
un acido grasso attaccato, per cui l’enzima si chiama monoacilglicerolo.
Questi prodotti della digestione, che sono gli acidi grassi liberi, i due monoacilgliceroli e il colesterolo, ven-
gono assorbiti e il primo step è l’ingresso di questi composti all’interno delle cellule della mucosa intestinale,
gli enterociti. Questi composti sono idrofobici, soprattutto il colesterolo, e sono in grado di attraversare la
membrana plasmatica autonomamente, ma anche attraverso dei trasportatori specifici per accelerare il loro
ingresso. All’interno dell’enterocita questi composti(monoacilgliceroli e gli acidi grassi) vengono riutilizzati
per ri-sintetizzare altri trigliceridi e il colesterolo viene ri-esterificato con altri acidi grassi per formare nuo-
vamente esteri del colesterolo. Perche succede questo? Perche i triacil-gliceroli e gli esteri del colesterolo
non hanno modo di entrare nelle cellule, quindi per farli entrare li devo scomporre in parti più semplici e poi
devono essere riassemblati. Quando vengono riassemblati, non è detto che queste molecole abbiano la stessa
composizione dei triacil-gliceroli che sono stati ingeriti. Dopodiché si dovranno trasportare dall’enterocita
alle cellule periferiche. Essendo idrofobici, non si scioglieranno nel torrente circolatorio e rimarrebbero accu-
mulati. Allora Ci sono delle molecole idrofiliche che sono in grado di contenere le particelle idrofobiche
all’interno della loro membrana idrofilica, in modo che vengano trasportate alla periferia. Per creare questa
struttura servono dei fosfolipidi per creare la membrana e delle proteine, costruite a partire dagli amminoaci-
di. Questa particella è il chilomicrone, ed è anche il veicolo con il quale vengono trasferite ai tessuti periferi-
ci le vitamine liposolubili, in quanto non riescono a circolare nel circolo sanguigno perché idrofobiche. Il
chilomicrone appartiene alla classe di particelle delle lipoproteine: ha un monostrato interno dove ci sono i
lipidi da distribuire(triacilgliceroli, esteri del colesterolo e vitamine liposolubili), l’esterno è costituito da uno
strato di colesterolo non esterificato, fosfolipidi e delle proteine che prendono il nome generico di apolipo-
proteine. Nel chilomicrone sono presenti all’esterno, integrate al monostrato della membrana le apolipo-pro-
teine.(ApoB-48, ApoC-2, ApoE). Il chilomicrone(contenente soltanto ApoB-48) viene rilasciato nel torrente
linfatico, dopo che esce dall’enterocita, e al livello della succlavia sinistra, dove il sistema circolatorio e lin-
fatico si incontrano, potrà essere immesso nel torrente circolatorio. Prima deve recuperare le altre due apoli-
poproteine (prima ne aveva una) che gli vengono donate dalle HDL, diventando maturo. Nel torrente circola-
torio, il chilomicrone maturo rilascia gli acidi grassi contenuti nei suoi trigliceridi a livello dei tessuti perife-
rici, ma per farlo i trigliceridi devono subire una reazione con un enzima presente sull’endotelio dei capillari
che stacca gli acidi grassi dai trigliceridi, chiamato lipoproteina-lipasi. La lipoproteina-lipasi lo riconosce
attraverso la presenza dell’ApoC-2; il chilimicrone si ferma a livello del tessuto periferico, questo enzima
trasforma i triacilgliceroli ad acidi grassi liberi e glicerolo, questi escono dal chilomicrone ed entrano nei
tessuti periferici; ed entrano solo gli acidi grassi liberi. Il glicerolo rimanente rimane nel torrente circolatorio
perche è una piccola molecola molto idrofilica che va al fegato, che lo ricicla. Man a mano che i chilomicro-
ni percorrono il torrente si svuotano di triacilgliceroli, ad un certo punto perdono ApoC-2 restituendolo alle
HDL, rimanendo un chilimicrone molto più piccolo con esteri di colesterolo e un po' di colesterolo libero.
Questa è rimanenza del chilomicrone; questa viene riconosciuta dal fegato grazie alle presenza di Apo-E,
quindi il fegato la internalizza e la ricicla i lipidi presenti all’interno della rimanenza del chilomicrone.
LIPOPROTEINE: chilomicroni, VLDL, LDL, HDL.
Sono sigle che derivano dall’inglese e si riferiscono alla densità delle lipoproteine. I chilomicroni hanno una
densità inferiore alle VLDL. Si ha uno strato di membrana che contiene fosfolipidi e apolipoproteine.
Un primo modo con cui vengono distinte è il contenuto: i chilomicroni contengono soprattutto i triacilgli-
ceroli, le VLDL contengono ancora molti triacilgliceroli, ma anche colesterolo esterificato. Le LDL conten-
gono soprattutto il colesterolo esterificato e una piccola quota di triacilglicerolo, le HDL contengono soprat-
tutto il colesterolo e una quota marginale di triacilglicerolo. Tutto ciò al loro interno, chiamato core interno
dei chilomicroni.
Le proteine e i fosfolipidi sono la parete strutturale, che cambia da una particella all’altra perche la dimensio-
ne cambia. I chilomicroni sono i più grandi, mentre le HDL sono le più piccole.
ApoB-100 serve per legare il recettore delle LDL. Le apolipoproteine servono a identificare il tipo di parti-
cella, ma ogni lipoproteina è caratterizzata da un corredo di apolipoproteine specifico. Un altra caratteristica
che distingue le lipoproteine è la dimensione.
Quello che le nostre cellule usano per riconoscere e distinguere le varie lipoproteine sono le apolipoproteine,
perche non sono in grado di riconoscerne il contenuto interno oppure vedere la dimensione delle lipoprotei-
ne.
METABOLISMO DELLE VLDL E DELLE LDL
I triacilgliceroli e gli acidi grassi vengono distribuiti dai chilomicroni. Il colesterolo esterificato e quello libe-
ro rimangono all’interno dei chilomicroni che poi vanno recuperati dal fegato. Il colesterolo recuperato, il fe-
gato lo sa sintetizzare, ma anche acidi grassi e triacilgliceroli. Questi ultimi con il colesterolo recuperato dai
chilomicroni e quello sintetizzato dal fegato stesso vengono inseriti dal fegato nelle VLDL e il fegato su que-
ste ultime inserisce l’apolipotroteina ApoB-100, che poi vengono rilasciate nel torrente circolatorio, all’inter-
no del quale acquisiscono le ApoC-2 e le Apo-E, formando la VLDL matura con le apolipoproteine sulla su-
perficie, e all’interno triacilgliceroli di origine endogena perché sintetizzati dal fegato e quantità più piccole
di colesterolo sia di origine endogena che sia quello riciclato dai chilomicroni. Le VLDL cominciano il loro
percorso e, a livello dei capillari, le VLDL vengono riconosciute dalle lipasi grazie all’ApoC-2, così i triacil-
gliceroli delle VLDL vengono digeriti dalle lipoproteine lipasi i acidi grassi liberi che entrano nei tessuti e
glicerolo che rimane in circolo e poi recuperato dal fegato. In questo modo le VLDL si svuotano di triacilgli-
ceroli e formano delle particelle chiamate IDL, cioè delle proteine a densità intermedia, che hanno un conte-
nuto che è aumentato di colesterolo, ma possiedono ancora il corredo di apolipoproteine. A questo punto
ApoC-2 e Apo-E vengono restituite alle HDL e si forma una nuova particella con una densità bassa, chiamata
LDL; su questa particella è rimasta sulla sua superficie soltanto ApoB-100 e contiene solo esteri del coleste-
rolo e colesterolo. Questa si è formata solo dopo che le VLDL hanno rilasciato gli acidi grassi e c’è stata una
ridistribuzione di apolipoproteine. Le LDL vengono riconosciute dai tessuti che possiedono il recettore per le
ApoB-100 e questi tessuti sono in genere i tessuti extra-epatici, soprattutto i tessuti che sintetizzano ormoni
steroidei; grazie a questo riconoscimento i tessuti extra-epatici internalizzano le LDL al loro interno; questo
meccanismo di endocitosi che si chiama endocitosi mediata da recettore, che significa che noi abbiamo le
LDL con ApoB-100, i tessuti periferici che possiedono il recettore per le LDL interagiscono con la nostra li-
poproteina; questa interazione comincia a formarsi una fossetta rivestita da clatrina, quindi si forma la vesci-
cola rivestita, la clatrina viene persa e si forma un endosoma, all’interno del quale avviene la separazione
della lipoproteina dal recettore; si formano così due distinte vescicole, una che contiene solo la lipoproteina e
una che contiene solo il recettore. Quella che contiene solo il recettore torna a fondersi con la membrana
plasmatica, in modo che il recettore venga ri-esposto in superficie. L’endosoma che contiene la lipoproteina
si fonde con il lisosoma. Il lisosoma contiene una serie di enzimi litici, per cui avremo la digestione di tutte
le componenti della lipoproteina; per cui le proteine vengono degradate in amminoacidi, i triacilgliceroli e i
fosfolipidi contenuti diventano acidi grassi, glicerolo e varie componenti, il colesterolo viene invece liberato
e viene inserito in gocce lipidiche dopo che è stato esterificato.
Il colesterolo viene esterificato perché dev’essere raccolto nelle gocce lipidiche, e può entrarci solo se è com-
pletamente idrofobico, in modo tale che l’acqua venga esclusa e che la pressione osmotica dell’ambiente cir-
costante non venga modificata.
Il colesterolo delle LDL viene comunemente riferito come colesterolo cattivo. È cattivo quando è eccessivo,
quando ce n’è troppo. Normalmente è un colesterolo utile perche viene usato per diverse funzioni. Se questo
fosse assente, le cellule non sarebbero in grado si fare ormoni steroidei, influenzando l’omeostasi di tutto
l’organismo e il fegato non sarebbe in grado di fare acidi biliari.
FORMAZIONE DELLE PLACCHE ATEROSCLEROTICHE
Se il colesterolo delle LDL supera una certa concentrazione diventa dannoso, perché le LDL aumentano la
frazione delle LDL che vengono ossidate. Queste hanno una forma diversa e vengono riconosciute dai ma-
crofagi, che si riempiono di LDL ossidate e di colesterolo libero. Una volta pieni, i macrofagi vengono chia-
mati cellule schiumose. Queste si depositano lungo l’endotelio e vanno a formare una placca, in parte sotto
l’endotelio e una parte sporge nel vaso. Questa placca poi viene ricoperta da altre proteine come il collagene
e la fibronectina, formando una struttura molto compatta, la placca aterosclerotica, che può rompersi rila-
sciando frammenti in circolo, che possono andare ad occludere i capillari dei polmoni o del cervello, dando
origine a trombi. Motivo per cui il colesterolo delle LDL è considerato come colesterolo cattivo. La vitami-
na E e la vitamina C contrasta l’ossidazione delle LDL.
METABOLISMO DELLE HDL
Hanno la funzione di trasportare il colesterolo in modo inverso rispetto alla direzione dl trasporto del coleste-
rolo delle LDL(dal fegato ai tessuti periferici) quindi dai tessuti periferici al fegato, quindi viene allontanato
dal circolo sanguigno, motivo per cui il colesterolo delle HDL è buono. Queste lipoproteine nascono vuote,
quindi presentano la membrana di fosfolipidi con ApoA-1 e sono sintetizzate dagli enterociti e dal fegato.
Queste lipoproteine vengono riconosciute dai tessuti periferici, dove c’è la componente ABCA-1 che intera-
gisce con ApoA-1, permettendo il trasferimento del colesterolo libero dai tessuti periferici all’ interno delle
HDL. Ma il colesterolo deve venire esterificato, quindi durante il trasferimento, le HDL possiedono l’enzima
LCAT che serve ad esterificare il colesterolo, per farlo entrare all’interno dell’HDL. Questa si riempie e ma-
tura, liberando i tessuti periferici dal colesterolo in eccesso. Tutto il colesterolo al loro interno viene poi ri-
versato nel fegato, senza endocitosi dell’HDL: quando questa è piena, interagisce col fegato grazie al recet-
tore SR-B1, quando si è svuotata, torna in circolo in una forma intermedia e può continuare a recuperare il
colesterolo in eccesso nei tessuti periferici e portarlo al fegato.
COSA NE FA IL FEGATO DEL COLESTEROLO?
Tutto il colesterolo crea il pool epatico di colesterolo e il fegato può farne tra cose: una quota la inserisce
nelle VLDL che poi diventeranno LDL; una quota viene usata per la sintesi dei sali biliari e se c’è in eccesso,
vine secreto con la bile, sottoforma di colesterolo libero, che poi verrà riversato nell’intestino durante la di-
gestione. Nell’intestino una parte può essere riassorbita e una parte può venire eliminata con il percorso inte-
stinale. Il nostro organismo non ha delle vie metaboliche che sono in grado di degradare e distruggere il cole-
sterolo.
Cosa ne fanno i tessuti periferici del colesterolo?
Una parte serve per rinnovare le membrane cellulari, sia quella plasmatica che quelle interne. Può essere usa-
to anche per la sintesi degli acidi biliari, per la sintesi della vitamina D, oppure per la sintesi degli ormoni
steroidei, sintetizzati a livello della ghiandola surrenale (glucocorticoidi, mineralcorticoidi e ormoni ses-
suali)
RIASSUNTO
I chilomicroni sono sintetizzati dagli enterociti, contengo triacilgliceroli e servono a trasportare i triacilgli-
ceroli di origine alimentare ai tessuti periferici, ed è la componente di acidi grassi dei triacilgliceroli che van-
no ai tessuti periferici.
Le VLDL sono sintetizzate dal fegato, hanno grandi quantità di triacilgliceroli(trigliceridi) e piccole quantità
di colesterolo, servono a trasportare gli acidi grassi contenuti nei trigliceridi endogeni ai tessuti periferici.
Le LDL sono sintetizzate a partire dalle VLDL, contengono soprattutto colesterolo e trasportano il colestero-
lo ai tessuti periferici e vanno a morire nei tessuti periferici, perché vengono endocitate dai tessuti periferici,
diversamente dalle VLDL e dai chilomicroni che una volta svuotati vengono usati dal fegato.
Le HDL nascono dal fegato e dall’intestino, servono al trasporto del colesterolo dai tessuti periferici al fega-
to e riescono a trasferire il loro contenuto al fegato e continuare a svolgere la loro funzione nel circolo perché
non vengono endocitate. (il colesterolo contenuto il esse viene detto buono)
IL METABOLISMO
Il metabolismo è un insieme di processi che vengono suddivisi in due categorie: catabolismo(ossidativa) e
anabolismo(riduttiva).
Nel catabolismo avviene l’ossidazione dei nutrienti che noi mangiamo, molecole ad alto contenuto energeti-
co. L’ossidazione di questi composti li trasforma in prodotti di scarto, privi di energia, e sono l’anidride car-
bonica, l’acqua e l’ammoniaca; l’energia che era contenuta nei nutrienti viene trasferita su delle molecole, tra
le quali i coenzimi NAD+, NADP+ e FAD,ossidati e privi di energia. Durante la fase catabolica questi ven-
gono ridotti, perché acquistano elettroni a NADH, NADPH e FADH2. Parte dell’energia estratta dai nutrienti
serve per trasformare ADP più fosfato in ATP, molecola energetica delle cellula, che contiene energie che può
cedere ai processi riduttivi della fase anabolica.
Nella fase anabolica, precursori come amminoacidi, acidi grassi e basi azotate vengono utilizzati per la sin-
tesi delle macromolecole, come lipidi, proteine, acidi nucleici e polisaccaridi. Catabolismo e anabolismo
rientrano nella definizione di metabolismo. L’energia viene utilizzata anche da tutti quei processi che richie-
dono ATP, come la secrezione e i trasporti attraverso le membrane. Nel metabolismo si identificano quattro
grandi fasi. Affinché possa avvenire il catabolismo, è necessario che i nutrienti vengano digeriti e assorbiti.
Quando i nutrienti sono scomposti nelle unità minori, questi raggiungono le cellule e possono venire ossidati
attraverso il catabolismo. Le reazioni del catabolismo avvengono sia nel citoplasma che nei mitocondri. Dal
catabolismo delle molecole si ottiene un intermedio, l’acetil-coenzimaA; questo è l’intermedio comune a cui
vengono ossidati tutti i nutrienti e può avere due destini: continuare il percorso ossidativo all’interno dei mi-
tocrondri attraverso il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa, con la produzione di grandi quantità di
ATP; oppure questo può venire utilizzato nel citoplasma durante la fase anabolica, cioè per la costruzione di
molecole più complesse, a partire da molecole più semplici. Dal catabolismo si ottengono tre diversi coenzi-
mi ridotti NADH e FADH2 che vengono usati nei mitocondri per la sintesi di ATP, e poi il NADPH viene
usato nel citoplasma durante la fase anabolica per la costruzione delle macromolecole. L’acetil-CoA ha un
ruolo sia anabolico che catabolico
L’acetil-CoA: il catabolismo è detto convergente perché tutte le reazioni della catalisi convergono verso
questo enzima. Da questo enzima si può partire per la costruzione di varie molecole, per cui l’anabolismo è
definito divergente.
BIOENERGETICA: studia il trasferimento e l’utilizzo dell’energia nei sistemi biologici. Per poterla com-
prendere, occorre conoscere i concetti della termodinamica. La bioenergetica utilizza l’energia libera di
Gibbs (G) e viene usata la variazione di energia libera che si genera in un processo. Il valore della variazio-
ne di energia libera(deltaG) fornisce una misura della possibilità che una reazione ha di procedere in una
specifica direzione. Quando un processo accade senza aiuti dall’esterno si dice che la reazione è spontanea.
Se una reazione è non spontanea, questa non accade a meno che non si intervenga dall’esterno. Se delta G è
negativa, parte dell’energia contenuta in A è stata persa, cioè usata per trasformare la struttura di A nella
struttura di B, quindi è stata usata per far avvenire la reazione; questa reazione è detta esoergonica o sponta-
nea. Un’altra situazione è quando si ha lo stato B dovrebbe formare A, ma B ha meno energia di A, quindi la
variazione di energia è positiva, quindi mi serve energia che B non ha per trasformarsi in A. Se il sistema è
chiuso, la reazione non avviene, ma se viene fornita energia dall’esterno, la reazione avviene. In questo caso
la reazione è detta endoergonica o non spontanea. Quando deltaG è uguale a zero, il reagenti sono in equili-
brio con i prodotti, quindi la reazione è detta all’equilibrio.
Durante i processi metabolici, alcune reazioni sono esoergoniche, mentre altre sono endoergoniche, cioè non
spontanee. Se io incontro una reazione endoergonica il processo si ferma, a meno che non venga fornita ener-
gia. Cose si fornisce energia ai processi non spontanei?. Questi possono essere accoppiati a processi sponta-
nei, cioè farli avvenire contemporaneamente; l’energia liberata della reazione spontanea(esoergonica) viene
usata per fare accadere la reazione non spontanea(endoergonica). Questo processo avviene cosi: l’idrolisi
dell’ATP è un processo fortemente esoergonico, cioè libera grandi quantità di energia, quindi questa reazione
ha un deltaG negativo, e può accadere contemporaneamente ad una reazione endoergonica. Se si hanno due
reazioni in un unico sistema, il deltaG complessivo del sistema è dao dalla somma dei deltaG delle due rea-
zioni, ottenendo una terza reazione spontanea con un deltaG complessivo negativo.
ATP
L’ATP è una molecola costituita da una base azotata, adenina, uno zucchero, il ribosio, legato al carbonio 5’
che porta tre gruppi fosfato. L’energia di questa molecola è racchiusa in questi due legami, chiamati legami
fosfoanidridici: serve tanta energia per farli rompere, ma nel momento in cui vengono scissi, liberano tante
quantità di energia. L’ADP contiene ancora un legame ad alta energia, quindi può essere scisso in AMP più
energia.
PRODUZIONE DI ATP
CATABOLISMO
Il catabolismo serve a produrre i due coenzimi ridotti NADH e FADH2, che servono a portare l’energia per
catalizzare la sintesi di ATP a partire da ADP e fosfato. Questo è un processo che richiede il consumo di ossi-
geno e si ha la produzione di anidride carbonica. I due processi che accadono alla fine del catabolismo sono
due: ciclo dell’acido citrico e la fosforilazione.
CICLO DELL’ACIDO CITRICO ( anche chiamato ciclo di Krebs, ciclo degli acidi tricarbossilici).
Questa via metabolica parte dall’acetil-CoA, che deve entrare all’interno dei mitocondri, dove sono localiz-
zati tutti gli enzimi che servono in questa via metabolica. Questo enzima viene ossidato liberando anidride
carbonica, formando ossalacetato che serve per reagire con acetil-CoA nuovamente. Durante il ciclo di
Krebs ci sono delle reazioni di ossidazione che riducono gli enzimi. Per ogni ossidazione si producono due
molecole di NADH e una di FADH2. L’anidride carbonica esce dai mitocondri ed eliminata attraverso la cir-
colazione. I due coenzimi ridotti vanno a finire nella catena di trasporto degli elettroni, accoppiata alla fosfo-
rilazione ossidativa. Con questi due processi ci troviamo nella membrana interna dei mitocondri, quella che
si affaccia sulla matrice. Nella membrana interna sono presenti dei complessi (1,2,3,4,5);i primi 4 servono a
trasferire gli elettroni dai coenzimi ridotti all’ossigeno. Il NADH cede i suoi elettroni al primo complesso,
poi questi passano al complesso tre, che è in grado di pompare dei protoni dalla matrice mitocondriale allo
spazio inter-membrana. Al complesso tre, gli elettroni passano al quarto complesso, con un nuovo passaggio
di protoni dalla matrice allo spazio inter-membrana. Dopo che gli elettroni finiscono sull’ossigeno, la catena
di trasporto è terminata. L’ossigeno li accetta, si ossida ad acqua, ma servono due protoni presenti nella ma-
trice mitocondriale. Tutti i protoni accumulati nello spazio inter-membrana sono un forma di energia poten-
ziale chimica, cioè si è formato un gradiente chimico. Per potere ritornare nella membrana mitocondriale in-
terna, i protoni devono passare attraverso un canale, chiamato ATP-sintasi: i protoni liberano energia chimi-
ca che cedono a questo enzima, che la usa per catalizzare la sintesi di ATP. Sulla membrana del mitocondrio
ci sono dei trasportatori di ATP che poi lo immetteranno nel citoplasma.
Un altro coenzima che interessa, che si produce durante i processi catabolici è il FADH2; i suoi elettroni
passano dal complesso due, al terzo e al quarto, perche questo coenzima è nel complesso due. Lui produce un
gradiente inferiore, perche il complesso due non è in brado di pompare i protoni nello spazio inter-membra-
na, quindi l’energia ricavata dal FADH2 è inferiore rispetto a quella ricavata dal NADH. L’ATP-sintasi è for-
mato da tantissime subunità che utilizzano il gradiente protonico in modo particolare. L’ingresso dei protoni
fa fisicamente ruotare all’interno della membrana la sua porzione C12, attaccato al quale c’è uno stelo. A li-
vello delle subunità superiori avviene la reazione della formazione di ATP, per la quale serve energia, fornita
dalla rotazione delle singole subunità della parte superiore dell’enzima (catalisi rotazionale). All’interno
della matrice mitocondriale c’è la proteina termogenante disaccoppiante(termogenina) che può fornire
una maniera alternativa per un rientro dei protoni attraverso la matrice. Questo provoca la perdita di energia.
Il tessuto adiposo bruno è particolarmente ricco di termogenina. Perché si chiama disaccoppiante: la catena
di trasporto e la sintesi di ATP sono due processi accoppiati; in alcuni tessuti questa proteina li fa avvenire in-
dipendentemente l’uno dall’altro, che normalmente devono avvenire per forza contemporaneamente. In que-
sta fase viene prodotto il 90% di ATP.
FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA
Un altro meccanismo di produzione di ATP è la fosforilazione a livello del substrato. Cioè l’ATP viene pro-
dotto durante la trasformazione di un composto in una altro. Il 2,3bifosfoglicerato viene trasformato in 3-fo-
sfoglicerato, che avviene spontaneamente, ma questo produce solo una piccola porzione di ATP; il vantaggio
è l’alta velocità con cui questa reazione può accadere, mentre il ciclo di Krebs è comunque è un processo che
richiede molto tempo, rispetto alla trasformazione di 2,3 Bifosfoglicerato in 3-fosfoglicerato.
I due grandi momenti fisiologici sono la fase nutrita(quando mangiamo) e il digiuno. Come le cellule sono
in grado di produrre ATP nelle due diverse fasi?
FASE NUTRITA
La fase nutrita consta di tre fasi: ossidare i nutrienti per ottenere energia metabolica: ATP, NADH, FADH2,
NADPH; conservare l'energia sotto forma di depositi: glicogeno e trigliceridi(triacilgliceroli) e sintetizzare
le macromolecole che servono all'organismo: Proteine, lipidi, acidi nucleici. Nel nostro organismo esistono
tanti diversi tipi di organi e tessuti, ognuno dei quali svolge una funzione ben precisa, quindi il metabolismo
di questi tessuti è direttamente correlato alla funzione di un determinato tessuto. I nutrienti dall’intestino pas-
sano nel torrente circolatorio, quali zucchero e amminoacidi. Questi sono collegati al fegato, dove vengono
assorbite e utilizzate per produrre energia, per sintetizzare le loro macromolecole, per sintetizzare i depositi;
tutto ciò che è in eccesso rispetto alle esigenze del fegato diventano acidi grassi che poi vengono incluse nel-
le VLDL. I chilomicroni portano il loro contenuto al tessuto adiposo sottoforma di trigliceridi. Le VLDL for-
niscono anche acidi grassi. Il cervello ha un suo metabolismo particolare, che usa solo carboidrati per i suo
metabolismo. Il muscolo poi può usare per produrre energia metabolica il glucosio e gli amminoacidi. Come
fanno i vari tessuti a sapere se siamo nella fase nutrita? In questa fase c’è l’ormone insulina che comunica
che siamo in nutrizione.
DIGIUNO
L’ormone in questa fase è il glucagone, che segnala alle cellule che siamo in digiuno. Il glucagone mobilizza
il glicogeno e i trigliceridi(acidi grassi). Mette in atto tutta una serie di meccanismi che mantengono in valori
normali la glicemia. Per essere vivi, questo valore deve essere mantenuto ad un certo valore. Un altra cosa
che deve accadere è il ricavo di energia, attraverso dei depositi oppure vengono sintetizzati da capo. Esiste
una condizione fisiologica che assomiglia al digiuno, ed è lo stress.
STRESS
L’ormone coinvolto in questa fase è l’adrenalina, prodotto dalla regione midollare del surrene. Durante una
condizione di stress, l’organismo si deve preparare ad agire. L’energia viene presa dal glicogeno e dai trigli-
ceridi per produrre ancora energia.
FASE NUTRITA
Durante la fase nutrita avviene l’ossidazione dei nutrienti e l’assorbimento, in modo da ottenere energia sot-
toforma di coenzimi ridotti e ATP.
Inoltre, si ha sintesi delle macromolecole che servono al nostro organismo, quali proteine e acidi nucleici e
vari tipi di proteine.
METABOLISMO DEL GLUCOSIO (CARBOIDRATI)
Una volta in circolo, il glucosio può entrare nelle cellule attraverso un trasportatore specifico, tra i quali si
hanno il GLUT-1, GLUT-2(reni e intestino e pancreas), GLUT-3(testicoli, cervello e nella placenta),
GLUT-4(muscolo cardiaco e scheletrico e adiposo). Quest’ultimo è espresso sulla superficie delle cellule
solo quando si è in presenza di insulina. Il glucosio attraverso uno di questi trasportatori entra nel citoplasma
delle cellule, subendo una fosforilazione in posizione 6; consumando ATP si ottiene il glucosio 6-fosfato.
Questo è importante perche questi trasportatori trasportano il glucosio secondo gradiente, cioè da dove è più
concentrato a dove è meno concentrato. Se al glucosio non succede nulla, si avrà più glucosio dentro le cellu-
le che fuori, quindi il glucosio entrerebbe nuovamente nel sangue. Questa fosforilazione genera una molecola
di glucosio non trasportabile dal GLUT, facendo si che il glucosio rimanga all’interno delle cellule. In questo
modo, tutto il glucosio rimane all’interno delle cellule, che cosi hanno il tempo per utilizzare il glucosio per
le loro funzioni.
Adesso il glucosio può essere usato per tre destini:
-Ossidare il glucosio 6-fosfato a ribulosio 5-fosfato e NADPH, il primo è uno zucchero a cinque atomi di
carbonio. La via attraverso cui avviene questa ossidazione si chiama via del pentosio fosfato.
-Ossidazione a piruvato o lattato, attraverso la glicolisi. Infine si può sintetizzare per il glucosio attraverso
la via glicogeno sintesi.
-Glucosio 6-fosfato può essere usato per sintetizzare glicogeno, attraverso una via metabolica chiamata gli-
cogeno sintesi.

GLICOLISI
Permette l’ossidazione del glucosio e di altri monosaccaridi a sei atomi di carbonio, con lo scopo di ossidare
il glucosio per produrre energia metabolica, che si ottiene sottoforma di ATP e NADH. Questo è un processo
che avviene in tutti i tessuti e in tutti e in tutte le cellule dell’organismo e gli enzimi di questa fase si trovano
nel citoplasma. Per ossidare il glucosio a piruvato, occorrono una decina di reazioni, suddivise in due parti:
una di investimento energetico, cioè che è necessario consumare ATP per aumentare l’energia del glucosio,
in modo tale che durante la fase della generazione di glucosio possano essere formati ATP e NADH. Nella
glicolisi, il glucosio a sei atomi di carbonio viene ossidato a piruvato, a tre atomi di carbonio, quindi da una
molecola di glucosio se ne ottengono due di piruvato, perche il glucosio viene rotto in due parti. Insieme a
questa reazione si ottengono 4 ATP e 2 NADH, ma siccome le prime 2 molecole di ATP si devono consuma-
re, si ottengono 2 ATP e 2 di NADH. E piruvato
La glicolisi serve anche ad ossidare altri monosaccaridi, quali maltosio, lattosio o saccarosio.
Il piruvato può subire due destini diversi, che vengono distinti in base al consumo di ossigeno da parte delle
vie metaboliche che servono. Se si ha consumo di ossigeno, si ha la via aerobica; per potere continuare ad
ossidare il piruvato, lo si deve trasferire nei mitocondri(sulla cui membrana c’è un trasportatore specifico per
il piruvato), dove subisce una ossidazione e viene ossidato ad Acetil-CoA, con produzione di una molecola
di NADH e una di anidride carbonica. L’Acetil-Coa entra nel ciclo di Krebs, portando alla produzione di
ATP e coenzimi ridotti. NADH e FADH2 vanno a finire nella catena di trasporto degli elettroni e nella fosfo-
rilazione ossidativa portando alla produzione di ATP, mentre l’anidride va nel torrente circolatorio fino ad ar-
rivare ai polmoni.
La resa energetica di uno ossidazione completa del glucosio? 32 molecole di ATP.
GLICOLISI ANAEROBICA
Esiste anche la possibilità di ossidare il piruvato senza il consumo di ossigeno, in condizioni di anaerobiosi.
Il piruvato rimane nel citoplasma, dove è il substrato di un enzima, chiamato lattato-deidrogenasi (LDH);
questa reazione consuma una molecola di NADH e genera una di NAD+. Questa conversione avviene in tes-
suti privi di mitocondri o con un livello basso si vasi. I globuli rossi non hanno mitocondri, quindi non pos-
sono produrre ATP. Viene rigenerato NAD+, permettendo alla trasformazione di avvenire. Quindi si potrà
continuare ad ossidare glucosio in piruvato e lattato. Oltre ai globuli rossi, ci sono anche i muscoli di eserci-
zio attivo o i tessuti definiti anossici,cioè quelli non vascolarizzati. In questa fase, la quantità di ATP che si
ottiene è pari a 2ATP.
REGOLAZIONE DELLA GLICOLISI
La glicolisi è un processo regolato, nel senso che la cellula può modulare la velocità di tutto il processo. Ci
sono due regolazioni: una allosterica e una ormonale.
- Regolazione Allosterica: permette una regolazione fine. Ci si riferisce alla presenza di una molecola rego-
latoria che si lega in maniera specifica all’enzima, che può essere un modulatore positivo, quindi aumentare
la velocità dell’enzima. Con il modulatore negativo si rallenta il processo, perche l’enzima nuovo non è affi-
ne per i substrati. Uno dei principali siti di regolazione è a carico di un enzima, chiamato fosfofruttochinasi
1, che è regolato allostericamente da dei modulatori negativi, mentre altri sono positivi. Lo scopo della glico-
lisi è la produzione di ATP, quindi quando la cellula ha prodotto una quantità di ATP sufficiente, l’ATP stesso
va a legarsi all’enzima, rallentandone l’attività, e si dice che l’ATP inibisce la glicolisi. Quando l’ATP viene
poi utilizzato a livello delle varie reazioni metaboliche, viene idrolizzato fino ad AMP, quest’ultimo sinoni-
mo di carenza di energia quindi l’AMP va a legarsi all’enzima, andandolo a stimolare, in modo tale che la
cellula ossidi più glucosio in glicolisi, potendo poi ricavare più molecole di ATP. Nel fegato, l’ossidazione è
regolato da un altro modulatore positivo della glicolisi, il fruttosio 2,6bisfosfato.
- Regolazione Ormonale: permette anche lo spegnimento completo della via metabolica in determinati tes-
suti.
Gli ormoni vengono riconosciuti da dei recettori sulla superficie delle cellule, trasmettono il loro segnale per-
ché il loro legame fa accadere cose all’interno della cellula e riguardo alla glicolisi, quando si ha insulina, la
glicolisi viene attivata, perché l’insulina provoca delle modificazioni a livello dei tre enzimi glucochinasi, fo-
sfofruttochinasi 1 e piruvato chinasi. Quando l'insulina non c’è, c’è il glucagone che ha funzione inibitoria
sulla glicolisi e va ad agire sugli stessi tre enzimi precedenti. La regolazione ormonale avviene solamente nel
fegato e non negli altri tessuti: il fegato farà glicolisi quando c’è insulina, altrimenti con il glucagone verrà
bloccata.
VIA DEL PENTOSIO FOSFATO
Il glucosio 6-fosfato viene ossidato a ribulosio 5-fosfato e NADPH. NADPH è un coenzima che serve nelle
vie biosintetiche, cioè vie che servono per sintetizzare nuove molecole, serve nei processi di detossificazione,
catalizzati dal citocromo P750, che serve per eliminare le specie reattive dell’ossigeno e per metabolizzare
nuovi farmaci. Il ribulosio 5-fosfato può essere convertito il ribosio 5-fosfato, quest’ultimo utilizzato per la
sintesi dei nucleotidi. Questa via è localizzata nel citoplasma di tutte le cellule del nostro organismo, anche
nei globuli rossi senza nucleo. Perche il globulo rosso fa il ribosio 5-fosfato? I prodotti finali sono due: il
ribosio 5-fosfato e il NADPH, ma quello che serve di più è il NADPH. Se una cellula ha bisogno solo di
NADPH e non di ribosio, da glucosio si va ribulosio 5-fosfato, che poi viene riconvertito in una fase non os-
sidativa in glucosio. In questo modo, gli atomi di carbonio del ribulosio vengono riciclati.
Se serve il ribosio 5-fosfato perche la cellula deve dividersi, quindi si trova in una situazione metabolica per
cui ha bisogno di sintetizzare gli acido nucleici, allora il ribulosio andrà a finire in ribosio 5-fosfato e la se-
conda parte non avviene.
Anche questa via metabolica è regolata e la regolazione dipende dalla disponibilità da uno dei due prodotti e
il prodotto che regola la via del pentosio fosfato è il NADPH, regolazione che avviene in maniera allosterica.
Alcuni enzimi usano il NADPH come un modulatore allosterico negativo, quindi quando c’è NADPH, la
fase 1 viene rallentata; quando il NADPH è assente, la fase 1 può procedere; in questo la cellula ha a disposi-
zione una quantità adeguata di NADPH.
Il glucosio viene conservato sottoforma di glicogeno, a causa della concentrazione osmotica. Avere una mo-
lecola di glicogeno che contiene anche 1000 molecole di glucosio si ha ha pressione osmotica inferiore.
GLICOGENO SINTESI
Anche questo processo avviene nel citoplasma di tutte le cellule del nostro organismo. Il fegato e il musco-
lo hanno grandi quantità di glicogeno.
Finito il digiuno ci si può trovare in una situazione in cui abbiamo alcune molecole di glicogeno oppure in
un’altra situazione in cui non abbiamo più molecole di glicogeno.
NON C’è NESSUNA MOLECOLA DI GLICOGENO
Per fare il glicogeno, il glucosio deve venire trasformato in una forma attivata, UDP-Glucosio. Così il gluco-
sio 6 fosfato può essere ossidato, mentre l’UDP-Glucosio no. Quest’ultimo viene indirizzato verso la sintesi
del glicogeno. Questa molecola viene legata dalla glicogenina, una proteina che ha la capacità di legare ad
uno dei suoi amminoacidi alcune molecole di glucosio, cominciando a creare una piccola catena di tante mo-
lecole di glucosio, legate attraverso legame glicosidico alfa 1,4. Quando la catena ha superato i 6 residui di
glucosio, interviene un secondo enzima, il glicogeno sintasi, che continua ad inserire molecole di glucosio
sulla catena di glucosi precedente, formando tante unità di glucosio legate tra di loro. Adesso il glucosio vie-
ne ramificato per azione di un enzima, l’enzima ramificante che sa prendere una porzione di questa catena,
li stacca e li attacca a monte, andando a creare una piccola catena sulla catena principale, generando un lega-
me glicosidico alfa 1,6.

METABOLISMO DEI LIPIDI


I lipidi vengono inseriti nei chilomicroni, che sono in grado si distribuire gli acidi grassi, contenuti nei loro
triacilgliceroli, ai tessuti periferici, tra cui il tessuto adiposo. I triacilgliceroli, per azione dell’enzima lipo-
proteina lipasi che scinde gli acidi grassi dal glicerolo. Il glicerolo rimane nel torrente circolatorio, mentre gli
acidi grassi entrano nelle cellule, andando incontro a diversi destini.
Anche gli acidi grassi, una volta entrati nelle cellule, devono venire attivati, attraverso la formazione di un
complesso tra l’acido grasso e il coenzima A. Un enzima chiamato Acil CoA sintetasi unisce l’acido gras-
so e il CoA, formando acil-CoA, consumando ATP quindi ha un costo energetico. Il nuovo legame formato è
ad alta energia. Quando un acido grasso entra a far parte di un altra molecola, prende il nome di acile. Questa
unione dell’acido grasso con un CoA ha anche un altra funzione, quella di mantenere solubili gli acidi grassi
in un ambiente acquoso, permettendo l’utilizzo degli acidi grassi anche dagli enzimi.
DESTINO DELL’ACIL-COA.
Il destino nella fase nutrita dipende dal tipo di tessuto in cui gli acidi grassi entrano.
Se l’acido grasso entra nel tessuto adiposo o nel fegato, questi vengono utilizzati per formare nuovi trigliceri-
di, che nel tessuto adiposo vengono conservati in gocce lipidiche, se siamo nel fegato, questi vengono inseriti
nelle VLDL e mandati nel circolo per ridistribuire gli acidi grassi ai tessuti periferici, tra cui il tessuto adipo-
so. Una piccola quantità di acidi grassi può essere anche usata dal muscolo e da tessuti periferici, che osside-
ranno gli acidi grassi per produrre ATP, attraverso un processo che si chiama Beta ossidazione.
BETA OSSIDAZIONE
La beta ossidazione è una via metabolica localizzata nei mitocondri. Affinché gli acidi grassi entrino in que-
sta via metabolica, devono anche entrare nei mitocondri; la membrana interna dei mitocondri è impermeabile
ad Acil-CoA, quindi ci deve essere un sistema di trasporto(Shuttle) che possa trasferire gli acidi grassi attra-
verso la membrana del mitocondrio. Purtroppo non esiste un trasportatore per l’Acil-CoA, quindi il trasporta-
tore che abbiamo nella membrana dei mitocondri è un trasportatore è per l’acil-carnitina. L’Acil-CoA deve
diventare Acil-carnitima, quindi si ha un enzima che stacca il CoA a e attacca al suo posto all’acido grasso la
carnitina. L’ enzima che attua questo processo è localizzato nella membrana mitocondriale esterna e si chia-
ma carnitina-palmitil transferasi 1.
A questo punto esiste una translocasi, cioè un trasportatore che fa attraversare la membrana plasmatica
all’acil-carnitina, che passa dallo spazio intermembrana alla matrice mitocondriale. Adesso la carnitina viene
staccata e viene attaccato il CoA, che è presente nella matrice mitocondriale, ottenendo Acil-CoA e carnitina;
questo processo è catalizzato da un enzima presente sulla matrice mitocondriale interna, che si chiama carni-
tina-palmitil transferasi 2. La carnitina viene ritrasferita nello spazio intermembrana, in modo da poter le-
gare una nuova molecola di CoA. Quindi la carnitina è lo shuttle, quindi il trasportatore che permette agli
acidi grassi di entrare nella matrice mitocondriale del mitocondrio. Ci sono degli acidi grassi a catena corta,
formati da meno di 12 atomi di carbonio che sono in grado si entrare nei mitocondri senza lo shuttle della
carnitina, ma rappresentano una piccolissima percentuale di ciò che mangiamo.
Una volta entrati nel mitocondrio, gli acidi grassi vanno incontro ad un processo chiamato beta ossidazione.
Beta ossidazione significa che viene ossidato il carbonio beta della catena carboniosa degli acidi carbossilici.
Il carbonio 2 della catena è il carbonio alfa, mentre il carbonio 3 è il carbonio beta.
La via metabolica porta all’ossidazione(4 reazioni) di questo carbonio che da CH2 diventa C doppio lega-
me O. Questa ossidazione in posizione beta è fondamentale per permettere la rottura del legame che unisce il
carbonio alfa con il carbonio beta, in modo tale che, alla fine delle 4 reazioni, venga liberata una molecola di
acetil-CoA e ne rimarrà un acido grasso, quindi un acil-CoA più corto, a due atomi di carbonio. L’ossida-
zione dell’Acil-CoA porta anche alla produzione di coenzimi ridotti, 1 FADH2 e 1 NADH. Il bilancio finale
di una beta ossidazione è: 1 molecola di FADH2, 1 molecola di NADH, 1 di acetil-CoA e 1 di Acil-CoA.
L’acil-CoA è ancora ossidabile quindi queste 4 reazioni vengono ripetute finché l’acido grasso non è tutto
trasformato in acetil-CoA. Attraverso la beta ossidazione possono essere ossidati, sia quelli insaturi che quel-
li saturi. Dall’ossidazione si ha uno staccamento di un acetil-CoA(2 atomi di carbonio) dall’acil-CoA. Un
grasso che fa questa via metabolica è il palmitato(16 atomi di carbonio), che porterà alla produzione di 129
ATP. Per ossidare tutto l’acido palmitico ad acetil-CoA, bisogna ripetere l’ossidazione 7 volte, in modo che il
palmitato venga convertito in 8 molecole di Acetil-CoA. Durante la prima fase di beta ossidazione, il palmi-
tato viene scisso in acetil-CoA(due atomi di carbonio) e ad un acido grasso a 14 atomi di carbonio;
quest’ultimo continua la via dell’ossidazione, finché non si resta con solo Acetil-CoA. Infine, l’Acetil-CoA
non è totalmente ossidato, ma può continuare l’ossidazione attraverso il ciclo di Krebs, che ossida l’Acetil-
CoA ad anidride carbonica, producendo coenzimi ridotti. Questi coenzimi, prodotti dalla beta ossidazione e
dal ciclo di Krebs, trasferiscono i loro elettroni alla catena di trasporto degli elettroni e permettono la sintesi
di ATP. Se si ha Acetil-CoA in eccesso, questo verrà utilizzato dal fegato per la produzione di nuovi acidi
grassi, che verranno poi trasferiti al tessuto adiposo, attraverso le VLDL. Stesso destino accade alle proteine
in eccesso nel nostro organismo.
SINTESI ACIDI GRASSI
Avviene in tutte le cellule e nel fegato, nel tessuto adiposo e nella ghiandola mammaria. Questo processo
serve anche perché le membrane delle cellule devono essere rinnovate, quindi è necessario ricostruire le pro-
teine di membrana che sono spesso accompagnate da acidi grassi, acidi grassi che vengono apposta costruite
dal nostro organismo. La fluidità delle membrane è anche regolata dal tipo di acidi grassi che costituiscono le
proteine di membrana. Se abbiamo nutrienti in eccesso, il fegato li converte e li va a portare al tessuto adipo-
so, tessuto che trasforma il glucosio in acetil-CoA e poi a trigliceridi che vengono conservati.
Il processo di sintesi degli acidi grassi ha bisogno di due enzimi: acetil-CoA carbossilasi e l’acido grasso
sintasi. Il primo converte acetil-CoA e anidride carbonica in malonil-CoA, e l’acetil-CoA e il malonil-CoA
sono substrati dell’acido grasso sintasi, quello che effettivamente sintetizza l’acido grasso. Questo enzima è
formato da un’unica catena polipeptidica che ha 7 diversi domini, ognuno dei quali è caratterizzato da una
diversa attività enzimatica. La sintesi degli acidi grassi avviene all’inverso della beta ossidazione. In questo
caso, si parte da Acetil-CoA e malonil-CoA, che vengono attaccati insieme e viene liberata una molecola di
anidride carbonica; attaccando in questo modo unità a due atomi di carbonio alla volta si fa il percorso inver-
so alla beta ossidazione, potendo poi sintetizzare il palmitato. Via metabolica riduttiva.
Dopo averlo sintetizzato, si possono sempre inserire delle insaturazioni per sintetizzare acidi grassi insaturi.
REGOLAZIONE DELLA SINTESI DI ACIDI GRASSI
Questo processo è regolato a livello dell’enzima Acetil-CoA carbossilasi, l’enzima che trasforma l’acetil-
CoA in malonil-CoA. Anche per questo enzima si hanno due regolazioni, una allosterica e una ormonale.
REGOLAZIONE ALLOSTERICA
Per la modulazione allosterica ci sono due modulatori, uno positivo, cioè il citrato e quello negativo è
l’Acil-CoA. Una volta legato il modulatore positivo e quello negativo, l’enzima cambia forma: l’enzima inat-
tiva è fatto da singole porzioni di proteina che non funzionano; all’arrivo del citrato questi monomeri polime-
rizzano in una lunga catena, una struttura attiva di Acetil-CoA carbossilasi. Poi arrivano gli Acil-CoA a cate-
na lunga (modulatore negativo) e la struttura viene rotta nelle singole unità che non sono più attive.
REGOLAZIONE ORMONALE
l’insulina attiva l’acetil-CoA carbossilasi, mentre il glucagone e l’adrenalina lo inibiscono.
Come fanno l’insulina e glucagone che stanno fuori dalla cellula a regolare l’attività di enzimi che stanno
dentro la cellula? L’Acetil-CoA carbossilasi è anche regolata per fosforilazione, quindi c’è un enzima che sa
attaccare un fosfato ad Acetil-CoA carbossilasi creando un legame covalente tra il fosfato e l’enzima, ed è
chiamato chinasi attivata da AMP. Poi c’è la proteina fosfatasi che può staccare il fosfato. L’enzima non
fosforilato è attivo, mentre quello fosforilato è inattivo. Questi due enzimi(chinasi e fosfatasi) sono regolati,
attraverso la produzione di un segnale a valle di un recettore dell’insulina o del glucagone. L’insulina attiva
la proteina fosfatasi, quindi stacca il fosfato e attiva l’enzima, che sintetizzerà malonil-CoA per la sintesi di
acidi grassi.
La presenza di glucagone e adrenalina attivano la chinasi che attacca il fosfato all’Acetil-CoA carbossilasi,
che la inattiva, quindi non avendo sintesi di acidi grassi. Le due reazioni allosterica e ormonale si sommano,
cioè non sono indipendenti. La prima si mette in atto in un tempo molto breve, quindi quando viene prodotta
una sufficiente quantità di acil-CoA a lunga catena, la capacità di un enzima di essere attivo viene fatta subi-
to. La segnalazione ormonale impiega più tempo. In una cellula c’è la compresenza delle due vie metaboli-
che, cioè quella che sintetizza gli acidi grassi e quella che invece li ossida. Quello che la cellula vuole evitare
è il cosiddetto ciclo futile, cioè un ciclo inutile che consuma solo energia; se la cellula sintetizza gli acidi
grassi nel citoplasma, questi devono essere usati per la biosintesi, ma c’è una possibilità che gli acidi grassi
entrino nel mitocondrio e vengano ossidati, usando energia che però non serve a nulla. Quindi si vuole che
gli acidi grassi rimangano nel citoplasma. Come si fa? La molecola chiave è il malonil-CoA. Questa moleco-
la è a sua volta è il modulatore allosterico negativo di carnitina-palmitil transferasi 1, quindi l’enzima che fa
parte dello shuttle della carnitina. Quindi quando nel citoplasma c’è malonil-CoA, vuol dire che le cellula sta
facendo sintesi di acidi grassi e lo shuttle viene bloccato, in modo che gli acidi grassi restino nel citoplasma.
Se nel citoplasma non c’è la malonil-CoA, gli acidi grassi che entrano nella cellula possono poi andare nel
mitocondrio ed essere ossidati, in modo che la cellula eviti di sintetizzare nell’arco di pochi secondi gli acidi
grassi.
METABOLISMO DI PROTEINE NELLA FASE NUTRITA
Il fegato è colui che sintetizza la maggior parte delle proteine plasmatiche, e rinnova anche le sue. Dopodi-
ché questi amminoacidi possono essere usati anche per la sintesi di altre molecole, che non sono per forza
proteine, quali le porfirine(eme e citocromi) o l’albumina, neurotrasmettitori e basi azotate. Gli ammi-
noacidi sono il modo con il quale l’azoto entra nel nostro organismo. Una volta risolti questi bisogni biosin-
tetici, gli amminoacidi che non servono, vengono usati per fare glucosio, glicogeno, corpi chetonici e acidi
grassi, oppure possono essere ossidati ad anidride carbonica e acqua, estraendo energia dagli amminoacidi.
Per le proteine serve l’azoto, mentre per il glucosio e i corpi chetonici serve solo lo scheletro carbonioso de-
gli amminoacidi, e serve liberare l’azoto da questo, sottoforma di ione ammonio o ammoniaca. Ma questo
non deve avvenire perche l’ammoniaca è tossica. Servono due tappe che coinvolgono tessuti diversi.
TRASFERIMENTO DEL GRUPPO AMMINICO
La prima tappa è il trasferimento del gruppo amminico, che prende il nome di trans-amminazione, cata-
lizzato dagli enzimi amminotrasferasi. Durante questa prima fase, il gruppo amminico viene trasferito
dall’alfa amminoacido sull’alfachetoglutarato. Per metabolizzare l’amminoacido, abbiamo bisogno solo
della sua catena carboniosa, quindi si deve staccare il suo gruppo amminico, ma non lo si può liberare nel ci-
toplasma, in quanto tossico; quindi si trasferisce su un altra molecola, l’amminoacido senza il gruppo ammi-
nico si chiama alfa-chetoacido. Il gruppo amminico viene trasferito sull’alfa-chetoglutarato, che prende il
gruppo amminico, diventando glutammato, che ha uno scheletro carbonioso ben definito.
Tutti gli amminoacidi che vanno destinati alla sintesi di glucosio devono subire questo processo. È una classe
di enzimi perche ce n’è più di uno. Il primo amminoacido viene detto donatore perche cede il gruppo ammi-
nico, mentre l’altro è detto alfa-chetoacido accettore e diventa glutammato. L’alfachetoglutarato è sempre
l’accettore del gruppo amminico(che poi si trasforma in glutammato). Le amminotransferasi prendono il
nome dall’amminoacido donatore. Il glutammato riceve i gruppi amminici.
DEAMMINAZIONE OSSIDATIVA DEL GLUTAMMATO.
La seconda tappa è la deamminazione ossidativa del glutammato, quindi il glutammato è substrato
dell’enzima glutammato deidrogenasi che genera alfachetoglutarato e ammoniaca libera, che poi andrà
liberata. Questa reazione avviene solo nel fegato, mentre tutti i tessuti possono a seconda delle necessità es-
sere in grado si usare gli scheletri carboniosi per l’ossidazione completa e ottenere energia dagli amminoaci-
di. La prima tappa può avvenire in qualsiasi tessuto, mentre la seconda no.
Adesso il problema è come fare a trasferire il glutammato prodotto nei tessuti periferici al fegato, affinché
possa subire quest’ultimo processo di deidrogenazione. La quantità di glutammato presente in circolo è bas-
sissima,in quanto il glutammato è il precursore di una serie di neurotrasmettitori, quindi la sua concentrazio-
ne dev’essere strettamente controllata. Allora ci sono altre reazioni che permettono alle nostre cellule di tra-
sferire il gruppo amminico dal glutammato che hanno ottenuto al glutammato che c’è nel fegato.

ELIMINAZIONE DELL’AZOTO DAGLI AMMINOACIDI


La transamminazione con le amminotransferasi avviene in tutti i tessuti , mentre la deamminazione ossidati-
va con il glutammato deidrogenasi solo nel fegato. Vedi libro pagina 254. Nel mezzo deve avvenire il trasfe-
rimento del glutammato da un tessuto ad un altro. Come avviene questo processo?
Avviene che il glutammato viene usato per sintetizzare altri due amminoacidi, cioè la glutammina e l’alani-
na. La prima è sintetizzata in tutti i tessuti periferici, mentre l’alanina è sintetizzata solo nel muscolo. Una
volta che nei nostri tessuti periferici tutti gli amminoacidi hanno trasferito il gruppo amminico sul glutamma-
to, il glutammato viene convertito in glutammina, e lo fa recuperando un’altra molecola di ammoniaca. La
glutammina è presente in circolo ad altissime concentrazioni e svolge il ruolo di amminoacido che trasferisce
i gruppi amminici dai tessuti periferici al fegato; nel fegato, la glutammina viene riconvertita in glutammato
e poi quest’ultimo, grazie al glutammato deidrogenasi, libera l’ammoniaca nel fegato.
Cosa succede nel muscolo? Il muscolo può usare anche l’alanina. Nel muscolo, la degradazione dei vari am-
minoacidi trasferisce il gruppo amminico sul glutammato. Ma nel muscolo che per esempio si sta contraen-
do, possiamo avere anche molta glicolisi anaerobica, che si ferma a piruvato. Inoltre, alcuni amminoacidi
delle proteine muscolari generano grandi quantità di piruvato, quindi il muscolo si trova in presenza di grandi
quantità di piruvato e glutammato, quindi trasferisce il gruppo amminico del glutammato sul piruvato, tra-
sformandolo in alanina. L’alanina può essere immessa nel circolo e venire recuperata dal fegato; qui l’alanina
viene riconvertita in piruvato e trasferisce il gruppo amminico sul glutammato. Il glutammato è quindi sub-
strato del glutammato deidrogenasi e libera l’ammoniaca.
Cosa succede al piruvato? Dal fegato può essere usato per sintetizzare glucosio che può venir rimandato al
muscolo, in modo che si crei una sorta ciclo in cui il muscolo e il il fegato si scambiano glucosio e alanina.
COME VIENE ELIMINATA L’AMMONIACA?
L’uomo è un organismo ureotelico, cioè produce urea, una molecola con la quale viene eliminata il gruppo
amminico in eccesso(azoto). L’urea è prodotta dal fegato(solo qui) attraverso la via metabolica del ciclo
dell’urea. L’ammoniaca servono per sintetizzare l’urea. L’urea è una molecola molto solubile, neutra, non
tossica e che contiene due molecole di ione ammonio nella sua struttura. Quando è sintetizzata nel fegato,
viene liberata nel torrente circolatorio e filtrata a livello renale ed essere eliminata con l’urina.
Dove sono localizzati gli enzimi che servono per il ciclo dell’urea? Servono enzimi localizzati sia nel cito-
plasma che nei mitocondri.
Come si fa ad usare l’alfachetoacido per sintetizzare glucosio, piuttosto che i corpi chetonici? Amminoacidi
diversi generano scheletri carboniosi diversi, che possono essere essere direttamente intermedi del ciclo
dell’acido citrico, oppure venire convertiti in intermedi dell’acido citrico. Una volta che entrano nel ciclo
dell’acido citrico, vengono ossidati con la produzione di anidride carbonica e coenzimi ridotti, che verranno
poi usati per la sintesi di ATP successivamente. Questo ciclo può fornire dei substrati per sintetizzare anche
altre molecole; per esempio l’ossalacetato può essere usato per la sintesi di glucosio, come l’acetil-CoA per
la sintesi dei corpi chetonici. Quando un amminoacido genera un alfa-chetoacido che, attraverso il ciclo
dell’acido citrico, lascia che gli atomi di carbonio finiscano nell’ossalacetato, questi amminoacidi vengono
definiti glucogenici, perche i loro atomi di carbonio possono essere usati per sintetizzare il glucosio.
Se il loro scheletro carbonioso può essere convertito in acetil-CoA, che a sua volta potrà essere usato per la
sintesi di gruppi chetonici, vengono chiamati chetogenici.
BIOSINTESI DEI COMPOSTI AZOTATI
Vengono sintetizzati a partire da amminoacidi. Attraverso il gruppo amminico degli amminoacidi, l’azoto
può entrare a far parte degli altri composti. La carnitina serve per importare gli acidi grassi da ossidare nei
mitocondri. Inoltre, anche le porfirine, sono una grande classe di molecole a cui appartiene l’eme, poi le puri-
ne e le pirimidine. La sintesi e la degradazione di due classi, le porfirine(gruppo eme) e nucleotidi.

SINTESI DELL’EME.
Le porfirine vengono sintetizzati a livello del fegato e del midollo osseo. A livello del midollo osseo, i globu-
li rossi vengono sintetizzati lì, quindi lì avviene una grossa parte della sintesi dell’eme. Il fegato sintetizza il
gruppo eme, che serve a molte altre proteine, tra i quali i citocromi. La via metabolica è la stessa, cioè si par-
te sempre dall’amminoacido glicina e dal Succinil CoA, un intermedio del ciclo di Krebs. A queste vie meta-
boliche sono state individuate delle mutazioni geniche, causate da un alterata funzione dell’enzima, con ge-
nerazione di una malattia genetica. Cosa succede se un enzima presente in una via metabolica funziona o non
funziona? Si arriverà fino alla sintesi completa dell’eme. Quando c’è un accumulo di composti che non si
riesce ad usare, una parte si libera nel torrente circolatorio, oppure si va incontro a delle reazioni che vanno a
generare altri tipi di composti, che comunque verranno poi liberati se non potranno essere utilizzati
dall’organismo.
La glicina e il Succinil CoA sono delle molecole idrosolubili, si sciolgono bene nel citoplasma e nel sangue,
mentre l’eme è una molecola altamente idrofobica, quindi si otterranno delle molecole sempre più idrofobi-
che. Un’altra caratteristica della fase finale dei composti è quella di avere tanti doppi legami, che indica la
colorazione del sangue, che in questo caso è il gruppo eme. Quando l’organismo tenta di eliminare queste
molecole colorate, si vedranno dei cambiamenti al livello delle urine, malattie che prendono il nome di por-
firie. Se invece il danno metabolico è verso la fine della via metabolica, i prodotti non potranno sciogliersi
nel sangue, quini si accumuleranno nei tessuti. Se questi si accumulano in superficie come nella pelle, si
avranno delle escoriazioni a livello epidermico, generando ipersensibilità della pelle.
Dopodiché l’emoglobina viene inserita nel globuli rossi che cammineranno nel nostro organismo per circa
120 giorni. Per arrivare alla completa degradazione ed eliminazione dell’eme servono 4 diversi tessuti. Il pri-
mo è il sistema reticolo endoteliale, il secondo è il fegato, poi l’intestino e i reni. Il gruppo eme deriva
dall’emoglobina, fino al 90% e poi il resto deriva dalla mioglobina, dai citocromi e dagli enzimi emici, dai
citocromi e da una serie di enzimi che hanno come gruppo prostetico il gruppo eme. I globuli rossi vengono
riconosciuti dai macrofagi attraverso l’emocateresi(distruzione dei globuli rossi), l’emoglobina viene separa-
ta dal globulo rosso, la globina poi viene separata dal gruppo eme, che contiene il suo processo di degrada-
zione. Una volta tolto il ferro, la molecola diviene lineare. Una volta che viene linearizzata, la molecola di-
venta biliverdina. Successivamente, la biliverdina viene convertita in bilirubina, molecola di colore giallo.
Questi cambi di colori del gruppo eme, sono degli eventi che sperimentato quando ci procuriamo con gli
ematomi. Il macrofago è in grado di convertire l’eme in biliverdina e poi in bilirubina, poi il macrofago ha fi-
nito il suo compito, rilasciando la bilirubina nel torrente circolatorio. Questa è una molecola idrofobica,
quindi ha bisogno di essere trasportata per muoversi nel torrente, attraverso l’albumina, formandosi il com-
plesso bilirubina-albumina, che viene recuperato dal fegato. Questa forma di bilirubina viene misurata
come bilirubina indiretta.
Cosa succede nel fegato? Il fegato è l’organo deputato alla eliminazione di molte molecole che l’organismo
considera spazzatura, molecole idrofobiche. Come fa ad eliminarle? Cerca di renderle più idrofiliche, attra-
verso il meccanismo di andare a legarle con molecole più solubili, in particolare l’acido glucuronico, due
molecole di questo acido si legano alla bilirubina che diventa bilirubina diglucurinide, inserita poi nella
bile, composto che viene conservata nella cistifellea e riversata nel lume intestinale durante la digestione. A
livello intestinale, è presente la flora intestinale, con dei batteri, che convertono la bilirubina diglucoronide
in bilirubina, quindi staccano l’acido glucuronico, riformando bilirubina, e poi convertono la bilirubina in
urobilinogeno, rappresentato dalla lettera U. L’urobilinogeno ha tre diversi destini. La quantità maggiore di
questa molecola rimane nel lume intestinale, prosegue il suo percorso attraverso l’intestino e continua ad es-
sere metabolizzata dalla flora intestinale, convertito in stercobilina, pigmento caratteristico delle nostre feci.
Per quanto riguarda la secondo destino e che l’altra quota di questa molecola viene assorbita dall’intestino
dova va al sangue portale, passando prima nel fegato, dove rimane una piccola quota, mentre la restate rima-
ne nel sangue, finché on arriva ai reni, dove viene convertita in urobilina, che viene filtrata a livello renale
con le urine, con le quali viene eliminata; questo è il pigmento caratteristico delle nostre urine. Un altra pic-
cola quota partecipa al ciclo entero-epatico; dall’intestino torna al fegato e dal fegato ritorna all’intestino. Se
uno di questi processi non funziona, si ha un accumulo di bilirubina nei tessuti, provocando l’ittero. C’è un
ittero emolitico, che si ha quando si ha un aumento di emocateresi, quindi i globuli rossi vengono eccessiva-
mente eliminate. Poi c’è la carenza congenita dell’enzima che attacca l’acido glucuronico alla bilirubina, che
genera il morbo di Crigler-Najiar, patologia genetica.
METABOLISMO DEI NUCLEOTIDI sia sintesi che la loro degradazione
I nucleotidi contengono uno zucchero, un fosfato e una base azotata, che può essere una purina (adenina e
guanina), oppure una pirimidina(timina, citosina e uracile).
COME VENGONO SINTETIZZATI I NUCLEOTIDI
Ci sono due vie: sintesi de novo e la via di salvataggio. Nella prima si parte da molecole più semplici, co-
struendo nucleotidi da zero, con il bisogno di amminoacidi(dieta), di ribosio 5-fosfato(via dei pentosi, quindi
si parte da glucosio per ottenere questa molecola), di anidride carbonica e da ammoniaca. Sintetizzare i nu-
cleotidi patendo da zero è un processo estremamente costoso, per cui sono presenti vie di salvataggio che
permettono di riciclare nucleotidi che sono disponibili dalla sintesi degli acidi nucleici, permettendo così un
risparmio energetico rispetto alla prima via di sintesi.
SINTESI DE NOVO
Quali amminoacidi ci servono per sintetizzare i nucleotidi? La glicina e la glutammina per sintetizzare le pu-
rine e la glutammina e aspartato per sintetizzare le pirimidine. Tutte le volte che il ribosio viene attivato in
forma 5-fosforibosyl-1-pirofosfato , viene indirizzato verso la sintesi dei nucleotidi e non può venire usato
per altri scopi.
Vie di recupero.
È strato dimostrato che negli esseri umani, circa il 90% delle purine libere vengono recuperate e poi riutiliz-
zate: prendo la mia base azotata, la unisco al ribosio in forma attivata e risintetizzato il nucleotide; due sono
gli enzimi chiave per la sintesi di questi nucleotidi attraverso le vie di recupero, che sono la Ipoxantina-gua-
nina fosforibosiltransferasi e l’adenina fosforibosiltransferasi che recupera la base adenina, formando AMP.
L’importanza di queste vie di recupero è stata messa in evidenza da una mutazione genica, quindi quando
questo enzima è mutato, non si riesce a recuperare tutte le base azotate che dovrebbero venire recuperare, ge-
nerando poi malattie. Quando gli acidi nucleici non servono più, i nucleotidi in eccesso devono essere elimi-
nati, perché il nostro organismo non possiede una forma di deposito per i nucleotidi. → catabolismo
CATABOLISMO DELLE PURINE
il substrato delle vie di degradazione sono l’AMP e i GMP, che vengono degradate ad acido urico, forma con
cui poi possiamo eliminare gli atomi di carbonio che derivano da questi nucleotidi. L’acido urico è un acido
particolare, che ha la caratteristica di essere poco solubile in acqua. Cosa succede quando è presente in ecces-
so (superiore agli 0,6 g/24h), forma dei cristalli, precipitando nelle articolazioni e nei tessuti molli, provocan-
do la malattia chiamata gotta. Una delle condizione che ne fa aumentare la quantità sono delle mutazioni a
carico di un enzima, per cui il riciclo delle basi azotate non funziona correttamente, per cui si ha un eccesso
di basi azotate, provocando un aumento dell’acido urico, cosa non provocata da un eccessivo uso di carne,
quindi di proteine.
CATABOLISMO DELLE PIRIMIDINE
Le vie del catabolismo delle pirimidine portano alla formazione di urea, molecola molto solubile o con inter-
medi del ciclo di Krebs, anch’esse molto solubili. Ci sono delle evidenze che dimostrano che l’acido urico
può svolgere una funzione di controllo dello stato redox del nostro organismo, andando a bilanciare o a bloc-
care le reazioni redox.
SINTESI DEI DEOSSIRIBONUCLEOTIDI
Per sintetizzare il DNA si deve sintetizzare i deossiribonucletodi, partendo dei ribonucleotidi, grazie all’enzi-
ma Ribonucleotide reduttasi, che elimina il gruppo ossidrilico in posizione 2 del ribosio, per cui dalla for-
ma ossi, si passa alla forma deossi. Questa è una reduttasi, quindi si ha una molecola che viene ridotta, cioè il
nostro nucleotide. Per ridurre una molecola, occorre un altra che si ossida, che ceda gli equivalenti riducen-
ti; la molecola che li cede è il coenzima NADP che si ossida a NADP+. Inoltre, substrati di questa reduttasi
sono una particolare forma di ribonucleotidi, quelli nella forma difosfato. L’enzima che catalizza questa
reazione è un tetramero, formato da due subunità R1 e due subunità R2, con uno spazio tra le due subuni-
tà, che è il sito attivo all’intero del quale entreranno i ribonucleotidi difosfato. Per avere una sintesi di DNA
senza mutazioni è necessario che siano a disposizione quantità adeguate di ognuno dei 4 nucleotidi per la sin-
tesi di DNA, perché altrimenti la loro assenza provocherebbe una mutazione a livello genomico. Sul nostro
enzima esistono anche due siti di regolazione, il sito di regolazione primario e il sito di regolazione secon-
dario. Il primario determina se l’enzima funziona oppure no, dove si può legare il modulatore positivo, op-
pure quelle negativo, provocando il non funzionamento dell’enzima. I due modulatori sono ATP quello posi-
tivo e il deossiATP, che è negativo. Se c’è tanto ATP è segno che ci sono tanti nucleotidi che deve essere ri-
dotti. Il sito di regolazione secondario è anche chiamato sito di specificità: anche in questo caso di avranno
dei modulatori allosterici, che ne determineranno il substrato che l’enzima può ridurre. Prima vengono sinte-
tizzati i deossi-ribonucleotidi pirimidinici, quando di questi ce n’è abbastanza, l’enzima riduce prima il deos-
siGDP e dopo il deossiADP, in questo modo la cellula si assicura di avere una quantità adeguata di deossiri-
bonucleotidi.
DIGIUNO
La fase di digiuno inizia dopo circa 2/3 ore dal primo pasto.
L’ormone in questa fase è il glucagone, sempre secreto dal pancreas. Lo stato di stress è segnalato dall’adre-
nalina.
Durante il digiuno l attività dell’organismo continuano a d accadere, quindi occorre sempre rifornire energia
le nostre cellule. Ci sono delle cellule che dipendono solo dal glucosio, quindi è importante che in questa
fase di digiuno l’organismo mantenga una concentrazione di glucosio basale, chiamata glicemia. Se poi dob-
biamo ottenere energia, ossidando dei composti, al fine di produrre ATP con coenzimi ridotti, andando ad os-
sidare molecole che derivano dai depositi energetici della cellula; il glucosio in eccesso è conservato come
glucosio, mentre gli acidi grassi in eccesso come trigliceridi; si deve andare a mobilizzare questi fondi e in
più il nostro organismo è in grado di produrre dei composti energetici alternativi. Tutto questo metabolismo è
messo in moto dal glucagone nel digiuno e dall’adrenalina nello stress.
La glicemia dev’essere tenuta a livelli normali, cioè livelli misurati nella popolazione sana di riferimento e si
aggira intorno ai 70-100 mg/100ml. Perché è importante mantenere il valore di glicemia non al di sotto di
questi valori? Quando si scende sotto la soglia minima, cominciano a comparire dei sintomi, che hanno lo
scopo di promuovere l’innalzamento della glicemia, quindi si ha il rilascio di adrenalina e glucagone e corti-
solo. Se questo non è sufficiente, allora cominciano a comparire dei sintomi patologici, quali palpitazioni e
tremore; se si continua così, si ha uno stato confusionale fino ad arrivare al coma e alla morte. Gli glucosio
deve arrivare in questa fase da fonti interne. Chi si occupa di ciò? Il fegato, che è in grado di generare e di li-
berare in circolo del glucosio, con lo scopo di mantenere i livelli di glicemia normali, ma soprattutto mette
glucosio a disposizione delle altre cellule dell’organismo. Il fegato riesce a fare questo perché possiede due
vie metaboliche e in particolare una è la via del glicogenolisi, quella via che permette al fegato di degradare
il suo glicogeno a glucosio e di liberarlo in circolo. L’altra via metabolica si chiama gluconeogenesi, che
parte dopo, ma è in grado produrre glucosio per un tempo anche prolungato. La quantità di glucosio che può
essere prodotta in queste due vie è piuttosto piccola, quindi solo alcune cellule riusciranno ad avere glucosio.
Quindi altre cellule che non hanno glucosio smettono di usare glucosio e passano ad usare un carburante al-
ternativo, come ad esempio gli acidi grassi che provengono dai trigliceridi, quindi il tessuto adiposo degrada
i suoi trigliceridi mandando in circolo sanguigno i suoi acidi grassi, attraverso il quale raggiungono le cellule
periferiche. Oltre a queste molecole vengono usati anche i corpi chetonici, molecole sintetizzate e rilasciate
dal fegato stesso, una classe di molecole che i mostri tessuti periferici possono ossidare per produrre energie
metabolica. Quindi da una parte si ha lo switch e passano ad usare dei carburanti alternativi, mentre dall’altra
parte, i tessuti che sono obbligati a ad usare glucosio, lo usano prodotto dal fegato attraverso la glicogenolisi
e la gluconeogenesi. Un organo obbligato ad usare il glucosio sono il cervello, i globuli rossi e alcuni tessuti
dell’occhio come il cristallino. Per questi tessuti, la disponibilità del glucosio è indispensabile.
GLICOGENOLISI E GLUCONEOGENESI
La glicogenolisi parte dal glicogeno e rilascia unità di glucosio e il fegato lo immette in circolo.
La gluconeogenesi converte il piruvato in glucosio e parte da dei precursori che non sono carboidrati, quinid
sa convertire delle molecole che non son carboidrati in carboidrati. Anche in questo caso, il glucosio è libera-
to nel torrente circolatorio.
GLICOGENOLISI
La glicogeno lisi ha bisogno di due enzimi, enzima deramificante e dell’enzima glicogeno fosforilasi. Il gli-
cogeno è un omo-polisaccaride ramificato, dove ci sono due tipi di legame glicosidico, uno che lega tra di
loro le varie unità di glucosio e l’altro che lega nei punti di ramificazione; per liberare le unità di glucosio dal
glicogeno è necessario rompere questi legami. La glicogeno fosforilasi rompe il legame glicosidico alfa1,4 e
aggiunge un gruppo fosfato, lasciando un glicogeno più corto di un residuo. Poi entra in gioco l’enzima dera-
mificante, che prende una parte di catena laterale e li trasferisce nella catena alla fine dell’altra, generando
una catena lineare; inoltre, scinde il legame glicosidico alfa 1,6 che va a liberare un glucosio, generando una
catena lineare di glucosio. Su quest’ultima poi torna ad agire l glicogeno fosforilasi che staccherà le unità di
glucosio sottoforma di glucosio 1-fosfato, finché non troverà una ramificazione, dove entrerà in gioco l’altro
enzima. All’inizio si è detto che il glicogeno è presente in tutti i tessuti, ma in modo più abbondante nel fega-
to e nel tessuto muscolare scheletrico. La glicogenolisi è un processo che avviene in tutti i tessuti. Tra un tes-
suto e l’altro cambia il destino del glucosio ottenuto dal glicogeno. Il glicogeno epatico genera un glucosio
che viene immesso nel torrente circolatorio, quindi il fegato non usa il glucosio ottenuto dal glicogeno epati-
ca, ma lo immette nel torrente circolatorio e lo lascia a quei tessuti che dipendo dall’ossidazione del glucosio.
Tutti gli altri tessuti, possono fare glicogenolisi, possono ottenere glucosio dal glicogeno, ma rimane nel tes-
suto e viene ossidato in glicolisi con lo scopo di produrre energia per la cellula e questo avviene soprattutto
nei muscoli. Il glucagone, l’ormone del digiuno, regola la glicogenolisi del fegato, per far sì che il glucosio
venga immesso nel circolo, per mantenere la glicemia a valori normali. Il muscolo usa il suo glicogeno per
produrre energia per la sua contrazione, ma lo farà solo quando deve contrarsi e non a riposo.
GLUCONEOGENESI
La gluconeogenesi è una via che avviene in soli due tessuti, cioè solo nel fegato e nella midollare dei reni,
dove il 99% del glucosio prodotto deriva solo dalla gluconeogenesi epatica e la restante dai reni. Questa via
metabolica è l’inverso della glicolisi, perché si differenziamo soltanto per tre reazioni. La glicolisi avviene
nel citoplasma; nella gluconeogenesi ci sono due reazioni che avvengono nei mitocondri, mentre le altre nel
citoplasma. La gluconeogenesi è attiva nel digiuno in risposta alla presenza del glucagone, che quando è pre-
sente in fegato non fa glicolisi, al contrario la glicolisi avviene e non la gluconeogenesi.
Il piruvato viene prodotto nel fegato a partire da substrati non saccaridici, come il lattato, che può venire di-
rettamente venire convertito in piruvato con la lattato deidrogenasi, da alanina; poi ci sono altri amminoacidi
glucogenici dai quali è possibile ottenere piruvato. L’alanina può venire essere convertita in una sola riduzio-
ne: grazie ad una amminotransferasi la si può convertire in piruvato. Ma da dove vengono l’alanina e il latta-
to? Il lattato è prodotto dalla glicolisi anaerobia, che avviene in un muscolo in attività intensa, oppure nei
globuli rossi. Per queste cellule, il lattato è una molecola di scarto, quindi lo mettono in circolo. Il fegato re-
cupera poi il lattato e possiede la gluconeogenesi che permette a conversione del lattato in piruvato che verrà
trasformato in glucosio 6-fosfato che verrà poi immesso nel torrente circolatorio che lo porterà ai muscoli.
Quindi avviene uno scambio tra il fegato e i muscoli, ciclo chiamato ciclo di Cori. L’altra molecola che serve
per sintetizzare il glucosio e l’alanina, che viene prodotta dalla degradazione delle proteine muscolari; il mu-
scolo da una parte deve rinnovare le sue proteine muscolari e dall’altra nel digiuno, accade che le proteine
vengano degradate da potere essere ossidate a scopo energetiche. Così il muscolo si ritrova ad avere tanta
alanina, che viene immessa nel circolo che va al fegato, dove viene trasformata in glucosio, che poi ritornerà
al fegato; in questo caso si scambiano alanina e glucosio, ciclo chiamato ciclo glucosio-alanina.
Gli acidi grassi sono conservati nel tessuto adiposo sottoforma di triacilgliceroli, quinid il glucagone di che al
tessuto adiposo che è arrivato il momento di degradati i trigliceridi in glicerolo e acidi grassi. Il glicerolo va
al fegato e rientra tra i precursori della gluconeogenesi, mentre gli acidi grassi vengono liberti nel torrente e
arrivano ai tessuti periferici, trasportato dall’albumina sierica; gli acidi grassi quindi potranno andare al fe-
gato e ai tessuti, dove verrano ossidati, attraverso la beta ossidazione, che serve a convertire gli acidi grassi
in acetil-CoA, che entra nel ciclo di Krebs per produrre ATP. Nel fegato questo coenzima, può subire due de-
stini, o ciclo di Krebs oppure per produrre i corpi chetonici, che il fegato poi immetto in circolo a disposizio-
ne dei tessuti periferici non epatici. Come avviene la mobilizzazione degli acidi grassi dal tessuto adiposo? È
regolato dall’ormone glucagone e dall’adrenalina. L’ormone si lega ai suoi recettori, attiva una cascata enzi-
matica che attiva degli enzimi che sono responsabili della scissione dei trigliceridi in glicerolo e acidi grassi.
Durante il digiuno non ci sono lipoproteine prodotte dagli adipociti, prodotte dal fegato o dall’intestino.
L’insulina inibisce la mobilizzazione dei triacilgliceroli dal tessuto adiposo, cosa che il glucagone e l’adrena-
lina favoriscono.
Nei muscoli può accadere che le proteine muscolari vengano degradate in amminoacidi che poi verranno
mandati al fegato per potere essere usati in gluconeogenesi.
CORPI CHETONICI
quelli prodotti dal fegato sono l’acetoacetato, l’acetone e il 3-idrossibutirrato. Il fegato parte dall’aceti-CoA
che derivano dagli amminoacidi chetogenici o dagli acidi grassi. Questo coenzima può venire convertito dal fega-
to in questi tre corpi chetonici, che poi verranno immessi nel circolo. In circolo l’acetoacetato può dare origine
all’acetone; quest’ultimo è un corpo chetonico ma non è una fonte energetica,p perche le cellule dei tessuti perife-
rici per energia solo gli altri due corpi chetonici. Questi come vengono usati? Vengono riconvertiti in Acetil-CoA e
poi entrano nel ciclo di Krebs, producendo energia. I tessuti periferici possono riconvertire i due corpi chetonici in
Acetil-CoA perché esprimono l’enzima tioforasi, enzima presente in tutti i tessuti periferici che possono usare i
corpi chetonici, come il cuore, i reni e il cervello. Il fegato non possiede la tioforasi, quinid il fegato sintetizza i
corpi chetonici, ma non è in grado si usarli. L’acetone è un prodotto di scarto e viene eliminato attraverso due vie,
una attraverso la respirazione perché è un composto volatile a livello polmonare, oppure può essere filtrato a livel-
lo renale ed eliminato con le urine.

CICLO NUTRIZIONE/DIGIUNO
I tessuti sono in stretta comunicazione tra di loro, attraverso degli ormoni, attraverso il sistema nervoso e la dispo-
nibilità dei substrati in circolo, cioè quelle molecole che si trovano nel sangue, in grado di venire percepite dai vari
tessuti, che modificheranno il loro comportamento. Gli omoni chiave di questo ciclo sono due, l’insulina e il glu-
cagone, e insieme l’adrenalina che ha effetti simili al glucagone. L’insulina è un ormone peptidico, prodotta dalle
cellule beta delle isole di Langherans presenti nel pancreas. Viene inizialmente prodotta come prepro-insulina, una
molecola più lunga che verrà poi immagazzinata in dei granuli, rilasciati nel sangue in risposta alla concentrazione
ematica di alcuni metaboliti, tra i quali il glucosio che, quando è elevato, promuove la secrezione di questo ormo-
ne. Insieme al glucosio, anche gli amminoacidi e gli acidi grassi promuovono la secrezione di insulina da parte
delle cellule beta del pancreas. Nell stress si ha una inibizione del rilascio di insulina con l’adrenalina.
EFFETTI DELL’INSULINA
Gli effetti biologici dell’insulina sono sia effettivi positivi che negativi, per cui l’insulina promuove l’assunzione
del glucosio, quindi il suo ingresso nelle cellule e il suo utilizzo da queste ultime; per questo motivo, gli glicemia
diminuisce, quindi l’insulina è considerato un ormone ipoglicemizzante. Si avrà poi anche la sintesi delle proteine
e degli acidi grassi. Nel fegato viene poi inibita la gluconeogenesi, la glicogenolisi e la lipolisi, fenomeno che av-
viene nel tessuto adiposo. Inoltre, l’insulina va a modificare l’espressione genica, andando a modificare il corredo
di enzimi e di proteine che sta all’interno di una cellula. Tutti gli effetti precedenti sono degli effetti a breve termi-
ne, mentre l’ultimo effetto è a lungo termine.
EFFETTI DEL GLUCAGONE E DELL’ADRENALINA
Il glucagone è un ormone peptidico, sintetizzato dalle cellule alfa delle isole di Langherans e viene conservato in
vescicole di secrezione. Verrà rilasciato quando abbiamo in circolo gli amminoacidi e l’adrenalina. Se abbiamo in
circolo glucosio e insulina, la secrezione di glucagone è impedita, ma dopo un po' di ore dal pasta, la concentra-
zione di glucosio diminuisce fino ad arrivare ad una concentrazione basale, che non inducono la secrezione di in-
sulina, quindi la sua concentrazione è bassa, che provoca la secrezione del glucagone. Il glucagone promuove la
glicogenolisi, la gluconeogenesi, processi importanti, perche in risposta di questi due processi il fegato ottiene del
glucosio che vine rilasciato in circolo, motivo per il quale il glucagone è considerato un ormone iperglicemizzan-
te. Si avrà poi un’attivazione della lipolisi con liberazione degli acidi grassi e l’attivazione della beta-ossidazione.
Poi si avrà la chetogenesi e l’assunzione degli amminoacidi, che derivano dalla degradazione delle proteine mu-
scolari. Infine, si avrà una inibizione delle glicogenesi, cioè la sintesi di glicogeno e poi una inibizione della glico-
lisi epatica.
RUOLO DEI VARI TESSUTI NELLE FASI DI NUTRIZIONE E DI DIGIUNO.
Al fegato arrivano il glucosio e gli amminoacidi dall’alimentazione. Oltre a queste, riceve le rimanenze dei chilo-
microni, quindi questi prima hanno fatto il giro dei vari tessuti e quello non distribuito va al fegato. Cosa ne fa il
fegato dei vari tipi di molecole?
Il glucosio entra nel fegato e può essere conservato sottoforma di glicogeno, può essere usato nella via dei pentosi
per fare ribosio5fosfato e NADPH; può essere usato nella glicolisi, convertendo il piruvato in Acetil-CoA. Gli am-
minoacidi vengono usati per sintetizzare proteine, sia le proteine del fegato che una gamma di proteine per l’orga-
nismo, come vari fattori di crescita e le proteine plasmatiche, compresi molti dei fattori di coagulazione. Gli am-
minoacidi in eccesso possono venire ossidati, quindi si deve rimuovere il gruppo amminico, trasferito sul glutam-
mato e va a finire nel ciclo dell’urea; ciò che resta una volta rimosso il gruppo amminico, rimangono l scheletro
carbonioso, divenendo acetil-CoA o nel ciclo di Krebs. Tutto questo Acetil-CoA può sunire due destini diversi;
può entrare nel ciclo di Krebs, oppure usato per la sintesi dei lipidi. Quando il ciclo di Krebs è saturo, questo
coenzima viene usato per la sintesi di acidi grassi e di colesterolo. A questi acidi grassi, si sommano quelli che ar-
rivano come rimanenze dei chilomicroni, che portano anche colesterolo, che si aggiunge a quello che il fegato è in
grado di sintetizzare. Il colesterolo viene esterificato e sia questo che i trigliceridi e vanno nelle VLDL che rila-
sciate al circolo; da qui, vanno al tessuto adiposo e dopo essersi svuotate diventeranno LDL e distribuiranno il co-
lesterolo ai tessuti periferici.
Il tessuto adiposo è un deposito di scorte energetiche e durante l’assorbimento, recupera gli acidi grassi dai chilo-
microni e dalle VLDL, convertiti in triacilgliceroli e depositati nella goccia lipidica. Per fare questo serve energia,
che viene presa dal glucosio, che entra nell’adipocita e viene usato per ricavare energia con il ciclo di Krebs e nel-
la via del pentosi, il cui prodotto importante è il NADPH, che serve per la sintesi degli acidi grassi. Se il glucosio
è tanto, si ha un accumulo di Acetil-CoA, che verrà usato per la sintesi di acidi grassi fatti nel fegato. Il meccani-
smo con il quale il glucosio entra nell’adipocita è un trasportatore GLUT-4, che è presente nella membrana pla-
smatica dell’adipocita solo quando c’è l’insulina, cioè avviene soltanto nella fase nutrita.
Il muscolo scheletrico è un tessuto che deve affrontare diversi stati metabolici, come l’alternanza tra gli digiuno e
la fase nutrita, così come il riposo e l’attività più o meno intensa. Un muscolo scheletrico a riposo presenta il se-
guente metabolismo: usa il glucosio solo quando c’è insulina, perche presenta anche lui il GLUT-4, con il princi-
pale destino di formare glicogeno, mentre una piccola quantità serve per produrre energia attraverso la glicolisi
prima e il ciclo di Krebs dopo. Quando c’è insulina, il muscolo recupera molti amminoacidi e li utilizza per rinno-
vare le sue proteine muscolari, per tenersi pronto ad una eventuale attività motoria. Con il muscolo a riposo, il mu-
scolo sintetizza dall’arginina e glicina una molecola che si chiama creatina, che viene fosforilata a spese di ATP,
formando creatina-fosfato, particolare molecola che serve a conservare energia, nel legame tra la creatine e il fo-
sfato, perché quando serve energia, questa molecola più cedere il suo gruppo fosfato all’ADP, formando ATP uti-
lizzabile durante la contrazione la creatina potrà essere poi caricata. Nella fase di esercizio, la concentrazione di
creatina fosfato è bassa, mentre è alta durante le fasi di riposo. Quando c’è contrazione muscolare, l’ATP viene
scissi in ADP e fosfato in organico, quinid la concentrazione di fosfato inorganico dimostra che si sta verificando
una fase di esercizio. La creatina e la creatina-fosfato dopo un po' verranno degradate e poi sostituite con muove
molecole. La creatinina è una molecola molto piccola e poco solubile prodotta dal muscolo in seguito alla degra-
dazione di queste due molecole, viene immessa nel torrente circolatorio e filtrata dai reni. Questa molecola è di-
ventata una molecola che ha un alta valore diagnostico, perché quando i reni hanno una funzione alterata, si va a
vedere la clearance della creatinina.
Il muscolo cardiaco è sempre in attività e dev’essere così sempre. Questa sua continua attività fa si che che utilizzi
un metabolismo completamente anaerobio, che contiene pochissimo glicogeno e lipidi, quindi le fonti di energia
sono il glucosio, gli acidi grassi e i corpi chetonici.
Il cervello ha un metabolismo prettamente glucidico, quindi sa usare solo il glucosio, che viene ossidato in manie-
ra aerobica, con il ciclo di Krebs, fosforilazione ossidativa e produzione di ATP. Il cervello presenta un trasporta-
tore del glut-1. Quando mangiamo, la maggior parte del glucosio e degli acidi grassi vengono conservati.
STESSI TESSUTI DURANTE IL DIGIUNO
Lo scopo è mantenere a livelli normali la glicemia. Gli glucagone promuove la lipolisi, il glicerolo viene immesso
nel circolo e recuperato dal fegato. Gli acidi grassi si legano all’albumina e vengono restituiti ai tessuti periferici
che usano gli acidi grassi e non il glucosio. L’adipocita anche smette di usare il glucosio e inizia a d ossidare gli
acidi grassi ad acetil-CoA con la beta-ossidazione con la produzione di coenzimi ridotti.
Il muscolo scheletrico a riposo è uno di quei tessuti che smette di usare il glucosio, e inizia ad usare gli acidi gras-
si e e i corpi chetonici sintetizzati dal fegato. Vengono ossidati ad Acetil-CoA per la produzione di energia con il
ciclo di Krebs. Il muscolo contiene tantissime proteine che a seconda delle necessità, può degradare ad amminoa-
cidi, rilasciati in circolo e usati dal fegato per la gluconeogenesi che serve a sintetizzare il glucosio; quinid quando
il digiuno si prolunga, le proteine che vanno ad essere ossidate aumentano, portando alla perdita di massa musco-
lare.
Il cervello nel digiuno rimane un tessuto che usa solo glucosio, per la glicolisi e il ciclo di Krebs. Se il digiuno si
prolunga per giorni o settimane, ad u certo punto il glucosio che si trova in circolo nel digiuno, quello di origine
epatica non è più sufficiente per soddisfare le esigenze del cervello. Così inizia ad ossidare anche i corpi chetonici
e alcuni amminoacidi; ma i corpi chetonici vengono usati sono nel digiuno prolungato, ma non in quello fisiologi-
co. Il cervello non sa ossidare molecole abbondanti con gli acidi grassi, perché questi non raggiungo le cellule
dell’encefalo, per via della barriera emato-encefalica che ne impedisce il contatto, anche al fatto che non contiene
il corredo enzimatico necessario per ossidare gli acidi grassi.
Il fegato nel digiuno ha il ruolo di andare a sintetizzare il glucosio, che verrà liberato in circolo o quello di andare
a sintetizzare i corpi chetonici, contribuendo alla generazione dei substrati ossidabili durante i digiuno per far si
che i tessuti possano ricevere energia. Durate il digiuno, il fegato recupera parte degli acidi grassi dal tessuto adi-
poso, come il glicerolo e gli amminoacidi e il lattato, prodotto dal muscolo in attività intensa o dai globuli rossi
che lo producono. Queste molecole servono nella gluconeogenesi per fare novo glucosio, mentre gli acidi grassi
vengono ossidati in Acetil-CoA, che è la via metabolica che nel digiuno fornisce ATP al fegato. Poi l’Acetil-CoA
in eccesso viene trasformato in corpo chetonici poi rilasciati in circolo, per potere essere usati dai tessuti periferici.
Questo glucosio quindi non deriva solo dalla gluconeogenesi(a partire da amminoacidi, lattato e glicerolo), ma an-
che dal glicogeno che viene poi ossidato.
DIABETE DI TIPO I E DI TIPO II.
Quello di tipo I è insulino-dipendente, caratterizzato da una diminuita produzione di insulina da parte del pan-
creas. Il non avere insulina in circolo, ai nostri tessuti periferici non arriva il messaggio che siamo in una fase nu-
trita, quindi il fegato continua a produrre glucosio e di corpi chetonici, utilizzando molti dei triacilgliceroli del tes-
suto adiposo, le proteine muscolari; questa grande quantità di glucosio in circolo provoca una iperglicemia, mentre
le presenza di corpi chetonici provoca una cheto-acidosi, perche questi sono acidi e il pH del sangue tende a dimi-
nuire. Inoltre si formano anche i chilomicroni, che non riescono a versare il loro contenuto negli adipociti, che
tenderanno ad accumularsi in circolo, insieme alle VLDL.
Il diabete di tipi II è associato ad obesità ed è una malattia caratterizzata dal pancreas che continua a produrre in-
sulina, ma le cellule periferiche rispondono meno all’insulina, prendendo il nome di resistenza, ma l’insulina è co-
munque presente. Il paziente in questo caso presenta iperglicemia, il glucosio tede a rimanere in circolo a causa
della resistenza, ma il quadro lipidico è molto meno alterato; si ha sempre un accumulo di chilomicroni e di VLDL
e non si ha una eccessiva produzione di corpi chetonici, quindi qui è assente la cheto-acidosi.

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