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MIOGLOBINA E EMOGLOBINA

La mioglobina e l’emoglobina, fanno parte della famiglia delle globine, sono state le prime proteine di cui
sia stata determinata la struttura tridimensionale. Queste proteine legano l’ossigeno molecolare.

La presenza dell’ossigeno nella vita degli esseri viventi è fondamentale. Si è fatto ricorso a due principali
meccanismi per garantire ossigeno a tutte le cellule di un organismo:

 Sistema circolatorio che distribuisce attivamente l’ossigeno;


 Proteine deputate al trasporto e all’immagazzinamento dell’ossigeno.

Tutti i vertebrati superiori necessitano di ossigeno, fatta eccezione per un particolare pesce, chiamato ice
fish, il quale non ha emoglobina. Ciò è reso possibile dalle drastiche condizioni in cui vive: la temperatura
dell’acqua del mare antartico in cui vive è molto bassa. Questo permette al pesce di aver bisogno di poco
ossigeno, anche perché la solubilità dell’ossigeno molecolare a queste temperature è maggiore.

Perché la natura ha scelto l’ossigeno come comburente?

 L’O 2 è abbastanza abbondante nell’aria: l’atmosfera è caratterizzata dal 21 % di ossigeno.


 Elevato potenziale di ossidoriduzione: è un elemento che collabora attivamente in tutte le reazioni
di ossidoriduzione necessarie a livello metabolico.
 Scarsa reattività chimica: in alcune condizioni diventa molto reattivo, ma ci sono sistemi che
evitano che si possono formare le specie reattive dell’ossigeno.

Lo svantaggio dell’ossigeno è che ha natura prevalentemente idrofobica e quindi scarsa solubilità in acqua
(fluidi biologici). Negli organismi superiori necessita di un trasportatore.

LE GLOBINE sono una famiglia di proteine che legano l’ossigeno


Le globine sono una vasta famiglia di proteine, i cui membri hanno strutture primaria e terziaria simili. Le
globine sono comunemente presenti in tutte le classi di eucarioti, ma anche in alcuni tipi di batteri. La
maggior parte di queste proteine svolge la funzione di trasporto o di immagazzinamento di ossigeno,
mentre alcune di esse si comportano come sensori delle concentrazioni di ossigeno. Negli esseri umani e in
altri mammiferi esistono tipi diversi di globine, tra cui la mioglobina e l’emoglobina.

 La mioglobina, una globina monomerica, favorisce la diffusione dell'ossigeno nel tessuto muscolare.
 L'emoglobina, una proteina tetramerica, è responsabile del trasporto dell'ossigeno nel torrente
circolatorio.
La struttura alla base di queste proteine è la STRUTTURA GLOBINICA, con la differenza che la
mioglobina è costituita da una singola globina (lega un gruppo eme), mentre l’emoglobina è
costituita da 4 globine (lega 4 gruppi eme). (1 gruppo eme per ciascuna globina).
MIOGLOBINA

La mioglobina è un singolo polipeptide di 153 residui


amminoacidici, che contiene una molecola di eme, responsabile
del legame con l’ossigeno, quindi ha un solo sito di legame per
l’ossigeno.

La catena polipeptidica della mioglobina è costituita da otto


segmenti a α elica, uniti da ripiegamenti non elicoidali. I
segmenti a α elica vengono indicati con lettere da A a H. I singoli
residui amminoacidici vengono identificati dalla loro posizione
nella sequenza amminoacidica o dalla loro localizzazione in un
particolare segmento ad α elica. Per esempio, il residuo His coordinato all'eme della mioglobina, l' Hi s 93 (il
93 ° residuo a partire dalla terminazione amminica della sequenza amminoacidica della catena polipeptidica
della mioglobina), viene anche indicato come His F8 (l'ottavo residuo dell'a elica F). I ripiegamenti che
uniscono le α eliche vengono indicati con AB, CD, EF, FG e così via, cioè con le lettere delle eliche che i
ripiegamenti stessi interconnettono.

La mioglobina può trovarsi:

- legata all'ossigeno, ossi-mioglobina;


- non legata all'ossigeno, deossi-mioglobina.

EMOGLOBINA

L’emoglobina è una proteina tetramerica contenente 4 gruppi eme,


uno per ciascuna subunità, quindi ha quattro siti di legame per
l’ossigeno.

L’emoglobina A contiene due tipi di globine: 2 catene β identiche di


146 residui amminoacidici ciascuna e 2 catene α identiche di 141
residui amminoacidici ciascuna. La struttura tridimensionale di queste
due subunità è simile a quella della mioglobina, (struttura globinica: 8
segmenti elicoidali, uniti da connessioni non elicoidali) ma la sequenza
dei tre polipeptidi è identica solo a livello di 27 posizioni; inoltre la
subunità alpha è priva della corta elica D.

L’emoglobina può esistere in due forme: deossiemoglobina, non


legata all’ossigeno, e ossiemoglobina, legata all’ossigeno.
L’emoglobina può legare l’O2 con diverse affinità. Questo legame
induce cambiamenti conformazionali nell’emoglobina tale da consentire all’ O 2 di legarsi
cooperativamente. L’affinità di legame per l’O 2 dell’emoglobina può essere alterato dall’effetto Bohr e il
BPG o le mutazioni posso cambiare le proprietà di legame dell’ O2 dell’emoglobina e portare allo sviluppo di
patologie.

I legami che stabilizzano la struttura quaternaria dell’emoglobina sono: interazioni idrofobiche, legami
idrogeni e legami ionici (ponti salini). I ponti salini si stabilizzano tra:

- le subunità α1-β1;
- le subunità α2-β2;
- le subunità α1-β2;
- le subunità α2-β1.
I ponti salini si stabilizzano tra amminoacidi carici
positivamente e amminoacidi carichi negativamente.
Interazioni tra le coppie ioniche His HC3 e Asp FG1 della subunità β e
tra Lys C5 della subunità α e il gruppo α-carbossilico del residuo His
HC3 della subunità β.

Esistono vari tipi di emoglobina. L'emoglobina appena descritta è del tipo A1, formata da due subunità α e
due subunità β. Un altro tipo di emoglobina presente nella popolazione in percentuale ridotta (2−3 %) è
di tipo A2, formata da due subunità α e da due subunità δ .

Inoltre è importante sottolineare la differenza tra emoglobina adulta e emoglobina fetale (Hb F). L’Hb F è
formata da due subunità α e da due subunità γ . Le catene γ aumentano l'affinità per l'ossigeno rendendo
più facile il legame tra l'emoglobina e l'ossigeno, veicolando una maggiore quantità di ossigeno al feto. Alla
nascita il gene che codifica per la subunità γ viene spento e viene attivata la trascrizione del gene che
codifica per la catena β, anche se al momento della nascita esistono entrambe le emoglobine. L'emoglobina
fetale viene degradata e dà origine alla bilirubina che può causare ittero neonatale. Spesso i neonati
soffrono di ittero che è una chiara evidenza dell'avvenuta degradazione dell'emoglobina fetale.

Esiste un altro tipo, emoglobina embrionale, formata da due subunità α e da due subunità ε . Queste
forme però sono attive solo nella prima fase della vita intrauterina, durante le prime fasi della formazione
dello zigote.

L’ossigeno si lega al gruppo prostetico eme


L’ossigeno è poco solubile in acqua e non può essere trasportato ai tessuti in quantità sufficiente se è
semplicemente disciolto nel plasma sanguigno. L’organismo di proteine che sono in grado di trasportare e
conservare l'ossigeno. Tuttavia nessuna delle catene laterali degli amminoacidi risulta idonea a legare
reversibilmente la molecola dell'ossigeno. Questo ruolo viene svolto da alcuni metalli di transizione, tra cui
il ferro e il rame, che hanno una forte tendenza a legare l'ossigeno. Gli organismi pluricellulari utilizzano le
proprietà di questi metalli, in particolare del ferro, per il trasporto dell'ossigeno.

Il ferro allo stato libero provoca la formazione di specie dell'ossigeno altamente reattive come i radicali
ossidrilici, che possono danneggiare il DNA e altre macromolecole. Il ferro usato nelle cellule è invece
sequestrato in forme che lo rendono meno reattivo.

In particolare il ferro negli organismi pluricellulari - specialmente quelli in cui questo elemento, nella forma
capace di legare ossigeno, deve essere trasportato per distanze molto lunghe - è spesso incorporato nel
gruppo prostetico legato a una proteina chiamato eme. (un gruppo prostetico è un composto che resta
permanentemente legato a una proteina e che partecipa alla sua funzione). All’interno della struttura
globinica (di mioglobina ed emoglobina) il gruppo eme è legato in una tasca idrofobica costituita in gran
parte dalle α-eliche E ed F: presenta quasi solo residui idrofobici, Val, Leu, Iso, Phe, Met, in questo modo
viene impedito l’ingresso di molecole d’acqua proteggendo il Fe 2+ dall’ossidazione irreversibile.

L’eme è legato alla proteina attraverso interazioni idrofobiche, legami di van der Waals e legami idrogeno
(interazioni deboli); in particolare esso è bloccato nella tasca idrofobica grazie ad un legame che lo ancora
con un’istidina in posizione 93 del segmento F e un altro legame che lo ancora con un’istidina in posizione
64 del segmento E.

STRUTTURA:

L’eme è costituito da una struttura organica complessa ad anello, la protoporfirina IX, a cui è legato un
singolo atomo di ferro nello stato di ossidazione ferroso ( F e 2+¿ ¿). La protoporfirina è formata da 4 anelli
pirrolici, tenuti insieme da ponti metilici e al
centro si colloca l’atomo di ferro. I quattro
anelli pirrolici formano un anello
tetrapirrolico PLANARE, legato a quattro
gruppi metilici, a due gruppi vinilici e due
catene laterali di propionato.

L’atomo di ferro ha sei legami di coordinazione, quattro dei quali sono impegnati con i quattro atomi di
azoto che fanno parte dell'anello porfirinico; gli altri due sono invece perpendicolari al piano della
porfirina. Gli atomi di azoto coordinati (che hanno la caratteristica di donatori di elettroni) impediscono la
conversione del ferro dell'eme nello stato ferrico ( F e 3+¿ ¿). Il ferro nello stato F e 2+¿ ¿ lega reversibilmente
l'ossigeno; nello stato F e 3+¿ ¿ non è invece in grado di legare l'ossigeno.
Le molecole di eme libere in soluzione (non legate a proteine) hanno il loro F e 2+¿ ¿ con due legami di
coordinazione disponibili: la reazione contemporanea di una molecola di O 2 con queste molecole di eme
libero (o con due ioni F e 2+¿ ¿ liberi) è accompagnata da un parziale trasferimento di un elettrone dallo ione
ferroso all’ossigeno. Lo ione ferroso si trasforma in ione
ferrico e l’ossigeno molecolare si trasforma in ione superossido.
Lo ione superossido è pericoloso perché, se questo ossigeno viene
rilasciato dall’emoglobina, esso, essendo una specie molto
reattiva dell’ossigeno, può danneggiare molte macromolecole biologiche, e quindi risulta nocivo per gli
ambienti in cui si viene a trovare. Inoltre, lo ione ferrico non è in grado di legare l’ossigeno.

Quando l'eme è inserito in una proteina questa reazione non avviene, in quanto il gruppo eme è immerso
in profondità nella struttura proteica
e l'accessibilità ai siti di coordinazione
è limitata.

Inoltre nelle globine, uno di dei due


legami di coordinazione disponibili è
tra lo ione ferroso e un atomo di
istidina in posizione 93 della catena
amminoacidica, sulla regione F in
posizione 8, chiamato His prossimale
(istidina prossimale). L'altro legame è
il sito a cui si lega la molecola di ossigeno (O 2); questo legame è stabilizzato dall’intervento di una seconda
istidina, His distale, in posizione 64, presente sul tratto E: si forma un legame tra l’ossigeno e l’istidina in
posizione 64 del segmento E (His distale). In questo modo, l’ossigeno impegnato in un altro legame,
difficilmente può trasformarsi in ione superossido.

Il legame dell’ossigeno all’eme nelle globine dipende anche dai movimenti molecolari:
La molecola dell’eme è immersa in profondità nella struttura proteica e l’ossigeno non ha una via diretta
per passare dalla soluzione circostante al sito di legame sull’eme. Di conseguenza se la proteina fosse
rigida, l’O2 non potrebbe uscire dalla tasca dell’eme in quantità apprezzabili. I movimenti molecolari molto
rapidi delle catene laterali degli amminoacidi producono cavità transitorie nella struttura della proteina e
l’ossigeno sfrutta questi spazi per entrare o uscire dalla proteina. In particolare:

Il legame dell’O2 innesca una variazione strutturale nell’emoglobina. Nella deossiemoglobina lo ione ferro
è situato leggermente all’esterno del piano della
protoporfirina, ma si sposta sul piano dell’eme a
seguito dell’ossigenazione. Questo avviene grazie
alla His distale che agisce come un cancello che
regola l’accesso alla tasca principale vicino all’atomo di ferro emico. La rotazione di questo residuo di
istidina apre e chiude la tasca.

Le interazioni proteina-ligando possono essere descritte quantitativamente


La funzione della mioglobina o dell’emoglobina dipende dalla capacità delle proteine non solo di legare
l'ossigeno, ma anche di rilasciarlo quando è necessario. In biochimica la funzione di una proteina dipende
spesso da questo tipo di interazioni reversibili proteina-ligando. In genere il legame reversibile di un ligando
(L) a una proteina (P) può essere descritto dalla reazione all'equilibrio:

P+ L ⇌ PL
P = emoglobina (trasportatore) L = ossigeno (ligando)

La reazione è caratterizzata da una costante di equilibrio K a :

[ PL] k a
Ka= =
[ P ] [ L] k d
Il termine K a , identifica la costante di associazione, che indica l'equilibrio tra il complesso e i componenti
non legati del complesso. La costante di associazione è una misura dell'affinità del ligando L per la proteina
P, un valore di Ka elevato corrisponde a un’elevata affinità del ligando per la proteina. Il termine K a , la
costante di associazione, è equivalente al rapporto tra le velocità della reazione verso destra (reazione di
associazione) e della reazione verso sinistra (reazione di dissociazione), che formano il complesso PL. Alla
reazione di associazione corrisponde una costante di velocità k a, mentre alla reazione di dissociazione una
costante di velocità k d . Le costanti di velocità sono costanti di proporzionalità, che indicano la frazione di un
reagente che reagisce in una data unità di tempo.
Quando la reazione riguarda una sola molecola, come la reazione di dissociazione PL →P+ L , la
reazione è detta del primo ordine. Quando la reazione riguarda due molecole, come la reazione di
associazione P+ L→ PL, è detta del secondo ordine.

Un adeguamento all’equazione scritta precedentemente (quella della K a ) mostra che il rapporto tra
proteina legata con il ligando e proteina libera è direttamente proporzionale alla concentrazione di
ligando libero:

[PL]
K a [ L]=
[P]
Quando la concentrazione del ligando è molto più alta della concentrazione dei suoi siti di legame sulla
proteina, il legame del ligando alla proteina non modifica in modo apprezzabile la concentrazione del
ligando libero (non legato), cioè [ L] resta costante. Questa condizione è applicabile a molti ligandi che si
associano a proteine nelle cellule e semplifica la nostra descrizione dell'equilibrio di legame.

Per descrivere quanto il complesso è saturato (grado di saturazione), consideriamo l'equilibrio di legame
dal punto di vista della frazione θ dei siti di legame occupati dal ligando presenti nella proteina (ovvero dal
grado di saturazione della proteina):

siti dilegame occupati [PL]


θ= =
totale dei siti dilegame [ PL ] +[P ]
θ può assumere valori compresi tra 0 e 1. 1 quando tutti i siti sono occupati.

Ma questa equazione non ci consente di misurare il grado di saturazione in funzione di L (dato noto). Infatti
anche se sperimentalmente possiamo misurare [PL] non possiamo sempre conoscere il numero di siti
disponibili (al denominatore troviamo [P] non sempre noto). Possiamo riscrivere l’equazione in funzione di
[L] (dato noto) Sostituendo il termine K a [ L ] [ P] a [PL] e riordinando i termini si ha

K a [ L ] [P ] K a [ L] [L]
θ= = =
K a [ L ] [P]+[ P] K a [ L ] +1 1
[ L] +
Ka

Il valore di K a può essere determinato dal grafico di θ in funzione della concentrazione del ligando libero
[L]. Qualsiasi equazione nella forma x= y /( y+ z) descrive un'iperbole, e quindi θ è una funzione iperbolica
di [L].

La frazione di siti di legame per il ligando occupata tende ad


arrivare asintoticamente a saturazione quando [L] aumenta: la
curva sale in modo lineare con l’aumentare del ligando per poi
tendere asintoticamente al valore 1 (100%).

Il valore di [L] al quale metà dei siti di legame è occupata dal ligando
(θ=0.5) corrisponde a 1/ K a. È intuitivamente più semplice
considerare la costante di dissociazione, K d , cioè il reciproco di K a
( K d =1/ K a), espressa in unità di concentrazione molare (M). K d è
la costante di equilibrio della reazione di rilascio del ligando. Le
espressioni si modificano quindi in questo modo:

[ PL ] k d [ P] [ L] [ L]
Kd= = [ PL ]= θ=
[ P ][ L ] k a Kd [ L] + K d
Quando [L] è uguale a K , metà dei siti di legame è occupata dal
d

ligando (θ=0.5). Quando [L] è minore di K d , la quantità di ligando


legata alla proteina è esigua. Affinché il 90% dei siti di legame sia
occupato dal ligando il valore di [L] deve essere nove volte più alto
di quello di K d . In pratica il termine K d viene usato molto più
spesso di K a per esprimere l'affinità di una proteina per il suo
ligando.

Si noti che un valore molto basso di K d corrisponde a un'elevata affinità della proteina per il ligando. La
matematica può ridurre questo concetto a una semplice asserzione: K d corrisponde alla concentrazione
molare di ligando a cui metà dei siti di legame disponibili è occupata dal ligando. A questo punto la
proteina ha saturato metà dei suoi siti di legame. Quanto più saldamente la proteina lega il ligando, tanto
più bassa è la concentrazione di
ligando necessaria a occupare metà
dei siti di legame, e minore è il valore
di K d .

Per conoscere l’affinità di due molecole


differenti:
Quello che ha un’affinità maggiore è quello che ha la metà dei siti saturati con una concentrazione minore,
quindi con una Kd minore.
Kd è un parametro caratterizzante di ogni trasportatore messo a contatto con il suo ligando in specifiche condizioni di
temperatura e pH.

La Kd ha la grandezza di una concenrazione.

Riportiamo quest’informazione sulla MIOGLOBINA e sull’EMOGLOBINA.

MIOGLOBINA

In questo caso la proteina è la mioglobina mentre il


ligando è l’ossigeno; si formerà un complesso con
l’ossigeno legato alla mioglobina. La
rappresentazione grafica della curva di saturazione
della mioglobina è un’iperbole rettangolare,
sull’ordinata sono riportati i siti disponibili di
saturazione e in ascissa la pressione parziale
dell’ossigeno.

A 0 abbiamo una mioglobina che non lega


assolutamente l’ossigeno. Man mano che aumentiamo
la pressione parziale dell’ossigeno, ovvero la
concentrazione del ligando, l’ossigeno piano piano si
lega alla nostra proteina. A valori molto bassi di
pressioni parziali, vicino ai 4 torr , ho il 50% dei siti
saturati, cioè la metà delle nostre molecole di
mioglobina sono legate al ligando. Ciò ci permette di
dire che la costante di dissociazione per la mioglobina
è bassa. Più aumento la concentrazione e più le
molecole di mioglobina legano ossigeno al gruppo eme. Intorno al valore di 26 torr tutta la mioglobina è
saturata. Quando la concentrazione del ligando è molto più alta della concentrazione dei suoi siti di legame
sulla proteina, [ L] resta costante. La rappresentazione grafica della mioglobina è un'iperbole rettangolare.
Queste caratteristiche fanno sì che la mioglobina risulti un efficacie trasportatore distrettuale.

Nel muscolo: quando siamo a 4 mmHg (4 torr )


abbiamo solo il 50% di siti occupati e quindi l’affinità è
del 50%. La proteina è propensa a lasciare l’ossigeno.

Nei capillari: con un valore di 26 torr tutta la


mioglobina è saturata. Quando è saturata, la
mioglobina tiene saldamente legato l’ossigeno. Nei
capillari la mioglobina non può rilasciare ossigeno
perché è quasi completamente saturata quindi ha
un’affinità totale per l’ossigeno e non lo rilascerà ad
altri elementi.

EMOGLOBINA

La curva di saturazione dell’emoglobina non è un’iperbole rettangolare ma è una sigmoide. La pressione


parziale in cui il 50% dell’emoglobina è saturata con l’ossigeno corrisponde a 26 mmHg .

Questo ci fa capire perché l’emoglobina è il miglior trasportatore sistemico.

L’emoglobina è satura a pressioni intorno ai 100 mmHg cioè a livello del polmone.

Man mano che la proteina viaggia con il sangue e arriva nei vari distretti e nei tessuti dell’organismo, la
pressione parziale diminuisce e quindi diminuisce la saturazione.

Quando l’emoglobina arriva nei tessuti, la pressione è molto bassa, quindi la saturazione è molto più bassa,
e l’ossigeno viene rilasciato perché non è più affine.

Vediamo le curve di saturazione delle due proteine:


Per disegnare una curva sigmoide sono necessari tre segmenti:

 il primo segmento ha bassa pressione parziale e poca affinità con l’ossigeno; questo significa che i
siti in cui l’ossigeno è legato alla proteina sono ridotti, che corrisponde a bassa affinità e quindi
bassa pendenza della curva
 il secondo segmento è un intervallo molto stretto con un rapido aumento dell’affinità
dell’emoglobina con l’ossigeno  rapida pendenza della curva.
 Il terzo segmento è un valore vicino a quello della pressione parziale dei polmoni con un plateau
con il 100% di saturazione, quindi abbiamo un sostanziale mantenimento della curva, con la
saturazione.

Ricorda  bassa pendenza equivale ad una bassa affinità,


alta affinità equivale a una ripida pendenza; inoltre è
presente un segmento che ci indica che a 100mmHg la
nostra proteina è satura.

Qual è il vantaggio di un’emoglobina che rilasci solo


circa il 50% dell’O2 trasportato?
Rilasciare più ossigeno di quello che viene effettivamente utilizzato favorirebbe la generazione di radicali
liberi (stress ossidativo).

Qual è l’importanza fisiologica di una curva di saturazione SIGMOIDE dell’Hb?


La ripidità della curva di saturazione dell’Hb nella regione pO 2 dei capillari indica che l’emoglobina è capace
di modulare il rilascio di ossigeno in funzione delle esigenze di ossigeno del nostro organismo:

- Se stiamo riposando la quantità di ossigeno di cui abbiamo bisogno a livello circolatorio è bassa in
quanto il metabolismo cellulare è spento.
- Se invece stiamo svolgendo un’attività fisica abbiamo un’attività metabolica molto più elevata e
quindi abbiamo bisogno di più ossigeno.

La ripida crescita della curva sigmoidale indica che variando di poco la pressione parziale dell’ossigeno
avremo cambi significativi del grado di saturazione e quindi del rilascio di ossigeno.

Quali sono le basi molecolari di una tale differente “affinità” di legame con l’O2 della Mio e Hb?
1. Riduzione del raggio atomico del ferro:
- Quando il ferro non è legato a O 2 ha un raggio più grande:
eme/Fe distorto
- Quando il ferro è legato a O2 il raggio è ridotto: eme/Fe planare

2. Ripercussioni sulla componente proteica:


Il ferro spostandosi, in seguito al legame con l’O 2 trascina anche
la globina a cui è legato grazie alla His prossimale.
Il trascinamento comporta deformazione della struttura terziaria della globina ovvero la rottura di
ponti H e legami tra gruppi R di amminoacidi (anche se poi nella nuova conformazione di
formeranno nuove interazioni).

Quindi il legame con l’ossigeno sarà tanto più favorito quanto


minore sarà la resistenza al trascinamento della catena globinica.

 La resistenza è molto maggiore per Hb per la presenza della


struttura quaternaria, dove la deformazione di una globina
comporterà la rottura di ponti salini intercatena e
deformazione delle altre globine.
Rottura e slittamento dei ponti salini →

PROTEINE ALLOSTERICHE
L’emoglobina può esistere in due diverse conformazioni, ovvero nello stato T e nello stato R. Queste due
conformazioni sono attribuibili a due diversi stadi dell’emoglobina. L’ossigeno si lega a entrambi gli stati
dell’emoglobina, ma ha un’affinità maggiore per lo stato R (il legame con l’ossigeno stabilizza lo stato R). In
particolare lo stato T (teso) sarà la configurazione in cui si troverà maggiormente la deossiemoglobina,
ovvero quando l’emoglobina non lega l’ossigeno o sono legate pochissime molecole di ossigeno; il legame
con l’ossigeno a una delle subunità nello stato T dell’emoglobina innesca una variazione conformazionale,
che converte la subunità nello stato R (rilassato). La transizione non modifica le strutture delle singole
subunità, ma i dimeri α1β1 e i dimeri α2β2 scivolano l’uno rispetto all’altro, e ruotano di 15° restringendo
così la tasca tra le subunità β. Durante questo processo alcuni legami ionici che stabilizzano lo stato T si
spezzano e se ne formano altri, la transizione T-R viene innescata da cambiamenti della posizione dei
residui amminoacidici che circondano l’eme. Nello stato T la porfirina ha una forma a cupola e pertanto il
ferro all’interno dell’eme tende a
protudere dal lato dell’istidina
prossimale. Il legame dell’ossigeno
costringe l’eme ad assumere una
confomazione più planare, modificando
la posizione dell’His prossimale e
dell’elica F a essa legata. Queste
modificazioni conducono a un
riposizionamento delle coppie ioniche
nell’interfaccia α1β1.

Per trasportare l’ossigeno, una molecola deve possedere un’elevata affinità per l’ossigeno nei polmoni,
dove la pO2 del gas è di circa 13,3 kPa, e avere una scarsa affinità invece nei tessuti (pO2 4kPa), dove verrà
rilasciato. Una proteina con un’elevata affinità si saturerà facilmente nei polmoni, ma non libererà
altrettanto facilmente ossigeno ai tessuti; se invece la proteina in questione ha una scarsa affinità per
l’ossigeno, riuscirà a rilasciarlo ai tessuti, ma non a saturarsi a livello dei polmoni. L’emoglobina risolve
questo tipo di problema, tramite la transizione dallo stato T, che rappresenta una conformazione a bassa
affinità per l’ossigeno, ad uno stato R, che rappresenta una conformazione ad elevata affinità. Il risultato di
questa transizione è una curva di legame dell’ossigeno ad andamento sigmoide. In particolare:

Il legame dell’ossigeno a una delle subunità dell’emoglobina può modificare l’affinità per l’O 2 delle subunità
adiacenti. La prima molecola di O2 che interagisce con la deossiemoglobina si lega debolmente, perché si
lega a una subunità nello stato T. Questo legame determina però una modificazione conformazionale che
viene comunicata alle subunità adiacenti, rendendo più facile l‘interazione con le altre molecole di
ossigeno. Dopo che l’ossigeno si è legato alla prima subunità, la transizione T-R rende più facile il legame di
una seconda molecola di ossigeno. L’ultima (quarta) molecola di ossigeno si lega a un gruppo eme di una
subunità che è ormai nello stato R e quindi presenta la massima affinità per il suo ligando.

Nella stabilizzazione di queste forme, prendono parte amminoacidi che sono presenti nella catena β,
mentre la catena α non è quasi mai impegnata nella stabilizzazione di queste forme. Nella maggior parte
dell’emoglobine patologiche, troviamo mutazioni sulla catena β, responsabili della formazione di ponti
salini che stabilizzano lo stato di transizione dallo stato T allo stato R.

Una proteina che possiede diversi siti di legame ben distinti tra di loro, in cui il legame di un ligando ad un
sito modifica le proprietà di un altro sito presente nella stessa molecola proteica è definita proteina
allosterica. Le proteine allosteriche possono avere diverse conformazioni, le quali sono indotte da ligandi
che modificano le proprietà di queste molecole e per questo motivo vengono definiti effettori allosterici,
poiché vanno a modulare l’attività della proteina allosterica. Nell’emoglobina un effettore allosterico è
l’ossigeno, poiché è un ligando specifico della molecola. Il legame dell’ossigeno con l’emoglobina è
un’interazione omotropica, dove l’effettore allosterico ha la capacità di modulare le proprietà della nostra
proteina allosterica. Quando invece, sulla stessa proteina in questo caso l’emoglobina, si legano altre
molecole diverse dall’ossigeno, che inducono ad una modifica funzionale della proteina allosterica,
l’interazione viene definita eterotropica. Quindi:

- Quando il normale ligando di una proteina allosterica è anche un modulatore, l’interazione viene
definita omotropica;
- Se invece il modulatore è una molecola diversa dal ligando normale, l’interazione viene definita
eterotropica.

Il legame cooperativo di un ligando a una proteina mltimerica modifica l’affinità degli altri siti ancora vuoti e
l’ossigeno in questo caso può essere consderato sia un ligando normale, sia un modulatore omotropico.

L’effetto allosterico che dà origine alla cooperatività è dovuto alle modificazioni conformazionali tasmesse
da una subunità a un’altra mediante interazioni subunità-subunità. Questo fenomeno consente una risposta
molto più sensibile alle variazioni nella concentrazione dell’ossigeno.

Modelli proposti per la transizione T -- R


Esistono due modelli che spiegano la transizione dell’emoglobina da uno stato T ad uno stato R; entrambi
sono modelli validi, uno più applicabile dell’altro a seconda delle condizioni. I due meccanismi sono:

- Modello sequenziale, proposto da Koshland: il legame del ligando induce una variazione
conformazionale in una singola subunità, che a sua volta induce una variazione simile in una subunità
adiacente, rendendo più probabile il legame di una seconda molecola di ligando. Questo modello
prevede l’esistenza di più stati intermedi rispetto al modello concertato.
- Modello concertato (simmetrico) o modello MWC, proposto da Monnod, Wyman e Changeux i quali
affermano che non esiste una sequenzialità, ma che in ogni momento l’emoglobina esiste in due
conformazioni che sono in rapido equilibrio tra di loro, quindi abbiamo sempre lo stato T in equilibrio
con lo stato R, equilibrio che si può spostare a seconda delle variazioni delle pressioni parziali.

I due modelli non si escludono a vicenda.

Modello sequenziale (Koshland)


Partiamo dall’emoglobina nella forma T, e quindi deossigenata, o con poche molecole di ossigeno legate a
livello dell’eme. Quando si pongono le condizioni affinché una subunità riesce a legare l’ossigeno, questo
legame tra l’ossigeno e l’eme induce un cambiamento conformazionale prima della subunità che è
coinvolta nel legame con l’ossigeno, e poi nelle altre subunità. La variazione conformazionale favorisce il
legame con l’ossigeno alla successiva subunità. La continua variazione di conformazioni e legami con le
molecole di ossigeno porta ad una completa ossigenazione dell’emoglobina, ottenendo una saturazione
sequenziale, e la transizione dalla forma T alla forma R. La forma R è molto più affine all’ossigeno, circa 250
volte in più rispetto alla forma T, e per fare in modo che l’emoglobina rilasci ossigeno ai tessuti deve
ritornare nella conformazione T, ovvero nella forma meno affine all’ossigeno. Ricapitolando possiamo dire
che esiste una cooperatività tra le subunità, e nel passaggio dalla forma T alla forma R, la cooperatività
aumenta e una volta ottenuta la forma R, questa è la conformazione completamente o quasi ossigenata, e
comunque esiste sempre un equilibrio, così come nell’altro modello, tra la forma T e la forma R. La
cooperatività tra le subunità può essere positiva o negativa.

Modello simmetrico (concertato o MWC)


Con questo modello si assume che esistono soltanto due strutture quaternarie, che differiscono per
disposizione spaziale, una forma T in equilibrio con la forma R. La molecola di ossigeno si lega sia allo stato
T che allo stato R, ma si lega allo stato R con un’affinità superiore. Per tanto quantità crescenti di O 2
favoriscono lo stato R dell’emoglobina, caratterizzato da maggiore affinità. Ciò che sposta l’equilibrio tra la
forma T alla forma R è la pressione parziale dell’ossigeno: quando la pressione parziale dell’ossigeno è
bassa prevale la forma T (tesa), man mano che la pressione parziale dell’ossigeno aumenta, la costante di
associazione aumenta e ciò favorisce la transizione dalla forma T alla forma R, fino ad arrivare nelle
condizioni di pressione parziale di ossigeno dove la forma R (rilassata) prevale sulla forma T. Quindi
l’aumento della disponibilità di ossigeno determina un aumento dell’affinità dell’emoglobina per
l’ossigeno. Nonostante possa una forma prevalere sull’altra a seconda delle condizioni di pressione parziale
di ossigeno, tra le due forme c’è comunque un equilibrio che può essere spostato maggiormente verso una
forma o nell’altra.
Questo è ciò che accade nel nostro organismo, difatti nei polmoni la pressione parziale dell’ossigeno è
molto alta, quindi avremo una prevalenza di forma R, ovvero la conformazione più affine all’ossigeno;
quando viene immessa nel torrente circolatorio, la pressione parziale di ossigeno diminuisce, prevale la
forma T che cede l’ossigeno poiché poco affine ad esso, ossigeno che viene utilizzato dal metabolismo
cellulare. Il legame con l’ossigeno è il responsabile dell’aspetto
sigmoide della curva di saturazione /rilascio dell’emoglobina:

Effettori eterotropici
Gli effetti eterotropici sono causati da molecole che possono legarsi ad una proteina allosterica,
modificandone le funzioni. Parliamo di allosteria eterotropica quando valutiamo il ruolo che molecole
diverse, attivatori o inibitori, possono avere nel legame dell’ossigeno all’eme. Esistono diversi effettori
eterotropici, possono essere:

-effettori eterotropici che inducono una risposta adattativa a breve termine;

-effettori eterotropici che invece inducono una risposta particolare in condizioni estreme in cui un
organismo può venirsi a trovare: sopravvivenza fetale e risposta adattativa elle altitudini.

Risposta adattativa a breve termine


Le necessità di ossigeno nel corso della giornata sono differenti.
Come fa l'organismo a capire qual è il momento in cui va rilasciato più ossigeno? Attraverso una serie di
segnali chimici chiamati segnali metabolici.

I segnali metabolici che riducono l’affinità dell’ossigeno per l’emoglobina sono:

 Riduzione del pH: Durante l’attività metabolica vengono prodotte delle sostanze come l’acido lattico
che ovviamente essendo acido abbassa il pH della cellula o del sangue. Il pH abbassato è un segnale di
allosterismo eterotropico e va ad agire sul sito di legame dell’ossigeno per l’emoglobina.
 Concentrazione di C O 2: quando aumenta il metabolismo cellulare, la concentrazione di anidride
carbonica nelle cellule, soprattutto nei globuli rossi, aumenta.

La CO2, prodotta nei mitocondri dall’ossidazione delle sostanze nutrienti, viene idratata in forma
bicarbonato:

Questa reazione è catalizzata dall’anidrasi carbonica.

L’idratazione della CO2 determina un aumento della concentrazione di ioni H+, questo determina una
diminuzione del pH che riduce l’affinità dell’ossigeno per l’emoglobina, quindi l’ossigeno viene ceduto e va
a compensare la necessità dell’organismo. In particolare:
- Nelle condizioni di pH relativamente basso e di elevata concentrazione di CO 2 presenti nei tessuti
periferici, l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno diminuisce man mano che H + e CO2 si legano e O2 è
rilasciato nei tessuti.
- Al contrario, nei capillari dei polmoni la CO2 viene eliminata e si ha un incremento del pH del sangue;
l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno aumenta e la proteina può legare più ossigeno da trasportare ai
tessuti periferici.

Questo effetto del pH e della concentrazione di CO 2 sul legame e sul rilascio dell’ossigeno dall’emoglobina è
detto effetto Bohr. Entrambe queste due condizioni vanno a ridurre l’affinità dell’emoglobina per
l’ossigeno, e quindi quando abbiamo valori di pH più bassi l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno
diminuisce.

Ossigeno e H+ non si legano allo stesso sito sull’emoglobina:

L’ossigeno si lega agli ioni ferrosi dei gruppi eme, mentre lo ione H+ può legarsi alle catene laterali di
diversi residui amminoacidici della proteina. Il principale contributo all’effetto Bohr è dato dal’His146 delle
subunità beta. Quando sono protonati, questi residui formano una coppia ionica (ponte salino) con
l’Asp94, che stabilizza ulteriormente la deossiemoglobina nello stato T, bloccando l’emoglobina in questa
conformazione e favorendo il rilascio di ossigeno.

La CO2 fa questo grazie una modulazione indiretta, ovvero attraverso l’abbassamento del pH dovuto alla
produzione di protoni provenienti dalla sua idratazione.

Tuttavia può regolare il rilascio di O2 anche attraverso una modulazione diretta:

La CO2 favorisce il rilascio di O 2 stabilendo un ponte salino alle estremità -N terminali di ciascuna catena
globinica, si genera in questo modo carbamminoemoglobina:

Questa reazione produce protoni che abbassano il pH e contribuiscono a determinare l’effetto Bohr.

I carbammati che si formano sull’emoglobina generano ponti salini, che stabilizzano ulteriormente lo stato
T e favoriscono il rilascio di ossigeno.

Quando la concentrazione di anidride carbonica è alta, come nei tessuti periferici, alcune molecole di
anidride carbonica si legano all’emoglobina, diminuendone l’affinità per l’ossigeno e determinando il suo
rilascio. Viceversa, quando l’emoglobina raggiunge i polmoni, l’elevata concentrazione di ossigeno
determina il legame dell’O2 e il distacco della CO2.
Sopravvivenza fetale e risposta adattativa alle altitudini
L’interazione del 2,3 bis-fosfoglicerato (BPG) con le molecole di emoglobina regola ulteriormente la
funzione dell’emoglobina.

Il 2,3 bis-fosfoglicerato è prodotto per una deviazione


della glicolisi infatti durante il processo di catalisi del
glucosio si produce l’1,3 bis fosfoglicerato. Tuttavia
questo può subire un’isomerizzazione e formare il 2,3
bis-fosfoglicerato, composto fortemente anionico che
tende a reagire con le cariche positive presenti nella
cavità tra le subunità β nello stato T, stabilizzandolo.
Nello specifico reagisce con le catene laterali degli
amminoacidi che si affacciano nella cavità centrale
della proteina. Ciò permette la stabilizzazione della
forma T dell’emoglobina e quindi il rilascio di ossigeno, in particolare fa in modo che la transizione dalla
forma T alla forma R sia molto più lenta.

La regolazione del legame dell’ossigeno all’emoglobina operata dal BPG ha una funzione essenziale nello
sviluppo fetale. Dato che il feto deve ottenere l’ossigeno dal sangue materno, l’emoglobina fetale deve
avere un’affinità per l’O2 superiore a quella dell’emoglobina materna. In particolare nei feti, anziché
subunità beta sono prodotte subunità γ.

Qual è la sua importanza in questo processo? Il 2,3-difosfoglicerato lega le catene laterali cariche
positivamente degli amminoacidi stabilizzando la forma T, meno affine all’ossigeno. Gli amminoacidi che
legano il 2,3-difosfoglicerato sono quelli presenti sulla catena β. Ma come ben sappiamo l'emoglobina
fetale non ha la catena β perché al posto di quest'ultima ha la catena γ, per cui il 2,3-difosfloglicerato non
può legare la catena γ. Di conseguenza l'emoglobina fetale, non potendo permettere il legame tra il 2,3-
difosfoglicerato con le cariche positive, risulta avere un'affinità maggiore di quella materna per l’ossigeno.
E’ un aspetto fondamentale perché garantisce al feto la giusta quantità di ossigeno per svilupparsi e
svolgere tutte le attività necessarie per la sua crescita. Bisogna inoltre osservare questo altro aspetto: nella
catena γ è presente un’istidina in posizione 143 (al posto dell’istidina presente nella catena beta) che
diminuisce l'efficacia di legame del 2,3-difosfoglicerato per questa catena. L’ossigenazione del feto è anche
garantita da uno scarso effetto Bohr in quanto sulla subunità gamma mancano gli amminoacidi che
possono interagire con gli H+, questo determina una maggiore affinità dell’emoglobina per l’ossigeno.

 Ricapitolando, possiamo dire che l’emoglobina fetale ha una maggiore affinità verso l’ossigeno
perché l’effettore allosterico eterotropico non può agire sulla subunità γ, poiché sulla subunità
gammma c’è una variazione di un ammoinoacido, che impedisce il legame con il 2,3-
difosfoglicerato. Inoltre c’è uno scarso effetto Bohr poiché sulla subunità γ non ci sono gli
amminoacidi che interagiscono con i protoni.

Rappresentata la curva dell’emoglobina fetale F e


dell’emoglobina adulta A. Notiamo che
l’emoglobina F è spostata verso destra rispetto
l’emoglobina A; ciò è indice della maggiore
affinità per l’ossigeno rispetto l’adulta.
Deduciamo che a parità di pressione parziale di
ossigeno, l'emoglobina fetale è capace di legare
con maggiore efficienza l'ossigeno, cosa che non
succede nell'emoglobina adulta.
Il BPG svolge anche una funzione importante nell’adattamento fisiologico alla bassa pO 2 che si riscontra a
quote elevate.

Quando siamo ad altitudini elevate succedono due cose:

- Abbassamento della temperatura che causano la saturazione


dell'emoglobina; in particolare, al diminuire della temperatura,
aumenta l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno, c’è meno
ossigeno nei tessuti;
- Diminuisce la solubilità di O2.

In particolare a livello del mare, in un soggetto sano il legame


dell’ossigeno all’emoglobina è regolato in modo che l’O 2 trasferito
ai tessuti sia circa del 40% della quantità totale di gas che il sangue
può trasportare. Se una persona viene portata rapidamente su una
montagna a 4500m dove la pressione di ossigeno è molto più bassa, il trasferimento di ossigeno ai tessuti si
riduce.

L'adattamento alle altitudini elevate (maggiori di 3000m) avviene mediante un aumento della sintesi del
difosfoglicerato:

Alcune ore più tardi la concentrazione di BPG nel sangue della persona comincia ad aumentare, generando
una diminuzione dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno. Di conseguenza il trasferimento di ossigeno ai
tessuti aumenta e torna ad essere circa il 40% della quantità totale di gas che il sangue può trasportare.

Inoltre aumenta il numero dei globuli rossi e a sua volta aumenta anche la sintesi di emoglobina.

Riducendo l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno, aumentiamo la quantità di ossigeno rilasciato e


presente nei tessuti.

AVVELENAMENTO DA CO

L’ossigeno non è l’unico gas capace di legarsi all’emoglobina, la tasca dell’eme può
accogliere anche altre piccole molecole, tra cui il monossido di carbonio. Il CO ha
un’affinità per l’emoglobina circa 250 volte maggiore rispetto all’ossigeno (CO e Fe 2+
sono perfettamente allineati), ciò significa che anche basse concentrazioni di monossido
di carbonio si legano con un’elevata efficienza all’emoglobina. L’emoglobina legata al
monossido di carbonio si chiama carbossi–emoglobina. In particolare il monossido di
carbonio CO lega con alta affinità il F e +2 dell’eme bloccando i siti di legame per
l’ossigeno nell’emoglobina rendendola non funzionale. Quindi quando il monossido di
carbonio è presente nell’ambiente circostante si lega all’eme sostituendosi all’ossigeno.
Inoltre il legame del CO all’emoglobina influenza anche l’affinità delle rimanenti
subunità di emoglobina per l’ossigeno. Non appena il CO si lega a una o due subunità
del tetramero dell’emoglobina, l’affinità per l’O 2 delle restanti subunità aumenta notevolmente,
l’emoglobina lega in modo più efficace l’ossigeno nei polmoni ma, ne rilascia molto poco a livello dei tessuti
proprio a causa della maggiore affinità.
Alterazione non genetica : l’Emoglobinopatia
L’emoglobina sintetizzata in modo errato produce forme patologiche che prendono il nome di
emoglobinopatie. Le condizioni che possono generare questa patologia possono essere genetiche o non.
Ambedue possono dare luogo ad emoglobine con diversa struttura e quindi con una capacità di legare
l’ossigeno poco efficicente o addirittura completamente inefficiente.

 Alterazioni dell’emoglobina non genetiche: danni ossidativi, glicazione, etc.


 Alterazioni dell’emoglobina genetiche: anemia falciforma, talassemia, etc.

Un esempio di emoglobina che non è capace di legare l’ossigeno è l’emoglobina che ha al centro dell’eme
lo ione ferrico anziché lo ione ferroso. Quando abbiamo descritto la struttura dell’eme abbiamo detto che
l’unico stato di ossidazione in cui il ferro riesce a legare l’ossigeno è quello 2+, ione ferroso. Quando si
trasforma in ione ferrico non è più in grado di legare l’ossigeno e questo succede nella metaemoglobina. Lo
ione ferrico viene prodotto all’interno della cellula quando ci sono delle condizioni ossidanti tali da
permettere l’ossidazione del ferro. Se l’ambiente intracellulare altera il suo stadio di ossidazione, non
abbiamo solo una ripercussione sull’emoglobina ma possiamo avere una ripercussione anche sulla
formazione dei ponti di solfuro. L’assenza della formazione dei ponti di solfuro riduce la flessibilità della
proteina, e una proteina poco flessibile non sarà in grado di rispondere in maniera ottimale agli effettori
allosterici, la proteina sarà più rigida.

I danni ossidativi possono essere pericolosi per l’emoglobina, possono indurre:

 L’ossidazione del F e +2; quindi la formazione di metaemoglobina, in cui il ferro è ossidato ( F e +3) e non
è in grado di legare l’ossigeno.
 Ossidazione delle cisteine con ponti di solfuro; riduciamo la flessibilità della proteina che quindi si
irrigidisce e sarà quindi incapace di rispondere agli effettori allosterici.
 Altri danni ossidativi

Alterazione non genetica: La glicazione


Una seconda condizione estremamente delicata per l’emoglobina è la GLICAZIONE. L’emoglobina non è
una glicoproteina perché sono glicoproteine quelle proteine che oltre allo scheletro carbonioso
(amminoacidi con le catene laterali) portano legati dei residui saccaridici. Per tale motivo l’emoglobina non
è una glicoproteina, tuttavia in particolari condizioni ossidative all’interno della cellula o una
concentrazione estremamente elevata nella cellula, all’emoglobina vengono addizionati dei residui di
glucosio. L’emoglobina glicata rappresenta il prodotto di una reazione NON enzimatica tra una molecola di
glucosio e il gruppo NH2 della valina della catena beta dell’emoglobina. Come si può notare viene usato il
termine glicata non glicosilata, non è casuale l’uso di termini diversi. La glicosilazione è una modificazione
post traduzionale localizzata in alcuni distretti cellulari che richiedono enzimi particolari. La glicosilazione
delle proteine avviene nelle persone diabetiche perché il glucosio non riesce ad essere internalizzato nella
cellula e spesso anche l’insulina risulta insufficiente per svolgere la sua funzione in modo efficace. Si verifica
un aumento ematico di glucosio. Il termine glicata, invece, fa riferimento all’addizione del glucosio senza
richiesta di enzimi. Il termine glicata non è associato a persone diabetiche, indica semplicemente che c’è il
glucosio legato all’emoglobina. La glicazione porta alla formazione di emoglobine anomale che dipendono
da particolari condizioni metaboliche nella cellula.

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