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Si prepara una soluzione (250 o 500 ml) pesando accuratamente il campione in esame.
1.Si prelevano 25 ml con pipetta tarata e si effettua la titolazione con HCl a titolo noto utilizzando rosso
metile come indicatore.
In questo modo si titola l'alcalinità totale della soluzione proveniente dagli idrossidi e dai carbonati.
Gli equivalenti di acido saranno dunque uguali alla somma degli equivalenti di idrossido e di
carbonato.
2. Una seconda porzione di 25 ml viene riscaldata a 70 °C e viene aggiunto un eccesso di BaCl2 al 10% in
questo modo si precipita il carbonato presente come carbonato di bario.
Si raffredda la soluzione e senza filtrare si aggiungono tre gocce di fenolftaleina e si titola lentamente con
HCl fino al viraggio.
Con questa seconda titolazione sono stati neutralizzati solo gli alcali provenienti dall'idrossido e quindi gli
equivalenti di acido corrispondono all'idrossido presente.
Per differenza tra la prima e la seconda titolazione si otterranno gli equivalenti di acido
corrispondenti al carbonato presente.
Si prepara una soluzione simile al metodo precedente e si prelevano con pipetta tarata 25 ml.
1. Si aggiungono due gocce di fenolftaleina e si titola con HCl a titolo noto fino al viraggio.
Si sono verificate le seguenti reazioni:
OH- + H3O+ → 2 H2O reazione dell’idrossido
CO32- + H3O+ → HCO3- + H2O reazione del carbonato
Indichiamo con V1 il volume di HCl aggiunto.
1. Si prepara accuratamente una soluzione del campione in esame, si prelevano 25 ml e si titolano con HCl
in presenza di fenolftaleina. Questo primo viraggio corrisponde alla neutralizzazione dei carbonati
presenti che sono stati trasformati in bicarbonati secondo la reazione: CO32- + H3O+ → HCO3- + H2O
2. Si aggiunge rosso metile (o metilarancio) e si completa fino a nuovo viraggio. Tutti i bicarbonati sono
quindi titolati secondo la reazione: HCO3- + H3O+ → CO2 + 2H2O
La quantità di carbonati presenti sarà calcolata conoscendo il volume (V1) di acido 0,100 M aggiunto al
primo viraggio possiamo scrivere:
(V2 · 0,100) - (V1 · 0,100) = mmoli di acido corrispondenti al bicarbonato presente (derivante dalla
titolazione precedente che quelli già presenti nel campione)
Possono verificarsi due diverse situazioni che ci permettono di individuare il tipo di miscela che stiamo
analizzando:
1) V1 è maggiore di V2
2) V1 è minore di V2
Nel primo caso la miscela sarà costituita da OH - (idrossido) + CO32- (carbonato) mentre nel secondo da HCO 3-
(bicarbonato) + CO32- (carbonato).
V1>V2
Se sono presenti contemporaneamente OH- + CO32- essi verranno titolati contemporaneamente e il
punto di equivalenza sarà letto dalla fenolftaleina, mentre il metilarancio virerà quando l’HCO3-
derivante dalla neutralizzazione del carbonato sarà convertito in acido carbonico.
Ne consegue che il primo volume sarà maggiore poiché è necessario a neutralizzare entrambi gli
anioni, mentre il secondo volume è necessario solo per la titolazione del bicarbonato derivante
dalla prima neutralizzazione del carbonato.
Per conoscere la concentrazione di OH- si deve sottrarre V2 da V1 in modo da non considerare la
quota dei carbonati (che è stechiometricamente uguale ai bicarbonati neutralizzati con V 2).
V2>V1
Quando il secondo volume è maggiore del primo, invece, la miscela sarà composta da HCO3- + CO32-
poiché il primo volume servirà solo per la titolazione del carbonato, mentre il secondo sarà
necessario per convertire in acido carbonico il bicarbonato presente nella miscela più quella quota
di bicarbonato derivante dalla prima titolazione del carbonato.
Quando viene considerato il secondo volume questo è sempre relativo alla differenza tra V2 e V1,
poiché devo sottrarre l’aliquota di bicarbonato derivante dalla prima neutralizzazione.
Vari impieghi:
DETERMINAZIONE ALCALIMETRICHE-DIRETTE
L’aspirina è un analgesico e un antipiretico contenente acido acetilsalicilico o (ASA) il cui nome IUPAC è
acido 2- (acetilossi)benzoico avente peso molecolare di 180.2 g/mol.
Osservazioni: Le due titolazioni erano richieste per svelare la presenza di impurezze (acido salicilico oppure
anidride acetica);
Da quanto detto per l ’ ASA si deduce che un estere può essere determinato mediante una retrotitolazione
di tipo alcalimetrico. Alcuni esempi sono i seguenti:
Per ogni monomero di acido lattico, sia libero che incorporato nel polimero, viene consumato uno ione OH -
Determinazione Ammoniaca
[PM (17.03 g mol-1) = PE]
Soluzione concentrata contenente non meno del 27% e non più del 30% (p/v).
É una base debole (Kb = 1,8 10-5).
Un campione diluito con acqua si titola con H2SO4 a titolo noto in presenza di metilarancio.
DETERMINAZIONE ACIDIMETRICHE-INDIRETTE
Determinazione dell’efedrina
[PM (165.2 g mol-1 ) = PE; pKa = 9.5]
Si scioglie in alcol, si aggiunge un eccesso noto di HCl, e si
determina per retrotitolazione dell’eccesso di HCl con NaOH in
presenza di rossometile.
Questo semplice procedimento può essere usato per dosare
anche molte altre basi organiche.
In alcuni casi è prevista la retrotitolazione di una base che è stata precedentemente ottenuta mediante
distillazione o estrazione dal farmaco originario.
Determinazione dell’amfetamina
[PM (184.2 g mol-1 ) = 2 PE]
-Si tratta la sostanza pesata con H2O e NaOH
concentrato,
-Si raccoglie l’amfetamina base che distilla in volume
misurato di HCl a titolo noto (salifica la base organica)
-l’eccesso di HCl si retrotitola con NaOH. Indicatore rosso-metile.
Nel campo dell’analisi elementare, ricordiamo il metodo Kjeldhal per la determinazione del contenuto
proteico dei cereali, delle carni e di altri prodotti biologici. Ovvero permette di determinare il contenuto in
azoto di sostanze organiche e inorganiche.
1. Mineralizzazione (o digestione)
2. Distillazione dell'ammoniaca
3. Determinazione quantitativa dell'ammoniaca prodotta
- il campione viene riscaldato tramite piastra riscaldante ad alta temperatura dopo essere stato
miscelato con acido solforico concentrato al 96%-98% e l’aggiunta di Na 2SO4 o K2SO4 e di un
catalizzatore.
Il campione quindi viene decomposto in acido solforico (H2SO4) concentrato bollente per
mineralizzarlo (trasformare sostanze organiche in sostanze inorganiche) e trasformare l’azoto
nello ione NH4+
Questo processo trasforma tutto il materiale organico in anidride carbonica e acqua (carbonio e
idrogeno sono trasformati in CO2 e H2O, quest'ultima ad alta temperatura evapora), tutti i sali in
solfati (spostati dall'acido solforico) e tutto l'azoto proteico (-NH 2) presente in solfato di ammonio
((NH4)2SO4).
I gruppi nitro e azo sono trasformati in N2 o NOx, e quindi possono essere persi ai fini del bilancio
dell’azoto elementare. Il problema può essere ridotto trattando il campione con acido solforico
contenente riducenti quali l’acido salicilico ed il tiosolfato di sodio;
- la soluzione viene raffreddata, diluita e resa basica (NaOH). In questo modo l'acido solforico in
eccesso viene neutralizzato (con soluzione concentrata di idrossido di sodio (30-50% P/V); a questo
punto si aggiunge un eccesso di alcali per spostare l'equilibrio da ioni ammonio ad ammoniaca
libera (NH3)
- l’ammoniaca liberata viene distillata, raccolta in una soluzione acida a titolo noto e determinata
mediante una titolazione di neutralizzazione;
- una volta trovato il contenuto di azoto all’interno dei campioni attraverso opportuni valori di
conversione si ottiene il valore in percentuale delle sostanze proteiche presenti nel campione.
Apparecchiatura
Esistono anche macchinari semiautomatici, dove ad esempio si introduce l'idrossido di sodio manualmente
agendo su una leva, e si titola manualmente con buretta.
Come indicatore viene normalmente usata una miscela di 2 indicatori rosso metile e blu di metilene
quest'ultimo utilizzato come colore interferenziale essendo un indicatore redox.
Si parla di proteine grezze (PG) per indicare che si va a mineralizzare non solo l'azoto dei gruppi amminici
delle proteine ma anche quello ad esempio di molecole come l'urea, ammine e l'azoto ammoniacale (non la
forma nitrico), anche se questi composti rappresentano generalmente una percentuale trascurabile.
1. Sali d’ammonio: vengono convertiti in ammoniaca con base forte, seguita da distillazione.
L’ammoniaca è raccolta e determinata come nel metodo Kjeldahl.
2. Nitrati e nitriti inorganici (NO3-, NO2-): vengono prima ridotti ad ammoniaca con lega di Devarda
(50% Cu, 45% Al, 5% Zn) in ambiente basico. L’ammoniaca distillata è determinata con metodo
Kjeldahl.
La titolazione gravimetrica (Gravimetria: eccesso di reattivo) differisce solo nel fatto che viene
misurata la massa del reagente invece che il suo volume. I metodi gravimetrici sono essenzialmente di
due tipi:
Le titolazioni precipitimetriche sfruttano le reazioni tra ioni che portano alla formazione di un sale poco
solubile.
Come ogni altro tipo di reazione, la formazione di precipitati può essere utilizzata come base per una
titolazione:
Svantaggi:
- Le reazioni che coinvolgono la formazione di precipitati non sono sempre sufficientemente rapide
da permettere il loro uso nelle titolazioni.
- L’eventuale co-precipitazione (precipitazione di una sostanza che non vogliamo titolare) durante la
titolazione pone un limite fondato all’accuratezza dei rapporti stechiometrici.
Queste titolazioni sono eseguite aggiungendo alla soluzione contenente il catione o l'anione in esame una
soluzione titolata che determina la separazione di questo sotto forma di un precipitato insolubile.
Il punto finale della reazione è valutato, come per le reazioni di neutralizzazione esaminate, mediante
indicatori ed il loro impiego può desumersi dalla valutazione delle condizioni di equilibrio che si stabiliscono
durante la titolazione.
EQUILIBRI DI PRECIPITAZIONE
PRODOTTO IONICO (Pi): prodotto delle concentrazioni degli ioni provenienti dalla dissociazione del
composto in soluzione AB ↔ A+ + B-
PRODOTTO DI SOLUBILITA’ (KPS): prodotto delle concentrazioni degli ioni (ciascuna elevata al
proprio coefficiente stechiometrico) provenienti dalla dissociazione del composto in soluzione
satura. Tale quantità è costante, a T costante, per una soluzione satura del composto.
Soluzione satura = soluzione contenente un eccesso di solido non disciolto = di corpo di fondo.
La concentrazione del soluto nella soluzione satura è detta solubilità (s), moli/litro, e rappresenta la
massima concentrazione di uno ione in soluzione. In particolare:
SOLUBILITA’: quantità massima del soluto che si scioglie in un litro di soluzione, ad una certa
temperatura.
COSTANTE DEL PRODOTTO DI SOLUBILITA’ Kps
Quando si è disciolta una quantità sufficiente di sale e si è raggiunto l’equilibrio, si dice che la soluzione è
satura.
La quantità disciolta di un sale insolubile può essere espressa in termini di costante di equilibrio per il
processo di dissoluzione.
La costante di equilibrio che riflette la solubilità di un composto è spesso indicata come costante del
prodotto di solubilità, Kps dove il pedice “ps” indica “prodotto di solubilità”. La solubilità in acqua di un
composto, e quindi il suo valore di Kps, può essere misurata determinando la concentrazione del catione o
dell’anione quando il composto si discioglie.
La costante del prodotto di solubilità, Kps, per un qualsiasi sale ha sempre la forma:
x−¿( aq)¿
y+¿+ y B ¿
A X BY ( s )=x A
K ps =¿ ¿
Per esempio:
N.B: Non confondere la solubilità di un composto con la sua costante del prodotto di solubilità.
I valori di Kps per i sali insolubili possono essere usati per calcolare la solubilità di un sale solido o per
determinare se precipiterà un solido quando vengono mescolate soluzioni del suo catione e del suo anione.
ES:
2s s
K ps =¿ ¿
s=
√ √
K ps 3 6,2 x 10−12
3
4
=
4
=1,16 x 10−4
s s
K ps =¿ ¿
√
s= K ps =¿ √8,7 x 10 =9,3 x 10 ¿
−9 −5
Il valore numerico del prodotto di solubilità, costituisce l'elemento fondamentale per stabilire se una
precipitazione può avvenire e se può essere usata per una determinazione quantitativa:
ES:
Il cloruro d’argento si scioglie molto poco in acqua e pertanto ha un piccolo valore di K ps.
Se una soluzione contiene ioni Ag+ e Cl− in una data concentrazione, precipiterà AgCl dalla soluzione? Cioè
vogliamo sapere se una data miscela di reagenti e prodotti fosse una miscela di equilibrio, se i reagenti
continuassero a formare prodotti o se i prodotti si riconvertissero in reagenti.
Q = [Ag+][Cl-]
Si ricordi che la differenza tra Q e K è che le concentrazioni nell’espressione del quoziente di reazione, Q,
possono coincidere oppure no con quelle all’equilibrio.
Per il caso di un sale poco solubile come AgCl, possiamo raggiungere le seguenti conclusioni:
Quando Q = Kps le concentrazioni degli ioni hanno raggiunto il loro valore massimo.
Usando il quoziente di reazione e la costante del prodotto di solubilità, possiamo decidere (1) se si
formerà un precipitato quando sono note le concentrazioni degli ioni o (2) quali concentrazioni di
ioni sono necessarie perché cominci la precipitazione di un sale insolubile.
Es:
A 200mL di una soluzione acquosa di Na2SO4 (1,0 x 10-5 M) vengono aggiunti 50mL di una soluzione
acquosa di BaCl2 (4,0 x 10-4M). Precipiterà BaSO4? (Kps= 1,08x10-10)
EFFETTO DELLO IONE COMUNE: (La solubilità di un sale può essere influenzata da un’altra specie).
La ionizzazione degli acidi e delle basi deboli è influenzata dalla presenza di uno ione comune (questa
definizione deriva dal fatto che lo ione aggiunto è “comune” alla reazione di ionizzazione dell’acido o della
base) al processo d’equilibrio. In particolare: l’aggiunta di uno ione comune a una soluzione satura di un
sale diminuirà la solubilità del sale, in accordo con il principio di Le Chatelier. Infatti si può osservare che se
viene aumentata la concentrazione di uno ione presente in una soluzione in equilibrio con il precipitato, la
concentrazione dell'altro ione che costituisce il precipitato dovrà diminuire (secondo il principio di Le
Chatelier) perché sia rispettato l'equilibrio, con formazione di una maggiore quantità di solido.
Spesso sfruttato per ridurre la solubilità di un precipitato ed ottenere una precipitazione quantitativa:
Una precipitazione si definisce quantitativa quando la quantità di soluto rimasta in soluzione è <
0.1 mg (limite di sensibilità della bilancia analitica).
Addizionando un eccesso di Ag+ ad una soluzione satura di AgCl [KsAgCl] = 1,1.10-10 dal valore di Ks possiamo
calcolare [Ag+] = [Cl-] circa 10-5 F
Tuttavia un eccesso indiscriminato di un elettrolita in soluzione non porterà ad una maggiore precipitazione,
ma avremo l’effetto contrario. Quindi una soluzione precipitante viene solitamente addizionata con un
leggero eccesso (5% -10%) rispetto alla quantità stechiometrica. Una aggiunta indiscriminata provoca un
aumento della solubilità in luogo di una diminuzione.
Ciò si verifica anche se alla soluzione contenente il precipitato viene aggiunto un elettrolita non avente ioni
in comune con il precipitato stesso. Questo evento è noto come effetto sale e può essere spiegato con le
seguenti motivazioni:
- variazione dell'attività o della concentrazione effettiva degli ioni in soluzione come conseguenza
della variazione della forza ionica della soluzione.
- I sali aggiunti, in particolare ad alta concentrazione, sottraendo molecole di acqua necessaria per la
solvatazione degli ioni, alterano gli equilibri presenti togliendo ogni significato al valore di Ks
EFFETTO DEL pH
Gli effetti dovuti alla concentrazione idrogenionica o ossidrilionica possono essere molteplici:
effetto di ione a comune quando H+ e OH- fanno parte del precipitato: esempio Fe(OH)3
effetto sale, quando viene aggiunto un sale di un acido forte o di una base forte
effetto dovuto all'idrolisi di sali formati da acidi o basi deboli
nel caso di sali di acidi deboli monoprotici e diprotici la solubilità aumenta all'aumentare di Ks,
della concentrazione idrogenionica e al diminuire della Ka dell'acido.
La pendenza della curva di titolazione nell’intorno del punto di equivalenza dipende dal prodotto di
solubilità del sale formatosi.
ARGENTOMETRIA
Il reagente precipitante di gran lunga più utilizzato in precipitometria è il nitrato d’argento AgNO3,
impiegato nella determinazione degli alogenuri, degli anioni di tipo-alogenuro (SCN -, CN-, CNO-), di
mercaptani, acidi grassi e numerosi anioni inorganici bivalenti.
I metodi di titolazione basati sul nitrato d’argento sono talvolta definiti argentometrici.
Le titolazioni di precipitazione sono basate sull’uso del pM (- log[M+]), al posto del pH impiegato
nelle titolazioni acido/base, contro la quantità di titolante aggiunto.
Indicatori utilizzati: rispondono alla variazione di concentrazione di Ag+ e, quindi, normalmente
sulle ordinate viene riportata pAg.
Il caso più semplice è quello delle titolazioni simmetriche di precipitazione, quelle in cui il rapporto
stechiometrico di reazione è 1:1.
Consideriamo la titolazione di 50 mL di una soluzione di cloruri circa 0,1 M con una soluzione di ioni
argento 0,0500 M.
1. Dopo 20.0 ml di AgNO3 0,0500 M aggiunto (Kps(AgCl) = 1,20 ∙ 10-10; pKps= 9,92)
• [Cl-] totale = 4.00/70.0 = 5,70 ∙ 10-2 M (Cl- provenienti dalla solubilità di AgCl è trascurabile)
• Kps=[Ag+][Cl-]
E’ presente AgCl senza eccessi di Cl- ne di Ag+, le [Ag+] e [Cl-] in soluzione derivano solo da AgCl sciolto:
AgClsolido → Ag+ + Cl- [Ag+] [Cl-] = x
PAg = 4.96
4. Dopo 100.05 mL di AgNO3 0,0500 M aggiunto
pAg = 1.90
TITOLAZIONI DIRETTE, che utilizzano una soluzione standard di AgNO3 (metodo di Mohr e metodo
di Fajans)
TITOLAZIONI INDIRETTE, che utilizzano un eccesso noto di una soluzione di AgNO3 ed una
soluzione standard di KCN o NH4CNS come retrotitolanti.
N.B. le titolazioni argentometriche non vanno eseguite a ph fortemente basico, altrimenti avremo una
precipitazione.
IL METODO DI MOHR (K.F. Mohr-1856) titolazione diretta per Br- (bromuri) e Cl- (cloruri) con soluzioni
standard di AgNO3
Durante la titolazione precipita prima il meno solubile (AgCl), dopo il punto di equivalenza l’aggiunta di Ag +
in eccesso fa precipitare Ag2CrO4 di colore rosso mattone.
2 Ag+¿+Cr O 4 ¿
Per la determinazione del punto finale viene utilizzata la formazione di un secondo precipitato (il cromato
di argento) colorato, il quale deve avere una solubilità più grande del precipitato che si forma nella
reazione tra analita e titolante (quindi precipiterà dopo il cloruro di argento).
Un sale solubile (generalmente K2CrO4 al 5%) viene usato come indicatore: la soluzione si colora di giallo.
Quindi vi è una differenza di solubilità tra i due precipitati.
Ag2CrO4 deve iniziare a precipitare esattamente al p.e., quando si ha una soluzione satura di AgCl.
La concentrazione di ioni argento all’equivalenza chimica nella titolazione del cloruro con ioni argento è
data da:
Si può allora calcolare la concentrazione di ioni cromato [CrO42-] necessaria per dare inizio alla
precipitazione del cromato d’argento in queste condizioni può essere calcolata dal prodotto di solubilità
del cromato d’argento:
In linea di principio, dovrebbe essere aggiunta una quantità di ione cromato che dia questa concentrazione
per ottenere la comparsa del precipitato di colore rosso appena oltre il punto equivalente.
Di fatto, però, una concentrazione 6,6 x 10 -3 M di ione cromato, impartisce alla soluzione una colorazione
gialla così intensa da interferire con il cambio di colore al punto finale, e quindi la formazione del cromato
d'argento rosso non è immediata mente osservabile: per questa ragione, generalmente si usano
concentrazioni più basse di ione cromato (2-3 x 10 -3 M), inferiore a quella necessaria per dare inizio alla
precipitazione del cromato di argento al punto equivalente.
Un eccesso di nitrato d'argento, quindi, è necessario prima che la precipitazione abbia inizio. Un eccesso
supplementare del reagente deve anche essere aggiunto per produrre abbastanza cromato d'argento da
essere visibile.
Questi due fattori generano un errore sistematico positivo, nel metodo di Mohr, che diventa significativo
per concentrazioni del reagente inferiori a circa 0,3 M.
1. Una correzione per questo errore può essere apportata facilmente titolando un bianco (stessa
titolazione senza cloruro) costituito da una sospensione di carbonato di calcio (CaCO 3) priva di
cloruro.
2. In alternativa, la
soluzione di nitrato d'argento può essere standardizzata con cloruro di sodio di grado standard
primario usando le stesse condizioni che devono essere adottate nell'analisi. Quest'ultima tecnica
non solo compensa l'eccesso nel consumo di reagente ma anche l'acutezza dell'analista nel rilevare
La titolazione di Mohr deve essere eseguita ad un pH compreso tra 7 e 10 perché lo ione cromato è la base
coniugata dell'acido debole cromico. Di conseguenza, in soluzioni più acide, la concentrazione di ione
cromato è troppo bassa per produrre il precipitato al punto equivalente. Normalmente un pH adatto viene
raggiunto saturando la soluzione dell'analita con idrogeno-carbonato di sodio.
SVANTAGGI:
- I- e SCN-, perché sono fortemente adsorbiti sul precipitato cui danno luogo; AgI inoltre maschera il
colore giallo dell’indicatore;
- Cloruri idrolizzabili, che acidificano l’ambiente, quali quelli di Al 3+, Fe3+, Bi3+, Sn2+, Zn2+ etc.;
- Cationi che danno cromati insolubili , come Pb2+ e Ba2+;
- Gli ioni che danno precipitati con Ag+, come arseniati, ossalati e fosfati debbono essere assenti.
IL METODO DI VOLARD (J. Volard-1874)
Il metodo di Volhard è usato per titolare l’Argento, titolato con tiocianati ed il Fe3+ fa da indicatore.
Precipita:
1) AgX (alogenuro)
2) AgCNS
3) Fe(CNS)2 + (rosso)
In particolare:
Si aggiunge un eccesso noto di AgNO3, e lo ione Ag+ in eccesso è determinato per retrotitolazione con una
soluzione standard di tiocianato (KSCN o NH4SCN).
INDICATORE:
Gli errori sono trascurabili se la concentrazione di Fe 3+ viene mantenuta tra 0,002 e 1,6 M. Una
concentrazione dell’indicatore superiore a 0,2 M impartisce alla soluzione una colorazione tale da rendere
difficile l’individuazione del tiocianato ferrico, a causa del colore giallo di Fe3+. Generalmente si utilizzano
concentrazioni inferiori (circa 0,01 M) di Fe3+.
Questo metodo può essere anche utilizzato con METODO DIRETTO, per la determinazione diretta
degli ioni Ag+ con soluzione standard di SCN-, indicatore allume ferrico: [FeNH4(SO4)2 ∙ 12 H2O]
Il METODO INDIRETTO può essere anche utilizzato per titolare gli alogeni in presenza di ioni carbonato,
ossalato e arseniato, che pure possono precipitare come sali di argento ma a pH neutro.
Queste precipitazioni non sono invece necessarie nel caso di Br-e I-, in quanto sia AgBr che AgI sono meno
solubili di AgSCN.
METODO DIRETTO
Il metodo quindi si basa sul fenomeno dell’adsorbimento superficiale, particolarmente pronunciato nel
caso delle sospensioni colloidali (come AgCl).
Un colloide (o sistema colloidale) è una particolare miscela in cui una sostanza si trova in uno stato
finemente disperso, intermedio tra la soluzione e la dispersione. Questo stato "microeterogeneo" consiste
quindi di due fasi:
Essendo un acido organico debole occorre operare a pH tali per cui il colorante sia
in forma ionica, la FLUORESCEINA è un tipico indicatore ad adsorbimento utile per
la titolazione dello ione cloruro con nitrato d’argento si opera a pH neutro o
debolmente alcalino.
La fluoresceina è un acido debole (Ka = 10 -8); in soluzione è parzialmente dissociata secondo il seguente
equilibrio:
La fluoresceina si dissocia parzialmente in ioni idronio e ioni fluoresceinato, carichi negativamente, che
sono giallo-verdi
Fn- (ione fluoreiscenato) forma con Ag+ un sale poco solubile (fluoresceinato di argento) e molto colorato
(rosso), ma essendo usato come indicatore la sua concentrazione non è mai tale da superare il prodotto di
solubilità.
Prima del P.E a pH neutro: (eccesso di Cl-) iniziamo ad avere adsorbimento di Cloruri.
Nelle prime fasi della titolazione dello ione cloruro con nitrato d’argento, le particelle di cloruro d’argento
colloidale sono cariche negativamente a causa dell’adsorbimento superficiale di ioni cloruro in eccesso. Gli
anioni del colorante sono respinti da questa superficie per repulsione elettrostatica e impartiscono un
colore giallo-verde alla soluzione.
A questo punto le particelle di cloruro d’argento adsorbono fortemente ioni argento e quindi acquisiscono
una carica positiva. Gli anioni fluoresceinato sono ora attratti nello strato di controioni che circonda ogni
particella di cloruro d’argento colloidale (gli ioni argento adsorbiti sul precipitato fissano lo ione
fluoresceinato come ione di bilanciamento). Il risultato netto è la comparsa del colore rosso del
fluoresceinato d’argento nello strato superficiale della soluzione che circonda il solido. E’ importante
sottolineare che la variazione di colore è un processo di adsorbimento (non una precipitazione) poiché il
prodotto di solubilità del fluoresceinato d’argento non viene mai superato.
L’indicatore forma un sale poco solubile con lo ione precipitante ma non precipita perché non viene
raggiunto il Kps però viene adsorbito sulla superficie del colloide modificando il cromoforo.
deve essere di carica opposta a quello dello ione impiegato nella titolazione
deve fungere da "ione di bilanciamento" e non essere fissato in adsorbimento primario
Il precipitato deve essere fortemente disperso, deve adsorbire i suoi stessi ioni (colloidale)
- uso di colloidi protettori (destrina): il poliosaccaride stabilizza il sistema impedendo la
flocculazione.
FLOCCULAZIONE: Processo chimico-fisico conseguente alla coagulazione per il quale le particelle colloidali
presenti in una dispersione si uniscono fra loro per mezzo del riscaldamento o dell'aggiunta di opportune
sostanze (flocculanti), per dare aggregati di dimensione maggiore (flocculi) che si depositano facilmente.
Altri indicatori:
Il nitrato d’argento NON è sostanza madre. Pur essendo ottenibile allo stato puro, i suoi cristalli contengono
sempre acqua, che può essere eliminata a 150 °C.
A tale temperatura, però, il contatto con le sostanze organiche del pulviscolo atmosferico provoca
una riduzione dell’Ag+ ad Ag metallico, con conseguente annerimento della superficie dei cristalli.
Ciò può avvenire anche a temperatura ambiente per azione della luce, seppure molto più
lentamente.
Il tiocianato d’ammonio, o di potassio, NON è sostanza madre perché igroscopico e si standardizza con il
nitrato d’argento precedentemente standardizzato.
REATTIVI: cloruro sodico, nitrato di argento (concentrazione 0,100 M approssimata), cromato di potassio
(indicatore; 5% w/v, MF 194,19 u).
VETRERIA: un essiccatore, una buretta da 25 mL tarata in decimi di mL, navicelle di polipropilene, un beaker,
una pipetta, una spruzzetta di acqua distillata, un imbuto.
1. Pesare esattamente 585 mg di NaCl anidro (MWNaCl = 58,5 g/mol) in una navicella;
Titolazione:
1. Prelevare con la pipetta un volume noto della soluzione di NaCl e trasferirlo in un becker e portare
il volume a circa 50mL;
2. aggiungere nel becker contenente il cloruro sodico 20 gocce (circa 1 mL) della soluzione di
indicatore: la soluzione diventa gialla;
3. avvinare una buretta pulita con la soluzione di nitrato di argento; riempirla e azzerarla (attenzione
alle bolle nel beccuccio);
4. titolare sotto agitazione lenta e costante: la soluzione gialla limpida diventa gialla opaca per
precipitazione del cloruro di argento bianco caseoso
Ag+ + Cl- → AgCl(s) (precipitato bianco caseoso)
anche se dopo ogni aggiunta si può osservare una colorazione fugace rosso mattone dovuta alla
formazione temporanea del cromato di argento
2Ag+ + CrO42- → Ag2CrO4(s) (precitato rosso-mattone)
5. quando il colore rosso mattone dovuto alle tracce di cromato di argento prodotte dopo ogni
aggiunta scompare piuttosto lentamente, la maggior parte del cloruro è precipitata: per arrivare al
punto equivalente aggiungere goccia a goccia altro nitrato fino ad osservare una leggera ma
distinta variazione persistente di colore al giallo scuro o senape (rosso-mattone è troppo!).
6. leggere il volume al punto di arresto a due cifre decimali (VAg, mL) e ripetere la titolazione almeno
tre volte;
7. eventualmente eseguire una titolazione in bianco (come sopra ma senza aggiungere il cloruro
sodico) per sottrarre da VAg il volume necessario per il viraggio dell'indicatore.
Titolazione:
1. Trasferire quantitativamente la soluzione di KBr in una beuta. Portare il volume a circa 50 mL;
2. aggiungere nella beuta contenente il bromuro 2 gocce della soluzione di indicatore fluoresceina: la
soluzione diventa giallo-verde;
3. avvinare una buretta pulita con la soluzione di nitrato di argento precedentemente
standardizzato; riempirla e azzerarla (attenzione alle bolle nel beccuccio);
4. titolare sotto agitazione lenta e costante: la soluzione giallo-verde limpida diventa gialla opaca per
precipitazione del bromuro di argento (giallo pallido)
Ag+ + Br- → AgBr(s) (precipitato caseoso)
5. Il viraggio avviene da giallo-verde a rosa pallido
6. leggere il volume al punto di arresto a due cifre decimali (VAg, ml) e ripetere la titolazione almeno
tre volte.
APPLICAZIONI ARGENTOMETRICHE
IL METODO DI LIEBIG-DENIGES
Una soluzione di un cianuro viene titolata con nitrato d’argento si ha la formazione dello ione complesso
argentocianuro (PECN- = 2PM):
Guardando la Kins e Kps è deducibile che la formazione dell’argentocianuro di argento precipita prima del
punto di equivalenza ed è la fine della titolazione (con conseguente errore in difetto).
Per evitare questo la titolazione viene effettuata in presenza di ammoniaca e di ioduro potassico:
DOSAGGIO ARGENTO
Lo ione Ag+ è presente in vari sali riportati nella FU. Per la determinazione si utilizza il metodo di Volhard.
Argento Nitrato PE = PM = 169,87
L’Argento Proteinato è un principio attivo definito DALL’AIFA come "ex galenico”. È usato principalmente
come antisettico e decongestionante nasale. Benché sia un medicinale da automedicazione, l'utilizzo nei
bambini inferiori ai 3 anni non è autorizzato mentre fino ai 6 anni è necessario consultare il medico.
Il nome commerciale del prodotto o specialità è "Argotone" ma si trova anche con altri nomi.
Svolge un'azione antisettica, antibatterica locale e decongestionante nasale ed è una preparazione argento
proteica che in acqua forma una sospensione colloidale. Deve contenere il 7,5-8,5% di Ag.
Per dosare l’Ag si deve prima distruggere la sostanza organica: un campione pesato viene calcinato; il
residuo si riprende con acido nitrico concentrato, si scalda fino a scomparsa dei vapori nitrosi, si diluisce con
circa 100 ml di acqua e si titola con tiocianato in presenza di allume ferrico ammonico.
Può essere dosato come l’argento in quanto forma un sale poco solubile con il tiocianato.
Dosaggio del mercurio: Un campione pesato viene riscaldato all'ebollizione con polvere di zinco e idrossido
di potassio in acqua deionizzata. Il mercurio si riduce a mercurio metallico e si forma un’amalgama con lo
zinco, che viene filtrata e lavata più volte con acqua. Il residuo viene quindi sciolto in acido nitrico fumante,
che ossida il mercurio metallico, si diluisce con acqua e si titola con una soluzione a titolo noto di KSCN o di
NH4SCN in presenza di allume ferrico. PE = PM/2
Dosaggio del bromo: Un campione pesato viene trattato in una capsula di porcellana con KNO 3, K2CO3,
Na2CO3 e calcinato fino a fusione. Si raffredda, si aggiunge acqua deionizzata, si acidifica con acido nitrico
diluito e si titola il Br- applicando il metodo di Volhard.
✓ Cloruro di potassio
✓ Cloruro di sodio
✓ Cloruro di calcio
✓ Cloruro di magnesio
Per i calcoli, tenendo presente che nella molecola sono presenti tre atomi di cloro, il peso equivalente sarà
uguale ad un terzo del PM = 186.5 (PE=PM/3)
Una quantità del campione in esame perfettamente pesata si scioglie in alcool, si aggiunge un volume noto
di NaOH diluita e si riscalda a bagnomaria per qualche minuto. Si raffredda, si aggiunge HNO 3 diluito e un
volume noto di AgNO3 0.1 N. Quindi, si retrotitola l’eccesso di argento nitrato con ammonio tiocianato in
presenza di allume ferrico ammonico.
GRAVIMETRIA
I metodi gravimetrici sono metodi analitici assoluti e si basano sulla misura della massa. Con il termine
analisi gravimetrica si intende l’insieme delle operazioni atte a separare quantitativamente un particolare
componente (analita) di una miscela (campione), pervenendo alla sua determinazione attraverso la pesata.
Nella precipitazione gravimetrica, l’analita è trasformato in un precipitato scarsamente solubile, tale
precipitato viene poi filtrato, lavato dalle impurità, trasformato con opportuno trattamento termico per
poi pesarlo.
Le reazioni utilizzate nell’analisi gravimetrica sono quelle che portano alla formazione di sali scarsamente
solubili. Il reagente utilizzato deve essere il più possibile selettivo e reagire con l’analita in modo da formare
velocemente un sale:
- Avente solubilità sufficientemente bassa (<0,1mg) da assicurare una precipitazione quantitativa
(COMPLETEZZA) in modo che non avvenga alcuna significativa perdita di analita durante la
filtrazione ed il lavaggio;
- Chimicamente stabile, in modo che non reagisca con i costituenti dell’atmosfera (es: 2AgCl (hv) →
2Ag + Cl2(g), va mantenuto a riparo dalla luce);
- Di composizione nota dopo essiccamento o, eventualmente, calcinazione (es: Fe(OH) 3 + nH2O + ∆ →
Fe2O3 + H2O(g));
- Esente da contaminati (PUREZZA);
- Che possa essere filtrato facilmente (FILTRABILITA’).
COMPLETEZZA
ES: vogliamo precipitare Al3+ come Al(OH)3. Quale concentrazione di OH- è richiesta per rendere quantitativa
la precipitazione dell’alluminio?
Come si fa a capire la concentrazione che deve avere il reattivo precipitante per avere completezza?
Attraverso i calcoli di Kps.
FILTRABILITA’
Una delle condizioni più critiche è la filtrabilità. Cioè le particelle devono avere un diametro
sufficientemente grande da non passare attraverso il filtro. Infatti i precipitati formati da particelle grandi
sono in genere preferibili in un lavoro gravimetrico perché le particelle sono facili da filtrare e da lavare
dalle impurità. Inoltre, tali precipitati sono di solito più puri di quelli finemente suddivisi.
La grandezza delle particelle dei solidi formatisi per precipitazione varia enormemente.
Ad un estremo ci sono le sospensioni colloidali, le cui minuscole particelle sono invisibili ad occhio
nudo (diametro 10-6- 10-4cm). Le particelle colloidali non mostrano nessuna tendenza a depositarsi
da una soluzione, né sono facilmente filtrabili (filtrazione difficile o impossibile);
All’altro estremo ci sono le particelle con dimensioni dell’ordine di decimi di millimetro o più grandi
(diametro 10-1- 10 mm). La temporanea dispersione di tali particelle nella fase liquida viene
chiamata sospensione cristalline. Le particelle di una sospensione cristalline tendono a depositarsi
spontaneamente e sono facilmente filtrate (date le dimensioni >), inoltre hanno una purezza più
elevata dei colloidi.
La grandezza delle particelle di un precipitato è influenzata da variabili sperimentali come la solubilità del
precipitato, la temperatura, le concentrazioni dei reagenti e la velocità con cui i reagenti vengono miscelati.
L’effetto netto di queste variabili può essere spiegato, almeno qualitativamente ammettendo che la
dimensione particellare sia correlata ad una singola proprietà del sistema, detta sovrasaturazione relativa,
espressa dalla formula:
Una soluzione si definisce soprasatura quando la concentrazione del soluto è maggiore della
concentrazione della soluzione satura. I precipitati cominciano a formarsi a partire da soluzioni
soprasature:
Sovrasaturazione = Q –S
dove:
Q = conc. del soluto in soluzione (quoziente solubilità)
S = conc. del soluto in condizioni di equilibrio di una soluzione satura.
Una soluzione sovrasatura è sempre molto instabile
Soluzione satura: soluzione contenente la massima quantità di soluto possibile per quella temperatura
e si osserva la presenza di corpo di fondo.
Soluzione sovrasatura: è instabile perché contiene più soluto di quanto consenta la solubilità.
Una bassa sovrasaturazione favorisce l’accrescimento dei microcristalli già formati piuttosto che la
formazione di nuovi nuclei. Anche l’agitazione e il riscaldamento favoriscono la formazione di cristalli grossi
facilmente filtrabili.
Per accrescere le dimensioni e la filtrabilità delle particelle si deve ridurre Q oppure aumentare S:
Qrel = (Q-S)/S
L’influenza della sovrasaturazione relativa sulle dimensioni delle particelle si può spiegare se ipotizziamo
che i precipitati si formino con due differenti meccanismi: la nucleazione e la crescita della particella.
Infatti la sovrasaturazione regola i meccanismi di precipitazione proprio influenzando la nucleazione e
l’accrescimento dei cristalli di precipitato.
La dimensione particellare di un precipitato appena formato dipende dal meccanismo predominante tra i
due.
Una ulteriore precipitazione quindi comporta una competizione tra una nucleazione aggiuntiva ed una
crescita sui nuclei esistenti (crescita della particella).
L’ACCRESCIMENTO dei nuclei formati è il secondo stadio. Questo avviene per deposizione di altri
ioni provenienti dalla soluzione soprasatura al di sopra del nucleo formatosi.
Anche la velocità di crescita dei nuclei dipende dalla sovrasaturazione, precisamente risulta
direttamente proporzionale al grado di sovrasaturazione, cioè è direttamente proporzionale perché
maggiore è la soprasaturazione maggiore è la velocità di accrescimento.
Analizzando le velocità relative ai 2 processi si comprende perché e come le dimensioni delle particelle di
un ppt dipendano dal grado di soprasaturazione:
In particolare:
Una bassa sovrasaturazione si mantiene aggiungendo il reattivo precipitante goccia a goccia, sotto
agitazione ed in soluzioni diluite. Quando non è possibile, si può far uso di un reattivo che liberi lentamente
il precipitante.
DIGESTIONE
Per quanto riguarda le SOSPENSIONI CRISTALLINE si può migliorare la precipitazione andando a diminuire
la sovrasaturazione relativa del precipitato attraverso temperature elevate in modo da aumentare la
solubilità S, soluzioni diluite per minimizzare Q, e lenta addizione di un reagente di precipitazione con
energico mescolamento. (le ultime due misure minimizzano anche la concentrazione del soluto (Q) ad un
dato istante). Particelle più grandi si possono anche ottenere controllando l’acidità, purchè la solubilità del
precipitato dipenda dal pH.
I precipitati cristallini (diametro > 10 -6m) sono filtrati e purificati più facilmente dei colloidi coagulati. La
dimensione delle singole è controllata più facilmente. Infatti dalla digestione dei precipitati cristallini
spessa da origine ad un filtrato più puro e più filtrabile:
Un colloide (o sistema colloidale) è una particolare miscela in cui una sostanza si trova in uno stato
finemente disperso, intermedio tra la soluzione e la dispersione. Questo stato "microeterogeneo"
consiste quindi di due fasi: una fase costituita da una sostanza di dimensioni microscopiche
(diametro da 88 nm a 1 μm) e una fase continua disperdente.
La filtrazione delle particelle colloidali è molto difficile con metodi ordinari in quanto le particelle passano
attraverso il filtro e lo intasano.
Inoltre le sospensioni colloidali sono stabili perché le particelle sono o tutte cariche positivamente, o tutte
cariche negativamente, e perciò si respingono l’un l’altra, impedendo loro di venire a contatto e di
agglomerarsi formando un precipitato.
Questa carica deriva dai cationi o dagli anioni legati alla superficie delle particelle che favorisce il fenomeno
dell’adsorbimento superficiale: processo mediante il quale gli ioni vengono trattenuti alla superficie di un
solido. L’adsorbimento è presente in tutti tipi di precipitati, ma nei colloidi è particolarmente grave per la
loro elevata superficie specifica. In particolare:
Lo strato superficiale di una particella a contatto con la soluzione ha delle caratteristiche particolari, in
quanto gli ioni che lo costituiscono, sono in grado di esercitare delle forze attrattive.
Di conseguenza la particella esercita più facilmente un adsorbimento specifico nei riguardi di alcuni ioni
presenti in soluzione (per esempio, uno ione argento alla superficie di una particella di cloruro d’argento
possiede una capacità di legame con gli anioni parzialmente insoddisfatta, dovuta alla sua posizione
superficiale. Gli ioni negativi vengono attirati in questa posizione dalle stesse forze che trattengono gli ioni
cloruro nella struttura del cloruro d’argento.); in particolare vengono adsorbiti preferenzialmente quegli
ioni che costituiscono il reticolo cristallino del precipitato.
(Per esempio, quando il cloruro di sodio viene aggiunto per primo ad una soluzione contenente nitrato
d’argento, le particelle colloidali di cloruro d’argento che si formano sono cariche positivamente. Questa
carica è dovuta all’adsorbimento di un po' più degli ioni argento in eccesso nel mezzo. La carica delle
particelle, comunque diventa negativa quando si è aggiunto abbastanza cloruro di sodio da creare un
eccesso di ioni cloruro).
Se una specie ionica viene preferenzialmente adsorbita da una particella colloidale, quest’ultima acquista
la carica della specie ionica adsorbita e quindi tutte le particelle arrivano ad avere la stessa carica. Questo
va sotto il nome di adsorbimento primario.
Ma le particelle elettricamente cariche per adsorbimento primario, attraggono a loro volta ioni di segno
opposto che controbilanciano le cariche dei primi ioni precedentemente adsorbiti (gli ioni cloruro alla
superficie del solido esercitano un’analoga attrazione sui cationi disciolti nel solvente): adsorbimento
secondario.
- Dunque direttamente attaccato alla superficie solida c’è lo strato primario di adsorbimento,
(formato principalmente da ioni argento adsorbiti);
- Intorno alla particella carica c’è uno strato di soluzione, detto strato di contro-ioni, che contiene un
eccesso di ioni negativi (principalmente nitrati).
Gli ioni primariamente adsorbiti e lo strato negativo di contro-ioni costituiscono un doppio strato elettrico
che conferisce stabilità alla sospensione colloidale evitando che le singole particelle si avvicinino l’un l’altra
abbastanza strettamente da agglomerarsi.
Quindi la stabilità del colloide è dovuta proprio all’esistenza del doppio strato dielettrico. Tutte le
particelle arrivano ad avere una carica dello stesso segno, per cui tra esse si stabilisce una forza di
repulsione che impedisce loro di venire a contatto e di agglomerarsi formando un precipitato.
A sinistra è mostrata la struttura
di una particella colloidale di AgCl.
Fenomeno Adsorbimento:
2ario contro-ioni
Se si provoca una riduzione delle forze repulsive tra le particelle, il colloide perde la sua stabilità e si ha la
flocculazione o coagulazione. La coagulazione, nota anche come agglomerazione o flocculazione, è il
processo mediante il quale le particelle colloidali si addensano fino a formare particelle sufficientemente
grandi da precipitare e da poter essere filtrate.
Per promuovere la coagulazione è necessario aggiungere a caldo (il riscaldamento riduce il numero degli
ioni adsorbiti e quindi lo spessore del doppio strato, le particelle possono anche acquisire, a temperature
più elevate, abbastanza energia cinetica da superare l’ostacolo al loro ravvicinamento posto dal doppio
strato) e sotto agitazione, un elettrolita (processo di salatura). La salatura permette di comprimere il
doppio strato elettrico. In particolare:
Le particelle colloidali non riescono ad avvicinarsi a causa della repulsione elettrostatica tra le loro
atmosfere ioniche cariche (negativamente). L’aggiunta di una elevata quantità di ioni permette l’aumento
della concentrazione dei contro-ioni nelle vicinanze di ogni particella, ciò consente una contrazione del
doppio strato ed un maggior avvicinamento delle particelle colloidali, facilitandone l’agglomerazione.
Qualora il precipitato ottenuto mediante coagulazione sia lavato con acqua distillata, che determina la
rimozione dei controioni, (in quanto un po' dell’elettrolita responsabile della sua coagulazione si distacca
dal liquido interno che è a contatto con le particelle solide), si può avere la ridissoluzione o peptizzazione,
dello stesso; processo mediante il quale un colloide coagulato ritorna al suo stato originale disperso.
Infatti la rimozione dei contro-ioni provocano l’aumento del doppio strato dielettrico, di conseguenza le
forze repulsive responsabili dello stato colloidale originale vengono ristabilite, e le particelle si distaccano
dalla massa coagulata.
Pertanto i lavaggi di precipitati coniugati vanno eseguiti sempre con soluzioni diluite contenti i controioni
(che volatizzeranno durante la successiva fase di essiccamento o di incenerimento).
PRECIPITAZIONE IN FASE OMOGENEA: La precipitazione da una soluzione omogenea è una tecnica in cui
un agente di precipitazione viene generato in una soluzione dell’analita attraverso una lenta reazione
chimica.
In particolare:
Una delle reazioni più sfruttate nella cosiddetta precipitazione omogenea è quella che usa urea per la
generazione omogenea di ioni idrossido:
Questo tipo di precipitazione prevede la lenta e omogenea formazione all’interno della soluzione di analita
di reattivo precipitante (nel caso in questione l’urea libera lentamente per idrolisi ammoniaca, ed
idrossido), si evitano in questo modo eccessi localizzati dell’agente precipitante e la soprasaturazione
relativa si mantiene bassa per tutto l’intero processo.
COPRECIPITAZIONE
Difficilmente si riesce ad ottenere un precipitato perfettamente puro; esso infatti può contenere varie
impurezze, che dipendono dalla natura del precipitato stesso o dalle condizioni di reazione.
La coprecipitazione è quel particolare fenomeno per cui una sostanza solubile presente in soluzione viene
inglobata nel precipitato. Esistono quattro tipi di coprecipitazione:
Sia l’occlusione che l’intrappolamento meccanico sono minimi quando la velocità di formazione del
precipitato è bassa, cioè in condizioni di bassa sovrasaturazione.
Adsorbimento superficiale – provoca una contaminazione dei precipitati con grandi aree
superficiali specifiche (colloidi coagulati); di conseguenza è massima per i precipitati di natura
colloidale e minima per quelli cristallini. Infatti se il precipitato ha un grande sviluppo di superficie
(colloidi) si avrà un grande adsorbimento di impurezze.
L’effetto netto dell’adsorbimento di superficie è perciò il trascinamento, nel precipitato, di un
composto solubile come un contaminante di superficie.
La purezza di molti colloidi viene accresciuta dalla digestione; può essere anche utile lavare il
colloide coagulato con una soluzione contenente un elettrolita volatile, perché qualunque
elettrolita non volatile aggiunto prima per provocare la coagulazione viene rimpiazzato dalla specie
volatile.
Inoltre si può ovviare operando a temperatura più alta o usando soluzioni molto diluite.
A prescindere dal metodo del trattamento, un colloide coagulato mantiene sempre un certo grado
di contaminazione, anche dopo un prolungato lavaggio.
FILTRAZIONE
Dopo aver eseguito la digestione ed aver lasciato raffreddare fino a T ambiente, occorre separare il
precipitato dal liquido supernatante mediante filtrazione. Esistono vari mezzi per filtrare:
1. FILTRI DI CARTA: vengono usati per precipitati che non sono ridotti dalla cellulosa della carta e che
poi devono essere calcinati. Si tratta di carta speciale che dopo combustione lascia un residuo di
ceneri di peso trascurabile (<0,1 mg). La porosità va scelta in base alla natura del precipitato;
2. Filtrazione a pressione ridotta con IMBUTI FILTRATI: si accelera il deflusso del liquido esercitando
una depressione al di sotto del filtro mediante pompa da vuoto. Gli imbuti hanno un setto poroso e
vengono essiccati e pesati insieme al precipitato che si determina per differenza. Si usano quando il
ppt verrebbe ridotto dalla carta, oppure quando non si deve effettuare la calcinazione.
La filtrazione va sempre eseguita per decantazione, cioè il ppt non è trasferito completamente sul filtro se
non dopo l’ultimo lavaggio.
Il lavaggio del ppt in genere non si effettua con acqua distillata ma con una soluzione contenente uno ione
in comune con lo stesso.
In caso di ppt colloidale (come detto) si deve usare una soluzione contenente un elettrolita. Il liquido di
lavaggio non deve lasciare residuo alla calcinazione.
Conviene effettuare molti lavaggi con poco liquido piuttosto che pochi lavaggi con molto liquido. Si può
dimostrare la seguente relazione:
Cn =C0 (V/(V+VL)n
Quando tutti i lavaggi sono terminati si trasporta quantitativamente il precipitato sul filtro.
ESSICCAMENTO E CALCINAZIONE
Dopo la filtrazione, il precipitato gravimetrico viene riscaldato finchè la sua massa non diventa costante.
(essiccamento):
Per essiccamento si intende l'eliminazione del solvente e di qualsiasi specie volatile trascinata giù col
precipitato. Avviene, di norma, a temperature leggermente superiori ai 100°C.
Alcuni precipitati vengono essiccati anche per decomporre il solido e formare un composto a composizione
nota.
La calcinazione (variazione della composizione chimica del precipitato) è necessaria qualora il precipitato
abbia una composizione non nota con precisione. Essa è effettuata trasferendo il campione (insieme al
filtro) in un crogiolo (pesato) e portato alla fiamma di un bunsen, oppure in speciali stufe (muffole).
Ad es. l'ossalato di calcio può essere pesato come CaO dopo calcinazione ad una temperatura di circa
1000°C. Nel caso l'aumento della temperatura di calcinazione produca specie diverse, si sceglie la
temperatura che permette di ottenere il composto più idoneo (termostabile, non igroscopico, a
stechiometria nota).
La CALCINAZIONE serve per trasformare il solido in una forma chimicamente definita che sarà quindi
pesata.
FATTORE GRAVIMETRICO (GF): rapporto tra peso atomico della sostanza da dosare e peso molecolare
della forma di precipitazione.
Quando il precipitato non è l’analita cercato si introduce il fattore gravimetrico = Il numero che esprime il
peso (in grammi) della sostanza cercata in un
grammo di precipitato.
Es: MenXm(s)
GF = n PA(Me)/PF(MenXm)
DETERMINAZIONI GRAVIMETRICHE
Non si può usare NH4Cl in quanto nella successiva fase di calcinazione del precipitato provoca la
formazione del FeCl3 parzialmente volatile.
L’idrossido precipita in modo completo nell’intervallo di pH 6.5 – 7.5; la precipitazione con NH4OH
va fatta in presenza di NH4Cl per tamponare il pH della soluzione ed evitare che Al(OH)3 si
ridisciolga come alluminio.
Determinazione gravimetrica del calcio:
Lo ione Ca++ si dosa precipitandolo con ossalato di ammonio in soluzione neutra sotto forma di
ossalato e quindi calcinando il precipitato fino ad ottenere ossido di calcio.
Ovviamente, anche i solfati possono essere determinati aggiungendo BaCl2 come reattivo
precipitante.
ANALISI VOLUMETRICA-COMLESSOMETRIA
Le titolazioni complessometriche sono basate sulla formazione di un complesso tra specie titolante e
specie titolata, avviene una reazione di complessazione in cui si forma un legame reversibile che prende il
nome di legame di coordinazione (dativo):
Le reazioni di complessazione avvengono fra una specie donatrice (detta legante o ligando che deve avere
almeno un doppietto di elettroni non condiviso o cmq disponibile per la formazione di un legame (base di
Lewis)) ed uno ione metallico (detto ione coordinante) che è in grado di accettare il doppietto elettronico
(acido di Lewis).
Ad esempio lo ione nickel può formare complessi con l’acqua che fa da legante, è la forma solvatata del
nickel. Tuttavia le reazioni di complessazione con l’acqua non vengono riportate perché molto difficile.
Ni(H2O)62+ si definisce complesso ed è caratterizzato da interazioni acido-base di Lewis che fissano i leganti
(H2O in questo caso) al metallo centrale tramite i cosiddetti legami covalenti coordinativi (o dativi), in cui la
coppia elettronica di legame proviene interamente dalla base.
Quindi possono essere impiegate per formare legami dativi covalenti con i centri metallici, ed agire così da
basi di Lewis. AItri leganti: OH-; Br-; I-
L'energia di un orbitale aumenta all'aumentare del numero quantico principale e a parità di n aumenta
all'aumentare del numero quantico angolare l, cioè nell'ordine s, p, d, f.
Combinando questi due valori, può quindi accadere che l'energia di un orbitale di un livello superiore, per
esempio 4s sia minore di quella di un orbitale appartenente a un livello inferiore, per esempio 3d. Alcuni
sottolivelli possono cioè "invadere" i livelli energetici adiacenti.
Al(H2O)63+ (esacquo ione) (ione metallico in soluzione acquosa: acquoine)
Quando si forma il catione Al3+ vengono perduti i 3 elettroni più esterni e conseguentemente la struttura
elettronica diverrà:
• I primi quattro (3s e 3p) sono impiegati per accettare 4 coppie elettroniche donate dai leganti H 2O.
• Anche gli orbitali 4s e 3d sono completamente vuoti ed hanno un’energia ragionevole per poter
accettare altri doppietti elettronici di altri due leganti, H2O.
NB: 6 rappresenta il massimo numero di molecole d’acqua che si possono sistemare attorno, non solo allo
ione Al3+, ma anche alla maggior parte degli ioni metallici.
• Cu2+ (d9)
• Co2+ (d7)
• Ag+ (d10)
Il pH delle soluzioni contenenti esaquo ioni varia a seconda del catione metallico che si considera
(assumendo che si confrontino soluzioni aventi eguale concentrazione).
Questo comportamento dipende dal fatto che un catione carico +3 è in grado di attrarre maggiormente a
sé gli elettroni del legame dativo; conseguentemente, il legame OH risulta maggiormente indebolito (la
separazione di carica tra O ed H sarà più accentuata) rispetto al caso dì uno ione centrale avente carica +2.
COMPLESSI
Un complesso (o composto di coordinazione) è un composto chimico in cui un atomo (o ione)
forma un numero di legami superiore al suo numero di ossidazione (N.O.)
Mz+ + nL [MLn]z+
Il numero di legami covalenti dativi formati da un catione (n nella reazione qui sopra) viene
chiamato numero di coordinazione (n > N.O.).
I leganti possono essere molecole neutre [NH3, H2O, ecc] o ioni negativi [CN-, Cl-, SO42-, ecc] quindi i
complessi possono essere neutri [Cu(NH2CH2COO)2], possedere una carica positiva [Ag(NH3)2+2] o
negativa [Ag(NH3)Br2]-, Fe(CN)64-].
Ad esempio il rame(II) che un numero di coordinazione quattro, forma un complesso amminico
cationico, Cu(NH3)42+, un complesso neutro con la glicina, Cu(NH2CH2COO)2, ed un complesso
anionico con lo ione cloruro, CuCl42-.
SPECIE CENTRALE: in genere l’atomo centrale è il catione di un metallo di transizione che tende a
formare complessi a seguito dell’interazione tra gli orbitali di tipo d e orbitali s e p dei leganti.
I legami risultanti hanno energie tali che le lunghezze d’onda del visibile causano transizioni
elettroniche. Per questo motivo i complessi, detti anche composti di coordinazione, sono colorati.
LEGANTI: sono quelle specie che hanno almeno una coppia di elettroni spaiati disponibili per la
formazione di un legame.
CONTROINONE: ione necessario per l’elettroneutralità nel caso in cui il complesso sia carico
Leganti importanti:
H2O: acquo; NH3: amino; OH-: idrossi; CN-: ciano; SCN-: tiociano; Cl-: cloro; etc.
REGOLA 1.
Il nome viene scritto senza spaziatura. L’unica è quella fra il catione e l’anione.
REGOLA 2.
Il nome del composto inizia con il nome dei leganti. Il metallo è scritto di seguito, seguito dal numero di
ossidazione del metallo in parentesi.
Quando più leganti monodentati (leganti con un singolo gruppo donatore) dello stesso tipo sono legati
allo stesso metallo si usano i prefissi:
2 di 6 esa 10 deca
5 penta 9 nona
A seconda del numero di coppie elettroniche che può donare, il ligando è definito mono, bi, poli, dentato.
(ES: NH3 E Cl- sono MONODENTATI, GLICINA CHE HA 2 GRUPPI DISPONIBILI è UN BIDENTATO)
Quando sono presenti leganti polidentati (per esempio etilendiammina, ossalato ecc.) si usano i prefissi
seguenti:
REGOLA 7.
- Quando il composto di coordinazione è neutro oppure cationico si usa il nome usuale del metallo
seguito, in parentesi, dal suo numero di ossidazione:
trans-[Co(en)2(I)(H2O](NO3)2
trans-Iodoaquabis(etilediammina)cobalto(III) nitrato
- Quando il complesso è anionico, il nome del metallo termina con la desinenza “ato”
Na[PtCl3(NH3)]: tricloroamminoplatinato di sodio
- Il nome di alcuni metalli sono basati sul nome latino dell’elemento
K2[CuBr4]: tetrabromocuprato(II) di potassio
REGOLA 8.
[(NH3)5Co-NH2-Co(NH3)4(H2O)]Cl
pentaamminocobalto(III)--amidotetraamminoaquocobalto(III) cloruro
[(NH3)5Cr-OH-Cr(NH3)5]Br5
-idrossobis[pentaamminocromo(III)] bromuro
REGOLA 9.
Leganti che possono dare isomeria di legame hanno nomi specifici per ogni modo di coordinazione.
L'esempio classico è quello della dissoluzione del cloruro di argento in ambiente ammoniacale:
La formazione delle specie complesse rende possibile la dissoluzione di ulteriori quote di precipitato.
(La beuta usata per titolare i cloruri non può essere lavata per bene con acqua distillata: il cloruro di
argento residuo, aderente alle sue pareti, è un sale molto insolubile. Si può facilitarne la dissoluzione
aggiungendo pochi millilitri di ammoniaca diluita: la formazione del complesso Ag(NH3)2+ aumenta la
solubilità al punto da permettere la perfetta pulizia della beuta, che può essere usata per una nuova
titolazione).
TITOLAZIONE CON ACIDI POLIAMMINOCARBOSSILICI: Le ammine terziarie che contengono gruppi acidi
carbossilici formano chelati particolarmente stabili con molti ioni metallici.
I complessi formati da leganti polidentati (reagenti organici) vengono anche chiamati chelati (dal vocabolo
greco indicante le chele dei granchi). In particolare:
un chelato si forma quando uno ione metallico (chelante) coordina due o più gruppi donatori di un
singolo legante generando un anello eterociclico a cinque o sei membri.
I chelanti tipicamente contengono almeno due gruppi funzionali; ciascuno di essi è capace di legarsi
ad un catione donando un doppietto elettronico. I gruppi funzionali sono localizzati nella molecola
in modo tale che dalla reazione si formi un anello a 5 o 6 atomi.
Entropici, quando un legante multidentato forma un primo legame con uno ione metallico i
successivi doppietti utilizzabili per formare altri legami sono anch’essi vicini allo ione metallico;
Entalpici, formazione di anelli pentatomici multipli aventi elevata stabilità
Gli ioni metallici reagiscono facilmente con sostanze organiche dotate di funzioni amminiche e
carbossiliche, che formano dei chelati di elevata stabilità, con anelli a cinque o sei termini.
(n = 2) H2N-CH2-CH2-NH2
DIAMMINO-DIETILAMMINA (DEN)
(n = 3) H2N-CH2-CH2-NH-CH2-CH2-NH2
(n = 4) (HOOC-CH2)3N
Fra quelli polidentati, ricordiamo l’EDTA, che è quello più utilizzato nelle titolazioni VOLUMETRICHE. L’EDTA
è IL TITOLANTE INDICATO NELLA FARMACOPEA EUROPEA PER I METODI COMPLESSOMETRICI.
CHELANTE ESADENTATO:
(n = 6) (HOOC-CH2)2N-CH2-CH2-N(CH2-COOH)2
• Forma complessi ciclici altamente stabili Struttura dell’edta ed i suoi prodotti di dissociazione
Nella forma completamente dissociata Y4- si comporta da chelante esadentato, si combina con ioni
metallici in un rapporto di 1:1, indipendentemente dalla carica dello ione.
L’EDTA ha 4 costanti di dissociazione acide (perché presenta 4 gruppi acidi). Tra queste, pK1 e pK2 sono
molto simili perché la distanza tra i primi due gruppi carbossilici che si dissociano è notevole (i due protoni
coinvolti si dissociano da estremità opposte dell’alquanto lunga molecola). A causa della loro separazione
fisica, la carica negativa creata dalla prima dissociazione non influenza fortemente la rimozione del seconod
protone. Non si può dire lo stesso, tuttavia, per la dissociazione degli altri due protoni, che sono molto più
vicini agli ioni carbossilato carichi negativamente generati dalle dissociazioni iniziali.
Soluzione a titolo noto di EDTA
L’acido libero, H4Y e il sale sodico diidtrato (sale bisodico), Na2H4Y ∙ 2H2O, sono disponibili in commercio in
qualità di reagenti.
- Il primo può fungere da standard primario (sostanza madre) dopo essere stato essiccato per molte
ore a 130-145°C. Viene poi disciolto nella minima quantità di base necessaria per la completa
dissoluzione.
- Tuttavia, in genere si preferisce preparare una soluzione a titolo approssimato e si standardizza poi
con sostanze madri come CaCO3, ZnO, HgO.
IN TABELLA LE COSTANTI DI
FROMAZIONE K PER I TIPICI
COMPLESSI DELL EDTA. Si noti
che la costante si riferisce
all’equilibrio che coinvolge la
specie Y4-con lo ione metallico:
• dal pH ()
Considerando le diverse specie cariche di EDTA, si definisce per ciascuna specie la frazione di EDTA
presente in quella forma.
Risulta molto utile definire la FRAZIONE MOLARE (Y4-) che rappresenta il rapporto tra la concentrazione
di Y4- e la somma delle concentrazioni di tutte le specie di EDTA.
Bisogna sempre ricordare che il suo pH ideale è quello basico, e quando cioè si trova nella sua forma
dissociata Y4-.
Dunque a seconda del pH la Kstab della forma dissociata verso diversi tipi di metalli cambia e migliora,
passando per es. da quella del complesso con il Na (molto bassa, quindi complesso instabile) fino al Cr, Fe
con costanti più alte.
αY4- rappresenta la quota di EDTA disponibile nella forma completamente dissociata Y4-, cioè quella
idonea a formare complessi stabili.
Poiché non sempre è possibile effettuare una titolazione nelle condizioni di pH per cui Y4- è la forma di
EDTA perché per esempio alcuni metalli, a pH troppo elevati, precipitano come idrossidi, la K precedente
descritta non è più sufficiente a descrivere la stabilità del complesso, ne deriva la necessità di definire
un’altra costante di formazione che tenga conto del pH a cui avviene la titolazione , questa costante prende
il nome di costante di formazione condizionale che dopo vari riarrangiamenti è definita come il prodotto
tra la costante di formazione del complesso per αY4-.
αY4- rappresenta la quota di EDTA disponibile nella forma completamente dissociata Y4-, cioè quella
idonea a formare complessi stabili. Solitamente, nonostante sia tetraprotico, solo due dei carbossili sono
dissociati, quindi in acqua potremo scrivere:
In tale reazione vengono messi in libertà ioni H +, e tale reazione è influenzata dal pH del mezzo.
Tale equilibrio è spostato verso sinistra a meno che il pH sia nettamente acido. In tal caso, gli ioni H +
competono con gli ioni M++ per legarsi all’EDTA = in tal caso la reazione non è più quantitativa.
L’effettiva disponibilità dei doppietti elettronici necessari per i legami di coordinazione dipende dal grado di
dissociazione dei gruppi acidi e quindi dal pH.
Ne consegue che alcuni cationi (es alcalino terrosi) non possono essere titolati in ambiente acido, ma in
soluzione alcalina.
Altri cationi, più stabili anche in ambiente acido, quindi esiste un valore di pH al di sotto del quale un
catione non può essere titolato. Questo valore è calcolabile in base al pH della soluzione ed alle costanti di
dissociazione acide dell’ EDTA.
Ad ogni valore di pH corrisponde un preciso valore di αY4- che può andare da 0 a 1. In particolare:
In una soluzione 0,1 M di Mg2+ la precipitazione dell'idrossido inizia a pH circa uguale a 9 (valore
ottenuto considerando il relativo prodotto di solubilità),
AGENTI COMPLESSANTI
Spesso le titolazioni Me-EDTA vengono effettuate in presenza di agenti complessanti ausiliari che agendo
come tamponi ad un determinato pH, impediscono la precipitazione dell’idrossido o dell’ossido del metallo.
Questi reagenti mantengono gli ioni metallici in soluzione senza interferire con l’equilibrio Me-EDTA.
Interferenza-agenti mascheranti:
Con il metodo complessometrico, vengono titolati TUTTI I CATIONI BIVALENTI presenti in un’acqua oltre a
ferro e alluminio.
Nella determinazione di calcio e magnesio interferiscono quindi tutti gli altri cationi bivalenti, che però, ad
esempio nelle acque naturali in genere sono presenti in concentrazioni molto basse (soluzione di miscela di
più metalli). Per eliminare l'interferenza di alcuni di questi cationi, si deve aggiungere KCN, Na2S o anche
idrossilammina. Questi agenti sono detti agenti mascheranti. In particolare:
Nel caso si debba analizzare una miscela contenente più metalli, è possibile procedere titolando
selettivamente uno dei componenti con EDTA dopo aver aggiunto un agente mascherante, ossia un agente
complessante che reagendo selettivamente uno dei componenti della soluzione impedisce a questo di
interferire con la titolazione.
Lo ione cianuro permette la titolazione di Mg e Ca in presenza di Cd, Co, Cu, Ni, Zn, e Pd in quanto
forma con essi complessi più stabili dei corrispondenti con EDTA.
Altro esempio Al3+ reagisce con F- per formare un complesso molto stabile e così possiamo
titolare il Ca2+ in presenza di Al3+
Sono acidi organici che formano complessi con alcuni cationi metallici in
soluzione, esibendo una certa colorazione quando sono complessati ed una
colorazione diversa quando sono in forma libera.
Questi indicatori chelanti devono formare con il metallo in esame un complesso di stabilità opportuna, ma
meno stabile del relativo chelato che il metallo forma con l’EDTA.
Appena in soluzione l’indicatore chela il metallo (complesso colorato), quando l’indicatore sará spiazzato
dall edta (punto finale titolazione) sará in forma libera in soluzione e così cambierá colore.
1. PRIMA DEL P.E.: Si osserva il colore del complesso metallo-indicatore. L’indicatore forma, con una
piccola parte del metallo, un complesso che colora la soluzione di un certo colore.
2. DURANTE LA TITOLAZIONE: Quando si comincia a titolare, ad esempio con EDTA, questo prima
reagisce con il metallo libero.
3. DOPO DEL P.E.: Tutto il metallo libero è stato titolato, l’ulteriore aggiunta di EDTA, strappa il
metallo all’indicatore generando la forma libera dell’indicatore che conferisce alla soluzione
un’altra colorazione.
L’indicatore metallocromico più noto, il NERO ERIOCROMO T (NET o EBT, dall'inglese Erio-
Black T) è un acido triprotico, H3In (pK1 = 3,9, pK2 = 6,4 e pK3 = 11,5). OH
N
A seconda del Ph è diversamente dissociato e si presenta in 3 forme diverse che tra l’altro N
OH
differiscono anche per il colore: nell'intervallo di pH utile ai fini delle titolazioni con EDTA
(6<pH<12) esistono le specie H2In- (pH<6), HIn2- (5>pH<12) e In3- (pH>12). O2N
SO3H
Il pH ottimale di lavoro è 10 e si opera In
tampone ammoniacale.
A pH tamponato 10 ho viraggio da rosso a blu. (Si evita di superare pH 11 altrimenti il viraggio è da rosso
ad arancione e si vede poco)
Il NET si usa per il magnesio, lo zinco, il cadmio e il piombo e NON per il calcio in quanto la Kstabilità Ca2+-Ind
è troppo bassa.
CALCONE
O
Acido calconcarbossilico.
OH
Acido 2-idrossi-1-(2-idrossi-4-solfo-1-naftilazo)naftalen-3-carbossilico OH
N
C21H14N2O7S3H2O. (Mr 492.5). [CAS Number 3737-95-9].
N
Polvere nero-brunastra, poco solubile in acqua, molto poco solubile in acetone e in OH
DITIZONE
H
Tiocarbazone. N N
N N
H
1,5-Difeniltiocarbazone S
O O
MURESSIDE
HN NH
Sale d'ammonio dell'acido purpurico. O N O
HN
2,6-diosso-5-[(2,4,6-triossotetraidropirimidin-5(2H)-ilidene)ammino]- O HO
1,2,3,6-tetraidropirimidin-4-olato di ammonio.
Solido marrone scuro inodore e, dato che in soluzione questo indicatore non è stabile, viene utilizzato in
miscela solida polverizzata con cloruro di sodio.
A. TITOLAZIONE DIRETTA
Il metodo consiste nell’aggiunta di un indicatore metallico ad una soluzione tampone. A tale
soluzione si aggiunge la soluzione di chelante fino al viraggio (si possono aggiungere agenti
ausiliari).
Es: titolazione del Mg2+ con EDTA E NET (colore iniziale dato da complesso NET-MET, man mano
che si procede EDTA chela il METALLO libero, quando poi spiazza l’indicatore complesso dal
metallo si cambia colore alla soluzione, perché l’indicatore libero ha un colore diverso)
Alla soluzione neutra o acida. si aggiunge un eccesso di EDTA, la soluzione viene alcalinizzata e
l’EDTA viene retrotitolato con soluzione a titolo noto di altro metallo che formi un complesso di
stabilità inferiore a quello dell’EDTA con l’analita, per non spiazzarlo es. ZnCl2 o ZnSO4.
Si usa quando la titolazione non può essere effettuata perché non c’è un indicatore adatto.
Si aggiunge alla soluzione un sale di EDTA che contiene un metallo che forma un complesso meno
stabile di quello del metallo da determinare, solitamente sali di Mg2+ o Zn2+. L’eccesso di Mg2+ o Zn2+
equivalente allo ione da determinare viene titolato con EDTA.
APPLICAZIONI:
Per le titolazioni complessometriche si usa una soluzione 0,1 M di EDTA o di sale bisodico, che possono
essere portate ad elevato grado di purezza e in pratica sono sostanze madri. Tali soluzioni sono stabili, ma
è preferibile conservarle in recipienti di plastica e non vetro, per evitare cessione di ioni metallici.
Si moltiplicano i mL impiegati di EDTA per la sua molarità e per il peso atomico del metallo titolato
ottenendo i mg di metallo contenuti nel campione:
DOSAGGIO ALLUMINIO
o Si preferisce usare un metodo inverso perché anche se il complesso con l’EDTA è stabile si forma
troppo lentamente e bisogna riscaldare per completarne la formazione.
o Un tampone acetico (pH 5-6) produce il pH ottimale per la determinazione dell’alluminio.
o Metodo per dosare alluminio ossido idrato (che deve contenere non meno di 45% Al 2O3), o per
allume, KAl(SO4)2 ·12H2O e alluminio solfato Al2(SO4)3
BISMUTO
Metodo utilizzato per il dosaggio di bismuto carbonato basico (in cosmesi) e bismuto salicilato basico
(anti-diarroico).
MAGNESIO
Dopo pesata si porta in soluzione il metallo pesato con soluz. HCl dil. Si aggiunge il tampone
ammoniacala e si titola con NaEDTA
Metodo utilizzato per il dosaggio di magnesio acetato (dialisi), idrossido, carbonato, cloruro, ossido,
stearato e trisilicato.
L'acetato farmaceutico del magnesio del grado può essere utilizzato nelle soluzioni di dialisi.
Metodo prescritto per la titolazione del Ca-gluconato e può essere usato per dosare altri sali di Ca, come:
CaCO3, CaCl2, CaSO4, Ca3(PO4)2, Ca2HPO4, Ca-glicerofosfato, Ca-lattato, Ca-folinato e Ca-stearato.
Trattamento dell’ipocalcemia sintomatica acuta (consiste nella diminuzione del calcio ematico
nell'individuo).
DOSAGGIO DI ANIONI
Dosaggio di SO42-
Il Ba2+ che non ha reagito viene retrotitolato con EDTA a pH 10. Si usa una piccola quantità di Mg-EDTA e di
NET per rilevare il punto finale.
Dosaggio di PO43-
La formazione di sali insolubili e successiva titolazione del catione con EDTA è un metodo utilizzato per la
determinazione anche di altri anioni come il PO43-.
Piombo fosfato o meglio Calcio ma anche fosfato di ammonio e magnesio, molibdato d’ammonio o fosfato
d’argento.
Dosaggio CN-
L’eccesso di Ni2+ che non ha reagito si retrotitola con EDTA a pH 8 usando muresside come indicatore.
DUREZZA DELL’ACQUA
È possibile determinare sperimentalmente la durezza calcica e quella totale di un’acqua, mentre la durezza
magnesiaca può essere determinata esclusivamente per differenza tra le due.
La capacità dei cationi naturalmente disciolti nell’acqua di sostituire gli ioni Na+ e K+ nei saponi e formare
prodotti poco solubili definisce la cosiddetta durezza dell’acqua.
La maggior parte dei cationi dotati di carica multipla possiede questa capacità, tuttavia, i principali presenti
nelle acque naturali sono Ca e Mg.
- Gli altri sali, prevalentemente solfati, cloruri e nitrati di calcio e magnesio, invece, rimangono
disciolti nell’acqua anche dopo prolungata ebollizione e perciò costituiscono la durezza
permanente.
- La durezza totale è data da tutti i sali di Ca e Mg disciolti nell’acqua, cioè dalla somma della
durezza temporanea e di quella permanente .
La durezza viene espressa convenzionalmente come carbonato di calcio o come ossido di calcio.
• un grado francese (°f) corrisponde a 1 g di carbonato di calcio contenuto in 100 litri d’acqua, ossia
0,01 g/l di CaCO3 (1 mg per 100 ml);
In genere le acque vengono classificate in base alla loro durezza come segue:
Per la rilevazione del punto di fine titolazione si utilizza come indicatore il nero-eriocromo T, che
forma con una piccolissima parte di ioni Mg2+ complessi fortemente colorati di rosso-vino.
Al punto di equivalenza, dopo essere stati complessati tutti gli ioni Ca2+ ed Mg2+ liberi in soluzione,
un’ulteriore aggiunta di titolante induce una reazione di spostamento a carico del complesso Mg-
nero-ericromo T, che una volta libero, assume una colorazione blu cobalto.
Infine, è da tener presente che in base alla definizione di grado francese (°f = 1g di CaCO3/100 L
H2O) titolando 100 mL di acqua con EDTA 0,01 M, i mL di EDTA utilizzati nella titolazione
corrispondono alla durezza espressa in gradi Francesi.