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Biochimica generale

AMMINOACIDI
Nelle proteine ci sono 20 amminoacidi, si tratta di
αlpha-amminoacidi con un gruppo carbossilico (alpha
carbossilico) e un gruppo amminico, legati allo stesso atomo di
C in alpha. Essi differiscono l’uno dall’altro per la catena laterale
R, che si differenzia per:
- struttura
- dimensione
- carica
Queste caratteristiche influenzano la solubilità dell’amminoacido in ambiente
acquoso. Oltre ai 20 amminoacidi standard, nelle cellule ci sono anche
amminoacidi modificati e altri che non sono presenti all’interno delle proteine.
A seconda della loro catena laterale, si suddividono i vari gruppi:
1. alifatici, non polari
2. aromatici
3. polari e non carichi
4. carichi positivamente
5. carichi negativamente

La Cisteina è un amminoacido caratterizzato da un


gruppo tiolico (-SH), che, nelle condizioni cellulari è
facilmente ossidabile a formare dei ponti disolfuro, i quali
si formano a partire dall’ossidazione, anche in condizioni
blande, di due residui di Cys. L’ossidazione dà luogo a
una cistina.

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L’insulina, per esempio, presenta
dei ponti disolfuro; essa infatti è
formata da una catena A e una
catena B, tenute insieme da due
ponti disolfuro intercatena, a cui si
aggiunge un ponte disolfuro intracatena. La funzione dei ponti disolfuro è di
stabilizzare la catena.

Gli amminoacidi aromatici sono importanti


perché conferiscono alle proteine le
caratteristiche spettroscopiche che si possono
usare per lo studio delle proteine stesse. Sono
infatti in grado di
assorbire le radiazioni
luminose. In essi si vedono
picchi di assorbimento
del triptofano e della tirosina a 295 e 280 nm. Tali spettri sono
indicazione del fatto che queste molecole aromatiche sono in
grado di assorbire le radiazioni luminose e conferire
caratteristiche particolari alle proteine. Si può monitorare la
concentrazione delle proteine grazie ai residui aromatici,
infatti quasi tutte le proteine hanno questi residui.

Alcuni amminoacidi possono subire modificazioni post-traduzionali (ossia dopo la


sintesi proteica). Esistono delle modificazioni irreversibili, come:
- IDROSSILAZIONE: vedi idrossiprolina e idrossilisina, gli amminoacidi presenti nel
collagene
- METILAZIONE: che dalla lisina restituisce la metillisina (miosina)

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- CARBOSSILAZIONE: che dal glutammato forma il ɣ-carbossiglutammato,
fondamentale nella sintesi della protrombina (importante per la
coagulazione)

Ci sono anche modificazioni reversibili come:


1. FOSFORILAZIONE: per esempio la serina che dà la fosfoserina, a opera di
proteine dedicate (es. chinasi) rimosse dalle fosfatasi

Poi ci sono modificazioni complesse come nel caso della desmosina, che nasce
dalla condensazione di quattro molecole di lisina (vedi elastina).

Ci sono amminoacidi che non sono presenti


nella struttura delle proteine, come l’ornitina e la
citrullina, che fanno parte delle vie metaboliche,
come quella della sintesi della istidina o di vie
metaboliche in cui fungono da intermedi, come
nel ciclo dell’urea.

Tutti gli amminoacidi hanno un carbonio alpha, legato a quattro gruppi differenti,
costituisce quindi un centro chirale e, per disposizione tetraedrica degli orbitali di
legame, questi quattro gruppi possono disporsi nello spazio in due modi differenti.
Dunque, per ogni amminoacido sono possibili due stereoisomeri. Essendo immagini
speculari l’una dell’altra, le due forme si presentano come enantiomeri.
Esiste un sistema di nomenclatura per specificare la configurazione assoluta dei
quattro sostituenti degli atomi di C asimmetrici. La configurazione assoluta viene
stabilita con il sistema L proposto da Fischer. Ci si basa, in questo caso, sulla
configurazione assoluta dello zucchero più semplice (la gliceraldeide).

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Fischer ha anche proposto che:
- tutti i composti chirali hanno una
configurazione correlata alla L-gliceraldeide sono
designati con L
- tutti gli stereoisomeri correlati con la
D-gliceraldeide sono indicati con la D

Gli atomi di C sono allineati in senso verticale con l’atomo chirale al centro; gli atomi
di C sono numerati a partire dal gruppo aldeidico (nel caso degli aldozuccheri) o
carbossilico, posto a una estremità e procedendo dal basso verso l’estremità della
molecola. Con questa rappresentazione il gruppo R dell’amminoacido è sempre al
di sotto del carbonio in alpha.
Gli L-amminoacidi hanno il gruppo alpha-amminico a sinistra, mentre i
D-amminoacidi hanno il gruppo alpha amminico sulla destra.

In natura tutti gli amminoacidi nelle proteine sono stereoisomeri in L; esistono


amminoacidi D in molecole di natura batterica.

Per quanto riguarda gli amminoacidi senza gruppi carichi nella catena laterale, in
soluzione a pH neutro sono ioni dipolari (zwitterioni). Un amminoacido può agire
come acido (donatore di protoni) o base (accettore di protoni). Lo stato di
ionizzazione dipende dal pH in cui si trova:
- a pH basso ⇒ prevale la forma protonata
completamente
- aumentando il pH ⇒ si ha la dissociazione,
prima del protone del gruppo carbossilico
(con la formazione dello zwitterione)
- aumentando ulteriormente il pH ⇒ si ha la
prevalenza della forma deprotonata
(rilascio del protone del gruppo amminico)

Si può costruire una curva di titolazione per un amminoacido che comporta la


graduale aggiunta o rimozione dei protoni a gruppi funzionali ionizzabili.

Es. curva di titolazione della glicina. I due gruppi ionizzabili della glicina (carbossilico
e amminico) vengono titolati con una base forte (es, NaOH). La curva di titolazione
ha due fasi distinte, corrispondenti a due gruppi titolabili della glicina. Ciascuna fase
assomiglia alla curva di titolazione di un acido monoprotico, come CH3COOH.

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A pH bassi prevale la forma completamente
protonata, nella prima fase di titolazione il gruppo
-COOH della glicina perde il suo protone e nel punto
di mezzo della fase si hanno concentrazioni
equimolari delle due forme (protonata
completamente e non protonata). Il punto di mezzo
della titolazione vede raggiunto il punto di flesso, il
punto nel quale il valore di pH coincide con il valore di
pKa del gruppo titolato (per la glicina il pH = 2,34, che
è il valore di pKa del gruppo -COOH).

Il pKa si può considerare come la tendenza di un


gruppo a cedere un protone e diminuisce di 10 volte
per ogni aumento di una unità di pH.

Con il procedere della titolazione si raggiunge un pH = 5,97, il punto di flesso


corrispondente alla rimozione quasi completa del primo protone (del -COOH),
mentre la rimozione del secondo protone (su -NH3) è appena iniziata. In questo
momento si è raggiunto il punto in cui la glicina è nella sua forma zwitterionica
(forma dipolare), ossia il punto isoelettrico (pI).

La seconda fase della titolazione è la rimozione del protone su NH3, il pH


corrispondente al punto di mezzo è 9,6, ed è il pka del gruppo NH3. La titolazione è
completa a pH = 12, quando tutto l’amminoacido è deprotonato.

Dalla curva di titolazione si ricavano diverse informazione:


- la misura quantitativa dei valori di pka dei due gruppi ionizzabili (es, 2.34 e
9.60)
- il valore del punto isoelettrico (pI), ossia il valore di pH al quale la molecola
presenta una carica netta nulla.
Per la glicina è la media aritmetica dei due valori di
pka, dunque
1. per valori di pH < 5.97: l’amminoacido è
carico positivamente [pH < pI]
2. per valori di pH > 5.97: l’amminoacido è carico negativamente [pH >
pI]
NB: per gli amminoacidi che non hanno catena laterale carica (paragonabili alla
glicina) si ha un solo gruppo carbossilico e amminico e il pka è influenzato dalla

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tipologia dell’intorno chimico determinato dai gruppi R. Si ha dunque una leggera
variabilità del punto isoelettrico date queste differenze.

Le differenze maggiori si hanno con amminoacidi con catena laterale ionizzabile, in


tale caso la curva di titolazione è più complessa (vedi il
glutammato). Il valore del punto isoelettrico si ottiene dalla media
del pK1 e del pKR.

Lo stesso discorso vale per gli amminoacidi con la catena laterale carica
positivamente, con i quali si hanno tre diversi equilibri e dove il
punto isoelettrico è calcolato a partire dalla media di pKR e pK2.

Quando l’amminoacido istidina si trova all’interno di una proteina, avendo la pKa


vicino a 6, l’anello imidazolico può essere: non carico o
carico positivamente intorno a un valore di pH neutro, in
funzione dell’ambiente circostante (ossia in funzione degli
amminoacidi che, a livello tridimensionale, trovo vicini nelle
proteine).

Gli amminoacidi basici hanno pI alti (pI > 7), gli amminoacidi con catene neutre
hanno un pI compreso tra 5 e 6.5.

PROTEINE
Grazie alla sintesi proteica si formano dei polipeptidi che, grazie a un numero
adeguato di amminoacidi, prendono il nome di
proteine. Alla base della reazione che porta alla
sintesi proteica c’è la reazione che porta alla
formazione di un legame peptidico (legame
ammidico), che non è altro che la reazione di
disidratazione tra un -OH nel gruppo carbossilico del
primo amminoacido e un -H presente nel gruppo
amminico del secondo amminoacido.

Normalmente i peptidi si scrivono a partire dalla porzione N-terminale, la


catena carboniosa che si sussegue si chiama anche backbone della proteina
(scheletro).

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Nella cellula ci sono peptidi piccoli con funzione fisiologica (es. carnosina con due
residui: Ala e Hys, tenuti insieme da un legame peptidico. Essa è una componente
presente nel muscolo e nel cervello con proprietà antiossidante e tamponante).
L’aspartame è un altro piccolo peptide, formato
dall’amminoacido L-aspartato e L-fenilalanina esterificata
con un gruppo metilico.

Il glutatione è un altro esempio, ed è costituito da un


residuo di glutammato
legato a un residuo di
Cys, legato a un residuo di Gly. Si tratta di un
tripeptide con funzione antiossidante, che genera
ponti disolfuro con un’altra molecola di glutatione,
formando un legame cistinico e il glutatione
ossidato viene riconvertito nella forma ridotta da un sistema enzimatico adeguato.

Aumentando il numero di residui amminoacidici aumenta la complessità del


peptide; ci sono peptidi con un discreto numero di amminoacidi che costituiscono
importanti peptidi biologicamente attivi. Esempi sono: glucagone (polipeptide di
una 40ina-50ina di amminoacidi con importante funzione endocrina, in quanto
regola la glicemia), angiotensina e bradichinina.

Le sequenze polipeptidiche sono indicate a partire dal residuo N-terminale per


arrivare al C-terminale.

I peptidi e le proteine sono caratterizzati anche dal valore di massa molecolare,


espressa in Da o KDa. Anche per le proteine esiste un pI (valore di pH in cui le
proteine sono a carica netta uguale a zero), determinato dalla presenza delle varie
catene laterali. Le proteine hanno valori di pI molto diversi tra di loro:
- se le proteine sono a un pH > pI ⇒ carica totale della proteina è negativa
- se le proteine sono a un pH < pI ⇒ carica totale della proteina è positiva
Quindi, se consideriamo il pH fisiologico e ho pI < 7 ⇒ carica totale è positiva; se pI >
7 ⇒ carica è negativa.
Il pI può essere sfruttato per fare separazioni in elettroforesi, grazie all’elettroforesi
zonale si possono decretare zone, all’interno delle quali ci sono specifiche proteine.

STRUTTURA
Esistono quattro livelli di struttura delle proteine a complessità crescente:

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- primaria: sequenza amminoacidica della proteina
- secondaria
- terziaria
- quaternaria: con proteina a più unità polipeptidiche

Struttura primaria
Caratterizzata dal susseguirsi di diversi legami peptidici, le cui caratteristiche sono:
1. risonanza tra il carbonile e il gruppo amminico che porta a una maggiore
stabilità e a un aumento di polarità(-O parzialmente carico negativamente e
il gruppo amminico parzialmente carico positivamente)
2. parziale carattere di doppio legame e polarizzato(parziale carica negativa
sul carbonile e positiva sul gruppo amminico)
Le osservazioni nascono dal fatto che è stata misurata la lunghezza del legame
peptidico che risulta pari a 1.32 Å, un valore non equivalente nè alla distanza di un
legame singolo, 1.49 Å, né alla distanza di un legame doppio, 1.27 Å. La risonanza
porta alla formazione di un legame con natura di parziale doppio legame.

Dato che il legame peptidico è planare non si ha possibilità di rotazione ed esiste in


due sole configurazioni: trans (dove i due
atomi di C in alpha sono in posizioni
opposte al legame peptidico) e cis
(dove i due atomi di C sono nella stessa
parte). Per questioni di ingombro sterico i
legami peptidici sono per lo più trans.

Il legame tra il gruppo amminico e il C in alpha e il legame tra il C in alpha e il


gruppo carbonilico sono dei legami singoli puri, le estremità peptidiche adiacenti ai
C in alpha possono ruotare intorno a questi legami assumendo questi orientamenti.
La libertà di rotazione degli amminoacidi intorno a questi due legami permette alle
proteine di ripiegarsi in modi diversi. La rotazione è definita da angoli di torsione:
- φ: l’angolo di torsione intorno al legame tra N e C in alpha
- ψ: l’angolo di torsione intorno al legame C apha e il C carbonilico
i valori degli angoli determinano l’avvolgimento della catena polipeptidica.

Per convenzione gli angoli di torsione sono pari a zero quando i due legami
peptidici che fiancheggiano l’atomo del C in alpha sono sullo stesso piano. Essi
possono avere qualsiasi valore compreso tra -180° e +180°, ma molti valori non sono
permessi a causa di impedimenti sterici tra gli atomi dello scheletro carbonioso e le

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catene laterali degli amminoacidi. La conformazione con cui φ e ψ sono uguali a
zero non è permessa, essa è da considerarsi come riferimento per la descrizione
degli angoli. Delle moltissime conformazioni teoricamente possibili per un residuo
amminoacidico in una catena polipeptidica solo alcune sono stabili.

GRAFICO DI RAMACHANDRAN
Quasi tutte le aree del grafico sono la
maggior parte delle conformazioni proibite
per una catena peptidica. Mentre sono solo
tre le regioni circoscritte che sono fisicamente
accessibili alla gran parte dei residui.

I valori di φ e ψ di strutture determinati in


modo accurato ricadono quasi sempre in queste zone consentite dal grafico, ma si
osservano delle eccezioni per alcuni amminoacidi. Tutti gli amminoacidi, tranne
due, hanno un grafico simile a quello della L-Ala e questi sono:
1. Gly: perché è l’unico residuo privo dell’atomo di C in beta e
presenta un numero minore di impedimenti sterici a
confronto di altri residui. Di conseguenza, la gamma di
angoli di torsione ammissibili è più elevata. In
corrispondenza dei residui di glicina, le catene
polipeptidiche possono assumere anche conformazioni
proibite da altri residui amminoacidici
2. Pro: la catena laterale ciclica limita i valori degli angoli di
torsione, che sono possibili attorno a -60°, per cui tale
residuo amminoacidico ha maggiori restrizioni
conformazionali
All’interno del grafico si possono deliberare regioni di angoli di
torsione che sono caratteristiche di strutture secondarie.

Struttura secondaria
Segmento polipeptidico della proteina che descrive l’organizzazione spaziale della
catena principale, senza tener conto della conformazione delle catene laterali o
della rotazione con altri segmenti di amminoacidi lontani della proteina.

Si ha la struttura secondaria regolate quando ogni angolo φ e ψ resta invariato in un


segmento, solo poche strutture secondarie hanno una particolare stabilità e

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possono intervenire nella struttura delle proteine. Le principali sono: alpha elica,
beta foglietto e beta turn.

Se non si individua una struttura regolare la struttura secondaria è definita casuale o


random coil. Quindi una struttura secondaria ha segmenti ripiegati con caratteristici
angoli di torsione che si ripetono stabilizzati da una disposizione regolare dei legami
a H fra i gruppi peptidici N-H e C=O appartenenti a residui diversi.

Nei solventi acquosi, e quindi anche nell’ambiente cellulare, la catena


polipeptidica assume strutture regolari e ripetitive (elicoidali/a pieghe) che
comportano la massima stabilità derivante da uno stato di minima energia interna
della molecola; per il raggiungimento di questa condizione le strutture sono tali da
consentire:
- minima repulsione sterica tra i gruppi di catene laterali
- massima stabilità di formazione di legami a idrogeno

α elica
Scoperta da Pauling nel 1951, è la più semplice disposizione che una catena
polipeptidica può assumere. Lo scheletro covalente
della catena è strettamente avvolto intorno a un
asse immaginario in cui le catene laterali sporgono
all’esterno e hanno un andamento a spirale. Viene
stabilizzata da legami a H tra gruppi NH e C=O (il
gruppo forma un legame a H con l’NH
dell’amminoacido situato a quattro residui più
avanti nella sequenza).

Ogni residuo è spostato, rispetto al precedente, di 1.5 Å lungo l’asse dell’elica,


formando un angolo di 100° con quello precedente. Ogni giro dell’elica, detto
“passo dell’elica”, vede 3,6 amminoacidi. Gli amminoacidi lontano l’uno all’altro
nella sequenza polipeptidica di 3 o 4 posizioni sono vicini nella sequenza ad alpha
elica.

Il senso di avvitamento può essere destrorso (orario) o sinistrorso (antiorario). Sono più
abbondanti le destrorse, anche se entrambi i sensi di avvitamento sono possibili. Dal
grafico di Ramachandran si vede come la destrorsa sia favorita, presentando un
minor ingombro sterico tra laterale e principale.

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La stabilità della struttura è data dai legami a H tra il gruppo C=O del residuo n e il
gruppo amminico a 4 residui (n+4).
Ci sono altri fattori che contribuiscono alla stabilità:
- le catene laterali degli amminoacidi sono proiettate verso l’esterno
- le interazioni tra catene laterali possono stabilizzare o destabilizzare l’alpha
elica
- i residui carichi positivamente o negativamente non si trovano mai adiacenti
(in genere un amminoacido carico positivamente si trova a 3
residui da un amminoacido carico negativamente)
L’alpha elica forma un dipolo elettrico, che ogni legame peptidico
presenta. Essi si sommano attraverso legami a H presenti nell’alpha
elica. Il dipolo netto aumenta con la lunghezza dell’elica.
Le cariche parziali positive e negative risiedono sui gruppi -NH e C=O
dei legami peptidici all’estremità N e C-terminale. Per questo motivo,
gli amminoacidi carichi negativamente sono spesso presenti a livello
delle estremità N-terminali, mentre un residuo carico positivamente
all’estremità N-terminale è destabilizzante; all’estremità C-terminale
accade il contrario.

La stabilità dell’alpha-elica è alterata da alcune limitazioni:


1. propensione intrinseca di un residuo amminoacidico
2. interazione tra gruppi R (a 3-4 residui di distanza)
3. ingombro sterico tra gli amminoacidi adiacenti (residui con gruppi laterali
molto ingombranti, come Asn, Lys, Ser e Thr non formano strutture ad alpha
elica)
4. presenza di glicina e prolina, in quanto la Gly, per esempio, non dà la rigidità
necessaria per l’alpha-elica
5. interazione tra residui che sono alla fine del segmento e il dipolo elettrico
dell’alpha-elica
6. repulsione o attrazione elettrostatica tra residui con -R carichi

β-foglietto
Si tratta della conformazione più estesa della catena polipeptidica in cui lo
scheletro della catena polipeptidica si dispone a zig-zag. La distanza tra
amminoacidi adiacenti è di 3,5 Å. Le catene polipeptidiche sono quasi
completamente distese e i legami a H si instaurano tra catene polipeptidiche vicine
e non all’interno della stessa (cioè tra foglietti adiacenti).

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I gruppi R di amminoacidi adiacenti sporgono da questa struttura a zig-zag in
direzione opposta, alternandosi uno sopra e l’altro sotto il piano.
Le catene polipeptidiche possono essere:
- parallele: stesso orientamento del legame
carboammidico. Il gruppo amminico forma un
legame a H con il C=O dell’amminoacido
corrispondente della catena adiacente, il
gruppo C=O forma un legame a H con il
gruppo -NH dell’amminoacido posto due
residui avanti.
- antiparallele: orientamento opposto del
legame carboammidico

La struttura del grafico di Ramachandran è in una


porzione in cui i valori degli angoli di torsione sono ottusi.

Per il β-foglietto antiparallelo φ= -139 e ψ= +135


Per β-foglietto parallelo φ= -119 e ψ= +113
Gli angoli sono quindi ottusi, diversi dagli angoli acuti
dell’alpha-elica.

A fare da collegamento tra i diversi elementi della struttura secondaria ci sono:


1) RIPIEGAMENTI β: proteine globulari; molto comuni; collegano le estremità di
due segmenti adiacenti; ci sono di vari tipi:
- tipo uno: il più
frequente, con la Pro come residuo
più comune in posizione due
- tipo due: Gly in
posizione tre

2) ANSE: sono regioni che contengono residui in numero maggiore


al numero minimo necessario per connettere le regioni della
struttura secondaria; di conformazione irregolare; con un ruolo
fondamentale a livello biologico, infatti è coinvolto nel
meccanismo di interazione tra le proteine con le altre
molecole; in regioni più flessibili e più mobili
Ogni amminoacido ha una maggiore predisposizione a stare in
alpha-elica (Glu), beta-foglietto (Gly) o beta-turn (Pro).

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Struttura terziaria
Si origina dal ripiegamento nello spazio della catena polipeptidica. Si tratta della
corretta conformazione tridimensionale assunta da una proteina e dipende dalla
struttura primaria. Risulta essere indispensabile per la sua attività biologica.
Viene stabilizzata principalmente da legami non covalenti, come ponti a H,
interazioni idrofobiche tra amminoacidi polari e legami ionici. Può coinvolgere
anche legami covalenti, sotto forma di ponti disolfuro fra due cisteine.

Le interazioni che si instaurano a livello tridimensionale coinvolgono amminoacidi


non necessariamente vicini nella struttura primaria.

La struttura terziaria di una proteina è quella che, tra le numerosissime possibili, ha il


minor contenuto energetico che corrisponde alla massima stabilità della proteina.
Quando queste interazioni vengono meno, per esempio in presenza di elevate
temperature, di pH non ottimale o di detergenti, la struttura tridimensionale viene
persa, e la proteina va incontro a denaturazione, perdendo la sua attività biologica.

Gli elementi che stabilizzano la struttura terziaria sono:


a. PONTI DISOLFURO: tra residui di Cys con distanza di 2,2 Å e contribuiscono alla
stabilità della proteina con 167 KJ/mol
b. PONTI SALINI: tra acidi e residui basici con una distanza di 2,8 Å e
contribuiscono alla stabilità con un ridotto apporto energetico di 12,5-17
KJ/mol
c. PONTI A H: tra H e gruppi carbonilici
d. INTERAZIONI ELETTROSTATICHE A LUNGA DISTANZA
e. FORZE DI VAN DER WAALS
La stabilità di una proteina è definita come tendenza a mantenere una
conformazione nativa, che nasce dalla presenza di numerose interazioni di
amminoacidi di questa natura.

La variazione di energia libera tra una conformazione nativa (avvolta) e una


denaturata (non avvolta) è in genere compresa tra 20 e 65 KJ/mol.

Guardando alla struttura tridimensionale della mioglobina, essa è


una proteina globulare con residui idrofobici all’interno della
struttura, mentre quelli idrofilici sono all’esterno a contatto con

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l’ambiente acquoso. Nell’immagine: residui idrofobici all’interno (giallo) e residui
idrofilici all’esterno (azzurro).

Al contrario, le porine (proteine poste sulla membrana


biologica) sono di natura idrofobica e possiedono un
canale idrofilico per consentire il passaggio dell’acqua,
mentre l’ambiente esterno è idrofobico perché a contatto
con le membrane plasmatiche.

Le strutture terziarie sono molto diversificate, ma si può


trovare una logica nella loro architettura:
- alcuni elementi della struttura terziaria possono organizzarsi a dare motivi
strutturali o strutture supersecondarie
- più motivi possono unirsi e dare luogo a un dominio
- una molecola proteica può essere costituita da uno o più domini
I domini sono formati da diverse combinazioni di elementi della struttura terziaria e di
motivi.

Motivi
Le α eliche e i filamenti β costituenti i motivi sono adiacenti uno all’altro nella
struttura tridimensionale e connessi da regioni di loop; a loro volta, i motivi
adiacenti o formati da regioni consecutive della catena polipeptidica sono vicini
nella struttura tridimensionale.

Alcuni di questi motivi si possono associare ad una particolare funzione,


come ad esempio il legame del DNA, mentre altri non hanno una funzione
biologica specifica, ma sono semplicemente parte di organizzazioni strutturali
più ampie e complesse.

I principali motivi individuati nelle proteine sono:


- motivi α
- motivi β
- motivi α/β: motivi misti tra i due precedenti

MOTIVI α ELICA
I più comuni sono: α loop α ed EF hand.
1) α loop α:

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Il motivo α più semplice consiste di 2 α eliche antiparallele collegate da una regione
di loop, chiamato α hairpin.

La più breve connessione fra 2 α eliche coinvolge 2 amminoacidi, di cui


il secondo è sempre Gly, orientati perpendicolarmente agli assi delle
eliche. Le eliche risultano cosi’ antiparallele, e sono stabilizzate
dall’interazione dei loro macrodipoli.

Un particolare motivo α-loop-α è caratteristico di alcune proteine che


riconoscono e legano specifiche zone di DNA.

In particolare, una di queste 2 eliche si va ad inserire nel solco maggiore


del DNA, e riconosce le basi nucleotidiche, mentre l’altra interagisce
con i gruppi fosfato dello scheletro desossiribosio-fosfato.

2) EF hand:
Il secondo motivo α è specifico per il legame del calcio ed è
presente in proteine
che legano il calcio quali parvalbumina, calmodulina e
troponina C, che regolano l’attività cellulare.
Questo particolare motivo, trovato per la prima volta nella
parvalbumina, viene chiamato EF hand. Il loop tra le 2 eliche
lega lo ione Ca2+.
MOTIVI β
Il motivo β più semplice è quello costituito da 2 filamenti β antiparalleli
adiacenti collegati da un tratto di loop. Questo motivo, chiamato
β-hairpin o unità β−β, ricorre molto frequentemente nelle strutture β
antiparallele, come motivo isolato o come parte di un foglietto β più
complesso.
La lunghezza del tratto di loop tra i filamenti β è variabile, ma di solito è
costituito da 2-5 amminoacidi.

I motivi generalmente si combinano a formare strutture globulari compatte,


chiamate domini. Una proteina può essere costituita da uno o più domini.

I domini sono definiti come parte di una catena polipeptidica (o al limite l’intera
catena – caso particolare) che si ripiega indipendentemente in una struttura stabile.

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I domini possono essere unità funzionali; spesso a domini diversi di una proteina sono
associate funzioni diverse.

Struttura quaternaria
Le proteine che sono costituite da una sola catena polipeptidica sono chiamate
monomeriche.
Esiste un consistente numero di proteine costituite da un certo numero di catene
polipeptidiche identiche, chiamate subunità, che si associano in modo specifico a
formare una molecola multimerica. Si dice che queste proteine hanno una struttura
quaternaria.

Le zone di contatto fra le subunità sono costituite da catene laterali non polari e
caratterizzate da interazioni di van der Waals, legami idrogeno e talvolta ponti
disolfuro intercatena.

Le subunità possono funzionare in modo indipendente una dall’altra oppure in


modo cooperativo, così che la funzione di una subunità sia dipendente dallo stato
funzionale delle altre subunità. Altre proteine sono costituite da catene
polipeptidiche, e quindi da subunità, diverse, ciascuna con una diversa funzione.

EMOGLOBINA
Costituita da una struttura tetramerica (4 catene polipeptidiche 2 a e 2 β); i legami
che costituiscono la struttura quaternaria sono gli stessi per quella terziaria. Le
quattro catene polipeptidiche interagiscono tra di loro, infatti il legame di O a una
subunità determina delle variazioni conformazionali che si ripercuotono e si
estendono alle altre subunità, in questo modo si ha un legame cooperativo.

Solo mantenendo la sua struttura nativa una proteina può mantenere la sua
funzione biologica e la stabilità della struttura nativa dipende da diverse forze:
- effetto idrofobico: interazioni di Van Der Waals tra diversi amminoacidi
idrofobici
- interazioni elettrostatiche: tra amminoacidi carichi positivamente e carichi
negativamente
- ponti disolfuro: legami covalenti che stabilizzano la struttura
- presenza di ioni metallici
Ci sono situazioni che portano alla denaturazione delle proteine che avviene
attraverso l’alterazione degli equilibri tra le forze deboli, che stabilizzano la forma
nativa. Essa può avvenire:

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a) aumentando la T
b) diminuendo il pH
c) per la presenza di detergenti
d) per la presenza di agenti caotropici

La maggior parte delle proteine si denaturano al calore, che produce effetti


complessi sulle interazioni a livello del legame a H. Se la temperatura è fatta
aumentare lentamente, la conformazione di una proteina rimane intatta fino a una
temperatura in cui la struttura cambia bruscamente all’interno di uno stretto
intervallo di temperatura, la rapidità del cambiamento della struttura induce a
pensare che la perdita di questa sia un processo di tipo cooperativo.

Si parla di TM (temperatura di melting), ossia quel valore di temperatura alla quale il


50% della proteina è non ripiegata.

Le curve di denaturazione possono essere


fatte aggiungendo alla struttura nativa
concentrazioni crescenti di agenti caotropici,
come guanina, urea, e agenti chimici che
provocano la rottura dei legami covalenti
delle proteine. Queste sostanze vanno a
sostituire le molecole di H2O e alterano le
interazioni di Van Der Waals, che stabilizzano
la struttura proteica. Dalla curva si ricava la
Cm, ossia la concentrazione di denaturante utile a ottenere il 50% della proteina
denaturata.

Il processo di denaturazione è spesso reversibile, ed è


stato dimostrato ciò nel 1957 da Anfisen studiando la
ribonucleasi (con più di 100 amminoacidi). Egli dimostrò
che la sequenza degli amminoacidi contiene tutte le
informazioni necessarie per ottenere la conformazione
nativa. Nella realtà, non tutte le proteine sono in grado di
raggiungere da sole la conformazione nativa, ma
necessitano di altre proteine, anche se la sequenza
amminoacidica contiene tutte le informazioni necessarie
per il raggiungimento di tale struttura.

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Anfinsen ha utilizzato la ribonucleasi purificata per un esperimento in diverse tappe.
Ha denaturato la ribonucleasi in presenza di urea e β-mercaptoetanolo, che
permette di ridurre i 4 ponti disolfuro presenti nella ribonucleasi. Valuta l’attività
enzimatica presente nella proteina nativa e assente in quella denaturata. La
proteina denaturata è messa in un tubo da dialisi (sistema sul quale è possibile
cambiare il tampone del campione in analisi) e, attraverso la rimozione della urea
nel campione di dialisi e del β-mercaptoetanolo, è riuscito a recuperare la
ribonucleasi con ancora l’attività catalitica. Allontanando l’agente denaturante e
permettendo l’ossidazione dei ponti disolfuro, la ribonucleasi è in grado di
riacquistare attività catalitica.

Paradosso di Levinthal
Se consideriamo che ogni residuo amminoacidico abbia 10 conformazioni diverse,
un’ipotetica proteina con 100 AA può in linea teorica, assumere 10100 conformazioni.
Se il tempo per analizzare la singola conformazione fosse molto breve (10-13s) il
tempo necessario per analizzare tutte le conformazioni sarebbe dell’ordine di 1077
anni (in realtà una proteina di queste dimensioni impiega circa 5s). Quindi il
processo di ripiegamento non può essere un processo casuale in cui si provano
tutte le conformazioni possibili ma verranno mantenuti gli intermedi parzialmente
corretti.

Le proteine, per assumere la struttura corretta, non possono ripiegarsi provando tutte
le possibili conformazioni, è invece più probabile che seguano un processo di
ripiegamento già definito, costituito dal susseguirsi di intermedi la cui conformazione
è intermedia tra quella della proteina nativa e quella della proteina denaturata.
Per risolvere il paradosso si deve considerare la selezione cumulativa, ossia la
conservazione degli intermedi parzialmente corretti; essenziale è anche il
raggiungimento della struttura delle proteine affinché queste si ripieghino
correttamente e rapidamente.

Il raggiungimento della struttura avviene attraverso vie dirette, piuttosto che


attraverso la scelta casuale della struttura. Man mano che una proteina si ripiega la
sua stabilità conformazionale aumenta e la sua energia libera diminuisce.

MECCANISMO DI FOLDING
Alcune osservazioni sperimentali hanno indicato che il ripiegamento delle proteine
incomincia con la formazione di segmenti locali di struttura secondaria, questo è
molto precoce e rapido. Gran parte della struttura nativa delle proteine di piccole

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dimensioni compare in circa 5ms. Dal momento in cui le proteine hanno nuclei
idrofobici molto compatti, è molto probabile che ciò che favorisce il ripiegamento
proteico sia ciò che è nominato il “collasso idrofobico”. Lo stato collassato si dice
anche globulo fuso, la specie molecolare con gran parte delle strutture secondarie
della proteina nativa ma molto poco di quella terziaria.

Durante i successivi 5 ms la struttura secondaria inizia a stabilizzarsi, mentre quella


terziaria inizia a prendere forma, nel corso dello stadio intermedio si pensa che gli
elementi propri dello stato nativo assumano un aspetto di sottodomini non ancora
uniti che solo successivamente danno origine a domini veri e propri.

Nello stadio finale del folding la proteina subisce una serie di complesse
modificazioni in cui si ha il completo impacchettamento delle sue catene laterali e
la formazione dei suoi ultimi legami a H, e anche le molecole di H2O rimaste nel
nucleo idrofobico sono espulse.

Il raggiungimento del corretto folding, così come la denaturazione, sembra essere


un processo cooperativo in cui piccoli elementi di struttura accelerano il
raggiungimento delle conformazioni successive.

Una proteina che si ripiega procede da uno stato a elevata


energia e alta entropia a uno con bassi valori di energia ed
entropia, e questo collegamento tra entropia ed energia è
riportato dai grafici “imbuti di ripiegamenti”. Un polipeptide
non ripiegato esibisce numerose conformazioni possibili e
quindi ha un’alta entropia e larga, a livello dell’imbuto. Man
mano che si ripiega la sua entropia e l’energia libera
diminuiscono, raggiungendo un minimo energetico.

La proteina, passando dallo stato denaturato fino alla conformazione nativa


procede da uno stato ad alta entropia (grande ampiezza) a una conformazione
con bassa entropia e diminuzione di energia libera. La curva del diagramma
presenta incavi, le fenditure/gole più piccole rappresentano le conformazioni
acquisite sufficientemente stabili per cui, attraverso l’attivazione termica, riescono a
scollinare e convogliare negli stati più basso di energia e quindi verso conformazioni
sempre più stabili.

A seconda del tipo di proteina, i grafici assumono varie forme:

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1. imbuto semplice: proteina con vie multiple di ripiegamento ma che assume
la sua struttura tridimensionale senza la formazione di intermedi del processo
di folding particolarmente stabili

2. imbuto B: molteplici intermedi e stabilità raggiunta attraverso il


percorso in diverse vie, che porta al raggiungimento della
struttura nativa a livello del minimo energetico

3. imbuto con depressione stretta: porta al raggiungimento


della struttura nativa stabile senza raggiungere l’intermedio
dotato di significativa stabilità

4. imbuto con depressione che circonda la depressione che


porta al raggiungimento della struttura nativa: presente su
ogni via che porta alla formazione della struttura nativa
Una volta che la proteina ha raggiunto la conformazione nativa
non è una struttura rigida e priva di movimento, ma la struttura raggiunta è
comunque molto mobile e flessibile.

Tutte queste considerazioni sono state formulate a partire dalle proteine isolate,
nella cellula il processo è più complesso. Il processo di folding in vivo può iniziare
prima che la sintesi della proteina sia conclusa, quando la catena nascente è
ancora legata al ribosoma. Altre proteine invece, completano la maggior parte del
loro ripiegamento nel citosol, dopo aver lasciato il ribosoma; altre, invece, si
ripiegano in specifici compartimenti, quali mitocondri o RE, dopo la traslocazione
attraverso le membrane. Ma dal momento che le molecole proteiche, non ancora
strutturate, espongono inevitabilmente al solvente regioni che normalmente sono
nascoste nello stato nativo, possono interagire con altre molecole presenti
nell’affollato ambiente cellulare.

Nella cellula ci sono proteine che favoriscono la formazione della struttura nativa, gli
chaperon molecolari. Si tratta di proteine essenziali che legano catene
polipeptidiche non ancora ripiegate con lo scopo di prevenire l’associazione non
corretta di segmenti idrofobici esposti, che potrebbero condurre a ripiegamenti non
nativi o per evitare la precipitazione di polipeptidi. Inoltre, gli chaperon molecolari
agiscono anche su proteine ripiegate in modo sbagliato inducendone il
riavvolgimento. Ne sono stati individuati vari tipi, dei quali i due principali sono:

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a) Chaperoni di prima classe: HSP 70 (heat shock protein)
- proteine monomeriche altamente conservate
- si legano a regioni non ripiegate di un polipeptide impedendo
un’aggregazione non corretta
- bloccano il ripiegamento di proteine che devono essere traslocate attraverso
membrane
- facilitano l’organizzazione quaternaria di proteine oligomeriche
b) Chaperoni di seconda classe: chaperonine, complessi proteici necessari al
ripiegamento di un certo numero di proteine cellulari che non si avvolgono
spontaneamente. Nell’Escherichia Coli si richiede il sistema di chaperonine,
chiamato Gro EL/Gro ES; mentre negli eucarioti il sistema è Hsp 60.

Gro EL/Gro ES
Gro EL ha 14 subunità identiche di 549 amminoacidi, una struttura a 2 anelli di 7
subunità (Hsp 60); Gro ES ha 7
subunità di 97 amminoacidi,
con una struttura a cupola (Hsp
10). Ciascuno dei due anelli Gro
EL ha all’interno una cavità con
diametro di circa 45 Å, su cui le
proteine parzialmente
strutturate riescono ad
avvolgersi per raggiungere la conformazione nativa. Tra i due Gro EL esiste una
catena centrale che impedisce alla proteina in fase di ripiegamento di passare tra
le due camere di Gro EL.
L’anello di Gro EL a contatto con Gro ES è cis, mentre quello opposto è trans.
Ciascuna subunità di Gro EL ha una tasca che lega l’ATP che catalizza l’idrolisi di ATP
ad essa legato, formando ADP + fosfato; questa reazione libera energia necessaria
per il folding.

Una proteina non ripiegata viene inizialmente legata a una superficie idrofobica
esposta vicino all’estremità di una camera Gro EL, dunque la proteina è
intrappolata nella camera dove transitoriamente si alloggia il “coperchio”, costituito
da Gro ES. Gro EL va incontro a una forte variazione conformazionale, ma
soprattutto dovuta all’idrolisi di ATP, che regola il rilascio e il legame con Gro ES
stesso. All’interno della camera, una proteina ha a disposizione 10s per ripiegarsi
(tempo corrispondente all’idrolisi dell’ATP legato). Costringe la proteina a rimanere

21
all’interno di una camera e impedisce un’inappropriata aggregazione della
proteina.

L’idrolisi dell’ATP crea una modificazione


conformazionale che fa in modo che la cavità centrale
si restringa e anche lo spazio conformazionale, che può
essere essere esplorato da un polipeptide che si sta
ripiegando. La proteina viene rilasciata quando il
cappuccio Gro ES si dissocia, esso però si può rilegare
molto velocemente per ricominciare un nuovo ciclo, se
il ripiegamento non è stato portato a termine.

Le due camere presenti nel complesso Gro EL si


alternano nel legare e rilasciare i substrati polipeptidici
non ripiegati, lavorando in modo concertato e
alternativo.
Il percorso che porta al folding richiede anche la
presenza di due enzimi, che catalizzano la reazione di
isomerizzazione:
1. PDI (proteina disolfuro isomerasi) ⇒ catalizza la rottura di ponti disolfuro e la
riformazione di nuovi ponti. Si lega a una vasta gamma di polipeptidi non
ripiegati correttamente,
attraverso una zona
idrofobica con un residuo
di cisteina con un gruppo
tiolico in forma ridotta,
che reagisce con un
gruppo disolfuro del
polipeptide, per dare
origine a un ponte
disolfuro misto e alla liberazione di un residuo di Cys sul polipeptide. Un altro
gruppo disolfuro situato sul polipeptide è portato in vicinanza da un
ripiegamento spontaneo e subisce un attacco da parte dell’-SH di una Cys
libera. Il nuovo gruppo -SH libera e ripete poi tale processo con un altro ponte
disolfuro e così via. Quando il polipeptide contiene solo ponti disolfuro nativi
l’enzima viene rigenerato.

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2. PPI (peptide prolil cis-trans isomerasi) ⇒ catalizza la conversione dei legami
peptidici cis e trans della prolina che caratterizza la fase lenta del processo di
folding

Ci sono esempi che mettono in discussione l’universalità del concetto che ogni
sequenza amminoacidica corrisponda un’unica struttura, anche in condizioni
fisiologiche. Tra questi esempi ci sono le proteine costitutivamente prive di struttura
(IUP), ossia proteine che, in parte o completamente, non presentano una ben
definita struttura tridimensionale in condizioni fisiologiche.
Queste proteine assumono una struttura definita solo quando interagiscono con
altre proteine o ligandi specifici.

Un altro esempio sono le proteine metamorfiche che possono assumere numerose


strutture con energia simile e tutte in equilibrio tra di loro. Piccole molecole o altre
proteine possono legarsi a un particolare membro del gruppo, formando dei
complessi che svolgono funzioni biochimiche, che dipendono dal tipo di partner
che è entrato a far parte del complesso. Un esempio è la citochina linfotactina; le
citochine sono molecole di segnale del sistema immunitario che si legano a
determinati recettori proteici sulla superficie delle cellule del sistema immunitario,
innescando una risposta immunologica.
La linfotactina presenta due diverse strutture che sono in equilibrio, una tipica delle
chemochine, costituite da tre catene a foglietto e da una a elica C-terminale, e
una struttura che si lega al
recettore e lo attiva; la
struttura alternativa è un
dimero di soli foglietti.
Quando la linfotactina si
trova in detta struttura si
lega a glicosaminoglicani
(carboidrati complessi).
Quando la struttura è quella
della chemochina non c’è il legame con i glicosaminoglicani; mentre quando la
struttura è di soli foglietti non si ha il legame con il recettore.

L’obiettivo delle proteine IUP e delle proteine metamorfiche è quello di ampliare la


capacità del genoma di codificare le proteine. Un gene può codificare una singola
proteina che presenta più strutture e più funzioni.

23
MALATTIE CONFORMAZIONALI
Le proteine parzialmente denaturate o sono rinaturate da chaperoni, o degradate
oppure aggregate in fibre insolubili (amiloidi); in questo caso si va incontro alle
malattie conformazionali, le cui più famose sono le amiloidosi. Le amiloidosi sono un
gruppo eterogeneo di patologie, causate da un accumulo di materiale proteico
allo stato fibrillare in diversi organi . Le proteine responsabili di queste patologia
hanno, allo stato fisiologico, sia una funzione sia una struttura secondaria o terziaria
molto differente.
Allo stato fisiologico convergono nella forma amiloide; le analisi molecolari,
effettuate ai raggi X di queste fibrille amiloidi, hanno permesso di costruire modelli di
fibre in cui si vede la presenza del foglietto β disposte perpendicolarmente all’asse
delle fibre.

Queste fibrille amiloidi sono riconoscibili con il microscopio elettronico o con la


colorazione rosso congo, che conferisce particolarità tintoriali alla luce polarizzata
(virano al verde).

Esistono più di 30 proteine nell’uomo che danno patologie amiloidi, (depositi


extracellulari di specifici tessuti di proteine, normalmente solubili, che formano fibrille
amiloidi). Le amiloidosi sono spesso associate a proteine mutanti (folding alternativo
a quello fisiologico). Si tratta di malattie familiari.

FUNZIONI BIOLOGICHE DELLE PROTEINE


Le proteine possono essere degli enzimi (catalizzatori biologici, tra i quali l’alcol
deidrogenasi, la tripsina, la catalasi), oppure possono avere la funzione di
degradazione (es. l’insulina, l’ormone che regola il metabolismo del glucosio; il
repressore LAC, che regola l’espressione genica), oppure possono fungere da
trasportatori (come l’emoglobina, che trasporta l’O2), o possono avere funzione di
riserva (come l’ovoalbumina, riserva proteica, nell’uovo, per lo sviluppo del volatile),
altra funzione è quella della contrattilità (es. actina e miosina deputate alla
contrazione muscolare), funzione strutturale (collagene nelle articolazioni e ossa,
l’elastina), funzione di difesa (vedi le immunoglobuline, anticorpi; il fibrinogeno e la
trombina, che fanno parte della cascata della coagulazione, proteine dei veleni di
serpenti e api).

Le proteine si possono dividere in due grosse categorie:


1. FIBROSE:
- hanno catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci e foglietti

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- in genere presentano un unico tipo di struttura secondaria
- sono insolubili in H2O per la presenza di elevati numeri di amminoacidi
idrofobici
- le catene polipeptidiche si associano in complessi sopramolecolari in modo
da nascondere al solvente le superfici idrofobiche
- sono adatte a ruoli strutturali
2. GLOBULARI:
- catene polipeptidiche ripiegate, assumono una forma compatta, sferica o
globulare
- generalmente contengono più tipi di strutture secondarie
- sono solubili in acqua
- comprendono: enzimi, ormoni, proteine di trasporto, proteine di deposito,
proteine regolatrici

Consideriamo le proteine fibrose aventi un ruolo strutturale in tutte le cellule e tessuti


animali; tra le più importanti: miosina (muscoli); fibrina (coaguli di sangue);
α-cheratina (capelli); collagene (tendine, tessuto connettivo, cartilagine);
β-cheratina (piume, scaglie); fibroina (seta); elastina (tessuto estensibile, legamenti,
vasi sanguigni).

a-cheratina
Importante proteina fibrosa con struttura supersecondaria che si chiama
"coiled-coil" (avvolgimento avvolto). Ogni molecola è costituita da 310
amminoacidi che formano la superelica coiled-coil con entrambe le estremità N e
C-terminali globulari (2 eliche che si superavvolgono per dare origine al coiled-coin).

Questo superavvolgimento si assembla a dare


un protofilamento (30 Å di diametro) ed è
costituito da due file antiparallele di
supereliche allineate in modalità testa-coda.
Due protofilamenti formano la protofibrilla e
quattro di essi danno la miofibrilla.
L’a-cheratina è ricca di Cys, che formano
ponti disolfuro che collegano le catene
polipeptidiche adiacenti, rendendola insolubile e resistente all’allungamento.

L’a-elica coiled-coil è un motivo strutturale costituito da 2 o 3 a-eliche che si


attorcigliano a formare una superelica sinistrorsa. Il motivo di base dell’a-elica

25
coiled-coil è la ripetizione di un eptapeptide (7 AA), in cui spesso le posizioni 1 e 4
sono occupate da amminoacidi idrofobici, attraverso i quali le a-eliche
interagiscono. Le forze di Van der Waals tra questi amminoacidi danno stabilità
all’elica.

Il capello (circa 20 micron di diametro) è costituito da a-cheratina che presenta una


sorta di gerarchia di strutture: microfibrille (80 Å diametro) e macrofibrille (2000 Å
diametro). Quando i capelli sono
disposti al vapore acqueo le a-eliche
delle a-cheratine possono essere
stirate fino ad assumere una
conformazione completamente
estesa. In seguito al raffreddamento,
esse riacquistano spontaneamente la
conformazione ad a-elica. Queste
caratteristiche delle a-cheratine e dei
ponti disolfuro sono alla base della
permanente.

Fibre muscolari
I muscoli volontari, tra cui quelli
scheletrici, hanno un aspetto
striato, perché formati da
lunghe cellule polinucleate
(fibre muscolari), che
contengono fasci paralleli di
miofibrille. All’interno di queste
ultime si trova l’unità fondamentale del muscolo, sarcomero, disposto accanto agli
altri forma dei fasci contrattili, chiamati miofibrille, avvolte da una membrana,
chiamata sarcolemma.

Il sarcomero è costituito da due proteine principali:


miosina e actina, e appare, al microscopio elettronico,
formato da bande costituite da regioni alternate di
densità elettronica maggiore e minore, dette bande A
e I. L’unità ripetuta della miofibrilla, sarcomero, è
legata da dischi Z al centro di ciascuna banda I; la
banda A ha un centro sulla zona M che, a sua volta,

26
ha un centro sul disco M. La banda A contiene i filamenti spessi, mentre la banda I i
filamenti sottili. I filamenti spessi e sottili sono formati rispettivamente da miosina
(spessi) e actina (sottili).

I filamenti sottili sono formati da due catene proteiche avvolte a spirale, mentre
quelli spessi sono formati da più fasci di miosina, a loro volta formati da due catene
proteiche.

Durante il processo di contrazione si ha


lo scorrimento dei filamenti sottili su
quelli spessi, un muscolo contratto
può essere fino a ⅓ più corto della sua
estensione a riposo; infatti la
contrazione deriva dalla diminuzione
di lunghezza del sarcomero (per
riduzione della banda I e della zona
H).

I filamenti spessi sono costituiti da


miosina formata, a sua volta, da sei subunità: 2 catene pesanti (220 KDa) e 4
catene leggere (15-22 KDa). La struttura della proteina dipende, in gran parte, dalle
catene pesanti. Nella regione C-terminale esse formano supereliche coiled-coil con
andamento sinistrorso; mentre nella regione N-terminale ciascuna regione pesante
forma un dominio globulare, sede del sito in cui avviene l’idrolisi dell’ATP.

Le catene leggere sono associate ai


domini globulari, quando la miosina viene
trattata da una proteasi, come la tripsina.
La maggior parte della coda fibrosa è
rimossa e si formano 2 segmenti:
meromiosina pesante e meromiosina
leggera. Se sottoponiamo ulteriormente a
un’altra proteasi questa miscela con
papaina si libera, dalla meromiosina
pesante, un dominio globulare, che si
chiama S1 (subframmento 1/testa della miosina), esso rappresenta il motore
molecolare che rende impossibile la contrazione muscolare.

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I filamenti sottili sono costituiti da actina, proteina che può esistere in due forme:
actina G (globulare), che poi dimerizza formare l’actina F (filamentosa). Due catene
di actina F si avvolgono e formano una struttura elicoidale. La G actina si lega a fare
fibre, legando ATP che si idrolizza e ADP rimane legato. Ogni monomero ha dei siti di
legame Ca2+. Durante la contrazione muscolare la testa di miosina interagisce con il
filamento di actina. I filamenti sottili sono anche formati dal complesso di
tropomiosina e troponina. La tropomiosina è un omodimero, con 2 a-eliche in
coiled-coil, posizionata
lungo la scanalatura di
actina, nasconde, in
assenza di contrazione, il
sito di legame della
miosina. La troponina è invece divisa in tre parti, la C lega il Ca, la T lega la
tropomiosina e la I l’actina.

Il complesso regola la contrazione muscolare, controllando l’accesso delle teste


della miosina ai loro siti di legame sull’actina.

Il processo di contrazione muscolare è associato all’idrolisi dell’ATP, nucleotide


trifosfato, in grado di idrolizzarsi ad ADP + fosfato (reazione che libera 30 kJ/mol: il
prodotto che si ottiene, fosfato, è stabilizzato per risonanza e le cariche negative
sono distribuite in modo differente). L’idrolisi dell’ATP libera l’energia sufficiente per
generare la contrazione muscolare. La testa della miosina lega una molecola di ATP
e lo stato di legame di ATP e idrolisi di ATP in ADP e il rilascio di ADP creano delle
modificazioni conformazionali, che inducono a riduzioni dell’affinità, nei confronti
dell’actina, il recupero dell’affinità e lo spostamento della testa della miosina
all’interno del sarcomero.

Quando l’ATP non è legata alla miosina, un sito che si trova nella testa della miosina
si lega molto saldamente all’actina, quando l’ATP si lega alla miosina viene
idrolizzato ad ADP + fosfato e ha inizio il ciclo vero e proprio, che comporta una
serie di variazioni conformazionali coordinate, in cui la miosina rilascia la subunità
dell’actina e si lega a un’altra subunità, in posizione più
avanzata lungo il filamento sottile. Il ciclo è diviso in quattro
tappe principali:
1) l’ATP si lega alla miosina, provocando la rottura
dell’interazione tra actina e miosina, quindi le due
proteine si dissociano

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2) il sito attivo della miosina (diverso da quello che
lega l’actina) idrolizza l’ATP, questo comporta un
cambiamento conformazionale che porta al
piegamento all’indietro della testa della miosina

3) l’idrolisi dell’ADP + Pi favorisce una diminuzione di


affinità della miosina nei confronti dell’actina, che
quindi si dissocia. Questo cambiamento
conformazionale prevede anche il rilascio di fosfato,
con un conseguente aumento dell’affinità per
l’actina

4) il rilascio di Pi scatena il “colpo di forza”:


modificazione conformazionale della miosina, che
porta al movimento dell’actina sulla miosina, viene
rilasciato ADP e si torna al punto di partenza

In ogni ciclo sono prodotti da 3 a 4 pN di forza e i filamenti


sottili si spostano rispetto a quelli spessi i 5/10 nm.

Essendoci molte teste di miosina a livello del filamento spesso, in qualsiasi momento
alcune di esse sono legate ai filamenti sottili e questo impedisce che i filamenti spessi
scivolino all’indietro quando la testa della miosina si dissocia dall’actina a cui era
legata (i due filamenti riescono a scorrere uno sull’altro). Il movimento coordinato di
molti sarcomeri, in una fibra muscolare, produce l’accorciamento e quindi la
contrazione.

La concentrazione di ATP a livello cellulare è pari a 3 mM, ma esiste una riserva


energetica sottoforma di fosfocreatina che, nel muscolo, può arrivare a una
concentrazione pari a 30 mM. L’ATP, durante il riposo, reagisce con la creatina
attraverso un enzima, creatina chinasi, a dar luogo alla fosfocreatina. Quando
avviene la contrazione muscolare la reazione può avvenire al contrario, la
fosfocreatina, in presenza di ATP, si trasforma in ATP e quindi la fosfocreatina può
essere considerata una riserva energetica, convertita all’occorrenza durante la
prima fase di contrazione muscolare anaerobica in ATP.

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L’interazione tra actina e miosina deve essere regolata in modo che la contrazione
avvenga solo in risposta a un segnale appropriato proveniente dal SN. La
regolazione è mediata dal complesso tropomiosina-troponina; la tropomiosina si
lega ai filamenti sottili e blocca i siti di legame per le teste della miosina, la
troponina lega il Ca2+. L’impulso nervoso causa il rilascio di ioni Ca2+ dal reticolo
sarcoplasmatico, il Ca2+ si lega alla troponina e causa una variazione
conformazionale del complesso tropomiosina-troponina, che fa in modo che
vengano esposti i siti di legame della miosina sui filamenti sottili a livello dell’actina
e quindi può dare inizio alla contrazione.

Si ha un utilizzo diagnostico della troponina cardiaca, la composizione


dell’amminoacido è diversa rispetto a quella del muscolo scheletrico. Ci si serve di
un metodo diagnostico per dosarla a livello ematico, durante l‘infarto del miocardio
la troponina aumenta di concentrazione a livello ematico (anni 2000: dosaggio
della troponina circolante nella diagnosi dell’infarto del miocardio).

COLLAGENE
Si tratta della proteina più abbondante presente nei vertebrati. Le fibre di collagene
sono resistenti e insolubili, e sono i principali componenti dei tessuti connettivi, come:
ossa, denti, cartilagine, tendini, matrice fibrosa della pelle e pareti dei vasi sanguigni
in grado di resistere agli stress meccanici.

I mammiferi possiedono circa 30 tipi di catene di collageno. Il tipo I rappresenta il


90% del collagene totale ed entra nella composizione dei principali tessuti
connettivi, come pelle, tendini, ossa e cornea. ll tipo IV è un componente della
membrana basale.

I diversi tipi di collagene possono avere localizzazioni differenti e anche strutture


differenti. Si distinguono tre strutture principali. Ci sono collageni che formano fibrille,
collageni che formano reticolati e collageni associati alle fibrille.
Per quanto riguarda i collageni che formano le fibrille, abbiamo il più abbondante,
che è il collagene di tipo I e rientra nella struttura di pelle, ossa, tendini, vasi
sanguigni e cornea. Il collagene di tipo II, che fa parte delle cartilagini e del corpo
vitreo. Il collagene di tipo III, che fa parte dei vasi sanguigni e della pelle fetale.

Il collagene è visibile a livello del microscopio elettronico, con caratteristica


bandeggiatura. La fibra del collagene consiste di 3 catene polipeptidiche, avvolte
l’una intorno all’altra a formare la tripla elica del collagene. L’unità strutturale del

30
collageno è il tropocollageno. Le eliche polipeptidiche sinistrorse si avvolgono l’una
sull’altra formando una struttura superelicoidale destrorsa.

Il collagene ha una composizione in amminoacidi caratteristica: circa un terzo


dei suoi residui sono Gly; un altro 15-30% è costituito da Pro e 4-idrossiprolina (Hyp).
Sono presenti in quantità minori 3-Hyp e 5-idrossilisina (Hyl). Tali residui si formano
dopo la sintesi della catena polipeptidica. Ciascuna catena a possiede una
struttura ripetitiva di un’unità tripeptidica, Gly-X-Pro oppure Gly-X-4 Hyp.

La struttura primaria peculiare del collagene è in grado di generare un’elica con


andamento sinistrorso, per ogni giro dell’elica ci sono circa 3,3 residui (tale elica si
differenzia dall’a-elica infatti, all’interno di ogni catena, sono assenti i legami a H).
Ciascuna elica sinistrorsa si associa ad altre due a formare la tripla elica con
andamento destrorso. Le tre eliche sono unite tra loro attraverso dei legami a H alla
cui formazione partecipano i residui di Gly e Hyp.

L’atomo di C in alpha, di un residuo di Gly, è indicato con la


lettera G (fig.), ogni 3 amminoacidi
deve esserci necessariamente una
Gly, in quanto all’interno della elica
non c’è spazio per nessun altro
residuo. Gli anelli pirrolidinici della
Pro sporgono verso l’esterno. Vediamo inoltre come il
legame a H si forma tra -NH di un residuo di Gly e C=O di un
altro amminoacido. Guardando al grafico di
Ramachandran, gli angoli torsionali nella tripla elica
collagenica sono permessi.
La sintesi del collagene avviene nei fibroblasti in due fasi:
1. INTRACELLULARE ⇒ produzione di pro-collageno da un precursore, che viene
prima idrossilato, poi glicosilato e successivamente organizzato nella tripla
elica caratteristica del collageno, in seguito la molecola viene escreta
2. EXTRACELLULARE ⇒ proteolisi alle estremità N e C terminale con trasformazione
del pro-collageno in tropocollageno. Si generano legami crociati tra le fibrille
per formare le fibre di collageno

Fase intracellulare ed extracellulare


Si ha la traduzione, a livello del ribosoma, di una molecola di pre-procollagene
(sottoposto a modificazioni post-traduzionali, che comportano l’idrossilazione delle

31
Pro e delle Lys, per formare idrossiproline e idrossilisine; si ha il rilascio, da parte del
ribosoma, di una molecola non ancora definita e si ha l’aggiunta di zuccheri nel
reticolo citoplasmatico: PRE-COLLAGENE).

Il pre-collagene forma una tripla elica non ancora matura che presenta dei domini
globulari all’estremità C e N-terminale. Questa struttura trimerica è secreta a livello
extracellulare, in cui sono rimossi i domini N e C-terminale, dando origine alla
struttura tropocollageno. Il tropocollagene si organizza in fibrille, stabilizzandosi,
formando dei ponti crociati tra le diverse molecole di tropocollagene.

Nella prima tappa di maturazione del collagene si ha


l’idrossilazione delle Pro e Lys a opera degli enzimi
prolil-4-idrossilasi e lisil-idrossilasi. La prolil-4-idrossilasi
catalizza l’idrossilazione della Pro con l’intervento dell’O2
molecolare e di alpha-chetoglutarato, che subisce una
decarbossilazione ossidativa. La reazione non richiede acido
ascorbico, esso è necessario per mantenere il Fe allo stato
ridotto. L’enzima prolil-4-idrossilasi è una diossigenasi (usa
una molecola di O2 e richiede la presenza di Fe2+, ridotto per
attivare l’O2), l’estremità è un tetramero con subunità α2β2. Ciascuna subunità
contiene Fe2+. Per garantire lo stato di ossidazione e impedire che l’ossigeno
molecolare ossidi il ferro è necessaria la presenza della vitamina C (antiossidante), in
assenza di essa insorge lo scorbuto, che porta alla desquamazione della pelle e
alterazione dei tessuti connettivi e dei
collageni.
La lisil-idrossilasi ha lo stesso meccanismo
d’azione, è una diossigenasi che utilizza l’O2
come fonte di idrossili e richiede, anche in
questo caso, la presenza di acido ascorbico.

Un’altra tappa per la maturazione della fibra collagenica è rappresentata dalla


formazione di legami covalenti crociati. Tali legami di tipo insolito si stabiliscono tra
le catene α all’interno di una molecola di collagene e le molecole di collagene di
una fibra. Quantità e tipo di legami crociati varia con il tipo di tessuto e l’età. Tali
legami coinvolgono residui di Lys, HyLys e His. Più il tessuto è vecchio e maggiore è il
numero di legami crociati. La fragilità e la rigidità del tessuto connettivo delle
persone anziane derivano dall’accumulo dei legami crociati nelle fibre di
collagene.

32
Il collagene è una molecola a forma di bastoncino con un PM di circa 300000 Da,
con lunghezza di 3000 Å, spessore 15 Å. I 3 polipeptidi avvolti coiled-coil hanno
lunghezza simile (circa 1000 aa) ma possono avere sequenze amminoacidiche
diverse.

Nelle fibre le unità di collageno sono disposte in file parallele adiacenti. Le unità di
ciascuna fila sono separate da spazi fissi e disposte in modo sfalsato rispetto alle
unità della fila adiacente → tipiche striature trasversali al microscopio elettronico. Le
molecole di collageno sono unite da legami crociati che ne aumentano la forza.
L’allineamento e il contenuto dei legami crociati varia da tessuto a tessuto.

Esistono malattie rare ed ereditarie a carico del collagene, per esempio, le


mutazioni a livello del collagene di tipo I portano alla osteogenesi imperfetta, la cui
gravità varia con la natura e la posizione della mutazione presente. Persino una
singola sostituzione amminoacidica può portare a conseguenze letali. Le mutazioni
possono influire sulla conformazione della molecola, del collagene o sulla comodità
di assemblaggio delle fibrille. Tali mutazioni sono dominanti poiché incidono o sul
ripiegamento della tripla elica o sulla riproduzione delle fibrille, persino quando sono
implicate delle catene normali. Nel caso dell’osteogenesi imperfetta sono stati
indicati 4 tipi, e una sua conseguenza è l’estrema fragilità ossea.

Anche una sola sostituzione amminoacidica può dare origine a conseguenze


importanti. Se la sostituzione è a livello di una Gly centrale con una Ala, l’elica del
collagene internamente può subire una modificazione. Si ha infatti la rottura del
legame a H tra lo scheletro -NH dell’Ala e il gruppo carbonilico della Pro adiacente,
di una catena vicina. In questo modo si riduce la stabilità della struttura del
collagene.
Numerose malattie a carico del collagene sono caratterizzate dalla carenza nella
quantità sintetizzata di un particolare tipo di collagene o da un’attività anomala
degli enzimi che agiscono a livello del collagene stesso (es. lisil-idrossilasi o
lisil-ossidasi).

Le sindromi di Ehlers-danlos sono un gruppo di dieci differenti malattie causate dalla


scarsità di collagene, tutte caratterizzate dalla iperestensibilità delle articolazioni e
della cute.

EMOGLOBINA e MIOGLOBINA

33
La mioglobina è la prima proteina di cui è stata identificata la struttura mediante la
cristallografia ai raggi X. Si tratta di una piccola proteina che lega l’ossigeno con un
meccanismo semplice. L’emoglobina è un tetramero, costituito da polipeptidi simili
alla mioglobina ma è molto complessa, perché possiede un sistema sofisticato per
garantire il trasporto dell’ossigeno ai tessuti.

I vertebrati si servono di esse per rifornire i loro tessuti di ossigeno. L’emoglobina


trasporta l’ossigeno dai polmoni o bronchi ai tessuti, dove è utilizzato per il
metabolismo aerobico a livello dei mitocondri. All’interno delle cellule, l’ossigeno
disciolto diffonde liberamente o viene legato alla mioglobina, che aiuta nel
trasporto dell’O2 ai mitocondri. La mioglobina può anche immagazzinare ossigeno
per un uso successivo, come nei mammiferi che nuotano in profondità. La CO2,
prodotta nei tessuti dai processi ossidativi, è trasportata dall’emoglobina ai polmoni
o alle branchie e rilasciata.

La mioglobina (Mb):
- proteina monomerica
- capace di legare o liberare O2 a seconda della sua concentrazione nel
citoplasma delle cellule muscolari
- presenta una catena polipeptidica e un sito di legame per l’ossigeno, al
contrario dell’emoglobina
L’emoglobina (Hb):
- costituita da quattro catene globiniche, contenenti ognuna un sito di legame
per l’O2 e a due a due uguali
- una proteina in grado di legare molecole di O2 a livello polmonare e di
trasportarlo nel sangue fino ai tessuti ed alle cellule che si trovano ad
immediato contatto del letto capillare del sistema vascolare
- è in grado di trasportare dai tessuti ed organi periferici fino ai polmoni, CO2 e
protoni (H+)

Il legame dell’O2 da parte di Mb e Hb è mediato da un


gruppo prostetico, chiamato EME. Il gruppo prostetico è
una molecola, di natura non proteica, necessaria per il
meccanismo d’azione della proteina. Il gruppo EME è
derivato di una protoporfirina, formata da quattro anelli
pirrolici legati tra di loro a dare un anello pirrolico, collegati
4 gruppi metilici, 2 vinilici e 2 propionici. L’atomo di Fe
forma sei legami di coordinazione, i primi quattro con gli

34
atomi di N dell’anello pirrolico, mentre gli altri due legami
addizionali si trovano su ciascun lato del piano dell’EME. Il quinto
legame è con un residuo di Hys (istidina prossimale) e il sesto è
fatto con l’ossigeno o altre molecole. Il Fe nel gruppo EME deve
essere un Fe2+, perché come Fe3+ non è in grado di legare
l’ossigeno.

La coordinazione a sei legami di coordinazione dello ione Fe implica che quattro


atomi di N della protoporfirina siano quasi sullo stesso piano, mentre un’Hys occupa
una delle due posizioni assiali, mentre l'altra è occupata dall'ossigeno.

L’EME si trova in una tasca idrofobica, è in maniera perpendicolare e prende


contatto con l’Hys prossimale, che rappresenta il quinto legame di coordinazione
che tiene in equilibrio il gruppo EME. Dall’altra parte è presente il sito di legame
dell’O2, coordinato da un altro residuo di Hys (istidina distale). L’istidina prossimale e
distale hanno una sigla, F8 e E7, che significa che sono costituite da 8 a-eliche,
denominate dalla lettera A alla lettera H. L’istidina prossimale è l’ottavo residuo
sull’a-elica F, mentre quella distale è il settimo residuo sull’a-elica E.

Quando il Fe interagisce con una molecola di O2 si forma un legame a H tra l’O2 e


l'Hys distale. L’Hys distale ha un compito
importante perché l’ossigeno, in assenza di
essa, sarebbe in grado di strappare 1e- al Fe,
passando allo stato Fe3+ e in questo modo
potrebbe legare l’O2 e inoltre formerebbe un
radicale superossido, tossico per la cellula. La
funzione dell’interazione Fe-Hys distale è che l’N
dell’Hys distale funge da elettrondonatore e consente di compensare l’effetto
elettronattrattivo dell’O2. In questo modo Fe rimane allo stato ridotto. L’ossigeno
diventa meno ossidante. Il legame tra l’Hys distale e l’O2 non è fisso ma l’Hys distale
funziona come una porta che continua ad aprirsi e chiudersi (l’O2 entra ed esce
dalla tasca dell’EME). La molecola è quindi molto mobile e non rigida.

L’EME è una tasca idrofobica, si ha la vicinanza di un residuo di Val (E11) e della Phe
(CD1), che portano a questa tasca idrofobica stericamente ostruita. Ciò fa in modo
che, all’interno della tasca EME, entri solo l’O2. Le caratteristiche dette l’EME valgono
sia per Mb che per Hb.

35
Mioglobina
La mioglobina fa parte delle globine, vasta famiglia di
proteine i cui membri hanno struttura primaria e terziaria
molto simili. Le globine sono presenti negli eucarioti e anche
in alcuni batteri. La maggior parte di queste proteine svolge
la funzione di trasporto e immagazzinamento di O2, alcune si
comportano come sensori della concentrazione di O2 e di
altri gas.

La mioglobina è un’unica catena polipeptidica di circa 153 AA e 16000 Da, con un


gruppo EME. Tutte le globine hanno una catena polipeptidica, costituita da 8
segmenti ad a-elica uniti da dei ripiegamenti. Circa il 78% dei residui amminoacidici
di tale proteina è sottoforma di a-elica.

La mioglobina funziona da deposito di O2 a livello muscolare. Quando il muscolo è a


riposo la mioglobina rimane legata all’O2, quando il muscolo è attivo viene
consumato O2 diminuisce la pressione a livello dei tessuti la mioglobina rilascia l’O2.

La funzione della mioglobina dipende dalla capacità di


legare e rilasciare l’O2 quando necessario. Nella fig, MbO2 è
la mioglobina ossigenata.

Così facendo si ricava la costante di associazione e,


dall’equilibrio di legame, si può ottenere la frazione dei siti
di legame. E poi, da questa
relazione, si può fare una rappresentazione grafica del
legame del ligando. La frazione dei siti di legame, occupati
dal ligando, è riportata in funzione della concentrazione del
ligando libero. Nel primo grafico è rappresentata la curva
ipotetica di legame di un ligando, L, di cui si considera la
concentrazione molare. Nel
secondo grafico, la curva di
legame dell’O2, alla mioglobina;
la concentrazione di O2 è
considerata come Pparz di O2,
espressa in kPa.

36
L’andamento della curva di ossigenazione
della mioglobina è quella tipica di un semplice
equilibrio chimico, con andamento iperbolico.
La curva aumenta rapidamente all’aumentare
della pO2, fino a un plateau pressoché
costante. Il valore di pO2, in cui la metà dei siti
sono occupati, è la P50 di 2 torr (la mioglobina
ha elevata affinità per l’O2).

Emoglobina
Proteina tetramerica con struttura quaternaria formata da
2 catene alpha e 2 catene beta (2 dimeri α1β1 e 2 dimeri
α2β2). Le quattro subunità dell’emoglobina sono
strutturalmente simili alla mioglobina. Il legame con la CO2
avviene attraverso lo ione Fe2+ del gruppo EME. La struttura
terziaria della Mb e le strutture α e β della Hb a livello
tridimensionale sono molto simili, nonostante solo il 18% dei
residui siano identici. In tutte e tre le catene polipeptidiche
sono conservate l’Hys distale e quella prossimale.

Confrontando la mioglobina con la subunità β


dell’emoglobina si vede che si ha una struttura analoga
(presenza di 8 a-eliche) e la presenza di una tasca
idrofobica con gruppo EME in posizione analoga.

La curva di ossigenazione di Hb non si può ricondurre a


una curva di legame di un equilibrio chimico, ma
presenta un andamento sigmoidale. L’affinità di Hb per
O2 è più bassa di quella per Mb, presenta infatti una P50
= 26 torr, contro quella della Mb quasi dieci volte più
bassa. Una curva di legame con andamento
sigmoidale suggerisce che, legato l’O2 a uno dei 4 siti di
legame, aumenti la probabilità che si leghi agli altri.

37
Così come il distacco dell’O2 dai gruppi EME facilita il distacco dagli altri.
Tale meccanismo di legame è detto cooperativo, perché le reazioni di legame
dell’O2 a ognuno dei siti dell’emoglobina non sono tra loro indipendenti.

Il significato fisiologico del legame cooperativo risiede nel fatto che l’O2 deve essere
trasportato nel sangue dai polmoni (con pO2 alta) ai tessuti (con attività metabolica
elevata e concentrazione di O2 bassa). Nei polmoni, l’emoglobina è satura al 98%,
quando raggiunge i tessuti e rilascia l’ossigeno il livello di saturazione scende fino al
32% (98-31=66% dei siti di legame contribuiscono al trasporto dell’O2, cioè il 66%
dell’O2 è rilasciato). Il rilascio dell’O2 avviene in modo cooperativo e favorisce una
distribuzione a tutti i tessuti, se invece di Hb si usasse Mb la saturazione nei polmoni
sarebbe sempre del 98%, mentre nei tessuti la Mb sarebbe satura al 91% e ci
sarebbe quindi un rilascio del 7%.

L’Hb è un buon trasportatore di O2, perché ha un’elevata affinità a livello dei polmoni
e bassa affinità a livello dei tessuti.
In condizioni di riposo, la concentrazione di O2 nei
muscoli è circa 40 torr, ma scende a 20 torr durante
l’esercizio fisico. La diminuzione della pO2, da 100 torr
nei polmoni a 40 torr nei tessuti, corrisponde a una
variazione di saturazione dell’Hb dal 98% al 77%.
Durante l’esercizio fisico la pO2 scende ulteriormente,
passando da 40 a 20 torr, e la saturazione di O2 passa
dal 77% al 32%. In corrispondenza di una diminuzione
di pO2 di soli 20 torr, la quota di O2 rilasciata è 77-32=
45%, poiché la variazione della concentrazione
dell’ossigeno, dalla condizione di riposo a quella di esercizio fisico, corrisponde alla
parte più ripida della curva dell’O2 può essere trasferita ai tessuti dove c’è maggiore
richiesta.

La cooperatività della curva di legame dell’O2 comporta che il legame a uno dei
quattro siti dell'emoglobina influenzi le proprietà di legame degli altri tre.

Le proteine in cui il legame di un ligando a un sito modifica le proprietà di un altro


sito sulla stessa molecola proteica sono le proteine allosteriche. Esse assumono
conformazioni diverse indotte dai legami di ligandi, chiamati modulatori, che
possono fungere da attivatori o inibitori. L’interazione può essere:

38
- OMOTROPICA: il normale ligando di una proteina allosterica è anche un
modulatore
- ETEROTROPICA: il modulatore è una molecola diversa dal ligando

Durante l’ossigenazione, l’emoglobina va incontro a variazioni della struttura


quaternaria, i dimeri α1β1 e α2β2 ruotano di 15° l’uno rispetto all’altro, pur andando
incontro a modificazioni rimangono della stessa forma ed è quindi l’interfaccia tra
questi due dimeri a subire le maggiori transizioni strutturali. I dimeri α1β1 e α2β2 sono
liberi di muoversi l’uno rispetto all’altro nello stato ossigenato rispetto allo stato
deossigenato.
La struttura quaternaria della forma deossigenata dell’Hb (deossi-emoglobina) viene
spesso denominata “stato T” (teso, 4 subunità sono saldamente unite l’una all’altra
da un maggior numero di interazioni non covalenti). La struttura quaternaria dell’Hb
totalmente ossigenata (ossi-emoglobina) è denominata “stato R” (rilassato).
Considerando che la forma R di Hb è meno rigida, le due designazioni T ed R sono
appropriate.

Quando Hb è nello stato rilassato, i siti


dell’ossigeno sono in grado di legare questo
con maggiore affinità rispetto ai siti Hb allo
stato teso. Il legame di O2 a uno dei quattro siti
induce modificazioni conformazionali che
comporta il passaggio dallo stato T, con
maggiori interazioni non covalenti, allo stato R,
stato più dinamico, che, a sua volta, aumenta l’affinità per l’O2 degli altri siti.

Il legame dell’O2 comporta una


modificazione della nube elettronica
intorno allo ione Fe2+ e provoca un
riordinamento degli elettroni che
diventa più piccolo e può spostarsi nel
piano della porfirina. Lo ione Fe2+, in
assenza di O2, è fuori di 4 Å dall’EME, il
legame con O2 porta a una riorganizzazione della nube elettronica che permette
una riduzione del diametro dell’atomo di Fe, che in questo modo entra nel piano
dell’EME.

39
Il movimento dello ione Fe2+ porta il residuo di Hys
prossimale, legato al Fe, verso l’anello porfirinico e, di
conseguenza, si ha un movimento dell’a-elica in cui è
inserita l’Hys, che modifica l’interfaccia tra i due
dimeri inducendo altre modificazioni strutturali. La
transizione comporta che i due monomeri a e
scivolino l’uno sull’altro e la tasca tra le due si
restringa. In questa transizione, alcuni legami che
stabilizzano la forma T si rompono e se ne formano
degli altri.
La transizione da deossi- a ossi- comporta una
rotazione che prevede una riduzione delle
dimensioni della cavità centrale dell’Hb. Tale
variazione può essere seguita spettroforicamente.
Lo spettro di Hb, in uno stato deossi-, è di colore
rosso scuro (venoso) mentre nello stato ossi- è rosso
brillante. Più O2 è legato ad Hb più lo spettro si
sposta dalla linea blu a quella rossa.

Legame di CO ➨
Il CO, avendo dimensioni simili all’O2, è in grado di
entrare nella tasca dell’EME. Ha affinità di legame
per Hb maggiore rispetto all’O2 e il legame non è
reversibile, per questo è molto tossico. Nel gruppo
EME, isolato l’asse dell’O2, presenta un angolo con
l’asse del legame Fe-O2, creando un legame più
debole rispetto a quello del CO, in cui gli atomi Fe
CO sono disposti in modo lineare. Quando l’EME è
nella tasca della globina, il legame del CO è di minor entità perché c’è l’istidina,
che costringe il CO a legarsi non in maniera ottimale, mentre l’O2 si lega allo stesso
modo, sia all’Hb sia nell’EME isolato. Questo è un vantaggio per l’O2 perché è in
competizione con CO, che ha affinità solo 200 volte maggiore rispetto a quella
dell’O2.

La tossicità di CO è data dalla maggiore affinità e si comporta come effettore


allosterico omotropico positivo, anche nei confronti dell’O2; il legame di CO a una
subunità di Hb determina l’aumento di affinità per l’O2 alle altre subunità. Il CO è un

40
veleno rimosso da Hb sottoponendosi a pO2 elevata, applicata nelle camere
iperbariche.

L’O2 nei confronti dell’Hb è un attivatore allosterico, si lega preferenzialmente alla


forma R, facendo spostare l’equilibrio tra la forma R e T su R. Il risultato è che
l’attivatore aumenta l’affinità dell’enzima per il substrato (l’attivatore può essere lo
stesso substrato. attivazione allotropica; diverso substrato: eterotropica).

Esistono anche inibitori allosterici, si legano preferenzialemente alla forma T,


facendo in modo che l’equilibrio tra R e T sia su T; il risultato è che l’inibitore
diminuisce l’affinità dell’enzima per il substrato.

Per favorire un ottimale rilascio di O2, Hb


possiede siti di legame per effettori allosterici
negativi, 2,3-BIFOSFOGLICERATO. Fondamentale
per favorire il rilascio dell’O2 a livello dei tessuti
ed è presente nei globuli rossi a
concentrazione 2 mM equimolare ad Hb. Il
2,3-bifosfoglicerato presente è in grado di
inserirsi a livello della tasca centrale e, avendo
molteplici cariche negative, è in grado di
instaurare delle interazioni con residui carichi positivamente presenti nell’interfaccia
delle catene dell’Hb.

Nei polmoni: con il legame di O2 la tasca centrale si restringe e 2,3-BPG si stacca.


Nei tessuti: la pO2 diminuisce, il legame di 2,3-BPG favorisce il rilascio dell’O2
(stabilizza la conformazione T con più bassa affinità dell’O2).

A livello dei polmoni prevale l’effetto omotropico positivo dell’O2; a livello capillare
prevale invece l’effetto della 2,3-BPG.

Senza BPG l’emoglobina non sarebbe in grado di


rilasciare efficacemente O2 nei tessuti (solo 8%). In un
campione di Hb purificato si ha una capacità di
rilascio di O2 dell’8%, a differenza di quando è presente
BPG equimolare.

41
L’Hb fetale è diversa da quella adulta in catene
polipeptidiche, infatti, invece di avere 2 catene a e 2
catene , presenta 2 catene a e 2 catene γ, le 2 γ
differiscono dalle per mancanza di residui basici di Hys a
livello della cavità centrale (Hb fetale non lega BPG). L’Hb
fetale ha affinità verso l’O2 maggiore rispetto a quella
materna, non risentendo degli effetti del BPG, in questo
modo è possibile il passaggio dall’Hb materna a quella
fetale di O2.

L’Hb risponde ad altre molecole segnale che segnalano il


bisogno di O2, nei tessuti a rapido metabolismo si ha la
produzione di CO2 trasformato in H2CO3, che si dissocia in H+
e in HCO3-. Questi due ioni regolano il rilascio di O2, sono
effettori allosterici che si legano all’Hb in siti distinti dai siti di
legame dell’O2 e l’effetto prende il nome di EFFETTO DI
BOHR. Dalla curva di legame dell’O2 nei confronti dell’Hb,
nella figura, si vede come a pH più basso (in condizioni di
attività metabolica maggiore) si ha una curva spostata verso destra, l’O2 riduce la
sua affinità nei confronti dell’Hb. Nei distretti a pH più basso si ha maggior rilascio di
O2.

La presenza di protoni influenza lo stato di protonazione di


alcuni residui, in particolare si protonano i gruppi a-amminici
degli amminoacidi N-terminali delle catene a e di due Hys
delle catene ( 146 e a122). La protonazione di tali Hys ed
N-terminali comporta una variazione dei legami ionici, che
determinano la transizione dallo stato R a T, che comporta
una riduzione nei confronti dell’affinità dell’O2 e un maggiore
rilascio di questo.

Esiste un contributo diretto da parte della CO2,


entrando nei globuli rossi reagisce con il gruppo
N-terminale delle catene globiniche, formando un
legame carbammato (14% di contributo della CO2
totale), questo copre la carica positiva e quindi si ha una riorganizzazione dei
legami ionici che favoriscono la forma T.

42
Si hanno curve con affinità decrescente verso O2,
passando da sinistra verso destra, a pH = 7,4 e con bassa
CO2 ha affinità maggiore, abbassando il pH, in assenza
di CO2, la curva di dissociazione va verso destra e si
sposta ancora di più se oltre a un basso pH c’è un
aumento di CO2. La curva di legame di O2 verso Hb è
adatta alle condizioni metaboliche.

Ruolo della CO2 ➨


La CO2 è un effettore eterotropico negativo per il
legame dell’O2 all’Hb, la CO2 rilasciata dai tessuti abbassa, infatti, la sua affinità per
l’O2 in due modi:
1) con la formazione di bicarbonato (gli H+ rilasciati contribuiscono all’effetto Bohr),
2) con la formazione di carbammati, le cui interazioni elettrostatiche con gli
ammino gruppi N-terminali delle catene stabilizzano la deossiHb.

L’Hb ha l’obiettivo di trasportare a CO2 a livello dei polmoni, il 14% è trasformato


sottoforma di carboammato, ma la
maggior parte raggiunge i polmoni,
sottoforma di HCO3-, che è
trasportato all’esterno della cellula,
localizzato sulla membrana del
globulo rosso (scambiatore
bicarbonato-cloro), ne consegue un
aumento della concentrazione, a
livello del siero, dello ione bicarbonato; in questo modo una grande quantità di CO2
viene trasportata sottoforma di ione bicarbonato dai tessuti ai polmoni.

A livello dei polmoni, il processo si inverte, il bicarbonato viene riconvertito in CO2 ed


eliminato attraverso l’espirazione. La CO2 generata dal metabolismo a livello
tissutale viene convertito nei globuli rossi, in una forma che comporta una
diminuzione del pH intracellulare e favorisce il rilascio dell’O2, viene poi trasportato a
livello ematico fino ai polmoni per essere eliminata.

Anemia falciforme

Essa è associata a una mutazione presente su una subunità , che comporta la


sostituzione di un glutammato in posizione 6 con una valina. La presenza della
sostituzione genera la formazione di un Hb con catena peptidica differente.

43
Normalmente, l’Hb matura è costituita da due catene alfa e 2 catene beta ed è
definita emoglobina A. L’Hb associata all’anemia falciforme è l’emoglobina S.

L’Hb S, con un residuo di valina, nella sua forma


ossigenata il residuo idrofobico di valina si trova in una
tasca nascosta rispetto al solvente, per cui non ha
nessun tipo di problema; quando si passa alla dalla
conformazione R a T, cioè passando dalla forma
ossigenata a quella deossigenata, la modificazione
conformazionale associata a
questa transizione fa esporre la
Val6 al solvente (= sulla
superficie della proteina) e questa superficie idrofobica fa
aggregare l’Hb. Infatti, diversi monomeri di Hb interagiscono
tra di loro e formano delle fibre.

L’Hb S nello stato deossigenato, esponendo queste superfici


idrofobiche, crea dei ponti di nucleazione; si creano prima
delle fibre piccole, poi più grosse che precipitano all’interno
del globulo rosso stesso, che falcizza (cambia forma e diventa
a forma di falce).

Quando si ha la formazione dei globuli rossi falcizzati, a livello


dei capillari periferici si può avere occlusione vascolare, i
globuli rossi falcizzati tendono ad aggregarsi → diminuisce la
quantità di O2 a livello dei capillari e falcizzano un maggior numero di globuli rossi →
porta prima a ipossia e successivamente alla necrosi dei tessuti.

Nel territorio africano è presente un’elevata percentuale di popolazione che porta


questa mutazione. Tale mutazione è rimasta perché perché i soggetti portatori sono
resistenti alla malaria, causata dal Plasmodium falciparum il quale si duplica a livello
del globulo rosso (l’effetto della malaria è ridotto nei soggetti con anemia
falciforme).

In natura sono presenti numerosissime mutazioni a livello delle catene globiniche;


alcune sono compatibili con la vita (anemia falciforme) e altre no.

Un modo semplice per vedere la presenza di catene globiniche nei globuli rossi è
quello di effettuare un’elettroforesi in condizioni native. Le proteine (Hb) estratte
dagli eritrociti con colorazione rossa vengono depositate su una piastra di acetato
di cellulosa e sottoposte a elettroforesi (impressa ddp con un’opportuna lampadina)
e le varie isoforme dell’Hb si separano in funzione della carica.

44
Esiste una piccola porzione di Hb A che si chiama Az; poi Hb F che è la fetale. L’Hb S
ha una mobilità elettroforetica completamente diversa rispetto all’Hb A. Per vedere
se il soggetto è portatore si fa un’elettroforesi, per vedere se si ha Hb S.

Talassemie

Sono un gruppo di anemie ereditarie caratterizzate da una sintesi difettosa di Hb. A


seconda che siano colpite le catene alfa o beta si parla di:

- alfa talassemie: la alfa non è presente. Si formano tetrameri di catene (Hb


H). Si ha un legame di O2 con affinità maggiore e mancanza di cooperatività.
(l’O2 non è rilasciato in modo sufficiente a livello tissutale)

- beta talassemie: le catene sono prodotte in modo sufficiente, le catene


alfa formano aggregati insolubili. Si hanno meno eritrociti e quindi anemia
(non arrivano a una maturazione adeguata).

Le alfa e le beta talassemie sono associate a vari tipi di alterazioni geniche con
quadri clinici differenti.

Esempio di beta talassemie con mutazione del


sito di splicing del gene della catena . Il
trascritto primario contiene solo gli esoni che gli
introni (rimossi dallo splicing).

In questo tipo di mutazione si ha la sostituzione di


un A con un G a livello del primo introne del
gene per la catena beta dell’emoglobina; si crea un nuovo sito di splicing, ossia un
nuovo punto in cui lo spliceosoma trova un segnale di taglio. Si ottengono 2 RNA
maturi: uno corretto e uno con un pezzo di introne che dovrebbe essere rimosso.
Non si ottiene una catena polipeptidica corretta, per cui l’mRNA è non-normale e
viene degradato. Riduzione drastica di una catena beta corretta per il 50% di
probabilità di avere uno splicing corretto e 50% di probabilità di avere uno splicing
scorretto.

Emoglobina glicata

La concentrazione di HbA1c (emoglobina glicata) nel sangue riflette la glicemia


media nel tempo nelle 3-6 settimane antecedenti il prelievo.

Il valore 'normale' di emoglobina glicata nella popolazione è compreso tra il 4 ed il


5-6%. Il Comitato di Esperti ADA/EASD/IDF ha identificato il valore di HbA1c 6,5 % (48
mmol/mol) come livello decisionale per la diagnosi di diabete. Una riduzione del'1%

45
dei livelli di HbA1c riduce del 21% il rischio di complicanze complessive e del 21% la
mortalità dovuta alle complicanze del diabete.

Perché l’HbA1c è un parametro più affidabile


rispetto alla glicemia per fare diagnosi di
diabete?

- ha una migliore standardizzazione (se


allineata al sistema IFCC e, di riflesso, al sistema
DCCT/UKPDS);
- è espressione della glicemia media di un
lungo periodo e non di un singolo momento;
- ha una minore variabilità biologica;
- ha una minore instabilità pre-analitica;
- non ha necessità di un prelievo dopo 8 ore
di digiuno;
- non soffre di alcuna influenza da parte di
perturbazioni acute (es. stress da prelievo);
- è lo stesso parametro usato per il monitoraggio clinico del diabete.
- Il Comitato di Esperti insiste sul concetto che la misurazione della glicemia è
molto meno accurata e precisa di quanto molti ritengano, e che più del 12 %
dei soggetti in cui viene misurata la glicemia potrebbero essere classificati in
maniera erronea, anche per instabilità pre-analitica.

ENZIMI

Sono dei catalizzatori biologici, ossia proteine in grado di aumentare la velocità


delle reazioni chimiche. Nella cellula ci sono anche i ribozimi, ossia catalizzatori con
una struttura che non è di natura proteica ma che sono formati da molecole di
RNA. A livello evolutivo si sono sviluppati prima i ribozimi e poi gli enzimi, anche se
sono stati scoperti prima gli enzimi che i ribozimi. Questi ultimi sono coinvolti nel
metabolismo degli acidi nucleici. Gli enzimi hanno:

- elevato potere catalitico (accelerano di numerosi ordini di grandezza le


reazioni)
- specificità di reazione
- specificità di substrato
- sono regolabili, ossia possono essere attivati/inattivati mediante vari
meccanismi

Nella cellula esistono numerosi enzimi, i quali si possono dividere in 6 classi differenti:

1) Ossidoreduttasi → permettono il trasferimento di elettroni


2) Transferasi → catalizzano le reazioni di trasferimento di gruppi funzionali

46
3) Idrolasi → catalizzano l'idrolisi
4) Liasi → permettono la scissione di C-C, C-O/ o lasciando i doppi legami
5) Isomerasi → permettono il trasferimento di gruppi nelle molecole per formare
isomeri
6) Ligasi → permettono la formazione di legami C-C, C-O, C-N mediante
condensazioni e spesso sono accoppiate all’idrolisi dell’ATP o simili perché
necessitano energia

Si possono suddividere poi in sottocategorie più specifiche. Spesso per svolgere la


loro attività catalitica necessitano di cofattori che possono essere o degli ioni
metallici o dei coenzimi (strutture di natura proteica necessarie al corretto
funzionamento degli enzimi). Possono essere associati temporaneamente
(cosubstrati) o in modo permanente mediante legami covalenti (gruppi prostetici).

L’enzima, in assenza di cofattore, si chiama apoenzima ed è inattivo; quando si lega


al cofattore diventa attivo e si definisce oloenzima.

Alcune vitamine idrosolubili sono precursori degli enzimi. Molti organismi non sono in
grado di sintetizzare delle porzioni di molecole che formano i coenzimi, per questo si
chiamano vitamine e devono essere assunte con la dieta.

Le vitamine idrosolubili, che si sciolgono in H2O, devono essere introdotte


quotidianamente con gli alimenti perché non possono essere immagazzinate nel
nostro organismo. Per questo è difficile che si arrivi a un iperdosaggio, perché il
surplus di vitamine viene eliminato attraverso le urine. A questo gruppo
appartengono tutte le vitamine del gruppo B, la vitamina C, l’acido folico e la
vitamina H. Seguendo un’alimentazione corretta ed equilibrata, nei paesi
occidentali, è difficile avere degli stati avitaminosi. Sono possibili invece degli stati di
carenza in quelle in quelle situazioni in cui aumenta il loro fabbisogno, come per
esempio gravidanza, allattamento, accrescimento o attività sportiva molto intensa.
La carenza da scorretta alimentazione si ha quando si consumano alimenti
sottoposti ad elevata raffinazione o a trattamenti termici che li distruggono.

VITAMINA B

La tiamina pirofosfato è un coenzima


costituito da un anello tiazolico e da una
pirimidina uniti tra di loro mediante un gruppo
metilenico.

È una vitamina usata nelle reazioni di


decarbossilazione (piruvato decarbossilasi →
nel processo di fermentazione alcolica e la piruvato deidrogenasi e

47
alfa-chetoglutarasi, che sono necessari a produrre acetilCoA presente nel ciclo
dell’acido citrico).

Il meccanismo d’azione prevede un attacco


nucleofilo al C del tiazolo parzialmente carico
negativamente sul carbonile dell’alfa chetoacido.

La tiamina è presente sia nei vegetali come


tiamina, sia nei prodotti animali come fosforilata.
Gli alimenti che rappresentano la principale fonte
di questa vitamina sono carne, pesce, uova, pane,
cereali e patate.

La carenza di vitamina B1 produce beriberi, diffuso nei paesi del sud-est asiatico. La
tiamina è poco immagazzinata nel nostro organismo, per cui la sua mancanza nella
dieta dà problemi a livello di metabolismo, in particolare a livello del metabolismo
dei carboidrati. Si rileva un aumento dei livelli plasmatici di alfa-chetoacidi e un
abbassamento dell’attività transchetolosica. La carenza cronica di tiamina provoca
alterazioni del SNC ma anche dell’apparato cardiovascolare. I sintomi possono
essere ancora più evidenti se si assume del glucosio. Nei paesi industrializzati, le
manifestazioni cliniche della carenza di tiamina sono associate all’alcolismo →
incapacità per presenza di danno epatico di attivazione del TPP e per inibizione
dell’assorbimento.

VITAMINA B2, RIBOFLAVINA

È composta da una porzione aromatica (anello


isossazolinico) e dal ribitolo. È sensibile alla luce ma stabile al
calore, quindi la cottura dei cibi non ne altera la
concentrazione.

Entra a far parte del FADH (flavina


adenina dinucleotide). Si ha la
flavina mononucleotide, più
l’adenosina legata al ribosio e
gruppo fosfato. Questi due nucleotidi
si uniscono, attraverso i gruppi fosforici e formano il FADH. È
un coenzima molto importante, con funzione di
trasferimento di elettroni (entra nel meccanismo d’azione
degli enzimi che catalizzano le redox).

In natura è presente in molti alimenti come il latte, fegato,


lievito, latticini, carne, pesce e uova. Il fegato è un organo ricco di vitamine perché

48
è un organo deputato a svolgere numerose reazioni metaboliche che necessitano
di vitamine.

La carenza di queste vitamine è rara. La riboflavina è coinvolta in moltissime


reazioni metaboliche che possono riguardare anche altre vitamine. Uno stato
carenziale di riboflavina può portare a uno stato pluricarenziale di altre vitamine. A
livello macroscopico:

1. arresto della crescita


2. comparsa di una sindrome simile alla pellagra (carenza di PP) caratterizzata
da lesioni alle mucose e dell’epitelio dell’occhio (vascolarizzazione della
cornea, congiuntivite e opacità), dell’apparato gastrointestinale e delle zone
di passaggio tra cute e mucose (caratteristica è la stomatite angolare).

VITAMINA PP, NIACINA

Esistono due forme: acido nicotinico e


nicotinammide.

In genere le fonti alimentari vegetali


presentano una maggior quantità di acido
nicotinico, mentre quelle animali hanno più
nicotinammide. Sono composti resistenti alla
cottura, fatto salvo che possono essere dispersi nel liquido di cottura. Di vitamina PP
abbondano il lievito di birra e le carni. Al contrario, frutta, verdura e uova ne
presentano basse quantità. Anche i cereali ne presentano buoni livelli.

La nicotinammide adenin dinucleotide è il coenzima di cui entra a far parte della


niacina.

La struttura è formata da due nucleotidi: la niacina


che lega un ribosio e un fosfato e l’adenina che lega
un ribosio e un fosfato. Questi due nucleotidi si
ossidano e formano la nicotinammide adenin
dinucleotide (NADH). Esiste anche la NADP in cui, a
livello del ribosio presente vicino all’adenina, si
aggiunge un gruppo fosfato. Questi coenzimi sono
importanti nelle redox → sono trasportatori di elettroni.
Esistono in forma ossidata priva di e-, e in forma ridotta.

NAD e NADP partecipano alle reazioni redox. Il NAD è il coenzima delle


deidrogenasi a livello della glicolisi e della lipolisi, del ciclo di Krebs. Il NADP è il
coenzima delle deidrogenasi della via dei pentosi fosfati. Il NADPH è il coenzima
delle reduttasi della sintesi degli acidi grassi.

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Il NAD, quindi, raccoglie tutti gli e- nei processi ossidativi e il NADH ha l’obiettivo di
andare nel mitocondrio a livello della fosforilazione ossidativa, con lo scopo di
produrre ATP.

Nei tessuti, l’acido nicotinico può essere sintetizzato a partire dal triptofano.
(Attraverso la via della chinourea → 60 mg di triptofano producono 1 mg di acido
nicotinico). La carenza della suddetta proteina provoca la pellagra, i cui sintomi
sono:

- Dermatite (D)
- Stomatite glossite
- Diarrea (D) patologia delle 3 D
- Demenza (D)
- Anemia

VITAMINA B5, PANTOTENATO

È una molecola presente in molti alimenti, per questo è difficile una sua carenza. È
costituita dall’unione di 2 molecole
mediante legame ammidico (l’acido
pantoico e la -alanina). Entra nella
costituzione di due molecole, il
coenzima A (HS-CoA) e l’acil carrier
protein (ACP) → molecole implicate in
sintesi/degradazione e nel trasporto di acidi grassi e nelle reazioni che coinvolgono i
gruppi acilici.

Il gruppo attivo è quello


tiolico che è in grado di
formare legami tioesterei
(altamente reattivi). Il
coenzima A ha la
funzione di trasportare
gruppi acilici o acetilici in
forma attivata proprio per
il legame tioestereo fortemente reattivo e predispone l’acil a svolgere reazioni.

VITAMINA B6

Esiste sotto forma di piridossina e piridossamina.


Sono forme interconvertibili tra loro a livello
cellulare. La sorgente alimentare è la carne, il
fegato, le uova e i cereali. È sensibile al calore,

50
all’ossidazione e ai raggi UV in quanto molecola aromatica. La forma
biologicamente attiva è il piridossal fosfato.

È legato, attraverso la base di Schiff, con una lisina a livello


della tasca catalitica dell’enzima con cui lavora. È un
coenzima importantissimo che entra a far parte di numerose
reazioni: decarbossilazione/transaminazione degli
amminoacidi, essenziali per le guaine mieliniche), metabolismo
del triptofano, biosintesi dei neurotrasmettitori/eme,
glicogenolisi (cofattore della glicogeno fosforilasi), reazioni di
racemizzazione.

La transaminazione degli AA comporta il trasferimento del


gruppo amminico di
un amminoacido su un alfa-chetoacido,
per ottenere un alfa-chetoacido e un altro
AA. L’alfa-decarbossilazione prevede
rimozione del gruppo carbossilico. Un
esempio è quello del glutammato,
attraverso la glutammato decarbossilasi, che dà origine al GABA, importante
neurotrasmettitore inibitorio a livello del SNC.

VITAMINA B9, FOLATO


Il nome deriva dall'abbondante
presenza nelle foglie verdi dei
vegetali, soprattutto negli spinaci.
Negli alimenti i folati sono presenti
come poliglutammati (>3 molecole di
acido glutammico).

Viene sintetizzato nei batteri e la sua


forma ossidata il folato è una vitamina
per i mammiferi ed è convertito in due
tappe a tetraidrofolato, dall’enzima
diidrofolato reduttasi.

Il tetraidrofolato interviene in reazioni di trasferimento di unità monocarboniose a


diversi livelli di ossidazione e funge da trasportatore intermedio. Le unità
monocarboniose possono essere:
- gruppo metilico (-CH3)
- gruppo metilenico (-CH2-)

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- gruppo formilico (-CHO)
- gruppi formiminico (-CHNH)
I folati intervengono nei processi metabolici coinvolti nella sintesi delle purine, della
deossitimidina (dTMP), nella formazione della metionina a partire dall’omocisteina,
nel catabolismo dell’istidina e nell’interconversione tra Gly e Ser.

L’acido folico è fondamentale per la replicazione, in quanto ricopre un ruolo chiave


nella biosintesi di purine e
pirimidine, oltre che di
amminoacidi e
nell’organismo umano viene
assimilato dalla dieta e non
sintetizzato, nell’organismo
batterico, per contro, viene
sintetizzato ma non assimilato. Tale differenza è alla base di antibiotici, come i
sulfamidici e trimetoprim. I primi agiscono inibendo l’enzima diidropteroato-sintetasi;
il trimetoprim inibisce l’enzima diidrofolato-reduttasi, che ha il compito, tramite
l’impiego di due molecole di NADPH, di convertire l’acido folico nella sua forma
bioattiva, l’acido tetraidrofolico.

Il trimetoprim è un inibitore della diidrofolato-reduttasi che è presente anche nelle


cellule eucariotiche, ma sono 2 isoforme diverse, catalizzano la stessa reazione ma
hanno caratteristiche diverse. Il trimetoprim è altamente specifico per la
diidrofolato-reduttasi batterica e ha una affinità molto più bassa per la
diidrofolato-reduttasi umana (per questo motivo può essere usato come
antibiotico).

Esistono altri farmaci usati nell’uomo, che assomigliano alla struttura dell’acido
folico, sono gli antagonisti dell’acido folico, come il metotressato (inibitore della
diidrofolato-reduttasi umana). Si comportano come chemioterapici e sono efficaci
nella terapia di tumori (leucemie e tumori solidi) e sono stati usati anche come
immunosoppressori.

La carenza di questa vitamina può dare problemi e può essere causata da


un’insufficiente introduzione con la dieta; vi può essere deficienza dovuta a un
difettoso assorbimento intestinale.

Le carenze si manifestano in stadi successivi di gravità:

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a. primo stadio: caduta della quantita' di folato nel siero;
b. secondo stadio: diminuzione del folato eritrocitario
c. terzo stadio: diminuzione dell'eritropoiesi e difetto nella sintesi del DNA
d. quarto stadio: anemia megaloblastica con eritrociti larghi ed ovulari.

La necessità dei folati aumenta molto in gravidanza, e le carenze causano danni


allo sviluppo del tubo neurale del feto. La mancanza di folati in gravidanza favorisce
la formazione della schiena bifida e può essere evitata grazie a una
supplementazione di acido folico.

VITAMINA B12
Presenta un anello corinnico (più ridotto del
porfirinico), coordina un atomo di Co, che ha
legami di coordinazione con N dei pirroli con dei
nucleotidi. Il fabbisogno è di 1-3 mg/die, è una
delle poche vitamine immagazzinate a livello
epatico. L’unica fonte alimentare sono i
microrganismi del suolo e del lume intestinale. I
vegetali ne sono privi, quindi è prodotta da
animali.

Il meccanismo di assorbimento che avviene a


livello dell’ileo è complesso, lì esiste un
meccanismo di trasporto attivo saturabile ed
estremamente specifico. La vitamina B12
alimentare si trova legata alle proteine, viene prima liberata tramite la secrezione
gastrica dello stomaco, poi si lega a una proteina R, di
origine salivare e gastrica. Nelle parti alte dell’intestino
tenue, la proteina R viene distrutta dalle proteasi
pancreatiche e viene liberata la cobalamina, che forma
allora un complesso con il fattore intrinseco (FI), una
glicoproteina secreta dalle cellule parietali dello stomaco.
Il complesso B12-FI giunge all’ileo, si lega a un recettore
specifico, per il complesso, ed entra nelle cellule della
parete intestinale.

Anche a livello del circolo sanguigno la B12 è legata a proteine di trasporto


specifiche (transcobalamine).

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La vitamina B12 è un trasportatore di unità monocarboniose, in particolare di gruppi
metilici. Si conoscono nell’uomo solo 3 enzimi che usano la B12:
- METIONINA SINTASI: che trasforma l’omocisteina in metionina, utilizza la
metilcobalamina
- METILMALONIL-COA MUTASI: enzima mitocondriale, che trasforma il
metilmalonil-coA in succinil-coA, utilizza l’adenosilcobalamina
- LEUCINA MUTASI: che trasforma la l’a-Leucina in -leucina, utilizza la
adenosilcobalamina

La carenza è causata da inadeguata assunzione (deficienza primaria) o da


inadeguato assorbimento (deficienza secondaria). La deficienza primaria è
abbastanza rara e si può fronteggiare con supplementi di vitamina B12. La
deficienza secondaria, più grave, può essere causata o dall'assenza del fattore
Intrinseco o da alterazioni del tratto gastro-intestinale (es. resezione gastrica o
intestinale).

Il primo sistema a evidenziare il deficit è il sistema ematopoietico (pancitopenia);


anemia perniciosa. Sintomi neurologici legati alla demielinizzazione. Deficit legati a
gastroenteropatie. La terapia è generalmente intramuscolare, perché il problema è
l’assorbimento.

Le persone che seguono diete vegetariane con abolizione completa di carne,


pesce, uova e latte devono assumere integratori contenenti vitamina B12 o alimenti
addizionati (cereali arricchiti con vitamina B12) per evitare di sviluppare una
ipovitaminosi.
I bambini allattati da donne che seguono una dieta vegetariana stretta (es. dieta
“vegana“) sono particolarmente a rischio di andare incontro a carenza di vitamina
B12 entro pochi mesi dalla nascita con conseguenze severe sullo sviluppo fisico e
neurologico

VITAMINA H, BIOTINA
Viene sintetizzata dalla flora intestinale. La biotina è il
gruppo prostetico di enzimi che idrolizzano le reazioni di
carbossilazione ATP-dipendenti. Ossia:
- acetil-CoA carbossilasi, citosolica, forma
malonil-CoA

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- piruvato carbossilasi, mitocondriale, permette la carbossilazione del piruvato
ad ossalacetato, è un enzima importante nella gluconeogenesi
- propionil-CoA carbossilasi, mitocondriale, importante nella via metabolica
che porta dal propionato al succinato, è indispensabile per il catabolismo di
alcuni amminoacidi e degli acidi grassi a numero dispari di atomi di carbonio
- -metilcrotonil-CoA, mitocondriale, coinvolto nel catabolismo della leucina

La carenza può essere dovuta a una dieta ricca in uova crude, legata alla presenza
di avidina (lega avidamente la biotina e la sottrae all’assorbimento nell’organismo).
Sono descritti così geneticamente trasmessi anomalie, leganti la biotina. In questo
caso un trattamento con biotina può essere efficace. Trattamenti con sulfamidici o
con antibiotici possono portare a una carenza di vitamina H, per alterazione della
flora batterica intestinale. La vitamina H può dare origine, nell’adulto, a fenomeni di
desquamazione cutanea.

VITAMINA C
Le funzioni sono molteplici:
1) rientra nelle reazioni di
idrossilazione:
- sintesi del collagene
- sintesi della carnitina
- reazione di idrossilazione
dipendenti dal citocromo P450
- sintesi delle catecolamine
2) metabolismo del Fe:
- mobilizzazione del Fe dai depositi dell’organismo
- riduzione di Fe3+ a Fe2+ (forma biologicamente attiva) prima dell’assorbimento
intestinale
3) eliminazione dei radicali liberi: i quali reagiscono in fase liquida con acido
ascorbico formando un radicale libero ascorbile. Due molecole di radicale
ascorbico possono poi reagire tra loro e formare una molecola di ascorbato
e una di deidroascorbato.
4) interrelazione tra ascorbato e NO (fattore di rilascio endoteliale): NO svolge
funzioni importanti a livello degli epiteli, inibisce molti processi responsabili
dell'aterosclerosi (es. adesione dei monociti, aggregazione piastrinica,
permeabilita' endoteliale, proliferazione del tessuto muscolare liscio).
L'ascorbico favorisce il rilascio di NO nel plasma delle cellule endoteliali.

55
La deficienza favorisce lo scorbuto e si manifesta dopo 1 o 2 mesi di mancato
apporto di vitamina C. I primi sintomi sono: emorragie, ipercheratosi, congestione
follicolare e affaticabilità; poi: alterazioni gengivali; infine: ritardo nella guarigione
delle ferite, dolori articolari, edema e sintomatologia neuropsichiatrica (isteria,
depressione e ipocondria).

Gli enzimi sono dei catalizzatori e, in quanto tali, accelerano la velocità di reazione
senza alterarne l’equilibrio chimico.

Prima di analizzare come opera un enzima,


bisogna analizzare il diagramma di reazione,
che descrive l’andamento di una generica
variazione chimica, evidenziando le
variazioni energetiche.

Grafica alla coordinata di reazione che


analizza le variazioni energetiche che
avvengono nel corso di una reazione in
termini di energia libera. Viene analizzata in
funzione del procedere della reazione.

Il punto di partenza è definito “stato basale”, l’equilibrio tra S e P (substrato e


prodotto) dipende dalla differenza dei livelli di energia libera dei due composti al
loro stato basale.

In questo esempio, l’energia libera dello strato basale è minore di quella del
substrato quindi il ΔG (variazione dell’energia libera standard) è negativo → significa
che la reazione è esoergonica e dall’equilibrio ho più prodotto che substrato.

Tale equilibrio non viene modificato dal catalizzatore se l’equilibrio è favorevole non
significa che la velocità di reazione sia elevata perché dipende da altri parametri.
Tra S e P esiste una barriera energetica che corrisponde all’energia libera necessaria
a far avvenire la reazione (ad allineare i gruppi reagenti, a formare cariche
transitorie instabili, a riorganizzare i legami produrre altre trasformazioni) per
procedere in una delle due direzioni.

La barriera è illustrata nel grafico come una sorta di collina, perché la reazione
avvenga le molecole devono superare tale barriera e raggiungere un livello
energetico più alto rispetto a quello basale. Questo punto è chiamato “stato di
transizione”, in cui si hanno alcuni legami che si stanno rompendo e altri che si
stanno formando. La differenza tra il livello di energia dello stato basale e quello
dello stato di transizione è l’energia di attivazione, espressa come ΔG+-; la velocità di
una reazione dipende strettamente da essa. Un’elevata energia di attivazione
corrisponde a una bassa velocità di reazione.

56
Per descrivere la variazione di energia libera della reazione, si sono definite delle
condizioni standard:

- T = 25 C°
- P = 1 atm
- C = 1M
- pH = 7

La variazione di energia libera a cui il sistema può andare incontro in queste


situazioni si chiama ΔG0 (variazione di energia libera standard). Poiché nei sistemi
biologici la concentrazione di H+ è lontana da 1M, i biochimici hanno determinato la
variazione di energia libera standard biochimica con ΔG’0 a pH=7.

Con ΔG<0 → reazione può avvenire spontaneamente (reazione esoergonica)

ΔG=0 → il sistema è all’equilibrio

ΔG>0 → reazione non avviene spontaneamente (reazione endoergonica)

Quindi ΔG è:

- dipendente dall’energia libera dei prodotti – energia libera reagenti


- indipendente dalla via seguita della trasformazione
- non dà informazioni sulla velocità di reazione
- correlato all’energia libera di attivazione

Gli equilibri di reazione sono correlati alla variazione dell’energia libera standard
'
della reazione stessa. In un equilibrio S <-> P si ha: 𝐾 𝑒𝑞 = (𝑃)/(𝑆) relazionata a
'
∆𝐺’° = − 𝑅𝑇𝑙𝑛(𝑘 𝑒𝑞)

Un valore molto negativo di ΔG’° rispecchia un equilibrio formato dalla reazione, ciò
non indica la velocità a cui procede la reazione.

La velocità della reazione può essere aumentata aumentando T, incrementando il


numero di molecole che possono recuperare una quantità di energia sufficiente a
superare la barriera energetica.

L’energia di attivazione può essere abbassata anche aggiungendo un catalizzatore,


che aumenta la velocità di reazione abbassando l’energia di attivazione.

Gli enzimi non sfuggono a tale concetto, il loro ruolo è quello di accelerare
l’interconversione tra substrato e prodotto mediante una diminuzione dell’energia di
attivazione. In questo modo, l’enzima non viene consumato durante il processo
chimico e l’equilibrio resta intatto. La reazione raggiunge l’equilibrio in un modo più
veloce.

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- Enzima + substrato diventa dapprima
intermedio enzima-substrato e poi
enzima-prodotto e infine enzima + prodotto
- L’enzima accelera la reazione diminuendo
l’energia di attivazione, il legame enzima +
substrato crea un nuovo percorso di reazione
in cui l’energia dello stato di transizione è più
bassa di quella della reazione in assenza
dell’enzima. Poiché l’energia di attivazione è
più bassa, più molecole possono acquisire
l’energia necessaria a raggiungere lo stato di transizione.

Gli enzimi sono dei catalizzatori incredibili, l’aumento di velocità della reazione
determinato da un enzima può variare da 5 fino a 17 ordini di grandezza. Gran
parte del potere catalitico degli enzimi deriva dalla loro capacità di disporre i
substrati in posizione favorevole e promuovere la formazione degli stati di
transizione: legandosi ai substrati formano il complesso enzima-substrato. I substrati si
legano a una specifica regione dell’enzima che si chiama sito attivo. La maggior
parte degli enzimi sono estremamente selettivi per i substrati, la selettività
caratteristica degli enzimi dipende dalla specificità del substrato.

Le prove sperimentali che hanno portato all’evidenza del complesso


enzima-substrato sono state:

1. L’osservazione che a concentrazione costante di enzima, aumentando la


concentrazione di substrato, la velocità di reazione aumenta fino a Vmax oltre
alla quale non si ha nessun effetto. Nelle reazioni non catalizzate non si ha
tale saturazione. Il fatto che, nelle reazioni catalizzate dagli enzimi, si
raggiunga una Vmax suggerisce che ci sia la formazione del complesso
enzima-substrato, infatti, a concertazione sufficientemente alta di substrato,
tutti i siti catalitici sono occupati e quindi la velocità di reazione non può
aumentare ulteriormente.
2. La cristallografia a raggi X ha fornito immagini ad elevata risoluzione di
substrati e analoghi di essi legati al sito attivo di numerosi enzimi.
3. Caratteristiche spettroscopiche di molti enzimi e molti substrati che cambiano
in seguito alla formazione del complesso. Tali cambiamenti sono evidenti se
l’enzima ha il gruppo prostetico colorato

Il sito attivo di un enzima è la regione a cui si lega il substrato. Fanno parte anche i
residui che partecipano alla formazione e alla rottura dei legami durante la catalisi
(tali residui sono detti “gruppi catalitici”).

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L’interazione tra enzima e substrato a livello del sito attivo promuove la formazione
dello stato di transizione. Anche se gli enzimi differiscono tra loro, è possibile definire
delle caratteristiche comuni del sito attivo:

1. Il sito attivo è una tasca tridimensionale della sequenza amminoacidica


2. Occupano una porzione relativamente piccola del volume totale di un
enzima. La maggior parte dei residui amminoacidici non prende contatto
con il substrato, quasi tutti gli enzimi sono costituiti da più di 100 AA e quelli
“extra” costituiscono l’intelaiatura necessaria a formare il sito attivo
tridimensionali. In molte proteine, gli AA non impegnati nel sito attivo formano
siti di regolazione, di interazione con altre proteine o canali che indirizzano il
substrato verso il sito attivo.
3. Gli enzimi sono microambienti unici e specifici per il substrato e sono ambienti
in cui viene escluso l’ingresso di H2O. Il microambiente non polare della tasca
favorisce il legame del substrato e la catalisi.
4. I substrati legano l’enzima mediante un certo numero di interazioni deboli. La
specificità del legame dipende dalla disposizione degli atomi nel sito attivo.
Le interazioni non covalenti presenti nei complessi enzima-substrato sono
molto più deboli dei legami covalenti, come le forze di Van der Waals o i
legami a H, in particolare i legami a H rinforzano la specificità degli enzimi.

Poiché l’enzima e il substrato interagiscono per mezzo di


forza a corto raggio, il substrato deve avere una forma
complementare a quella del sito attivo per potersi
adattare e fu proposta l’analogia della serratura e della
chiave.

Oggi sappiamo che gli enzimi sono dotati di notevole


flessibilità e che la forma del
sito attivo può modificarsi a seguito del legame col
substrato. È stata poi proposta un’altra teoria, in cui il
sito attivo di alcuni enzimi assume una forma
complementare al substrato solo dopo che
quest’ultimo si è legato; tale processo di
riconoscimento dinamico è chiamato adattamento
indotto.

Il fattore che distingue gli enzimi dagli altri catalizzatori è la formazione di un


complesso substrato-enzima, l’interazione tra substrato ed enzima è mediata da
legami a H, interazioni idrofobiche, interazioni ioniche. La formazione di ogni piccola
interazione è accompagnata da un piccolo rilascio di energia libera, da cui
dipende il grado di stabilità dell’interazione. L’energia che si libera è detta energia

59
di legame, fonte principale di energia libera usata dall’enzima per abbassare
l’energia di attivazione e accelerare la velocità di reazione. Il numero delle
interazioni tra substrato ed enzima raggiunge il numero massimo solo quando il
substrato è nello stato di transizione. L’energia di legame resa disponibile
dall’associazione è massima solo nel momento in cui l’enzima facilita la formazione
dello stato di transizione, si può quindi pensare che l’energia libera dell’interazione
enzima-substrato provochi l’abbassamento dell’energia di attivazione.

Con l’adattamento indotto, l’enzima si lega al sito attivo ma le interazioni divengono


ottimali solo nello stato di transizione. L’energia libera che si libera dalla formazione
di queste interazioni viene utilizzata per abbassare l’energia di attivazione.
Interazioni deboli tra enzima e substrato sono la forza trainante della catalisi.

Queste interazioni deboli rendono gli enzimi anche estremamente specifici che
deriva dalla formazione di una molteplicità di interazioni tra l’enzima e tutte le parti
della molecola.

NB: i siti attivi non sono complementari al substrato in quanto tali ma allo stato di
transizione che il substrato deve raggiungere. Un esempio → cambiamenti
conformazionali associati a adenilato ciclasi quando lega l’ATP

Enzima immaginario, metallasi, che catalizza la rottura di una barretta di metallo


che necessita, per la rottura, di essere prima piegata (=stato di transizione). Le
interazioni magnetiche sostituiscono le interazioni deboli di legame
enzima-substrato.

1. Enzima ha la tasca rivestita da magneti complementare alla struttura della


barretta (=substrato) e questo viene stabilizzato. Il piegamento della barretta
sarà impedito dalle interazioni elettromagnetiche tra la metallasi e la
barretta;
2. Se ho un enzima con la tasca complementare allo stato di transizione della
reazione, si avrà destabilizzazione della barretta e un aumento della velocità
di reazione. Infatti, le interazioni magnetiche forniscono l’energia necessaria a
compensare l’aumento di energia libera richiesto per piegare la barretta.

CINETICA ENZIMATICA

Riguarda lo studio della velocità di reazioni catalizzate da enzimi.

Il modo più semplice per studiarla consiste nel seguire, per esempio con uno
spettrofotometro, l’aumento della formazione di un prodotto in funzione del tempo.
La quantità di prodotto formato è determinata in funzione del tempo a diverse
concentrazioni di substrato. La quantità di prodotto formato aumenta col passare

60
del tempo anche se, in tempi sufficientemente lunghi, non si hanno più variazioni
nelle quantità dei prodotti. Considerando solo la reazione che da S va a P, si può
definire la velocità della reazione catalizzata, V0, espressa come il numero di moli di
prodotto formate al secondo quando la reazione è appena cominciata (ossia in un
tempo vicino allo zero). Questa è ricavabile matematicamente facendo la
tangente alla curva.

Per molti enzimi, mettendo in grafico, le


curve V0, ottenute in funzione di (S) si
ottengono; bisogna però assumere che
la concentrazione di enzima sia sempre
la stessa. La velocità della reazione
catalizzata aumenta linearmente in
funzione dell’aumento della
concentrazione di substrato, fino a
raggiungere un massimo con alte concentrazioni di substrato e raggiunge un
plateau.

Nel 1993 Michealis e Menten proposero un modello per spiegare le caratteristiche


cinetiche e ipotizzarono che l’enzima per prima cosa si combinasse in modo
reversibile con il substrato, formando il complesso enzima-substrato, in una tappa
relativamente veloce e reversibile.

Il complesso enzima-substrato successivamente si scinde in due


tappe più lente che produce l’enzima + prodotto che poi si
converte in enzima libero + prodotto.

La seconda reazione è la più lenta e limita la velocità della


reazione complessiva. La velocità della reazione complessiva è
proporzionale alla quantità di enzima-substrato.

In qualsiasi istante di una reazione catalizzata l’insieme è presente in due forme:


quella libera e quella combinata con il substrato ES.

Quando la concentrazione di substrato è più bassa, la maggior parte dell’enzima


sarà nella forma libera e la velocità sarà proporzionale alla concentrazione di
substrato. Man mano che la concentrazione tende ad aumentare viene favorita la
formazione di questo complesso enzima-substrato e la Vmax si osserva quando tutto
l’enzima è presente nella forma di complesso enzima-substrato. In queste condizioni
l’enzima è saturo con il suo substrato e quindi ulteriori aggiunte non avranno effetto
sulla velocità di reazione, si ha la Vmax.

61
L’effetto saturante del substrato è una proprietà caratteristica degli enzimi ed è
responsabile della presenza di questo plateau. Quando l’enzima viene prima
mescolato con un grande eccesso di substrato c’è un periodo iniziale, stato
pre-stazionario, durante il quale avviene la formazione del complesso
enzima-substrato, la reazione raggiunge però rapidamente lo stato stazionario, in
cui la concentrazione del complesso enzima-substrato rimane con costante nel
tempo, questo tipo di analisi è detta cinetica dello stato stazionario.

La curva che esprime la relazione tra [S] e V0 ha lo stesso


andamento nella maggior parte degli enzimi che seguono tale
cinetica ed espressa algebricamente dall’equazione di
Michaelis-Menten (vedi fig.).

Si parte dall’ipotesi che la tappa limitante sia una


reazione enzimatica sia la scissione del complesso
enzima-substrato per formare l’enzima libero è il prodotto.
I termini [S], V0 e Vmax e la KM (costante di
Michaelis-Menten) possono essere valutati
sperimentalmente.

La KM è il rapporto tra le costanti di


velocità di dissociazione di formazione del complesso ES;
rappresenta un valore di concentrazione di substrato per la quale
la velocità di catalisi è pari alla metà della Vmax e il valore di KM è
una stima dell’affinità dell’enzima per il substrato.

Algebricamente l’equazione di Michaelis-Menten può essere trasformata in una


forma più utile per analizzare i dati sperimentali → equazione di Lineweaver-Burk o
dei doppi reciproci.

𝐾𝑀
Tale retta una pendenza data da ; un’intercetta sull’asse delle concentrazioni
𝑉𝑚𝑎𝑥
1 1
pari a e un intercetta sull’asse di 𝑉0 pari a .
1
− 𝐾𝑀 𝑉𝑚𝑎𝑥

Il grafico dei doppi reciproci


consente un’accurata
determinazione della Vmax che
può essere valutata solo in un
modo approssimativo con il
grafico della velocità iniziale in
funzione del substrato.

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La KM cambia molto da enzima a enzima e per molti corrisponde alla
concentrazione di substrato in vivo.

Se KM dà un'informazione sull'affinità dell’enzima verso il substrato, la Kcat e K2 esprime


il numero di turnover gli enzimi, cioè il numero di molecole di substrato che vengono
convertite in prodotto da una molecola di enzima nell’unità di tempo, quando
l’enzima è completamente saturato dal substrato.

La KCat rappresenta l’efficienza cinetica dell’enzima. In condizioni fisiologiche


succede raramente che la
concentrazione di substrato sia saturante
quindi la KCat non è significativa. È più
significativo KCat/ KM. Kcat/ KM rappresenta
l’indice di efficienza catalitica degli enzimi
che operano a concentrazioni di substrato
al di sotto del livello di saturazione. Tiene
conto infatti sia della velocità di catalisi (KCat) sia della forza di interazione tra E ed S
(KM).

STRATEGIE CATALITICHE

1) Catalisi-acido base: una molecola diversa dall’acqua svolge un ruolo di


donatore o accettore di legami a H;
2) Catalisi covalente: l’aumento della velocità di reazione è dovuto alla
formazione transitoria di un legame covalente tra catalizzatore e substrato. In
genere si tratta di una reazione tra un gruppo nucleofilo presente sull’enzima
e un gruppo elettrofilo del substrato;
3) Catalisi da ioni metallici: gli ioni metallici partecipano ai processi catalitici
secondo diverse modalità:
a. Si legano al substrato in modo da orientarlo correttamente per la reazione;
b. Partecipa a reazioni redox mediante cambiamenti reversibili dello stato di
ossidazione dello ione metallico;
c. Stabilizzano elettrostaticamente o proteggono le cariche negative.
4) Catalisi per prossimità: molte reazioni hanno distinti substrati e in questi casi la
velocità di reazione può essere accelerata ponendo i substrati l’uno vicino
all’altro su un'unica superficie di legame dell’enzima.

CATALISI ACIDO-BASE

Catalisi acida generale → l’energia libera dello stato di transizione di una reazione
viene abbassata a seguito del trasferimento temporaneo di un protone dall’acido.

63
Esempio: tautomerizzazione cheto-enolica, la reazione non catalizzata è molto lenta
è necessaria un’elevata energia libera per raggiungere lo stato di transizione, simile
ad un carbanione.

La catalisi acida generale porta alla donazione


di un protone all’atomo di O → riduzione del
carattere carbanionico dello stato di transizione
→ aumento della velocità di reazione

Catalisi basica generale → l’energia libera dello


stato di transizione viene abbassata a seguito
della sottrazione temporanea da parte di una
base.

Esempio: tautomerizzazione cheto-enolica.

Catalisi acido-base:

- Reazioni acido-base catalizzate in


modo concentrato;
- Le catene laterali di Asp, Glu, His, Lys, Tyr e Cys possono agire come
catalizzatori acidi e/o basici

Come esempio di reazione acido-base concertata, Rnasi A (pancreas bovino). Tale


enzima è digestivo e secreto dal pancreas a livello dell’intestino tenue e catalizza
l’idrolisi dell’RNA nei nucleotidi componenti. La velocità di reazione è strettamente
correlata al pH.

A livello della tasca catalitica si trovano 2 residui amminoacidi molto importanti che
prendono parte alla reazione, 2 istidine con 2 pk diversi (5,54 e 6,4). La catalisi è
divisa in due reazioni distinte: quella che avviene prima riguarda l’istidina in 12, che
si trova in posizione 12 a
livello della catena
polipeptidica, che si
comporta come base,
sottraendo un protone dal
gruppo ossidrilico 2’
dell’RNA, promuovendo
l’attacco nucleofilo
dell’atomo di fosforo. L’istidina 119 si comporta da acido generale, promuovendo la
scissione del legame, protonando il gruppo uscente → formazione di un intermedio
poliribonucletoidico contenente un gruppo fosfodiestere 2’,3’-ciclico dell’estremità
3’-terminale.

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La seconda reazione comporta una seconda tappa, dopo che il gruppo uscente si
allontana entra H2O; His 12 si comporta come un acido generale e l’His 119 come
base generale.

CATALISI COVALENTE

La reazione viene accelerata mediante la formazione transitoria di un legame


covalente fra il catalizzatore (gruppo nucleofilo) ed il substrato (gruppo elettrofilo) →
“catalisi nucleofilica”

Gli enzimi proteolitici che presentano, a livello della tasca catalitica, una serina
reattiva si chiamano serin proteasi. A questa categoria di enzimi fanno parte sia
alcuni enzimi digestivi (come la tripsina, la chimotripsina…) ma anche le elastasi,
proteasi prodotte dal pancreas, e anche la trombina, la plasmina, la callicreina che
sono importanti enzimi coinvolti nel processo di coagulazione del sangue.

La chimotripsina pancreatica è una proteasi, catalizza la rottura omolitica di legami


peptidici ed è specifica per i legami peptidici adiacenti ai residui amminoacidici
aromatici come triptofano, fenilalanina, tirosina; a differenza della tripsina che è
specifica per gli AA basici come lisina e arginina.

La struttura primaria della chimotripsina è costituita da 3 catene polipeptidiche


tenute insieme da dei ponti disolfuro, esse derivano dalla forma inattiva dell’enzima
chiamato chimotripsinogeno, che subisce dei tagli proteolitici e dà origine a quella
proteina matura attiva. Nella struttura primaria si vede la presenza di ponti disolfuro,
ma soprattutto sono aumentati gli AA importanti al funzionamento dell’enzima; la
serina 195, l’aspartato 102, e l’istidina 57, anche la glicina 193 ha una certa
importanza.

Nella rappresentazione tridimensionale è


rappresentata la tasca catalitica dove si
trovano molto vicini, a livello spaziale, i 3
residui amminoacidici molto importanti che
definiscono la triade catalitica: istidina,
aspartato e serina, che a livello della catena
polipeptidica sono lontani. Questo enzima è
altamente specifico per gli AA aromatici ma
anche le catene laterali alifatiche.

Legami cerchiati → idrolizzati dall’enzima

L’organizzazione del sito attivo spiega la particolare


reattività della serina, la catena laterale della serina 195
interagisce con l’anello imidazolico dell’istidina 57,
tramite un legame a H; a sua volta il gruppo -NH

65
dell’anello imidazolico forma un legame a H con il gruppo carbossilico
dell’aspartato 102. Questa organizzazione con cui i 3 residui sono disposti in modo
da formare tale legame a H è detta triade catalitica.

Il residuo di istidina serve sia a posizionare la catena laterale della serina ma anche
per polarizzare il gruppo ossidrilico della serina stessa, in modo da renderlo
disponibile alla deprotonazione. Infatti, la serina diventa acida in queste condizioni.

In presenza del substrato, il residuo di istidina accetta


il protone dell’ossidrile della serina 195, l’istidina agisce
con un meccanismo di catalisi basica generale,
l’eliminazione di un protone dall’ossidrile della serina
genera uno ione alcossido, nucleofilo molto potente.
Il residuo di aspartato contribuisce a mantenere il
residuo di istidina nel giusto orientamento e, attraverso
la formazione di un legame a H, insieme a effetti elettrostatici la rende un miglior
accettore di protoni.

Il polipeptide che deve subire l’idrolisi entra a livello del sito catalitico; la reazione
inizia con l’atomo di O della catena laterale della Ser195 che produce un attacco
nucleofilo sul C carbonilico del legame peptidico, che deve essere idrolizzato.

Vi sono ancora 4 atomi legati al C carbonilico, che assume una configurazione


tetraedrica, che è l’intermedio
tetraedrico instabile con carica
negativa sull’O, derivato dal
gruppo carbonilico. Tale carica è
stabilizzata dall’interazione con i
gruppi -NH della proteina, presenti
nel buco dell’ossanione, a cui
partecipa anche la Gly. Tali
interazioni contribuiscono a
stabilizzare lo stato di transizione
che precede
la formazione
dell’intermedio tetraedrico. Tale intermedio è molto reattivo e
si trasforma nell’acil-enzima, tale passaggio è facilitato dal
trasferimento del protone dell’Hys carica positivamente al
gruppo amminico, formatosi dalla scissione del legame
peptidico.

Il componente amminico è ora libero di abbandonare l'enzima completando la


prima fase della reazione idrolitica. Si ha quindi la formazione dell’acil-enzima. Lo

66
stadio successivo, la deacilazione dell'enzima, con la ricostituzione dell'enzima libero
inizia con una molecola di H2O che prende il posto, prima occupato, della
componente amminica del substrato. Il gruppo estere dell’acil-enzima viene ora
idrolizzato da un processo che ripete fasi già viste, agendo con un meccanismo di
catalisi acida generale; l'Hys 57 stacca un H+ dall’H2O, lo ione OH- attacca l’atomo
di C carbonilico del gruppo acilico, formando un intermedio tetraedrico. Questa
struttura è molto reattiva e forma un acido carbossilico come prodotto finale. Infine
si ha il rilascio dell’acido carbossilico e la ricostituzione dell’enzima libero, pronto
per effettuare un nuovo ciclo.

Ci sono altre proteine che scindono peptidi attraverso un meccanismo che usa la
triade catalitica, alcune sono simili, come la tripsina e la elastasi, che presentano
un'omologia di sequenza molto elevata (>40%) [Sovrapposizione della struttura della
chimotripsina a quella della tripsina → manifesta grande similitudine]. Tali proteine
agiscono con un meccanismo simile, gli enzimi differiscono però per quanto
riguarda la specificità di substrato, infatti la tripsina idrolizza i legami peptidici, che si
trovano immediatamente dopo ai residui con catene laterali basiche, come quelle
dell’Arg e della Lys, a differenza della chimotripsina.

Ci sono infatti differenze a livello della tasca catalitica,


che si correlano alla diversa specificità per gli enzimi, in
particolare, a differenza della chimotripsina, la tripsina
presenta, a livello della tasca catalitica, un residuo di
Asp, carico negativamente, che attrae e permette
l’interazione con i residui basici, a differenza della
chimotripsina, che non ha residui acidi, ma ha una tasca
idrofobica.

L’attività di molti enzimi può essere inibita da specifiche molecole o da ioni, tale
inibizione è uno dei principali meccanismi di controllo
nei sistemi biologici, caratteristico soprattutto degli
enzimi allosterici. Anche molti farmaci e veleni possono
legarsi agli enzimi inibendoli.

L’inibizione enzimatica può essere di 2 tipi: reversibile o


irreversibile. Nel caso dell’inibizione reversibile, ci sono
altre modalità: quella competitiva, incompetitiva e non
competitiva.

INIBIZIONE REVERSIBILE COMPETITIVA

In tale inibizione l’inibitore compete con il substrato per il sito attivo, la caratteristica
principale è che, però, se aumenta la concentrazione di substrato si può rimuovere
l’effetto inibitore. Tale effetto è quello di aumentare, apparentemente, il valore di KM

67
(in sua presenza è necessario aumentare la concentrazione del substrato per
raggiungere la stessa velocità di reazione, che si riscontra in assenza dell’inibitore).

In presenza di un inibitore competitivo, l’enzima


raggiungerà la stessa velocità massima che, in
assenza dell’inibitore, però necessiterà di
concentrazioni maggiori di substrato. Man
mano che aumenta la concentrazione
dell’inibitore, per raggiungere una determinata
velocità di reazione sono necessarie
concentrazioni sempre maggiori di substrato.

Con questo tipo di inibitore si ha un aumento


della KM, ma tuttavia la Vmax rimane inalterata. Alcuni inibitori competitivi vengono
comunemente usati come farmaci, i sulfamidici o gli antifolici (metotressato), come
anche le statine (farmaci utilizzati per abbassare i valori di colesterolo a livello sierico
e rappresentano analoghi del substrato della HMG CoA-reduttasi presente nella
sintesi del colesterolo).

INIBIZIONE INCOMPETITIVA

L’inibitore si lega solo quando sia il complesso enzima substrato quindi si lega solo se
è presente il substrato. Il complesso
enzima-substrato-inibitore non procede verso la
formazione di nessun prodotto, quindi la Vmax sarà
più bassa in presenza dell’inibitore, l’inibitore
incompetitivo abbassa anche il valore di KM perché
l’inibitore si lega al complesso enzima-substrato per
formare il complesso enzima-substrato-inibitore,
diminuendo la concentrazione del complesso
enzima substrato.

Per mantenere l’equilibrio tra enzima substrato di


enzima libero, altro substrato si legherà all’enzima, per raggiungere la metà della
concentrazione massima di enzima substrato è richiesta una minor concentrazione
di substrato il valore di KM si riduce. Un esempio è l’erbicida glifosato, inibitore in
competitivo di un enzima per la biosintesi di amminoacidi aromatici.

INIBIZIONE NON COMPETITIVA PURA

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L’inibitore e il substrato si legano in siti diversi della
molecola enzimatica, ma, diversamente da quella
incompetitiva, l’inibitore non competitivo può legarsi
sia al sito libero sia al complesso enzima substrato.
L’inibitore agisce diminuendo la concentrazione
dell’enzima funzionale. La soluzione contenente
l’enzima si comporta come se fosse una soluzione di
enzima più diluita.

L’inibizione non competitiva non può essere rimossa


aumentando [S], in questo caso avremo che non si
raggiungerà la Vmax, si avrà una Vmax minore rispetto all’enzima non inibito, tuttavia in
questo caso, la KM rimarrà uguale.

INIBITORI IRREVERSIBILI

Si legano in modo covalente all’enzima e lo inattivano, non esiste la possibilità di


recuperare la molecola enzimatica e renderla nuovamente attiva. Si dividono in
diverse categorie: reagenti gruppo specifici (reagiscono con gruppi laterali specifici
degli aminoacidi), analoghi del substrato (molecole strutturalmente simili al substrato
dell’enzima, si legano covalentemente ai residui aminoacidi che fanno parte del
sito attivo), inibitori suicidi o basati sul meccanismo d’azione degli enzimi (substrati
modificati che, specificamente, modificano il sito attivo degli enzimi).

Un esempio di reagenti con gruppi specifici è il diisopropilfluorofosfato, che reagisce


con una serina presente nella tasca catalitica dell’acetilcolina esterasi; è un gruppo
specifico perché reagisce a livello delle serine.

Questa molecola non è specifica per


l’acetilcolina esterasi, reagisce con
numerose serine presenti in numerose
tasche catalitiche di molti enzimi, per
esempio reagisce anche con la serina del
sito attivo della chimotripsina. È un veleno
molto pericoloso perché non è per niente
selettivo. Questa molecola reagisce
grazie alla presenza del fluoro con la serina, formando un legame di tipo covalente

69
e in attiva l’enzima stesso; questo è un gas nervino molto pericoloso perché agisce
senza specificità su tutte le acetilcolinesterasi e su tutti gli altri enzimi.

Gli analoghi del substrato sono molecole simili al


substrato dell’enzima e si legano
covalentemente ai residui aminoacidi che fanno
parte del sito attivo. Quindi sono più specifici al
sito attivo rispetto che ai reagenti gruppo
specifico. Un esempio è tosil-L-fenilalanina cloro
metil chetone (TPCK), analogo del substrato della
chimotripsina. Si lega al sito attivo dove reagisce
il reversibilmente con un residuo di istidina, in questo modo viene inattivato l’enzima.

Gli inibitori suicidi sono substrati modificati che


forniscono i mezzi più specifici per modificare il
sito attivo degli enzimi. L’inibitore si lega
all’enzima come substrato e viene inizialmente
modificato attraverso i normali meccanismi di
catalisi. Lo stesso meccanismo catalitico
genera un intermedio chimicamente reattivo e
che inattiva l’enzima mediante la
modificazione covalente.

Un esempio è la penicillina, le penicilline consistono di un anello tiazolidinico e un


anello β-lattamico, in cui è presente un analogo del legame peptidico (altamente
reattivo). Nei gram positivi, le penicilline agiscono creando delle interferenze nella
sintesi della parete cellulare, che, nei Gram positivi, è costituita da peptidoglicano
(si ha un gran numero di catene polisaccaridiche lineari unite da piccoli peptidi che
formano dei legami trasversali che sono fonti di pentaglicine di altri tetrapeptidi).

La reazione di formazione del legame trasversale catalizzata dalla glicopeptide


transpeptidasi, la reazione
rende il peptidoglicano molto
più stabile; la penicillina
inibisce la formazione di
questi ponti trasversali.
La formazione dei legami
trasversali del peptidoglicano avviene grazie alla reazione tra il gruppo N-terminale

70
del ponte di pentaglicina con il legame peptidico tra due dialanine, per formare un
legame trasversale.
La transpeptidasi
forma un intermedio
acilico, con il
penultimo residuo di
D-Ala del peptide
D-Ala-D-Ala, questo intermedio covalente acil-enzima reagisce poi con il gruppo
amminico della Gly terminale di un altro peptide, formando un legame trasversale.

La penicillina si posiziona facilmente


a livello del sito attivo della
transpeptidasi, in quanto mima il
motivo D-Ala-D-Ala del substrato;
infatti la conformazione della
penicillina, in prossimità del legame
peptidico reattivo, è molto simile alla conformazione per lo stato di transizione della
D-Ala-D-Ala.

L’anello β-lattamico la penicillina, a quattro atomi, si trova in uno stato di forte


tensione quindi è molto reattivo. Il
residuo di serina del sito attivo della
transpeptidasi attacca il carbonio
carbonilico dell’anello β-lattamico e
forma un derivato, penicillin serina.
Poiché la peptidasi partecipa alla
sua inattivazione, la penicillina si
definisce quindi inibitore suicida; si forma così un legame covalente, che inattiva
totalmente l’enzima.

I batteri, per resistere all’attività della penicillina, hanno prodotto una forma di
resistenza, infatti alcuni Gram positivi producono un enzima, chiamato β-lattamasi,
che idrolizza la penicillina, rendendola inattiva. Una serina, appartenente alla tasca
catalitica, reagisce con l’anello β-lattamico, si forma un acil enzima e la liberazione
della penicillina inattiva. Un metodo per evitare l’attività della penicillina, da parte
di batteri, è stato appunto quello della β-lattamasi.

71
Esiste un altro inibitore suicida della β-lattamasi: l’acido clavulanico, con una
struttura che ricorda quella delle penicilline, esso reagisce con la β-lattamasi e,
nello stesso modo, provoca l’inattivazione dell’enzima stesso.

A livello terapeutico, si possono trovare formulazioni con la penicillina, che serve a


inattivare la formazione della parete del Gram positivo, contenente anche l’acido
clavulanico, che serve a inattivare un eventuale β-lattamasi, presente nel batterio
patogeno.

REGOLAZIONE DELL’ATTIVITA’ ENZIMATICA

Innanzitutto, gli ormoni (segnali


extracellulari) possono modulare
l’attività di un enzima, così come la
presenza di fattori di trascrizione
possono favorire la trascrizione di
geni specifici a inibire geni
responsabili della produzione di
enzimi specifici. Prodotto l’mRNA, a
seguito del processo di trascrizione,
esso può essere più o meno stabile e
può essere degradato in tempi più o meno veloci e può permettere la produzione di
più o meno enzima; così come un altro punto di regolazione, avviene nei ribosomi.
Infatti, la quantità di mRNA tradotta sul ribosoma può essere modulata.

Un altro punto di regolazione è l’emivita di ogni proteina, una volta che il ribosoma
produce l’enzima che è attivo, questo può essere degradato. Ogni proteina ha una
sua emivita e quindi a seconda di questa si ha un’attivazione maggiore o minore
dell’enzima.

Oppure l’enzima attivo può essere sequestrato a livello di un organello cellulare,


come a livello dell’RE; o ancora l’enzima può essere regolato in maniera allosterica
con effettori allosterici, dei metaboliti si legano a siti diversi da quello catalitico e
attivano o inattivano l’enzima stesso, fosforilato e quindi attivato o defosforilato e
quindi inattivato. Oppure l’enzima può combinarsi e formare dei complessi con
delle proteine regolatrici che ne regolano l’attività.

Un enzima si può controllare mediante regolazione della trascrizione, mediante


controllo della regolazione della traduzione, mediante degradazione dell’enzima
che viene inattivato, mediante regolazione con modificazione covalente, mediante
regolazione di attivazione o inibizione della funzione enzimatica.

72
Meccanismi di regolazione dell'attività enzimatica:

1. Interazioni allosteriche
2. modificazioni covalenti reversibili
3. modificazioni covalenti irreversibili o attivazione proteolitica
4. interazione con proteine di controllo
5. forme multiple delle proteine enzimatiche (isoenzimi)

La maggior parte degli enzimi rispetta la cinetica di Michaelis Menten, però


ciascuna via ha uno o più enzimi con notevole effetto sulla velocità dell'intera
sequenza di reazioni → tappe regolate

L'attività catalitica di questi enzimi che regolano la via metabolica aumenta e


diminuisce, in risposta a determinati segnali con strategie elencate.

Regolazione enzimatica

Gli enzimi allosterici presentano queste caratteristiche:

1. avere una conformazione diversa indotta dal legame del modulatore (esiste
anche per gli enzimi, una conformazione più attiva R e una meno attiva T)

2. regolazione allosterica avviene mediante effettori allosterici, ossia molecole


che si legano a un sito diverso da quello catalitico, chiamato regolatore.
Questi enzimi sono costituiti da più di una catena polipeptidica, una che
funge da regolatore e una che funge da
catalizzatore

3. non seguono la cinetica di Michaelis-Menten, la


curva di velocità è a sigmoide e questo indica la
presenza di un legame cooperativo

4. sono formati da diverse subunità, catalitiche e


regolatorie

5. il legame con i modulatori allosterici crea modificazioni conformazionali


dell'enzima che ne modifica l'attività

6. catalizzano reazioni chiave nelle vie metaboliche, fungendo da valvole che


legano il flusso dei metaboliti in base alla richiesta fisiologica del momento

7. es. aspartato transcarbamilasi, una delle prime tappe della biosintesi delle
pirimidine, in questo caso si ha la catalizzazione tra la aspartato e il carbamil
fosfato. Struttura a sei subunità catalitiche e da diverse subunità regolatorie
(6); gli effettori allosterici di questo enzima sono il CTP (citosina trifosfato) e
l’ATP. Il CTP è un inibitore → inibizione retroattiva → a un sito di legame che
favorisce la trascrizione di una conformazione meno attiva, mentre l’ATP

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stimola l'enzima e favorisce la transizione dell'enzima a una conformazione
più attiva.

8. possono essere omotropici, il substrato funge da


attivatore. In questo caso, quando una
molecola si lega a una subunità si altera la
conformazione e si facilita il legame con altre
molecole di substrato, per questo si ottiene una
curva a sigmoide

9. possono essere eterotropici, diversi dal substrato


e spesso sono anche in subunità diverse dell'enzima
e possono essere elettron positivi o negativi.

Un esempio di inibizione allosterica è la via di biosintesi


della fosfofruttochinasi di tipo 1 del muscolo, che è un
enzima responsabile della trasformazione del fruttosio-6-fosfato in 1,6-difosfato, in
1,6-Difosfato, ed è un enzima che fa parte della glicolisi, una delle più importanti vie
metaboliche. Tale enzima è regolato dalle
quantità di ATP, che funge sia da substrato
sia da effettore allosterico omotropico.
Perché la glicolisi ha il compito di produrre
ATP e se si ha un'elevata concentrazione
di ATP, tale enzima viene inibito (→ glicolisi
inibita), mentre con basse concentrazioni
di ATP, la glicolisi viene favorita. Questo si
ripercuote nelle curve cinetiche.

Con poco ATP, l'enzima è più attivo rispetto a quando si hanno alti valori di ATP. Tale
enzima rappresenta la tappa di regolazione dell'intera glicolisi, esistono inoltre altri
modulatori allosterici di tale enzima (AMP).

Ci soffermiamo sul contributo dell’AMP; se si hanno alte concentrazioni di ATP nella


cellula si hanno basse concentrazioni di AMP. Infatti, la concentrazione di ATP e la
concentrazione di AMP e di ADP hanno un bilancio che resta costante nella cellula,
quindi l’AMP si lega a un sito allosterico deputato e attiva l'enzima → se si ha tanto
AMP vuol dire che si ha bisogno di ATP e quindi la glicolisi viene attivata.

Regolazione covalente reversibile

Un'altra regolazione è modulata da modificazioni covalenti di uno o più residui


aminoacidici della molecola enzimatica. Tali modificazioni comportano l'aggiunta
di gruppi fosforici, acetilici, adenilici, indolici, metilici, amidici, carbossilici, meristilici.

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Anche molte proteine come l’ubiquitina e le proteine SUMO possono essere
utilizzate per modificare covalentemente le proteine che si legano ad altre proteine.
Questi gruppi sono inseriti o rimossi da degli enzimi appositi.

Alcuni esempi: si può avere fosforilazione della glicogeno fosforilasi ma anche altre
modificazioni comuni come l’acetilazione degli istoni (proteine che legano il DNA).

Una delle più importanti regolazioni di tipo covalente avviene attraverso la


fosforilazione, il legame dei gruppi fosfori aspecifici residuo aminoacidico di una
proteina è catalizzato da proteine chiamate kinasi. Il gruppo fosforico in posizione γ
di un nucleoside trifosfato, che è generalmente l’ATP, viene trasferito a un
particolare residuo, in genere Ser, Tyr.
Gli atomi di O, del gruppo fosforico, possono formare legami a H con uno o più
gruppi della proteina, cambiando la conformazione. Si ha una riorganizzazione della
conformazione e un cambiamento dell’attività dell’enzima.

Una volta che l’enzima è fosforilato può essere attivato o inattivato a seconda dei
casi, ma l’effetto della fosforilazione può essere rimosso attraverso le proteine
fosfatasi. Un esempio è la regolazione, per fosforilazione, dell’enzima
glicogenofosforilasi; tale enzima catalizza la reazione di degradazione del
glicogeno, per cui da 1 molecola di glicogeno si libera glucosio 1-fosfato, che può
essere utilizzato per il metabolismo energetico.
La glicogeno fosforilasi può assumere due forme: una A (più attiva) e una B (meno
attiva). La fosforilasi A é composta da 2 subunità, ognuna delle quali contiene un
residuo di Ser, che può legare un gruppo fosforico a livello dell’OH della Ser stessa.
Quando la Ser è fosforilata si ha la maggiore attività da parte dell’enzima, quindi i
gruppi fosforici possono essere rimossi attraverso la PP1 (fosforilasi fosfatasi).

La demolizione del glicogeno, a livello muscolare e nel fegato, viene regolata dalla
fosforilazione o deefosforilazione di tale enzima. Quindi quando è fosforilato sarà
attiva la degradazione e quando è defosforilato sarà meno attiva la fosforilazione.
La reazione di fosforilazione crea una modificazione conformazionale dell’enzima
che permette la trasformazione della fosforilasi nella conformazione B nella fosforilasi
nella conformazione A.

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