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1.

Metabolismo glutammato
Per sostituzione del gruppo chetonico dall’alfa-chetoglutarato, ottenuto per decarbossilazione
dell’isocitrato, si ottiene il glutammato (5C). Si tratta di un alfa-chetoacido, in cui il gruppo
chetonico in alfa dà reazioni di addizione nucleofila.
Svolge un ruolo importante nel metabolismo degli amminoacidi, in particolar modo nel catabolismo
del gruppo amminico. In tutti i tessuti e nel fegato ha un ruolo centrale nel metabolismo dell’azoto
fungendo da raccoglitore (in senso catabolico) o distributore (in senso anabolico).
Enzimi coinvolti:
- Transaminasi: trasferimento gruppo amminico dei vari amminoacidi a una molecola di alfa-
chetoglutarato che diventa glutammato, mentre l’aa. diventa il suo corrispettivo alfa-
chetoacido.
- Glutammato deidrogenasi: catalizza la deaminazione ossidativa del glutammato con
formazione di alfa-chetoglutarato passando per l’intermedio iminoglutammato. Serve NAD+
(reazione catabolica promossa da ADP e GDP– da glutammato a alfachetoglutarato) o NADP+
(reazione anabolica – reazione inversa) come trasportatore di e-.
- Glutammina sintetasi: catalizza la reazione di formazione della glutammina a partire da
glutammato e ammoniaca e con la spesa di legame fosfoanidridico. Con questa reazione
l’ammoniaca può essere trasportata in circolo solo così per arrivare al fegato. Regola la
disponibilità e l’equilibrio di azoto.

Dalla degradazione delle proteine presenti nel muscolo si ottiene il glutammato che per azione
dell’alanina transferasi cede al piruvato il gruppo amminico che si trasforma in alanina. Questa
attraverso il sangue raggiungerà il fegato e a lv. dell’epatocita sarà presente una transferasi che
cederà il gruppo amminico dell’alanina all’alfachetoglutarato con formaizone di piruvato e
glutammato.
Negli altri tessuti il glutammato funge da raccoglitore di gruppi amminici derivanti dal
catabolismo degli aa e verrà trasformato in glutammina attraverso la glutammina sintasi a
causa dell’impossibilità del glutammato di lasciare la cellula perché acido.
La glutammina e l’alanina raggiungeranno il fegato perché solo lì può avvenire la sintesi
dell’urea: glutammina diventa glutammato grazie alla glutaminasi a lv mitocondriale con
liberazione di ione ammonio mentre l’alanina diventa piruvato grazie a transaminasi e qui si
forma di nuovo glutammato che per azione della glutammato deidrogenasi libera lo ione
ammonio che viene convogliato nell’urea.  SCHEMA
2. Metabolismo apoproteine
Apoproteine: glicoproteine sintetizzate nel fegato e nell’intestino. Presentano alfa eliche
anfipatiiche, le quali prendono contatto con la lipoproteina e con il sangue. Hanno funzione
strutturale (aumentano stabilita strutturale delle lipoproteine e conferiscono proprietà idrofiliche),
cofattori enzimatici (attivano enzimi utili per il metabolismo delle lipoproteine), ligandi per i
recettori.
Metabolismo lipoproteine:
- Lipoprotein lipasi: sulla superficie luminale dell’endotelio dei capillari. Idrolizza il legame
estereo tra il glicerolo e l’acido per idrolisi trigliceridi  si formano acidi grassi (+ albumina per
essere veicolati) e glicerolo. La subiscono chilomicroni e VLDL del fegato. Viene attivata da Apo
C-II. HDL dona questo attivatore e quando i chilomicroni e le VLDL lo acquisiscono diventano
idonei per potere riconoscere la LPL che verrà attivata. Dopo la sua azione si ottengono le
rimanenze.
- Lipasi epatica: presente sulla superficie degli epatociti o sulle cellule endoteliali dei capillari
sinusoidi del fegato. Termina idrolisi dei trigliceridi ancora presenti nelle rimanenze dei
chilomicroni e delle VLDL che arrivano al fegato.
- LCAT: catalizza il trasferimento di un acido grasso dalla fosfatidilcolila o dalla
fosfatidiletanolammina al colesterolo. Avviene a lv della superficie delle HDL e richiede Apo A1
come cofattore. Apo A1 attiva aciltransferasi ed esterifica il colesterolo che può entrare nella
lipoproteina. Le HDL grazie alla presenza del colesterolo che entra nella lipoproteina diventano
sferoidali.
3. Risposta epatocita a una dieta povera di carboidrati
In caso di una dieta povera di carboidrati il fegato deve produrre glucosio in quanto ci sono dei
tessuti e delle cellule, come eritrociti e tessuto nervoso, che dipendono dal glucosio.
In questo caso l’apporto energetico è sostituito dal catabolismo degli acidi grassi (beta ossidazione:
si ottiene acetil CoA che normalmente in quanto effettore positivo della piruvato carbossilasi porta
alla sua ossidazione ad ossalacetato ma questo in carenza di glucosio viene usato per la
gluconeogenesi), per cui a lv del fegato arrivano segnali di allarme a causa della diminuzione della
glicemia e verrà fatta partire la gluconeogenesi con utilizzo dell’ossalacetato per produrre glucosio.
A questo punto l’acetil CoA che si forma dal metabolismo degli acidi grassi non ha più ossalacetato
con cui reagire e per liberare il CoA dall’acetile avviene la produzione dei corpi chetonici:
acetoacetato, beta-idrossibutirrato e acetone. Nella formazione dei corpi chetonici:
1. si hanno due acetilcoa che effettuano una condensazione di Claisen grazie all’enzima tiolasi con
liberazione di un CoA-SH e la formazione di acetoacetilCoA
2. l’acetoacetilcoa reagisce con un’altra molecola di acetilcoa e grazie all’enzima HMGCoA sintasi
si ottiene HMGCoA ed esce un’altra molecola di CoA-SH
3. Grazie a HMGCoA liasi si libera acetilCoA e si forma acetoacetato
4. L’acetoacetato può essere ridotto a beta-idrossibutirrato grazie alla beta-idrossibutirrato DH
con ossidazione del NADH H in NAD+ o essere decarbossilato ad acetone con eliminazione di
CO2.
5. Per essere utilizzati subiscono un ciclo di beta ossidazione che porta alla formazione di
acetilCoA che entra nel ciclo di Krebs
4. Ribonucleotide reduttasi
Si occupa della riduzione dei nucleotidi difosfato a lv del D-ribosio per la formazione dei
deossiribonucleotidi. Nella sua forma attiva la RR è un tetramero, costituita da due subunità R1 e
due R2, ciascuna omodimero nell’oloenzima. Il sito catalitico è costituito sia dalla R1 sia dalla R2. La
R1 partecipa con due residui di Cys che si ossidano e si riducono mentre la R2 partecipa con un
residuo di Cys e uno di Tyr. I siti regolatori sono solo a lv di R1 e sono siti di specificità per il
substrato che determina quale nucleotide si lega al sito catalitico e siti di attività generale (lega ATP
per attivazione e dATP per inibizione).
Meccanismo catalitico:
1. A lv di R2 la Tyr 122 presente come radicale tirosilico interagisce con residuo HX (Cys 439)
determinando la formazione del radicale cisteinico. Si rigenera la Tyr 122 generando il radicale
X nel sito ativo attraverso una reazione radicalica.
2. Entra NDP, il radicale X reagisce con C3 dello zucchero rimuovendo un H e generando un
radicale sul C, attivando la molecola.
3. In R1 uno dei due residuo cisteinici Cys225 protona il gruppo ossidrilico in C2 generando un
solfuro.
4. Il gruppo ossidrilico protonato diventa un buon gruppo uscente e viene liberato come acqua. Si
genera un catione su C2.
5. Avviene un riarrangiamento del carbocatione e del solfuro: il solfuro mette in
compartecipazione il suo doppietto con Cys 462 e il carbocatione strappa uno ione idruro da SH
della Cys 462. Si forma un ponte disolfuro (Cys ossidate) e avviene la protonazione del C2 (si è
ridotto)
6. Il gruppo –XH (Cys) cede un H al C3
7. Si ha avuta la completa riduzione a lv del C2 e il deossiribonucleotide difosfato esce dal sito
attivo.
8. Si deve riformare l’enzima -> ritornare allo stato ridotto:
- Sistema tireodossina: si ossida riducendo RR. La tireodossina ossidata in diversi
gruppi SH torna nella forma ridotta ricevendo e- dalla flavoproteina tireodossina
reduttasi il cui gruppo prostetico passa dal FADH2 al FAD. FAD viene poi ridotto da
NADPH + H
- Sistema glutareodossina: contiene gruppi SH che ossidandosi rigenerano RR. Viene
riportata nella forma ridotta dalla glutaredossina che riceve e dal glutatione che
passa nella forma ossidata. A rigenerare il glutatione interviene il NADPH.
Per quanto riguarda la regolazione:
- Allosterica -> A basse concentrazioni delle varie subunità prevale lo stato dissociato
-> enzima inattivo; ad alte concentraizoni prevale il tetramero -> forma attiva
- Specificità:
o dTTP attiva riduzione GDP e inibisce UDP
o dGTP stimola riduzione ADP
o dATP stimola sintesi dCDP e dUDP
9. Metabolismo dell’etanolo
Ossidazione etanolo in aldeide acetica a lv epatico. Può essere catalizzata da tre diversi enzimi
seguendo le diverse tappe di ossidazione: etanolo (alcol), acetaldeide (aldeide) e acetato
(acido).
- Alcol deidrogenasi ADH: ossidoreduttasi omodimerica con 4 Zn per molecola (due
nel sito attivo che servono per legame di NAD e alcol all’enzima e due che
stabilizzano la struttura terziaria). Si trova nel citosol e raggiunge la maggiore
affinità quando l’etanolo = 1 mM + non serve O2  SCRIVERE REAZIONE
- MEOS: citocromo P450 e NADP, serve O2. Concentrazione etanolo = 10 mM. 
SCRIVERE REAZIONE
- Catalasi: e ceduti ad H2O2 e O ridotto ad H2O. Km elevata = 20 mM
Serve poi acetaldeide deidrogenasi ALDH che aiuta a liberarsi dall’acetaldeide. Serve ALDH2*1
attivo -> trasforma acetaldeide in acetato -> usato come fonte energetica a spese
dell’ossidazione dei grassi + può portare alla formazione di acido urico (SCHEMA)
10. Chetoglutarato deidrogenasi
Catalizza una reazione di decarbossilazione ossidativa in cui l’alfa chetoglutarato viene
trasformato in succinil-CoA e CO2. Si tratta di un complesso caratterizzato dalla presenza di tre
enzimi E1, E2, E3 e cinque coenzimi (TPP, lipoato, FAD, NAD e CoA).
1. L’alfachetoglutarato viene decarbossilato da E1 e dal suo gruppo prostetico TPP che funge
da trappola di e. Questo lega a se l’idrossibutirrato formando idrossibutirril TPP con
fuoriuscita di CO2
2. Ossidazione gruppo idrossilico: idrossibutirrato viene ceduto a E2 che ossida il gruppo
ossidrile. Viene liberata la TPP e viene ridotto il ponte disolfuro della lipoamide. Uno dei
zolfi rimane libero mentre l’altro forma un legame tioestereo.
3. Trasferimento del succinil al CoA: entra un CoA che rompe il legame tioestero con
formazione di un nuovo legame tioestero. La lipoamide torna nella sua conformazione
ossidata a spese di un FAD presente in E3 che si riduce a FADH2
4. FADH2 si ossida a sese di un NAD+ che si riduce a NADH.
L’enzima viene inibito dal NADH
SCHEMA
11. Aspartato transcarbamilasi
Enzima coinvolto nella sintesi delle pirimidine. È costituito da sei subunità catalitiche, divise in
due trimeri, e sei subunità regolatorie. L’enzima è regolato da aspartato (effetto omotropo
cooperativo +) e modulatori + come ATP e negativi come CTP. Catalizza la reazione di
condensazione nella quale il carbamil fosfato reagisce con l’aspartato fromando N-Carbamila
aspartato. Si tratta della tappa di comando della sintesi delle pirimidine.
12. Acil CoA sintetasi
Catalizza la reazione di attivazione degli acidi grassi che entrano nella cellula con utilizzo di una
molecola di ATP. Avviene la formazione di un legame tioestereo in modo che il C carbossilico, e
quindi l’acilCoA, risulti attivato e viene meno l’intera porzione idrofobica, impendendo
l’interazione tra le catene di acido grasso per la formazione di micelle.
13. Destini del piruvato
I destini del piruvato sono 4:
- riduzione a lattato grazie alla lattato deidrogenasi: riduzione e ossidazione del
carbonio carbonilico. Il gruppo chetonico viene ridotto a gruppo alcolico e questo
permette l’ossidazione di un NADH con formazione di NAD+ per fare procedere la
glicolisi
- decarbossilazione ossidativa ad acetilCoA: perde CO2
- carbossilazione ad ossalacetato
- transaminazione: riceve gruppo amminico da un aa che si addizione al C chetonico
formando l’alanina mentre dell’amminoacido rimane il relativo chetoacido.
14. Risposta dell’epatocita a dieta ricca di carboidrati
SCHEMA INSULINA
15. Formazione dei ROS e meccanismi per contrastarli
Le specie reattive sono tre: anione superossido O2, acqua ossigenata H2O2, radicale idrossile
OH-.
Si possono classificare 3 diverse fonti:
- Organelli subcellulari: in particolare mitocondri, ma anche RE, perossisomi e
lisosomi;
- Enzimi specifici: citocromo ossidasi, xantina ossidasi, NADPH ossidasi;
- Esterno: radiazioni ionizzanti, inquinamento;
I mitocondri vengono considerati la sorgente principale di ROS. La catena respiratoria infatti
presenta essa stessa un continuo traffico di elettroni.
I radicali vengono generati costantemente durante la fosforilazione ossidativa, e in vie
secondarie. Possono essere convertiti in acqua ossigenata o in altre specie reattive
dell’ossigeno. A livello del complesso I, ma soprattutto a livello del complesso III, si ha la
formazione di anione superossido, sia dentro la matrice (O2 – non può passare la membrana)
ma anche nello spazio intermembrana. L’anione superossido viene trasformato nella matrice
mitocondriale in acqua ossigenata per azione della superossido dismutasi 2 (SOD2). L’ H2O2,
per azione della glutatione perossidasi (GPx), viene poi trasformata in acqua (le specie reattive
dell’ossigeno vengono quindi “spente”). Anche l’anione superossido che si forma nello
spazio intermembrana viene trasformato in acqua ossigenata ad opera della SOD1 (diversa da
quella interna) e anche qui la GPx catalizza poi la successiva trasformazione in acqua.
I mitocondri costituiscono quindi la più grande fonte di ROS.
Nel Reticolo endoplasmico (RE) è presente il citocromo p-450 che porta sempre alla
formazione di specie di ROS. La formazione di specie radicaliche dell’ossigeno avviene
soprattutto a livello del metabolismo dell’etanolo, quando vengono metabolizzati degli
xenobiotici, e durante processi di detossificazione. Anche l’etanolo passa per questa via
subendo la trasformazione ad acetaldeide. La CYP2E1 MEOS è una particolare forma di
citocromo p-450 all’interno del RE. In uscita da questa si avranno specie radicaliche di nuova
formazione che andranno a colpire altre molecole.
Nel RE, quindi, la formazione di ROS dipende da cosa viene introdotto all’interno del CYP2E1
(etanolo, xenobiotici, farmaci, inquinanti, detossificazione), mentre nei mitocondri la
formazione dei radicali avviene sempre.
Tutte le fonti di produzione dei ROS portano alla formazione dell’anione superossido, e quindi
ad acqua ossigenata (tramite la SOD) e poi, tramite la reazione di Fenton e in presenza dello
ione ferroso Fe2+, al radicale ossidrilico. Se questa specie non viene neutralizzata allora si ha il
danno. Dalla produzione di acqua ossigenata si ha l’attività catalasica (CAT); interviene quindi
un nuovo sistema: la glutatione perossidasi e la glutatione reduttasi.
GLUTATIONE - SCHEMA
Dopo la riduzione da parte della glutatione reduttasi, il GSH può neutralizzare alcune specie
reattive dell’ossigeno o i lipidi soggetti a perossidazione attraverso la glutatione perossidasi.
Questa ossida il glutatione, utilizzando gli elettroni donati dal GSH per neutralizzare l’acqua
ossigenata e specie che potrebbero portare a perossidazione lipidica e ossidazione delle
proteine, con danni alle membrane e alla funzionalità enzimatica.
Il NADPH all’interno della cellula viene rigenerato dalle seguenti vie: la via dei pentoso fosfati,
l’enzima malico e la serina attraverso il THF. SCHEMA
SISTEMI ENZIMATICI ANTIOSSIDANTI
Superossido dismutasi
È responsabile della neutralizzazione dell’anione superossido con formazione di ossigeno
molecolare e acqua ossigenata. SCRIVERE REAZIONE
Catalasi
La catalasi è un idrossipeptidasi e contiene un EME nel sito attivo. Si localizza principalmente
nel perossisoma dove dismuta 2 molecole di acqua ossigenata a formare acqua e ossigeno. Una
molecola di H2O2 si ossida e l’altra si riduce. SCRIVERE REAZIONE
Glutatione perossidasi
È una idroperossidasi che riduce HOOH e idroperossidi complessi ROOH dove R può essere un
acido grasso, un fosfolipide… ad acqua. Nei vertebrati questo enzima contiene principalmente
selenocisteina nel sito attivo ed usa GSH come riducente per ridurre i perossidi. Nei mammiferi
abbiamo 8 forme.
Perossiredossine
Sono sempre delle idroperossidasi che riducono HOOH e idroperossidi complessi ROOH ad
acqua. Possono contenere 1 o 2 cisteine nel sito attivo e usano la tioredossina come riducente,
anche se alcune possono usare il GSH. I mammiferi ne contengono 6 diverse. Non sono enzimi
ridondanti ma sono tutte implicate nella trasduzione del segnale che passa attraverso
l’ossidazione di residui di Cys redox sensibili.
ANTIOSSIDANTI NON ENZIMATICI ENDOGENI
Bilirubina: è un prodotto di degradazione dell’eme che blocca i radicali perossilici a livello
plasmatico
Acido urico: è il prodotto finale del catabolismo delle purine. Esso chela i metalli e riduce
l’ozono (antiossidante del tratto respiratorio).
ANTIOSSIDANTI NON ENZIMATICI ESOGENI
• Vitamine liposolubili: vitamina A, vitamina K, vitamina E
• Vitamine idrosolubili: vitamina C, acido lipoico
16. ATP sintasi, struttura e meccanismo
L’energia liberata dal passaggio di elettroni è stata trasformata in gradiente elettrochimico,
secondo il quale gli H+ possono rientrare nella matrice attraverso l’ATP sintasi, che usa l’energia
liberata per formare un legame fosfoanidridico tra ADP e Pi, sintetizzando ATP.
L’ATP sintasi è l’enzima che catalizza questa reazione, è un grosso complesso
Struttura dell’ATP sintasi
È costituita da due porzioni: F0 e F1.
- F0 è un dominio idrofobico inserito nella membrana ed è responsabile della traslocazione dei
protoni. È composto da 1 subunità a, 2 subunità b e 9-12 subunità c.
- F1 è un dominio idrofilico, sporge dalla membrana ed è responsabile della sintesi/idrolisi
dell’ATP. È composto da: 1 subunità ɣ, 1 subunità ε, 3 subunità α e 3 subunità β. La subunità ɣ è
collegata attraverso la subunità ε all’F0, mentre le subunità α e β sono associate tra di loro a
formare tre protomeri.
Le subunità c di F0 formano un rotore che gira rispetto ad a durante il trasporto dei protoni.
F0 forma, infatti, il poro transmembrana attraverso cui si muovono i protoni. Il canale per
l’accesso dei protoni si trova su a, da qui essi diffondono su c, protonando un residuo di acido
aspartico 61 (Asp61). Questa protonazione fa sì che la subunità c, mancando di carica negativa,
subisca un cambiamento conformazionale che permette la rotazione del rotore. Il rotore,
girando, fa sì che in un’altra subunità il residuo di Asp cambi di microambiente e abbia un calo
della sua pK, che ne favorisce pertanto la dissociazione. Il protone che viene rilasciato
raggiunge l’altro canale di a dal quale entra poi nella matrice. Il rotore è collegato, attraverso ε,
a ɣ e dunque ruotando fa girare anche ɣ, associata ai tre protomeri αβ che cambiano così
conformazione.
I 3 protomeri (αβ) catalitici di F1 possono trovarsi in 3 stati conformazionali diversi:
-Stato O (open) bassissima affinità per i ligandi
-Stato L (loose) a bassa affinità
-Stato T (tight) ad alta affinità
Ad ogni momento, uno di questi si troverà nella conformazione O, un altro nella conformazione
L ed un terzo nella conformazione T. Quindi contemporaneamente avremo tutte e tre le
conformazioni. Lo stato T legherà l’ATP, lo stato O sgancerà l’ATP e lo stato L legherà ADP e
fosfato.
Inizialmente l’ATP è legata al protomero nello stato T. L’ADP e il fosfato si legheranno allora al
protomero in L. Il flusso di protoni induce un cambiamento conformazionale che farà passare il
protomero dallo stato T a quello O e quest’ultimo rilascerà ATP. Successivamente, cambieranno
di conseguenza anche gli altri protomeri e questi passaggi favoriscono la sintesi di ATP. Il
motore dei cambiamenti conformazionali è il flusso di protoni.
17. Reazione ALA sinstasi
Enzima coinvolto nella sintesi dell’eme. La sintesi comincia con la condensazione di glicina e
succinil-CoA. La reazione è una reazione di scambio, di sostituzione; pertanto, il gruppo
amminico prende il posto del CoA, che viene liberato. All’interno della glicina c’è un carbonio in
posizione 𝛼 rispetto al gruppo carbossilico e questo carbonio sarà un centro nucleofilico, che
porterà attacco a un centro elettrofilico (succinil-CoA). Si forma 𝜶-ammino-𝜷-cheto-adipoato,
che è un intermedio.
La reazione che segue è una decarbossilazione: viene decarbossilato il gruppo carbossilico della
glicina, si forma 𝝈-aminolevulinato (ALA). L’enzima è l’ALAsintasi. Quando si parla di ALAsintasi
si devono distinguere due isoforme di questo enzima, perché sono due i distretti dove si ha la
sintesi di EME:
- ALAsintasi I è espressa in tutti i tessuti, eccetto le cellule eritroidi
- ALAsintasi II è espressa nelle cellule eritroidi.
Questo indica che ci sarà anche una regolazione diversa in quanto ci sono due isoenzimi
differenti. La regolazione inoltre risente dell’eme nelle cellule non eritroidi, mentre è
indipendente dall’eme nelle cellule eritroidi dov’è fondamentale la concentrazione del ferro.
Questa prima tappa è la tappa limitante di tutta la sintesi dell’eme e avviene a livello del
mitocondrio.
SCRIVERE REAZIONE
18. Reazione Esochinasi
Una volta che il glucosio è entrato dentro la cellula per azione del trasportatore, viene subito
fosforilato a glucosio- 6-fosfato da parte di diversi tipi di enzima, quali esochinasi o
glucochinasi. L’esochinasi ha una distribuzione ubiquitaria in quanto si trova in tutte le cellule,
mentre la glucochinasi ha un’espressione ristretta in quanto si trova solo nel fegato e nel
pancreas. Il glucosio appena entra nella cellula viene fosforilato perché la KM dell’esochinasi,
pari a 0,1 mM, è inferiore alla concentrazione del glucosio, pari a 1 mM. Il glucosio viene
fosforilato a livello del gruppo ossidrile del C6 con formazione del legame fosfoestereo. Il
donatore dei gruppi fosfato è rappresentato dall’ATP, il cui gruppo fosfato in pozione  viene
trasferito.
La variazione di energia è pari a -16,7 kJ/mole per cui la reazione è spontanea e va da sinistra
verso destra.
Una volta fosforilato, il glucosio non potrà più uscire dalla cellula perché non viene riconosciuto
dai trasportatori.
Inoltre, il glucosio fosforilato, essendo a maggiore energia, è destabilizzato e pronto per entrare
nelle vie metaboliche. Il glucosio-6-fosfato potrà avere diversi destini a seconda della cellula in
cui entra e dell’assetto metabolico della cellula stessa o dell’organismo.
SCRIVERE REAZIONE + regolazione
19. Reazione enzima malico
Da malato a piruvato – enzima malico
malato + NAD+ P+→ Piruvato + HCO3 - + NADPH + H
Catalizzata dall’enzima malico. Può avvenire in entrambi i sensi (reazione reversibile) anche
perché esiste sia un’isoforma dell’enzima mitocondriale e una citosolica. In ogni caso il malato
viene decarbossilato e ossidato a piruvato.
Quando siamo in accumulo di citrato questo, grazie ad un trasportatore, può passare dal
mitocondrio al citosol, al contrario dell’ossalacetato e dell’acetilCoA (non c’è mai scambio tra
acetilCoA mitocondriale e acetilCoA citosolico).
Il citrato (ossalacetato + acetilCoA) ha nel citosol una funzione di effettore e permette di
collegare il pool di acetilCoA mitocondriale e acetilCoA citosolico. Esso per azione della citrato
liasi cede l’acetile e ritorna ossalacetato. Questo per azione della malato deidrogenasi citosolica
può essere ridotto a malato, che a sua volta può entrare nel mitocondrio oppure, grazie
all’enzima malico, essere decarbossilato e ossidato a piruvato. Il piruvato a questo punto può
entrare nel mitocondrio e dare ossalacetato per opera della piruvato carbossilasi e ripristinare il
pool di ossalacetato nel ciclo. Quando il malato viene decarbossilato e ossidato a piruvato, cede
i suoi elettroni al trasportatore NADP+ che in tal modo si riduce NADPH. Una riduzione del
NADP+ era presente anche nella via dei pentoso fosfati, nella fase ossidativa irreversibile (dove
si formavano 2 molecole di NADPH). La via dei pentoso fosfati non è essenziale per la vita
proprio perché la cellula ha altre vie per formare NADPH, una di queste è la reazione catalizzata
dall’enzima malico. Questa sarà importante a livello delle cellule muscolari, che non hanno una
via dei pentoso fosfati ben sviluppata.
20. ACC: struttura, meccanismo, regolazione
La reazione coinvolge il piruvato + bicarbonato +ATP e si forma ossalacetato+ ADP fosfato e
questo grazie all’intervento del cofattore biotina.
Il piruvato è carbossilato ad ossalacetato per azione della piruvato carbossilasi, la reazione
avviene nel mitocondrio. Questa è la prima reazione di carbossilazione che si trova ma si
troverà anche quando l’acetil coenzima A viene carbossilato a malonil coenzima A e sarà
all'inizio della sintesi degli acidi grassi ad opera dell'acetil CoA
carbossiliasi ma anche quando il propionil CoA viene carbossilato a succinil CoA dalla propionil
CoA carbossilasi, quando si forma il propionil esso costituirà l’ultimo metabolita della
degradazione degli acidi grassi a numero dispari di atomi di carbonio.
La reazione di carbossilazione è irreversibile e richiede la rottura di un legame fosfoanidridico
da parte di una ATP che dona l’energia e come cofattore entra in gioco la biotina il cui
meccanismo di funzionamento sarà a breve trattato. La piruvato carbossilasi è un complesso
enzimatico formato da quattro subunità identiche, ciascuna subunità è dotata di tre siti
specifici: c'è un sito carrier che lega la biotina che è a sua volta legata covalentemente
all'enzima attraverso una lisina dove si formerà pertanto un legame ammidico in quanto il
gruppo amminico si legherà ad un gruppo
carbossilico. Successivamente si trova un primo sito catalitico ed è il sito dove lo ione carbonato
viene convertito in carbossifosfato con utilizzo di energia derivante dalla rottura di un legame
fosfoanidridico di una ATP. Infine,
c'è un secondo sito catalitico dove il complesso di biotinil enzima cede il piruvato all'anidride
carbonica.
La biotina è la vitamina H e partecipa come cofattore a molte reazioni di carbossilazione, in
questo caso la situazione è data dall’ aggiunta di una molecola di CO2, questo carbonio però
tuttavia dopo essere stato introdotto verrà perso perché
l'uomo non è in grado di fissare il carbonio inorganico in quanto solo le piante sono in grado di
farlo. Strutturalmente la biotina è formata da due anelli condensati, l'anello più in basso
nella figura (quello che presenta un atomo di zolfo) è l'anello tiofenico mentre quello al di sopra
e un anello molto simile all’imidazolo che però non presenta doppi legami. l'anello tiofenico in
posizione orto rispetto allo zolfo ha un acido grasso; l'acido valerianico che lega il residuo della
lisina del sito carrier.
La biotina può essere considerata come un braccio, similmente all’acido lipoico a livello della
piruvato deidrogenasi [vedi sbobina precedente], che alla fine porta un anello che legherà i
substrati per renderli più reattivi spostandoli nelle posizioni ottimali. Il punto di attacco
dell’anello imidazolico è un altro anello imidazolico grazie ad un azoto basico che riuscirà a
portare attacco nucleofilico, la biotina dovrà da una parte avere la CO2 e dall’altra dovrà
rendere più reattivo il piruvato strappando il protone.
Meccanismo d’azione
Come già anticipato la biotina è legata covalentemente all’enzima attraverso un legame
ammidico con un residuo di lisina di una delle tre subunità e si trova su di un braccio flessibile
che permette di spostarsi da un sito all’altro. Il movimento del braccio sarà determinato dalle
molecole che si legano all’anello imidazolico che creeranno cariche diverse e per tanto
indurranno un cambiamento conformazionale, parteciperà quindi al trasferimento di unità
monocarboniose nella loro forma ossidata.
La prima reazione avviene nel sito 1 dove l’ATP va a fosforilare il bicarbonato formando il
complesso carbossifosfato. La CO2 è presente sotto forma di ione carbonato, il legame γ
fosfoanidridico fosforila lo ione nel sito uno dando come prodotti quindi una ADP e lo ione
carbossifosfato che per il momento è ancora nel sito 1 e che ha a fianco a sé la biotina che
potrà legare con attacco nucleofilico dell’azoto del suo anello. La biotina pone il proprio anello
rivolto all’interno del sito, in questa condizione viene perso il fosfato che esce dal
carbossifosfato e si forma una CO2 attivata alla quale la biotina porta attacco formando la
carbossibiotina, l’azione dell’ATP e quindi quella di formare il carbossifosfato all’interno del sito
1 all’interno del quale trova le condizioni giuste per idrolizzarsi e si libera in un microambiente
particolare molto reattivo creato grazie alle catene laterali degli amminoacidi che formano
l’enzima.
Il secondo passaggio si ha quando la biotina ancora rivolta verso il sito 1 dell’enzima grazie alla
carbossilazione dell’anello cambia conformazione che al fa ruotare di 180 gradi e farà quindi
sporgere la CO2 verso il sito 2, quindi la funzione della biotina è quella di carrier prendendo la
CO2 nel sito e la trasferisce a sito 2 legandola a sé.
All’interno del sito 2 a questo punto arriva il piruvato che presenta in particolari condizioni un
idrogeno acido che può essere rilasciato nell’ambiente con conseguente formazione di un
carbanione che lo rende molto reattivo al carbonio 3 che quindi risulta essere un forte centro
nucleofilo in grado di portare attacco ad un forte elettrofilo quale la CO2. Il carbonio 3 porta
attacco alla CO2 formando un piruvato con una CO2 in più che corrisponde all’ossalacetato che
è un α-chetoacido con in posizione 4 un gruppo carbossilico.
Questo meccanismo è condiviso da tutte le carbossilasi (piruvato carbossilasi, acetilCoA
carbossilasi e propionilCoA carbossilasi) e avviene con gli stessi step descritti sopra.
Regolazione
Innanzitutto, esso è presente, allo stato inattivo, come dimero. Gli effettori allosterici che
intervengono sono:
• il citrato che ha un’azione attivatoria, agisce favorendo la polimerizzazione dell’acetil
CoA carbossilasi. Quando esso si trova sottoforma di dimero, in questo caso è attivo. Le
code di acetil CoA carbossilasi sono visibili anche a microscopio elettronico.
 Trasporto nel citoplasma di acetili per la sintesi del palmitato;
 Aumento velocità della sintesi;
 Inibizione della glicolisi (perché è un inibitore della fosfofruttochinasi 1)
• Il palmitato che agisce inibendo la polimerizzazione.
Queste due molecole che intervengono sull’attivazione e inattivazione dell’acetil CoA
carbossilasi giocano, quindi, sul suo stato di associazione.
L’Acetil CoA carbossilasi è regolata anche mediante una modifica covalente (aggiunta o
rimozione di alcuni gruppi chimici su determinati residui amminoacidici). Infatti, esso può
trovarsi in una forma non fosforilata, attiva, e la forma fosforilata, inattiva. La chinasi che porta
all’inattivazione dell’ ACC è rappresentata dall’AMP chinasi (AMPK) che ha l’azione di spegnere
la sintesi degli acidi grassi. A sua volta essa è sottoposta a regolazione, può trovarsi
quindi in due stati: lo stato fosforilato, attivo, e quello non fosforilato. La chinasi che fosforila
AMPK per attivarla e andare ad inibire quindi la sintesi degli acidi grassi è la AMPKK. Anch’essa
è attiva quando è fosforilata ed è regolata dalla PKA. Come già visto, la PKA è attivata dal cAMP
che si forma quando l’adenilato ciclasi, che si trova in membrana, è stata resa attiva da una G
protein attivata da un recettore, quello del glucagone. Quest’ultimo va pertanto a spegnere la
sintesi degli acidi grassi. Esso viene immesso in condizioni ipoglicemiche, per le quali non può
essere favorita la sintesi degli acidi grassi a livello soprattutto del tessuto adiposo e del fegato.
Al contrario per attivare l’ACC bisogna defosforilarlo. L’agente che interviene è una fosfatasi.
Normalmente è l’insulina che va ad attivare le fosfatasi, che possiamo immaginare scritta
all’acipe dello schema qui a fianco. L’effetto in questo caso dell’insulina sarà quello di
aumentare la sintesi degli acidi grassi, poiché a partire dal malonile si formerà l’acilCoA.
Quando l’acil CoA aumenta di una certa quantità, oltre ad agire a feedback sull’ACC
depolimerizzandola, va anche ad inibire la AMPKK. L’insulina per azione della stessa fosfatasi
anche a defosforilare la AMPK. Al termine del ciclo, l’insulina, determinando la defosforilazione
dell’cicloAMPK e attivazione di alcune fosfatasi, determina la formazione dell’ACC con aumento
della sintesi degli acidi grassi. Il glucagone invece, favorendo uno stato di fosforilazione della
cicloAMPKK, che va a fosforilare cAMPK facendola passare da uno stato inattivo allo stato
attivo, che fosforila l’ACC, determinando la sua inattivazione: una volta fosforilata l’AcetilCoA
carbossilasi sarà inibita e di conseguenza la sintesi degli acidi grassi sarà rallentata. Risulta
quindi chiaro il ruolo dell’insulina che attiva la sintesi degli acidi grassi e il ruolo del glucagone
che inattiva la sintesi degli acidi grassi.
Il citrato non ha solo la funzione di favorire o meno la polimerizzazione di ACC ma è in grado di
attivare una forma di ACC fosforilata. Guardando il grafico si notano in ascissa le concentrazioni
crescenti di citrato e in ordinata l’attività dell’acetil CoA carbossilasi. La linea verde rappresenta
l’attività di un ACC completamente defosforilata, la rossa indica un ACC fosforilata. La linea
nera, invece, indica l’ACC fosforilata ma in presenza di citrato. Esso quindi attiva di poco la
forma defosforilata, ma di molto quella fosforilata. In questo caso, le regolazioni allosterica e
covalente hanno la funzione di adattare l’attività dell’ACC (e della biosintesi del palmitato) a
variazioni a breve termine della situazione metabolica della cellula:
• Ciclo digiuno-alimentazione
• Aumento del consumo di ATP, ad esempio durante l’esercizio fisico
Ecco che in presenza di citrato, a livello del citosol, iniziano i segnali positivi per la sintesi degli
acidi grassi.
Inoltre, bisogna tener presente che l’attività dell’ACC è regolata a lungo termine a livello
trascrizionale. Un’alimentazione ricca di carboidrati e/o elevati livelli di insulina fanno
aumentare la quantità proteica, portando quindi ad un aumento non solo di ACC, ma anche di
acido grasso sintasi, che non è soggetto a regolazione della sua attività, ma ciò che viene
regolato è il suo livello proteico. Nello schema a sinistra, si possono osservare le varie azioni.
21. GLUT: struttura e distribuzione tissutale
A livello della membrana plasmatica possono essere presenti dei trasportatori GLUT che
permettono un uniporto, un trasporto facilitato in ingresso o in uscita in correlazione alla
concentrazione di glucosio all’interno e all’esterno della cellula.
Esistono 12 isoforme di GLUT (isoenzimi), di cui se ne possono evidenziare 5 principali,
numerate dall’1 al 5.
Nel caso dell’intestino, le isoforme sono l’1 e il 2 (GLUT1 e GLUT2). Sono presenti le α-eliche
che attraversano la membrana e creano un canale, un poro, per il glucosio; quest’ultimo, poi,
entrerà attraverso la formazione di legami a idrogeno.
Un GLUT è caratterizzato da:
− due siti di legame, uno interno e l’altro esterno;
− due tipi di conformazioni
− un canale in grado di formare legami idrogeno con il glucosio.
Nella figura si vede il trasportatore, presente in due siti, che può trovarsi in due conformazioni,
T1 e T2. La conformazione T1 ha, in questo caso, il sito di aggancio rivolto verso l’esterno,
mentre la T2 ha il sito di legame del glucosio verso l’interno. Normalmente, in condizioni basali,
la conformazione più stabile è rappresentata dal T1.
1. All’aumento del livello di glucosio esterno, si supera una certa soglia di concentrazione (che
dipenderà dal tipo di GLUT) e si ha il legame del glucosio al trasportatore T1 (nel sito
stereospecifico su GLUT).
2. Nel momento in cui il glucosio si lega al trasportatore viene facilitato il cambio di
conformazione (abbassando l’energia di attivazione necessaria per il cambiamento
conformazionale). Pertanto, il trasportatore, dopo aver legato il glucosio, passa alla
conformazione T2 (passaggio transmembrana del glucosio).
3. Ma la conformazione T2 ha un’affinità minore rispetto al glucosio e, in questo caso, la
concentrazione all’interno della cellula sarà inferiore; il glucosio potrà quindi entrare, con il
rilascio da T2 al citosol.
4. Una volta rilasciato nell’ambiente esterno il trasportatore (GLUT) ritorna alla conformazione
T1 perché la conformazione T1, in assenza di glucosio, è più stabile. Tutto questo senza
richiesta di energia.
Nell’enterocita sGLUT1 e GLUT5 sono localizzati nell’orletto a spazzola, mentre il GLUT2 si trova
sulla membrana basolaterale. All’interno di sGLUT1 entrano glucosio e galattosio mentre in
GLUT5 fruttosio. L’affinità di sGLUT1 per il glucosio è maggiore rispetto a GLUT2 e questo
permette l’uscita di glucosio dall’enterocita al sangue per semplice diffusione. Il gradiente del
sodio è ripristinato dalla pompa Na+-K+ ATPasica a livello della membrana basolaterale, la
concentrazione interna di questo ione è infatti 10mM mentre quella esterna è 160mM. Il
GLUT5 è specifico per il fruttosio.
Il GLUT1 si trova nel sangue, nel cuore; è insulina-indipendente. L’insulina è una piccola
proteina, un ormone che porta un messaggio di condizioni iperglicemiche e della necessità di
utilizzare glucosio in eccesso (in processi metabolici). Le cellule che hanno il recettore per
l’insulina ricevono questo messaggio.
Il GLUT2 si trova in fegato, pancreas e piccole cellule dell’intestino. Il GLUT3 è presente
soprattutto a livello nervoso. Il GLUT4 è l’unico insulina-dipendente; si trova a livello del tessuto
adiposo e muscolo-scheletrico.
Osservazioni: i globuli rossi del sangue non hanno i mitocondri; pertanto, non possono
degradare gli acidi grassi, non c’è la catena respiratoria. Pertanto, il metabolismo del globulo
rosso dipende principalmente dalla glicolisi; è importante che nel sangue venga, quindi,
assicurato un livello di glucosio utile. Per quanto riguarda il cervello e i tessuti nervosi, gli acidi
grassi che possono giungervi devono essere a corta catena, e non a lunga catena. Anche in
condizioni ipoglicemiche deve essere assicurato glucosio, almeno finché la cellula non attua una
risposta metabolica, nonché produce enzimi particolari per fare un cambio metabolico (la
sintesi di un enzima richiede tempo).
La presenza dei GLUT si spiega dunque con una concentrazione KM inferiore a quella basale. A
livello del fegato, invece, il glucosio entra solo in condizioni iperglicemiche, motivo per cui ci
sono i GLUT2.
Il GLUT4 si trova nel tessuto muscolare e adiposo ed è coinvolto nelle iniezioni di insulina.
Troppa insulina iniettata, però, porta al decesso del paziente. Esagerando la concentrazione si
può giungere in una condizione di coma neurologico ed il motivo è proprio il GLUT4, che viene
immagazzinato in vescicole all’interno delle cellule; esso viene portato in membrana quando
arriva il segnale dell’insulina, la quale attiva il recettore e fa partire il meccanismo di esocitosi
dei GLUT4 contenuti nella vescicola. Una concentrazione di insulina elevata comporta, quindi,
un’improvvisa disponibilità di GLUT4 (liberati per esocitosi) che l’organismo non aveva previsto,
ed avviene un calo brusco della glicemia dovuto all’improvviso assorbimento di glucosio da
parte dei muscoli e del tessuto adiposo. È proprio il crollo brusco della glicemia che non
permette all’organismo di attivare nessuna risposta compensatoria, fino a portare, nel peggiore
degli scenari, alla morte dello stesso.

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