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LE MEMBRANE CELLULARI
Le membrane cellulari giocano un ruolo fondamentale nella suddivisione della cellula nei diversi
compartimenti. I componenti delle membrane sono importanti non solo dal punto di vista strutturale
ma anche da un punto di vista funzionale, che riguarda la comunicazione tra le cellule.
Le principali funzioni/ruoli delle membrane cellulari sono:
-Compartimentazione: la suddivisione in compartimenti con proprietà differenti permette alla
cellula di svolgere allo stesso tempo diverse funzioni, in quanto queste ultime si trovano in luoghi
differenti.
-Controllo in entrata e in uscita di diverse sostanze; questa funzione è svolta dalla membrana
plasmatica, che delimita il contorno della cellula, ed è fondamentale per la corretta sopravvivenza
cellulare e per la comunicazione con le altre cellule.
-La membrana esterna rappresenta anche un sito in cui si localizzano gli enzimi che svolgono le
principali reazioni biochimiche, quindi è un supporto fisico per attività biochimiche.
-Inoltre essa è la prima barriera fisica che in cui ci si imbatte dall’esterno, dunque permette la
ricezione di segnali che provengono dall’esterno della cellula.
-La membrana cellulare ha anche caratteristiche chimico-fisiche particolari, come ad esempio la
presenza di determinate cariche elettriche; ciò risulta importante per la generazione e la
trasmissione degli impulsi elettrici, i quali hanno un ruolo fondamentale in alcune cellule
altamente specializzate del nostro organismo, come ad esempio le cellule muscolari, cardiache e
nervose.
-Permette di interagire con l’ambiente extracellulare tramite processi di adesione cellulare alla
matrice extracellulare stessa o ad altre cellule; ciò è alla base dell’organizzazione di strutture
multicellulari come i tessuti.
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I LIPIDI
I principali lipidi che costituiscono la membrana sono i fosfolipidi (all’interno di questa categoria
sono particolarmente rilevanti i fosfogliceridi). Come suggerisce il nome “fosfogliceridi”, il cuore
della molecola è il glicerolo, un alcol a tre atomi di carbonio al quale si possono agganciare diversi
gruppi, primi fra tutti 2 code di acidi grassi, cioè catene idrocarburiche costituite da carbonio e
idrogeno legate al glicerolo tramite legami estere; sull’altro lato della molecola viene invece
agganciato un gruppo fosfato, al quale può essere ancorato un gruppo di diversa natura che può
dare un nome differente ai diversi fosfogliceridi.
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centrale della molecola non è formata dal glicerolo, ma dalla sfingosina.
Per capire come i fosfolipidi interagiscono tra loro in un ambiente acquoso come quello cellulare, è
necessario analizzare il comportamento di molecole idrofiliche e idrofobiche in acqua, utilizzando
come esempio l’acetone, una molecola polare che, possedendo un doppio legame tra gli atomi di
carbonio e ossigeno, presenta una parziale carica positiva sull’atomo di carbonio e una parziale
carica negativa su quello di ossigeno. Esso, posto in un ambiente acquoso, forma legami a
idrogeno, perché l’ossigeno dell’acetone (con carica negativa), riesce a sviluppare un legame con
la parziale carica positiva presente nella molecola d’acqua (molecola polare che possiede parziali
cariche positive e negative rispettivamente sugli atomi di idrogeno e di ossigeno), ovvero con
l’atomo di idrogeno.
Se invece si prende come esempio una molecola apolare come il 2 metil-propano, esso non si
scioglierà in acqua e rimarrà separato dall’ambiente acquoso perché non è in grado di formare
legami con le molecole d’acqua.
I lipidi invece, avendo due porzioni con caratteristiche opposte (una idrofila, che lega l’acqua, e
una idrofoba, che si trova lontano dall’acqua), formeranno delle micelle (nel caso dei detergenti) o
un doppio strato fosfolipidico (nel caso delle cellule); il compattamento dei lipidi in ambiente
acquoso dipende dalla loro forma: la micella si andrà infatti a formare in presenza di una molecola
lipidica conica (testa polare idrofila + singola coda apolare), massimizzando l’interazione delle
porzioni idrofile con l’acqua e minimizzando l’interazione delle porzioni idrofobe con l’acqua
(poiché queste ultime sono confinate nella zona interna della micella).
Nelle membrane plasmatiche le molecole lipidiche sono a forma di cilindro perché hanno una
testa idrofila e due code idrocarburiche; pertanto non possono compattarsi in modo tale da
formare una struttura a micella. Dunque, l’unica possibilità per massimizzare l’interazione delle
porzioni idrofile con l’acqua e minimizzare le interazioni delle porzioni idrofobe con l’acqua sarà
quella di assumere una conformazione a doppio strato, dove la componente idrofila è rivolta verso
l’ambiente acquoso e quella idrofoba è confinata nel cuore idrofobo della struttura.
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Esiste però ancora un problema dal punto di vista termodinamico riguardo la formazione del
doppio strato, ovvero il fatto che i fosfolipidi che si trovano sui bordi di questo foglietto sono tali per
cui hanno le code idrofobe a contatto con l’acqua. Questa situazione è termodinamicamente molto
instabile, perciò nella cellula non si troverà un foglietto aperto, bensì il doppio strato tenderà a
richiudersi su se stesso a formare un compartimento chiuso per far sì che venga minimizzata
l’interazione delle porzioni idrofobe dei fosfolipidi con l’H2O. Questa struttura è la più favorita dal
punto di vista termodinamico.
La cellula può modificare la fluidità del doppio strato alterando la sua composizione in termini di
fosfolipidi e acidi grassi; questo meccanismo è usato dalla cellula per tamponare eventuali
cambiamenti di fluidità della membrana quando ci sono stress ambientali, come nel caso di un
cambio drastico di temperatura: se la temperatura scende drasticamente, gli acidi grassi tendono
a diventare solidi, per cui la cellula - per far sì che la membrana plasmatica mantenga la sua
fluidità, elemento fondamentale per il corretto svolgimento delle sue funzioni - aumenta il
contenuto di acidi grassi insaturi nelle proprie membrane. In una situazione opposta, la membrana
aumenterà il contenuto di grassi saturi.
Quindi la presenza di un acido grasso di un tipo o dell’altro influisce non solo sulla fluidità della
membrana, ma anche sulla sua forma, poiché se la catena sarà formata da acidi grassi saturi,
essa si compatterà molto bene e le code idrocarburiche si disporranno senza sovrapposizione. Le
membrane saranno molto spesse e più solide.
Se invece sono presenti acidi grassi insaturi, la membrana sarà più fluida e sottile a causa della
curvatura delle catene, che causeranno la sovrapposizione e l’incastro delle code idrocarburiche.
Cellule diverse hanno membrane con composizione lipidica e dimensione differente.
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IL COLESTEROLO
Esiste anche un altro modo per regolare la fluidità della membrana, ovvero variare la quantità di
colesterolo presente all’interno delle membrane.
Il colesterolo è un lipide, in particolare uno sterolo, per lo più apolare poiché possiede una porzione
con diversi cicli fusi tra di loro e una coda idrocarburica apolare, ma presenta anche un piccolo
gruppo -OH che è sufficiente a fungere da piccola testa polare. Per questo motivo il colesterolo
riuscirà a reagire con i fosfolipidi anfipatici del doppio strato.
Esso si inserisce fra due lipidi contigui posizionando la porzione apolare tra le due code
idrocarburiche e rivolgendo la testa polare verso le teste polari dei fosfolipidi.
Il colesterolo riduce il numero di legami tra acidi grassi e fosfolipidi contigui, quindi in caso di calo
drastico delle temperature la cellula aumenta la quantità di colesterolo per fare in modo che la
membrana non solidifichi.
Ricapitolando, i modi per regolare la fluidità della membrana sono due: composizione di fosfolipidi
con diversi acidi grassi e utilizzo del colesterolo.
Questi meccanismi, tipici delle cellule più complesse (eucariotiche), non si trovano nelle cellule
procariotiche: infatti, osservando la composizione in termini di colesterolo e fosfolipidi, si nota che il
colesterolo è presente praticamente solo nelle cellule eucariotiche e che queste ultime hanno una
grande diversità di fosfolipidi che costituiscono la membrana; ciò dipende dal tessuto da cui la
cellula deriva, perché cellule di tessuti differenti hanno esigenze differenti. Invece, le cellule
procariotiche sono composte da una sola tipologia di fosfolipide prevalente.
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Il fosfatidilinositolo
All’interno della membrana si possono formare delle zattere lipidiche (o lipid rafts); sono zone in
cui si ha un’elevata concentrazione di determinati lipidi, generalmente colesterolo e sfingolipidi, e
di proteine attaccate alla membrana. Fungono da punti di segnalazione cellulare e sono piccoli
compartimenti in cui si accumulano lipidi e proteine coinvolti in una determinata segnalazione
cellulare.
Una di queste proteine prende il nome di caveolina, motivo per cui a volte le zattere lipidiche sono
chiamate anche caveole.
Nei punti della membrana in cui si trova questa proteina insieme a colesterolo e sfingolipidi,
avvengono meccanismi di trasporto di materiale dall’esterno verso l’interno della membrana
mediante il processo di endocitosi. (Argomento che verrà ripreso nelle prossime lezioni).
La disposizione dei lipidi lungo tutto il doppio strato non è uniforme, in quanto possono esserci ad
esempio delle zattere lipidiche.
Asimmetricità
Il doppio strato lipidico è asimmetrico, poiché alcuni fosfolipidi si trovano solo su un versante o
sull’altro della membrana: ad esempio il fosfatidilinositolo è presente solo sul lato citosolico,
mentre altri fosfolipidi sono rivolti solo verso lo spazio extracellulare.
Generalmente i fosfolipidi nel cui gruppo organico sono presenti gruppi amminici (fosfatidilserina
e fosfatidiletanolammina) sono rivolti verso l’interno della cellula, mentre sfingomielina e
fosfatidilcolina sono rivolti verso l’ambiente extracellulare.
L’asimmetria della membrana è importante per i processi di segnalazione cellulare e per
riconoscere determinati segnali che provengono dall’esterno.
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L’asimmetria della membrana plasmatica viene inoltre sfruttata dalle cellule del sistema
immunitario per distinguere le cellule vive dalle cellule morte: quando una cellula va incontro a
morte, i fosfolipidi che di solito si trovano sullo strato citosolico si spostano sullo strato
extracellulare, per cui, ad esempio, l’esposizione della fosfatidilserina sulla superficie cellulare
risulterà un segnale del tipo “eat me”, tale per cui le cellule del sistema immunitario riconoscono
che quella cellula è andata incontro a morte cellulare e deve essere eliminata.
I glicolipidi
L’ultima classe di lipidi che fanno parte della composizione delle membrane plasmatiche sono i
glicolipidi, che rappresentano il 5% delle molecole del monostrato esterno. Essi sono lipidi alla cui
catena sono attaccati dei carboidrati e sono alla base dei processi di riconoscimento tra cellula e
cellula.
I glicolipidi si trovano solo verso l’esterno della cellula perché i carboidrati vengono aggiunti nel
lume del Complesso del Golgi: infatti, come si vede nell’immagine sottostante, dopo il processo
di glicosilazione i lipidi ( e le proteine, che subiscono lo stesso processo ) vengono inseriti in
vescicole o intermediari di trasporto che, giunti alla membrana plasmatica, si fondono con essa;
dato che i lipidi e le proteine glicosilate continuano ad essere orientate in direzione del lume del
Golgi, quest’ultimo - una volta che la vescicola avrà raggiunto la membrana plasmatica e si sarà
fusa con essa - diventerà lo spazio extracellulare. Per questo motivo il carboidrato aggiunto nel
Golgi si troverà sul versante extracellulare.
I glicolipidi risultano anche importanti nella determinazione dei gruppi sanguigni: infatti, sulla
base dell’assenza o della presenza di un glicolipide o di un altro sulla membrana cellulare del
globulo rosso, viene definito il gruppo sanguigno dell’individuo. I glicolipidi in questo caso hanno la
funzione di antigene.
Ad esempio, nel gruppo sanguigno di tipo 0 il glicolipide è formato da diverse catene glicidiche
legate le une alle altre, mentre nel caso di gruppo sanguigno di tipo A, l’oligosaccaride presente è
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ancora più complesso e rappresenta un residuo di N-acetilgalattosammina; infine gli individui con
gruppo B hanno un glicolipide sulla membrana dei globuli rossi che possiede il galattosio.
Un ulteriore esempio della funzione dei glicolipidi si ha durante il reclutamento delle cellule del
sistema immunitario in un sito di infiammazione.
Quando siamo invasi da microrganismi, in corrispondenza del sito di infezione vengono rilasciati
dei mediatori che richiamano le cellule del nostro sistema immunitario per risolvere
l’infiammazione.
Le principali cellule del sistema immunitario che intervengono sono i neutrofili, cellule sentinella
circolanti nel torrente sanguigno che hanno la capacità di fagocitare, ovvero di eliminare
fisicamente i batteri o i virus che ci hanno infettato.
Come fanno i neutrofili a raggiungere il sito di infezione? Il meccanismo si basa sul riconoscimento
di alcuni oligosaccaridi esposti sulla superfice del neutrofilo, i quali vengono riconosciuti in maniera
altamente selettiva da proteine di membrana, prodotte dalle cellule endoteliali quando l’individuo è
infettato, che si legano agli oligosaccaridi.
Come conseguenza di questo legame, il neutrofilo viene catturato e rotola sulle cellule endoteliali
(si parla di “Neutrophil Rolling”) fino a quando viene bloccato per farsi spazio fra una cellula
endoteliale e l’altra sino ad arrivare al sito dell’infezione, dove esso può fagocitare il microrganismo
invasore.
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La spiegazione viene chiarita dalla visione del seguente video:
https://youtu.be/vNwBcFDyOy8?si=y-AnSfvud1c_6PS0
LE PROTEINE
Uno dei primi modelli che era stato ipotizzato e che poi si rivelò scorretto riguardo l’interazione
lipidi-proteine nella membrana plasmatica era il modello “a sandwich”, in cui le proteine
formavano uno strato sopra e sotto il doppio strato.
Il modello più accreditato, che poi si è rivelato corretto, è il modello a mosaico fluido, nel quale le
proteine si inseriscono nel doppio strato fosfolipidico fluido come le tessere di un mosaico.
Ci sono diversi tipi di proteine; la prima grande suddivisione è tra le proteine integrali di
membrana, o proteine transmembrana, che comprendono tutte le proteine che attraversano da
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un lato all’altro il doppio strato, e le proteine periferiche, ancorate in maniera più debole al doppio
strato, che non attraversano la membrana.
Affinché una proteina transmembrana possa attraversare il doppio strato, essa deve possedere
una porzione idrofobica che permetta di formare legami con il cuore idrofobico del doppio strato
fosfolipidico, mentre le porzioni che si affacciano verso l’esterno o verso l’interno della cellula
devono avere delle caratteristiche idrofiliche, essendo a contatto con l’ambiente acquoso.
Le più comuni proteine transmembrana attraversano il doppio strato formando un alfa-elica; tra le
proteine più rappresentate nel proteoma umano ci sono proteine che hanno eliche multiple e che
attraversano più volte il doppio strato fosfolipidico. Le più comuni attraversano il doppio strato sette
volte e perciò vengono chiamate a sette passo transmembrana; si tratta anche in questo caso di
alfa-eliche.
Altre proteine attraversano la membrana formando un foglietto beta, che rimane arrotolato
formando una struttura a Barilotto: si tratta di un foglietto arrotolato su se stesso che forma un
poro all’interno del doppio strato.
In altri casi le proteine possono legarsi sul lato citosolico grazie all’inserimento nel doppio strato di
un alfa-elica, oppure in altri casi le proteine possono aver un lipide di collegamento, che può
interagire con i fosfolipidi del doppio strato. Ci sono diversi gruppi lipidici di collegamento, come i
gruppi miristilici e i gruppi farnesilici che permettono alle proteine di inserirsi nel doppio strato
(la professoressa specifica che non è necessario ricordarli).
Le proteine periferiche spesso si associano alla membrana legando una proteina transmembrana,
formando quindi una sorta di associazione indiretta.
In alcuni casi quando la proteina viene sintetizzata, solitamente nel RE, viene aggiunta - oltre alla
porzione idrofobica - anche un’ancora di glicosilfosfatidilinositolo (o GPI), cosicché quando la
proteina raggiunge la membrana plasmatica, essa si trova ancorata non solo tramite la porzione
idrofobica ma anche grazie al GPI.
In seguito interviene una proteasi che taglia la coda idrofobica e fa sì che la proteina rimanga
ancorata alla membrana grazie alla GPI. (L’argomento verrà ripreso successivamente).
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Grafici di idropatia
Ritornando al discorso iniziale, per poter attraversare la membrana integralmente, una proteina
deve possedere determinate caratteristiche e soprattutto, per una questione di equilibrio
termodinamico, la porzione della proteina che attraversa integralmente la membrana deve avere
delle caratteristiche idrofobiche.
La struttura più comune di attraversamento è costituita da una o più alfa eliche, ma questa deve
essere formata da amminoacidi idrofobici, quindi prevalentemente NON polari, perché essi si
troveranno a diretto contatto con il cuore idrofobico dei fosfolipidi.
Ciò significa che, conoscendo la sequenza amminoacidica di una proteina, in teoria è possibile
prevedere se quest’ultima sarà transmembrana e se attraverserà la membrana più di una volta.
Analizzando la struttura primaria della proteina è possibile individuare nella sequenza
amminoacidica se ci sono degli stretch, cioè piccole sequenze di 20/30 amminoacidi con
caratteristiche idrofobiche. In questo modo si potrà capire che quello stretch molto probabilmente è
una porzione della proteina che attraversa la membrana.
Per poter analizzare una situazione di questo tipo si compongono i grafici di idropatia o di
idrofobicità, in cui si va a scandagliare la
sequenza amminoacidica di una proteina.
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Quando le alfa-eliche idrofobiche attraversano la membrana plasmatica, esse tendono a
compattarsi tra di loro e a formare dimeri = l’associazione di una proteina con un’altra proteina
transmembrana adiacente o dello stesso tipo (omodimeri) o con una proteina differente
(eterodimeri).
Il processo di dimerizzazione è estremamente importante nell’avvio della segnalazione cellulare.
(Concetto che verrà chiarito successivamente)
Le strutture a barilotto invece tendono a formare strutture con un foglietto beta che si arrotola su
stesso a formare un poro; tra queste proteine vi sono le porine, molto comuni nel proteoma
umano.
Le porine sono dei veri e propri canali acquosi, in quanto il foglietto beta si richiude su se stesso a
creare un canale acquoso; i residui amminoacidici che vengono esposti verso l’interno del
barilotto sono idrofilici e permettono il passaggio di acqua o di altri soluti idrofilici.
Le glicoproteine
Così come i lipidi, anche le proteine possono essere glicosilate: le catene oligosaccaridiche sono
presenti sulla porzione esterna delle proteine poiché sono aggiunte nel lume dell’apparato del
Golgi.
Sulla porzione esterna della membrana è possibile anche individuare i ponti disolfuro, i quali si
formano tra residui amminoacidici che presentano gruppi -SH.
Essi si sviluppano solo sulla porzione extracellulare di una proteina transmembrana e sono
importanti per la sua configurazione tridimensionale; i ponti disolfuro non sono riscontrabili nel
citosol, poichè quest’ultimo ha un ambiente riducente che ne impedisce la formazione.
Riassumendo, glicosilazione della proteina e presenza di ponti disolfuro sono due caratteristiche
che possono essere trovate soltanto sulla porzione extracellulare della proteina.
A causa della glicosilazione è presente una notevole quantità di carboidrati sulla superficie esterna
della membrana cellulare; essi sono importanti per i processi di riconoscimento cellulare, per la
protezione e la lubrificazione dello strato superficiale esterno della cellula.
Si definisce “glicocalice” lo strato ricco di carboidrati che si estende dalla superficie esterna della
membrana plasmatica verso la matrice extracellulare.
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In realtà molto spesso nella matrice extracellulare stessa sono presenti carboidrati, per cui vi è una
vera e propria continuità tra la membrana plasmatica e la matrice extracellulare in termini di
oligosaccaridi.
Inoltre questa regione ha diverse funzioni : riconoscimento cellulare tra cellula e cellula o tra cellula
e matrice; protezione da danno meccanico e chimico.
Metodi di studio
Negli anni sono stati sviluppati diversi metodi che hanno permesso di studiare la struttura e la
funzione della membrana e delle proteine di membrana, le quali sono molto importanti poiché
svolgono tutte le funzioni alla base della sopravvivenza cellulare.
Non è molto semplice studiare la funzione di una proteina di membrana in laboratorio, dato che
essa è associata alla membrana stessa; le tecniche che possono essere utilizzate sono:
- Criofrattura della membrana: prevede di aprire il doppio strato fosfolipidico separando i
due emistrati a basse temperature, esponendo così porzioni di proteina che normalmente
sarebbero immerse nel doppio strato. Questa tecnica è utilizzata poco frequentemente.
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concentrazione in soluzione supera la concentrazione micellare critica (CMC). Quando i
detergenti sono mescolati con le membrane, le micelle circondano le proteine di
membrana: in particolare le code idrofobiche dei detergenti si legano alle porzioni
idrofobiche delle proteine di membrana a creare un complesso micella-proteina. Questo
risulta essere uno dei modi più comuni in laboratorio per estrarre le proteine dalle
membrane cellulari.
Nell’ immagine è rappresentato il detergente SDS, considerato molto forte; per questo motivo
esso riesce ad estrarre anche le proteine più fermamente ancorate al doppio strato fosfolipidico ed
è molto usato in laboratorio.
Domanda: Perché la proteina dovrebbe “scegliere” il fosfolipide della micella contro quelli della
membrana?
Perché viene inserita all’interno del sistema una quantità saturante di detergente; vi saranno quindi
più molecole di detergente rispetto ai fosfolipidi del doppio strato e per questo motivo il detergente
sarà in grado di estrarre le proteine. Uno dei punti più difficili in questo tipo di protocolli è trovare le
condizioni migliori in termini di quantità di detergente per riuscire ad estrarre le proteine.
Una volta estrapolate le proteine, esse si possono separare tra loro in modo tale da individuare
una proteina di interesse. Per fare ciò si utilizza la tecnica dell’elettroforesi su gel.
Il primo passaggio di questa tecnica prevede l’utilizzo dell’SDS che, essendo un detergente ionico,
conferisce a tutte le proteine estratte la stessa carica (negativa). Ciò permette di separare le
proteine su gel di poliacrilammide applicando un campo elettrico; esse, cariche negativamente, si
muoveranno verso l’anodo e si separeranno sulla base del loro peso molecolare. A fine
esperimento, uguagliando la carica, si noterà che le proteine più leggere si saranno spostate più
velocemente e si troveranno sul fondo del gel, mentre le proteine più pesanti e grandi faranno più
fatica a muoversi e si troveranno nella parte alta del gel.
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Quiz: Un ricercatore ha appena isolato una proteina dalle cellule di un individuo sano e dalle
cellule di un individuo affetto da fibrosi cistica. Cosa può concludere il ricercatore in merito al
comportamento della proteina mutata? La proteina mutata avrà/sarà
A. una carica maggiore della proteina wild tipe (normale)
B. un peso molecolare maggiore della proteina wild tipe
C. più glicosilata della proteina wild tipe
D. una proteina tronca
Tramite un esperimento i ricercatori sono riusciti a dimostrare che le proteine possono muoversi
nel doppio strato fosfolipidico: hanno usato due diverse cellule, una cellula di topo - in cui le
proteine di membrana sono state marcate con un marcatore fluorescente rosso - e una cellula
umana, le cui proteine di membrana sono state marcate con un marcatore fluorescente verde.
In seguito hanno fatto un esperimento di fusione cellulare che ha permesso di ottenere una
cellula ibrida. Al tempo zero le proteine hanno continuato ad essere segregate nella parte di cellula
originaria, mentre dopo 40 minuti le due diverse tipologie di proteina si sono distribuite in maniera
uniforme nella cellula ibrida. Questo ha dimostrato che effettivamente le proteine potevano
diffondere lateralmente.
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In laboratorio è anche possibile misurare la velocità con cui queste proteine si muovono all’interno
del doppio strato fosfolipidico: si utilizza una tecnica di fluorescenza che prende il nome di FRAP
(Fotosbiancamento). In primis sono utilizzate cellule le cui proteine di membrana sono marcate con
un marcatore fluorescente (nell’immagine rappresentate come “antenne verdi”); in seguito, grazie
ad un microscopio monofocale, si usa un laser per sbiancare una porzione ben definita della
membrana della cellula.
Dopo un certo lasso di tempo si osserva se le proteine verdi fluorescenti che si trovano di fianco
all’area sbiancata sono state in grado di muoversi e di ripristinare la fluorescenza esattamente in
quell’area.
Se le proteine sono in grado di muoversi liberamente, ci si aspetta che, passato un po’ di tempo,
l’area sbiancata ripristini la fluorescenza.
Da questo tipo di esperimento si può costruire un grafico in cui viene tracciata l’intensità di
fluorescenza in funzione del tempo, calcolando il coefficiente di diffusione della proteina, ovvero il
tempo necessario per ripristinare la fluorescenza nell’area sbiancata.
Video (è presente sia una proteina in grado di diffondere sia una non in grado di farlo):
https://youtu.be/_JDDQR1ubzU?si=zh0umnZoRRDLP60I
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