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Data: 13/10/2021

Materia: Biologia
Lezione: Numero 1
Professore: Alessandra Modesti
Sbobinatore/Revisore: Sofia Gnassi / Camilla Filippi

COSA TRATTEREMO IN QUESTA LEZIONE

1) Organizzazione gerarchica in biologia


La biologia è organizzata in modo molto ordinato (già a partire da una struttura piccola come
l’atomo, il quale infatti si organizza)

2) Caratteristiche degli organismi viventi e la loro suddivisione in sei regni

3) Generalità sui diversi tipi di metabolismo


Il metabolismo è l’insieme delle reazioni chimiche che avvengono all’interno di una cellula, quindi
che fanno si che quella cellula possa vivere.

4) La teoria cellulare: composta da postulati che devono essere rispettati per far si che una
determinata struttura venga definita cellula.
Vedremo ad esempio che i virus non rispettano questi postulati e che quindi non si possono
definire cellule.

5) Ipotesi sull’origine della vita sulla terra.


Le caratteristiche che si sono venute a formare sulla terra da quando si è costituita (big bang)
hanno portato a delle condizioni favorevoli tali che si potesse sviluppare la vita sulla terra: prima di
aggregati in grado di riprodursi e da lì la formazione delle cellule.

formano
ORGANIZZAZIONE GERARCHICA IN BIOLOGIA
costituiscona
Questa organizzazione è manutenuta in tutte le forme viventi!

- Atomi: come già sappiamo dalla chimica essi sono costituiti da elettroni, protoni e neutroni.

Gli atomi entrano in contatto tra di loro attraverso gli elettroni. Quindi gli atomi, che sono la parte
più piccola di una sostanza, si legano seguendo delle specifiche leggi che riguardano la chimica.

Quando due o più atomi si uniscono lo fanno in modo forte, attraverso dei legami covalenti, cioè
mettendo in condivisione degli elettroni (particelle che sono sempre in movimento). In base al tipo
di atomo, in base alla tavola periodica, noi sappiamo che alcuni sono in grado di condividere
elettroni.
si legano si formano
Spayed
Quando due o più atomi si legano tra di loro si formano le:

- Molecole: ad esempio acqua, anidride carbonica, glucosio, glicina (un amminoacido). Una
molecola è quindi una una composizione stabile di atomi, legati fra di loro da legami forti e ogni

dibiase
Foi posse approfondire
condinidono
molecola ha la sua caratteristica: ad esempio una molecola di colesterolo ha dimensioni molto più
grandi rispetto a una molecola di acqua.

L’acqua è formata da tre atomi H2O, così come la CO2, mentre il colesterolo è formato da molti più
atomi, quindi le molecole possono avere dimensioni variabili e caratteristiche ben specifiche.

Quando le molecole si uniscono, si formano le:

- Macromolecole: ad esempio l’amido è una macromolecola formata da più molecole di glucosio.

Il glucosio si può quindi legare ad altre molecole di glucosio in modo covalente, formando una
struttura forte ben definita, che ha una sua caratteristica chimico fisica e va a costituire una
molecola di grosse dimensioni.

Queste macromolecole, in base alle loro caratteristiche chimico-fisiche, vengono raggruppate in


quelle che sono le quattro classi di macromolecole che interessano la biologia : lipidi, zuccheri
(es. amido che è un polisaccaride), proteine (che sono polimeri, quindi macromolecole formate da

da
tanti amminoacidi), acidi nucleici.
e formato
Queste quattro macromolecole vanno a costituire aggregati di macromolecole o:

- Aggregati molecolari: ‫הכי פשוטה היא הממברנה‬


‫ היא מורכבת‬.‫התאית‬

La più semplice è la membrana plasmatica. Essa è costituita da lipidi particolari che si aggregano
grazie alle loro caratteristiche chimico-fisiche: i lipidi tendono a formare dei legami idrofobici. Negli
aggregati molecolari infatti non si formano legami covalenti, ma le macromolecole si associano per
affinità chimico-fisica. Quindi i lipidi nella membrana plasmatica tendono a formare tra di loro
interazioni idrofobiche. Quando si parla di interazioni ci si riferisce a legami deboli (che non sono
legami come quelli tra atomi a formare molecole).

I legami covalenti, le interazioni idrofobiche, il legame ponteN d’idrogeno e il legame ionico


a la struttura biologica, perché rappresentano i tipi di legame attraverso i quali le
condizionano
molecole interagiscono tra di loro.
Vedremo per esempio che le proteine si organizzano nello spazio proprio per le caratteristiche
chimico-fisiche degli amminoacidi, che possono tra di loro formare questi tipi di legame.

Altri tipi di aggregati molecolari sono ad esempio i ribosomi, definiti come “la fabbrica” delle
proteine cioè dove avviene il legame tra gli amminoacidi, dove avviene la traduzione.

I ribosomi sono aggregati di proteine con un acido nucleico che è l’RNA (nello specifico l’RNA di
struttura che è l’RNA ribosomiale).
sono silent
Quindi aggregati di macromolecole vanno a costituire gli organelli: i mitocondri per esempio sono
formati da membrane, che all’interno contengono un DNA proprio e dei ribosomi propri.
Tutti gli organelli che andremo a vedere, e di cui andremo a studiare la funzione biologica, sono
aggregati di macromolecole.

Tutti questi organelli vanno a costituire la cellula.

- Cellula che è la più piccola unità vivente. Essa quindi, nella sua struttura, è in grado di svolgere
le sue funzioni vitali.

shi atomi
non si legano a casetea di low
materia si devaorganiggace
mode beendefiniteper
andane a costituire quella
cheha lacellular punto
el la basedella into

good

Nella foto 1.1 vediamo proprio questa gerarchia, a partire dall’atomo, dalle piccole molecole, in
cui già c’è un aggregato, un legame tra atomi. La molecola che vediamo disegnata è la molecola
dell’acqua, la sferetta rossa rappresenta l’atomo di ossigeno e le due sferette chiare ai lati più
piccole sono le molecole di idrogeno.

Accanto abbiamo una macromolecola cioè un aggregato di più molecole, per esempio una
proteina, una molecola di amido.

Segue nell’immagine la cellula, che abbiamo detto essere la più piccola unità vivente, in grado di
svolgere tutte le funzioni della vita: si può riprodurre, può produrre proteine, effettua metabolismo,
si accresce.

Nella parte superiore dell’immagine troviamo gli organismi eucarioti animali, sotto invece troviamo
organismi eucarioti vegetali.

Quindi le cellule sono più o meno molto simili, sempre formate da aggregati di macromolecole, con
delle differenze che fanno si che abbiano funzioni diverse. Per esempio nella cellula vegetale è
necessaria una parete che mantenga la cellula in una certa posizione, cioè conferisca stabilità
della cellula. Nelle cellule e negli organismi animali c’è uno scheletro che mantiene la stazione
eretta, c’è così meno bisogno di pareti, infatti le cellule eucariotiche animali non hanno parete.
Inoltre nelle cellule eucariotiche animali non è presente il cloroplasto, perché sono due tipi di
cellule che effettuano metabolismi diversi.

Le cellule si associano, perché la cellula è la prima unità vivente ma poi aumenta la complessità.
Le cellule possono (ma non devono) associarsi: esistono organismi unicellulari, formati quindi da
una sola cellula (i lieviti sono organismi eucarioti unicellulari).

Gli organismi però possono essere unicellulari o pluricellulari.

Nei pluricellulari le cellule con le stesse funzioni si associano, quindi aumenta il livello di gerarchia.
Quindi le cellule dello stesso tipo negli organismi pluricellulari si associano per formare tessuti:
nella nostra immagine troviamo un tessuto muscolare cardiaco che è formato da cellule tutte
uguali, che svolgono tutte la stessa funzione, hanno tutte la stessa forma (che deve essere
allungata in questo caso perché possano contrarsi), producono quindi tutte le stesse proteine
(dall’inizio abbiamo detto che le funzioni delle cellule sono svolte dalle proteine).
Più tessuti, a loro volta formati ognuno da cellule uguali, si associano tra di loro a formare l’organo
(ad esempio il cuore, il fegato, il cervello). Gli organi sono quindi formati da tessuti diversi che però
svolgono una funzione comune. Il tessuto che vediamo qui delle cellule cardiache è “di struttura”,
cioè mantiene insieme le cellule; oppure i vasi e il tessuto vascolare danno luogo all’organo.

it
Un’insieme di organi dà luogo al sistema, quindi i vasi sanguigni insieme al cuore formano il
sistema cardiovascolare.

I vari sistemi connessi tra di loro vanno a costituire l’organismo.

Quindi in alto (figura 1.1) noi abbiamo seguito l’organismo animale, in basso quello vegetale ma il
concetto è lo stesso.

Perché in un organismo pluricellulare, che abbiamo detto all’interno delle sue cellule contiene la
stessa informazione, esistono cellule diverse? Perché producono PROTEINE diverse. Questo
avviene perché alcune informazioni per formare una proteina in una determinata cellula sono
spente. Cosa sono le informazioni? I geni. Cosa sono i geni? Il gene è per definizione la forma
funzionale di un tratto di DNA che produce, che si esprime, che porta informazioni per produrre
una specifica proteina.

to presented che puotrasounere


Esempio dell’insulina sianelpancreas e gene
gene e espresso
quester I
L’insulina è una proteina che viene prodotta da un organo specifico che è il pancreas, e viene
prodotta solo lì, però il gene che porta informazioni per l’insulina si trova anche nella cellula
muscolare, anche nella cellula del tessuto cardiaco, però qui [nella cellula del tessuto muscolare /
tessuto cardiaco] non si esprime. Quindi il tessuto cardiaco
e le cellule muscolari producono altre proteine, hanno dei
geni attivi che non sono gli stessi che sono attivi nelle
cellule del pancreas.

Che cos’è allora che si differenza? Quello che viene


chiamato proteoma: l’insieme di proteine che viene
espresso in una cellula e che caratterizza quella cellula
stessa; il proteoma della cellula epatica di un organismo
atop non è uguale al proteoma della cellula muscolare dello
stesso organismo, mentre il genoma si. È chiaro quindi che
le proteine svolgono funzioni specifiche e caratterizzano
una cellula; caratterizzano quindi tutte le cellule che fanno
parte di uno stesso tessuto, il quale possiede quel
determinato proteoma.

LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE BIOLOGICA

Li classifichiamo con un numero da 1 a 11.

Partiamo dagli atomi che si organizzano in molecole,


ecc. come abbiamo visto prima, fino ad arrivare
all’organismo. Arriviamo quindi a vedere che i singoli
esseri viventi si organizzano all’interno di un ecosistema.

Che cos’è un ecosistema? Un ecosistema è ciò che


rappresenta l’insieme della convivenza tra esseri viventi e

componentelements
esseri non viventi. Tutti gli esseri viventi e le componenti non viventi che interagiscono tra di loro, o
meglio, gli esseri viventi che interagiscono con delle strutture non viventi (terreno, rocce, gas
naturali).
sista disequilibrio
È molto importante che ci sia un’organizzazione e una gerarchia che deve sempre essere
rispettata, perché altrimenti si ottengono altre molecole che non potranno aggregarsi a formare
MM
quegli aggregati molecolari indispensabili per la formazione di quella che è la cellula.
utiliallaformagone della in modotaledaolteneremolecoleche
cellular
FUNZIONI E LIVELLO GERARCHICO DELLE STRUTTURE possonosempreaggregarsie
formate aggregatemolecolari
Le molecole svolgono funzioni biologiche semplici. Gli organelli svolgono funzioni più complesse.
Se selenona
Nel caso della membrana, ad esempio, quella di selezionare cosa può entrare o uscire da una
cellula, La cellula è infatti rivestita da membrana, ma è principalmente è un sistema aperto, cioè
entra ed esce materiale, in modo però selezionato. Selezionato perché la membrana ha una
struttura particolare idrofobica, mentre all’interno e all’esterno della cellula troviamo materiale
idrofilo, essa contiene infatti acqua (80-70%) e vive in acqua. Per questo motivo sia le molecole
che devono trovarsi dentro la cellula sia quelle nel materiale extracellulare (negli organismi
pluricellulari) devono essere solubili in acqua.
jyabeing
am il passaggio di molecole idrofile, essendo lei idrofobica le respinge.
Quindi la membrana impedisce
Può però selezionare alcune molecole idrofile che devono attraversare la membrana (come
amminoacidi/glucosio) grazie a particolari proteine trasportatrici.

Un’ altra funzione complessa svolta dalla membrana è quella di interagire con altre cellule: anche
in questo caso utilizza delle proteine specifiche che sono in grado di far comunicare la cellula con
le sue compagne oppure con cellule diverse.

Dato che gli organismi pluricellulari sono formati da più cellule con funzioni diverse, essi
svolgeranno funzioni ancora più complesse (rispetto a quelle della singola cellula): visione,
emozioni, intelligenza, movimento, contrazione, ecc.

assia doe affermache a dice


CARATTERISTICHE GENERALI DEGLI ORGANISMI VIVENTI denonoessererpettatis
a
I postulati per cui una struttura può essere definita un organismo vivente sono i seguenti: postulate

1. Crescita e sviluppo
La cellula deve crescere, svilupparsi e assumere una sua forma finale. La singola cellula che si
origina, una volta che si è formata in base ad una sua divisione precedente, è di piccole dimensioni
e non ha una forma specifica; passa un periodo di tempo in cui cresce e diventa cellula adulta,
quindi ad esempio un neurone, cellula del sistema nervoso, assume quella sua forma caratteristica
(un motoneurone ad esempio presenta un prolungamento del citoplasma e della membrana che gli
serve per collegarsi con le cellule muscolari), sempre grazie alle specifiche proteine espresse.

2. Regolano i propri processi metabolici denonoessereregolate


All’interno della cellula avvengono delle reazioni chimiche che sono però regolate: il glucosio non
viene utilizzato di continuo da una cellula, esso viene utilizzato (una volta entrato nella cellula)
quando alcune proteine specifiche (enzimi) agiscono per degradarlo.

Ogni singola reazione chimica (che sono migliaia nella cellula) è regolata da una proteina
specifica. Queste sono determinanti poiché alcune alterazioni portano a patologie.
degregated
degrade siformaunecesso
done essere eliminate dagliengine
degradano

3. Rispondono agli stimoli


Quando arriva uno stimolo (che può essere una molecola o un impulso elettrico) dall’esterno, la
a attraverso la membrana:
cellula reagisce
motto sense
- stimolo chimico: tramite proteine specifiche la membrana capta il segnale (la presenza di
una molecola). L’insulina è un ormone che circola ma se sulla cellula non è presente il
recettore giusto la cellula non è in grado di riconoscerla e di risponde allo stimolo.
plagal - stimolo elettrico: grazie alla differenza di potenziale che caratterizza la membrana (es. la
contrazione muscolare comincia con un impulso elettrico).
dont
4. Si riproducono
Le cellule sono in grado di riprodursi, di duplicarsi, di dare luogo a cellule identiche tra di loro. Negli
organismi con riproduzione sessuata si producono cellule specializzate per la riproduz. sessuata.

5. Si evolvono e si adattano all’ambiente

a AI CAMBIAMENTI AMBIENTALI
LE SPECIE SI ADATTANO
si attune
L’ambiente seleziona gli organismi, li fa cambiare così che possano adattarsi al cambiamento
ambientale (becco più lungo, le penne dell’uccellino…).

Consideriamo in medicina i batteri che sono in grado di resistere agli antibiotici: anche questo è un
adattamento. Diventano in grado di adattarsi perché cominciano a produrre proteine che
IN l’antibiotico, cioè la molecola che è nociva.
degradano NM Questo avviene perché il DNA può arrivare
a produrre in una di queste cellule, una in cui il DNA è ricombinato e ha cominciato a produrre una
proteina che degrada la penicillina, per esempio, o un antibiotico.

Questi adattamenti sono dovuti a delle mutazioni casuali della molecola del DNA, che sono
casuali; però tra tutti gli individui che si possono venire a creare, si seleziona quello che è più
resistente in quel determinato ambiente.
en
Ciò avviene quando il DNA si replica, momento in cui possono avvenire delle mutazioni casuali,
alcune delle quali portano alla formazione e sopravvivenza di individui più resistenti in
quell’ambiente che cambia.

trai variesserimienti
I DOMINI ED I REGNI DELLA VITA baselegions naturals
I regni della vita partono tutti da un progenitore comune, quindi un primo organismo, una prima
cellula da cui originano tutti gli altri. Una prima cellula da cui si originano fondamentalmente quelli
che sono stati definiti i 3 domini: i batteri, gli archea e gli eucarioti.
Aneta
I batteri e gli eucarioti sono
proprio i due estremi.

Il batterio deriva quasi


direttamente da quello che è il
progenitore ancestrale iniziale,
O
esistono dei batteri che sono
molto simili alla prima cellula o
che si è formata. Da questi
batteri poi, si sono evoluti i
batteri che conosciamo oggi, e
ce ne sono tantissimi, con forme

organuli dacuisono nati


che hadata
organelle logo on
e specie diverse. Rimangono però strutture molto semplici: organismi unicellulari, con una parete
che protegge la cellula, una membrana, un citoplasma interno, una molecola semplice di DNA e i
ribosomi.

Gli eucarioti sono invece quelli più complessi che si sono evoluti con passaggi successivi; in essi si
distinguono gli eucarioti animali, gli eucarioti vegetali (caratterizzati entrambi da un’elevata
complessità e sono tutti e due organismi pluricellulari), i funghi (anch’essi pluricellulari) e i protisti. I
protisti sono organismi unicellulari che però hanno la complessità delle cellule animali.

Gli archeobatteri sono una via di mezzo tra i


batteri e gli eucarioti.
Hanno fondamentalmente delle strutture in
comune con gli eucarioti (anche se sono
senza nucleo, quindi il DNA è libero) e sono
strutturati in modo molto simile a quelli che
sono i batteri; presentano però alcune
macromolecole simili a quelle animali.

I SEI REGNI DEI VIVENTI

- Eubatteri
progenitor
- Archeobatteri

- Protisti
Inf
- Piante

- Funghi

- Animale

LA CELLULA HA BISOGNO DI UN CONTINUO APPORTO DI ENERGIA

Tutti gli organismi per vivere, quindi crescere e riprodursi, hanno bisogno di energia, così ogni
cellula acquisisce continuamente nutrimento.

L’energia è necessaria affinché vengano svolte tutte le funzioni.

Vediamo quindi l’importanza degli organismi vegetali che sono quelli che trasformano la materia
inorganica (l’anidride carbonica, carbonio che non ha più fonte di energia viene trasformato in
glucosio). È la capacità di immagazzinare l’energia luminosa, quindi l’energia solare, in una forma
di energia che può essere usata da tutti gli organismi, che è il glucosio: una molecola organica in
grado di immagazzinare l'energia sotto forma di elettroni.

trasformark in glucosio
Biologia – Lezione n° 02
14/10/2021
Data: 14/10/2021

Materia: Biologia

Professore: Modesti

Coppia: Sbobinatore: Alberto Generini / Revisore: Pietro Barsanti

Il ciclo dell’energia predendoladalcido due consumada


process per
Per vivere un organismo ha bisogno di energia, che in realtà è un flusso: le stesse leggi
della termodinamica che regolano l’energia in fisica regolano anche l’energia in biologia. È la
trasformazione ciclica dell’energia che permette quindi il compimento delle funzioni vitali. In
quanto ciclo collegato, nonostante il corso si concentri sulla biologia animale, tratteremo
anche la fotosintesi (il cloroplasto) perché snodo µ attraverso il quale l’energia luminosa si
converte in energia chimica (con le reazioni di ossidoriduzione). Questo processo svolto
prevalentemente dalle piante e da alcuni batteri trasforma l'anidride carbonica, composto
inorganico che non ha energia sotto forma di elettroni disponibili perché in forma ossidata, in
glucosio, ovvero un composto organico ridotto che contiene elettroni e quindi energia. A
sfruttare il glucosio, ossia l’energia chimica che contiene, sono sì gli stessi autotrofi ma

l
soprattutto gli eterotrofi, prima consumatori (eucarioti animali) e poi decompositori.
Gli autotrofi sono detti produttori e comprendono: piante verdi, alghe e i cianobatteri, che
sono precursori A
IN antenati del cloroplasto che si trova proprio nella cellula eucariote vegetale;

8
mentre nei mitocondri (e in minima parte nel citoplasma) si svolge il processo inverso che
consuma il glucosio per arrivare all’ATP (adenosintrifosfato).
La fotosintesi necessita dei carboni ossidati della CO2 ma anche dell’acqua, che tramite
fotolisi cederà i suoi elettroni per ossidare l’ossigeno e trasformarlo in prodotto di scarto a
sotto forma molecolare O2. Perché avvenga questo fenomeno è necessaria energia
MA
luminosa, che viene assorbita dagli autotrofi e utilizzata per innescare la reazione.
Il glucosio prodotto verrà poi usato dagli eterotrofi nella respirazione cellulare per produrre
ATP con scarto di CO2; si chiama “respirazione” cellulare perché coinvolge l’O2 che serve
per ridursi accettando gli elettroni del carbonio ossidato di CO2.
L’ossigeno è un gas, che in quanto tale si diffonde secondo pressione nei tessuti e
attraversando le membrane (appunto permeabili ai gas come O2) giunge fino ai mitocondri,
dove si riduce a produrre acqua, scarto insieme all’anidride carbonica.
Infine i decompositori (batteri e funghi), che estraggono energia dai rifiuti a
en organici dei
consumatori non ancora del tutto ossidati perché in decomposizione.

hail finedi produce d


Classificazione della vitacha energia
A questo punto possiamo classificare gli organismi secondo quattro parametri:
1) numero di cellule da cui sono formati: unicellulari / pluricellulari
2) tipo di energia sfruttata: fototrofi (fotosintetici) / chemiotrofi
3) tipo di metabolismo utilizzato: autotrofi / eterotrofi
sibasa.su rispetto al
4) dipendenza o meno dall’ossigeno: anaerobi (che possono vivere senza ossigeno grazie
alle fermentazioni, che però producono molta meno ATP rispetto alla respirazione cellulare) /
aerobi (ossida completamente le molecole organiche che sfrutta)

statoil
grate avedon
Storia della vita sulla terra
e
- Prima van Leeuwenhoek (1632-1723) intravide la struttura interna della cellula e i
microrganismi.
Af
- Poi Hooke (1635-1702) osservò e descrisse per la prima volta le cellule nella corteccia del
sughero, e decise di dargli il nome “cellula” in virtù di quegli spazi vuoti a forma di cella
lasciati dalle cellule morte del sughero.
- Nel 1839 Schleiden e Schwann formularono la teoria cellulare, che si basa su tre postulati:
- tutti gli organismi consistono di una o più cellule
- la cellula è l’unità di base di tutti gli organismi, e quindi corrisponde alla minima forma
di vita
perfmostrate
- ogni cellula deriva da una cellula preesistente
- Infine nel 1863 Pasteur confutò la teoria
della generazione spontanea della forza vitale
conflategrazie al suo esperimento, in cui utilizzò
µ
un’ampolla di vetro a collo lungo con un brodo
nutritizio all’interno; in un primo momento bollì
il brodo per sterilizzarlo e nonostante il tempo
passasse nessuna forma di vita si
manifestava, in seguito spezzò il collo
aumentando la superficie a contatto con
l’esterno e dopo poco vide che brulicava di
vita: non esiste lo spirito vitale, dentro
all’ampolla è semplicemente caduta della
polvere contenente batteri.
non c'eraalcunaformadinita
- Andando avanti con la scienza ci si pose però il dubbio (ancora oggi non del tutto risolto)
su come fosse potuta nascere la vita dato che ogni cellula esiste da una preesistente, così
nel 1920 arrivarono Oparin e Haldane ad ipotizzare il concetto di atmosfera prebiotica:
atmosfera riducente senza O2, altissime temperature e tantissime forme d’energia libera
come fulmini, terremoti e radiazioni ultravioletti (in
assenza di ozono). Tutte condizioni ottimali per
favorire la sintesi chimica di composti organici da
materiale inorganico.
- Nel 1953 Miller provò a riprodurre questa atmosfera
prebiotica in laboratorio: creò un circuito composto da
due ampolle del tutto prive di ossigeno molecolare:
una era l’ampolla degli oceani, dove mise dell’acqua;
e l’altra l’ampolla dell’atmosfera, con ammoniaca,
metano, idrogeno solforato e altre molecole
inorganiche.
Riscaldando l’ampolla d’acqua essa evaporava fino a
salire lungo il tubo di collegamento fino ad entrare
nell’altra ampolla e fare sintesi chimica con le componenti dell’atmosfera grazie ad elettrodi
che con le loro scariche elettriche riproducevano i fulmini.
Infine, sul fondo della seconda ampolla un altro vaso, raffreddato, che permettesse la
condensazione dei composti creati fino ad un rubinetto dove Miller prelevava il risultato dei
suoi esperimenti. In questo nuovo composto nascevano amminoacidi, ovvero molecole
organiche da cui poi si sarebbe potuta sviluppare la vita.
Da quella prima sintesi miliardi di anni fa infatti le molecole organiche aumentarono sempre
più di concentrazione, anche perché l’atmosfera diventava sempre più vivibile.
Allora si passò dai primi amminoacidi ai lipidi, i quali poi si unirono a formare membrane,
contenenti un coacervato di molecole organiche che nel complesso prese il nome di
protobionte (o protocellula). Il tutto fino all’arrivo dell’RNA, che permise:
- la prima replicazione, intrecciandosi ad elica con doppio filamento (assume questa
forma aumentando di dimensioni)
- il primo metabolismo, effettuato dai ribozimi (aggregati di RNA simili agli enzimi) per
catalizzare le molecole contenute nel coacervato
- la nascita delle proteine, con il suo ruolo tipico di trasportatore delle informazioni
necessarie a comporre gli aminoacidi
Insomma, una volta arrivato l’RNA si può parlare di vere e proprie cellule, che all’inizio erano
solo procarioti (unicellulari) anaerobi eterotrofi (perché ricordiamo che l’atmosfera era ancora
riducente, dunque i nutrienti erano forniti dall’ambiente).
Quando le riserve di molecole organiche iniziarono ad esaurirsi, solo alcuni tipi di organismi
poterono sopravvivere: quei primissimi autotrofi in grado di sfruttare l’idrogeno solforato
(H2S) per convertire i composti inorganici in organici, ottenendo come materiale di scarto lo
zolfo molecolare. Piano piano, diminuì anche l’idrogeno solforato ma aumentò la
So concentrazione di acqua, così alcuni di questi organismi anaerobi diventarono fotosintetici e
iniziarono ad utilizzare acqua per la produzione di nutrienti, facendo accumulare l’ossigeno
nell’atmosfera come scarto delle loro reazioni.
L’O2 distrusse tutti gli organismi precedenti non abituati all’atmosfera ossidante, ma fece
anche nascere gli aerobi (fino ai primi eucarioti, 2Mlrd di anni fa). Non solo l’ambiente aveva
perso il carattere riducente, ma in più si era andato a formare lo strato di ozono O3 (per via
delle radiazioni) che iniziò a proteggere l’atmosfera dai raggi UV, cancellando
definitivamente anche l’energia che aveva permesso le prime reazioni: MAI più sintesi
abiotica.

Le molecole organiche complesse


1) Carboidrati
3 10
Possono essere monosaccaridi oppure insiemi di monomeri: disaccaridi, oligosaccaridi e
polisaccaridi. Servono per fornire energia perché contengono C ridotto che può essere
ossidato nella respirazione cellulare. I monosaccaridi possono essere chetoni o aldeidi
2) Lipidi
Sono una classe più eterogenea, nonostante le diversità essi sono accomunati
dall’INsolubilità in acqua (mentre i carboidrati sono solubili): in soluzione acquosa i lipidi si
legano tra loro e formano aggregati per via delle interazioni idrofobiche con H2O.
Ci sono tre tipi fondamentali di lipidi:
- trigliceridi, per via della catena carboniosa degli acidi grassi hanno funzione
energetica per formare ATP
- fosfolipidi, sono anfipatici perché hanno testa idrofila e coda idrofoba, quindi hanno
funzione strutturale perché si dispongono a doppio strato nelle membrane
- steroidi, funzione di struttura nelle membrane biologiche ma anche funzione di
precursore negli ormoni steroidei (ormone = molecola segnale prodotta in piccole
quantità che circola nell’organismo)
3) Amminoacidi
I monomeri delle proteine.
4) Acidi nucleici
RNA e DNA, formati dai nucleotidi.

Zuccheri complessi
- Amido
Ha funzione energetica nei vegetali poiché riserva di glucosio posizionata nei vacuoli.
È un polisaccaride di α-glucosio (ovvero glucosio ciclizzato in forma α) che si presenta in
due forme distinte:
- amilosio (20%) = concentrato nel centro del granulo di amido, è una catena lineare di
50-300 α-glucosi legati tra loro da legami α 1-4 glicosidici, perché il primo α-glucosio
si lega a partire dal suo C1 attaccandosi al C4 del secondo e così via allungandosi
“orizzontalmente”, senza ramificazioni
- amilopectina (80%) = 1000-6000 molecole di α-glucosio sì a catena (con legami α
1-4 glicosidici) ma con la presenza regolare di estensioni verticali a formare legami α
1-6 glicosidici
- Glicogeno
Sempre riserva energetica come l’amido ma per le cellule animali (fegato, muscoli), la
struttura infatti è composta da soli α-glucosio MA le ramificazioni sono più frequenti e meno
lunghe rispetto a quelle dell’amido, il che comporta una maggiore solubilità. I legami sono
dello stesso tipo dell’amido.
- Cellulosa
Struttura lineare di β-glucosio a formare fibre filamentose con legame è β 1-4 glicosidico.
La cellulosa nell’uomo ha unicamente funzione strutturale perché il nostro organismo non
possiede enzimi in grado di scindere il legame β-glicosidico, mentre nel cavo orale degli
of a sono presenti dei batteri che hanno gli enzimi adatti e riescono a sfruttare la
erbivori
cellulosa anche come fonte di energia.
- Chitina
Funzione strutturale alla base dell’esoscheletro degli insetti, è un polimero
dell’N-acetilglucosamina che si legano con legame è β 1-4 glicosidico.
L’ N-acetilglucosamina è un glucosio modificato che ha legato al C2 un sostituente diverso
da H, nello specifico un gruppo acetile (-COCH3) e un gruppo amminico (NH).
Famosi monomeri di glucosio modificati
Biologia – Lezione n° 03
18/10/2021
Data: 14/10/2021

Materia: Biologia

Professore: Alessandra Modesti

Coppia: Sbobinatore: Ramona Giachetta / Revisore: Andrea Franchi

Negli zuccheri modificati il glucosio viene fosforilato in corrispondenza del carbonio in due posizioni
distinte: in posizione 1 e in posizione 6. Queste due modifiche fanno sì che il glucosio possa
essere utilizzato e possa entrare in una via di degradazione o entrare nella via di polimerizzazione
e quindi prendere parte alla formazione di polimeri. Perché il glucosio viene fosforilato? La
fosforilazione non solo attiva la molecola di glucosio trasformandola in una molecola che può
reagire ma il glucosio modificato per fosforilazione non può più uscire dalla cellula. A quel punto, è
vero anche che il glucosio entra nella cellula attraverso trasportatori poiché è una molecola idrofila,
solubile in acqua e le molecole idrofile non riescono ad attraversare liberamente la membrana
plasmatica poiché la membrana è di natura lipidica e ha natura opposta rispetto alla molecola che
la dovrebbe attraversare. Non potendo avere interazioni con la membrana, non può attraversare le
membrane semipermeabili.
Altri monosaccaridi modificati sono ad esempio gli amminozuccheri, quindi sempre glucosio che
invece di un gruppo OH, gruppo ossidrile, presenta un gruppo NH2, un gruppo amminico,
caratteristico anche degli amminoacidi. Essi sono quindi dei composti specifici che contengono
questo gruppo NH2 che deriva dall’ammoniaca, da cui il nome amminozuccheri.
Vediamo la molecola di
glucosio in forma ciclica. In
questa figura agli angoli
sono scritti gli atomi di
carbonio e in realtà, per
convenzione, molto spesso
nella formula si trova scritto
il simbolo di un elemento
nell’angolo in cui non vi è
l’atomo. In questo caso
però agli angoli
corrispondono gli atomi di
C. L’atomo di carbonio 1 è il
primo che si vede a destra
subito dopo l’atomo di
ossigeno, quindi i carboni
1,2,3,4,5 si trovano
sull’anello mentre il 6 si trova fuori dall’anello. Subito accanto vediamo uno dei carboidrati, uno dei
monosaccaridi modificati che prende il nome di glucosammina. Dal nome si capisce come è
composta la struttura: gruppo amminico legato all’atomo di glucosio, in cui un gruppo OH legato al
carbonio in posizione 2 è sostituito da un gruppo amminico NH2. Accanto vediamo l’N-acetil-D-
glucosammina (al gruppo amminico è stato aggiunto un gruppo acetile CH3CO). Questi due
componenti fanno parte della parete batterica. Inoltre, la glucosammina si trova anche in alcuni
lipidi che vanno a costituire la membrana plasmatica. Accanto si trova accanto un altro composto,
l’acido glicuronico, sul cui atomo di carbonio si trova il gruppo CH2OH che diventa gruppo
carbossilico COOH dopo che quell’atomo di carbonio in posizione 6 viene ossidato. L’atomo di
carbonio è a questo punto a un livello di ossidazione superiore rispetto alla situazione in cui ad
esso era legato il gruppo CH2OH.
Sotto vediamo due zuccheri: il ribosio a 5 atomi di carbonio, sempre in forma ciclica, la forma in
cui si trova in natura e in soluzione, e accanto il suo derivato, il deossiribosio che ha un atomo di
ossigeno in meno rispetto al ribosio. Infatti, invece di avere in posizione 2 un gruppo ossidrile ha
solo un atomo di idrogeno. Questi due sono gli zuccheri che vanno a costituire i nucleotidi, che
sono la base, i mattoni, con cui vengono costituiti gli acidi nucleici. Il ribosio serve per l’RNA, acido
ribonucleico, mentre il deossiribosio è uno dei costituenti dell’acido deossiribonucleico, DNA.
Andando avanti, vediamo un altro derivato, ancora più complesso con un numero maggiore di
sostituenti, che è l’acido N-acetilmuramico. La N-glucosoammina e l’acido N-acetilmuramico
sono proprio i componenti di un polisaccaride particolare che è il peptidoglicano. Il peptidoglicano è
una struttura polimerica formata
dall’alternarsi del dimero formato
da N-acetilglucosammina e acido
N-acetilmuramico (in cui a livello di
un atomo di N è legato un gruppo
acetile). Il peptidoglicano è un
componente della parete batterica.
Quello sotto è sempre un polimero
della N-acetilglucosammina che va
invece a costituire la chitina, il
rivestimento dell’esoscheletro degli
insetti. La parete batterica è
importante poiché è il punto di
attacco di alcuni farmaci cioè gli
antibiotici, che agiscono non tanto
sulla parete ma sugli enzimi, cioè
sulle proteine che sintetizzano la
parete dei batteri. Quindi il
peptidoglicano è questo polisaccaride modificato che va a costituire la parete batterica. I batteri
sono organismi unicellulari che oltre la membrana contengono all’esterno la parete batterica. Oltre
alla parte glicidica è presente anche una parte proteica costituita da alcuni amminoacidi che non si
trovano nelle proteine delle cellule eucariotiche che sono:

 acido D-glutammico, amminoacido totalmente modificato che non si trova nelle cellule
animali
 D-alanina, forma isomerica di amminoacidi che non si trovano nelle cellule eucariotiche
animali
 acido meso -diamminopimelico, forma isomerica di amminoacidi che non si trovano nelle
cellule eucariotiche animali
Proprio questi amminoacidi che non si trovano nelle specie animali sono i punti di attacco degli
antibiotici specifici perché in questo modo non vengono colpite le proteine che invece contengono
gli isomeri di questi amminoacidi. Infatti gli amminoacidi sono importanti praticamente dato che,
non essendoci nelle specie animali, proteggono il batterio (perché non possono essere degradati
dagli enzimi proteasi, peptidasi presenti nelle specie animali).
Esistono due tipi di batteri: i Gram-positivi e i Gram-negativi. Essi si chiamano in questo modo
poiché quelli positivi si colorano con un colorante specifico per le molecole glicidiche, mentre i
negativi non si colorano. Se la parete batterica è costituita da peptidoglicano, i Gram-positivi
saranno i batteri che espongono la componente glucidica e che si colorano a contatto con il
colorante. I batteri Gram-negativi
sono dunque evidentemente coloro
che non espongono questa parete
batterica e quindi non si colorano. I
cilindri che vediamo nell’immagine
di colore marroncino più o meno
scuro sono i polimeri del
peptidoglicano, cioè il polimero di
N-acetilglucosammina e acido N-
acetilmuramico che sono tenuti
insieme da dei ponti di amminoacidi
e questi amminoacidi sono quelli
elencati in precedenza. Queste
catene di amminoacidi ben definite
legano insieme i filamenti di
peptidoglicano e vanno a costituire
questo strato di parete batterica.
Qui vediamo la differenza tra le pareti di peptidoglicano dei due tipi di batteri. Anche quelli che
vengono definiti Gram-negativi e che quindi non si colorano o assumono una colorazione molto
meno intensa, presentano questa struttura anche se, come vediamo nell’immagine, il legame tra le
catene di peptidoglicano è costituito da un minor numero di amminoacidi e quindi i filamenti sono
più compatti nei Gram-negativi rispetto agli altri. Ma non è la sola differenza: nelle immagini
vediamo strati diversi, di colore e intensità differenti poiché l’intensità varia in base alle
caratteristiche chimico-fisiche dei
componenti. Partendo dal basso, la
prima cosa che si può osservare in
maggiore quantità è il citoplasma
della cellula. Dopodiché si osserva
lo strato più scuro lipidico che è la
membrana, più scura perché più
elettrondensa dato che assorbe di
più il flusso di elettroni del
microscopio. Successivamente si
trova lo strato del periplasma,
all’esterno del quale si trova la
parete cellulare. Il periplasma è il
punto in cui il peptidoglicano si
ancora alla membrana plasmatica; rimane però uno spazio che distanzia la parete batterica dalla
membrana plasmatica. I batteri Gram-positivi presentano uno spesso strato di questo
peptidoglicano (filamenti, polimeri che si sovrappongono l’uno sull’altro e che sono tenuti insieme
da ponti corti con un minor numero di amminoacidi che legano queste fibre di polisaccaridi).
Questi, avendo una spessa struttura esterna, esposti al colorante di Gram (contiene iodio che si
lega in modo irreversibile agli zuccheri) si colorano di viola con una bella intensità.
Sotto vediamo come è strutturata la parete batterica che contiene sempre peptidoglicano, più
compatto con le fibre più ravvicinate tra loro, con i ponti di amminoacidi ancora più corti e con lo
strato meno spesso di quello dei Gram-positivi. Verso l’esterno, al di fuori dello strato di
peptidoglicano più sottile dei Gram-positivi, è presente un altro strato di membrana plasmatica. Lo
strato si presenta più scuro poiché
più elettrondenso. I Gram-negativi
presentano sempre la parete
batterica ma ricoperta da
membrana. Essi si chiamano
negativi perché si colorano meno
data la protezione di cui gode la
parete. La differenza risiede nel
genoma di questi batteri, per cui
presentano degli enzimi che sono in
grado di sintetizzare uno strato di
membrana all’esterno che riveste la
parete batterica. Quindi, anche la
parete cellulare batterica (anche le
cellule eucariotiche vegetali
presentano una parete cellulare
composta da cellulosa) possiede
uno strato rigido che serve a dare forma al batterio, a proteggerlo dai reagenti esterni e da
un’eventuale lisi osmotica, cioè impedisce che entri eccessivamente acqua con conseguente
rigonfiamento della cellula che tenderebbe a esplodere, a distruggersi; tuttavia è anche il sito di
attacco di numerosi antibiotici.
Gli zuccheri sono formati da glucosio o comunque da derivati del glucosio, mentre i lipidi sono dei
composti più eterogenei e hanno delle strutture piuttosto differenti anche tra di loro. La
caratteristica comune risiede nella loro insolubilità in acqua, data la loro idrofobicità. Per trovarsi in
una cellula o per anche muoversi all’interno di un organismo pluricellulare devono essere veicolati.
Anche i lipidi che si trovano nella circolazione sanguigna devono essere associati a proteine, che li
rendono solubili e che quindi possono essere trasportati dal sangue. Il vantaggio è che
attraversano liberamente la membrana plasmatica: tutte le membrane plasmatiche sono permeabili
liberamente ai lipidi, senza nessun tipo di trasportatore.
Della classe dei lipidi fanno parte:
- gli acidi grassi
- i trigliceridi (componenti dei fosfolipidi, degli sfingolipidi e degli steroidi che come struttura
hanno poco in comune con le altre classi di lipidi ma vedono come loro capostipite il
colesterolo, molecola di grosse dimensioni idrofoba per il 99%)
- i fosfolipidi
- gli steroidi
- i carotenoidi, che fanno parte del mondo vegetale.
Gli acidi grassi sono composti da lunghe catene di atomi di carbonio che non possono formare
legami a ponte di idrogeno e che per questo motivo sono insolubili in acqua, che però presentano
una piccola porzione idrofila che solitamente si trova all’estremità. Nell’immagine possiamo vedere
l’acido palmitico o palmitato e l’acido oleico o oleato. Entrambi in fondo alla catena di atomi di
carbonio che determina l’idrofobicità della molecola di acido grasso, presentano un gruppo
terminale definito gruppo carbossilico che può andare in soluzione. Tuttavia la presenza dell’acido
carbossilico non esercita nessuna influenza sulla solubilità della molecola in acqua, data la piccola
proporzione. Ma quel gruppo carbossilico serve poiché attraverso il gruppo terminale gli acidi grasi
si legheranno ad un’altra molecola.
L’acido palmitico o palmitato tra gli atomi di carbonio che costituiscono le catene carboniose
presenta solo legami singoli, mentre nell’acido oleico si vede che esiste un doppio legame.
Innanzitutto, l’atomo di carbonio in
qualunque molecola forma sempre e
solo 4 legami (con 4 sostituenti
diversi, doppio legame tra due atomi
C, triplo legame tra due atomi di C.
La differenza tra l’oleato e il
palmitato risiede nell’insaturazione.
Saturo, da un punto di vista del
numero di atomi di idrogeno che
possono essere legati a quell’atomo
di carbonio. L’acido palmitico è
saturo, l’acido oleico è insaturo data
la presenza di un doppio legame tra
due atomi di C. Cosa comporta
questo legame? Esso comporta un
angolo nella catena, quindi la catena
non è lineare come nell’acido
palmitico che invece è saturo. La presenza dell’angolo comporta che i grassi che contengono acidi
grassi insaturi sono liquidi a temperatura ambiente, cioè sono fluidi, mentre quelli che contengono
acidi grassi saturi sono solidi. Infatti l’acido palmitico fa parte dei grassi solidi, l’acido oleico invece
dei grassi liquidi. Questo avviene perché gli acidi grassi saturi sono tutti ben compatti e attraverso
le interazioni idrofobiche eliminano completamente l’acqua e quindi formano delle specie di
blocchetti grazie alle interazioni intermolecolari, come nel caso delle forze di Van der Waals che
tengono le molecole molto ben unite tra di loro. Negli altri, formandosi questi angoli, sono più
distanziati quindi le interazioni sono minori con conseguente maggiore fluidità.
Quando due molecole si legano insieme avviene sempre l’eliminazione di una molecola di acqua,
quindi si ottiene un legame per condensazione. Quando un acido grasso con quel gruppo
carbossilico che presenta un ossidrile -OH si lega a una molecola intermedia di supporto che è il
glicerolo (il quale presenta 3 atomi di C, ognuno dei quali forma 4 legami e presenta un gruppo
ossidrilico -OH) per condensazione si forma un legame particolare che è chiamato estere (acido +
alcol) dando origine a un monogliceride. Se la cellula volesse scindere questo legame, dovrebbe
introdurre nuovamente una molecola d’acqua, ovviamente attraverso l’azione di un enzima
specifico in grado di favorire il processo, e la reazione prenderebbe il nome di idròlisi (lisi
utilizzando l’acqua) e i due componenti
verrebbero liberati di nuovo. Se le molecole
di acido grasso legate al glicerolo fossero
due, il composto prenderebbe il nome di
digliceride; se fossero tre, verrebbe
chiamato trigliceride. I trigliceridi sono i
grassi più comuni che si trovano negli
alimenti e che vengono prodotti con la
dieta.
In questa figura vediamo che uno dei tre
acidi grassi è insaturo e quindi il livello di
compattazione è inferiore perché le code
sono più distanti tra di loro data la presenza
dell’angolo nella catena carboniosa. Quel
trigliceride fa parte dunque di un grasso
liquido.
A cosa servono i trigliceridi in una cellula? Come riserva di energia, perché questi acidi grassi
verranno scissi e ossidati e l’ossidazione, cioè la diminuzione nella struttura dell’acido grasso,
libererà l’energia immagazzinata. Si tratta di una reazione di ossidoriduzione. I trigliceridi si
accumulano in cellule specializzate, gli adipociti, cellule dove nel nucleo è contenuto il genoma
dell’organismo pluricellulare ma che sono deputate ad accumulare goccioline di trigliceridi e a
conservare questa riserva di energia che viene consumata più lentamente rispetto al glicogeno,
polisaccaride del glucosio.
I lipidi che invece non servono come fonte di energia ma come struttura vanno a costituire le
membrane plasmatiche. Essi non possono dunque essere totalmente idrofobi ma devono
necessariamente avere una parte idrofila poiché una cellula si trova in un ambiente acquoso, dato
che la matrice extracellulare è costituita da acqua. Queste molecole si chiamano fosfolipidi e
presentano una parte che contiene acido fosforico, assolutamente solubile in acqua. Esse sono
molecole anfipatiche, presentano cioè allo stesso tempo una prozione idrofila compatibile con
l’acqua e una porzione idrofobica (testa polare, coda apolare). Nella classe dei fosfolipidi troviamo i
glicerofosfolipidi o fosfogliceridi (all’acido fosforico è legato anche un residuo di zucchero) e gli
sfingofosfolipidi (invece di esserci il glicerolo, troviamo un’altra molecola simile al glicerolo ma
avente una lunga coda, chiamata sfingosina e questo ci richiama alle membrane plasmatiche del
tessuto nervoso). Nei glicerofosfolipidi il glicerolo, mediante il suo gruppo ossidrilico, è legato
all’acido fosforico. Gli altri gruppi ossidrilici sono legati a due acidi grassi.
In azzurro vediamo la molecola di glicerolo e notiamo che ai 3 atomi di C sono legati i 3 gruppi
ossidrilici. In basso nel riquadro rosa si trovano gli acidi grassi, ognuno dei quali si lega a uno dei
due ossidrili del glicerolo per formare il digliceride. L’altro gruppo ossidrilico che è rivolto verso
l’alto è legato all’acido fosforico (H3PO4), atomo di P al centro legato con 4 atomi di O e quindi
ogni 3 di questi atomi di O presentano 1 H. la molecola presenta tre gruppi ossidrilici quindi può
formare per condensazione un legame estere con l’ossidrile del glicerolo. L’acido fosforico a sua
volta è legato in questo caso
con un altro composto polare
che può formare legami a
ponte di idrogeno. Quella
porzione verde è la testa
polare, attraverso cui la
molecola può instaurare
relazioni con l’ambiente
acquoso extracellulare o
intracellulare e in seguito si
osservano le due code
idrofobiche. A sinistra la
struttura che si può anche
disegnare considerando ogni
sferetta come atomo, che
presenta colore e dimensione
diversi in base al tipo e alle
caratteristiche; dunque queste
sono le molecole che vengono
chiamate anfipatiche, i fosfogliceridi.
Molecole polari caratterizzano il glicerofosfolipide per cui si può trovare la colina che va a
costituire la fosfatidilcolina, l’etanolammina. Quando non è presente nessun sostituente e c’è solo
l’acido fosforico, allora abbiamo l’acido fosfatidico che però non si trova nelle membrane biologiche
poiché in esse l’acido fosforico è sempre legato a un’altra molecola (fosfogliceridi) e poiché ha una
carica sulla superficie della molecola che non potrebbe essere compatibile con la composizione
della membrana. Nel caso invece
degli altri composti come
l’etanolammina, in cui è presente
un gruppo amminico e un gruppo
CH2 che deriva dall’etano,
fosfolipide che si trova nelle
membrane biologiche, la colina e
la serina, che è anche un
amminoacido, la fosfatidilserina, il
fosfatidilglicerolo e il
fosfatidilinositolo presentano delle
cariche, quindi è chiaro che questi
componenti caratterizzeranno
specifiche membrane cellulari.
Infatti, la distribuzione di questi
fosfolipidi dipende dal tipo di
cellula; le cellule si caratterizzano anche proprio per la composizione dei lipidi e fosfolipidi di
membrana. Sono tutte molecole polari che vanno a costituire proprio quella testa polare
caratteristica dei glicerofosfolipidi.
Gli sfingolipidi sono sempre lipidi che vanno a costituire le membrane biologiche ma non
contengono glicerolo bensì sfingosina, che viene chiamato anche amminoalcol, molecola
complessa a 18 atomi di C con doppio legame trans che presenta una lunga coda di atomi di
carbonio e che contiene un gruppo amminico e dei gruppi ossidrilici. Quindi già una componente
lipidica legata alla molecola di struttura, cioè che lega gli altri componenti, è presente. Nella
sfingosina quando va a costituire lipide di membrana è necessario un solo acido grasso (a lunga
catena con testa polare che può essere la colina) che si legherà al gruppo amminico. Si andranno
dunque a formare gli sfingofosfolipidi, i componenti che per la maggior parte vanno a costituire le
membrane delle cellule del sistema nervoso.
La sfingosina è composta da una
porzione con cui si lega l’acido grasso,
evidenziato in giallo, cioè il gruppo
amminico e in alto da una catena
insatura, con un doppio legame tra due
atomi di C e 12 gruppi CH2 (12 atomi
di C che vanno a costituire la lunga
catena di atomi di carbonio). La coda
dell’acido grasso e della stessa
sfingosina determinano la parte
insolubile, apolare dello sfingolipide.
Sfingosina + acido grasso senza
sostituente va a costituire il
cerammide. Il cerammide è il lipide
che è maggiormente presente nello strato corneo della pelle. Nello strato superficiale della pelle
queste membrane presentano un elevato contenuto di questo cerammide. La fosfatidilcolina e la
sfingomielina hanno una struttura chimica che nel primo caso presenta un acido grasso insaturo
mentre nel secondo no; si osserva dunque una consistenza maggiore nelle membrane costituite
da sfingomielina a causa della presenza nella fosfatidilcolina del legame insaturo che impedisce la
vicinanza delle due catene carboniose e accresce la fluidità della membrana.
L’altra classe dei lipidi è costituita dagli steroidi. Gli steroidi sono lipidi che derivano tutti dall’anello
formato dai 4 anelli condensati del colesterolo. La molecola di colesterolo è composta dall’anello di
base costituito dai 4 anelli condensati con la coda particolare alla base della quale si trova una
piccola porzione evidenziata in rosso composta da un gruppo ossidrile -OH e dunque idrofila.
Questa piccola porzione del colesterolo
consente la sua distribuzione dentro le
membrane plasmatiche. Mentre i trigliceridi
servono per fornire energia perché vengono
ossidate le catene degli acidi grassi, i
glicerofosfolipidi e gli sfingofosfolipidi sono
lipidi di struttura come il colesterolo poiché si
inserisce nelle membrane plasmatiche.
Tuttavia il colesterolo ha anche la funzione di
essere un precursore, una molecola iniziale
utilizzata come base per sintetizzare gli ormoni
steroidei, ormoni di natura lipidica (a differenza
dell’insulina, ormone di natura proteica). Gli
ormoni steroidei hanno dunque un’altra natura
chimico-fisica e specifiche funzioni.
In questa figura si vede che alcuni ormoni steroidei vanno sotto la classe di ormoni sessuali; gli
estrogeni, che sono gli ormoni che caratterizzano i caratteri sessuali secondari (in questo caso il
fatto che la femmina sia meno colorata del maschio) e il testosterone, ormone che fa sì che
vengano sviluppati i caratteri sessuali secondari, quelli che si manifestano esternamente.
Estrogeni e testosterone sono molto simili nella struttura chimico-fisica e derivano dal colesterolo,
per cui le cellule specializzate dove vengono prodotti questi ormoni modificano il colesterolo
formando, attraverso una serie di processi chimici, gli ormoni steroidei. In questa figura vediamo
quali sono le classi di questi ormoni: gli ormoni sessuali, evidenziati in azzurro (progesterone,
testosterone, estradiolo) attraverso una reazione chimica si ottiene una modifica della molecola
perché esiste un enzima specifico che
favorisce quella determinata reazione e
quindi vengono a formarsi gli ormoni
sessuali: i glicocorticoidi o
glucocorticoidi, in giallo. Si chiamano
corticoidi perché vengono prodotti dalla
corteccia surrenale, una ghiandola che
si trova sopra il rene dove sono situate
cellule che contengono enzimi che
modificano il colesterolo e vanno a
formare ad esempio il cortisolo, l’ormone
dello stress, che viene prodotto nel
momento in cui l’organismo deve
reagire, oppure il corticosterone che
favorisce il metabolismo glicidico,
sempre perché in qualche modo
l’organismo deve essere in grado di produrre energia per effettuare la reazione. Oppure, a livello
della corteccia surrenale, vengono prodotti gli ormoni chiamati mineralcorticoidi perché servono
per il riassorbimento dei Sali minerali a livello renale. Quindi le azioni che regolano questi ormoni
sono varie, sono molto diverse tra loro però tutti questi ormoni hanno la stessa natura chimica.
Lezione 3
Come si studiano le cellule? Differenza tra cellule eucariotiche e
procariotiche
Il ricercatore Robert Hooke riuscì a vedere le cellettine nella sezione
del sughero pensando di aver individuato la struttura della cellula.
Egli, in realtà, intravide le cavità lasciate vuote dalle cellule stesse
dopo aver prodotto il sughero all’esterno: una volta impermeabilizzata
la parete cellulare con il sughero, la cellula moriva.
In queste fotografie vediamo vari tipi di cellule che hanno forme e
dimensioni molto diverse e si vedono attraverso il microscopio. Il
semplice microscopio ottico sfrutta come fonte di luce la luce solare o
la luce di una lampadina al tungsteno. L’altro tipo di microscopio è il
microscopio elettronico, per il quale la fonte di luce è costituita dal
flusso di elettroni. Quindi esiste un sistema atto a
fornire gli elettroni in maniera differente a seconda
che si tratti di un microscopio elettronico a
trasmissione o a scansione. Il microscopio a
trasmissione ci permette di vedere le sezioni del
materiale che vogliamo analizzare. Se poniamo
una cellula sul vetrino portaoggetti del
microscopio a trasmissione, osserviamo la
sezione della cellula. Nel microscopio a scansione
il fascio di elettroni colpisce la cellula e rimbalza
su di essa, fornendo l’immagine della superficie
della cellula o del materiale che stiamo

osservando.
Infatti nell’immagine vediamo al centro il
microscopio elettronico a trasmissione in cui
il vetrino portaoggetti con il materiale da
analizzare è posto a metà di questo tubo, in
cui è stato eliminato qualsiasi gas, nel quale
scorrono gli elettroni migrando verso
l’estremità opposta dove si trova una fonte di
attrazione degli elettroni. Alla fine del tubo si
trova lo schermo, quindi gli elettroni
attraversano o sono trattenuti dal campione
e tramite lo schermo si potrà osservare la
sezione dell’oggetto, poiché gli elettroni
verranno più o meno assorbiti dall’oggetto
posto sul vetrino e quelli che non passeranno andranno non andranno a impressionare lo schermo
al di sotto con conseguente creazione dell’immagine del campione che è stato deposto. Nel
microscopio elettronico a scansione, gli elettroni vengono fatti scorrere convogliandoli tutti verso il
campione che però è posto sul fondo e a questo punto gli elettroni rimbalzeranno se è presente il
materiale oppure no e andranno a rivelare l’immagine della superficie dell’oggetto posto sul vetrino
poiché convogliati verso il rivelatore.
La fotografia a sinistra mostra la superficie di
cellule particolari mediante un’immagine
prodotta dal microscopio elettronico a
scansione, mentre a destra osserviamo la
sezione di un mitocondrio prodotta da un
microscopio elettronico a trasmissione.
Come si ottengono gli organelli da un insieme,
da un omogenato di un tessuto? Attraverso la
centrifugazione: se vogliamo solo le cellule,
la disgregazione del tessuto deve essere
blanda, ma se vogliamo il succo cellulare
dobbiamo prendere il tessuto, omogenizzarlo,
metterlo in un frullatore che ha un’intensità di agitazione più o meno intenso a seconda del tipo di
tessuto (ad esempio il tessuto epatico è più debole da rompere, il tessuto muscolare ha una
consistenza maggiore e anche il contenuto cellulare si libera meno facilmente). La centrifugazione
fa sì che i componenti cellulari si separino in basse alle loro differenti dimensioni e al loro peso e
se si sottopone a centrifugazione graduale, con velocità di centrifugazione sempre crescente, via
via si separano i vari componenti. Questo processo viene definito centrifugazione differenziale. Si
inizia con una centrifugazione molto blanda che farà sì che si depositino ad esempio i nuclei, cioè
organelli di grosse dimensioni, successivamente si prende la parte sovrastante e si effettua
un’ulteriore
centrifugazione e
così via a velocità
sempre crescente
fino ad arrivare a
ultracentrifugazione
se vogliamo
sedimentare
piccolissime
particelle come i
ribosomi o parti di
membrana ad
esempio
dell’apparato del
Golgi.

Questo è possibile perché gli organelli hanno dimensioni diverse. È necessario innanzitutto avere
un’idea chiara degli ordini di grandezza. Ad esempio 1 micrometro= 1000 nanometri
Se noi cominciamo a parlare di atomi e dell’organizzazione biologica, siamo intorno agli 0,1
nanometri. Le dimensioni dei ribosomi, gli aggregati di macromolecole composti da proteine e
RNA, sono intorno ai 10 nanometri. Dopo i ribosomi, aumentando di dimensioni, arriviamo ai virus.
I virus sono aggregati di macromolecole, non sono cellule ma parassiti endocellulari obbligati
poiché non possono riprodursi se non all’interno di una cellula ospite. I virus hanno dimensione di
circa 100 nm. Sono più piccoli dei batteri, che ad esempio nell’Escherichia Coli raggiungono le
dimensioni di 1 micron di lunghezza poiché si tratta di un bastoncello. Intorno a questa
dimensione, troviamo anche il mitocondrio e il cloroplasto; infatti, mitocondrio e cloroplasto
derivano da batteri che sono stati, nel corso dell’evoluzione, inglobati in cellule di maggiori
dimensioni.
Il nucleo è un organello cellulare che fa parte delle cellule eucariotiche, ha una dimensione
maggiore che può raggiungere un po’ meno di 10 micron. Le cellule hanno dimensioni variabili: le
cellule più complesse eucariotiche animali e vegetali hanno dimensioni da 10 micron (globuli rossi)
a 1 m (motoneurone). Le dimensioni delle cellule eucariotiche animali variano in base al tipo di
cellula e in base al tipo di funzione che quella cellula dovrà andare a svolgere. È importante
dunque avere idea delle dimensioni e pensare a come possono essere isolati i vari componenti
cellulari per poi andarli a caratterizzare.
Sbobina di biologia, lezione 4
Data della lezione: 20/10/2021
Prof.ssa Modesti
Sbobinatore: Beatrice Caldini Revisore: Simona Daviddi

TEORIA CELLULARE:
Tutte le cellule derivano da cellule preesistenti: c’è stata una cellula iniziale da cui sono originate le
cellule che fanno parte dei tre domini -batteri, archaea, eucarioti- e dei sei regni che appartengono
al mondo vivente.
Sulla Terra sono cambiate le condizioni durante l’evoluzione. Questi cambiamenti sono stati dovuti
a organismi ancestrali che, con il
loro metabolismo, hanno
condizionato l’ambiente terrestre
portando per evoluzione alla
formazione degli organismi
conosciuti oggi.
I batteri sono gli organismi
unicellulari
meno evoluti rispetto al
progenitore ancestrale. Gli archaea
hanno caratteristiche di
metabolismo molto particolari,
contengono alcune strutture
presenti negli eucarioti, organismi
più evoluti.

Cosa è accaduto durante l’evoluzione?


Poiché le condizioni erano riducenti e favorivano la sintesi organica, si formò un progenitore
ancestrale per condensazione di materia organica, successivamente le molecole organiche
aumentarono di concentrazione, si formarono anche i lipidi che diedero origine alla membrana
plasmatica.
La vita deriva dalla molecola dell’RNA prodotta durante la sintesi abiotica e che, con le sue
caratteristiche chimico-fisiche, ha consentito l’inizio del metabolismo caratterizzando alcune
reazioni chimiche. Ancora oggi alcune molecole di RNA agiscono come ribozimi: enzimi con attività
catalitica. L’RNA era in grado di autoreplicarsi, vista la sua struttura, originando i primi organismi:
un progenitore ancestrale comune, molto semplice, con una membrana plasmatica, una molecola
di DNA, ribosomi, in grado di autoreplicarsi. Durante l’evoluzione questa cellula è stata la cellula
progenitrice sia di batteri, che hanno continuato ad avere una struttura semplice, sia di archaea, con
un grado di complessità superiore agli eubatteri.

I BATTERI:
Si sono evoluti tipi diversi di batteri dagli eubacteria, sono tutti caratterizzati da un metabolismo
che varia: aerobi, anaerobi, autotrofi fotosintetici (in grado di prodursi materiale organico)
eterotrofi (in grado di respirare).
I batteri sono cellule meno evolute ma in grado di contenere tutti gli organelli, le strutture
macromolecolari e cellulari che consentono la vita: effettuare metabolismo, accrescersi, riprodursi,
rispondere agli stimoli. Sono tutti organismi unicellulari, anche se alcuni vivono raggruppati con
componenti fatte da individui separati che influenzano
la comunità -come fanno anche alcuni organismi
pluricellulari-.
Hanno forma variabile e in base a questa sono
raggruppabili in classi:
1-FORMA SFERICA: cocchi; possono essere:
-unicellulari singoli
-aggregarsi fra loro a formare una coppia: diplococchi,
per esempio il batterio che causa la polmonite
batterica
-a catenelle: streptococchi
-a grappolo: stafilococchi, formando una comunità.
In base al tipo di batterio hanno forme di aggregazioni
variabile.
2-FORMA A BASTONCELLO, bacilli, come escherichia coli, che si trova a livello intestinale ed è indice
di contaminazione fecale, di acque, arie, superfici. Ha forma a bastoncello allungato, ha dimensioni
attorno a 1/10micron, solitamente sotto i 10.
3-FORMA A VORGOLA, vibrioni: esempio il batterio che causa il colera
4-FORMA A SPIRALE: spirilli o spirochete, come il batterio che causa la sifilide, che era stata debellata
e ora sta tornando nella popolazione. La spirochete ha più curve rispetto ad uno spirillo, ha
circonvoluzioni più compatte e numerose.
I batteri sono quindi classificabili in base alla forma e al tipo di parete.

Un batterio è costituito da una parete cellulare: una struttura esterna che dà al batterio consistenza,
forma e fa si che possa sopravvivere nell’ambiente. Nella maggior parte dei casi è fatta da
peptidoglicano, mantiene il batterio in condizioni di vivere come organismo unicellulare
nell’ambiente.
Sotto la parete, separata, si trova la membrana plasmatica, simile a quella delle cellule eucariotiche
superiori, sempre fatta da fosfolipidi, ma tipi di lipidi diversi rispetto alla membrana cellulare esterna
delle cellule eucariotiche. Non contiene colesterolo, che invece si trova nella membrana plasmatica
eucariotica.
All’interno si trova il citoplasma, soluzione acquosa, vi devono essere disciolte molecole idrofile,
sennò si formano precipitati che la cellula non sa contenere, se non sono rivestiti da membrana o
se non formano granuli che la cellula contiene separatamente. Il citoplasma contiene tantissimi sali
e molecole disciolti ma pochi organelli: solo i ribosomi, che servono per fare la sintesi proteica e
traducono il messaggio dal DNA. Questi servono a tutte le cellule per vivere perché le proteine
devono svolgere le loro funzioni. Nel citoplasma è anche contenuto il genoma anulare del batterio:
uguale alle cellule eucariotiche come composizione. È anche chiamato equivalente nucleare, ha lo
stesso scopo del nucleo, ma il batterio non ha nucleo: questo è un organello delle cellule
eucariotiche superiori rivestito da membrana. Dentro la cellula procariotica non ci sono membrane,
il che è una differenza fondamentale dalle cellule eucariotiche all’interno delle quali c’è un sistema
di endomembrane -membrane interne che formano spazi ben definiti-. Nel batterio c’è la
membrana plasmatica, che fornisce un’appendice che si introflette del citoplasma, ma non ci sono
organelli rivestiti da membrana. Il cromosoma batterico è un doppio filamento di DNA chiuso ad
anello; invece, nelle cellule eucariotiche ha estremi liberi. Il DNA batterico è libero nel citoplasma in
una zona chiamata nucleoide, non rivestito da membrana.
I batteri non interagiscono solo fra di loro, ma anche con altri organismi, per esempio con l’uomo.
Ad esempio, ci sono batteri che si trovano nel primo tratto digestivo degli erbivori e producono
proteine che scindono il legame beta-glicosidico tra i monomeri della cellulosa, che è usata dagli
animali come fonte energetica.

I rapporti con cui i batteri convivono con gli organismi sono i seguenti:
1-MUTUALISMO: c’è un beneficio sia per il batterio che per l’organismo che li contiene -come
nell’esempio fatto prima tra erbivori e batteri per assorbire glucosio-. Anche noi abbiamo batteri
nelle cavità; traiamo beneficio dalla loro azione e dal loro produrre molecole che interagiscono con
l’individuo umano. Alcuni possono però anche essere patogeni; queste tipologie di batteri
normalmente non si trovavano nell’organismo, ma se il batterio supera alcune barriere che si
trovano nei vari livelli dell’organismo e arriva nella sede da lui scelta causa la malattia.
2-COMMENSALISMO: i batteri vivono nell’ospite da cui traggono beneficio. L’ospite non ne trae
beneficio ma neanche danno.
3-OPPORTUNISTI: se in piccole quantità non creano danno, ma causano malattie se aumentano in
quantità. È il caso di escherichia coli, se aumenta di quantità nell’intestino dove si trova
normalmente causa malattie.
L’insieme dei batteri che convivono con l’uomo si chiama microbiota. Circa 2kg del nostro peso sono
fatti da batteri, che
convivono nella cavità della
pelle. Nell’immagine sono
rappresentati tutti i livelli a
cui si trovano i batteri di cui
nostro organismo risente
positivamente.
Ad una cellula eucariotica
corrispondono circa dieci
cellule batteriche, una
quantità che deve
mantenersi costante. Non
tutto il microbiota è identico,
varia in base
all’alimentazione, alla
geografia in cui vive l’ospite e alle abitudini di quest’ultimo.
Nel disegno c’è una foto al microscopio elettronico a trasmissione e accanto il disegno 3D di una
cellula batterica. Nell’immagine al microscopio possiamo osservare un rivestimento facoltativo, non
indispensabile perché il batterio possa vivere: è la capsula, chiara al microscopio, perché non è di
natura lipidica. Sotto vediamo la parete fatta da peptidoglicano, che può essere o sottile o molto
densa, con filamenti molto ravvicinati, ponti fatti da un residuo amminoacidico che lega i filamenti
di peptidoglicano. I batteri Gram+ hanno uno spesso strato di peptidoglicano ma più lasso.
All’interno della membrana si trova poi il gel citoplasmatico, con depositati dei puntini neri molto
piccoli che corrispondono ai ribosomi, aggregati di macromolecole, non rivestiti da membrane. Si
può notare poi un addensamento più scuro
che è il cromosoma batterico. Il DNA nei
batteri fino a poco tempo fa non si credeva
legato a proteine, come accade invece in
cellule eucariotiche superiori; in realtà alcune
proteine ci sono e hanno la funzione di farlo
organizzare, condensare in una zona, però
queste proteine non sono uguali a quelle
eucariotiche. In alcune cellule batteriche c’è
anche un DNA accessorio, più piccolo
chiamato DNA plasmidico che contiene
informazioni come quelle per resistere agli
antibiotici. È una forma di DNA in più, è usato
in ingegneria genetica come strumento per
ottenere organismi ricombinanti.
La parete batterica è formata da peptidoglicano, gli zuccheri sono sempre n-acetilglucosammina e
acido n-acetilmuranico legati a formare polimeri. I dimeri vanno a formare i polimeri, tenuti assieme
da catene di amminoacidi più o meno lunghe a seconda che il batterio sia Gram+ o -.
L’accezione Gram deriva dal nome del
ricercatore che si accorse per la prima
volta che la parete batterica poteva
colorarsi con una colorazione
contenente iodio. Questa colorazione è
irreversibile per gli zuccheri, colora di
azzurro o violetto. I batteri Gram+ sono
intensamente colorati, perché contengono uno strato spesso di
peptidoglicano ed espongono il colorante che colora
intensamente all’esterno. Una volta lasciato agire il colorante, si
effettua un lavaggio del campione che rimane di colorazione
violacea intensa. I Gram- sono di colorazione più rosacea, lo
strato è più sottile ma più compatto, all’esterno della rete c’è
un’ulteriore parete che protegge.
[Relativamente a batteri Gram+ e Gram- la professoressa ha
evidenziato che è necessario sapere ciò: i Gram- hanno uno
strato di peptidoglicani più sottile e rivestito con membrana
esterna, nei Gram+ lo strato è più lasso e si colorano di più. ]

I batteri più comuni tra Gram + e Gram- sono così raggruppati:


1-GRAM POSITIVI: si colorano facilmente, hanno parete batterica priva della parete esterna. Molti
sono anaerobi
-STREPTOCOCCHI e STAFILOCOCCHI: a forma di cocco, ad anello o a grappolo. Si trovano nelle vie
aeree.
Quando
aumenta
la

concentrazione causano infezione delle vie respiratorie. Molti sono anaerobi, vivono in assenza di
ossigeno.
-CLOSTRIDI. per esempio il botulino. È anaerobio vive nelle conserve in assenza di ossigeno. Non è
in sé patogeno ma lo è una tossina da lui prodotta. Tra le funzioni delle proteine, ci sono alcune con
funzioni di difesa come gli anticorpi e poi di offesa come le tossine batteriche che hanno una
funzione neurotossica.: provoca la paralisi, viene utilizzata anche in estetica per ridurre le rughe,
paralizza i nervi superficiali. È un sistema a concentrazione molto bassa per ridurre la ruga.
-BATTERI LATTICI: impegnati ad esempio nella formazione dello yogurt. Sono quelli che effettuano
la fermentazione lattica. Molti Gram+ sono anaerobi, il lattobacillus vive in assenza di ossigeno ed
effettua fermentazione. La fermentazione è una via alternativa alla respirazione per produrre
energia senza l’uso del mitocondrio. In realtà non produce energia ma serve per far avvenire il
metabolismo del glucosio
2-GRAM NEGATIVI:
-ENTEROBATTERI: come ad esempio escherichia coli, usato in laboratorio, anche per produrre
proteine ricombinati, semplici non modificate. Convive con l’organismo; in basse concentrazioni non
è patogeno,
in alte
quantità
cause le
enteriti. Si
chiama

enterobatterio perché si trova nell’intestino.


-CLAMIDIE: sono batteri la cui caratteristica è di non avere nella parete peptidoglicani, è una parete
di solito fatta da polisaccaridi, ma non sono quelli che vanno a far parte del peptidoglicano. Causano
infezioni pelviche nelle donne, sono batteri che infettano molte specie animali, anche gli uccelli.
-CIANOBATTERI: effettuano fotosintesi, sono colorati, contengono clorofilla che è in grado di
captare il fotone.
-VIBRIONI: come il batterio del colera
-RICKETTSIE: trasmessi dalle zecche.
-SPIROCHETE: come il treponema pallidum: il batterio che causa sifilide, che sta aumentando, come
anche altre patologie trasmesse per via sessuale o patologie che si stanno diffondendo per la grande
mobilità delle persone da un continente all’altro.
(malattia di Lyme, ad esempio, anche questa trasmessa dalle zecche)
-CIANOBATTERI: fotosintetici, importanti perché favoriscono la produzione di O2 e materiale
organico.

LA MEMBRANA PLASMATICA: è formata, come quella delle cellule eucariotiche, per il 60% del peso
da proteine, per il 40% da lipidi. Contiene anche carboidrati come le cellule superiori. Serve in parte
a dare forma alla cellula-anche se è presente la parte cellulare-, a selezionare sostanze nutritizie che
devono entrare, di rifiuto che devono uscire e gas. Le membrane sono permeabili totalmente ai gas:
l’ossigeno può passare per differenza di pressione (la concentrazione dei gas si misura come
pressione). Viene prodotta CO2 di scarto, aumenta nella cellula e, per differenza di concentrazione,
esce.
La membrana è strutturata come mosaico fluido come quella eucariotica. Mosaico perché formata
da tessere fluide che si muovono. Queste tessere sono: fosfolipidi, proteine e molecole di
colesterolo; sono libere di muoversi, la membrana non è una struttura statica. I fosfolipidi si
muovono e mentre lo fanno trascinano proteine, zuccheri e colesterolo. La membrana batterica non
contiene colesterolo, eccetto quella dei microplasmi - un batterio che infetta anche le vie
respiratorie-; ciò la distingue da quella di una cellula superiore. Un’altra differenza dalle membrane
delle cellule superiori è che hanno altre forme di lipidi, come la cardiolipina che fa parte degli
opanoidi, con forma simile al colesterolo, sempre con funzione di ridurre la fluidità.
La membrana che circonda la cellula ha delle appendici, un’introflessione chiamata mesosoma; non
si rompe mai, si introflette, serve al batterio come ancora per la molecola del DNA quando va a
duplicarsi. Quando il DNA si duplica, per esempio per riprodursi, il batterio deve duplicare la
molecola informatrice: dal cromosoma batterico se ne formano due identiche, mentre avviene
questo processo il DNA deve fermarsi perché possa avvenire in modo corretto e continuo, dunque
si ancora al mesosoma da cui si ridistacca una volta duplicato.
Il mesosoma va a formare due membrane sovrapposte, dove avviene la respirazione del batterio.
(Non è respirazione polmonare ma cellulare -processo di ossidazione-. La cellula sa usa qua l’O2 che
serve come accettore finale del processo di ossidoriduzione delle molecole organiche. Si liberano e-
presi da O2). Per il processo di respirazione cellulare ci sono proteine come il citocromo. Il processo
avviene allo stesso modo in cui avviene nei mitocondri.
Nel mesosoma si trovano anche proteine importanti per la sintesi della parete con cui è in contatto.
Nella figura accanto possiamo osservare un’immagine di un batterio al microscopio elettronico,
evidenzia le dimensioni: scala 0.2 micron, per 1/2micron. Sono rappresentati due tipi di procarioti:
quello aerobio presenta il mesosoma,
introflessione, sono le membrane
respiratorie che vediamo in foto. È un
batterio che sa respirare, ha tutte le
proteine per far la respirazione.
Accanto possiamo osservare un
procariote fotosintetico, una grande
quantità di membrane interne che si
introflettono nel citoplasma. La
fotosintesi avviene con meccanismi
opposti alla respirazione ma sempre
con proteine che si trovano nel doppio
strato di membrana.
NUCLEOIDE: il materiale genetico
presente nei batteri è fatto come cellule eucariotiche da un polimero di nucleotidi, con un DNA di
tipo anulare, circolare. Nel genoma batterico ci sono tutte le informazioni che servono alla cellula
per produrre le proteine e quindi per vivere. Il batterio può avere anche un altro DNA accessorio:
IL DNA PLASMIDICO: è circolare e di piccole dimensioni. Porta informazioni per la sintesi di proteine
che possono servire al batterio per vivere in ambienti ostili (come quelle per la resistenza agli
antibiotici). Ha geni che portano informazioni per degradare molecole tossiche. Infine, contiene
proteine che generano il materiale facoltativo dei batteri e sono:
1- Flagelli e pili: sono lunghe estroflessioni esterne alla parete, sono fatti da proteine come la
flagellina, possono essere tre,
uno o rivestire la struttura del
batterio, servono per far
muovere il batterio. I batteri
che li contengono sono favoriti
perché possono muoversi e
raggiungere forme di
nutrimento
2- Capsula: conferisce forma e consistenza al batterio, in alcuni casi determina la patogenicità
fungendo da barriera per gli antibiotici, non viene inglobata dalle cellule del sistema
immunitario (come il diplococco che causa la polmonite, tutti e due i cocchi del diplococco
sono rivestiti dalla capsula che li rende patogeni, senza la capsula non lo sono). Attraverso la
capsula fatta da materiale glucidico i batteri possono associarsi fra loro e vivere in comunità.
3- Fimbrie e i pili. sono di dimensioni inferiori. Si trovano lungo tutta la superficie dei batteri.
Servono a far aderire maggiormente le superfici i batteri, ma anche per la coniugazione: due
batteri trasferiscono attraverso i pili il materiale genetico da uno all’altro. Questo è
importante perché si ottiene una specie di riproduzione sessuata, le molecole di DNA
plasmidico e cromosomico possono fondersi col DNA del batterio che ha ricevuto nuovo
materiale genetico, formando ndividui geneticamente diversi da quelli originari.
4- Spore: sono una forma di resistenza: quando mancano acqua e nutrimento il metabolismo
batterico si riduce al minimo, non si riproduce non risponde agli stimoli, resiste a calore,
radiazioni ma è sempre vivo, così quando riprendono condizioni esterne favorevoli
acquisisce nuovamente una condizione vegetativa. La capsula è di natura polisaccaridica,
fatta da zuccheri: perciò appare chiara se osservata al microscopio elettronico, non
contenendo materiale lipidico, è presente sia nei batteri Gram+ che Gram-.

LA RIPRODUZIONE BATTERICA: i batteri si riproducono mediante scissione binaria, una forma di


riproduzione asessuata. Nel disegno accanto possiamo

vedere in giallo il cromosoma batterico. Il batterio quando


deve riprodursi duplica il proprio DNA, le due molecole
rimangono ancorate e a livello del mesosoma si sintetizza
la nuova parete. Il batterio cresce finché non arriva alle
dimensioni di due batteri uniti, a questo punto le due
molecole di DNA si separano con la formazione di un solco
di scissione. I batteri formati sono identici sia dal punto di
vista fisico che genomico. I due individui a loro volta si
riprodurranno formando una colonia avente lo stesso
DNA: non c’è scambio di informazioni, sono identici alla cellula che li ha formati. Nei batteri si può
avere variabilità genetica attraverso la trasmissione di informazioni mediante i pili. In natura avviene
attraverso la coniugazione: un batterio può trasferire o solo il plasmide attraverso i pili o il DNA
cromosomico; il materiale genetico trasferito si integra con materiale già presente nel batterio. I
batteri possono variare anche attraverso due metodi che sono quelli usati in laboratorio di ricerca
e in ingegneria genetica: trasformazione e trasduzione.
Trasformazione: batterio viene messo in un ambiente contente materiale genetico estraneo, si
riduce di spessore la parete batterica e questo viene trasformato cambiando la sua situazione
genetica.
Trasduzione: viene usato un virus, avviene anche in natura perché anche i batteri possono essere
infettati da virus specifici: batteriofagi. Viene effettuata introducendo materiale genetico attraverso
infezione virale.
Un batterio a duplicarsi e a crescere impiega dai 20 ai 30 minuti: è una crescita molto rapida. In
figura possiamo osservare la curva di crescita del batterio: è esponenziale ma ad un certo punto si
ferma perché finisce il materiale nutritizio. Quando in una beuta non c’è crescita batterica è limpida.
Viene sterilizza con il calore creando un
terreno di crescita per il batterio, la
soluzione viene inoculata con una piccola
quantità di batterio specifico che si vuole
far crescere a temperatura adeguata; a
questo punto la soluzione non è più
limpida ma opalescente. Misurando con
luce polarizzata vediamo il numero di
batteri presenti all’interno.

GLI ARCHAEA: sono batteri che vivono in condizioni estreme: per esempio quelli metanogeni:
producono metano usando CO2, il carbonio inorganico viene ridotto a metano usano idrogeno.
Probabilmente vivevano anche nelle condizioni riducenti dell’atmosfera primordiale. Sono spesso
usati nel trattamento dei liquami, riducono CO2 e formano un combustibile utile all’uomo. Alcuni
vivono in condizioni estreme di salinità o temperatura, per esempio nelle solfatare, come gli alofili,
qui la concentrazione salina è anche 10 volte superiore alla concentrazione di acqua di mare. Oppure
ne esistono di termoacidofili, vivono nelle sorgenti termali a temperature anche attorno ai 100gradi.
Sono sicuramente antichi perché vivono in condizioni analoghe a quelle presenti in origine sulla
crosta terrestre. Condividono anche dei caratteri presenti nelle cellule eucariotiche. Non
contengono peptidoglicano nella parte. Nella membrana non sono presenti fosfolipidi ma glicerolo
legato a idrocarburi non presenti in altri tipi di cellule. Hanno più di un’RNA polimerasi, come gli
eucarioti superiori, mentre i batteri ne hanno una sola. Hanno sensibilità diversa dai batteri per gli
antibiotici. Iniziano la sintesi proteica con la metionina come gli eucarioti, negli eucarioti invece inizia
con la formilmetionina.

EVOLUZIONE: nell’arco dell’evoluzione dal progenitore ancestrale, un grande batterio non in grado
di respirare, senza citoplasma e con compartimenti definiti, stati inglobati altri organismi: 3 per dar
luogo agli eucarioti vegetali, 2 per gli animali.
Il mesosoma aumenta di quantità tramite delle
introflessioni formando membrane interne, che non si
rompono, ma continuano ad essere un’unica membrana.
Formano la doppia membrana nel nucleo e il sistema di
endomembrane: compartimenti separati. Il citoplasma è
una struttura fluida, come un sacco, attraverso cui
passano dei gas, dentro possiamo immaginarci un
pallone che, se andiamo a svolgere, forma la membrana
plasmatica con dentro dei compartimenti selezionati che
sono separati dal citoplasma della cellula: così si formano
l’apparato di Golgi, i reticoli endoplasmatici liscio e
ruvido, e la doppia membrana del nucleo.
Contemporaneamente a questo alcune cellule che
cominciavano ad avere un sistema di endomembrane, in
quanto hanno inglobato tramite la membrana fluida dei
batteri in grado di respirare (usare O2 per produrre una
grande quantità di energia) e altri in grado di fare
fotosintetici. Così attraverso queste reazioni di
endosimbiosi i batteri inglobati erano protetti e la cellula
poteva svolgere la fotosintesi, la respirazione o
entrambe. In questo modo si sono formati eucarioti
vegetali con mitocondri e cloroplasti: questo è il processo endosimbiotico o simbiosi esterna che si
può intuire perché gli organelli contengono caratteristiche che li accomunano ai batteri.
Data: 21/10/2021

Materia: Biologia

Lezione: Numero 5

Professore: Alessandra Modesti

Sbobinatore/Revisore: Filippo Bergamaschi / Valentina Boccanera

La cellula eucariotica
Nella lezione di oggi vedremo come sono strutturate le cellule eucariotiche.

Nella fotografia, scattata al microscopio


elettronico, vediamo il confronto di una cellula
procariotica accanto alla sezione di una cellula
eucariotica
La prima cosa che notiamo sono le dimensioni
differenti. Il batterio è una cellula di piccole
dimensioni, mentre le dimensioni della cellula
eucariotica variano tantissimo in base al tipo di
cellula e in base alla sua funzione. Le cellule che
appartengono allo stesso organismo, pur
avendo la stessa informazione genetica,
producono proteine diverse; quindi ciò che varia
in un organismo pluricellulare è il proteoma, non
il genoma. Sono infatti le proteine a indicare le
funzioni che la cellula deve svolgere.

Vediamo che nella cellula eucariotica è presente


una serie di strutture interne, “lamellari” (delle
membrane), che fanno parte di un sistema di
endomembrane.
Quindi la cellula eucariotica presenta, nel citoplasma, una serie di membrane interne che creano dei
compartimenti ben definiti. Queste membrane interne sono tutte in comunicazione tra di loro (non sono mai
interrotte) e partono dalla membrana esterna del nucleo (che è rivestito da una doppia membrana) fino alla
membrana plasmatica, cioè alla membrana che circonda la cellula.
Vediamo che la cellula presenta un grosso compartimento, il nucleo, dove si trova il genoma, organizzato in un
certo modo, che presenta delle zone più o meno compatte che sono indice della maggiore o minore
espressione di questo genoma. All’interno del nucleo esiste anche una zona dove viene prodotto l’RNA che va a
costituire i ribosomi, e dove vengono assemblati i ribosomi.
Tutta l’attività di sintesi proteica avviene all’esterno del nucleo, ma attraverso la doppia membrana nucleare
possono entrare o uscire proteine, quindi la membrana nucleare presenta un sistema di selezione molto
specifico e selettivo, costituito dai “pori nucleari”.

Vediamo ora quali sono le caratteristiche fondamentali delle cellule eucariotiche:

1. La presenza di un nucleo. La molecola del DNA, il genoma della cellula, si trova nel nucleo, che è
rivestito da una doppia membrana.
2. Le cellule presentano nel citoplasma una serie di compartimenti, che sono dovuti alla presenza del
sistema di endomembrane.
3. Nella cellula eucariotica è presente una serie di organuli, molti dei quali sono rivestiti da membrane (tra
cui quelli che appartengono al sistema di membrane interne, ma anche il mitocondrio e il
cloroplasto…). Tutti questi organelli svolgono una funzione ben definita. La presenza della membrana
è fondamentale perché crea i compartimenti specializzati a svolgere determinate funzioni, e anche
perché le membrane selezionano cosa può entrare o uscire da questi compartimenti.
4. La forma e le dimensioni variano moltissimo nelle cellule eucariotiche, e variano anche in un unico
organismo pluricellulare (basta pensare all’uomo, che è costituito da moltissime cellule con forme e
funzioni molto differenti tra di loro, che si organizzano in tessuti, cioè insiemi di cellule che hanno tutti
la stessa forma e svolgono tutte la stessa funzione)

Confronto tra cellule eucariotiche e procariotiche


Esistono alcune caratteristiche comuni ai due tipi di cellule:

● La membrana plasmatica ha caratteristiche simili in entrambi i tipi di cellula. È fondamentalmente di


natura lipidica (fosfolipidi), e ha la caratteristica di selezionare il materiale che entra e che esce.
● L’informazione genetica è contenuta per entrambi i tipi di cellule nella molecola del DNA (acido
desossiribonucleico, doppio filamento)
● Il sistema che serve per tradurre quest’informazione genetica è lo stesso “vocabolario” per entrambe le
cellule, ed è il codice genetico. C’è differenza tra “genoma” e “codice genetico”: il genoma è la
molecola nella quale è depositata l’informazione per come deve essere costituita quella cellula, mentre
il codice genetico è un insieme di regole che servono per tradurre quell’informazione genetica in
proteine. Il codice genetico è universale, infatti è uguale per ogni tipo di cellula, mentre il genoma è
unico per ogni individuo. L’informazione genetica serve per produrre proteine, ma queste proteine si
producono in seguito a diversi processi (l’inf. genetica viene prima ricopiata in una molecola
intermedia, quindi viene trascritta – dogma centrale della biologia – nell’RNA, e poi viene tradotta
usando il codice genetico nelle proteine). Questo processo è uguale per procarioti e eucarioti.
● Molte vie metaboliche sono comuni. La via che porta alla degradazione del glucosio per produrre
energia, la glicolisi, è comune ai due tipi di cellule
● Entrambe le cellule utilizzano la stessa “moneta di scambio energetico”, l’adenosina-trifosfato (ATP),
una molecola che serve per depositare temporaneamente l’energia che poi può essere utilizzata per
compiere i lavori cellulari. Entrambe le cellule trasformano l’energia chimica presente nel materiale
organico in ATP, che poi viene utilizzato per compiere lavoro (ad es. un muscolo che si contrae utilizza
“glucosio”, ma solo dopo averlo trasformato in ATP a livello mitocondriale, che poi può essere usato,
in questo caso, per la contrazione)
● Meccanismi simili di fotosintesi. Sia i cianobatteri (batteri fotosintetici) che le cellule eucariotiche
vegetali usano la stessa via fotosintetica, anche perché questo processo avviene all’interno del
cloroplasto, che deriva, durante l’evoluzione, da un cianobatterio che è stato inglobato in una cellula di
dimensioni maggiori.
● Lo stesso vale anche per la respirazione cellulare. Anche i processi che avvengono a livello del
mitocondrio derivano dai processi di respirazione che erano effettuati dai batteri che effettuano,
appunto, la respirazione.
● La sintesi delle proteine. I ribosomi sono presenti nelle cellule batteriche. Ribosomi di dimensioni
leggermente più grandi sono presenti anche nelle cellule eucariotiche superiori. Tutti e due i tipi di
cellule utilizzano lo stesso meccanismo per la sintesi delle proteine
● Entrambi i tipi di cellule presentano un complesso proteico, il proteasoma, che serve per degradare le
proteine che devono essere eliminate perché hanno concluso la loro funzione o perché sono state
sintetizzate in modo scorretto.

Cosa si trova negli eucarioti che invece non è presente nei procarioti?

● La suddivisione in compartimenti all’interno della cellula. Nei procarioti non esiste un sistema di
endomembrane, se non per l’invaginazione costituita dal mesosoma. Nelle cellule eucariotiche sono
invece presenti tanti compartimenti separati tra di loro dal sistema di membrane, oppure organelli che
sono a loro volta rivestiti da membrane.
● La molecola del DNA, che si trova nel nucleo delle cellule eucariotiche è organizzata: non è libera ma è
xxx con proteine. Quindi il DNA negli eucarioti legato a proteine va a formare la molecola di
complessata
cromatina, che può essere più o meno condensata. Il massimo livello di condensazione della cromatina
sono i cromosomi, che non sono invece presenti a livello dei procarioti. Questi cromosomi si
evidenziano nelle cellule eucariotiche solo quando quella cellula dovrà andare in divisione, quindi una
volta che il DNA si è duplicato (si duplica nello stesso modo in cui si è duplicato nei batteri, ma poi
negli eucarioti si compatta nei cromosomi). I cromosomi sono costituiti da una quantità doppia di DNA
rispetto alla cellula che non è in divisione.
● Esistono degli organelli specializzati, ad esempio, per la respirazione e la fotosintesi, ma anche
organelli rivestiti da membrana adibiti alla digestione cellulare (lisosomi). I lisosomi sono rivestiti da
membrana poiché dentro queste strutture si trovano delle proteine (enzimi) in grado di digerire le
macromolecole. È ovvio che se queste proteine si trovassero libere nel citoplasma, digerirebbe anche il
materiale cellulare. Sono dunque organelli rivestiti da membrane che contengono enzimi a carattere
litico (“che degradano, che digeriscono”). Contengono pH acido, e quindi a maggior ragione devono
essere separati dal citoplasma per evitare lisi (danno) cellulare.
● Le cellule eucariotiche presentano un sistema di scheletro interno, scheletro cellulare, il citoscheletro,
chiamato così proprio perché serve a mantenere la forma della cellula eucariotica (soprattutto per
quanto riguarda la cellula eucariotica animale, che non presenta una parete e che quindi potrebbe
essere compattata facilmente se non presentasse all’interno questo sistema di proteine che funzionano
da sostegno e supporto). Alcuni componenti del citoscheletro conferiscono mobilità alla cellula, cioè
fanno sì che alcuni organelli cellulari, tra cui i cromosomi, possano muoversi all’interno del citoplasma.
● Negli organismi vegetali è presente una parete (infatti non sono presenti alcune fibre del citoscheletro
quindi la consistenza delle cellule è sostenuta dalla cellulosa della parete cellulare)
● La divisione cellulare è molto più complessa rispetto alle cellule procariotiche. Anche in questo caso
prima deve avvenire la duplicazione del DNA, e poi, attraverso la divisione mitotica (mitosi), il DNA si
separa mantenendo il numero di cromosomi e la quantità/qualità di DNA uguale alla cellula che lo ha
generato.
● Molti degli organismi eucarioti si riproducono per via sessuata, quindi sono presenti cellule
specializzate che portano metà del contenuto genetico (del numero di cromosomi) in modo da fondersi
tra di loro (tra cellule specializzate di due organismi differenti) per formare un nuovo individuo. Ciò
provoca un’elevata variabilità genetica e fa sì che gli individui che si originano siano differenti dagli
organismi che li hanno generati. Esiste un processo, negli organismi pluricellulari o unicellulari
eucariotici (lieviti) che fa sì che si formino delle cellule specializzate per la riproduzione con metà del
contenuto genetico in modo da potersi fondere con le cellule del sesso opposto e formare nuovi
individui. Questo porta, nei nuovi individui che si formano, ad avere una doppia componente genetica,
cioè geni presenti che derivano dai due organismi che li hanno generati. Per ogni gene, esistono due
forme dello stesso gene. Queste “forme alternative dello stesso gene” si vengono a depositare sui
due cromosomi che vengono chiamati “cromosomi omologhi”. Esistono dunque due copie dello
stesso gene (=diploidia)

Nell’immagine si vedono riportati i tre esempi di


cellula. Quello in alto a sinistra è un batterio, un
organismo unicellulare semplice, un procariote, che
presenta pochissime strutture all’interno. Le altre due
sono una cellula vegetale (in alto), e una cellula
eucariotica animale (in basso). Ne notiamo la
complessità. Le omologie sono nei ribosomi (presenti
nel citoplasma delle cellule eucariotiche sia animali che
vegetali, e anche nel citoplasma delle cellule
eucariotiche). Anche la membrana è presente in
entrambi i tipi di cellule. Il materiale genetico negli
eucarioti si trova all’interno della doppia membrana
nucleare. Il nucleo (grosso organulo rotondeggiante) è
infatti rivestito da due membrane sovrapposte.
In questa immagine vediamo la sezione
tridimensionale di una cellula eucariotica animale.
È presente un flagello che esce dalla cellula.
Le cellule che presentano flagelli, nell’uomo, sono
esclusivamente gli spermatozoi. Questi flagelli
sono di natura completamente diversa rispetto al
flagello batterico, anche se hanno la stessa
funzione: il movimento della cellula.
Lo spermatozoo contiene esclusivamente
materiale genetico al suo interno, nella testa, e
presenta questo lungo flagello mediante il quale
può muoversi, quindi deve esserci anche un
sistema che produce una grossa quantità di
energia per il movimento, costituito da un unico
mitocondrio che si trova tra la testa (dov’è
presente il nucleo) e il flagello. Viene quindi
prodotto ATP per consentire al flagello di
muoversi e far arrivare il materiale genetico alla
cellula uovo (l’altra cellula specializzata che serve per la riproduzione). All’interno del citoplasma troviamo il
citoscheletro, quell’insieme di fibre proteiche che formano una vera e propria rete all’interno del citoplasma e
sostengono gli organelli, dando forma alla cellula, e consentono il movimento sia della cellula che degli
organelli al suo interno. La membrana nucleare, che circonda il nucleo (struttura rotondeggiante violacea),
contiene il DNA. È costituita da due membrane sovrapposte, e la membrana esterna comunica direttamente
con il sistema di endomembrane. Questo sistema è costituito da due “reticoli” (in blu), che comunicano a loro
volta con un terzo reticolo, l’apparato di Golgi. L’interno del reticolo (detto “lume”) non è mai in contatto diretto
con il citoplasma.
Cosa si produce all’interno dei reticoli? In uno dei due sono prodotte proteine di secrezione: destinate alla
membrana esterna o direttamente secrete (ad es. gli ormoni, prodotti all’interno del reticolo, passano dal Golgi
dove le proteine arrivano ad avere la forma definitiva attiva, e poi vengono secrete). All’interno dell’altro
reticolo, detto “liscio”, avviene la detossificazione di alcune molecole tossiche, e anche la sintesi di alcuni lipidi
(insolubili in acqua, devono essere mantenuti separati dal citoplasma).
In arancione si può vedere il mitocondrio, costituito da una serie di membrane interne. Ricorda il mesosoma dei
batteri, costituito da due membrane sovrapposte dove si trovano le proteine importanti per la respirazione.
Anche nel mitocondrio le membrane creano uno spazio separato dall’esterno dove avviene la respirazione
cellulare vera e propria, che porterà alla formazione della molecola di ATP. Viene utilizzato l’ossigeno, che arriva
per diffusione nella cellula, e passa nel mitocondrio.
Troviamo altri piccoli organelli, delle vescicole, i lisosomi e i perossisomi (hanno funzione di degradare materiale
nocivo/organico). I ribosomi sono quei “puntini” liberi nel citoplasma, ma alcuni si trovano aderenti alla
membrana del reticolo che si affaccia verso il citoplasma. Alcuni ribosomi migrano dal citoplasma alla membrana
del reticolo (ma non nel lume), che producono le proteine che verranno riversate dentro il reticolo e poi secrete
(proteine di secrezione). L’inizio della sintesi proteica, però avviene sempre a livello citoplasmatico. Poi, a
seconda della proteina, questa migra, con tutto il
complesso del ribosoma, verso il reticolo. In base al
tipo di proteina avviene infatti uno “smistamento”
(sulla base al genoma). Infatti è presente un
segnale sul gene che indica dove questa proteina
dovrà essere destinata.

Questa è una cellula eucariota vegetale. La prima


differenza sta nella presenza dei cloroplasti, colorati
in verde, anch’essi rivestiti da una doppia
membrana, sono verdi perché contengono la
clorofilla, un pigmento con una struttura ben
definita che serve per captare il fotone (l’energia
luminosa). Da un punto di vista di struttura chimica
è in grado di assorbire una certa quantità di
energia in grado di far spostare un elettrone dalla molecola ad un livello energetico superiore, assorbendo
l’energia ed eccitando l’elettrone nella molecola stessa. Il cloroplasto ha una struttura molto simile al
mitocondrio, e anche lui secondo la teoria endosimbiotica è derivato da un batterio.
Oltre al cloroplasto, la cellula vegetale presenta un grosso spazio delimitato da membrana che è il vacuolo.
All’interno del vacuolo le cellule eucariotiche vegetali immagazzinano o oli essenziali oppure granuli di amido. In
base al tipo cellulare nel vacuolo viene dunque depositato materiale che la cellula ha sintetizzato ma che non
può essere lasciato libero nel citoplasma (creerebbe alterazioni citoplasmatiche).
Nella cellula vegetale non sono presenti le fibre del citoscheletro se non per i microtubuli (servono per far
muovere degli organelli all’interno della cellula). Non hanno invece bisogno di un altro tipo di fibre, i “filamenti
intermedi” (che servono a dare forma alla cellula). La funzione del citoscheletro è dunque quella di consentire il
movimento degli organelli all’interno della cellula vegetale, non ha una funzione strutturale.
La cellula vegetale, inoltre, presenta una parete cellulare.

Gli organismi pluricellulari sono costituiti da cellule eucariotiche animali o vegetali, che hanno forme e funzioni
differenti. Esiste un processo dalla prima cellula che si è formata alla famiglia di cellule adulte, per cui ogni
cellula assume la sua forma per andare a svolgere la sua specifica funzione. Questo processo si chiama
differenziamento. Anche questo processo è indotto da specifiche molecole, di natura proteica, in modo che
dalla prima cellula che si è venuta a formare attraverso la fusione dei gameti (maschile e femminile), si viene a
formare la prima cellula (zigote) che non ha una forma definita. Lo zigote comincia a riprodursi, a formare cellule
tutte uguali tra di loro. Quando si è raggiunto un certo numero di cellule tutte uguali tra di loro, inizia il
differenziamento: si formano dunque classi di cellule con forma e funzione definita.
Ad esempio nella figura vediamo un neurone in giallo. Forse
possiamo già definirlo un motoneurone, perché presenta una
testa con corte ramificazioni della membrana, un nucleo (colorato
di viola) e un lungo braccio rivestito da membrana, attraverso la
quale comunica con le cellule adiacenti. Il braccio viene
chiamato “assone” e termina con dei prolungamenti di
membrana che permettono alla cellula di entrare in contatto con un’altra cellula nervosa, oppure con un altro
tipo di cellula come quella colorata in verde alla sua destra (una cellula muscolare, con una forma un po’
allungata e compatta). In un organismo pluricellulare ogni cellula partecipa all’insieme, svolge funzioni ben
definite ma non è più capace di svolgere una vita autonoma. Ogni cellula svolge la sua funzione in modo
indipendente, ma non è più in grado di funzionare isolata dal contesto.

In quest’altra foto vediamo alcuni tipi di


cellule eucariotiche animali (tranne quella in
alto a destra). Le membrane sono
“frastagliate”, cioè presentano dei
prolungamenti (la superficie di contatto tra
la cellula e l’esterno è aumentata), quindi
queste saranno cellule che assorbono
materiale dall’esterno o producono
materiale e per poi riversarlo all’esterno.
Infatti, quando la membrana presenta
“villi” o “prolungamenti digitiformi” allora
significa che in quella zona la membrana
deve avere un’elevata superficie di contatto
con l’ambiente extracellulare.
Forme differenti corrispondono a funzioni
differenti (nonostante cellule dello stesso
organismo presentino tutte lo stesso
genoma). In alto a destra abbiamo una
cellula eucariotica di un organismo
unicellulare, un lievito, chiamato
saccharomyces cerevisiae.
*inizio slides lezione 4 - La membrana plasmatica*

La membrana plasmatica
Vediamo ora la membrana plasmatica: la sua composizione, i lipidi di membrana, le proteine sulla membrana
(poiché le funzioni svolte dalla membrana sono svolte dalle proteine, ad esempio la comunicazione con
l’esterno), il modello a mosaico fluido (la membrana è costituita da tessere, i lipidi, le proteine, e gli zuccheri,
che possono muoversi; la struttura non è statica ma dinamica). Il mosaico si muove, cambia durante la vita della
cellula, per cui si possono formare i cosiddetti “microdomini” di membrana, cioè assembramenti di alcuni lipidi
(zattere lipidiche), in cui si trovano ad esempio specifiche proteine specializzate nel ricevere determinati segnali.

A cosa serve la membrana cellulare?

● A creare dei compartimenti cellulare. Nel disegno, in rosso è evidenziata la membrana.


● La membrana esterna è una barriera con permeabilità selettiva: è in grado di selezionare le molecole
che entrano e che escono. Questa permeabilità è selettiva anche perché esistono delle proteine nella
membrana che consentono il trasporto delle molecole attraverso la
membrana. Per alcune sostanze il passaggio avviene per semplice
diffusione, quindi non sono presenti delle molecole che veicolano
gli scambi (ad esempio i gas passano per semplice diffusione, ma
anche tutte le molecole idrofobe, relativamente poco numerose in
un organismo che è costituito per la maggior parte da acqua).
● Supporto fisico per molte attività enzimatiche. Incastonate
nelle membrane si trovano delle proteine con attività enzimatica (di
catalisi, di favorimento delle reazioni chimiche). Alcune reazioni
chimiche avvengono più velocemente grazie alla presenza di
proteine situate sulla membrana plasmatica.
● Risposta a segnali esterni. Anch’essa è una funzione
specifica dovuta alla presenza di proteine
● Sempre grazie alla presenza di proteine di membrana, le
cellule sono in grado di interagire tra di loro e trasferire energia

Com’è strutturata la membrana?

La figura rappresenta la “storia” della


scoperta della struttura della membrana
cellulare.
All’inizio si era capito che la membrana era
di natura lipidica, però la prima ipotesi che
fosse esclusivamente di natura lipidica
faceva sì che molte delle sostanze non
potessero attraversare la membrana.
Andando avanti con la scoperta della
struttura delle varie molecole si è
compreso che i fosfolipidi, molecole
anfipatiche (presentano quindi una testa
polare e due code apolari), in ambiente
acquoso si distribuiscono in un doppio
strato. Le code apolari entrano in contatto
tra di loro attraverso interazioni
idrofobiche. Le teste polari si espongono
alla porzione extracellulare e alla porzione
intracellulare, cioè a contatto con le
soluzioni acquose. Dunque si è capito che
oltre a questa struttura lipidica erano
presenti anche molecole che consentivano
il passaggio di molecole che altrimenti non sarebbero potute passare (molecole polari). Si è capito anche che la
membrana è costituita da tessere, cioè da molecole che sono legate tra di loro attraverso legami non covalenti,
quindi legami deboli, per cui queste molecole possono muoversi longitudinalmente lungo il doppio strato
fosfolipidico. Quindi siamo arrivati alla struttura della membrana come la conosciamo oggi, formata da un
doppio strato di fosfolipidi con all’interno un altro tipo di lipide, il colesterolo, e con proteine incastonate
all’interno del doppio strato. Tutte queste molecole sono associate tra di loro mediante legami deboli, e
possono scorrere liberamente.

Questa è una fotografia al microscopio elettronico (scattata


usando un colorante particolare -> la parte idrofobica è la
più chiara) che fa vedere come si forma un doppio strato di
fosfolipidi per cui all’esterno si trovano le teste polari dei
fosfolipidi e all’interno uno spazio di natura chimica diversa
(code idrofobiche dei fosfolipidi in contatto tra di loro).

Nel caso dei fosfolipidi,


almeno una delle due code
idrofobiche dei fosfolipidi
deve essere un acido grasso
insaturo, ossia deve presentare
un doppio legame tra gli atomi di carbonio. Queste due code apolari entrano in
contatto con le due code apolari di un altro fosfolipide dalla parte opposta, e viene
a formarsi il doppio strato.

Un altro componente è quello delle proteine, che sono costituite da amminoacidi.


Gli amminoacidi hanno caratteristiche chimico-fisiche differenti tra di loro, sono 20,
e alcuni sono idrofobici. Quindi
le proteine che si trovano
incastonate in questo doppio
strato fosfolipidico devono avere
una componente idrofobica con
cui possono prendere contatto
con le code idrofobiche del
doppio strato fosfolipidico.

Vediamo ora da che tipo di lipidi è composta la membrana:

Ci sono i glicolipidi (tra cui i cerebrosidi), gli sfingolipidi, i fosfolipidi. Possono avere una componente di
glicerolo, una componente di acido fosforico legato ad un altro gruppo polare, oppure la sfingosina.
In base al tipo cellulare, ci sarà una maggiore o minore concentrazione dei diversi tipi di fosfolipidi.
I fosfolipidi di membrana devono contenere acidi grassi insaturi così da mantenere la struttura “fluida”. Se gli
acidi grassi fossero saturi la struttura sarebbe molto compatta, quasi solida (come quella del burro o del lardo,
che contengono acidi grassi saturi), e non consentirebbe di svolgere le normali funzioni della membrana.
Tuttavia, se ci fossero solo acidi grassi insaturi la membrana sarebbe troppo fluida. Chi è che riduce la fluidità? Il
colesterolo, che si inserisce nelle code degli acidi grassi insaturi (che hanno grossi spazi vuoti). Inserendosi tra le
code dei fosfolipidi, regola la fluidità della membrana, e fa sì che essa abbia una consistenza adeguata a
svolgere le sue funzioni.

In questa figura vediamo i fosfolipidi di


membrana che si dispongono nel doppio strato
fosfolipidico con le code in contatto tra di loro e
le teste polari verso l’esterno. Questa
disposizione è abbastanza naturale, vista la
composizione acquosa della cellula (l’80% del
peso è rappresentato da acqua).

Quando si dice “membrana”, oltre ai fosfolipidi,


ci si riferisce anche alla componente proteica.
Vediamo come si dispongono le proteine
all’interno della membrana.
Nella figura in alto vediamo una proteina definita
“transmembrana”, ossia una proteina che
attraversa completamente la membrana plasmatica. Come riesce a farlo? Il componente “spirale, ad elica” che
attraversa la porzione delle code idrofobiche dei fosfolipidi ha una composizione idrofoba in amminoacidi. Può
quindi prendere contatto con le code dei fosfolipidi e può così attraversare la membrana. Presenta poi una
porzione extracellulare e una intracellulare. A sinistra vediamo una sezione di dimensioni maggiori della
membrana che va a rivestire la cellula.

Le proteine di membrana possono essere:

● Integrali (transmembrana), dette “monopasso” se attraversano la


membrana una sola volta, o “multipasso” se attraversano la membrana più
di una volta. Ciò che cambia è la stabilità di ancoraggio di queste proteine
alla membrana. Le proteine possono muoversi lungo la membrana (non
essendo legate attraverso legami covalenti), ma una proteina che passa tre
volte per la membrana sarà maggiormente ancorata.
● Periferiche, cioè si trovano a livello delle teste polari. Possono essere
periferiche verso la parte extracellulare oppure verso la parte intracellulare
(ciò dipende dalla funzione della proteina). È chiaro che queste proteine
sono sempre legate in modo non covalente, è l’interazione con la
membrana sia minore rispetto alle proteine integrali, e possono quindi
staccarsi più facilmente.
● Alcune proteine possono essere legate in modo covalente ai fosfolipidi.
Sono legate alle teste polari dei fosfolipidi (che, ad esempio, nella foto
presenta l’inositolo a formare fosfatidilinositolo, a cui può legarsi una corta
catena glicidica come l’N-acetilglucosammina che a sua volta può legare la
proteina).

Oltre ad essere legate proteine ai lipidi di membrana, anche gli zuccheri possono formare i glicolipidi che danno
un’impronta specifica ad alcuni tipi di cellule.

Un esempio è quello dei gruppi sanguigni. Sulla superficie dei globuli rossi sono ancorati ai lipidi di membrana
degli zuccheri, che classificano gli individui in base alla presenza o meno della catena glicidica.

Nella foto è presente un altro esempio di come le proteine possono essere incastonate nella membrana
plasmatica (in questo caso transmembrana).
Nella foto a destra, la molecola in giallo formata da quattro anelli
condensati è il colesterolo. Le strutture globulari incastonate in viola
sono le proteine. Queste strutture sono saldamente ancorate alla
membrana (dato che la porzione che attraversa le code dei fosfolipidi è
costituita da amminoacidi idrofobici), ma con legami deboli, non
covalenti. In base al tipo di proteine le funzioni svolte sono differenti.

Come si è visto che le tessere del modello a mosaico fluido possono “muoversi”? Facendo un’esperimento.
Prendendo due cellule di natura diversa (cellula umana e cellula di topo), colorando le proteine in superficie con
coloranti specifici (anticorpi fluorescenti) in due colorazioni diverse. Queste due cellule sono state indotte alla
fusione per andare a formare una cellula ibrida con una tecnica specifica mediante l’utilizzo di un virus. Le due
cellule hanno iniziato a fondersi, e si è visto che la fusione avviene grazie alla capacità dei lipidi di membrana di,
appunto, fondersi tra di loro per formare una cellula ibrida di grosse dimensioni. La colorazione delle proteine
delle due cellule rimane separata. Con il passare del tempo (circa 40 minuti) questa colorazione si diffonde. Non
si ha più una separazione netta ma un movimento sulla superficie della membrana per cui le proteine colorate
vanno a mescolarsi tra di loro. Il movimento delle tessere che costituiscono la membrana (le proteine sostenute
dai fosfolipidi) consente il rimescolamento e il movimento longitudinale dei componenti.

Ecco ancora un disegno di come si dispongono i fosfolipidi


(testa polare - code idrofobiche) se messi a contatto con l’acqua
anche in laboratorio. Le code idrofobiche escludono l’acqua e si
associano tra di loro, ma i legami restano interazioni deboli non
irreversibili. Anche le teste polari, che possono formare legami a
ponte di idrogeno o legami ionici a seconda del gruppo legato
all’acido fosforico o alla sfingosina, interagiscono tra di loro. In
questo modo si esclude l’acqua, separando il compartimento
extracellulare da quello intracellulare.

Abbiamo
già visto
come gli acidi grassi saturi o insaturi determinano la
fluidità della membrana. Nella figura, a destra vediamo
una situazione molto condensata (cioè quella che si
presenterebbe se gli acidi grassi dei fosfolipidi fossero
saturi = gel molto consistente, quasi un blocco
impermeabile). A sinistra invece la situazione in cui gli
acidi grassi sono insaturi, con spazi vuoti e minore interazione idrofobica tra le code e di conseguenza una
composizione più fluida.

Cosa regola la fluidità?

● Innanzitutto la temperatura. Se la temperatura diminuisce, la fluidità


diminuisce. Tuttavia la cellula di un organismo umano vive a 37°C, e la temperatura
deve essere mantenuta costante.
● La saturazione e la lunghezza degli acidi grassi. Più sono lunghi e più sono
saturi, maggiore sarà la compattezza e minore la fluidità. In genere gli acidi grassi
che costituiscono i fosfolipidi sono sempre piuttosto lunghi, però sono insaturi ->
fluidità elevata
● La fluidità elevata viene regolata dal colesterolo, che si interpone tra le
code degli acidi grassi. Può farlo perché i 4 anelli condensati che costituiscono la
molecola sono idrofobici, non possono formare legami a ponte di idrogeno, e
quindi si inseriscono nelle code degli acidi grassi. La piccola porzione polare del
colesterolo (rappresentata da un gruppo -OH),
va invece ad interagire con le teste polari. Anche
il colesterolo è legato con legami deboli, e si
può muovere longitudinalmente nel doppio
strato fosfolipidico. Il colesterolo regola la
fluidità ad alte e basse temperature, tuttavia le cellule umane
devono stare ad una determinata temperatura costante (se variamo
la temperatura, oltre alla fluidità della membrana si alterano le
proteine e la cellula muore). Quindi il colesterolo comunque regola
la fluidità della membrana, ma a 37 gradi, cioè la temperatura a cui
la cellula vive e deve vivere.

Ancora vediamo come la membrana che presenta


fosfolipidi con acidi grassi insaturi è fluida per via
dell’angolo di legame e la conseguente minore
interazione. In fondo vediamo come il colesterolo
riduce la fluidità della membrana interagendo
con i legami idrofobici.
I fosfolipidi sono liberi di muoversi perché non
sono legati tra di loro da legami covalenti ma
solo da interazioni deboli. Il movimento, tuttavia,
non è libero, ma limitato al movimento
longitudinale (che è costante e frequente). I
fosfolipidi non possono invece spostarsi da una
sezione all’altra della membrana. Non possono
dunque fare quel movimento di capovolgimento
detto “flip-flop” (figura in alto).
Il fosfolipide che si trova verso lo spazio
intracellulare non potrà infatti quasi mai trovarsi
verso lo spazio extracellulare, e viceversa (perché
alcuni sono legati a proteine o catene glicidiche
che svolgono una funzione ben precisa, e non
possono ritrovarsi dall’altro lato della membrana).
L’unico caso in cui questo movimento viene
effettuato (mediante alcuni enzimi specifici, detti
flippasi) è quando le cellula sta morendo, e
rappresenta un segnale di morte specifica (detta
apoptosi). È una morte programmata, quindi la cellula avvisa le cellule adiacenti che sta degradandosi,
esponendo la porzione dei fosfolipidi che normalmente si trova all’interno del citoplasma verso l’esterno. Così la
cellula si degraderà senza andare a danneggiare le altre. Perché la cellula avrebbe potuto danneggiare le altre?
Se si rompesse la membrana, uscirebbe materiale citoplasmatico, causando il fenomeno dell’infiammazione. Si
troverebbe dunque nel compartimento extracellulare a contatto con altre cellule materiale che non dovrebbe
trovarcisi. Ciò provocherebbe una risposta dalle cellule specializzate dell’infiammazione che avviserebbero tutto
il resto dell’organismo del danno cellulare.
Dunque i lipidi e le proteine si muovono longitudinalmente nella membrana, ma non possono effettuare
spontaneamente il capovolgimento da un compartimento all’altro. Ciò vale sia per la membrana che riveste la
cellula, sia per le membrane che rivestono gli organelli. Anche nelle membrane del reticolo i fosfolipidi
mantengono il loro compartimento.

In questa struttura lipidica si trovano incastonate le proteine. Proteine che possono trovarsi transmembrana ma
anche sulla superficie extracellulare o intracellulare. Quali sono le funzioni svolte da queste proteine? Sono
tante, e sono svolte da proteine con struttura ben specifica adatta a svolgere una determinata funzione.
Ad esempio:

● Trasporto. Alcune sono in grado di trasportare determinate molecole in modo specifico


● Altre sono in grado di far si che la cellula si ancori ad una struttura proteica extracellulare (matrice
extracellulare) oppure che la cellula si ancori con proteine di altre cellule (è ciò che avviene nei tessuti),
oppure alle fibre del citoscheletro (per mantenere la forma e la struttura della cellula)
● Possono avere la funzione di ricevere informazioni dall’esterno (recettori)
● Attività enzimatica (di catalizzare specifiche reazioni chimiche)
Materia e lezione Biologia lezione 6
Data 25/10/2021
Professore Modesti
Coppia Cosimo Checchi/Ruggero Bianchi
La membrana plasmatica: struttura e trasporto di membrana
Le membrane sono strutture fluide semipermeabili che quindi consentono il passaggio
solo di alcune molecole idrofobiche, mentre quelle idrofile necessitano dei trasportatori,
che sono le proteine.
Per parlare del trasporto della membrana è importante parlare della permeabilità della
membrana, cioè della possibilità di consentire o meno il passaggio delle molecole a
prescindere della presenza dei trasportatori, per poi vedere i vari tipi di meccanismi
mediante i quali esse possono attraversare la membrana. Ciò che condiziona il passaggio
è la natura della molecola che deve attraversare. La diffusione semplice è un
attraversamento della membrana plasmatica da parte di una molecola senza l’ausilio di
trasportatori, poiché nel caso contrario sarebbe trasporto passivo. Il trasporto attivo
prevede invece consumo di energia. Questi tipi di passaggi sono dovuti a delle forze che
possono essere: la differenza di concentrazione nel caso di diffusione semplice e trasporto
passivo e un passaggio contro gradiente di concentrazione che richiede la necessità di
compiere un lavoro, e quindi di disperdere energia da parte della cellula per spostare
molecole da un compartimento ad un altro, nel caso del trasporto attivo. L’endocitosi e
l’esocitosi sono meccanismi di trasporto di sostanze senza che esse
entrino in contatto con il citoplasma.
Proteine di membrana
Nella membrana si trovano anche le proteine: molte di esse funzionano come
trasportatori, ma possono avere anche altre funzioni:
-ancoraggio, svolta da proteine transmembrana che si
ancorano alle matrici extracellulare- ossia la rete
proteica che riveste le cellule di un tessuto e che serve
per mantenerle in determinate posizioni. La maggior
parte delle proteine di ancoraggio si lega con legami
covalenti con le proteine del citoscheletro
mantenendo la cellula stabile in un tessuto e
determinandone la forma;
-trasporto, che può essere passivo, se avviene
secondo gradiente di concentrazione, o attivo, in cui
sono coinvolte proteine che sfruttano energia per
garantire il passaggio di una sostanza, ione o molecole
da un compartimento all’altro contro gradiente di
concentrazione, ossia dove la sostanza in questione è
già maggiormente concentrata.
-recettore, quindi molecola proteica che riconosce una
molecola che circola all’esterno della cellula (esempio
dell’insulina, proteina che si trova nella circolazione
sanguigna e va a portare un messaggio a tutte le
cellule perché interagisce con una proteine
recettoriale, quindi con una funzione ben definita, che
si trova sulla membrana). C’è uno stretto legame tra molecola e recettore cellulare che
provoca una risposta cellulare sviluppando delle reazioni chimiche che avvengono in
seguito a questa interazione senza che tale sostanza entri nella cellula stessa.
-riconoscimento cellulare, accennando ai gruppi sanguigni nella superficie dei globuli
rossi si trovano proteine legate a degli zuccheri ben definiti che classificano le persone in
base ai gruppi sanguigni.
-giunzione intercellulare, nell’ultimo disegno si può vedere che le membrane di due
cellule adiacenti sono tenute vicine attraverso l’interazione tra proteine.
Lipid raft
I lipidi e le tessere che costituiscono il mosaico fluido della membrana si muovono
longitudinalmente lungo tutta la membrana. In particolare cellule che svolgono
determinate funzioni si trovano in degli accumuli di lipidi chiamati microdomini di
membrana, costituiti da fosfolipidi pur presentando maggiori concentrazioni, di
glicofosfolipidi e di colesterolo; sono quindi zattere lipidiche nella superficie della
membrana cellulare in cui si trovano spesso recettori per molecole specifiche. Le strutture
sono analizzate per andare a studiare i recettori specifici, queste zone, dette lipid raft,
spesso si introflettono a formare le cosiddette caveole in seguito alle interazioni con
molecole circolari formando invaginazioni della membrana dovute al richiamo da parte
delle proteine di membrana di proteine citoplasmatiche, le caveoline, che fanno si che la
membrana, essendo una struttura fluida, possa cambiare la sua forma. Le caveole isolano
questa invaginazione dal resto dell’ambiente portando probabilmente alla formazione di
una vescicola endocellulare o semplicemente ad una risposta in base al tipo di recettori
che si trovano nei lipid raft.
Permeabilità della membrana
Il doppio strato fosfolipidico, senza considerare la presenza delle proteine, è permeabile
a:
-gas, che possono passare liberamente attraverso la membrana senza l’ausilio di proteine
per semplice diffusione, spinti da un compartimento all’altro dalla pressione, metodo di
espressione della concentrazione, da dove è più concentrato a dove lo è meno;
-piccole molecole polari: l’acqua ad esempio passa attraverso un doppio strato
fosfolipidico per differenza di concentrazione secondo un processo passivo chiamato
osmosi, da una soluzione ipotonica, dove la concentrazione del sale o dello zucchero
disciolto è bassa e quindi ci sono molte molecole di acqua, ad una ipertonica, dove c’è
una minor concentrazione del soluto. Per l’acqua sono state individuate delle proteine,
dette acquaporine, che creano dei pori consentendone il passaggio attraverso la
membrana;
-molecole apolari;
È invece impermeabile per
-molecole non cariche e polari di grandi dimensioni, ad esempio il glucosio o gli
amminoacidi non carichi non riescono ad attraversare la membrana plasmatica;
-tutti gli ioni, anche l’idrogenione, seppur sia il più
piccolo degli ioni non riesce ad attraversare il doppio
strato fosfolipidico, ciò è importante perché coinvolto
nel processo di produzione di ATP a livello
mitocondriale: tra le due membrane mitocondriali si
raccolgono protoni che si accumulerebbero lì se non
ci fosse qualcuno che sfruttasse questo passaggio.
La membrana intesa come doppio strato fosfolipidico
e con proteine è permeabile anche a ciò per cui
prima non lo era come ioni e molecole polari grazie
appunto alla presenza di proteine di trasporto.
Le sostanze per cui il doppio strato fosfolipidico è permeabile, diffondono per andare ad
equilibrare la concentrazione tra i due ambienti che vengono separati dalla membrana
semipermeabile. Se la membrana divide due soluzioni a concentrazione diversa il soluto
passa da quella ipertonica a quella ipotonica se questa molecola è della stessa natura
della membrana, cioè idrofobica, per formare due soluzioni isotoniche (con la stessa
concentrazione).
La diffusione di una sostanza attraverso una membrana biologica è definita trasporto
passivo.
Nei vari tipi di passaggi: nella
diffusione semplice si ha un
attraversamento di quelle molecole
per cui la membrana è permeabile
migrando semplicemente secondo
gradiente di concentrazione fino a
raggiungere la isotonicità, a meno
che la molecole che entra non
venga utilizzata e quindi il
passaggio risulta essere costante,
come nel caso dell’ossigeno: questo
diffonde, viene usato come
accettore finale degli elettroni
durante la respirazione facendo
diminuire la sua concentrazione nella cellula. Un altro tipo di passaggio è veicolato da
proteine e prende il nome di diffusione facilitata, perché il passaggio è dovuto alla forza
che spinge una molecola da un compartimento all’altro, ossia al gradiente di
concentrazione, ma che non avverrebbe se non ci fosse il trasportatore perché coinvolge
molecole insolubili nella membrana, come nel caso delle molecole idrofile (glucosio). Il
trasportatore è una proteine specifica, detta carrier o trasportatrice, che riconosce la
molecola dove è più concentrata e si lega ad essa con interazioni deboli che ne
modificano la forma assumendo una conformazione per cui viene favorito il rilascio della
molecola dove questa ha concentrazione minore (nel glucosio la parte della proteina
meno affine ad esso è quella citoplasmatica, così da favorirne il rilascio all’interno della
cellula con minore concentrazione)
Un altro tipo di diffusione facilitata riguarda i canali proteici, in cui le proteine non
interagiscono direttamente con la molecola che deve essere trasportata, ma creano dei
veri e propri canali ad ambiente idrofilo in cui la molecola può attraversare sempre
secondo gradiente di concentrazione, tali canali sono altamente specifici per gli ioni e
non sono sempre aperti, ma spesso la cellula risponde a degli stimoli esterni aprendo i
canali e consentendo il passaggio degli ioni: la presenza dei canali ionici è fondamentale
per l’impulso nervoso nella trasmissione dell’impulso elettrico e a livello della contrazione
muscolare che parte per uno stimolo elettrico provocando un’apertura dei canali del
calcio, responsabile del fenomeno della contrazione. Piccole molecole idrofile e ioni sono
in grado di attraversare la membrana grazie all’apertura di questi canali.
Le proteine carrier e le proteine canale sono specifiche ognuno per la molecola o lo ione
che devono trasportare (il canale per il calcio non è compatibile con quello del sodio):
ogni proteina carrier e ogni canale proteico sono specifici per ciascuna molecola o ione. Il
glucosio ha più di un trasportatore che si trova distribuito sulla membrana in base alla
cellula che viene presa in considerazione. Sono proteine che vengono prodotte dalla
cellula stessa e che migrano verso la membrana. Il passaggio dell’acqua può avvenire
secondo una diffusione semplice secondo gradiente di concentrazione oppure in casi
particolari grazie alla presenza dei canali creati dalle acquaporine.
La velocità di entrata delle molecole
con diffusione semplice del primo caso
aumenta costantemente in funzione
anche della concentrazione: più è
concentrata la molecola più aumenta la
velocità di passaggio attraverso la
membrana. Nel secondo caso invece
viene considerata la velocità in presenza
di un trasportatore: la velocità iniziale è
molto elevata fino però ad arrivare ad
un plateau, ossia ad un limite massimo
raggiunto il quale la velocità rimane
costante perché i trasportatori sono
saturi, cioè sono tutti impegnati nel
trasporto che all’inizio è molto elevato per poi stabilizzarsi a questo limite costante poiché
non c’è disponibilità ulteriore di trasportatori.
Il fenomeno della saturazione si verifica ogni volta in cui sono coinvolte proteine nel
favorire un processo: come nel caso degli enzimi, proteine che favoriscono le reazioni
chimiche, poiché quando esse sono tutte coinvolte nel favorire appunto la reazione la
velocità resterà costante ad un livello massimo raggiunto (la disciplina che studia ciò è la
cinetica enzimatica).
Queste proteine di trasporto possono anche essere bloccate: molti farmaci ad esempio
agiscono come inibitori del trasporto legandosi al trasportatore e impedendo il passaggio
della molecola che deve attraversare; questi inibitori devono avere forma simile alla
molecola che deve essere trasportata, ma non la stessa funzione. Anche i canali ionici
possono essere bloccati: esistono molti antibiotici per il sistema nervoso con tale
funzione. Gli inibitori possono essere reversibili o irreversibili: ciò dipende dalla capacita
di creare legami covalenti o meno con la proteina di trasporto, il primo caso riguarda gli
inibitori irreversibili, il secondo quelli reversibili.
Le proteine di trasporto e le proteine canale favoriscono la diffusione facilitata secondo
gradiente di concentrazione. Ciò che spinge le molecole o gli ioni è la differenza di
concentrazione tra le due soluzioni che separano la membrana. Le proteine di trasporto
sono specifiche per il substrato, sono saturabili e cambiano forma, da una forma a
maggiore affinità nel substrato dove questo è più concentrato legandosi reversibilmente
con esso a una nuova forma, in seguito all’interazione, meno affine per il substrato nel
compartimento opposto riversando la molecola: le proteine sono strutture dinamiche
poiché la distribuzione spaziale può variare in seguito all’interazione con il loro proprio
substrato.
Anche le proteine canale sono specifiche e hanno la capacità di aprirsi e chiudersi,
dunque anche loro cambiano conformazione in base alla molecola o allo ione da
trasportare. Esse si dividono in:
-proteine canale: formano un canale idrofilo isolato attraverso cui lo ione può passare
sempre secondo gradiente di concentrazione, sono specifici e selettivi e possono essere
controllati (si aprono e si chiudono in base ad uno stimolo esterno);
-acquaporine, pori sempre aperti attraverso i quali passano solo molecole di acqua, si
trovano solo in alcuni tessuti specifici che hanno necessità di un maggiore apporto di
acqua da una soluzione ipotonica ad una soluzione ipertonica
-porine, particolari canali di grosse dimensioni costituiti da proteine multipasso, ossia
proteine che attraversano molte volte la membrana plasmatica, sono presenti sulla
membrana esterna dei mitocondri, consentendone il passaggio intermembrana, e nella
membrana esterna dei Gram- (il mitocondrio deriva appunto da un batterio inglobato da
una cellula superiore, per questo sono simili le due strutture), non sono specifici poiché
consentono il passaggio di molecole (ADP, ATP, NAD- grossa molecola composta da due
nucleotidi che funziona da accettore di elettroni nelle reazioni di ossidoriduzione della
cellula poiché essi non passano direttamente dalla molecola che si ossida a quella che si
riduce, ma è opportuna la mediazione di trasportatori che si riducono perché gli elettroni
potrebbero essere dannosi per la cellula).
Le proteine carrier sono specifiche, sono proteine
integrali di membrana che espongono una porzione
extracellulare, cambiano conformazione all’inizio dopo
l’interazione con la molecola e dopo per rilasciarla
dove è meno concentrata, possono essere inibite, ad
esempio da alcuni farmaci, sono sensibili alle variazioni
di pH e di temperatura perché possono andare
incontro a denaturazione, ossia la perdita della
struttura tridimensionale e di conseguenza della sua
funzione. Nella figura si può vedere la forma della
proteina con affinità per la molecola che viene
trasportata verso il compartimento dove è maggiormente concentrata che, una volta
preso contatto con la proteina con legami deboli, quest’ultima cambia conformazione
aprendosi verso il compartimento opposto dove la molecola è meno concentrata e
liberandola per poi tornare alla conformazione iniziale. Tutto ciò avviene senza consumare
energia perché il trasporto avviene secondo gradiente.
I trasportatori del glucosio
Un esempio di questi carrier sono i trasportatori del glucosio: sono tutte proteine di
trasporto che riconoscono il glucosio e si trovano sulle membrane cellulari delle cellula
che vanno poi a comporre i tessuti degli organi della figura. Il glucosio, idrofilo, circola nel
sangue- la glicemia è la concentrazione del glucosio nel sangue- poiché deve essere
inserito nelle cellule come sostanza di pronto utilizzo o viene immagazzinato nel fegato
sotto forma di glicogeno.
Tra i trasportatori del glucosio ci sono:
- Glut 2 per le cellule beta del pancreas e per il fegato
- Glut 3 per il cervello
- Glut 4 per il cuore e per i muscoli che utilizzano
grandi quantità di glucosio per le contrazioni;
questo non sempre è espresso nelle
membrane, ma può essere portato da delle
vesciche.
Nel trasporto di glucosio negli eritrociti,
che presentano il Glut 1, la diffusione
facilitata di questa molecola avviene come
nel caso generico del trasportatore: la
molecola presenta una conformazione,
detta T1, aperta verso l’ambiente
extracellulare, lega la molecola di glucosio
in maniera reversibile con legami deboli,
cambia conformazione divenendo meno
affine per il glucosio, si apre verso lo
spazio intracellulare e libera la molecola di
glucosio per poi tornare infine alla sua
conformazione iniziale.
Il trasporto nelle cellule muscolari avviene mediante il trasportatore Glut 4 che non si
trova sempre nella membrana, ma arriva quando l’insulina si lega al suo recettore di
membrana provocando all’interno delle cellule muscolari una serie di reazione chimiche
(la trasduzione del segnale) che fanno si che i Glut 4 migrino verso la membrana
plasmatica attraverso delle vescicole e che questi verranno esposti in seguito alla fusione
delle due membrane. Il glucosio può così facilmente entrare nella cellula. L’insulina
provoca sempre come risposta della cellula la fosforilazione del glucosio in glucosio-6
fosfato cambiando la forma e impedendo l'uscita dalla cellula per far sì che venga
utilizzato. La vescicola in questione viene prodotta a livello del reticolo.
Il trasporto del glucosio nel fegato avviene per la presenza dell’insulina che interagendo
con il recettore di membrana (lo stesso in tutte le cellule) fa cambiare la risposta del
recettore attivando degli enzimi che fosforilano il glucosio. Il trasportatore è il Glut 2 che
consente il passaggio del glucosio in un solo verso poiché una volta all’interno del fegato
il glucosio viene fosforilato e si accumula nel citoplasma delle sue cellule. Una volta
assimilato dal fegato deve poter uscire per rifornire le cellule e quindi tornare nella
circolazione: quando finisce l’azione dell’insulina, il glucosio viene defosfofrilato e può
essere così trasportato, sempre secondo gradiente verso l’esterno, dal Glut 2 che agisce
così nei due sensi. L’insulina ha la funzione di abbassare la concentrazione glicemica, ossia
la concentrazione di glucosio nel sangue, e viene prodotta da delle cellule specializzate
del pancreas quando si ha un aumento di tale concentrazione per diminuirla. Una volta
che la glicemia è diminuita l’insulina non agisce più e il glucosio può essere defosforilato
per mantenere costanti i livelli di glicemia.
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ulae 2 i onipot ass i
o al l'
interno,che pr esent ano l as tes s ac arica
(appar tengono al los tes s
o gr uppo dial calino t errosiehanno ent rambi1s ol acar ica
pos i
tiva e per dono f aci l
ment el '
ultimo el ett
r one che hanno nelcompar ti
ment o pi ù
esternodi vent andoi oni ).Ildoppi os t
rat of osfol i
pidicoèt ot alment ei mper meabi leper
ques tiioniqui ndil as odio-pot ass i
oATPas ilav orapert ut tol '
arcodiv i
tadel lac ell
ul ae
concent reràs empr eal l
'esternol oi ones odi oeal l'i
nter nol oi onepot assio,s ol ochei
due i onipoit r over anno i lmodo ut i
le dius cireer ient raret ent ando dir i
equi l
ibr are
ques tadi f
ferenz a. Ques t
adi ff
erenz adicar icaèi mpor t
ant eper ché3 es
+ cono, 2 ent
+ rano
quindil ecar ichepos itiveus cent is onomaggi oridel leent rant i
,eques t
odet er mi nai l
potenz ial edimembr ana,ci oèquel l
adi fferenz adicar icat ral '
es ternoel 'inter nodel la
membr anac he v iene mant enut o per ché l amembr anaè i mper meabi le agl ii oniche
quindinon pos sono r ientrarel iber ament e perr ipristinar ei lpot enz i
ale 0.Se v iene
misur ata con gl iel ettrodi( uno i nter no uno al l'ester no)s inot a una di ffer enz a di
potenz ial eel ett ri
cochei nbas ealt ipodicel l
ul apuòv ar iareda- 60mi l
liVolt( mV)a- 70
milli
Vol t.Ques taèl 'ecci t
abi l
it
àdel l
amembr ana.
Chièqui ndichecr eaques t
opot enz ialedimembr ana?Lapompas odi opot as s io.

LAPOMPAH+ ATPASI
Vediamounal troes empi odi
quellacheèunapr oteinadi
membr ana che invece
accumul a idrogeni oni
all
'i
nterno dei l i
s osomi .È
sempr eunapr oteinac heus a
ilgruppo f osfato e anche i n
questo cas o cambi a
conformaz ione i n bas e al l
a
int
erazi
oneconl 'i
dr ogeni one.
Lapr ot
einanel lapr imapar te
è unapr ot ei
nache pr esenta
una conf ormaz i
one a bas sa
aff
ini
tà v erso i l l ume. I
li
sosomis ono or ganel liche
contengonoenz imil it
ici,cioè
enzimidigest
ivi
,eol t
reaquel lihaun pH acido dovuto all
'accumulo dii
oniH+ che
vengono concentr
atietrasport
aticont
ro gradi
ent
edaques tapr ot
einadimembr ana
che s ichi
ama H+ATPas i.Anche in questo caso,ilgr uppo f osfat
of ac ambi
are
conformazi
oneal l
aproteinadimembr anaperc uièpi ùaf f
inev ers
ol oioneH dov
+ e
questoèmenoconcent rato.Lafosf
ori
laz
ionefacambi ar
ef or mael 'H èi
+ ngradodi
essereri
ver
satoversoi
lcompar t
imentodov '
èpiùconcentratopermi noreaff
ini
tà.

LAPOMPAH+K+ATPASI

Unapr oteinas empr edimembr anacheper òpr ovocaunos cambi ot r


apr otoneei one
pot as sio,èquel lacheagi sceal i
vellodel lamucos agas tri
ca.A l i
vellodel lamembr ana
del l
ec el l
ulecher ivestonol amucos agas t
r i
caes ist
eques tapr oteinaH+K+ATPas i,anche
in ques toc aso unapompadimembr anadit ipo P,qui ndianche i n ques toc asol a
prot eina cons uma ener gi a perché v iene f os f
oril
ata colr es i
duo ammi noaci dico s ulla
prot einaeques topor taalf at
tocheques tapr otei
nadimembr ananons itrov as empr e
espos tas ull
amembr anadeiv i
ll
idel los tomaco,ci oèl ecel lul
eches itrov anov ers oil
lumegas trico.Ques t
ecel lulenondev onos empr ecos tantement epr odur reH nel
+ lcav o
gas trico,per ché al triment i una concent razi
one el evata di i drogeni oni pot rebbe
danneggi arelas tessamembr anagas trica.
Nel los tomac oes is
teunpH dici rc
a2,mas enonv ieneus alol oi onei drogeni one,ci oè
senonèat tival adi ges tione,ques taconcent r
azionenonpuòaument areal l'
inf i
nito.Ci ò
vuoldi recheques tapompaches itrov as ullemembr anedel l
ev escicolenelci t
opl as ma
del l
ec ell
ulegas tri
chedel lamembr anadel los t
omaco,unpo'comei lrec ettoreGl ut4
deimus coliches itrov al ìmas olocomer i
s erva.Macos as timol al ami grazionediques t
e
ves cicol ev ersol amembr anapl asmat icael 'espos i
zi
onediques tapompadimembr ana?
L'ev ent odel ladi ges tione.Quandoi nizial adi gesti
ones il i
ber aunamol ecol acheèl a
mol ecol ai st
ami nacheat tivalami graz ionediques tev escicol ev ersolamembr anaches i
rivolgeall umegas tri
co.L epompe( nel l
af otoipal l
iniros s isullamembr anadell ume
intes t
inal e)v engonoes pos teequi ndil oi oneH+ i drogeni onev iener iver satov ers oil
lumegas trico ment r
el oi onepot as sio mi gr aanchequanelci toplasmadel lacel lula.
Ques tes onot uttepr ot einedimembr anadit i
poP ,chel eganol amol ecoladel l'
ATP ,che
vengono f osfor i
late ei lgr uppo f os f
at os ilegaal lapr otei nadimembr anaf ac endol e
cambi aref ormaf acendol adi v
ent arepi ùomenoaf f
ineperl oi onechedev et raspor tare.
LEPOMPEDITI
PO V
Unal t
rot i
podipompaèl apompaV.LapompaV( conV=v acuolo)èunapompaches i
tr
ovas ullemembr anediv acuol ieancheinques tocas odev eusareATP,mal aprotei
na
ditrasportononv ienef osf
ori
lata.Nelcaso,peres empi o,dell'
acidi
fi
cazi
oneall'
inter
no
deilisosomi,chei nfondos onoanc helorovacuolidatoches onov esci
coleri
vesti
teda
unamembr anaconal l
'i
nternol aconcentr
azionedii oniH ,i
+ nalcunediques tepompe
nonv ieneut i
li
zzat
o.Nell i
sosomas onopresentianchelepompedimembr anaditipoP
perchél aconcentrazionediH al
+ l'
int
ernodev eessereelevataedev ees s
eremant enuta
costante.Quindiagi sconotutt
iedueit i
pidipompedimembr ane.

LEPOMPEF
.(LaATPs
int
etas
i)
Unal trot i
podipompe,cheper ònonut il
iz
z anoATP ,mas erveperprodurreATP,quindi
sfrutt
a un' alt
raf or
ma diener gia( l
ot r
ov eremo par lando deimi t
ocondr ie del l
a
respirazione mi tocondriale)s
ono c hi
amateATPs intetasi
.Per ci
ò anche i
n questo caso
leganol amol ecoladiADPei lfosf
atofor
mandoATPes fruttanoungradienteprot
oni co.
Sonoqui ndipr otei
nedimembr anachef unz i
onanos f
ruttandoilgradi
entepr ot
onico,
cioè hanno unapor zi
one nellaprotei
na( che è format adamol tesubunità)
,con un
canal e attr
averso cuimi grai
lpr ot
one.L or it
roveremo coimi t
ocondrie icloroplasti
dur antelas i
ntes idiATP.

LEPOMPEDITI
PO ABC
Cisonopoilepompedit ipoABC,cioèATPbindingcasset,chesonoformatedabox
prot
eicicheleganol'ATPmaagisconotras
port
andounadi scr
etavari
etàdicompost
i.
Molecole,amminoacidiepepti
diequelliches it
rovano s
opratt
utt
o nell
amembrana
batt
eri
caei nf
att
iperesempios
onoiresponsabi
lidel
leres
ist
enzeaifarmaci
.

I
LTRASPORTO ATTI
VO SECONDARI
O.(
Sodi
o-gl
ucos
ioATPas
i)
Dopo av erpar l
at o delt raspor to att
ivo pr i
mar io,qui ndil '
az i
one del las odio-pot assi
o
ATPas i,loiones odios iconcent r
aal l
'esternoeal l
'internoc' èl oi onepot as s
io,anches e
per òpoit rovanoi lmododipot erritornarev ers oilcompar timent odov es onomeno
concent rati.Loi ones odior i
ent r
anelci toplas maat traversounapr otei nacar r
iercheè
def i
nitaanchepr oteinadit raspor t
oat tivos econdar io.Secondar ioper chéav vienes ol
o
seèpr esent eiltraspor t
oat tivopr imar i
o, cheèquel l
ochecons umaener gia.Lapr ot ei
na
eff
et t
uauns impor to,cioèt ras portaver soilcitopl asmal oiones odioi ns iemeadun' al
tr
a
mol ecola ma s olos e es s
es ono ent r
ambe pr es enti.Ques tot r
aspor to,nonos tant eil
nome,nonèat t
ivo,es arebbequas ipiùcor rettochi amar l
ot r
as portoi ndi rettodat oche
noncons umaener gi ael apr ot ei
naèunacar rierdis i
mpor to,ci oèdev et rasportaredue
unitàdi verset r
adil or o(ches onol oiones odi oel amol ecoladelgl ucos io).Ques t
oèun
alt
r omet odocheus ailgl ucos ioperent r
arenel lecel l
ule,edèunmet odocheus ail
glucos io al i
vello del l'
intes t
ino s ull
a membr ana deiv il
lii ntesti
nal iv ersoi ll ume
intesti
nale,dov es ono pr esent iques t
e pr oteine che ef fettuano ques t
ot raspor t
o
indirettos uccess i
vo alt raspor t
o atti
v o primar io del las odio- potassio ATPas i
.L oi one
sodi oqui ndir i
ent r
anel lacel lula,maèi mpor tanteper chél oi ones odi os iportadi etroil
glucos iof acendol o ent rare dent ro.L' assorbiment o delgl ucos i
o è qui ndi,in ques t
o
cas o,secondar i
oecont empor aneoal l'i
ngres sodel loi ones odi onelci topl asma.Nel l
a
immagi ner iportatas otto,vedi amochel oi ones odi o,t r
as por tandoi lgl ucos i
o,lopor t
a
dent roanchecont rogr adient e.Finchéèpr es entel oi ones odi ofuor i(cheès empr epiù
concentrat
onelcompar t
iment
oextracel
lul
aregr
azi
eal
las
odio-pot
ass
ioATPasi
),t
utt
oil
glucosioverr
àtras
port
atonell
acel
luladatocheneèlapr
inci
palef
ontediener
gia.Èla
mol ecol
achev i
enetr
asf
ormatadal
lac el
lul
aperfor
mar
eATP.

Tuttel e mol ecol e digl ucosio che s itrov ano al l


'est
er no dell
ac ell
uladev ono es sere
i
ntrodot t
e,e ques ta è una v ia.Ques t
ot raspor t
o è un s i
mpor toel a proteina non
pot rebbet ras portareilsologl ucos i
o,mahaneces sar
iament ebi s
ognoanchedel loione
sodi o. Èunt raspor tocontrogr adi enteper chéi lglucosioèco- t
raspor t
atonelcitoplas ma
att
rav ersol a pr oteina car r
ier s odio- glucos i
ot raspor t
atore,s econdar i
o allas odio
pot assioATPas i
.
Quis ott
ov edi amo c iòc he av vi
ene negl ient erociti
,ci oè lec el
lul
e della par ete
i
ntes tinale.Nel l
'immagi nev ediamo i ltubo cav odel l'
intesti
noev ediamo unas ezione
deiv i
ll
i.Giàlec ellulestessepr es entanoes trofl
ess i
onidel lamembr anapl as
mat i
ca v erso
i
ll ume del l
'intestino (quindipr esent ano una s uperficie dicont att
o mol t
o maggi ore
graz ieaiv i
ll
i)dacuipr endonoi lmat er i
alenut rit
izi
ochel ec ell
uledev onoas sorbireper
poidi s t
ri
buirloat ut t
ol'organismo.
Quindial ivello div i
lli
,v ersoi lc entro dell ume,r i
tr
oviamo las odi o-glucos i
oATPas i.
Ques ta pr oteina aument al a concent razione dis odio che fav orisce l'
ingress o del
glucosio.Ilgl ucos ior ientrai nsiemeal loi ones odiochedov ràpoies s
erer i
traspor t
ato
versolav i
aci rcolat ori
aequi ndidev er iattr
av er
sarelamembr anadel lecelluleins enso
oppos to,e dev e es sere di s
tribuitav er sol acircolazi
one sangui gnae at uttele al t
re
cell
ule.Lìs itrovai ltraspor tatoreGl ut1, cheabbi amov i
stoprecedent ement e,equi ndiil
glucosiopas saattr aversoquel las eriediev entivis
tinellalezi
onepr ecedent e,epoinon
puòpi ùr ientrarev ersol acel lula.Nel l
apor zionedel l
amembr anaadi acenteadunal tr
a
cell
ula,qui ndinel lemembr anechef ormanol abas edell'
epit
elioi ntes t
inal
e,èpr esente
sempr eunapompadimembr anas odio- potassi
oATPas ichecos tantement emant i
enel a
concent razionedegl iioninel lecel luleadi acenti.Quindiitrasportatoridelgl ucos ios on
dist
ribuitis ulle membr ane del le cellulei n bas e all
af unzione che ques te cel l
ule
svolgono.Gl ient er ocitis ono s erbatoiche as sorbono inut ri
ent iperpoif ornirl
ial l
a
cir
colazionechel idi s
tribuisceat uttol'organi smo.

TRTASPORTO NELGLOBULO ROSSO


I
nques t
afi
guravediamoimeccani
smidit
ras
por
tocheabbi
amov
ist
o,echer
it
rov
iamo
sul
lacel
lul
adelglobul
oros
so.

Ilglobul orossononèunav eraepr opr iacellula,dat ochenonhaunnucl eo( cheper de


nelmoment oincuient ranel lacircolazione) .Ques tac ell
ulahai lcompi t
odit r as portar e
l'
os sigeno nell
'organismo,qui ndiè unacel lulache cont iene unagr ossaquant itàdi
pr oteina emogl obina che l ega l'os si
geno.L' ossigeno di ff
onde anche medi ant el e
membr ane,ma ha bi s ogno diun t raspor t
at ore peres serev ei
colatov er s o quel le
strutturein cuil uiar r
ivas olos et r
as portato daigl obuliros si
.Sul l
a membr ana del
globul or ossos ono pr es ent ituttiques tiev ent iperc uil'ossi
geno di f
fonde s olo per
differenza diconcent raz ione,e v iene poibl occat o el egat o dall
'emogl obi na che l o
traspor t
aat ut
toi lcompar timent odel l'organi smo. All
os tessomodol '
anidridecar boni ca
sidi f
fondenelgl obul oros s o, doves ilegaaf or mar eloi onecar bonat o(CO3 )2-, chev iene
traspor t
atoindirez i
oneoppos t
arispettoal l'
os sigeno( di f
fusi
ones emplice).
IlGl ut1 è un t rasportator et r
ami t
e cuii lglucos i
o può andar e ad aument ar el as ua
concent r
azi
onenelci topl as ma.È unapr oteinacar riercher i
es ceaf arat t
rav ersarel a
membr anaplasmat icaalgl ucos i
o.Las odio-pot as s
ioATPas i
,f aimodo chemedi ant e
l'
us odiATP ,l
oi onepot ass i
os iaccumul inelgl obulor ossoel oi ones odiof uor ies ca.
Es is
tonopoiicanal iprot eici.Èpr es enteuncanal especi fi
coperl oionepot ass iochegl i
per met tedispos tar
sidauncompar ti
ment oall'altr
o.
ENDOCI
TOSIED ESOCI
TOSI
Nell
aendocit
osienel
laes
oci
tos
i,i
lmat
eri
alecheent
raoes
cenonent
ramaii
ncont
att
o
colci
topl
asma.

ENDOCI TOSI
Macromol ecol
e e batt
er i
,pos s
ono v enireinglobatida del l
e cell
ule,gener al
ment e
special
iz
zateechiamatemacr of
agi,ches onoingr adodiintrodurremat eri
aleestraneo
all
'i
nter
nodel lacel
lul
as enzacheques t
oent r
iincont at
tocongl iorganellicel
lulari
.La
membr anapl asmati
ca,es s
endo dinami ca,può formare dell
ei nvaginazi
oni(come l e
caveole e ilipi
d draft)che poiv engono richiuseei l“ sacchett
o” dimembr ana
contenentel'
agenteesternoinglobatorestai
solatodalcit
oplasma. Ques t
oèi lprocesso
diendocitosi
.

ESOCI TOSI
Quando l acel lulapr oducemat eri
ale,comead es empi ol af amos apr oteinai ns ulina,
tramitei lr et
icolo endopl as
mat ico ruvi
do che pr esenta iribos omir espons abi l
idel l
a
pr oduzionedel l
apr otei
nadent roi lreti
coloe,as econdadichepr oteinaè,puòes sere
des ti
nat aal l
as ecr ez i
one,s ichi ama es oci
tosi.Rimane al l'
interno diques t
ev es cicole
pr odotte dalGol gie mi grav er s
ol a membr ana pl asmat i
ca traspor t
ata da pr ot eine
mot ri
ci. Lamembr anadel lavescicolael amembr anapl asmat icadellacel l
ulas ifondono
el as os tanz apr odot t
av ienes ecreta,cioèr iv
ersat aall
'esternoequi ndiancheques ta
mol ecol anonent ramaii ncont att
ocolci toplasmadel l
acel lulaancheper ché,s ef os s
e
unamol ecol aagr os s
aconc entrazi
one,pot rebbees seredannos aperl acel l
ulas tes sa.
Vienequi ndigi àpr odot tainunc ompar t
imentos eparatodalci toplas maer ivestitada
membr anae, attrav ersopoidel l
ev i
es pecif
iche,giunger àallamembr anapl asmat i
caes i
fonder à,dat ocheif os f
oli
pidisonomobi l
iepos s onof onder sitr
adil or o(l
amembr ana
del l
av es cicolas ifondeconquel laplasmat i
caei lpr odottoèl iberat
oal l'
esterno).

FAGOCI TOSI
Lafagoci
tosiè quando imacr ofagiint
roducono materi
ale est
raneo e poil of anno
fonderei
ndelleves ci
col
ecoilis
osomi( st
rut
turevesci
colar
iconpH aci doformat odall
e
pompedimembr anaeenz imidigesti
vi)
.All
'i
nter
nodiques tav escicolasecondar i
a,si
l
iberanoenzi
minel l
'ambient
eacidochedi geri
sconocompl et
ament et utt
oilmat eri
ale,
e
vengonoliber
atenelci t
oplasmamol ecolechecompongonol estruttur
e( ad esempio
amminoaci
didal
leprot
eine,gl
izuccheridaipol
is
accari
di,
gliacidigrass
idaitr
igl
icer
idi
).
Nell
afi
guraaccant
ov ediamos ot
tol'i
mmagi nedellacell
ula.Ques taèunaf agoci
tosi
,
ci
oèun'i
ntr
oduzi
onedimat eri
alechepoiv i
enediger
itoequi ndiass
imil
ato.

PI NOCI TOSI
Es iste anche unaendoc i
tos igener i
ca,dettaanche pinocit
osi,dovev i
ene i
ntrodott
o
anchemat eri
alel i
qui dos enz aunas peci
fi
cit
à(quindiqualunques os
tanzapiùomeno
riconos ciutav ienei ntrodot tarivesti
tadamembr anaet enutaseparat
adalcit
oplasmae
poiev entual ment edegr adata).
La pi nocitosi av v i
ene quando
cel l
ule che appar tengono, ad
es empi o,ad unent erocita,cioè
unacel lulachepr es entas empr e
del le inv aginazioni (vil
li
intes t
inali
),unav i
adipas saggi o
nelci toplas mapuòes s
er equel lo
dii ntrodurr enons olos os t
anz ee
mat eri
ale s olido, ma anche
mat eri
ale l iquido, che v i
ene
as sorbito ef uso coi l isosomi
gr azieappunt oaques t
aendoci t
osi,li
berandomat er
ialeorganicodiger
it
oet ramiteil
pr oces sodel ladiffusione, migr anoanchel esost
anzeliquide.

ENDOCI TOSIMEDI ATADARECETTORI


Esist
eancheunaendoc it
osimedi atadar ecettori
.Ques toavvi
ene,ad es empio,peri l
colest
erolo che,siccome è lipidico,è veicolato nelsangue ri
ves t
it
o da protei
ne di
tr
asportodat ochenonpuòci rcol
ar eli
berament enellacir
colaz
iones anguigna(per ché
essendo un lipide i
ns ol
ubil
ei n acqua,creerebbe del l
e preci
pitazi
oni)
.Ques tes ono
li
poproteine plasmatiche.Ilcoles t
erol
o per ò dev e es
sere ass
or bi
to dall
a cell
ula,e
ques to av vienegr az iealmeccani smo diendoci tos imedi at adar ecettor i
.L epr otei ne
pr es entis ul las uper ficiedel l
agocci adelcol es terolos onos peci fi
chees onor i
conos c iute
dar ecet tor is peci f
icis ulle membr ane,peres empi o all ivello diquel le che abbi amo
chi amat o“ l
ipi ddr aft”.
Abbi amo det to,perquel l
o che r i
guar da i lcol es terol o,che è un l i
pi de e pot rebbe
attrav ers ar es enz apr obl emil amembr anapl asmat ica, mas i
ccomev ienedals angue, non
può es s erev eicolat ol iber ament e,e qui ndiv iene r ives t
ito da pr oteine,di v ent ando
li
popr otei naabas saoadal t
adens ità.Ques tel i
popr ot eine( cioècompl es s
odipr otei ne
tras por tatriciemat er ialel i
pidi co) ,pos s onoes sereal lorav ei
col at enels angue.
Ilcol ester ol o,s e non è l i
ber o,non può at traver sarel e membr ane pl as mat iche,ma
ques tot raspor toav vieneat t
rav ersol aendoci tos imedi atadar ecet t
ori.Sul las uper ficie
del la membr ana dial cune c ellule,s ono
pr es enti del le pr ot eine di membr ana
recet t
or ialic he r i
c onos cono i n modo
speci fi
co l el ipopr ot eine,i n par ticol arel a
par tepr ot eic a.
Come v edi amo nel l'immagi ne af fianco,l a
li
popr otei na s i l ega a r ec ettor i di
membr ana,mol tideiqual is it r
ov ano nei
li
pi d df ar t,e l '
int eraz i
one con ques ti
richiama dal ci t
opl asma una pr ot eina
speci fi
cachi amat aCl at ri
na, checomi nc er àa
for mar el 'inv aginaz ione s ulla membr ana,
che s iconcl ude con l af ormaz ione del la
ves cicol a.Ques t
ov uoldi r
e che c' è dal la
par te del ci topl as ma, l a membr ana
pl asmat ica e qui ndi l a v escicol a, ed
ent rando,al l
'interno del lav escicol a,s ulla
membr ana,abbi amoes pos toir ecet toriche
hannor iconos ci
ut ol al ipopr ot eina.Av vi
ene
poil af unz i
oneconunl isos omaequi ndil a
par tepr ot eic av ienedegr adat a,lamembr anacont enent eir ecet torichedev onot or nar e
af unz ionar e( come f acev ano pr ecedent ement e al l'i
nt erazione con l al i
popr ot eina)e
comev es cicol a,mi gr adinuov ov ers ol amembr anapl asmat i
caer i
esponenel laf acci a
ex tracel lular e ir ec ettor i,che poir icomi ncer anno i lpr oces so perr iass orbi re un' altra
li
popr oteina.Anche i n ques t
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Materia e lezione Biologia lezione 8
Data 28/10/2021
Professoressa Modesti
Coppia Andrea Fratoni/ Chiara di Pietro

“Mitocondrio e Cloroplasto”
Nell'ultima lezione abbiamo iniziato a parlare di quello che è il mitocondri o al cui interno si
trova una informazione genetica, cioè si trova quello che è il DNA mitocondriale. Esso è stato
is intorno agli anni 60’, tuttavia il fatto che sia codificante per materiale, per
individuato
proteine che vengono prodotte dai ribosomi del mitocondrio è una scoperta piuttosto in
recente. In questa figura sono mostrate le dimensioni del DNA mitocondriale.
Il DNA è un acido nucleico; gli acidi nucleici sono
polimeri di nucleotidi e il DNA è costituito da un
doppio filamento i cui filamenti sono disposti in
direzione antiparallela. La dimensione del DNA
mitocondriale dell’uomo è inferiore a quello di
organismi unicellulari perchè ad esempio
Saccharomyces cerevisiae è un organismo
unicellulare con il suo DNA nel mitocondrio a
dimensioni maggiori. Ancora però non si sa
esattamente quanto è il DNA funzionale e quali
sono le funzioni di tutta la quantità di DNA, anche nel DNA genomico. Questo è giusto per dire
che non è detto che un organismo più evoluto contenga una quantità di DNA superiore, anzi
spesso viene eliminata una parte di DNA che non viene utilizzata. Il DNA all’interno del
mitocondrio è funzionale, ciò significa che le informazioni che ci sono nei geni, unità funzionali
del genoma, dell’intera sequenza del dna, e quindi anche il DNA mitocondriale è suddiviso in
geni.

Unità funzionali significa che portano le informazioni,


i geni, per codificare proteine. Più proteine possono
essere codificate da un solo gene, possono essere
proteine correlate ad esempio per porzioni di
sequenze. Nel DNA mitocondriale funzionale, che è
stato interamente sequenziato, si trovano geni che
codificano per proteine che servono al mitocondrio a
svolgere la sua funzione principale: la respirazione
cellulare. Tutte le proteine del complesso respiratorio sono codificate da geni mitocondriali,
per cui il mitocondrio esprime quei geni e i ribosomi mitocondriali traducono l’RNA
messaggero prodotto per produrre quelle proteine. Vengono inoltre trascritte anche delle
molecole di RNA ribosomiale. I ribosomi sono degli aggregati di macromolecole che sono RNA
e proteine. Gli RNA ribosomiali mitocondriali vengono trascritti da geni che si trovano nel DNA
mitocondriale. Anche le proteine che andranno a costituire i ribosomi sono trascritte e poi
tradotte a livello del DNA mitocondriale. Anche i geni che codificano per le proteine di
trasporto attraverso le due membrane mitocondriali vengono espressi. Queste due
membrane sono altamente selettive, soprattutto la membrana mitocondriale interna che
seleziona in modo elevato le molecole che entrano o escono, quindi le proteine o meglio il
rapporto proteine- lipidi nella membrana mitocondriale interna è un rapporto che è elevato,
cioè c'è una maggiore concentrazione di proteine rispetto ai lipidi, dunque sono molte le
proteine che si trovano in questa membrana mitocondriale interna. Molte di queste proteine
servono per selezionare le molecole che attraversano la membrana. Poi an che i geni che
producono gli RNA di trasferimento, cioè quelle molecole di RNA che servono per trasferire
gli amminoacidi a livello del ribosoma durante la sintesi proteica, RNA mitocondriali per la
sintesi che avviene all’interno del mitocondrio.

Questo disegno
rappresenta il DNA
mitocondriale che è
circolare poichè il
mitocondrio deriva
nell’evoluzione da un
batterio che è stato
inglobato da una cellula
di dimensioni superiori e
il DNA mitocondriale è
stato interamente
sequenziato come
quello genomico ed è
stato in seguito
suddiviso; si è scoperto
dunque quali sono i geni che lo compongono e perché cosa codifica questa molecola di dna.

Qui vediamo le varie suddivisioni in geni:


molti portano le informazioni per la sintesi di alcuni aminoacidi e anche per le subunità
maggiore degli RNA che vanno a costituire la subunità maggiore dei ribosomi. Vi è poi per
esempio il gene che codifica per la proteina citocromo B, che è una proteina che si va poi a
incastonare nella membrana mitocondriale interna e fa parte di quella che viene chiamata
catena di trasporto degli elettroni, che sono proteine responsabili alla respirazione cellulare.
Questo è un altro schema che
indica per che cosa porta le
informazioni questo DNA
mitocondriale.
Vediamo soprattutto che non
tutte le proteine e non tutti i
ribosomi vengono codificati dal
genoma mitocondriale, ma molte
di queste proteine vengono
prodotte, codificate dal genoma
nucleare e vengono tradotte a
livello del citoplasma dei ribosomi
e poi migrano nel mitocondrio per
andare poi a completare quelli che sono per esempio i ribosomi e quelle che sono alcune delle
proteine che fanno parte della catena respiratoria. Esiste dunque una simbiosi tra il
mitocondrio che produce alcune delle proteine e la produzione di proteine e il genoma
nucleare. Quindi ancora di più questo ci dimostra che è un organello che è semiautonomo,
parzialmente autonomo, parzialmente produce proteine a RNA che servono al suo
funzionamento ma non può sopravvivere isolato dalla cellula, cioè se viene purificato,estratto
dalla cellula, non può compiere tutte le sue funzioni vitali. Il mitocondrio abbiamo detto si
riproduce come un batterio, cioè per fissione, per separazione si duplica il DNA del
mitocondrio e aumenta le dimensioni della struttura stessa come un batterio e dopodiché si
separano.

In questa fotografia a microscopio


elettronico vediamo dei mitocondri
che si stanno suddividendo, cioè si
sono duplicati e stanno formando
quella membrana di separazione per
andare a costituire dei nuovi
organelli.
Il mitocondrio è la sede del metabolismo
terminale. Il metabolismo è l'insieme delle
reazioni chimiche che avvengono in una
cellula. Il metabolismo si suddivide in tre fasi:
Il metabolismo iniziale che potremmo anche
chiamarlo digestione, per cui le
macromolecole, le proteine, gli acidi nucleici,
i polisaccaridi vengono suddivisi nei loro
componenti; quindi le proteine vengono
scisse negli amminoacidi, i polisaccaridi nei
singoli componenti, i trigliceridi in acidi grassi
e glicerolo e gli acidi nucleici nei singoli
nucleotidi che poi vengono a loro volta
suddivisi nei loro componenti, lo zucchero, la base azotata e il gruppo fosfato. Questi
monomeri vengono assorbiti e arrivano all'interno del citoplasma e subiscono la loro
degradazione, metabolismo intermedio. Possono venire degradati, possono servire per
formare i polimeri che servono alla cellula stessa, quindi metabolismo di sintesi o anabolismo
e metabolismo di degradazione o catabolismo. Metabolismo intermedio poiché questi due
tipi di metabolismo possono essere correlati, cioè per una parte può avvenire la degradazione
di una macromolecola per poi andare verso la sintesi. Quindi il metabolismo intermedio è un
metabolismo reversibile fino a che non si arriva a un composto finale comune che può entrare
all’interno del mitocondrio. Questa molecola che è entrata a quel punto viene degradata;
questo si chiama metabolismo terminale fin quando il carbonio non viene ossidato
completamente ad anidride carbonica e gli elettroni della catena di trasporto degli elettroni
portano alla sintesi di questa molecola che vediamo qua che è un nucleotide che è adenosin-
trifosfato.
E’ un nucleotide perché contiene uno zucchero che è il
ribosio, a struttura ciclica, a cui è legato all'atomo di
carbonio in posizione 1 la base azotata adenina che è
una base azotata che fa parte delle purine e contiene
due anelli condensati, azotata perché presenta
numerosi atomi di azoto, quindi è una base, si carica
positivamente ed è legata all’atomo di carbonio in
posizione 1 primo. Nell’atomo di carbonio in posizione 5
primo, che non fa parte dell’anello dello zucchero, è
legato con un legame estere (alcool+ acido da un legame
estereo), una molecola di acido fosforico, quindi è uno
zucchero modificato, fosforilato e se è legato un singolo gruppo fosfato al 5 primo del ribosio,
si ha il nucleotide adenosin monofosfato. A questo gruppo fosfato si può legare un'altra
molecola di acido fosforico (ricordiamo che questi legami avvengono per condensazione,
ovvero per eliminazione di una molecola di acqua). Due gruppi fosfato formano l’adenosin
difosfato e infine tre gruppi fosfato formano l’adenosin trifosfato. Perché questa molecola è
la sede della riserva energetica? Perché quei tre gruppi fosfati legati presentano delle cariche
negative a un PH cellulare acido. A quel PH i gruppi fosfato sono idrolizzati, ionizzati, cioè
perdono uno ione H +, l’idrogenione e si comportano da acido, quindi nella soluzione della
cellula i gruppi fosfato hanno cariche negative. Cariche dello stesso segno si respingono,
dunque per formare soprattutto l’ultimo legame tra l'ultimo e il penultimo gruppo fosfato è
necessario fornire energia, cioè è necessario forzare l'avvicinamento tra le cariche negative.

L’ultimo legame viene chiamato legame ad alto trasferimento di energia, perché ha una
stabilità limitata, cioè non è molto stabile a quel PH cellulare, dunque viene facilmente
idrolizzato e cede l’energia. Quando nella cellula si hanno reazioni esoergoniche che liberano
energia, quella energia con pacchetti ben definiti può essere utilizzata per formare
quest’ultimo legame. Ciascun pacchetto di energia è del valore di 7,3 kcal/mol. Quando nella
cellula si libera energia quest’ultima si può immagazzinare nell’ATP che potrà essere utilizzata
per reazioni che necessitano di energia; dunque ecco spiegato perché l’ATP è la moneta di
scambio energetico, perché forma soprattutto l'ultimo legame che ha una stabilità adeguata,
cioè si può formare a quel ph cellulare e perché quando la cellula necessita di una quantità di
energia ben definita quel legame si può idrolizzare e l'energia immagazzinata nel legame può
essere utilizzata dalla cellula per compiere lavoro.

Nel mitocondrio avviene la parte


terminale di quella che è
l’ossidazione, la respirazione
cellulare in cui nella molecola di
glucosio C6H12O6 , in presenza di
ossigeno, il carbonio del glucosio
si ossida completamente, cede
tutti gli elettroni e fa si che venga
a formarsi la molecola di CO2.
Quindi il carbonio si ossida e
l’ossigeno viene ridotto alla
molecola di H2O, cioè l’ossigeno
acquista gli elettroni (nella
2-
molecola di acqua l’ossigeno è O ). Si libera così quella quantità di energia che era
immagazzinata nel carbonio ridotto del glucosio;l processo avviene seguendo fasi distinte,
non avviene contemporaneamente che il glucosio venga immediatamente ossidato a CO2, ma
ciò avviene in fasi successive.
La prima fase è una fase anaerobia, che avviene nel citoplasma della cellula e questa fase è
definita glicolisi. La glicolisi è costituita da molte reazioni chimiche successive e porta alla
formazione di un composto chiamato acido piruvico che è formato da 3 atomi di carbonio.
Dunque da sei atomi di carbonio che ha il glucosio si vengono a formare due molecole di acido
piruvico che viene chiamato piruvato perché si considera ionizzato al ph cellulare e quindi il
sale dell'acido piruvico.
A questo punto l’acido piruvico può seguire due vie: nel caso della respirazione cellulare è una
sola, quindi attraversa le membrane mitocondriali e qui intervengono i trasportatori e un
complesso enzimatico importante che fa si che questo composto a tre atomi di carbonio
venga ossidato a un composto a due atomi di carbonio chiamato acetile. Siccome abbiamo
detto acido piruvico, un atomo di carbonio è già più ossidato rispetto agli altri due, quindi si
completa la sua ossidazione e si forma la prima molecola di CO2. L’acetile viene legato a una
grossa molecola (coenzima A) per impedire che fuoriesca dal mitocondrio, quindi viene
bloccato, ancorato, in quella che è la matrice mitocondriale e quindi diventa acetil-
coenzimaA.

Acetile richiamerà acido acetico, infatti è formato da due atomi di carbonio di cui uno è anche
lui piuttosto ossidato. L’acetil-CoA entra in una serie di reazioni cicliche, quindi una serie di
reazioni che iniziano con un composto e terminano con lo stesso composto, per cui perde il
coenzima A, viene degradato, ossidato, e si libera qui anidride carbonica. Questa serie di
reazioni cicliche vengono chiamate ciclo di Krebs, ciclo dell’acido citrico o ciclo degli acidi
tricarbossilici. Durante questa ossidazione si formano dentro il mitocondrio due molecole di
ATP, ma la maggior quantità di ATP si forma quando gli elettroni che si sono liberati
dall'ossidazione di quei due atomi di carbonio dell’acetile vengono trasportati al complesso di
trasferimento degli elettroni che si trova nella membrana mitocondriale interna,
gradatamente trasportati fino all’ossigeno, dove si forma acqua.
Gli elettroni durante il loro passaggio provocano l'accumulo di protoni nello spazio tra le due
membrane; questi protoni accumulati ritorneranno nella matrice attraverso quella pompa
che è una ATPasi di tipo F che non consuma, ma produce ATP; sfrutta questo flusso protonico
per formare il legame tra adenosin-difosfato e un gruppo fosfato che origina adenosin-
trifosfato. Si formano 32 molecole di ATP, dunque una grossissima quantità. La maggior parte
dell’ATP viene prodotta a livello mitocondriale, quindi in reazioni aerobie che usano l'ossigeno
come accettore finale degli elettroni ma vediamo che 2 molecole di ATP si formano in modo
anaerobio durante la glicolisi e questo è fondamentale perché gli organismi anaerobi obbligati
producono ATP esclusivamente attraverso questa via citosolica, questa via anaerobia, che è
l'unica via citoplasmatica che produce ATP.
La maggior parte di energia che serve alla cellula per vivere viene prodotta attraverso le
trasformazioni che avvengono nel mitocondrio. Gli organismi anaerobi per vivere usano
questa energia prodotta dalla glicolisi; quindi questi processi avvengono in tutti gli organismi
e la prima fase di quella che è chiamata respirazione cellulare, della degradazione del glucosio,
è anaerobia, è la glicolisi, è citoplasmatica. La glicolisi porta alla formazione di acido piruvico
che, non essendo obbligato perché negli anaerobi non entra perché non c’è il mitocondrio,
nel caso della respirazione cellulare può entrare nel mitocondrio e venire ossidato
completamente ad anidride carbonica, formando la maggior quantità possibile di ATP. Questo
è l’evento favorevole che si è venuto a formare durante l’evoluzione per la formazione di
organismi eucarioti animali che grazie al mitocondrio ha portato a consentire l'estrazione
totale di energia nei composti organici. Cosa che invece gli organismi anaerobi non possono
effettuare perché non avendo mitocondrio non possono ossidare completamente il piruvato
che si forma dalla glicolisi.

Che cosa avviene però ancora nei mitocondri? Nella matrice avviene il ciclo di Krebs.

A livello della membrana mitocondriale esterna avvengono degli eventi importanti che sono
ad esempio la sintesi di fosfolipidi che vengono sintetizzati perché vengono aggiunti acidi
grassi al glicerolo e all’acido fosforico (gli acidi grassi vengono prodotti a livello del reticolo
endoplasmatico liscio (REL)) e anche la formazione dei doppi legami delle insaturazioni a
livello degli acidi grassi. Avvengono quindi le modifiche sugli acidi grassi, sui lipidi, su quelle
che sono la formazione dei fosfolipidi; anche l’allungamento degli acidi grassi avviene a livello
membrana mitocondriale esterna.
Nella membrana mitocondriale interna si trovano invece quelle proteine che fanno parte della
catena di trasporto degli elettroni che si trovano incastrate nella membrana mitocondriale
interna. Si trova anche la fosforilazione ossidativa, ovvero quando viene aggiunto il gruppo
fosfato all’adenosin-difosfato per formare ATP. Ossidativa perché avviene in seguito alla
ossidazione degli atomi di carbonio dell’acetil-CoA. Quindi la catena di trasporto degli
elettroni e la fosforilazione ossidativa sono collegati tra loro.
In questa figura vediamo quella che è la
teoria endosimbiontica. In alto
vediamo una cellula procariote di
grosse dimensioni ancestrale con il suo
materiale genetico disperso nel
citoplasma; vediamo che all'inizio si è
formato il sistema di endomembrane,
quindi quel sistema di tunnel, di canali
interni in collegamento l'uno con l'altro
che vanno a costituire i due sistemi del
reticolo e l'apparato del Golgi e che
sono in contatto con la membrana
nucleare esterna fino alla membrana
plasmatica. A questo punto l’eucariote, che aveva già queste membrane interne di
separazione (come ad esempio i protisti), ha inglobato un batterio che effettuava fotosintesi
e si sono formati gli organismi eucarioti vegetali. Se invece è stato inglobato quando è stato
diviso durante l'evoluzione solamente un batterio che era in grado di effettuare respirazione,
si sono formati quelli che sono gli organismi eucarioti animali.

Quindi oltre al fatto che il mitocondrio contenga


all'interno un DNA di struttura simile a quella del
batterio, i ribosomi, c'è anche il fatto che gli enzimi
respiratori che si trovano su quello che è il mesosoma,
quindi quella invaginazione della membrana batterica,
sono gli stessi enzimi che ritroviamo nella membrana
interna ad effettuare respirazione cellulare.
Quindi i complessi enzimatici che sono disegnati in quel
riquadro tra i disegni del batterio sotto e del
mitocondrio sopra, vediamo che i complessi proteici si
sono mantenuti nell'evoluzione che servono per il
trasferimento dell'elettrone.

gradidriesperarri
Altri organelli che effettuano
una trasformazione
energetica sono i cloroplasti.
I cloroplasti si trovano nelle
cellule vegetali, fanno parte di
quella classe di organelli che
sono i plastidi e che
contengono (non tutti questi li
contengono) dei pigmenti che
danno loro una colorazione
ben definita. I cloroplasti, che
sono batteri fotosintetici,
contengono la clorofilla che è
la molecola in grado di
captare, catturare a l’energia
luminosa. Essi sono quindi in
grado di effettuare la fotosintesi clorofilliana che la possiamo definire anche la via opposta
alla respirazione perché nella fotosintesi si parte da anidride carbonica e da acqua. Attraverso
la presenza della luce, quindi dell'energia luminosa, il carbonio dell'anidride carbonica viene
ridotto a carbonio organico del glucosio e l’ossigeno dell’acqua viene ossidato e si forma la

Cotta
molecola di scarto che è l’ossigeno molecolare.
lace coatHo 02
Esistono poi i cromoplasti che contengono
sempre dei pigmenti che però non sono
fotosintetici; i cromoplasti sono quelli che
danno il colore ai frutti e diciamo anche che dai
cloroplasti si ha una trasformazione, una
maturazione nei cromoplasti, cosa che è molto
evidente in autunno dove le foglie diventano
gialle o rosse. Poi esistono i leucoplasti che invece contengono dei vacuoli e non pigmenti,
dove viene immagazzinato l’amido. Questa è una trasformazione irreversibile che appunto
possiamo notare nelle foglie ma è anche il processo per cui i frutti maturano. I frutti verdi che
contengono cloroplasti subiscono a il processo di maturazione o ossidazione che porta alla
trasformazione da pigmenti fotosintetici verdi a pigmenti che assorbono la luce ad alte
radiazioni e che inducono N il cambiamento di colore.
Il cloroplasto è formato
anch’esso da una
membrana esterna liscia e
da una serie di membrane
an che si
interne sovrapposte
trovano all'interno dello
stesso che vengono
chiamati tilacoidi.
Incastonate in queste
membrane anche qui si
trovano gli enzimi che sono
responsabili del passaggio
degli elettroni.

Abbiamo detto che il processo della fotosintesi avviene in modo inverso rispetto a quello
della respirazione. Nella fotosintesi il carbonio dell’anidride carbonica si riduce a glucosio,
nella respirazione il carbonio del glucosio si ossida ad anidride carbonica; quindi c'è un
parallelismo tra i due processi, di fondamentale importanza per capire da dove arriva il
glucosio che viene consumato dalle cellule animali ma anche dai vegetali.
Mitocondrio e cloroplasto sono presenti negli organismi eucarioti. Il mitocondrio è presente
solo negli organismi eucarioti animali eterotrofi, gli altri sono autotrofi. Nella respirazione
cellulare si liberano CO2 che è carbonio di scarto e H2O. Queste due molecole sono le molecole
di partenza per la fotosintesi che però avviene solo se è presente energia luminosa che porta
alla organicazione del carbonio quindi alla riduzione del carbonio e gli elettroni vengono
prelevati dalla fotolisi dell'acqua. Quest’ultima viene scissa nei suoi componenti e l’energia fa
si che attraverso una serie di passaggi di elettroni, la molecola dell'acqua ceda l'elettrone per
cui l'ossigeno viene ossidato a ossigeno molecolare che è il prodotto di scarto che è invece il
prodotto che fa avvenire la reazione della respirazione.

Questo è un batterio fotosintetico dove si vedono tutte le membrane sovrapposte. A sinistra,


fotografia al microscopio elettronico, un ingrandimento di questa ci fa vedere tutte queste
membrane, questi tilacoidi sovrapposti a formare delle specie di pile che vengono chiamate

o Agana
stumbido
grana. In questo caso la porzione che nel mitocondrio è la matrice è quella porzione che si
trova nella parte esterna del grana, mentre lo spazio inter-membrana è quello che si trova
all'interno del tilacoide. Nel cloroplasto è presente un pigmento che è la clorofilla, è una
molecola di natura lipidica che si trova ancorata alle membrane di quelli che sono i tilacoidi.

Questo è l'esperimento per cui la soluzione


della clorofilla viene posta alla luce e poi al
ame si vede che da questa soluzione si ha
buio
una fluorescenza. Questo perché la clorofilla
è in grado di captare il fotone della luce,
l'energia luminosa, e questa energia serve
per far fare un salto energetico a un
elettrone che si trova nella testa di questa
molecola. Questo elettrone saltando di
livello energetico se la clorofilla come in
now dal cloroplasto,
questo caso viene estratta
dallo stato eccitato quando ha assorbito
energia ritornerà gradatamente verso lo stato fondamentale emettendo una radiazione, la
fluorescenza della clorofilla stessa, e calore. Si ha dunque una trasformazione di energia
passando da un livello energetico superiore a uno inferiore. Questo se la clorofilla è estratta
dalla foglia; se la clorofilla rimane nella foglia questo elettrone viene captato da un
trasportatore. Quindi chi è che rifornisce di nuovo la clorofilla di un elettrone, sennò sarebbe
instabile? La molecola dell’acqua. L’ossigeno cede un elettrone e la clorofilla ritorna al suo
quantitativo di elettroni. Questo processo è chiamata fotolisi dell’acqua.

“Lisosomi e perossisomi”

I lisosomi sono organelli di piccole dimensioni, si formano dal reticolo endoplasmatico e sono
delle vescicole che contengono enzimi che sono in grado di effettuare l’idrolisi di
macromolecole, quindi sono molti gli enzimi contenuti nei lisosomi. Questi enzimi litici
vengono definiti lisosomiali e idrolizzano, digeriscono le molecole organiche. Oltre agli enzimi
litici contengono un PH acido che viene costituito da quella pompa protonica che si trova sulla
membrana del lisosoma che concentra ioni H + nel lume del lisosoma, all’interno della
vescicola. E’ una pompa che utilizza energia; sono presenti pompe sia di tipo P che di tipo V
nella membrana dei lisosomi e quindi sono organelli che vengono prodotti nella cellula e che
servono per degradare gli organelli stessi.

Questa degradazione avviene a


seguito dell’endocitosi; avevamo visto
che possono venire inglobate anche
particelle di grosse dimensioni.
Queste vengono poi rivestite da
membrana e si viene a formare quella
vescicola che contiene all’interno il
materiale che è stato inglobato.
Successivamente si ha la fusione con il
lisosoma e avviene la degradazione
completa di questo materiale che
viene dall’esterno ma che non è mai
entrato in contatto con il citoplasma e quindi non va a creare danni all'interno della cellula.
Infine i singoli componenti, i singoli monomeri di questo materiale che è stato digerito,
verranno trasferiti attraverso la membrana del lisosoma secondario che ha effettuato la
degradazione e verranno utilizzati dalla cellula per i suoi scopi. I lisosomi servono anche per
un processo particolare chiamato autofagia che avviene nelle cellule e che avviene per
eliminare degli organelli invecchiati, danneggiati e che non sono più funzionanti all'interno
della cellula.
Per effettuare questo processo l’organello come fa a venire inglobato insieme al lisosoma?
La digestione è un processo che può essere extra-cellulare, quindi la cellula può utilizzare quei
lisosomi anche per far avvenire una digestione fuori. L'esempio tipico è quello della
fecondazione in cui nello spermatozoo esiste una parte apicale della testa detta acrosoma che
contiene degli enzimi litici, dei lisosomi che servono allo spermatozoo per effettuare una lisi
della membrana della cellula uovo, che è più spessa delle membrane delle altre cellule.
Un altro tipo di digestione è quella intra-cellulare in cui il materiale eserno viene inglobato
nell’endosoma primario che poi si fonde con il lisosoma e si forma l’endosoma secondario che
poi questo effettua digestione. Può servire anche per digerire materiale endogeno, cioè
materiale che deve essere degradato. Qui sono presenti degli esempi di quello che avviene in
questi tipi di digestione e nell'ultimo disegnino vediamo quella che è l’autofagia. Quindi
l’organello che deve essere degradato segnala lui stesso sulla sua superficie: In genere sono i
mitocondri che invecchiano precocemente perché effettuano un intenso lavoro e segnalano
sulla superficie della loro membrana esponendo, cioè invertendo i fosfolipidi, segnalano che
devono essere degradati (i fosfolipidi che si trovano nella faccia interna della membrana non
si trovano nella faccia esterna). Attorno a questi organelli si viene a formare una membrana,
quindi l’organello viene isolato, viene formato un endosoma e questo vacuolo contenente
l’organello isolato con la membrana esterna si fonde con il lisosoma.

In questa figura sono elencate


tutte le patologie che sono
dovute ad una mutazione degli
enzimi che fanno parte dei
lisosomi, degli enzimi
lisosomiali. Quindi tutti i
deficit enzimatici che vediamo
elencati al centro possono
provocare le patologie
elencate a sinistra. Capiamo
l'importanza di quelli che sono
degli organelli di piccole
dimensioni che però, se sono
mal funzionanti (non è il
lisosoma mal funzionante ma
è l'enzima, la proteina che è
contenuta all'interno; qui
vediamo l’elenco molto vasto
di enzimi litici che vanno da lipasi, cioè enzimi che degradano lipidi, a proteasi cioè enzimi
che degradano proteine, ovviamente non così generici, ma enzimi che degradano specifiche
proteine e che sono fondamentali per la vita della cellula) vediamo che le mutazioni,
alterazioni o anche mancanza di alcuni enzimi litici, causano delle patologie che in genere
sono dovute anche a mutazioni genetiche, quindi è possibile effettuare quelle che sono le
diagnosi prenatali. Questo perché si va ad analizzare il contenuto genetico del DNA nucleare
e si possono diagnosticare quali possono essere le patologie che si possono presentare nel
nascituro.
L’autofagia è un processo che avviene comunemente
nelle cellule, che permette di eliminare organelli
danneggiati, che è importante nel differenziamento
perché è chiaro che una cellula viene modificata
attraverso anche l'eliminazione di alcuni degli
organelli e quindi può assumere una cellula iniziale
(dalla cellulare iniziale il differenziamento è quando le
cellule cominciano ad assumere forme particolari per
andare a svolgere funzioni particolari). L’autofagia è un processo che è coinvolto nel
differenziamento e ovviamente nei casi di digiuno prolungato, quando non arrivano nutrienti
dall'esterno, la cellula comincia a utilizzare il materiale organico che la costituisce.

L’autofagia, questo auto-alimentarsi


con i suoi componenti, dipende dalla
presenza dei lisosomi. Tuttavia,
affinché gli organelli vengano
degradati, non si possono liberare il
contenuto dei lisosomi. Gli organelli non
riescono ad attraversare la membrana e
dunque l'unico modo che hanno i
lisosomi per andare a digerire materiale
organico è che questo sia rivestito da
membrane (questo perché le
membrane sono strutture dinamiche). I
fosfolipidi di membrana possono muoversi tra di loro e dare fusione delle membrane. Quindi
vengono sintetizzate delle membrane intorno agli organelli, si formano vescicole che vengono
chiamate autofagosomi che contengono gli organelli che vengono degradati e fusi con i
lisosomi e viene digerito tutto il contenuto e liberati i singoli componenti. Quindi l’autofagia
è una forma evoluta di endocitosi; la vescicola viene formata direttamente all'interno del
citoplasma, viene sintetizzata membrana cellulare attorno agli organelli da degradare e una
volta che si è formata la vescicola che è l’autofagosoma, questa può fondersi con il lisosoma.

Quindi l’autofagia è coinvolta in tante funzioni fisiologiche,


anche in tante patologie per esempio la morte cellulare per
apoptosi spesso avviene anche per autofagia; la cellula degrada
il contenuto cellulare e viene eliminata dall'ambiente. Molti
tumori inducono l’autofagia anche se molti farmaci inducono
autofagia in modo da distruggere le cellule tumorali. Anche
l'invecchiamento e tante di quelle che possono essere patologie
autoimmuni oppure neuro degenerative stimolano autofagia.
Gli ultimi organelli sono i perossisomi. Sono vescicole rivestite da membrana, quindi il
contenuto interno non deve entrare in contatto con il citoplasma e quello che loro effettuano
è il metabolismo dell'acqua ossigenata. I perossidi, l’acqua ossigenata è un perossido e anche
i perossidi di altre molecole vengono molte volte prodotti durante il metabolismo cellulare.

nonproducano ATP

Dalla cellula stessa durante il metabolismo possono venire prodotte sostanze tossiche ma
prodotti nocivi possono entrare anche dall'esterno. I perossisomi servono anche per una via
fisiologica che è l’ossidazione degli acidi grassi, che inizia nel citoplasma per poi completarsi
nel mitocondrio. Anche molti dei composti che contengono azoto vengono metabolizzati
all’interno dei perossisomi.

Essi utilizzano ossigeno molecolare che viene


usato nel mitocondrio come accettore finale di
elettroni per formare ATP e nei perossisomi
per far avvenire reazioni ossidative. Un
composto ridotto RH 2 in presenza di ossigeno
produce il composto ossidato e acqua
ossigenata che viene degradata direttamente
nella vescicola mediante la presenza di un
enzima che si chiama catalasi. X Quindi la
catalasi fa sì che l'acqua ossigenata venga
neutralizzata e venga scissa in ossigeno e molecola di acqua; acqua ossigenata che si forma
nella stessa vescicola e che in seguito alla ossidazione può venire anche prodotta
direttamente all'interno del perossisoma.
Questi organelli però contengono anche altri enzimi che
servono per l’ossidazione degli acidi grassi. In questo caso
gli elettroni, a differenza di quello che avviene nel
mitocondrio in cui vengono ceduti gradatamente prima a
quel complesso di trasferimento degli elettroni e dopo
all'ossigeno, qui vengono ceduti direttamente
all’ossigeno. Qui non si produce ATP ma si forma acqua
ossigenata che grazie alla catalasi viene neutralizzata in
ossigeno e acqua. L’acqua ossigenata è un ossidante
quindi se fosse libero nel citoplasma andrebbe a degradare totalmente i componenti. Inoltre
i perossisomi producono delle molecole che servono a numerose biosintesi; all'interno dei
perossisomi avviene anche quello che è il metabolismo degli amminoacidi e delle purine.
Inoltre avviene la sintesi di alcuni fosfolipidi che saranno quelli che andranno a formare le
membrane, la mielina che è la membrana che riveste le cellule nervose.
‫עצרנו פה‬

p“Il nucleo, la membrana nucleare e il sistema di endomembrane”


La doppia membrana nucleare e le membrane ad essa collegate, che sono i sistemi di reticoli
ed endo-membrane, si sono formate per una invaginazione della membrana plasmatica.
Quindi è per questo che il nucleo è
rivestito da una doppia membrana;
doppia membrana che non vuol dire
doppio strato fosfolipidico ma vuol dire
proprio due membrane sovrapposte,
quindi il nucleo è ben difeso dal resto
della cellula.
La membrana esterna continua con i
sistemi dei reticoli, che continua poi
nel Golgi fino alla membrana
plasmatica. Quindi c’è un canale per
cui se noi potessimo entrare all’interno
della cellula si potrebbe percorrere
tutta la cellula senza mai arrivare a contatto col citoplasma, fino ad arrivare al livello di quello
spazio intermembrana che riveste il nucleo. Vedremo come è strutturata questa membrana
che, è vero che separa nettamente il nucleoplasma dal citoplasma, però esistono delle vie di
comunicazione perché altrimenti il nucleo sarebbe completamente isolato. Queste aperture
sono consentite da proteine che vanno a costituire i pori nucleari. le proteine del poro sono
proteine che selezionano notevolmente chi entra e chi esce dal nucleo. Andremo a vedere
anche come si organizza il genoma all'interno della cellula del nucleo, cioè come il DNA si lega
a proteine che sono gli istoni che vanno quindi a costituire quella che è la cromatina che può
essere più o meno addensata perché il DNA di una cellula eucariotica umana può essere lungo
anche 1,80/2,0 m e per riuscire a organizzarsi in uno spazio così piccolo deve legarsi a proteine
specifiche. Il DNA, essendo di natura acida, presenta cariche negative come l’ATP (i gruppi
fosfato sono derivati dall'acido fosforico) quindi il PH cellulare è ionizzato, è carico
negativamente su tutta la molecola di DNA. Se cariche dello stesso segno si respingono come
si fa a organizzare in un piccolo spazio in modo ordinato una molecola che tenderebbe a stare
distesa? Bisogna neutralizzare quelle cariche negative. Gli istoni fanno questo; neutralizzano
le cariche negative del DNA e fanno sì che questo possa organizzarsi, compattarsi dando
cromatina più o meno addensata e un compartimento del nucleo chiamato nucleolo è sempre
formato da cromatina ma altamente condensato. Nel nucleolo viene prodotto l’RNA
ribosiomale. Poi vedremo il sistema di endomembrane, dalla membrana esterna del nucleo si
continua con i reticoli e con l’apparato del Golgi.

In questa figura vediamo il nucleo che


presenta molti crateri su quella
superficie azzurra. All’interno, in
quelle fotografie a microscopio
elettronico, una a scansione (a destra)
e uno a trasmissione (a sinistra), in
quella a scansione si vedono tutti i
crateri presenti sulla membrana
esterna, in quella a sinistra si vede un
addensamento maggiore, più scuro,
che è quello del nucleolo.

In questo disegno vediamo la sezione del nucleo con la doppia membrana.

Una che è la membrana interna e


che si trova a contatto con il
nucleoplasma interno, l'altra che è
la membrana nucleare esterna che
continua con le membrane del
reticolo. Queste due membrane
sono tenute insieme e consentono il
passaggio dal nucleoplasma al
citoplasma attraverso i pori
nucleari. I pori nucleari che qui
vediamo a sinistra la superficie della
membrana esterna con queste
aperture che sembrano dei crateri,
nella sezione in basso vanno a
creare un rivestimento tra le due membrane che ovviamente sarebbero altamente lipidiche
e quindi selettive, però si creano delle aperture che non sono semplicemente delle aperture
per cui tutto ciò che vuole passa. Sono proteine che selezionano in modo specifico il passaggio
delle molecole. Qui vediamo poi delle fotografie a destra in basso la superficie di questi crateri
che sono numerosi sulla superficie della membrana esterna del nucleolo.

In quest'altra figura invece un disegno


tridimensionale del nucleo. In viola più scuro è
indicato il nucleoplasma all'interno, la membrana
nucleare interna aderente al nucleoplasma e poi la
membrana nucleare esterna che continua con quella
che è la membrana del reticolo. A sua volta la
membrana del reticolo endoplasmatico ruvido
continua il reticolo con quello liscio, quindi è un
sistema di membrane interne, di canali interni che
separano un lume dal citoplasma. Questi canali interni partono dalla membrana nucleare
esterna e arrivano fino alla membrana nucleare plasmatica e sono l’apparato del Golgi più
verso la membrana esterna, il reticolo endoplasmatico liscio e il rugoso che si trova molto più
vicino al nucleo. Questa disposizione indica proprio la funzione, perché nel reticolo
endoplasmatico ruvido nel lume del reticolo, vengono prodotte le proteine che poi usciranno.
Prima di uscire le proteine devono assumere la loro conformazione definitiva per essere
proteine funzionali, quindi per assumere la loro funzione la proteina deve passare dal Golgi
che la rifinisce ed effettua quelle modifiche post-traduzionali, cioè quando la proteina è
pronta da un punto di vista amminoacidico, deve assumere la sua conformazione,
eventualmente venire modificata perché deve andare poi a svolgere la sua specifica funzione.
La loro distribuzione all’interno della cellula è in funzione dei processi che devono effettuare
queste strutture.
Qui un disegno di come sono
distribuite le proteine in questi
pori nucleari; vediamo che sono
dei complessi proteici, quindi
associazione di più proteine,
ognuna con una forma ben
definita. Quelle proteine che
vanno a trovarsi tra le due
membrane, quindi a creare
l'apertura, sono 8 proteine che
attraversano completamente le
due membrane, quindi creano
proprio il poro. Queste 8 proteine
sono tenute ferme in quella
posizione da due anelli proteici,
uno che si estende, l’altro che si
trova verso il citoplasma. L’anello
che si trova distribuito verso la
superficie del nucleoplasma
presenta delle proteine
filamentose che vanno a
costituire una rete di fibre proteiche. Quelle proteine arancioni che sembrano proprio un
canestro, sono formate da proteine che si protendono verso quello che è il nucleoplasma.
Quindi si vede già quali proteine andranno a selezionare chi può attraversare. Dalla parte che
è invece il citoplasma si trova l’anello che tiene ferme le proteine del poro. Queste proteine
fibrose filamentose si andranno ad ancorare alle fibre del citoscheletro. Quindi i pori servono
sia selezionare ma anche a mantenere la forma alla cellula perché attraverso queste fibre
proteiche che si estendono verso il citoplasma questi si ancorano a quelle proteine strutturali
che sono quelle del citoscheletro.
Materia e Biologia lezione 9
lezione:
Data : 03/11/21
Professore: Alessandra Modesti
Coppia: Martina Bruno /Gaia Giovannelli

MEMBRANA NUCLEARE

Riprendiamo a vedere quella che è la membrana nucleare e quelli che sono i suoi
componenti:

• E’ costituita da due membrane sovrapposte, che effettuerebbero una netta


separazione tra nucleoplasma e citoplasma, ma abbiamo visto che esistono i pori
nucleari che consentono il passaggio di alcune molecole attraverso la membrana.
• Si è formata nell’evoluzione dalla introflessione della membrana plasmatica della
cellula, processo che ha creato anche i reticoli e l’apparato del Golgi. Questo per
dire che i reticoli e il Golgi sono in contatto con l’esterno e tutto quello che viene
prodotto nel reticolo fuoriesce o rimane sulla superficie della cellula.
• I pori nucleari permettono la comunicazione tra nucleo e citoplasma. Sono
costituiti da un complesso proteico piuttosto importante di 8 proteine
transmembrana. Ogni singolo componente é una proteina a sé quindi presenta una
struttura primaria, secondaria, terziaria e grazie alla struttura quaternaria le 8
proteine vanno a costituire il canale idrofilo attraversando le due membrane. Con
CPN ci riferiamo al complesso di pori nucleari per le proteine.
• Sono presenti proteine filamentose sia nella parte nucleoplasmatica che in quella
citoplasmatica. Verso il nucleoplasma si trova una struttura complessa dal punto di
vista dello spessore: la lamina nucleare. È costituita da proteine filamentose
aderenti alla membrana nucleare interna, ha la funzione di mantenere il nucleo e la
membrana distesi, di ancorare filamenti di cromatina e cromosomi. La cromatina si
ancora alla membrana nucleare anche tramite altre proteine sempre incastonate nei
filamenti di lamina nucleare: le proteine LAP. Colorando i cromosomi con coloranti
specifici si nota che questi si addensano in aree ben definite per ogni cromosoma,
chiamati territori cromosomici, proprio grazie all’interazione con la lamina nucleare
e con le LAP.
LAMINA NUCLEARE
• La membrana nucleare esterna continua con il reticolo, creando un tunnel sempre
Si trova al disotto della membrana nucleare interna e fornisce supporto
separato
meccanico all’involucrodal citoplasma.
nucleare, ha un ruolo nell’organizzazione della cromatina,
nel ciclo cellulare.

Nella fotografia al microscopio elettronico è colorata la


struttura della rete di proteine fibrose che va a costituire la
lamina nucleare, che serve come sostegno al nucleo e ai pori
nucleari e consente l’organizzazione della cromatina.
IL NUCLE

Lamìne + LBP (lamin binding


proteins)

NUCLEOLO

Sempre all’interno del nucleo esiste una zona che


evidenzia un alto grado di compattazione del
genoma: il nucleolo. All’interno del nucleolo ci
sono due zone:
• zona granulare: deputata all’assemblaggio
dei ribosomi (che come abbiamo visto sono
aggregati di macromolecole, nonché sede
sintesi di proteine, formati da proteine IL NUCLEOLO
specifiche e rRNA)
• zona fibrillare: deputata alla trascrizione
dell’RNA ribosomiale. Ciò significa che le proteine,
tradotte nel citoplasma, sono in grado di rientrare nel
nucleo tramite i pori, ed essere assemblate con RNA
ribosomiali a formare i ribosomi. Il ribosoma assemblato
fuoriesce nuovamente dal nucleo. Il nucleolo scompare
durante la divisione cellulare perché la cellula non è
impegnata nella sintesi proteica ma nel duplicare il suo
genoma. È invece presente durante tutto l’arco di vita
metabolica, ossia durante l’interfase.

Formazione dei ribosomi

1) Il genoma della cellula contiene il messaggio per le


funzioni di ogni proteina: viene prodotto un RNA messaggero tramite la trascrizione,
il quale passa nel citoplasma dove viene tradotto in proteine dai ribosomi.

2) Queste proteine rientrano nel nucleo e si dirigono nel nucleolo dove nel frattempo,
nella zona fibrillare, vengono trascritti gli RNA ribosomiali a partire dal DNA
nucleolare, l’rDNA. Gli rDNA sono sequenze di DNA altamente ripetute nella zona
fibrillare del nucleolo.
3) Gli RNA vengono trascritti, modificati e poi assemblati nella zona granulare con
proteine, a formare i ribosomi. Il ribosoma fuoriesce dal nucleo tramite trasporto
mediato da proteine, pronto per assemblare le subunità e fare la sintesi proteica.

L’RNA ribosomiale viene facilmente degradato da enzimi citoplasmatici. Perciò non


deve trovarsi libero nel citoplasma, ma viene assemblato nel nucleolo, che
consente il funzionamento dei ribosomi.

RETICOLO ENDOPLASMATICO
Il reticolo endoplasmatico continua direttamente dopo la membrana nucleare esterna. Ne
ILesistono
RETICOLO
due tipologie ENDOPLASMATICO
che si distinguono in base alla presenza o meno di ribosomi:

•REL (Liscio): assenza di ribosomi.


Qua avviene la sintesi dei lipidi come
trigliceridi e colesterolo (ma non il loro
allungamento, che avviene nei
perossisomi e nemmeno l’aggiunta di
insaturazioni). I lipidi vengono
sintetizzati, modificati ed elaborati
sempre mantenendoli separati dal
citoplasma (impedendo che molecole
insolubili vadano in contatto col
citoplasma creando precipitati tossici
per la cellula stessa). Tutto ciò che è
insolubile in acqua ma utile alla cellula
Il R.E. liscio sintetizza trigliceridi, fosfogliceridi, colesterolo e ceramide.
viene Inoltre è
prodotto nel REL. A livello di
coinvolto nell’allungamento della catena di acidi grassi e nella modifica del grado
questo reticolo avviene anche la detossificazione da alcuni farmaci. di
saturazione dei medesimi. La glucosio 6 fosfatasi è associata al RE. Sede della
sintesi degli ormoni steroidi e dei processi mirati alla detossificazione da farmaci

RE e RER non sono organelli distinti e i loro lumi sono in continuità


• RER (Ruvido): i ribosomi sono aderenti alla parte citoplasmatica della membrana
del reticolo, legati in modo reversibile. I ribosomi sono numerosi, tant’è che
possiamo chiamarli polisomi. I ribosomi aderenti alla membrana sono in fase attiva:
questo perché migrano sulla membrana del reticolo nel momento in cui devono
Il reticolo endoplasmatico rugoso
effettuare la sintesi proteica. Si è infatti scoperto
che la sintesi proteica per tutte le proteine (di
secrezione, di membrana, citoplasmatiche)
avviene nel citoplasma e nell’RNA messaggero
che viene tradotto è già insito il messaggio
peptidico di destinazione della proteina (ad
esempio se deve essere secreta contiene un
messaggio per migrare verso il reticolo
endoplasmatico e poi verso la membrana).

I due reticoli sono costituiti da una serie di


membrane interne e sono in collegamento tra di
loro: i loro lumi sono collegati, anche perché le
proteine prodotte dal reticolo ruvido spesso sono
modificate da molecole lipidiche prodotte nel
reticolo endoplasmatico liscio.

APPARATO DI GOLGI
Il reticolo endoplasmatico continua con il Golgi (sempre senza incontrare citoplasma!).
Qua avvengono le modifiche post traduzionali delle proteine: una volta tradotta, la proteina
non è ancora funzionale e deve subire delle modifiche. Esse avvengono principalmente a
livello del Golgi.
Questo apparato è formato da cisterne appiattite costituite da membrana, con vescicole
trasportanti proteine che migrano dal reticolo verso il Golgi e poi dal Golgi verso la
membrana cellulare quando la proteina viene modificata. Può essere una proteina di
secrezione o una proteina che rimane sulla membrana (anche questa informazione è
contenuta nel gene che codifica quella proteina).
L’APPARATO DEL GOLGI
Nell’apparato di Golgi possono essere individuate due zone:
ormato da una serie di compartimenti membranosi impilati
formano una pila ricurva e sono circondati da vescicole e • Zona trans: zona del Golgi più vicina alla membrana
uli.
area trans:
plasmatica, qua avvengono le maggiori modifiche
piu’ vicina alla proteiche e vi si trovano quelle proteine che stanno
membrana plasmatica
uscendo dalla cellula, trasportate da altre proteine
verso la membrana.

•Zona Cis: zona più vicina al nucleo dove arrivano le


area cis:
piu’ vicina al nucleo vescicole contenenti le proteine che sono state appena
tradotte e che devono ancora subire le modifiche
(parzialmente iniziate nel RE)
Principali modifiche effettuate dal Golgi e dal Reticolo Endoplasmatico
• N- glicosilazione (effettuata da RER e Golgi): aggiunta di uno zucchero al gruppo
amminico della proteina, che può essere un gruppo amminico terminale o il gruppo
amminico di un residuo ammino-acilico (un esempio sono gli amminoacidi basici
che contengono ulteriori gruppi amminici rispetto a quella responsabile della
formazione del legame peptidico, ad esempio l’asparagina che ha un gruppo
amminico in più , dove può essere aggiunto un glucosio). Comincia nel RE e
termina nel Golgi, è un processo che avviene attraverso reazioni successive.

• O-glicosilazione (Golgi): aggiunta di uno zucchero all’atomo di ossigeno. Un


esempio è la serina, che possiede un gruppo ossidrilico, o la treonina. In generale
riguarda tutti gli aminoacidi che possiedono gruppi OH che possono essere
modificati per l’aggiunta di uno zucchero.

• Fosforilazione (Golgi): viene fosforilato lo zucchero già legato alla proteina con la
glicosilazione. Un esempio è il mannosio, uno zucchero che viene fosforilato
quando è legato ad una proteina per N-glicosilazione

• Formazione ponti SS (RER): È una modifica covalente, perché si forma un


legame covalente all’interno della proteina, soprattutto all’interno delle cisteine. La
cisteina presenta un gruppo ridotto SH, che può essere modificato con la
formazione di un ponte di solfuro. Quindi proteine che possiedono numeri pari di
cisteine possono formare ponti solfuro tramite una modifica post traduzionale e
questo avviene anche nell’insulina.

• Idrossilazione (RER): il collagene, molecola più diffusa nel mondo animale,


contiene residui di lisina e prolina nella sua sequenza amminoacidica, e viene
modificato perché questi due amminoacidi vengono idrossilati. Se mancano gli
enzimi che effettuano questa modifica post traduzionale, il collagene non ha più la
funzione di mantenere salde le cellule nei tessuti, quindi si ha una lassità dei tessuti
che porta a patologie genetiche ereditarie (proprio perché manca il gene che porta
le informazioni per produrre gli enzimi che provocano questa modifica post-
tradizionale del collagene)

• Aggiunta di fosfatidilinositolo (RER): molecola di grosse dimensioni, si trova


facilmente nelle proteine di membrana. Questa modifica porta a una variazione in
quella che è la segnalazione cellulare.

• Rimozione sequenze interne (RER): processo che avviene, ad esempio,


nell’insulina: prodotta nel reticolo come unica proteina, poi ne viene rimossa una
porzione e vengono formati dei legami a ponti SS tra le cisteine. Il risultato è una
struttura particolare che sembra formata da due proteine, ma in realtà è una
modifica che è avvenuta su una singola proteina.

Funzioni dell’apparato di Golgi


• Nel Golgi sono sintetizzati anche lipidi di membrana specifici: gli sfingolipidi, che
contengono la sfingosina invece che il glicerolo. Sono molecole insolubili in acqua e
quindi devono essere prodotte in un ambiente separato dal citoplasma. Hanno la
esso del
sono sfingosina a posto del glicerolo e la sfingosina ha già dentro nella
zati la sua struttura la componente idrofobica che da insolubilità in
ina, gli acqua.
olipidi e
ano le • Modifiche post-traduzionali delle proteine: nel reticolo rugoso
oteine
avviene la sintesi proteine, modificate poi nel Golgi. Nel caso di
una proteina di membrana, questa rimane ancorata alla
membrana per tutto il percorso: prima a quella del RE, poi del
Golgi e infine alla membrana plasmatica. È già ancorata alla
membrana all’inizio della sua sintesi perché contiene una serie di
aminoacidi idrofobici che le consentono di legarsi con legami deboli alla membrana.
Sia che sia una proteina monopasso, cioè che attraversa una volta sola la
membrana, sia che sia multipasso, tutte le
porzioni idrofobiche rimangono ancorate
alla membrana.

Quando una proteina viene modificata, la


parte della proteina che si trova verso il
lume (che è anche la porzione amino-
terminale) viene modificata dal Golgi, migra
verso la membrana e poi viene esposta
verso l’esterno, nella faccia extracellulare
rivolta verso la matrice. Di conseguenza
molte proteine di membrana, esposte sulla
faccia extracellulare della membrana
plasmatica, sono il risultato delle modifiche
che avvengono nel lume del reticolo e nel
Golgi, poi quando la vescicola secretoria
(così chiamata anche se la proteina rimane
ancora alla membrana, perché porta
qualcosa verso l’esterno della cellula) la
membrana si fonde con la membrana
cellulare, la proteina rimane ancorata alla
porzione della membrana e la parte
extracellulare della proteina viene esposta
verso l’esterno.

Il proteasoma

Talvolta le proteine di secrezione e di membrana


possono non assumere la formazione corretta (ad
esempio a seguito di una mutazione). Queste
proteine devono essere eliminate dalla cellula.
Il ribosoma, attraverso un canale proteico, produce la
proteina nel lume del reticolo, e sempre nel reticolo o
nel Golgi avviene il folding della proteina:
ripiegamento della proteina al fine di assumere la sua
corretta distribuzione nello spazio, in base al tipo di
aminoacidi che possiede, che caratterizzano la
proteina dal punto di vista chimico-fisico. Se non
assume la conformazione corretta, la proteina fuoriesce tramite un trasportatore proteico
(una proteina che riconosce la proteina mal ripiegata) e a livello citoplasmatico incontra il
proteasoma (sistema presente anche degli archea batteri).

Il proteasoma è un complesso proteico che consente la degradazione di proteine con


forma scorretta. Il proteasoma forma un incavo proteico dove la proteina da degradare
viene racchiusa e digerita. Chiudendosi crea un ambiente idrofobico: le proteine del
proteasoma rompono i legami peptidici e gli aminoacidi sono liberati nel citoplasma,
riutilizzati dalla cellula per sintesi proteiche corrette.

Anche gli enzimi litici dei perossisomi e lisosomi sono prodotti nel reticolo (perché devono
stare separati dal citoplasma) e anche questi possono essere destinati al proteasoma, se
non assumono la conformazione corretta.

➔ Le proteine svolgono talmente tante funzioni che sono in grado di eliminare anche
altre proteine.

CITOSCHELETRO
Il CITOSCHELETRO

Funzioni generali delle fibre del citoscheletro:


-I filamenti intermedi forniscono forza e sostegno meccanico e
Le componenti cellulari sono sostenute
e resistenza aglicitoplasma
distribuite nel stress meccanici.
grazie al
- I microtubuli
citoscheletro e alle hanno funzione
sue fibre proteiche.di sostegno e determinano le
Alposizioni degliappartengono
citoscheletro organelli e il3 trasporto
tipi di vescicolare.
- I microfilamenti
fibre proteiche: di actina determinano la forma della superficie
cellulare e la locomozione cellulare
• M i c r o fi l a m e n t i d i a c t i n a
(diametro 7nm)
• Filamenti intermedi (intorno ai
12nm)
• Microtubuli (20-25 nm), strutture
proteiche cave all’interno
Funzioni:
Microfilamenti: polimeri di act
• Dà sostegno alla cellula eucariotica animale (che non ha la parete)
• Distribuisce gli organelli in modo uniforme nel citoplasma
• Permette il movimento degli organuli tramite microtubuli e microfilamenti di actina

1) MICROFILAMENTI DI ACTINA

I microfilamenti di actina permettono il movimento della cellula. Formano una rete


aderente alla parte citoplasmatica della membrana, verso l’interno della cellula.
Proteine filamentose, che però sono il frutto della polimerizzazione di una proteina
I
globulare, che è l’actina, la quale ha una conformazionefilamenti
tale per di
cui actina interagis
nella struttura
tridimensionale presenta un sito dove alloggia una molecola di ATP: ciò significa che
numerose
l’actina G possiede l’energia per potersi polimerizzare. Perciò, quando i proteine
microfilamenti (oltre

successiva actina G del filamento in allungamento.che vengono genericamente ind


sono in fase di sintesi, il monomero ha l’energia sufficiente per formare il legame con la

proteine leganti l'actin


Nel microfilamento è possibile distinguere due estremità: l’estremità negativa (quella che
Alcune
non espone il sito per il legame dell’ATP) e l’estremità di (che
positiva esse regolano
invece la polim
espone il sito

nuovo monomero e utilizza l’energia contenuta sulla sua molecola di ATPATP-dipendente


di legame). Quindi l’ultima actina G che contiene ancora l’ATP forma il legame con un
per legarlo.
dell’actina-G
L’estremità + è anche quella dove avviene l’allungamento, e leavanti
perché porta interazioni
la
polimerizzazione. I filamenti di actina sono importanti perché interagiscono con molte
proteine, dato che si trovano sulla porzione citoplasmatica dellafilamenti (ramificazion
membrana cellulare di
tutte le cellule.

Struttura: i microfilamenti sono il frutto della polimerizzazione dell’actina, una proteina


globulare. La sua struttura terziaria si avvolge a formare una struttura compatta non
filamentosa. L’actina globulare (actina G) con consumo di energia si associa con altri
monomeri di actina G. La loro unione genere l’actina F (filamentosa) formata dalla
polimerizzazione del monomero actina G, che per essere funzionante si avvolge a spirale
su stessa formando infine i microfilamenti.
I microfilamenti sono strutture dinamiche, si allungano e si accorciano ma con velocità
inferiore rispetto ai microtubuli. Si trovano su tutte le cellule aderenti alla membrana, in
quantità più o meno abbondante.

L’actina svolge una funzione ben definita in alcune cellule specifiche:


- Cellula rivestimento epitelio intestinale: presenta estroflessioni
della membrana, chiamati microvilli, per aumentare le superfici di
contatto della cellula con il lume intestinale. A tenere eretti questi
microvilli sono proprio i microfilamenti di actina che si trovano in
grosse quantità, aderenti alla membrana interna dei microvilli,
tenendoli eretti. Se non ci fossero i microfilamenti, i microvilli
sarebbero appiattiti e la superficie di assorbimento sarebbe scarsa. I
microfilamenti sono aderenti alla membrana dei microvilli tramite
proteine di ancoraggio e tramite proteine che legano i microfilamenti di
actina stessi tra di loro, tutto questo per consentire l’estensione
massima del villo, affinché aumenti la superficie di contatto con il lume
intestinale.
L’estremità + che contiene ATP si trova
rivolta verso l’apice del microvillo: vuol
dire che vengono prodotti
microfilamenti di actina direttamente
enti all’interno del microvillo, nel citoplasma
in: della cellula. Quando i microfilamenti si
trovano alla base del microvillo (nella
parte citoplasmatica) vanno a creare il
cortex cellulare: porzione di fibre
proteiche aderente alla membrana
plasmatica, che mantiene la sua forma
distesa (la membrana è una struttura
dinamica a mosaico fluido non rigida,
che necessita di qualcosa che
mantenga la forma della cellula)

- Cellula in grado di muoversi (ad esempio i macrofagi):


effettuano movimento per raggiungere le sostanze da degradare.
Questo movimento di pseudopodi è dovuto ai microfilamenti di
actina che sono numerosi e aderenti alla membrana. Il
movimento noto è quello della contrazione muscolare: l’actina è
infatti una proteina abbondante nelle cellule (fibre) muscolari.

- Cellula che ha diviso il materiale genetico: per completare la


divisione la cellula deve separare le membrane. I microfilamenti di
actina si depositano nell’anello di costrizione della membrana
restringendolo e formando cellule distinte.

Di conseguenza possiamo dire che i microfilamenti di actina hanno anche una


funzione contrattile, sia nella formazione dell’anello contrattile che separa le
membrane, sia nei sarcomeri, ma non solo. Infatti in alcune cellule l’actina va a
formare l’unità funzionale della contrazione, il sarcomero, costituito da
microfilamenti di actina e miosina, un’altra proteina.

2) FILAMENTI INTERMEDI
I filamenti intermedi sono formati da varietà di proteine che dipendono dal tipo di cellula.
Formano la rete di sostegno citoplasmatica della membrana. Questi filamenti devono
ancorarsi alle proteine della membrana (infatti avevamo visto che tra la funzione delle
proteine di membrana c’è anche quella di adesione cellula-matrice, adesione cellula-
cellula, ancoraggio ai filamenti citoscheletro). I filamenti intermedi si ancorano alle proteine
di membrana dando struttura e sostegno alla cellula.

I filamenti intermedi sono formati da monomeri che si associano a formare dimeri, che
cambiano a seconda del tipo di cellula (nelle cellule nervose ho i neurofilamenti) ma la
struttura è sempre uguale: un monomero filamentoso si associa a un altro formando un
dimero. I dimeri si associano in direzione opposta (detta testa coda) formando i proto-
filamenti. Più proto-filamenti formano un tessuto robusto che si avvolge su se stesso. La
sezione va dagli 8 ai 12 nm e formano come una corda molto robusta. Gli estremi dei
filamenti intermedi si ancorano alle proteine di membrana e si forma la fitta rete proteica
dei filamenti, che dà forma e stabilità alla cellula.

3) MICROTUBULI
I microtubuli sono formati da tubulina (proteina globulare): tubulina alfa e beta, perché
alcuni aminoacidi sono differenti. Questo dimero di tubulina alfa e beta si polimerizza
utilizzando energia e forma il proto-filamento. Quest’ultimo si associa con altri proto-
filamenti costituendo già un microtubulo (non come i filamenti intermedi che dopo la
polimerizzazione devono ripiegarsi per essere funzionali). L’orientamento va sempre da
tubulina beta a tubulina alfa e a tutte e due le estremità vengono aggiunti e rimossi dimeri.
La velocità alle due estremità di aggiunta e distacco è però diversa: a una estremità si
allunga più velocemente rispetto all’altra. Si dice che il microtubulo ha un’estremità + e
una -.

Funzioni:

- I microtubuli sono molto dinamici: quando la cellula è in divisione dopo che il Dna si
è duplicato, i microtubuli vanno a formare il fuso mitotico allungando le fibre. I
microtubuli andranno ad agganciare il cromosoma separandolo nei due cromatidi.
Tra le tre fibre, i microtubuli sono i più dinamici, si allungano e si accorciano durante
tutta la vita di una cellula consumando energia.

- Si trovano anche a livello del citoplasma, nell’assone della cellula nervosa. Servono
per portare verso la terminazione nervosa del neurone le vescicole contenenti i
neuromediatori, ovvero molecole che serviranno per la comunicazione tra cellule.

- I microtubuli sono anche i binari lungo i quali si muovono gli organelli. Sono i
“binari” che le vescicole percorrono quando vengono trasportate mediante proteine
dal reticolo endoplasmatico al Golgi e dal Golgi verso la membrana.
Materia e lezione Biologia lezione 10

Data 04/11/2021

Professore modesti

Coppia Matteo Ferrati/Gaia Crociani

Le componenti del citoscheletro


Il sarcomero
Noi stavamo parlando delle proteine del citoscheletro, tra queste abbiamo trovato i microfilamenti
di actina, proteine che fanno sempre parte del citoscheletro sono anche le proteine motrici, cioè
quelle proteine che modificando la loro conformazione fanno in modo che una struttura sia in grado
di muoversi, l’esempio principale come avevamo già visto è quello della contrazione muscolare che
segue il movimento che si ha nell’unità funzionale della fibra muscolare che è il Sarcomero.
Il sarcomero è costituito da strutture proteiche, per cui in questo disegno vediamo come sono
distribuite all’interno del citoplasma delle cellule muscolari, che prendono il nome di fibre perché
sono cellule allungate e sono cellule le cui membrane sono
molto ravvicinate, (nel tessuto muscolare) sembra quasi
che siano fuse, scambiandole per cellule multinucleate da
quanto sono ravvicinate, ma in realtà sono comunque divise
da membrane che sono molto compatte.
Questa unità funzionale (il sarcomero) è costituita da
proteine, tra cui i microfilamenti di actina che nel disegno
sono quelle linee sottili in viola, sovrapposte ad altre fibre
proteiche che sono quelle della miosina, anche questa è una
proteina, ed è la parte motrice della struttura, perché la
miosina presenta una testa globulare, che legando la molecola dell’ATP, cambia conformazione ed
è quella che fa in modo che avvenga la contrazione.
La contrazione muscolare avviene perché le microfibre di filamenti di actina scorrono sui filamenti
di miosina, che sono più grossi infatti si chiamano filamenti spessi (arancioni in figura), e vediamo
che si intervallano, cioè sono sovrapposti e paralleli ai microfilamenti di actina, che come vediamo
sono ancorati ad un altro filamento proteico detto Stria Z.
La stria Z è costituita da proteine filamentose che ancorano i microfilamenti di actina. Il sarcomero
quindi si ripercorre lungo tutta la fibra muscolare della cellula muscolare, quindi sono tutti collegati
tra di loro, perciò quando un’unità scorre (quindi si contrae) tutte quante contemporaneamente si
contraggono e quindi il muscolo si accorcia.
Le proteine scorrendo le une sulle altre, cioè i microfilamenti di actina vengono fatti scorrere dalla
miosina che si aggancia a questi microfilamenti di actina e li trascina muovendo la testa globulare
scorrono fino a raggiungere la parte chiamate zona H, ovvero quella distanza tra le terminazioni dei
microfilamenti di actina, che a questo punto si avvicinano senza arrivare a contatto diminuendo la
zona H tra i microfilamenti di actina liberi e non quelli ancorati alla zona Z che delimita anche l’unità
funzionale del sarcomero, cioè il sarcomero si trova tra due strie Z.
Accanto si ha l’immagine di una foto del sarcomero rilassato cioè quando
le teste della miosina non hanno ancorato i microfilamenti di actina e
sotto invece il sarcomero accorciato, quindi il momento della contrazione
del muscolo in cui il sarcomero si accorcia, diminuisce la zona H e la banda
A rimane immutata, che sarebbe la lunghezza dei filamenti della miosina.

In questa figura
vediamo com'è che avviene in generale il
processo di contrazione, nella figura sotto
vediamo come è distribuita, e cosa
contengono i microfilamenti di actina
(struttura in giallo) che si avvolgono su sé
stessi e vediamo anche altre due proteine che
tengono unita questa struttura. Una è la
Tropomiosina che lega e mantiene più stabili i
microfilamenti di actina e poi una proteina
globulare che si trova legata su un sito
particolare di un’actina globulare, che copre una posizione importante sul microfilamento di actina,
che è il punto di contatto con la testa della miosina. Quindi fino a che la Troponina (la proteina
globulare) è sul sito di riconoscimento da parte della testa globulare della miosina il sarcomero è
rilassato, cioè non si ha l’interazione tra l’actina e miosina. Sempre in questa figura a sinistra
vediamo un sarcomero rilassato, vediamo anche che ci sono delle vescicole, che sono dei contenitori
rivestiti da membrana che fanno parte del reticolo, quindi nelle cellule muscolari il reticolo è
organizzato per formare delle vescicole, all’interno delle quali si trova concentrato lo ione calcio.
Queste vescicole sono il reticolo endoplasmatico che facendo parte delle fibre muscolari si chiama
reticolo sarcoplasmatico. Queste vescicole tengono accumulato il calcio, accumulato grazie ad una
calcioATPasi, che nel disegno è il cerchio con la croce, questa è la pompa di membrana che si trova
sulla membrana del reticolo sarcoplasmatico e che continuamente lavora, come una pompa di
membrana di tipo P, consumando ATP accumula lo ione calcio nel reticolo. Quindi questa immagine
a sinistra ci mostra il sarcomero rilassato e che non c’è contatto tra miosina ed actina.
Nella figura accanto invece c’è il sarcomero in contrazione ed ecco come avviene: arriva il potenziale
dal neurone, che trasmette il potenziale elettrico come segnale fino al termine della membrana del
neurone, ed entra in contatto con la cellula muscolare, cambia il potenziale della membrana, questo
stimolo apre i canali per il calcio del reticolo, quindi il calcio si libera nel citoplasma della fibra
muscolare, il calcio si lega alla proteina troponina, perché la troponina ha una maggiore affinità per
lo ione calcio rispetto al sito dell’actina, perciò si apre il sito di contatto tra miosina ed actina (sono
tutti legami deboli reversibili), aperto il sito la miosina si ancora al sito e l’interazione tra la testa
globulare della miosina e il sito sull’actina fa cambiare forma alla miosina, che si piega e fa scorrere
e produce questa contrazione. I filamenti spessi (miosina) non sono composti da un solo filamento
ma da più filamenti di miosina avvolti su sé stessi, che presentano qui di tante teste globulari, tutte
le teste della miosina si ancorano ai microfilamenti di actina, e cambiando conformazione
contemporaneamente fanno accorciare il sarcomero.
La molecola di ATP nella contrazione muscolare viene utilizzata per il rilassamento, in questa figura
infatti è in dettaglio una singola testa della miosina che
va ad effettuare il ciclo contrazione/rilassamento.
Partendo da quello in alto (fibra a riposo) la testa
globulare della miosina (proteina filamentosa che
termina con una porzione globulare), una volta
liberato il sito dalla troponina grazie al calcio, la
miosina si lega ai microfilamenti di actina, questo
legame fa cambiare conformazione alla miosina e fa
scorrere i microfilamenti di actina e contrarre il
sarcomero. Adesso interviene l’ATP che si lega ad un
sito accessorio che si trova sulla testa globulare della
miosina, si idrolizza, si libera l’energia e la testa
globulare della miosina si stacca dall’actina e si ha il
rilassamento del sarcomero. Contemporaneamente è necessario che la calcioATPasi sottragga lo
ione calcio dal citoplasma per non far riavvenire la contrazione immediatamente.

I Microtubuli
Sono i filamenti del citoscheletro che hanno le maggiori dimensioni, hanno un diametro fino a 20-
25 nm, e sono formati da 2 proteine simili che sono la tubulina alfa e tubulina beta, tutte e due
questi monomeri legano una molecola di GTP, che è il guanosin-difosfato, anche questo in seguito
all’idrolisi dell’ultimo gruppo fosfato libera energia, questa energia serve per polimerizzare i dimeri
nell’allungamento del microtubulo. Il dimero formato dal monomero alfa e beta, va a costituire il
protofilamento, un polimero formato dal susseguirsi di questi dimeri e avviene la formazione di una
struttura cava all’interno (il microtubulo), formata da protofilamenti tutti allineati.
Il microtubulo presenta una polarità, cioè una estremità dove avviene l’allungamento (l’estremità
+) e un’altra estremità (estremità -) in cui avviene l’accorciamento, anche se ad entrambe le
estremità dimeri vengono aggiunti e sottratti, però all’estremità + viene aggiunta una quantità di
dimeri maggiore rispetto a quella di dimeri eliminati.
I microtubuli sono la classe più dinamica del citoscheletro, e si formano a partire da uno stadio
chiamato Nucleazione, in questo primo momento è indispensabile la presenza del GTP che fornisce
l’energia e le proteine tubulina alfa e beta. Una volta avvenuta la nucleazione si ha la fase di
allungamento, praticamente dalla formazione del primo dimero ne vengono aggiunti altri fino alla
formazione del protofilamento.
Un momento importante della formazione di questi microtubuli è durante la formazione del fuso
mitotico/meiotico durante la divisione cellulare, partono dal centro di organizzazione dei
microtubuli, situato vicino al nucleo posizione occupata dai centrioli,
che sono 2 strutture disposte ortogonalmente, dai centrioli inizia la
nucleazione. I centrioli sono formati da microtubuli ed è presente
anche la tubulina gamma. Nella figura accanto vediamo un
microtubulo che si sta allungando, vediamo che quando si è
polimerizzato il dimero all’estremità + e quindi si sta allungando, il
legame prevede l’idrolisi del GTP, e rimane legato alla tubulina il GDP
(guanosin di fosfato), l’energia è servita per formare il legame al proto
filamento in allungamento all’estremità +, che è quella che espone la
tubulina beta. Nel disegno quando la tubulina beta lega il GTP è in
viola scuro mentre dopo la polimerizzazione è di colore più chiaro e
legata al GDP. La tubulina gamma a livello dei centrioli, forma un
anello per polimerizzazione anulare di questa tubulina, e dall’anello
inizia la polimerizzazione. Quindi avremo all’estremità + la beta
tubulina legata a GTP, e all’estremità - avremo l’alfa tubulina legata al GDP.
I centrioli come si può vedere in figura sono 2
strutture formate da microtubuli, e una volta che
dai centrioli inizia la nucleazione viene definito
centrosoma, perché cambia la conformazione dei
centrioli, dato che si viene ad accumulare la
tubulina gamma e poi inizierà l’allungamento dei
microtubuli. I centrioli sono formati da 9 triplette
di microtubuli, la tripletta è tenuta insieme
saldamente da proteine di connessione e queste
triplette si associano a formare una struttura
sempre cava all’interno, che è il centriolo. Le triplette sono tenute insieme da proteine fibrose, che
fanno sempre parte del citoscheletro che legano le triplette.
I microtubuli non possono allungarsi fino a rompere la membrana, questo non avviene perché nella
membrana sono presenti delle proteine che stabilizzano i microtubuli, il microtubulo arriva con la
sua estremità + su una di queste proteine e insieme fanno sì che avvenga l’allungamento della
struttura cellulare, questo avviene nella divisione mitotica/meiotica, perché la cellula assume quella
struttura allungata che è dovuta a questi microtubuli che stabilizzano la struttura cellulare, questo
è possibile a queste proteine “cappuccio” che permetto alla membrana di allungarsi senza rompersi.
Funzione da binari dei microtubuli
I microtubuli sono anche strutture lungo le quali possono scorrere le proteine motrici, che
trasportano o organelli, oppure le vescicole che devono essere secrete, o che devono arrivare dal
reticolo endoplasmatico al Golgi.
Sono 2 classi di proteine trasportatrici: le chinesine e le dineine, sono diverse perché vanno in
direzione opposta, le chinesine vanno verso l’estremità + del microtubulo cioè in direzione della
membrana plasmatica (movimento centrifugo), entrambe queste proteine usano ATP per cambiare
forma alla porzione globulare della proteina, ed è come se muovesse un passo alla presenza
dell’ATP, con le tubuline del microtubulo. Le dineine hanno un movimento verso l’estremità -, cioè
verso il centro.

Hanno una struttura tale da avere una porzione


per riconoscere le membrane delle vescicole o
degli organelli da trasportare, una porzione
filamentosa e terminano con una porzione
globulare. Queste proteine sono formate da
dimeri cioè una sub-unità che presenta una
porzione che interagisce con il carico, quella
filamentosa e la testa globulare, sono due
monomeri che si associano a dare il dimero;
quindi sono due proteine distinte con la stessa
struttura che per funzionare devono associarsi
per formare la struttura quaternaria e quindi la
proteina funzionale. La porzione globulare con
la quale prendono contatto con il microtubulo
lega l’ATP.
La dineina e chinesina sono strutturate in modo
molto simile (ad eccezione della parte
filamentosa), ma ovviamente hanno sequenze
aminoacidiche completamente differenti;
infatti, sono proteine diverse.
Il cambiamento conformazionale del piede con cui prendono
contatto con il microtubulo cambia forma, sono due queste sub-
unità che cambiando forma si associano o si distaccano dal
microtubulo.
Le proteine motrici si muovono per variazione della conformazione
in seguito all’idrolisi di ATP, quindi sono in grado di legare l’ATP e di
cambiare la conformazione della porzione globulare a contatto con
il microtubulo e si stacca il piede posteriore e si attacca più avanti
come se camminassero su due piedi, la parte che viene legata del
microtubulo è la globulina beta, che prende contatto con
l’estremità globulari delle proteine motrici.

I microtubuli nei flagelli e nelle ciglia:


i microtubuli si trovano anche nei flagelli e nelle ciglia, che si muovono proprio per azione dei
microtubuli e delle proteine motrici.

I flagelli:
sono lunghe proiezioni, cioè è membrana cellulare con citoplasma all’interno riempiti dai
microtubuli; la cellula eucariotica animale che ha un lungo flagello è lo spermatozoo.

Le ciglia:
sono proiezioni più corte e anche loro si muovono; per esempio, le ciglia si trovano a rivestire
l’epitelio respiratorio, cioè le cellule che rivestono l’epitelio presentano ciglia corte in movimento,
che vanno in un’unica direzione perché durante l’inspirazione si può introdurre materiale estraneo
che viene bloccato dalle ciglia, e siccome vanno solo in una direzione questo materiale viene
riportato all’esterno ed eliminato. Altre ciglia si trovano nelle tube uterine,
che si muovono in un’unica direzione per favorire il passaggio dopo la
fecondazione della cellula uovo verso la cavità dove dovrà svilupparsi lo
zigote.

Struttura di un flagello o ciglio eucariotico:


ci sono coppie di microtubuli legati tra loro, che sono collegati da proteine,
che sono sia di struttura che motrici. Il movimento non è uno scorrimento,
ma è limitato e permette che il ciglio/flagello si muova in un’unica
direzione. Le coppie di microtubuli sono collegate tra loro da proteine
motrici, quindi una porzione è ancorata a una coppia del microtubulo
mentre l’altra porzione è formata dalle teste globulari che ancorano il
microtubulo e consumando ATP fanno scorrere la coppia di microtubuli
sull’altra; inoltre, per non far avvenire un movimento inutile, sono legati
anche da proteine di struttura saldamente ancorate alle coppie di
microtubuli che rendono il movimento limitato.
Quindi le proteine motrici fanno sì che il ciglio si pieghi senza far scorrere
troppo i microtubuli perché bloccati dalle proteine di struttura, che
impediscono lo scorrimento completo permettendo al ciglio di piegarsi e poi tornare nella posizione
iniziale.
Un altro ruolo svolto dai microtubuli è quello di ancorare i cromosomi con l’estremità + e
dall’estremità – si accorcia e quindi i cromosomi vengono separati.

I filamenti intermedi
-danno forma e stabilità alla cellula;
-resistenza alle cellule, infatti costituiscono il cortex cellulare e la membrana basale nucleare;
-non sono presenti nei vegetali, poiché hanno la parete di cellulosa, perciò non hanno bisogno di
una struttura che conferisca loro resistenza;
-sono proteine molto abbondanti nelle cellule epiteliali, perché l’epitelio è più sottoposto a stress
meccanico perchè riveste l’organismo;
-formano i desmosomi, strutture proteiche che si trovano nella membrana delle cellule e servono
per ancorare le cellule tra di loro e per ancorarle alla matrice extracellulare.
Possono essere citoplasmatici o anche nucleari, cioè sono anche proteine che vanno a costituire la
lamina nucleare, le proteine della lamina nucleare si chiamano lamine, sono fibrose e si trovano in
tutte le cellule eucariotiche animali.
I filamenti intermedi citoplasmatici, cioè che si trovano nel citoplasma, sono costituiti da proteine
che dipendono dal tipo cellulare: molte sono proteine cheratine che si trovano in tutti gli epiteli, e
sono molto abbondanti perché sono cellule che servono a formare un tessuto di difesa per
l’organismo; i neurofilamenti abbondanti negli assoni delle cellule del sistema nervoso ;e altre
proteine dette vimentine o vimentine simili che si trovano nel tessuto connettivo, quello che collega
le cellule insieme nei tessuti, ne è ricco il tessuto muscolare in cui il tessuto connettivo costituisce i
tendini.

Struttura:
sono proteine fibrose, filamentose, monomeri di singole
proteine che si associano a formare dimeri, dati
dall’avvolgimento a spirale di due monomeri, due dimeri
si associano tra loro a formare un tetramero (4
monomeri) che poi si dispongono in una struttura simile
ad una trama di un tessuto, (come in figura) formata da
tutte queste proteine strettamente ancorate tra loro,
che una volta formato il tessuto di base si avvolge su sé
stesso, quindi la struttura risultante ha un’alta resistenza
meccanica e questa fibra finale va a costituire il
citoscheletro.
In questa figura c’è un ingrandimento a destra, in cui si
vedono due membrane che sono di due cellule adiacenti
in un epitelio, queste cellule, dato che questo tessuto epiteliale serve da protezione, devono essere
saldamente unite le une alle altre, le due membrane sono mantenute a stretto contatto. Quello che
mantiene vicine le membrane sono i desmosomi, cioè placche proteiche che si trovano sulle
membrane di due cellule adiacenti e che sono collegate tra loro con proteine fibrose, da proteine
simili alla cheratina o cheratina stessa. Da queste placche proteiche separate e distinte che si
trovano sulle due membrane delle due cellule adiacenti, si hanno proteine di connessione che
collegano i due desmosomi; da queste placche verso il citoplasma si trovano le proteine del
citoscheletro (i filamenti intermedi) che danno resistenza al tessuto e una stabilità di forma alle
cellule che compongono il tessuto. Le proteine sono sempre filamentose, molte sono cheratine però
molte assumono anche altri nomi perché sono costituite da proteine molto simili tra di loro ma non
dalle stesse.

Neurofilamenti:
sono sempre proteine
fibrose, che si trovano
lungo l’assone (parte
allungata della cellula
nervosa), dove si trovano
anche i microtubuli, che
servono a portare le
vescicole prodotte dalla cellula fino all’estremità dell’assone dove verranno liberate e avverrà il
contatto tra la cellula nervosa e un’altra cellula che sarà o nervosa o muscolare, perché le cellule
comunicano tra loro.

Lamina nucleare:
sulla membrana nucleare interna si trova aderente lo strato della lamina nucleare che è formata da
proteine fibrose filamentose, che mantengono distesa la membrana nucleare e si ancorano alle
proteine dell’anello circolare dei pori nucleari, ed ancorano la cromatina. La cromatina non è
sparpagliata a caso nel nucleo, ma si trova in zone ben definite (così come i cromosomi) si localizza
in zone legandosi alla proteine globulari che si associano alla lamina nucleare, sempre con legami
deboli, non covalenti, sono interazioni tra gli amminoacidi che compongono queste proteine (le
proprietà singole di ogni amminoacido andranno a influenzare le caratteristiche della proteina). Una
proteina composta prevalentemente da amminoacidi idrofobici sarà una proteina globulare,perché
gli amminoacidi idrofobici verranno mantenuti all’interno della struttura perché non possono
andare in contatto con l’acqua, dato che il citoplasma e il nucleoplasma sono soluzioni acquose
idrofile. Mentre le proteine filamentose, come quelle dei filamenti intermedi sono formate
prevalentemente da amminoacidi idrofili, che quindi possono prendere liberamente contatto con
l’acqua senza provocare precipitazioni.

L’adesione tra cellule e la matrice extracellulare


L’adesione tra cellule e con la matrice extracellulare dipende dal tipo di cellula; in base al tipo di
cellula si formerà un determinato tessuto, le cellule in un tessuto devono essere necessariamente
in contatto come abbiamo visto nell’epitelio.
Anche nell'intestino le cellule devono essere tenute molto vicine per impedire che il materiale passi
attraverso una cellula e l’altra e arrivi nei tessuti extracellulari e crei dei fenomeni infiammatori, ma
devono essere anche in comunicazione tra di loro, in modo che quello che avviene in una cellula sia
contemporaneo in tutte le cellule adiacenti, questo vale ancora di più per le fibre che compongono
il tessuto muscolare, perché la contrazione deve essere contemporanea in tutte le fibre.
Le cellule oltre che ad interagire tra di loro, devono interagire anche con l’esterno, con l’ambiente
extracellulare, che è ricco di proteine fibrose che costituiscono la matrice extracellulare, formate
prevalentemente da amminoacidi idrofili, che possono trovarsi in ambiente acquoso.

Nella figura si vede il doppio strato


fosfolipidico con ancorate le proteine
trans membrana, e che nella parte
extracellulare interagiscono con una rete
fittissima e varia di molecole,
macromolecole e polimeri, che sono
parte della matrice extracellulare.

Nel disegno troviamo due


cellule aderenti tra di loro, che
hanno le membrane in
contatto tra di loro, questo
tipo di contatto è dovuto alla
presenza di alcuni tipi di
proteine che vanno a
costituire le giunzioni cellulari.
Quindi proteine
transmembrana che
interagiscono con proteine
simili transmembrana della
cellula adiacente. Queste sono
le giunzioni che vengono
definite giunzioni strette o
serrate o occludenti, queste proteine fanno sì che in quel punto le due membrane siano
strettamente unite. Sono proteine non molto estese, ma sono dei punti proteici che sono distinti
tra le due membrane, che però prendono stretto contatto tanto da avvicinare le due membrane e
da non far passare materiale nello spazio tra le due membrane.
In questo disegno vediamo due cellule dell’epitelio intestinale, che presentano i villi e nella parte
apicale delle membrane di queste cellule sono presenti numerose giunzioni occludenti, in modo da
impedire che il liquido che si trova nell’intestino passi attraverso le membrane delle due cellule
adiacenti. Quindi in tutti quei tessuti in cui è importante che non ci sia passaggio di materiale tra le
membrane delle cellule si trovano le giunzioni occludenti, come per esempio gli epiteli.
Queste proteine delle giunzioni occludenti, nel citoplasma prendono contatto con i microfilamenti
di actina, (si può vedere in figura che si legano a quelle specie di catenelle che sono i microfilamenti
di actina) sono costituiti da proteine transmembrana che si legano nelle due membrane, che
rimangono sempre due entità distinte, ma tenute molto vicine dalle proteine di queste giunzioni.
All’opposto delle giunzioni occludenti ci sono le giunzioni comunicanti, e queste nel disegno si
trovano verso la parte basale della cellula, cioè nella parte della membrana più profonda opposta al
lume intestinale. Le giunzioni comunicanti sono formate da proteine transmembrana che però
formano dei canali, un po’ come i pori nucleari, senza selezione, quindi solo proteine che aprono un
varco nelle due membrane lipidiche e permettono la comunicazione e il passaggio di tutto il
materiale che si trova nel citoplasma delle due cellule, in modo che tutte le cellule di quel tessuto
contemporaneamente contengano la stesso materiale, così il contenuto citoplasmatico è uguale in
tutte le cellule. Queste giunzioni non avvicinano le due membrane come facevano le giunzioni
occludenti, ma rimangono un po’ distanziate.
Infine vediamo i desmosomi, formati principalmente da cheratina, simili a bottoni colorati in rossi
in figura, bottoni proteici che occupano una grossa superficie della membrana e ne sono fortemente
ancorati, che però presentano sulla porzione extracellulare delle proteine filamentose che ancorano
il desmosoma della cellula adiacente. Quindi sono strutture che servono per mantenere stabile la
struttura stessa, nella parte citoplasmatica si ancorano a dei filamenti intermedi del citoscheletro e
quindi stabilizzano la struttura cellulare.
Materia e lezione Biologia lezione 11

Data 08/11/2021

Professore Modesti

Coppia Gaia Crociani/ Francesca Faraci

Nell’ultima lezione stavamo parlando dei sistemi attraverso i quali le cellule sono in grado
di essere in stretto contatto con le cellule adiacenti e con la matrice extracellulare, ossia
quell’insieme di proteine fibrose che si trovano fuori dalle cellule e che consentono di
ancorare le cellule per dar luogo ai tessuti.
Avevamo visto le giunzioni strette che impediscono il passaggio di materiale
extracellulare tra le membrane di due cellule adiacenti e poi le giunzioni comunicanti che
sono dei sistemi proteici che formano dei pori sulle membrane delle due cellule adiacenti
ed entrano in contatto tra di loro; quindi, sono proteine che si trovano separatamente
sulle membrane delle due cellule che sono a contatto e sono le proteine stesse che
prendono contatto con le proteine di giunzione della cellula adiacente. Si chiamano
giunzioni comunicanti perché consentono la comunicazione tra il citoplasma delle due
cellule adiacenti, per cui all’ interno, nelle cellule che si trovano vicine in un tessuto, le
attività sono coordinate perché passano gli ioni (che non potrebbero attraversare il
doppio strato fosfolipidico). Ad esempio, nel caso delle cellule nervose consentono il
passaggio dell’impulso nervoso proprio perché consentono il passaggio degli ioni e
permettono ai messaggeri chimici, che arrivano ad una cellula, di essere trasferiti anche
alle cellule adiacenti.
In questa fotografia al
microscopio elettronico e nel
disegno vediamo quello che
abbiamo detto, cioè che queste
proteine sono un po’ come i
pori del nucleo, che sono
formati sempre da proteine che
attraversano il doppio strato e
quindi vuol dire che sono
proteine che presentano delle
porzioni di amminoacidi
idrofobici con cui possono
prendere contatto con le code
dei fosfolipidi. Come vediamo dal disegno sono ben distinte le proteine di un canale con
quelle di un altro però sono in contatto tra di loro; perciò, le due membrane sono
separate tra di loro. Queste proteine sono costituite da 6 unità e formano un canale;
quindi, vuol dire che sono 6 proteine distinte con struttura identica che però funzionano
solo se sono tutte e sei in associazione.
Quindi vediamo anche che secondo quali stimoli riceve la cellula questi canali possono
aprirsi o chiudersi; quindi, non sempre il citoplasma delle cellule che fanno parte di un
tessuto è in comunicazione, dipende dal tipo di tessuto/cellula/dallo stimolo che la cellula
riceve; quindi, l’apertura di questi canali dipende dallo stato del momento fisiologico
della cellula.
In questo esempio vediamo perché
e dove si trovano queste giunzioni
sulle membrane di due cellule
adiacenti che fanno parte
dell’epitelio intestinale. È tipico
perché qui svolgono un ruolo molto
importante, infatti possiamo vedere
all’apice del disegno i villi,
estroflessioni del citoplasma e della
membrana (che, come abbiamo già
visto, contengono al loro interno
molti filamenti di actina che
mantengono la forma eretta di
questi villi) e al livello di questi c’è il
trasporto attivo secondario per cui
lo ione Na+ viene riversato
all’esterno della cellula e lo ione K+
all’interno. Lo ione Na+ si accumula
nel lume intestinale e favorisce l’ingresso della molecola del glucosio attraverso il
simporto per cui c’è una proteina che secondo gradiente porta il glucosio e lo ione sodio
all’interno della cellula nel citoplasma, secondo gradiente perché aumenta sempre la
concentrazione di ione sodio nel lume intestinale favorendo l’ingresso di tutte le molecole
di glucosio al livello intestinale e questo favorisce anche l’assorbimento totale del
glucosio che è un nutriente fondamentale, perché da esso si estrae velocemente
l’energia. Quindi tutto il glucosio si concentra nel citoplasma della cellula intestinale,
aumentando la sua concentrazione. Le giunzioni strette che si trovano nei punti di
contatto tra due cellule adiacenti ma verso il lume intestinale (la parte apicale di queste
cellule) impedisco che il glucosio passi attraverso le due cellule e che si ritrovi nei liquidi
extracellulari e per cui non potrebbe essere utilizzato, non entrando nella circolazione
sanguigna per poi essere distribuito in tutte le cellule.
Al livello di queste membrane troviamo dei trasportatori passivi del glucosio che
consentono il passaggio di esso nei vasi sanguigni; quindi, la molecola di glucosio che è
più concentrata, a questo punto, nel citoplasma passa secondo gradiente e attraverso il
trasportatore passivo al livello dei vasi --> quindi abbiamo una diffusione facilitata ma allo
stesso tempo anche semplice perché è passiva. Questo è possibile perché nel sangue la
concentrazione di glucosio è più bassa rispetto a quella del citoplasma delle cellule.
Quindi le giunzioni strette fanno sì che le proteine di trasporto del glucosio passivo non si
muovano e non migrino verso i villi. Perché lo farebbero? Perché la membrana è un
modello fluido quindi le proteine/i fosfolipidi possono muoversi liberamente lungo la
membrana e quindi potrebbero spostarsi verso i villi intestinali. Le giunzioni strette
impediscono questo passaggio e li tengono fissi alla membrana basale dove devono
essere concentrati per far sì che il glucosio passi secondo gradiente verso il sangue,
impediscono che questi si trovino dove invece il glucosio deve essere assorbito e dove ci
dovrà essere la massima concentrazione del trasporto attivo secondario.
Possiamo vedere che nulla è casuale ma tutto è messo al suo posto e ha un ruolo ben
preciso.
Vediamo quali sono quei sistemi di contatto tra membrane di cellule adiacenti che
servono per mantenere saldo il tessuto, per legare saldamente le cellule tra di loro che
serve fondamentalmente a dare un sostegno/un’architettura alla cellula del tessuto.
Questi desmosomi sono chiamati placche proteiche che si trovano al livello della
membrana interna della cellula che hanno un diametro piuttosto grande (circa 1 micron, la
stessa dimensione più o meno del
mitocondrio). Queste placche proteiche ben
aderenti alla membrana con dei filamenti
proteici.
Dalla parte citoplasmatica questa placca
proteica si ancora ai filamenti intermedi
(formano la rete di supporto) della cellula
stessa.
Nella porzione extracellulare si espongono
verso il desmosoma della cellula adiacente
altri filamenti proteici che vengono chiamati
caderine. Le caderine sono proteine che si
estendono verso la parte extracellulare e
prendono contatto con le caderine del
desmosoma di una cellula adiacente.
Nel disegno vediamo un forte
addensamento proteico dato da queste
placche adese alla membrana.

Queste proteine di adesione hanno un’interazione


con le proteine della cellula adiacente, in questi
tre disegni vediamo come le cellule sono in
contatto /come si riconoscono/come aderiscono
tra di loro; questa interazione avviene sempre
attraverso le proteine che sono ben ancorate alla
membrana cellulare; quindi, presentano delle
porzioni idrofobiche con cui possono
interagire/ancorarsi (sempre con legami deboli)
con i fosfolipidi di membrana.
L’interazione può essere tra proteine dello stesso tipo (ad esempio due caderine), questa
viene chiamata interazione omofilica; oppure tra proteine diverse (ad esempio una
proteina recettore e una che riconosce, chiamato sistema di riconoscimento individuale
costituito da proteine specifiche), questa interazione viene chiamata eterofilica; oppure
l’interazione mediata da una proteina intermedia, quindi due proteine uguali sulle
membrane che riconoscono una terza proteina che si deve inserire tra le due (proteine
recettoriali che riconoscono un mediatore).
Ricordiamo che tutte queste interazioni sono deboli! Non si formano mai legami covalenti
tra le proteine; gli amminoacidi di quelle proteine riescono ad interagire tra di loro con
legami deboli (ad esempio legame ionico, ponti ad idrogeno, legami idrofobici).
Guardando le giunzioni aderenti
(di cui fanno parte i desmosomi)
analizziamo l’interazione tra le
caderine. Le caderine sono
formate da una porzione
idrofobica con cui si ancorano
saldamente al doppio strato
fosfolipidico e delle porzioni
extracellulari che sono in grado di
interagire con il calcio, il quale
favorisce le interazioni; infatti,
una volta avvenuto il legame tra
le proteine e il calcio, queste
sono in grado di legarsi in modo
reversibile tra di loro nello spazio extracellulare.
Le caderine sono ancorate nello spazio intracellulare, possono attraversare il doppio
strato fosfolipidico e in alcune cellule sono legate ai microfilamenti di actina o filamenti
intermedi attraverso delle proteine di giunzione, che sono chiamate catenine.
Possiamo vedere che in realtà la composizione delle proteine che può sembrare semplice,
in realtà è dovuta all’associazione di proteine diverse che devono essere tutte quante
presenti perché possa essere svolta quella specifica funzione. Quindi le caderine sono in
contatto con i filamenti del citoscheletro attraverso delle proteine chiamate catenine,
sono proteine distinte con la loro struttura primaria, secondaria e terziaria; se non
raggiungono il giusto folding non funzionano e si ha un’alterazione dell’architettura del
tessuto della cellula.
Accanto vediamo un altro tipo di proteine che si chiamano molecole di adesione cellulare
(CAM) che anche loro sono proteine che interagiscono e queste non necessitano dello
ione calcio, quindi sono diverse.
Sono numerose le proteine che formano le giunzioni aderenti, dipende dal tipo di tessuto
che si considera.
Nell’immagine vediamo le differenti proteine transmembrana
che mediano le interazioni cellula-cellula: molte sono integrine
(danno l’integrità al tessuto stesso), alcune sono proteine
appartenenti alla famiglia delle immunoglobuline (quindi
alcune di queste funzionano come proteine di adesione
cellulare).

Un’altra interazione, che è molto simile a quella che


avviene nei desmosomi tra le cellule adiacenti, è quella
dell’interazione cellula-substrato, questa è opera delle
strutture chiamate emidesmosomi: sono strutture
asimmetriche perché la placca proteica si trova solo al
livello della membrana interna della cellula e nella
porzione della membrana esterna che prende contatto
con le fibre della matrice extracellulare.
Questo tipo di interazioni cellula-substrato sono
mediate prevalentemente da una famiglia di proteine
chiamate integrine; quindi, le integrine si trovano negli
emidesmosomi ed ancorano le fibre della matrice
extracellulare. Sono costituite, nella porzione
intracellulare, come i desmosomi (ovviamente
con tipologie di proteine diverse), con placca
proteica adesa alla membrana che si ancora ai
filamenti intermedi (ciò mantiene salda la
cellula al tessuto), mentre nella porzione
extracellulare si estroflettono e si legano alle
fibre della matrice.
Qui abbiamo il riassunto dell’adesione tra
cellule: giunzioni strette, giunzioni aderenti,
desmosomi e giunzioni comunicanti. Nella
foto al microscopio vediamo due cellule
sempre dell’apparato intestinale. Per quanto
riguarda l’adesione tra cellula-matrice:
emidesmosoma (simile all’adesione focale).
MATRICE EXTRACELLULARE
La matrice extracellulare è un insieme di proteine e di catene polisaccaridiche che si
legano con legami covalenti alle proteine fibrose sotto forma di proteoglicani. Questa
classe di polisaccaridi è anche chiamata: glicosamminoglicani (GAG).
Tra le proteine fibrose abbiamo il collagene (la molecola più abbondante nel regno
animale, mentre la cellulosa nel vegetale), elastina (i tessuti sono ricchi di questa proteina
che conferisce elasticità evitando rotture meccaniche nel tessuto), fibronectina e laminina.
Queste proteine sono fibrose perché sono formate da amminoacidi idrofili e quindi
possono dare una struttura tridimensionale filamentosa potendo prendere contatto con
l’ambiente acquoso del liquido extracellulare. Le proteine globulari sono formate per la
gran parte da amminoacidi idrofobici che vengono racchiusi all’interno per evitare il
contatto con l’ambiente acquoso che si trova nel citoplasma e nel liquido extracellulare.
Quindi la forma delle proteine è consentita dalla struttura amminoacidica ma allo stesso
tempo condizionata dall’ambiente che le circonda (ambiente idrofilo/idrofobico). Queste
proteine hanno funzioni sia strutturali che adesive (collagene incolla le cellule tra di loro in
un tessuto).
I glicosaminoglicani sono formati da polimeri
di zuccheri modificati (glucosio modificato),
uno di questi è la N-acetilglucosammina che
abbiamo trovato anche nella parete batterica.
La N-acetilglucosammina, insieme all’acido
glucoronico, va a formare dei dimeri, il
susseguirsi dei dimeri forma un polimero, il
glicosaminoglicano che va ad ancorarsi ad una
proteina filamentosa che serve come supporto
a questo lungo filamento. La proteina fibrosa di struttura può variare.
Quindi catene di glicosaminoglicani si legano covalentemente ad un filamento proteico
(le sferette colorate in viola nell’immagine).
Queste strutture complesse di proteoglicani si associano ad un polisaccaride (ad esempio
l’acido ialuronico) formando questo polimero che si lega in modo covalente con funzione
di supporto a questi aggregati. Questa è una struttura non tanto complessa come
composizione essendo zuccheri e proteine, ma piuttosto come struttura ramificata e
articolata che forma una rete
all’esterno delle cellule e le mantiene
insieme.

Oltre a questa struttura di proteoglicani nella matrice extracellulare troviamo: collagene


elastina, fibronectina e laminina.
Collagene
● È la proteina più abbondante nel regno animale e circa il 25% del peso di un
individuo è costituita da questa proteina. È una proteina prodotta dalle cellule
chiamate fibroblasti e sono le cellule che fanno parte del tessuto connettivo, il
tessuto che collega le cellule tra di loro (in tutti gli organi è presente il connettivo),
quindi esistono cellule specializzate (fibroblasti condroblasti ed osteoblasti) nella
sintesi e secrezione di questa proteina, ma anche delle altre proteine (fibronectina
e proteoglicani);
● È una proteina molto antica, è stato ritrovato in strutture di 600 mln di anni fa;
● Ha una composizione particolare di tre amminoacidi semplici: glicina (è 1/3 del
peso di questa proteina), lisina e prolina che vengono modificati aggiungendo
gruppi ossidrilici (vengono idrossilati) mediante una modifica post traduzionale.
Questa modifica avviene dopo la traduzione ed inizia già al livello del RE, se la
modifica non avvenisse il collagene non svolgerebbe la sua funzione creando
patologie;
● È costituito dal tropocollagene che è
formato da tre filamenti polipeptidici
separati che sono avvolti a spirale su loro
stessi; quindi, abbiamo la struttura terziaria
che è l’avvolgimento della singola catena a
spirale e la struttura quaternaria che è data
dall’assemblaggio di queste tre catene separate. Le tre catene che formano la
struttura quaternaria sono tenute assieme da legami deboli, in questo caso da
legami a ponte H che sono dovuti alla presenza dei gruppi ossidrilici che vengono
formati in seguito alla modifica post-traduzionale (ossia l’idrossilazione).
In questo elenco troviamo molte patologie dovute all’alterazione di uno dei monomeri
del collagene; non esiste un gene unico che sintetizza le varie tipologie di questa
proteina. Le varie tipologie di collagene si trovano in tessuti differenti.
Questa freccia fa vedere l’alterazione più diffusa del collagene VI che provoca la miopatia,
alterazione del tessuto muscolare (il quale è ricco di collagene e fibroblasti che lo
producono); se c’è un’alterazione nel gene che codifica per questo collagene, la proteina
è alterata e quindi si ha una malattia genetica che porta come fenotipo esterno,
l’alterazione del tessuto muscolare.

Una delle modifiche post-traduzionali è quella dell’idrossilazione: aggiunta del gruppo


ossidrile per azione di un enzima. Nell’immagine
vediamo a sinistra la prolina e a destra la prolina
idrossilata dalla prolina idrossilasi che forma
l’idrossiprolina. Per far sì che il collagene venga
idrossilato al livello della prolina e lisina deve essere
presente l’acido ascorbico (vitamina C), la lisina
idrossilata verrà ulteriormente modificata con l’aggiunta di un gruppo glicidico
(glicosilata).
-Perché sono importanti queste modifiche e perché potrebbero non avvenire? Perché
può esserci una mutazione genetica per cui non esiste l’enzima prolina idrossilasi, oppure
ha un malfunzionamento, oppure può mancare l’acido ascorbico, provocando lo scorbuto
--> carenza di vitamina C, -quali sono i sintomi? Le mucose che sanguinano perché il
tessuto connettivo non è più resistente da contenere gli stessi vasi sanguigni, ritornando
ad un’alimentazione con vitamina C questa patologia passa. Quindi la presenza
dell’enzima e della vitamina consentono la modifica post-traduzionale della prolina e
lisina del collagene e quindi della sintesi di un collagene elastico e che darà una
consistenza adeguata al tessuto connettivo.
Elastina
● È costituita da tante subunità con una struttura ad elica che sono tenute insieme da
proteine che formano legami covalenti tra i residui di lisina; quindi, queste proteine
singole sono tenute insieme da legami covalenti tra i residui dell’amminoacido
lisina di cui è ricca questa proteina.
● Conferisce elasticità, flessibilità, si trova in tutti i tessuti che devono espandersi (ad
esempio i polmoni e vasi sanguigni).
Fibronectina: sono una famiglia di proteine che
servono soprattutto ad ancorare le cellule alla
matrice extracellulare.
Nel disegno a dx vediamo che sono formate da due
subunità che sono tenute insieme nella parte apicale
da legami covalenti (legami di solfuro). A dare la
struttura terziaria alla proteina ci sono tutti legami
deboli tranne uno che è covalente, ossia il legame di
solfuro tra i due atomi di zolfo della cisteina che
viene ossidato da cisteina ossidata a cisteina di
legame di solfuro. Una modifica post-traduzionale
che è di tipo covalente.
Questo legame tiene unite due subunità dove sono
presenti tante porzioni di sequenze amminoacidiche
che hanno funzioni di ancorarsi alla membrana o di
ancorarsi alla fibrina oppure legare un’altra serie di
proteina che fanno parte sempre all’ancoraggio della
cellula o fanno parte della matrice.
Laminine: sono una classe presente principalmente al
livello della membrana basale e si ancorano ad essa.
Nell’immagine possiamo vedere come sono
strutturate, in genere sono tre subunità che si
avvolgono a spirale e presentano un dominio con il
quale si ancorano alla membrana ed uno con cui si
ancorano alle fibre della membrana basale.
ENERGIA ED ENZIMI
-Come fa una cellula a vivere? Una cellula vive perché ha energia che può utilizzare per
compiere lavori, però l’energia, come sappiamo dalla fisica, non si crea e non si distrugge
ma si trasforma. Abbiamo già accennato che le cellule sono in grado di trasformare
l’energia, cioè trasformare l’energia luminosa in chimica (fotosintesi) e poi trasformare
l’energia chimica (che si trova sotto forma di legami tra atomi di composti organici) in
un'altra forma di energia chimica che è l’ATP.
-Chi è che riesce a fare tutto ciò? Gli enzimi, che sono delle proteine/catalizzatori che
favoriscono le reazioni chimiche. In una cellula tutte le reazioni che avvengono possono
avvenire anche senza i catalizzatori ma avverrebbero così lentamente che non sarebbero
compatibili con la vita.
-Cos’è questa energia? Non è altro che il passaggio degli elettroni, quindi l’ossidazione e
riduzione sono delle reazioni chimiche che avvengono nelle cellule e quindi avvengono
per liberazione di elettroni. Questi elettroni che vengono ceduti dalla molecola che si
ossida non vengono acquisiti immediatamente da quella che si riduce, ma vengono
ceduti ad un trasportatore, perché saranno quest’ultimi che poi al livello del mitocondrio
serviranno per produrre ATP. Quindi esiste un ciclo dell’ATP che è collegato al trasporto
degli elettroni. Questi elettroni nella cellula vengono ceduti all’ossigeno, quindi una
cellula respira, perché utilizza O2 per acquistare gli elettroni che si liberano dalle reazioni
di ossido-riduzione. Una cellula può anche sintetizzare/formare legami quindi: dove li
prende gli elettroni? Li prende dalle reazioni di ossido-riduzione, ma vengono depositati
su un trasportatore che è diverso da quello che porta gli e- all’ossigeno, ma comunque è
simile agli altri trasportatori.
Abbiamo visto che gli alimenti che introduciamo vengono utilizzati come materia prima
per la sintesi delle molecole che servono alla cellula e come carburante. Quindi le
macromolecole subiscono un primo processo nel metabolismo iniziale che è la
digestione. Questi polimeri vengono scissi nelle singole componenti e vengono assorbite.
Queste componenti possono essere utilizzate per la sintesi e come carburante (vengono
preferiti i monosaccaridi come carburante, ma nel caso non ci fossero possono essere
utilizzati anche gli altri nutrienti). Come carburante perché nella respirazione cellulare
vengono trasformati in energia sottoforma di ATP che a sua volta servirà per le sintesi e
per mantenere le funzioni vitali: movimento, accrescimento, riproduzione, lavoro cellulare,
mantenere l’omeostasi (ossia mantenere la concentrazione salina adeguata), per la sintesi
di proteine o altre macromolecole. Quindi
l’energia è fondamentale.
Parliamo della bioenergetica, alla base della
quale esistono i principi della
termodinamica per cui l’energia non si crea
ma si trasforma; l’energia luminosa è quella
fondamentale che viene trasformata dagli
organismi autotrofi attraverso la fotosintesi
in carboidrati, i quali in presenza di
ossigeno nella respirazione cellulare
vengono ossidati, ossia viene estratta
energia. Questo processo avviene negli organismi eterotrofi ma anche negli autotrofi. In
questo processo si libera acqua e CO2 (carbonio completamente ossidato).
-Cosa avviene nei sistemi
biologici? Avviene un processo
simile a quello che avviene nel
motore a scoppio di un’auto, per
cui il carburante per l’auto sono
gli idrocarburi (lunghe catene di
atomi di carbonio in forma
ridotta) mentre per le cellule è il
glucosio (carbonio in forma
ridotta). Quindi il combustibile in
presenza di ossigeno viene
ossidato, una parte di energia
viene trasformata in calore
dissipato e una parte viene
trasformato in energia cinetica.
Nella cellula i composti organici in presenza di O2, nel mitocondrio, vengono ossidati a
CO2 e l’energia viene trasformata in ATP, mentre una parte viene dissipata sotto forma di
calore. Questo ATP serve alla cellula per compiere i suoi lavori, i prodotti finali della
respirazione cellulare sono acqua e anidride carbonica. Quindi le reazioni che trasformano
l’energia sono reazioni di ossidazione-combustione (combustione controllata).
I principi della termodinamica:
- 1° principio: prima e dopo una trasformazione chimica l’energia viene mantenuta
costante;
- 2° principio: è mantenuta costante l’energia totale, ma quella che può essere
utilizzata di nuovo per altre trasformazioni è minore rispetto a quella prima; questo
perché una parte di energia viene dissipata sotto forma di calore (energia
inutilizzabile). In un sistema chiuso, alla fine, l’energia utilizzabile si esaurisce,
quindi si ha un accumulo dell’energia inutilizzabile. La cellula è un sistema aperto,
quindi l’energia entra dall’esterno, viene trasformata ma finché c’è il sole, l’energia
è sempre presente.
Quindi la prima e la seconda legge della termodinamica dicono che: l’energia
dell’universo è costante però l’entropia (ossia l’energia inutilizzabile) è in continuo
aumento.
Ci interessa sapere la variazione dell’energia libera prima e dopo, cioè la variazione tra il
passaggio di quello che è un reagente che viene trasformato in un prodotto. Quindi
l’energia libera del reagente e quella del prodotto sono differenti e noi dobbiamo andare
a vedere il δG (delta G), ossia la variazione di quella che è l’energia libera del sistema.
Nell’immagine vediamo le formule del principio della termo dinamica, ma quello che ci
interessa è che l’energia disponibile (ossia la variazione di energia libera) è praticamente
uguale al lavoro utilizzabile + l’energia dispersa.
L’energia libera non è altro che la quantità di energia che si libera quando un reagente
viene trasformato in un prodotto in una reazione chimica. Ad esempio, tra i legami degli
atomi di carbonio del glucosio il lavoro che viene compiuto e l’energia dissipata dal
sistema.

Quindi la variazione di energia libera indica:


se una reazione assorbe energia; quindi, non
è spontanea (in che direzione va la reazione)
e dà la quantità di lavoro utilizzabile in quel
processo specifico. Quindi se una reazione
ha un deltaG negativo vuol dire che
l’energia dei reagenti è maggiore di quella
dei prodotti e questa sarà una reazione
spontanea/irreversibile, viceversa se il
deltaG è positivo la reazione non sarà
spontanea ed avrà bisogno di energia per
avvenire. Se il deltaG = 0 siamo in una
condizione di equilibrio.
Quindi il deltaG è dato dall’energia libera contenuta nei prodotti – l’energia dei reagenti.
Se è negativa vuol dire che l’energia dei
reagenti è superiore a quella dei prodotti e
quindi la variazione è negativa --> reazione
spontanea. Nel primo disegno vediamo una
pallina che rotola in discesa perché l’energia
potenziale è maggiore rispetto a quella che
possiede la pallia in fondo; quindi, in questo
caso la pallina sopra (reagenti) ha un’energia
maggiore della pallina in basso (prodotti) -->
reazione esoergonica (spontanea).
Al di sotto abbiamo una reazione
endoergonica, perciò, bisogna fornire energia
alla pallina per salire e quindi i prodotti
avranno un’energia superiore.
Materia e lezione: Biologia lezione 12
Data: 10/11/21
Professore: Modesti
Coppia Carlotta Corsini/Cecilia Aiolfi

L’ENERGIA DI ATTIVAZIONE
Avevamo visto che a guidare le reazioni chimiche in biologia, quindi tutte le reazioni del
metabolismo, è l’energia del sistema, cioè l’energia libera contenuta nei reagenti, che
viene trasformata durante la reazione e di cui viene liberata una determinata quantità,
uguale alla variazione di energia libera tra quella dei prodotti e quella dei reagenti.
Abbiamo visto che esistono reazioni esoergoniche, cioè quelle che avvengono
spontaneamente, in cui il prodotto ha un’energia libera inferiore rispetto a quella del
reagente (quindi viene liberata energia) e reazioni endoergoniche, che invece non
avvengono spontaneamente, ma soltanto se viene somministrata energia dall’esterno.

Anche le reazioni spontanee, però, hanno bisogno di un innesco energetico: è necessario


che le molecole entrino in contatto tra di loro nel corretto orientamento chimico per poi far
avvenire la reazione e ottenere i prodotti, liberando la quantità di energia libera contenuta
all’interno dei prodotti. L’energia iniziale si chiama energia di attivazione. Aumentando la
temperatura, aumenta l’energia cinetica con cui le molecole urtano tra di loro, si
somministra ulteriore energia ed è più facile che le molecole entrino in contatto con il
corretto orientamento. Questa energia di attivazione porta alla formazione di un complesso
che viene chiamato stato di transizione. Nelle reazioni chimiche che avvengono all’interno
delle cellule prende parte una molecola che è l’enzima, che abbassa l’energia di
attivazione, cioè favorisce l’avvicinamento delle molecole nel corretto orientamento. Quindi
anche le reazioni esoergoniche necessitano di una quantità iniziale di energia (energia di
attivazione), ma questa energia di attivazione è ridotta per opera degli enzimi.

Qui possiamo osservare l’andamento dell’energia contenuta nei reagenti. C’è un picco di
energia da somministrare, cioè la quantità di energia posseduta dallo stato di transizione,
una molecola data dall’unione dei due reagenti che però non corrisponde ancora al
prodotto finale. Le due molecole dei reagenti si stanno orientando per poi far avvenire la
reazione, liberare l’energia contenuta e formare i prodotti.
Nei due disegni vediamo il salto che la pallina deve fare per riuscire a percorrere la
discesa liberando la propria energia potenziale.

ENZIMI
Abbiamo detto che esistono delle molecole proteiche, gli enzimi, che abbassano il salto
energetico favorendo gli urti e l’avvicinamento dei reagenti perché poi vengano trasformati
in prodotti.

Nel disegno, la
barriera di energia di
attivazione fa sì che le
molecole debbano fare
un salto energetico per
poi passare ad un
livello inferiore e dare i
prodotti. Questi sono
inferiori rispetto ai
reagenti, perché
alcune delle molecole dei reagenti riescono a passare (raggiungendo il valore di energia di
attivazione), ma molto più lentamente rispetto alla condizione in cui questa barriera
energetica viene abbassata grazie alla presenza dell’enzima, che favorisce il salto
energetico delle molecole e poi il raggiungimento del livello inferiore, perché tutto,
nell’universo, tende al minor livello energetico possibile, le molecole tendono alla
degradazione e quindi ad arrivare a valori di energia potenziale e libera più bassi possibile.

Questo è il grafico della quantità di energia necessaria perché un reagente possa


trasformarsi in prodotto in una reazione esoergonica (quindi con ΔG negativo, perché
l’energia dei prodotti è inferiore rispetto a quella dei reagenti). Nella reazione non
catalizzata il salto energetico dell’energia di attivazione è molto maggiore rispetto al salto
(comunque sempre presente) di energia presente nella reazione catalizzata.

Questo vuol dire che gli enzimi accelerano le reazioni chimiche, cioè sono catalizzatori
inorganici (come metalli nella chimica industriale), utilizzati per far avvenire le reazioni
chimiche più velocemente. Sono proteine, quindi hanno una struttura primaria, secondaria
e terziaria, dove la primaria condiziona la secondaria e la secondaria condiziona la
terziaria. Le strutture sono indicate dal gene che codifica per la proteina, e se il gene è
alterato la proteina avrà un contenuto aminoacidico alterato e quindi una struttura terziaria
diversa rispetto a quella della proteina nativa. Quindi la proteina mutata non avrà la
conformazione tridimensionale tale da poter svolgere la propria funzione. Questo vale per
tutte le proteine, ma a maggior ragione per gli enzimi.

Ogni enzima, essendo una proteina, catalizza una specifica singola reazione chimica che
avviene all’interno della cellula, sia questa di sintesi, degradazione, ossidazione,
idratazione… Qualunque reazione chimica che avviene nella cellula è catalizzata da un
enzima. Gli enzimi abbassano la quantità di energia di attivazione perché la reazione
possa procedere. Nello stato di transizione della reazione interviene anche l’enzima che
forma un complesso con i reagenti, associandosi (non legandosi, perché i legami sono
sempre deboli) e riconoscendo il proprio substrato, cioè il reagente specifico per l’enzima.
Si forma un complesso in modo da avvicinare le molecole perché reagiscano e
diminuendo l’energia da somministrare perché interagiscano. Quindi l’enzima favorisce la
reazione, ma non vi interviene direttamente: avvenuta la trasformazione in prodotti, torna
libero per catalizzare un’altra reazione, identica a quella che è appena avvenuta. Quindi la
spontaneità della reazione non è influenzata dall’enzima, il quale si limita ad accelerare
ogni tipo di reazione.

In questo disegno (sopra) si vede colorato in azzurro l’enzima con la sua forma data dalla
struttura terziaria, tale che presenta una tasca chiamata sito attivo, al cui interno avviene
la reazione chimica. L’enzima riconosce in modo specifico e avvicina i substrati che
devono reagire tra di loro e dopo avviene la reazione, si forma il prodotto e l’enzima torna
libero di poter catalizzare un’altra reazione. Il sito attivo è il sito in cui si posiziona il
substrato attraverso legami deboli, interazioni, grazie alla presenza di aminoacidi specifici
(dal punto di vista chimico-fisico) con una composizione tale da poter riconoscere
chimicamente il substrato.

In questo disegno (a lato) si


vede che, una volta che il
substrato interagisce con il
sito attivo, l’enzima cambia
conformazione, come se
chiudesse la propria tasca,
conseguentemente
all’entrata di molecole idrofobiche che si sono legate agli aminoacidi idrofobici presenti
nella tasca. Quindi avviene la reazione. In questo caso vediamo che nel disegno ci sono
due porzioni di colore diverso: significa che si tratta di una proteina con una struttura
quaternaria, cioè con un’associazione (attraverso legami deboli) di più subunità, che
devono essere tutte presenti perché la proteina possa agire. Gli enzimi sono specifici
(avevamo già visto la specificità nelle proteine di trasporto). Le proteine svolgono molte
funzioni perché composte da aminoacidi molto diversi tra loro, quindi possono assumere
strutture diverse e svolgere funzione diverse. Ogni enzima è specifico per un singolo
substrato.

Esistono classi di enzimi. Ad esempio, le ossidoreduttasi sono enzimi che catalizzano


reazioni di ossidoriduzione, dove ogni enzima catalizza in modo specifico una singola
reazione.

Qui vediamo
l’esempio di
funzionamento di
un enzima
appartenente alla
classe delle
idrolasi. Quando
vengono formati
dei legami, si ha la
reazione di
condensazione con
eliminazione di una molecola di acqua. Quando il legame viene scisso, avviene l’idrolisi:
l’introduzione di una molecola di acqua in seguito alla rottura del legame tra due
monomeri. L’esempio mostra il funzionamento di un enzima che scinde un disaccaride, il
saccarosio. Il saccarosio è formato dai monosaccaridi glucosio e fruttosio tenuti insieme
da un legame glicosidico. L’enzima saccarasi è quindi un’idrolasi che introduce una
molecola di acqua tra i due monosaccaridi dividendoli in due singole molecole. L’enzima è
quindi disponibile con il proprio sito attivo in cui si posiziona il substrato, favorisce
l’avvicinamento della molecola di acqua nel giusto orientamento e avviene la reazione
senza che l’enzima ne prenda parte. Si formano quindi i prodotti, che hanno una forma
diversa dal substrato e che quindi non sono affini all’enzima, di conseguenza vengono
liberati nell’ambiente.

Questa figura è simile a quella che mostrava la saturazione delle proteine di trasporto
passivo. L’enzima funziona nello stesso modo, essendo sempre una proteina, quindi
anche in questo caso si ha
una dipendenza dalla
concentrazione del substrato.
Questo vuol dire che quando
sono presenti tante molecole
libere di enzima, queste sono
in grado di riconoscere
velocemente il loro substrato
specifico, anche se questo è
presente ad una bassa concentrazione, e di legarsi ad esso facendo avvenire la reazione
più velocemente.

Quindi, analizzando la velocità di reazione in funzione della concentrazione del substrato


vediamo, come per il trasporto passivo, che la velocità iniziale è molto elevata, poi arriva
ad un punto detto di velocità massima tale che la velocità rimane a questo valore, senza
più aumentare anche se aumenta la concentrazione del substrato. Questo accade in una
reazione catalizzata da un enzima, la velocità iniziale è molto alta e poi raggiunge un
plateau perché si ha una situazione di equilibrio tra i reagenti trasformati e i prodotti
liberati, alla quale la velocità rimane costante, come accadeva nel trasporto mediato da
proteine.

Una volta avvenuta la saturazione di un enzima, infatti, la velocità non aumenta più ed è
inutile continuare a somministrare substrato. Vediamo la differenza tra una reazione
catalizzata e una non catalizzata. Nella reazione non catalizzata la velocità aumenta più
lentamente e in funzione della concentrazione del substrato, per il fatto che aumentando la
concentrazione del substrato si aumenta la facilità con cui esso raggiunge l’altro substrato,
e quindi con cui i reagenti possono incontrarsi. In una cellula ogni reazione è catalizzata,
quindi i substrati possono essere presenti anche in concentrazione bassa, e la velocità
dell’enzima dipende dalla velocità con cui avviene il riconoscimento del substrato da parte
dell’enzima. Nel caso della reazione catalizzata, quindi, la concentrazione del substrato è
un parametro che indica quanto l’enzima sia affine al substrato.

Essendo proteine, gli enzimi possono essere denaturati in funzione del pH o della
temperatura. Ogni proteina presenta un proprio ottimo sia di pH che di temperatura.

Consideriamo per esempio le proteine presenti nella cellula di un mammifero. Queste


sono stabili ad una temperatura di circa 37°C. Alterando la temperatura, le proteine si
denaturano. Sappiamo che le proteine assumono la loro struttura terziaria con i processi
di folding, e grazie ad essa possono svolgere la propria funzione. Vengono però
facilmente denaturate, cioè perdono la propria struttura terziaria, quindi non il legame
peptidico, ma la distribuzione tridimensionale nello spazio ottimale per cui la proteina
possa svolgere la propria funzione. La denaturazione può avvenire fornendo calore oppure
variando l’ottimo di pH della proteina. Se mettiamo una proteina muscolare nello stomaco
questa proteina viene denaturata, perché l’ottimo di pH dell’actina (proteina muscolare) è
di 7, quindi se si trova all’interno dello stomaco in cui il pH è 1/2, si denatura. Questo è un
processo che favorisce la digestione delle proteine.
Dobbiamo però dire anche che le proteine che si trovano nello stomaco non vengono
denaturate, quindi vuol dire che hanno (come si vede dal grafico in basso) un ottimo di pH
di 1/2, come nel caso di una proteina gastrica che digerisce altre proteine, la pepsina. Gli
archeobatteri termofili (che vivono anche a 80/100°C) sono in grado di vivere anche ad
alte temperature e quindi anche le loro proteine saranno in grado di resistere a tali
temperature e catalizzeranno reazioni chimiche a quelle temperature. Se si abbassa la
temperatura, in questo caso, tali proteine non possono più operare perché non hanno più
la struttura terziaria stabile che invece assumono ad alte temperature. Questo dipende dal
contenuto in aminoacidi di ogni singola proteina. Anche l’attività degli enzimi, come per
ogni proteina, dipende dalla temperatura e dal pH dell’ambiente. Esistono proteine che
lavorano a pH acido, come ad esempio la pepsina: le proteine che arrivano in ambiente
gastrico vengono prima denaturate così che poi la pepsina possa scindere il legame
peptidico tra gli aminoacidi che compongono la proteina. La pepsina, però, non verrà auto
digerita, perché il suo ottimo di pH è intorno a 1/2, quindi sopravvive in ambiente gastrico.
Un altro enzima digestivo delle proteine, quindi che scinde il legame peptidico, è la
tripsina, che invece agisce ad un pH intorno a 7/8, quindi alcalino. Viene prodotta da
alcune cellule specializzate del pancreas e riversata a livello intestinale, dove il pH è
alcalino e in cui continua la digestione delle proteine. In alto nel grafico vediamo che
l’ottimo di temperatura (cioè il valore migliore al quale l’enzima può lavorare) dei
mammiferi è di 37°C.

ex s taxa exoye
COFATTORI an
Le proteine non operano da sole: non è sufficiente che abbiamo la struttura primaria,
secondaria, terziaria ed eventualmente quaternaria completa, ma necessitano dei
cofattori. Questi possono essere di natura organica oppure inorganica (quindi anche
metalli). Oltre a dover subire i processi di modifiche post-traduzionali, quindi, le proteine
spesso devono legarsi in modo non covalente a molecole non proteiche, che possono
essere diverse o simili ai vari enzimi. La proteina che ha raggiunto la propria struttura
finale viene chiamata apoenzima, e deve essere legata ad un coenzima o cofattore, per
dare luogo all’oloenzima, che è la molecola attiva che potrà svolgere la funzione.

I cofattori possono essere piccole molecole organiche ma non proteiche, chiamate


coenzimi. Un esempio è il NAD, nicotinammideadenindinucleotide. Si tratta di un
dinucleotide, quindi non ha una natura proteica. I cofattori possono poi essere inorganici e
quindi presentarsi sottoforma di ioni metallici. Avevamo accennato alle caderine e alla loro
funzione di tenere insieme le cellule: tale funzione è favorita dallo ione Calcio, necessari
affinché queste proteine svolgano la propria funzione. Nel caso degli enzimi, si parla di ioni
quali Magnesio e Manganese, quindi ioni metallici necessari perché la proteina enzimatica
funzioni. Alcune volte, i cofattori sono associati in modo covalente alla proteina. E’ il caso
dei gruppi prostetici, composti di natura organica ma non proteica.

Ad esempio, i citocromi sono proteine presenti nella membrana mitocondriale interna, che
servono a trasferire l’elettrone che si lega al metallo (ad esempio il ferro, bivalente o
trivalente) che si riduce o si ossida, legato all’interno del gruppo prostetico. I gruppi
prostetici, però, non sono sufficienti, devono essere legati alla proteina: ed è così che
abbiamo i citocromi. Per esempio, il NAD e il FAD (flavinadenindinucleotide) sono
coenzimi in grado di legare l’elettrone insieme al protone nelle reazioni di ossidoriduzione
che avvengono in una cellula, e portarlo alla catena di trasporto mitocondriale. L’energia
viene trasferita attraverso la liberazione di elettroni grazie all’ossidazione di una molecola,
la quale però non cede gli elettroni direttamente alla specie che si riduce, ma gli ai
trasportatori che trasferiranno l’elettrone sul mitocondrio, per essere di nuovo trasferito
gradatamente all’ossigeno attraverso la catena di trasporto. Se, infatti, l’ossidazione fosse
diretta, si avrebbe una combustione e la cellula non riuscirebbe ad immagazzinare tutta
l’energia che verrebbe dissipata sottoforma di calore.

Vediamo esempi di enzimi che necessitano di cofattori inorganici.

Elementi ionici possono essere Rame, Ferro ridotto e Ferro ossidato, Potassio, Magnesio,
Manganese, Molibdeno… Tutti ioni metallici. Questi fungono da cofattori che si legano ad
enzimi, senza il quale legame non potrebbe avvenire la reazione. Vediamo ad esempio
l’enzima Citocromo Ossidasi, enzima che ossida e riduce il citocromo e necessita di questi
cofattori ionici.

CLASSIFICAZIONE DEGLI ENZIMI


Tutti gli enzimi possono essere classificati in sei classi di appartenenza, dove il nome della
classe indica il tipo di reazione.
- Ossidoreduttasi: catalizzazione di reazioni di ossidoriduzione

- Transferasi: trasferimento di gruppi, ad esempio del gruppo amminico da un


aminoacido ad un alfa-chetoacido. Le transaminasi sono enzimi che appartengono
alla famiglia delle transferasi, e trasferiscono il gruppo amminico . Le transferasi
possono trasferire in una cellula gruppi metilici e acilici, per esempio, come tutti gli
altri gruppi funzionali. Sono enzimi che quindi accelerano le reazioni di
trasferimento.

- Idrolasi: catalizzano l’idrolisi dei legami.

- Isomerasi: catalizzano la reazione di trasformazione di un isomero in un altro,


senza cambiare la composizione degli atomi di carbonio in una molecola, fanno sì
che si spostino i gruppi funzionali nella stessa molecola, per passare da un isomero
ad un altro.

- Ligasi: favoriscono la formazione di un legame tra le molecole, che necessita ATP.


Quindi questi enzimi hanno una struttura tale da legare ATP, possono venire
fosforilati oppure avere un sito specifico dove accolgono la molecola dell’ATP in
modo che questa possa essere idrolizzata e l’energia venga utilizzata nella
reazione che l’enzima catalizza.

- Liasi: enzimi che catalizzano la formazione o idrolisi di legami doppi.

INIBIZIONE ENZIMATICA
Gli enzimi, come anche le molecole proteiche di trasporto, possono essere inibiti. Molti
farmaci infatti agiscono grazie all’inibizione dell’attività enzimatica di uno specifico enzima
(dato che un inibitore è specifico per un singolo enzima). In chimica farmaceutica vengono
progettati farmaci che abbiano una struttura tridimensionale chimicamente simile a quella
del substrato, ma che non siano il substrato, per far avvenire l’inibizione dell’enzima, cioè
per impedire che la reazione avvenga. L’inibizione può essere:

-COMPETITIVA: la molecola inibitrice ha una forma simile a quella del substrato, si


inserisce nel sito attivo dell’enzima, che però non può essere modificato e la reazione non
avviene, perché non è avvenuto il legame con il substrato. Si dice inibizione competitiva
perché l’inibitore compete con il substrato per il sito attivo.

La concentrazione dell’inibitore deve


essere superiore alla concentrazione
classica del substrato alla quale
l’enzima si attiva. Quando l’inibitore
viene degradato ed eliminato dalla
cellula, riprende la funzionalità
dell’enzima, che quindi non viene bloccato in modo irreversibile.

-NON COMPETITIVA: l’inibitore si lega in un sito accessorio (non il sito attivo) dell’enzima.
Abbiamo detto prima che molti
enzimi legano la molecola di
ATP oppure legano un
coenzima, vuol dire che
presentano un sito allosterico
(sempre perché presentano una
struttura tridimensionale
specifica) dove si inserisce il
coenzima o l’ATP oppure, nel
caso dell’inibizione non
competitiva, l’inibitore. Questa
molecola si inserisce in questo sito, che è accessorio, e fa sì che il sito attivo cambi la
propria forma, in modo da non essere più in grado di riconoscere il substrato, quindi si
modifica la struttura terziaria dell’enzima senza intervenire nel sito attivo. In questo modo,
però, il sito attivo non sarà più sito attivo perché non sarà più in grado di riconoscere il
substrato.

Esiste poi l’inibizione IRREVERSIBILE: l’enzima non è più in grado di legare il substrato,
viene alterata sempre la struttura tridimensionale, terziaria dell’enzima, ma in modo
irreversibile, denaturando l’enzima. Ad esempio, molti antibiotici agiscono a questo livello,
ovviamente operando un’inibizione irreversibile delle proteine del batterio, quindi
impediscono che il batterio continui la propria forma vitale perché anche un solo enzima
denaturato e inattivato comporta che non sia più in grado di compiere il proprio ciclo vitale.
Anche tanti gas nervini bloccano in modo reversibile l’enzima acetilcolinesterasi.
L’acetilcolina è fondamentale: il gruppo acetile viene metabolizzato al livello del
mitocondrio per formare energia. I gas nervini bloccano la funzione delle cellule nervose,
quindi la prima cosa che viene bloccata è la respirazione, perché è un atto involontario
guidato del tutto da un’innervazione involontaria, di conseguenza si blocca.

REAZIONI ACCOPPIATE
Vediamo come avviene il trasferimento di energia e come una cellula è in grado di vivere,
cioè come fa a trasformare l’energia da una molecola di glucosio ad anidride carbonica:
l’ossidazione del carbonio del glucosio provoca la liberazione di elettroni.
Considerando la figura, la freccia rossa rappresenta il percorso che effettuano gli elettroni
e quindi l’energia passando da un reagente combustibile al prodotto in cui viene
trasformato. Il glucosio viene ossidato ad anidride carbonica, e l’energia contenuta nei
legami viene ceduta alla molecola di ATP, quindi si ha una trasformazione di energia: da
energia chimica ad un’altra forma di energia chimica, la molecola dell’adenosintrifosfato.
Qui viene immagazzinata l’energia che può essere utilizzata dal secondo reagente per
essere trasformato in prodotto, per esempio per avere la sintesi proteica oppure per la
trasformazione da glucosio a maltosio, un disaccaride. Questa energia viene liberata
dall’idrolisi dell’ultimo gruppo fosfato dell’ATP, con formazione di ADP (adenosindifosfato,
con solo due gruppi fosfati) e un fosfato inorganico libero.

Quindi l’energia di una reazione esoergonica viene ceduta alla molecola di ATP per poi
essere utilizzata in una reazione endoergonica. Quindi le reazioni esoergoniche sono
accoppiate con le endoergoniche, ma non direttamente: l’energia che risulta da una
reazione esoergonica non viene immediatamente utilizzata in una reazione endoergonica,
quest’energia si deposita sulla molecola di ATP, che per questo è chiamata “moneta” di
scambio energetico. Infatti, il primo reagente viene trasformato, cedendo energia, nel
primo prodotto, e l’energia accumulata nell’ATP viene usata perché avvenga una reazione
endoergonica, in cui il secondo reagente si trasforma nel secondo prodotto e in cui il
prodotto ha un’energia libera maggiore di quella contenuta nei reagenti.

Possiamo quindi dire che


nella cellula esiste un ciclo
dell’ATP, per cui l’energia
chimica liberata dalle reazioni
chimiche viene
immagazzinata nella
formazione del legame tra ADP e fosfato.Qui si immagazzina una quantità specifica di
energia, che può essere poi utilizzata per compiere un lavoro attraverso l’idrolisi, la rottura
del legame dell’ultimo gruppo fosfato dell’ATP per formare ADP e fosfato inorganico.
Questa quantità di energia è misurabile, e rimane sempre la stessa: -7,3 kcal/mol di ATP,
quindi è un pacchetto energetico sempre uguale, che la cellula può usare quando deve
compiere una reazione che richiede energia. Questo è il valore di variazione dell’energia
tra ATP e ADP + fosfato. E’ una reazione esoergonica, quindi avviene spontaneamente.
Infatti, la molecola dell’ATP non è eccessivamente stabile: ha, però, una stabilità adeguata
a determinati valori di temperatura e pH perché l’ultimo gruppo fosfato sia legato all’ADP,
in seguito a liberazione di energia. E’ anche sufficientemente instabile per poi venire
idrolizzato. L’instabilità è data dalla presenza di molte cariche negative tutte vicine tra loro,
quindi ogni volta che si aggiunge un fosfato (come si vede dal disegno) aumenta
l’instabilità della molecola, quindi aumenta l’energia prontamente disponibile in seguito
all’idrolisi del legame con l’ultimo gruppo fosfato. Infatti, il legame tra il secondo e il terzo
gruppo fosfato è chiamato legame ad alto trasferimento di energia.

Quindi, quando nella cellula avvengono reazioni esoergoniche, -7,3 kcal/mol di energia
vengono immagazzinate nell’ATP nel legame tra il secondo e il terzo fosfato. Tanta sarà la
quantità di energia esoergonica liberata, tante molecole di ATP verranno prodotte.
Viceversa, quando deve avvenire una reazione endoergonica, tanta è l’energia
necessaria, tante molecole vengono idrolizzate.

Qui vediamo quant’è la quantità di energia liberata dall’idrolisi dell’ATP. Se la cellula, per
esempio, deve poi legare glucosio e fruttosio, la sintesi non avviene direttamente: prima il
glucosio viene fosforilato, che è la forma attiva del glucosio, perché avviene grazie
all’idrolisi dell’ATP, quindi è una reazione esoergonica e la molecola viene attivata, cioè
conterrà un’energia di -7,3 kcal/mol liberatesi dall’idrolisi della molecola di ATP. Il gruppo
fosfato porterà l’energia al glucosio, attivandolo. Il glucosio fosforilato sarà in grado di
reagire con il fruttosio, per formare il saccarosio. Lo stesso avviene durante la formazione
di glicogeno in una cellula muscolare: il glucosio viene fosforilato e sarà in grado di legarsi
ad un altro glucosio per formare maltosio, che poi verrà fosforilato a sua volta per formare
il polimero. Quindi, le reazioni di sintesi in una cellula avvengono sempre in seguito
all’azione dell’ATP, che fosforila e attiva la molecola, porta l’energia liberata dall’idrolisi
dell’ultimo legame e rende la molecola capace di reagire.

METABOLISMO: AEROBI E ANAEROBI


Abbiamo detto che l’energia viene trasformata in una cellula attraverso le reazioni del
metabolismo. L’energia iniziale è quella proveniente dal sole: questa energia viene
trasformata in glucosio durante la fotosintesi, e poi viene utilizzata sia dagli organismi
autotrofi che eterotrofi. Gli eterotrofi possono essere classificati in aerobi e anaerobi,
sempre considerando come l’energia chimica venga trasformata in molecole di ATP.
-ANAEROBI: vivono in assenza di ossigeno. Non possono usare l’ossigeno come
accettore finale di elettroni, ma
necessitano comunque di una
specie che si riduca perché
anche questi organismi
liberano elettroni. Gli
organismi anaerobi utilizzano il
processo metabolico della
glicolisi, che avviene al livello
del citoplasma in tutte le
cellule, e che porta alla
formazione di due molecole di
ATP al di fuori del mitocondrio.
E’ l’unica via metabolica a
produrre energia fuori dal
mitocondrio, attraverso
trasformazioni di
ossidoriduzione. Dalla glicolisi
si forma una molecola ancora
ricca di elettroni e ne diventa
l’accettore. L’acido piruvico è
infatti il prodotto
dell’ossidazione e accetta gli
elettroni liberati dalla glicolisi in
modo da liberare il
trasportatore per far
continuare il processo metabolico, che non si deve arrestare in questi organismi. Essi
vivono attraverso le vie fermentative: la fermentazione non produce energia, ma molecole
di scarto (come l’acido lattico o l’etanolo) che contengono ancora carbonio organico ridotto
e che sarebbero ancora ricche di energia, ma mancando l’ossigeno non si può avere
l’ossidazione completa.

L’evoluzione ha portato alla formazione di organismi aerobi, usando l’ossigeno che era
stato prodotto.

-AEROBI: anche la loro trasformazione energetica parte da una via anaerobia, la glicolisi,
il cui prodotto viene completamente ossidato nel mitocondrio, grazie alla presenza
dell’ossigeno come accettore degli elettroni. La molecola che viene prodotta dalla glicolisi,
l’acido piruvico, è ricca di carbonio organico (come avviene negli anaerobi). Viene
introdotto nei mitocondri e ossidato completamente ad anidride carbonica. Gli elettroni che
risultano dall’ossidazione vengono portati, attraverso la catena di trasporto degli elettroni
(nella membrana interna), all’ossigeno. L’ossidazione quindi è completa, a differenza di
quanto avviene nei processi fermentativi, e la quantità di energia ottenuta è molto elevata:
38 molecole di ATP derivano da una molecola di glucosio (considerando anche le due
molecole provenienti dalla glicolisi). L’ossigeno serve come accettore finale degli elettroni
nell’ossidazione totale degli atomi di carbonio del glucosio, prima ossidato a livello
citoplasmatico in assenza di ossigeno. L’ossigeno diffonde secondo gradiente,
dall’ambiente esterno alle cellule, dove continua a diffondere nel mitocondrio, dove viene
usato come accettore di elettroni.

Quindi gli elettroni sono la fonte di energia: attraverso le reazioni di ossidoriduzione, una
molecola ridotta cede elettroni ad una molecola ossidata, non direttamente ma attraverso
un trasportatore. Nella figura (sotto), la molecola AH₂ è quella ridotta e contiene elettroni i
quali legano atomi di idrogeno, protoni, quindi abbiamo una compresenza di cariche
positive e negative.

In una cellula non possono formarsi elettroni liberi; a volte succede, ma si tratta di elettroni
che vanno a formare i radicali liberi dell’ossigeno, quindi riducono molecole e formano
composti tossici. Questi elettroni, insieme ai protoni, dei composti ridotti che vengono
ossidati, vengono ceduti ai trasportatori, che abbiamo visto essere NAD
(nicotinammideadenindinucleotide), una molecola formata da due nucleotidi, ciascuno
formato da una molecola di zucchero, una base azotata ed un gruppo fosfato (la
nicotinammide è una base azotata diversa dall’adenina nicotina), e il FAD
(flavinadenindinucleotide), un altro dinucleotide che presenta due vitamine.

Ecco com’è strutturata la molecola del NAD.


La nicotinammide (disegnata in grigio nella figura) è una base azotata, una vitamina. Si
lega ad un ribosio che a sua volta è legato al gruppo fosfato, in modo particolare e
multiverso rispetto a come si legano i nucleotidi negli acidi nucleici. Infatti ci sono due
gruppi fosfato legati insieme, quello sotto però è un nucleotide che contiene il ribosio e
l’adenina.

Quindi è una molecola che, proprio nella testa della nicotinammide, può legare gli elettroni.
E’ presente infatti un atomo di carbonio che può essere ridotto accettando gli elettroni che
si liberano dalle reazioni di ossidazione (qui il NAD è legato alla propria specifica
ossidoreduttasi), e l’elettrone viene depositato sul trasportatore. Quindi, le cellule
trasferiscono energia attraverso reazioni di ossidoriduzione, attraverso elettroni che
vengono ceduti a dei trasportatori. Quando il NAD si riduce forma NADH (ne vediamo la
struttura), che potrà essere nuovamente ossidato quando cederà l’elettrone alla catena di
trasporto degli elettroni, e successivamente in modo graduale all’ossigeno, senza che
avvenga una cessione diretta dell’elettrone all’ossigeno per evitare di avere una
combustione, che non porterebbe a nessun vantaggio da un punto di vista energetico.

LO STATO DI OSSIDAZIONE DEL CARBONIO


In questa figura si può osservare la possibilità dell’atomo di carbonio di passare dallo stato
ridotto a diversi gradi di ossidazione. A sinistra abbiamo una molecola molto piccola, un
combustibile: il metano, gas di città utilizzato per i fornelli, che quindi viene bruciato con
una reazione di combustione che libera energia. Durante la reazione, l’atomo di carbonio
che contiene elettroni che possono essere ceduti (il carbonio è più elettronegativo
dell’idrogeno), dal carbonio all’ossigeno, con ossidazione del metano ad anidride
carbonica, composto in cui il carbonio è legato all’ossigeno, più elettronegativo del
carbonio. Quindi, tutti gli elettroni della molecola di anidride carbonica sono spostati verso
l’ossigeno. Il carbonio ha la dicitura “+4” perché non possiede più i carboni che aveva nel
metano. Tra il massimo grado di riduzione (cioè il minimo grado di ossidazione) e il
massimo grado di ossidazione, ovvero tra il metano e l’anidride carbonica, c’è una scala,
una gradazione di livelli di riduzione del carbonio, che è presente in tutte le molecole
organiche. Il secondo composto è un alcol; il glucosio è una molecola “poliidrossi”, che
contiene, cioè, tanti atomi di carbonio legati a gruppi OH. Ha sempre un grado elevato di
riduzione, infatti è la fonte principale di energia di una cellula perché può essere ossidato
velocemente e facilmente ad anidride carbonica. Andando avanti vediamo un’aldeide (in
cui il carbonio è legato ad un ossigeno e due atomi di idrogeno): anche gli zuccheri
poliidrossialdeidi contengono carboni che sono ancora in grado di cedere elettroni, ma
sono ad un livello di ossidazione maggiore rispetto al metano e al glucosio. Andando
avanti abbiamo un gruppo carbossilico, (acido formico con un carbonio dato che siamo
partiti dal metano). Il glucosio è simile al metanolo per quanto riguarda grado di riduzione,
mentre l’acido piruvico (prodotto dell’ossidazione del glucosio) ha grado di ossidazione
simile a quello dell’acido formico, quindi ha ceduto degli elettroni. Il glucosio si ossida ad
acido piruvico durante la glicolisi, quindi anche durante questa via metabolica anaerobia si
ha una reazione di ossidazione. Tutto questo va considerato nello studio di molecole
organiche che si trovano all’interno della cellula,
composte da carbonio che forma sempre e solo 4
legami. Possono essere anche doppi legami con altri
atomi di carbonio o doppi legami con l’ossigeno
(come nel caso dell’anidride carbonica).

IL METABOLISMO
Nella figura, ogni sferetta rappresenta un metabolita, e ogni segmento rappresenta una
reazione chimica, attraverso cui un metabolita viene trasformato in un altro. Tutte le
reazioni chimiche che del metabolismo sono catalizzata da uno specifico enzima. Nel
disegno sono evidenziate le vie metaboliche dei carboidrati, dei lipidi, degli aminoacidi, dei
nucleotidi… Sono, però, tutte interconnesse: un metabolita può essere il metabolita finale
di una reazione e quello iniziale di un’altra. Le reazioni possono essere sia di
condensazione che di idrolisi, sia di sintesi che di degradazione. L’enzima che catalizza la
reazione di degradazione di un metabolita è diverso da quello che metabolizza la reazione
di sintesi dello stesso metabolita.

Il metabolismo può essere suddiviso in tre fasi:

-INIZIALE (digestione): i polimeri vengono scissi nei singoli monomeri (proteine in -


aminoacidi, polisaccaridi in monosaccaridi, trigliceridi in acidi grassi e glicerolo, acidi
nucleici nei singoli componenti).

-INTERMEDIO: i composti possono essere sia degradati sia sintetizzati, dipende dalla via
metabolica. Il metabolismo di degradazione è chiamato catabolismo e porta ad una
molecola finale comune, l’acido piruvico (per la maggior parte delle reazioni cataboliche).
L’acido piruvico poi entra nel metabolismo terminale, e una volta entrato non è più
possibile regredire a stadi precedenti. Prima si poteva, a discrezione della necessità della
cellula. Il metabolismo intermedio può quindi essere anche di sintesi, cioè anabolismo, ed
è composto da reazioni non ancora irreversibili.

-TERMINALE: l’acido piruvico entra nel mitocondrio e i 3 atomi di carbonio che lo


compongono vengono ossidati completamente ad anidride carbonica, attraverso il ciclo di
Krebs (anche detto ciclo degli acidi tricarbossilici o ciclo dell’acido citrico). Gli elettroni
anche nei mitocondri, come nel citoplasma, vengono ceduti ai trasportatori che li
trasferiscono alla catena di trasporto. I trasportatori sono proteine che si trovano, con i loro
cofattori, nella membrana interna del mitocondrio e trasferiscono gradatamente gli elettroni
all’ossigeno (durante la chemiosmosi) fino a formare ATP, acqua dalla riduzione
dell’ossigeno e anidride carbonica come prodotto dell’ossidazione completa. Le proteine
possono anche servire per produrre energia, ma hanno una funzione plastica: gli
aminoacidi sono usati dalla cellula principalmente per formare proteine destinate all’uso
della cellula stessa, e il loro gruppo amminico può essere trasferito da un gruppo all’altro
attraverso gli enzimi della classe aminotransferasi. Se, però, lo scheletro carbonioso
dell’aminoacido deve venire degradato, il gruppo amminico viene neutralizzato (perché
tossico per una cellula) nella molecola finale dell’urea.

Questa figura mostra il metabolismo iniziale.

Non è possibile assorbire polimeri, ogni singola macromolecola deve essere scissa nei
componenti, nei monomeri. I polisaccaridi vengono scissi nei propri monomeri e l’idrolisi di
questi legami avviene già al livello del cavo orale, attraverso l’azione di enzimi. Avevamo
visto che la cellulosa non può essere usata come fonte di glucosio perché siamo privi
dell’enzima che scinde il legame beta glicosidico, ma abbiamo l’enzima per rompere il
legame alfa glicosidico, che è l’alfa amilasi, che comincia rompere i legami dell’amido già
al livello del cavo orale. La scissione continuerà a livello intestinale, dove è presente
un’altra amilasi che rompe i legami. E’ importante che tutti i singoli polimeri vengano scissi
nei monomeri, per poter essere assorbiti a livello intestinale. La digestione avviene a livelli
diversi in base al tipo di macromolecola: le proteine iniziano ad essere disfatte a
livellodello stomaco, viene rotta la loro struttura terziaria in modo che poi il singolo
filamento possa essere scisso nei singoli componenti.
Materia e lezione Biologia lezione 13
Data 11/11/2021
Professoressa Modesti
Coppia Eugenia Bocconi/Andrea Fratoni

Come fa la cellula a vivere? Estrae l’energia attraverso le reazioni di ossidoriduzione, e quindi il


trasferimento di elettroni. Questi vengono poi ceduti all’ossigeno nel metabolismo terminale, in
modo graduale così da riuscire ad accumulare l’energia contenuta che viene utilizzata per la sintesi
dell’ATP.
Il glucosio è la principale fonte di energia tra i monosaccaridi perché dal suo catabolismo si
ottengono 38 molecole di ATP.
La prima fase di degradazione del glucosio, la glicolisi, avviene nel citoplasma, è anaerobia e da
questa si producono 2 molecole di ATP. Questa via metabolica è l’unica che produce energia in
assenza di ossigeno, per cui è molto importante per gli organismi anaerobi obbligati. Anche alcune
cellule dei mammiferi, le cellule muscolari, possono temporaneamente vivere in assenza di
ossigeno, per cui in caso di contrazione breve ma intensa in cui i vasi sanguigni non sono in grado di
apportare la quantità di ossigeno necessaria per accettare tutti gli elettroni dell’ossidazione, o
quando il muscolo, non essendo allenato, non presenta ancora un numero elevato di mitocondri e
la quantità di vasi che lo irrorano e trasportano ossigeno è inferiore rispetto a un muscolo allenato,
queste cellule producono energia attraverso la via fermentativa.
Il prodotto della glicolisi è un composto a tre atomi di carbonio di diverso livello di ossidazione. Se
avviene il metabolismo terminale questo entra a livello del mitocondrio dove inizia la sua fase finale
di ossidazione dove i tre atomi di carbonio vengono completamente ossidati ad anidride carbonica.
Gli elettroni temporaneamente depositati sui trasportatori vengono portati alle proteine della
membrana mitocondriale che contengono dei cofattori, gruppi prostetici legati ai metalli, i quali
sono in grado di ossidarsi e ridursi accettando e cedendo questi elettroni e gradatamente portarli
all’ossigeno. Durando questo passaggio avviene la chemiosmosi, ovvero un accumulo di protoni
nello spazio inter-membrana effettuato da queste proteine, che sarà la forza che attiva una pompa
proteica che non utilizza ATP ma la produce.
LA RESPIRAZIONE CELLULARE

In questa immagine sono rappresentate tutte le fasi della degradazione del glucosio:
La prima, essendo anaerobia, non può essere considerata respirazione, perché con questo termine
si intende un processo che utilizza ossigeno. In questa il glucosio viene degradato attraverso 10
reazioni successive a due molecole di acido piruvico, composto a tre atomi di carbonio di diverso
grado di ossidazione. Questo composto al PH cellulare è ionizzato formando la sua base, il piruvato,
in genere piruvato di sodio, e se si parla di respirazione, entra nel mitocondrio attraversando le due
membrane dove è presente un complesso multi-enzimatico che ossida completamente l’ultimo
atomo di carbonio del gruppo carbossilico, che è già il più ossidato, ad anidride carbonica.
Viene quindi prodotto il gruppo acetile, a due atomi ci carbonio, che potrebbe ritornare a livello
citoplasmatico essendo una piccola molecola. Per evitare ciò viene legata a una grossa molecola
organica non proteica, il coenzima A che attiva l’acetile. Quindi l’acetil-coenzima A entra a livello
della matrice mitocondriale nel ciclo di Krebs. Durante questo ciclo avvengono molte reazioni di
ossidoriduzione che solo collegate a numerosi coenzimi trasportatori di elettroni come il NAD e il
FAD, i quali si riducono. I due atomi di carbonio dell’acetile si ossidano completamente liberando
due molecole di anidride carbonica e numerosi elettroni.
Complessivamente l’anidride carbonica prodotta dall’ossidazione di una molecola di glucosio
equivale a 6 molecole: due prodotte durante il passaggio dei due piruvato attraverso le membrane
mitocondriali, da un complesso multi-enzimatico, la piruvico-decarbossilasi (decarbossilasi:
eliminato l’atomo di C più ossidato) e le altre quattro durante il ciclo di Krebs.
A livello del ciclo vengono prodotte direttamente due molecole di ATP attraverso il processo della
fosforilazione a livello del substrato. La maggiore quantità di energia viene prodotta nell’ultima fase
della respirazione quando i coenzimi NAD e FAD cedono gli elettroni alla catena di trasporto
elettronica che si trova sulla membrana mitocondriale interna.
GLICOLISI – unica via citoplasmatica
Si suddivide in due fasi: una endoenergetica e una esoenergetica, formate da varie reazioni ciascuna
catalizzata da uno specifico enzima.
Per la prima fase è necessario l’apporto di energia perché tutte le molecole, come il glucosio, devono
essere attivate per cominciare il loro metabolismo, che sia di sintesi o di degradazione.

FASE ENDOERGONICA: durante le prime tre reazioni il glucosio viene isomerizzato e fosforilato a
fruttosio-1,6-difosfato (fruttosio e glucosio sono isomeri). Prima viene consumata una molecola di
ATP per fosforilare il glucosio, poi viene isomerizzato a fruttosio, che viene anche lui fosforilato
grazie a un’altra molecola di ATP. Il prodotto è quindi un fruttosio attivo con un gruppo fosfato in
posizione 1 e uno in posizione 6.
A questo punto viene scisso formando due molecole di gliceraldeide-3-fosfato (GTP) contenenti
ognuna tre atomi di carbonio più ossidati rispetto al glucosio. (la GTP è attivata perché contiene i
gruppi fosfato)
FASE ESOERGONICA: la GTP viene degradata attraverso reazioni redox in cui interviene il NAD in
forma ossidata, la quale accetta gli elettroni liberati dall’ossidazione e si trasforma nella sua forma
ridotta, il NADH. A questo punto i gruppi fosfato vengono riceduti e si libera energia utilizzata per
compiere una fosforilazione a partire da fosfato inorganico+ ADP. Si formano quindi 2 molecole di
ATP ogni GTP ossidato.

La resa finale della glicolisi è di 2


molecole di ATP poiché ne vengono
prodotte quattro ma nella prima fase ne
vengono consumate due.
La GTP viene ossidata a 3-fosfoglicerato
(3 è la posizione del gruppo fosfato), per
cui il gruppo aldeidico diventa gruppo
carbossilico. Durante questa fase avviene
la fosforilazione a livello del substrato,
l’ATP viene prodotta direttamente
durante la reazione e il NAD si riduce a NADH. Il 3-fosfoglicerato viene poi defosforilato andando a
formare l’acido piruvico, e durante questa reazione avvien la sintesi di un’altra molecola di ATP.
Attraverso la glicolisi vengono quindi prodotte due molecole di piruvato, due NADH e due ATP ogni
molecola di glucosio.

Destini del Piruvato: Decarbossilazione ossidativa o fermentazione

Il piruvato contiene:
• gruppo metile CH3 che contiene il carbonio più ridotto
• gruppo carbonile CO che ha il grado di ossidazione delle aldeidi e chetoni
• gruppo carbossile COOH che contiene il carbonio più ossidato
II piruvato è il prodotto delle vie cataboliche di molte altre molecole quali acidi grassi, amminoacidi.
A questo punto il piruvato prende due strade diverse a seconda che si trovi in condizioni aerobiche
o anaerobiche.
In condizioni aerobiche entra all’interno del mitocondrio attraverso le due membrane e durante
questo passaggio incontra un complesso multienzimatico, la PDH, piruvico-deidrogenasi o
decarbossilasi, il cui nome indica le due attività che avvengono contemporaneamente in questa fase.
Il gruppo carbossilico si ossida completamente cedendo
gli elettroni (deidrogenasi) al NAD che si riduce, e si
stacca dalla molecola sotto forma di anidride carbonica
(decarbossilasi). Poi un altro enzima del complesso
permette al CoA di legarsi alla molecola che si è formata,
il gruppo acetile, attraverso gli atomi di zolfo che
contiene con un legame ad alto trasferimento di energia,
e di attivarla trattenendola all’interno del mitocondrio.
L’acetile deriva dall’acido acetico C𝐻3 COOH per
deidrossilazione, perdita di un gruppo OH, e presenta
come carbonio più ossidato quello del gruppo CO a cui si
lega il coenzima A formando l’Acetil-CoA.
Acido piruvico e acetile sono i metaboliti finali della
degradazione di tutte le molecole organiche.
A questo punto l’Acetil-CoA entrerà nel ciclo di Krebs
dove verrà completamente ossidato ad anidride
carbonica cedendo tutti gli elettroni ai trasportatori.

In condizioni anaerobiche il piruvato rimane nel citoplasma e viene ridotto, accettando gli elettroni
dal NADH, uscito dalla glicolisi. Questa reazione si chiama fermentazione e può avere due prodotti
diversi a seconda che sia lattica o alcolica.

Nella fermentazione lattica, che può avvenire nei batteri lattici ma anche nelle cellule muscolari solo
per brevi periodi, il piruvato è ridotto grazie all’enzima lattico deidrogenasi ad acido lattico e il NAD,
ormai ossidato, ritorna alla glicolisi dove potrà nuovamente essere ridotto. È molto importante
questo passaggio perché nella fermentazione l’unica energia prodotta è rappresentata dalle due
molecole di ATP liberate durante la glicolisi, per cui questa fase non deve mai fermarsi.
Tra le cellule dei mammiferi solo in quelle muscolari può avvenire questa via metabolica, poiché
durante sforzi brevi ma molto intensi hanno comunque bisogno di energia nonostante si trovino in
carenza di ossigeno. Non potendo compiere la respirazione cellulare devono ossidare il NAD
attraverso la fermentazione lattica. Questa via viene utilizzata solo per un tempo molto limitato
poiché l’acido lattico acidifica l’ambiente muscolare, provocando dolore perché le proteine si
denaturano. Continuando lo sforzo aumenta gradualmente il numero di mitocondri e di vasi
sanguigni che irrorano il muscolo portando una maggiore quantità di ossigeno, per cui le cellule
riescono a compiere la respirazione.
Nella fermentazione alcolica invece il piruvato viene ridotto ad acetaldeide grazie all’enzima piruvico
decarbossilasi, e successivamente ridotto a etanolo. Questa via è tipica dei lieviti come
Saccharomyces cerevisiae, che si trovano sugli acini dell’uva e ne degradano gli zuccheri. Questi
microorganismi sono anaerobi facoltativi, per cui se sono in presenza di ossigeno compiono la
respirazione producendo acido acetico utilizzato per l’aceto, mentre se si trovano in assenza di
ossigeno producono l’etanolo contenuto nel vino.

CICLO DI KREBS
Si chiama così in onore del ricercatore che lo scoprì nel 1937 (Hans Adolf Krebs, premio Nobel
medicina 1953) ma può anche essere chiamato ciclo dell’acido citrico o ciclo degli acidi tricarbossilici
perché si formano tre metaboliti, il citrato, l’isocitrato, il cis-aconitato, che presentano tre gruppi
carbossilici.

L’ Acetil-CoA entra nel ciclo facendo legare l’acetile al


prodotto finale di queste reazioni, un composto a quattro
atomi di carbonio, l’acido ossalacetico, e formando
l’acido citrico, composto a sei atomi di carbonio, che è
invece la prima molecola del ciclo che inizia quindi la sua
degradazione.
Con ogni gruppo acetile entrano nel ciclo:
• 3 coenzimi NAD in forma ossidata
• 1 coenzima FAD in forma ossidata
• ADP e fosfato
Per ogni acetile escono dal ciclo:
• 2 molecole di anidride carbonica dai due atomi di
carbonio dell’acetile
• 3 NADH
• 1 FAD𝐻2
• 1 ATP
La sintesi dell’ATP non è diretta perché l’energia viene prima ceduta al GDP che si trasforma nel GTP
ma questo non è in credo di fare da moneta di scambio energetico per tutta la cellula per cui cede
un gruppo fosfato all’ADP che si trasforma in ATP.
L’acido citrico viene decarbossilato cedendo elettroni al NAD che si riduce e liberando la prima
molecola di anidride carbonica. Si formano poi uno dopo l’altro due molecole a cinque atomi di
carbonio, l’isocitrato e il cis-aconitato, che viene decarbossilato cedendo a sua volta gli elettroni al
NAD e liberando la seconda molecola di anidride carbonica. Successivamente si forma l’ATP e
continua l’ossidazione delle molecole accompagnata dalla riduzione dei coenzimi.
CATENA RESPIRATORIA E FOSFORILAZIONE DELL’ATP
La catena è formata da proteine che si trovano sulla membrana mitocondriale interna e permette
agli elettroni di essere ceduti gradatamente all’ossigeno per andare a formare le molecole di acqua
e che l’energia possa essere cumulata durante quella fase chiamata chemiosmosi.
Il NADH e il FAD𝐻2 liberano molta
energia cedendo gli elettroni, molta di
più rispetto a quella contenuta
nell’ATP.
I trasportatori di elettroni possono
trovarsi tra le cose dei fosfolipidi se
formati da amminoacidi idrofobici,
mentre possono essere
transmembrana se presentano
amminoacidi idrofobici e idrofili.
Possono dividersi in:
Trasportatori di solo elettroni: in
questo caso i protoni vengono
accumulati nello spazio
intermembrana. Tra questi troviamo le
proteine ferro-zolfo, contenenti atomi di ferro e di zolfo, e i citocromi, proteine globulari che
contengono al centro un gruppo prostetico, il gruppo EME, contenente un metallo, rame o ferro, a
cui si lega l’elettrone.

Trasportatori di elettroni e protoni: tra questi troviamo le flavoproteine che hanno un gruppo non
proteico, un coenzima simile al FAD, il FMN che riesce a legare anche i protoni proprio come il FAD
e il coenzima Q, anch’esso proteico.
In questa immagine si vede
che il FAD viene ridotto a
livello della flavina, vitamina
con una struttura a tre anelli
condensati, mentre l’FMN è
costituito solo dalla parte
superiore della FAD. Questo
coenzima trasporta gli
elettroni dal ciclo di Krebs
fino alla catena dove li cede
all’ FMN.

Nella membrana mitocondriale interna il rapporto proteine-lipidi è a favore delle proteine proprio
come nella membrana dei mesosomi dei batteri e sono tutte complessi multienzimatici che fanno
parte della catena di trasporto.
Questi complessi sono formati da molte proteine, alcune con funzione enzimatica e altre contenenti
metalli in grado di ossidarsi e ridursi accettando o rilasciando elettroni, altre ancora presentano
molecole in grado di legarsi anche ai protoni.
Ci sono quattro complessi diversi che si differenziano per tipologia di proteine che contengono.
COMPLESSO I: è formato da molte componenti, tra cui il citocromo che accetta elettroni ceduti dai
NADH. A questo punto i NAD ossidati ritornano a compire le loro funzioni e i protoni vengono liberati
nello spazio inter-membrana dove iniziano ad accumularsi.
COMPLESSO II: contiene l’ubichinone, e l’FMN che accettano sia i protoni che gli elettroni dai FAD𝐻2
che ritornano ossidati al ciclo di Krebs.
COMPLESSO III: è un’ossidoreduttasi in grado di ossidare sia l’ubichinone che il citocromo ridotti
precedentemente accettando gli elettroni proveniente dai complessi I e II e rilasciando i protoni
nello spazio inter-membrana.
COMPLESSO IV: contiene un citocromo che accetta gli elettroni che hanno perso energia perché nel
frattempo i protoni si sono accumulati nello spazio inter-membrana e li cede all’ossigeno che si
riduce acquistando cariche negative.

L’ accumulo dei protoni attiva l’ATP sintetasi per cui potranno ritornare nella matrice, e il flusso
protonico attiva una proteina motrice della pompa di membrana che attiva l’attività enzimatica e
favorisce la fosforilazione dell’ATP.

Da questa immagine si può vedere


che i complessi sono formati tutti
da proteine transmembrana
tranne l’ubichinone che è l’unica
completamente idrofobica che
quindi si trova completamente
immersa nelle code fosfolipidiche.

ATP SINTASI
La pompa ATP sintetasi è costituita da un canale proteico transmembrana
attraverso il quale i protoni ritorneranno nella matrice per differenza di
concentrazione, e da un rotore, un complesso proteico, che si trova nella
matrice e che è attivato dal flusso dei protoni, che verrà sfruttato per la sintesi
di ATP.
Il protone dopo essere rientrato va a legarsi all’ossigeno ridotto
trasformandolo in molecole di acqua.
L’accumulo dei protoni va a generare una differenza di potenziale misurabile
con degli elettrodi che ci testimonia anche se il mitocondrio è attivo oppure
no. Si modifica anche il ph che diventa acido nello spazio intermembrana e
basico nella matrice mitocondriale.

L’ATP sintetasi è un complesso molto complesso formato da due subunità,


𝐹0 𝑒 𝐹1 , ciascuna delle quali è formata da una componente statica e una
mobile.
La parte statica è costituita da un canale formato da tante subunità che non
viene però attraversato dal protone, che invece si lega alla proteina A agganciata al complesso, che
costituisce la componente statica di 𝐹0 . La parte mobile, invece, a seguito del passaggio dei protoni,
subisce dei movimenti a scatto perché, ogni protone che passa, fa girare di un grado il complesso e,
a sua volta, questa rotazione, attiva un rotore nella matrice, nella sua stessa direzione. Questo poi
attiva la porzione enzimatica per la fosforilazione dell’ATP.

La resa energetica totale della respirazione cellulare


è di 36-38 molecole di ATP, tra cui 4 prodotte
direttamente per fosforilazione a livello del
substrato e 32-34 per fosforilazione ossidativa.
Materia e lezione Biologia lezione 13
Data 15/11/2021
Professoressa Alessandra Modesti
Coppia Gaia Giovannelli/Carlotta Barelli

In questa prima parte della lezione guardiamo che cosa avviene in quel processo opposto alla
respirazione, che è la fotosintesi, perché è il processo mediante il quale si ottiene carbonio
organico, quindi alimenti, per gli organismi eterotrofi e perché fa parte del ciclo del carbonio,
usato per consentire la vita degli organismi.
La fotosintesi porta alla formazione di carbonio in forma ridotta, quindi carbonio che contiene
elettroni che possono poi essere utilizzati durante le reazioni di ossidoriduzione della
respirazione per andare a formare quella molecola di ATP nel mitocondrio che abbiamo visto
nelle lezioni precedenti. Vedremo come gli organismi autotrofi sono in grado di immagazzinare
l’energia luminosa in quella forma di energia chimica che è appunto la molecola del glucosio,
energia che serve per formare carbonio organico, cioè per ridurre l’atomo del carbonio.
Quindi le piante, gli organismi autotrofi, i cianobatteri, sono organismi in grado di
immagazzinare la radiazione elettromagnetica della luce sotto forma di energia chimica, quindi
effettuano una trasformazione dell’energia. Avevamo visto che, secondo i principi della
termodinamica, l’energia si trasforma questo viene sfruttato dagli organismi, alcuni dei quali
nello specifico sono in grado di trasformare l’energia luminosa, altrimenti inutilizzabile da un
punto di vista metabolico, in una forma di energia chimica. Sono tutte reazioni di
ossidoriduzione quelle che consentono di ottenere quella molecola di adenosintrifosfato (ATP),
che è usata dalle cellule per compiere le funzioni vitali.

Questa che vediamo scritta è la reazione di base della fotosintesi, che è l’inverso della reazione
di respirazione: vediamo che il carbonio dell’anidride carbonica, in presenza di acqua e della
luce solare, viene ridotto a glucosio e l’ossigeno è uno dei prodotti di scarto della fotosintesi. La
reazione opposta a questa, da destra verso sinistra, è la reazione globale della respirazione, che
poi è suddivisa in diverse fasi.

Dove avviene la fotosintesi?


La fotosintesi avviene nei cloroplasti. In questo disegno (sottostante) vediamo come sono
strutturati. Sono della stessa origine dei mitocondri: l’origine endosimbiontica, per cui dei
cianobatteri, batteri fotosintetici, sono stati inglobati da cellule di maggiori dimensioni, in
questo modo si è instaurata quella simbiosi interna. Le doppie membrane che si trovano nel
mitocondrio si ritrovano anche all’interno del cloroplasto. All’interno della struttura sono
presenti delle membrane sovrapposte, cioè delle pile di membrane, chiamate tilacoidi, con un
lume interno che non è in contatto con l’esterno. Qui, a livello della membrana dei tilacoidi,
avvengono delle reazioni simili ma in direzione opposta rispetto alla catena di trasporto degli
elettroni; quindi, anche all’interno di queste membrane si trovano proteine che sono in grado
di ridursi e ossidarsi. La matrice del mitocondrio si chiama stroma, ed è il luogo dove avviene
la sintesi delle molecole organiche. A livello delle membrane avviene sia il passaggio di elettroni
sia il meccanismo che consente di estrarre l’elettrone dalla molecola di acqua, cioè quel
meccanismo che porta all’ossidazione dell’ossigeno della molecola d’acqua. Questo elettrone
viene poi depositato sui trasportatori, un po’ diversi rispetto a quelli della reazione della
respirazione. Una volta depositato sul trasportatore, l’elettrone servirà per la riduzione del
carbonio.

La fotosintesi si compone di una fase che consente di bloccare l’energia luminosa, che arriva
con la luce, e di una fase che porta alla riduzione del carbonio dell’anidride carbonica a glucosio.
Nel mitocondrio, invece, abbiamo una fase che porta all’ossidazione del carbonio, il ciclo di
Krebs, da lì gli elettroni vengono portati alla catena di trasporto degli elettroni, quindi eventi
che avvengono in direzione opposta rispetto a quelli
che avvengono nella fotosintesi.

La fotosintesi prevede l’utilizzo di energia, cioè


l’immagazzinamento dell’energia luminosa sotto
forma di radiazione elettromagnetica. Avviene
nelle parti verdi della pianta, perché in esse è
presente un pigmento che è in grado di captare
questa radiazione elettromagnetica. La prima fase,
che è quella che estrae l’elettrone dall’acqua e libera
ossigeno molecolare come prodotto di scarto,
avviene a livello delle foglie, dove si trovano i
cloroplasti, in presenza di luce, che innescano le due
fasi della fotosintesi.

Per quanto riguarda la respirazione cellulare,


l’ossidazione finale avviene attraverso il ciclo di Krebs: gli atomi di carbonio che si trovavano
nell’acetilcoenzimaA vengono ossidati ad anidride carbonica e si liberano gli elettroni, i quali,
attraverso la catena di trasporto di elettroni, vengono portati all’ossigeno e si forma acqua. In
questo caso avviene l’inverso: prima c’è l’utilizzo della molecola di acqua e quindi la prima fase
dell’estrazione dell’elettrone, poi il passaggio degli elettroni attraverso una serie di proteine,
che fanno parte della catena di trasporto degli elettroni, molto simili a quelle del mitocondrio,
fino ad arrivare ad essere depositati su un trasportatore. Questa è quella che viene chiamata la
fase luminosa, ossia l’insieme di reazioni che avvengono alla luce. In questa fase servono le
molecole d’acqua, la radiazione elettromagnetica, che possiamo vederla come un pacchetto di
energia (fotone). Questa quantità di energia viene assorbita da molecole in grado di assorbire
energia luminosa, la clorofilla, e si libera ossigeno molecolare. L’elettrone viene depositato su
un trasportatore che è simile al NAD, il NADP, che presenta un gruppo fosfato in più rispetto a
quello della molecola NAD, nicotinammideadenindinuclotide fosfato, che viene ridotto.

NADP
La niocontinammideadenindinucleudite
fosfato, è il coenzima che immagazzina elettroni
per le biosintesi. A livello delle cellule
eucariotiche animali troverete questo coenzima
NADP che acquista gli elettroni ed è in grado di
trasportare gli elettroni.
La struttura è in grado di ossidarsi e di ridursi
ed è uguale a quella del NAD, poiché è la parte
della vitamina della nicotinammide che può
ridursi e ossidarsi; il gruppo fosfato del NADP è
legato al ribosio (in posizione C2) dell’adenina.
Quindi vuol dire che il NADP ridotto non porta
gli elettroni alla catena di trasporto degli
elettroni nel mitocondrio, ma fornisce gli
elettroni durante le biosintesi, nelle cellule
animali. Nella fotosintesi l’elettrone che viene
depositato sul NADP ridotto, viene portato al
ciclo di Calvin per poter ridurre anidride
carbonica.

Quindi, ritornando alla fotosintesi, l’elettrone è pronto per poter passare alla fase successiva,
che è un insieme di reazioni chimiche cicliche, il ciclo di Calvin, opposto al ciclo di Krebs. Questi
elettroni serviranno per ridurre il carbonio dell’anidride carbonica, che è la molecola che entra
nel ciclo di Calvin; in quello di Krebs l’anidride carbonica usciva. Qua, invece, viene ridotto il
carbonio, grazie alla presenza degli elettroni portati dal NADP ridotto, durante il passaggio degli
elettroni nella fase luminosa che porta alla formazione di ATP, perché avviene un fenomeno
simile a quello della chemiosmosi, che abbiamo visto a livello mitocondriale. Questa forma di
energia, sotto forma di ATP, servirà per far avvenire le reazioni del ciclo di Calvin. Dal ciclo di
Calvin esce la gliceraldeide trifosfato, il metabolita che porterà alla sintesi di glucosio. Quindi le
reazioni luminose sono reazioni in cui avviene l’inizio delle reazioni di trasformazione, perché
le radiazioni elettromagnetiche fanno sì che avvenga la fotolisi dell’acqua; quindi, l’acqua è la
molecola che cede l’elettrone alla molecola che per prima ha catturato l’energia.
Nella seconda fase, le reazioni al buio, serve NADP ridotto ed energia per la sintesi di molecole
organiche. É chiaro che deve entrare carbonio inorganico; per cui il carbonio che si ritrova nel
mondo vivente è sempre lo stesso: viene eliminato come anidride carbonica e poi riconvertito
attraverso gli organismi autotrofi, le piante, gli organismi vegetali, in materiale organico che
potrà essere riutilizzato dagli eterotrofi e dagli stessi autotrofi. Questo è praticamente il ciclo
del carbonio, che prevede il cloroplasto e il mitocondrio.

Fase luminosa
La radiazione elettromagnetica viene captata da alcune molecole che si trovano legate alle
membrane dei tilacoidi, membrane che hanno la stessa struttura delle membrane biologiche,
quindi anche lì sono presenti fosfolipidi, doppio strato. Questo fotone viene catturato e i
pacchetti di energia servono per eccitare l’elettrone di una molecola. Non tutte le molecole sono
in grado di captare la luce ed eccitare l’elettrone; alcune molecole sì, tra cui i pigmenti del
cloroplasto. L’elettrone passa a un livello
energetico superiore, assorbendo l’energia;
l’elettrone poi può:
 essere ceduto ad un accettare
primario
 oppure ritornare allo stato
fondamentale liberando energia sotto
forma di fluorescenza
 essere ceduto ad un accettare
primario

A livello del cloroplasto avviene


quest’ultimo evento. Quindi la molecola che
ha captato l’energia e ha ceduto l’elettrone
ad una molecola accettrice, restando senza
elettrone. La fotolisi dell’acqua rimpiazza
l’elettrone, formando subito ossigeno.

Le clorofille sono in grado di captare


energia luminosa, ne esistono di due tipi: la
clorofilla a e la clorofilla b, che sono differenti solo per il metile o il gruppo aldeidico in alto,
ma per il resto sono uguali. La clorofilla ha una struttura con anello in grado di contenere
all’interno un metallo, in questo caso il magnesio. Osserviamo (nella foto) una testa che assorbe
energia e fa effettuare il salto all’elettrone e una coda idrofobica, come quella degli acidi grassi,
con cui la clorofilla si àncora a livello delle membrane dei tilacoidi.

La clorofilla capta il fotone e se viene purificata, isolata, questo elettrone ritorna allo stato
fondamentale, l’energia viene liberata sotto forma di fluorescenza.
Esistono tipi diversi di pigmenti fotosintetici, in base ai quali i cloroplasti sono in grado di
assorbire la luce a diverse lunghezze d’onda. I pigmenti fotosintetici che portano alla sintesi di
carbonio organico sono nello specifico le clorofille, che si
trovano a livello dei tilacoidi, in un complesso che viene
chiamato fotosistema, all’interno del quale si trova il
centro di reazione.

Il fotone viene captato dai pigmenti fotosintetici e


trasferito (dalla molecola di clorofilla) da una molecola
all’altra. Questo trasferimento dell’elettrone arriva fino a
quello che è l’accettore primario degli elettroni, che
strappa l’elettrone da tutto il fotosistema. Quindi la
clorofilla che ha ceduto l’elettrone deve avere un elettrone
per ripristinarla; questo elettrone viene fornito dalla
fotolisi dell’acqua, poiché la molecola ha un livello
energetico inferiore e quindi cede l’elettrone. Così viene
ripristinato l’elettrone del fotosistema (processo che
ovviamente avviene di continuo), e si libera ossigeno.
Quindi nella prima fase viene estratto l’elettrone per poi
proseguire ed andare ad essere ceduto alla molecola di NADP. L’accettare primario degli
elettroni, al contrario di ciò che succede nel mitocondrio a livello della membrana
mitocondriale interna, comincia a cedere l’elettrone ai trasportatori che si trovano ancorati
sulle membrane dei tilacoidi. Sono una serie di proteine, alcune molto simili a quelle che si
trovano nel mitocondrio (i citocromi), proteine legate ad accettori di elettroni come nel
mitocondrio, fino ad arrivare, prima di essere ceduti al NADP, a un altro fotosistema. Il
fotosistema che abbiamo visto prima si chiama fotosistema 2, anche se è il primo. Durante il
passaggio dell’elettrone da una molecola all’altra, per far sì che si venga a sintetizzare ATP, si
ha l’accumulo di protoni nello spazio tra le due membrane, che permetterà di sintetizzare ATP.
Quindi in questo primo passaggio dall’accettore primario fino al fotosistema 1, nella catena di
trasporto degli elettroni, si produce ATP.

A livello del fotosistema 1 avviene


la stessa cosa che avviene a livello
del fotosistema 2: anche qua è
presente clorofilla; l’elettrone che
arriva dall’esterno passa a un
altro accettare primario di
elettroni; si ha sempre l’azione del
fotone, si amplifica l’effetto della
radiazione luminosa, ma qui non
si ha la fotolisi dell’acqua perché
l’elettrone giunge dalla prima
catena di trasporto dell’elettrone.
A questo punto l’elettrone che è
stato ceduto all’accettare
primario degli elettroni effettua
sempre un passaggio in una
catena di trasporto degli elettroni,
ma qui l’accettare finale è l’NADP
ossidato che si riduce. A questo punto l’elettrone può essere utilizzato per la sintesi.
Questi due tipi di passaggio avvengono: perché spesso si ha la fotofosforilazione ciclica per
aumentare la quantità di ATP che può essere prodotta durante la fotosintesi. Dal fotosistema 1
l’accettore primario può cedere nuovamente l’elettrone a quello che è uno dei componenti della
prima catena di trasporto dell’elettrone, cioè a un citocromo, e far riprendere la catena di
trasporto e far sintetizzare una maggior quantità
di ATP. Quando la cellula ha necessità di
aumentare la quantità di ATP effettua questo
sistema di fotofosforilazione ciclica, per cui non
si produce NADP ridotto, ma una quantità
maggiore di ATP.
Quindi l’elettrone nel fotosistema 2 viene ceduto
dalla molecola di clorofilla, viene rimpiazzato
dalla fotolisi dell’acqua, l’elettrone effettua il suo
percorso, arriva al fotosistema 1 e serve per
rimpiazzare l’elettrone che era stato ceduto dai
pigmenti fotosintetici da una seconda radiazione
luminosa che ha colpito il fotosistema 1, che può
far effettuare la fotofosforilazione ciclica per cui
l’elettone può effettuare un ciclo continuo e
attivare continuamente la catena di trasporto
degli elettori per produrre ATP.

Fase oscura
Arrivati alla produzione di NADP ridotto,
questo va al ciclo di Calvin che si trova
nello stroma del cloroplasto, e l’accumulo
che era avvenuto a livello dei protoni nel
passaggio dell’elettrone attiva la sintesi di
ATP, attraverso l’attivazione della pompa
di membrana che è l’ATP sintetasi.
L’elettrone segue il cammino inverso di
quello che avviene nella respirazione
mitocondriale.

Nella matrice mitocondriale il NAD ridotto


porta gli elettroni all’accettare degli
elettroni del complesso 1. Qui l’elettrone
si libera nello stroma, dove avviene il ciclo
di Calvin, che non è altro che
l’assimilazione del carbonio, quindi la riduzione del carbonio dell’anidride carbonica, che è una
delle molecole che entra e reagisce con l’ultimo metabolita del ciclo di Calvin. Si vengono così a
formare una serie di composti organici, avvengono reazioni di ossidoriduzione fino a formare
la gliceraldeide trifosfato, quindi carbonio ridotto, che servirà per la biosintesi del glucosio,
carbonio organico che può essere utilizzato.

Una volta si distingueva in fase luminosa e fase al buio, in realtà le reazioni della fase al buio,
quelle del ciclo di Calvin, avvengono sia al buio che alla luce, quello che conta è che le reazioni
della fase luminosa avvengono solamente alla luce, perché è la radiazione luminosa che innesca
l’evento.

L’ATP si forma sia nella fotofosforilazione ciclica sia nel passaggio degli elettroni dal
fotosistema 2 al fotosistema 1. Le molecole di ATP e NADP ridotto servono perché possa
avvenire il ciclo di Calvin, oltre a questo, serve anche anidride carbonica, cioè carbonio in forma
ossidata. Quindi respirazione e fotosintesi sono gli eventi principali di quello che è il ciclo del
carbonio: la fotosintesi consente la formazione di composti organici, è lo stesso atomo di
carbonio che viene ossidato dal glucosio all’anidride carbonica, e quella anidride carbonica che
viene ridotta a glucosio, con passaggio dall’energia luminosa a energia chimica sotto forma di
adenosintrifosfato, la moneta di scambio energetica, la moneta che serve alla cellula per
compiere i lavori.

IL DNA: sede dell’informazione genetica.


Il DNA è la molecola che ha il solo compito di trasferire l’informazione ed essere il depositario
dell’informazione. Proprio per come è strutturata questa molecola, a doppio filamento, si dice
oggi che il mondo deriva da una molecola di RNA, perché è in grado di dare una struttura a
doppio filamento. Nella struttura del DNA a doppio filamento è spiegato perché questa molecola
è in grado di auto-duplicarsi, di fornire due molecole identiche e quindi una quantità doppia di
materiale informativo che poi può essere suddiviso nelle cellule figlie. Vedremo quali sono gli
esperimenti che hanno permesso di identificare il DNA come la sede dell’informazione genetica.

Il dogma centrale della biologia ci dice che nella


struttura della molecola del DNA è scritto come un
organismo deve essere strutturato. Questa
informazione proprio per la sua importanza viene
tramandata ed ereditata. Infatti, la molecola del DNA è
in grado di auto-duplicarsi: da una molecola se ne
formano due identiche, che vengono poi distribuite
nelle cellule figlie. Quindi è in grado di trasferire
quest’informazione, che serve a formare le proteine, che
svolgono le funzioni cellulari. Le proteine non si
formano direttamente sulla molecola di DNA, ma
attraverso dei passaggi. Dalla molecola statica del genoma, statica perché rimane sempre
quella, l’informazione fluisce in una molecola intermedia, scritta nello stesso modo del DNA
(infatti, il processo viene chiamato trascrizione perché si ricopia un’informazione con le stesse
parole, o leggermente diverse). Questa informazione viene trascritta su una molecola dinamica:
l’RNA, che arriva a quelle che sono le fabbriche delle proteine, gli aggregati molecolari che
traducono l’informazione in proteine, cioè i ribosomi, poi viene degradato. Il fluire
dell’informazione è dovuto a questi due passaggi: la trascrizione, con cui si produce una
molecola simile alla molecola informativa, e la traduzione attraverso la quale l’informazione
viene tradotta nelle proteine, che sono molecole dinamiche (le proteine vanno a svolgere la loro
funzione, vengono degradate e poi vengono di nuovo prodotte).

Come si è visto che esisteva un principio che poteva portare delle informazioni?
Attraverso degli esperimenti.

Esperimento di Griffith (1928)

Un esperimento è quello avvenuto all’inizio del ‘900 dall’attività di un ricercatore che si


chiamava Griffith, il quale era sicuro, ma non riusciva a dimostrarlo, che esistesse un principio
per cui gli organismi potessero venire trasformati, cioè una molecola all’interno della quale
esisteva la possibilità di influenzare la sintesi proteica. Lui era convinto che ci fosse una
molecola, e non le proteine, in grado di portare le informazioni, contrariamente a ciò che si
credeva all’inizio del ‘900 poiché era sostenuto che le informazioni erano scritte nelle proteine.
Griffith era convinto che le proteine non portassero la funzione informativa, anche se molte
patologie ereditarie già si sapeva che erano causate da alterazioni di proteine ed enzimi specifici
e che queste venivano tramandate alla progenie.

Per dimostrare la sua ipotesi prese dei batteri, dei


cocchi, in modo più specifico dei diplococchi, in modo
ancora più specifico di uno pneumococco, che è il
batterio che produce la polmonite batterica. Di questi
pneumococchi esistono due tipi: uno detto forma S
(smooth=liscio perché la superficie del batterio era
liscia al microscopio), patogena perché presentava la
un rivestimento ulteriore di natura glicidica, la capsula
(struttura accessoria), che spesso causa patologie
perché passa attraverso i sistemi di difesa
dell’organismo; e uno detto forma R (rough=ruvida),
che non presenta la capsula e non la patogenicità.
Quindi prese questi due tipi distinti di batteri, li
inoculò separatamente in cavie da laboratorio e vide
che quella infettata dallo pneumococco S moriva,
l’altra no. Queste due specie si differenziamo solo per
la presenza della capsula. Allora lui, prima di tutto,
denaturò i batteri con il calore, perché con il calore le
proteine si denaturano, cioè perdono la loro
conformazione, non sono più in grado di svolgere la
loro funzione e il batterio muore.
Inoculò sia con S che con R, separatamente, denaturati
al calore, la cavia. Nessuna delle due cavie morì. A
questo punto prese una miscela di S, denaturati al
calore e li mescolò con R vivi, che non causano la malattia, e iniettò la miscela nelle cavie di
laboratorio. Queste cavie morivano non di sepsi ma di polmonite. Non solo, ma nel sangue della
cavia ritrovò i batteri S vivi e virulenti, quindi voleva dire che qualcosa che era contenuto nei
batteri S, denaturati al calore (e non le proteine perché denaturate), che aveva trasformato R in
S. Ovviamente il mondo scientifico diceva che le proteine erano le responsabili, perché non
conoscevano ancora la presenza del DNA. Quindi Griffith finì la sua carriera con il mondo
scientifico che disse che il suo esperimento non valeva niente.
Esperimento di Avery, MacLeod, MacCarty: dimostrazione che il principio trasformante
è il DNA

Ma Avery, uno scienziato, che in collaborazione con altri


colleghi, fece un esperimento che poi fu pubblicato e
dichiarato “la bomba di Avery”. Lui prese sempre
batteri di tipo S denaturati al calore, separò i
componenti che costituivano i batteri, quindi sia le
proteine che i lipidi, che gli zuccheri, che gli acidi
nucleici; le mescolò separatamente con i batteri di tipo
R vivi e li iniettò separatamente alle cavie. Vide che
morivano quelli in cui era stata iniettata la miscela tra
acidi nucleici e i batteri di tipo R. Anche lui ritrovò
batteri di tipo S vivi.

Però ancora il mondo scientifico era difficile da


convincere. Allora lui prese sempre queste miscele, le
trattò con enzimi che degradano le proteine, proteasi,
le mescolò con batteri di tipo R, iniettò la miscela alle
cavie e queste cavie di nuovo morivano. Invece, quando
iniettava la miscela trattata con enzimi che degradano
il DNA, mescolata con batteri di tipo R, le cavie non morivano e R non si trasformava in S. Quindi
questo esperimento dimostrò che nella molecola del DNA, di cui ancora non si conosceva la
struttura (fu determinata da Watson e Crick negli anni ’60), era contenuto il principio
trasformante.

Esperimento di Harshey-Chase (1952)

Un altro esperimento è quello di Harshey e


Chase, altri due ricercatori, che, intorno agli
anni ’50, poco prima della scoperta della
struttura di DNA, utilizzarono uno
strumento particolare per il proprio
esperimento: i virus.

I virus sono aggregati, e non forma viventi,


di proteine ed acidi nucleici, che
contengono le due molecole su cui si
discuteva riguardo a chi portasse
l’informazione: la proteina o questa
struttura interna acida? Questi due
ricercatori utilizzarono proprio queste
strutture che contengono una proteina di rivestimento e l’acido nucleico, il DNA, all’interno.
Questi batteriofagi presentano una struttura che sembra una navicella spaziale, con delle
zampe, tutta di natura proteica e all’interno di questa testa del virus è presente l’acido nucleico.
Fecero crescere e riprodurre questi virus in batteri dove era contenuto dello zolfo radioattivo.
Lo zolfo entra esclusivamente nelle proteine, perché esistono degli amminoacidi che
contengono zolfo. Quindi la parte gialla (foto) indica la radioattività dello zolfo, l’involucro
radioattivo. Un’altra parte di questi virus furono fatti crescere in batteri (i virus non sono in
grado di svolgere alcuna funzione vitale, si riproducono solo se infettano cellule) con del
fosforo radioattivo. Tra proteine e acidi nucleici, solo negli acidi nucleici è presente il gruppo
fosfato, quindi la radioattività qui è presente solo all’interno, in questa struttura acida, che ora
chiamiamo DNA e loro chiamavano principio trasformante. Quindi usarono questi virus
radioattivi fuori nell’involucro proteico oppure radioattivi all’interno, nella molecola del DNA,
per infettare dei batteri in due colture separate.
Il virus introduce il suo materiale genetico, quindi il rivestimento proteico resta fuori dal
batterio. Il materiale genetico si integra con il materiale del batterio, i batteri si riproducono e
si generano nuovi virus. Quindi ritrovarono nella miscela che conteneva il virus radioattivo
all’esterno, la radioattività fuori dal batterio, ciò vuol dire che le proteine non erano entrate e
quindi non avevano fatto sì che si riproducessero e si formassero nuove forme di virus. Non
solo, nella miscela con virus che contenevano radioattività all’interno, questa radioattività
entrava nel batterio; quindi, andando a separare il batterio dal resto della soluzione trovarono
la radioattività all’interno del batterio e si formarono virus nuovi da quei batteri. Ciò indicava
che l’informazione era contenuta nella parte all’interno del virus, e non nel rivestimento
proteico. Quindi nella molecola del DNA è scritta l’informazione per produrre nuove strutture,
in questo caso nuovi virus.

Ancora prima della struttura del DNA, come la conosciamo noi, intorno al 1950, tutti gli studiosi
erano a cercare come fosse strutturata la molecola informativa, tra cui anche Chargaff, che vide
che le quantità delle basi azotate (adenina, guanina, citosina e timida) erano diverse, ma a quelle
di citosina corrispondeva la stessa percentuale di guanina, alle molecole di adenina
corrispondeva la stessa percentuale di molecole di timina. Nell’uomo, il 19,9% di DNA è
costituito da citosine, la stessa percentuale di guaine, e le timine e le adenine sono presente in
stessa percentuale. Quindi il numero di molecole di adenine è uguale al numero di molecole di
timina, il numero di molecole di citosina è uguale al numero di molecole di guanina. Ci doveva
essere una complementarità tra queste basi.

Tutte queste informazioni servirono a Watson e Crick, che vinsero poi il premio Nobel nel 1962
per aver individuato la struttura a doppia elica del DNA: due filamenti tenuti insiemi dalla
complementarità di queste basi azotate, una purina e una pirimidina, la distanza tra i due
filamenti deve essere mantenuta costante. Questi due filamenti si dice scorrono in direzione
antiparallela e si avvolgono nella doppia elica. La struttura a doppio filamento del DNA spiega
la capacità di autoreplicarsi della molecola perché ognuno dei due filamenti serve da stampo
per la sintesi di due nuovi filamenti. Quindi vuol dire che la duplicazione del DNA avviene
secondo un modello semiconservativo: la vecchia molecola si conserva metà nelle due nuove
molecole prodotte; i due filamenti iniziali servono da stampo, possono separarsi perché le basi
azotate sono tenute insieme da quei legami deboli che sono i legami ponte a idrogeno. L’atomo
di azoto è legato all’idrogeno, e quando l’idrogeno è
legato ad un atomo elettronegativo è impoverito di
elettroni e quindi va a cercare una fonte elettronica.

Molti esperimenti furono fatti dalla ricercatrice


Rosalid Franklin, che ipotizzò la struttura del DNA,
attraverso un’osservazione ai raggi X, con la
diffrattometria, che era in grado di, mediante
l’assorbimento dei raggi X, evidenziare questa
struttura a doppio filamento.

Watson e Crick costruirono fisicamente il modello a


doppio filamento della molecola di DNA.
Gli studi sono andati avanti sulla molecola del DNA, fino arrivare al 2000, in cui tutto il genoma
umano è stato sequenziato: l’informazione scritta nell’ordine con cui sono disposte le quattro
basi azotate all’interno dell’intero genoma. Esistono unità funzionali del genoma, che sono i
geni, per cui sequenze specifiche determinano l’ottenimento di proteine.

Struttura del DNA


La molecola di DNA è formata da numerosi gruppi
fosfato che, a pH cellulare, sono ionizzati a molecole di
acido fosforico che a quel pH sono cariche
negativamente. Quindi la molecola del DNA, che in una
cellula umana arriva anche alla lunghezza di 2 metri,
deve compattarsi, organizzarsi in strutture ben precise
per riuscire a rientrare in quel piccolo spazio che è il
nucleo. Il DNA si organizza in queste strutture che
vengono chiamati nucleosomi, date dall’associazione
del DNA con proteine basiche.

Il DNA è un acido, acido deossiribonucleico, ha gruppi


fosfato ionizzati con carica negativa, tutte distribuite
lungo la molecola; quindi, la molecola non facilmente si
aggrega, non facilmente si organizza, non facilmente
può avvolgersi su stessa perché le cariche dello stesso
segno si respingono.
L’evoluzione ha fatto sì che qualcosa neutralizzasse
quelle cariche: le proteine globulari, chiamate istoni,
formate da molti amminoacidi basici, quindi con
cariche positive sulla loro superficie, che vanno a
neutralizzare quelle cariche negative della molecola di
DNA e fanno sì che questa molecola possa compattarsi.
Gli istoni sono tutti costituiti da amminoacidi basici,
quindi sono tutti proteine basiche, sono 8 in un
complesso, che viene a chiamarsi nucleosoma,
mediante non legami covalenti ma associazione di
proteine.
Queste 8 proteine istoniche, in ogni complesso sono
uguali a due a due, quindi sono 4 coppie di istoni. Gli
istoni prendono il nome H (sta per histon): H2A, H2B,
H3, H4, in coppia vanno a costituire il nucleosoma,
attorno alle quale si avvolge per due volte la struttura
del DNA. Ognuno di questi nucleosomi è tenuto vicino
all’altro dal DNA linker, quel tratto di molecola di DNA
che unisce queste perle di questa collana (i nucelosomi).
Esiste un altro istone, l’istone H1 che non è globulare, ma filamentoso che serve per tenere
insieme i due filamenti di DNA che si avvolgono attorno al core degli 8 istoni.

Gli istoni sono proteine che vengono modificate e sono importanti perché regolano
l’espressione genica.
Assemblaggio del nucleosoma
La formazione del nucleosoma è graduale: prima avviene separatamente la formazione dei
dimeri, cioè le coppie (H2A con H2B e H3 con H4), che poi si associano a formare il tetramero,
e separatamente avviene l’assemblaggio. In fondo si viene a formare questa struttura in cui ogni
proteina istonica lascia all’esterno le code amminiche, le estremità ammino terminali. Questo è
importante perché in queste code, che fuoriescono dal complesso del core degli istoni,
avvengono degli eventi di modificazione che influenzano l’espressione del gene, influenzando
anche il compattamento della cromatina.

Quindi la neutralizzazione garantisce al DNA di potersi compattare. L’associazione tra le


molecole del DNA delle cellule eucariotiche e le proteine istoniche si chiama cromatina. La
cromatina non è altro che un livello di organizzazione della molecola di DNA.

A livello delle estremità delle proteine ammino istoniche avvengono delle modifiche post-
tradizionali che modificano la conformazione della cromatina. Di cromatina ne esistono due
tipi: una cromatina altamente condensata, chiamata eterocromatina, molto compatta e una
cromatina più rilassata, che si chiama eucromatina che è quella che facilmente si esprime, da
lì si produce l’RNA e poi le proteine. Di eterocromatina ne esistono due tipi: una facoltativa e
una costitutiva, quest’ultima non si rilasserà mai, così compatta che non è trascritta mai; invece,
la parte facoltativa, secondo alcuni stimoli cellulari, può convertirsi in eucromatina e quindi
venire trascritta. Questo è influenzato dalle modifiche che avvengono sulle code
amminoterminali degli istoni dei nucleosomi.
Biologia – Lezione n° 15
Data: 17/11/2021
Materia: Biologia
Professore: Modesti
Coppia: Sbobinatore: Simona Daviddi / Revisore: Matteo Chiarantini

Organizzazione del DNA in una cellula eucariotica:


Il DNA, essendo un acido carico negativamente, si lega con protiene (istoni) che sono ricche di
aminoacidi basici (quindi con cariche positive) organizzandosi in strutture ben definite. Gli istoni
che costituiscono il core istonico hanno una struttura globulare.
Considerando gli istoni H2A, H2B, H3, H4 essi si associano separatamente:
!""l'H3 e l'H4 si associano tra loro
!""l'H2A e l'H2B si associano tra loro
Quindi prima si ha la dimerizzazione, si ha poi la formazione del tetramero ed il DNA si associa
intorno al tetramero. Formato il nucleosoma rimangono, che fuoriscono da questo complesso, le
estremità amminoterminale delle protiene, importanti perchè a livello di questi frammenti si
hanno modifiche post-traduzionali che variano, sono dinamiche, nel senso che può avvenire
l'aggiunta di una molecola oppure può venire rimossa una molecola influenzando la "funzione"
del DNA (sede dell'informazione per produrre proteine). L'espressione del DNA è funzione delle
modifiche che avvengono nelle proteine istoniche.

L'acetilazione del DNA: viene aggiunto un gruppo acetile che si lega ad alcuni residui della coda
N-terminale degli istoni e quando la cromatina (DNA+istoni) è acetilata essa è più rilassata,
meno compatta e quindi è trascrivibile ed i geni si esprimono. Quando invece viene rimosso un
gruppo acetile, la cromatina è molto più compatta.

Una volta che la carica negativa del DNA è stata neutralizzata, la cromatina può assumere delle
conformazioni più condensate fino ad arrivare all'ultimo grado che prende il nome di
eterocromatina (molto condensata), ma il massimo grado di consensazione della cromatina è il
cromosoma che non si evidenzia in una fase fisiologia della vita cellulare, ma solamente
quando la cellula sta per dividersi. Prima della formazione del cromosoma il DNA si è duplicato.

Il cromosoma:
Il cromosoma è formato da 2 cromatidi fratelli, in quanto formati da DNA identico. I cromatidi
sono tenuti insieme in una costrizione primaria, ovvero il punto a cui poi si agganceranno le
fibre del fuso mitotico, a livello del centromero. Lì vi sono le proteine del cinetocore che
uniscono i due cromatidi e tali proteine prenderanno contatto con il fuso mitotico. Oltre a questa
costrizione primaria in ognuno dei cromatidi può essere presente una costrizione secondaria,
che si trova in genere sul braccio lungo del cromosoma. La dimensione dei cromosomi varia e
dipende da quello che è la dimensione dei cromatidi e la posizione del centromero, che può
essere quasi centrale con la formazione di cromosomi metacentrici, può essere
submetacentrico ovvero spostato verso un lato, oppure acrocentrico ovvero rimane solo una
parte di cromosoma satellite e non si distinguono i due bracci del cromosoma.

I cromosomi si evidenziano solo quando la cellula ha duplicato il suo materiale genetico. Per
vedere il tipo ed il numero di cromosomi in un individuo dobbiamo svolgere il cariotipo.
Nell'uomo ci sono 46 cromosomi, ovvero 23 coppie. Ogni coppia è formata da 2 cromosomi
simili strutturalmente, ma non identici e si chiamano omologhi. Ciò significa che non sono uguali
ma portano le informazioni per lo stesso carattere (una di origine paterna e una di origine
materna). Essi derivano dai gameti, dalle cellule specializzate per la riproduzione sessuata. Le
cellule somatiche hanno un contenuto diploide di cromosomi. 22 sono i cromosomi omologhi o
autosomi e poi vi è la coppia di cromosomi sessuali (XX o XY).

Negli individui di sesso femminile, siccome sono presenti due cromosomi identici ci sarebbe un
raddoppio delle informazioni per lo stesso carattere e quindi nelle cellule somatiche,
casualmente uno dei due cromosomi viene inattivato e si viene a formare il Corpo di Barr
(cromosoma molto condensato che non si esprime). Un esempio visibile è nei gatti di sesso
femminile quando presentano il colore misto, in quanto il colore del pelo del gatto è contenuto
sul cromosoma X (gatti calicò).

Cosa avviene nei procarioti:


Esiste un DNA cromosomico circolare e poi esiste del DNA accessorio che sono i plasmidi.
Anche nei procarioti il DNA è associato a proteine che però non sono proteine istoniche, ma
sono diverse strutturalmente. Il DNA procariotico è associato non solo a proteine, ma anche a
RNA.

Una caratteristica del DNA è che può essere denaturato e rinaturato. Il DNA può denaturarsi
andando a rompere i legami a ponte idrogeno tra le basi azotate. I legami idrogeno sono legami
deboli e basta poca energia affinchè si rompano e facilmente si riformino. Il doppio filamento è
tenunto insieme da questi legami deboli, che sono molto numerosi. Durante l'arco della vita
della cellula il DNA spesso si denatura, ovvero quando deve svolgere la sua funzione di sede
dell'informazione. L 'informazione è contenuta nella sequenza specifica delle basi e se vogliamo
sapere le informazioni dobbiamo far esprimere la molecola di DNA e perciò durante la vita della
cellula si denatura, non completamente.
è importante la denaturazione nella biologia, perchè durante il processo della duplicazione il
DNA si denatura, non tutto contemporaneamente, ma inizia in posizioni ben definite e consente
l'apertura e quindi l'esposizione delle basi azotate che funzionano da stampo per la sintesi di
due nuovi filamenti. Alla base della duplicazione del DNA si ha la duplicazione di una molecola
con la formazione di due molecole identiche.

Ipotesi duplicazione:
Il DNA si denatura ed i due filamenti funzionano da stampo. Le ipotesi furono che le prime
molecole che si formano si formano secondo un:
!""Modello semi-conservativo, per cui si denaturano i legami idrogeno tra le basi ed i due
filamenti funzionano da stampo e da questi due filamenti si formano due nuovi filamenti
con due nuove molecole conservate per metà, uno dei due filamenti è di vecchia origine.
!"""Modello conservativo, ovvero il DNA di vecchia origine si richiude su se stesso ed i
vecchi filamenti si riappaiano.
!" Modello disperisivo, a tratti si forma DNA nuovo ed a tratti del DNA vecchio.
Per dimostrare la giusta ipotesi intervennero due ricercatori (Meselson e Sthal) che utilozzarono
un isotopo dell'azoto, l'isotopo pesante 15 (ha 15 neutroni). Usò questo isotopo facendo
crescere in un terreno contenente azoto pesante, sottoforma di cloruro di ammonio, dei batteri.
Durante la crescita di questi batteri, essi introducono nel loro DNA azoto pesante, ovvero il DNA
che se viene fatto separare per ultracentrifugazione in provetta si deposita ad un livello inferiore
rispetto al DNA normale. Si parte quindi da questi batteri cresciuti in un terreno con azoto
pesante. Si riesce a discriminare tra leggero e pesante perchè il DNA viene sottoposto ad
ultracentrifugazione in un gradiente di densità , si crea in una provetta un gradiente di una
sostanza (saccarosio ad esempio) che dà una diversa densità e sottoponendo a
ultracentrifugazione il DNA di questi batteri cresciuti con azoto pesante questo si posiziona ad
un livello inferiore rispetto al DNA leggero. Presi questi batteri tutti contenenti azoto pesante e
DNA pesante, questi vengoni messi a crescere in un terreno contenete azoto leggero (14) e si
fanno crescere i batteri per una generazione perchè se la duplicazione fosse semiconservativa
si formerebbe un DNA semipesante, se la duplicazione fosse conservativa si formerebbe un
DNA pesante ed uno leggero, mentre se fosse la duplicazione dispersiva ci sarebbe una banda
mista.
Fecero questo esperimento e videro che si formava una sola banda, scartarono quindi la
duplicazione conservativa.
Per vedere se la duplicazione era semi-conservativa o dispersiva (meno favorita perchè si
dovevano rompere i legami covalenti tra i nucleotidi) fecero crescere per un'altra generazione
(altri 20 minuti) i batteri e a quel punto se la duplicazione avviene in modo disperisvo si ha
sempre un'unica banda, mentre se è semi-conservativa dal DNA misto che si è ottenuto si
forma un DNA tutto leggero ed un DNA misto, quindi una banda totalmente più alta perchè è
tutto DNA leggero ed una banda all'altezza di quella precedente. Dimostrarono quindi così che
la duplicazione avviene secondo un modo semi-conservativo.

Duplicazione DNA batterico:


Inizia in un unico punto, quindi comincia la duplicazione nell'origine di replicazione e da quel
punto il DNA comincia a denaturarsi e contemporanemente verso le due estremità di aspertura
della bolla si vengono a sintetizzare sullo stampo del DNA parentale i filamenti nuovi. Si forma
questa struttura ad anello, la forcella si apre nelle due direzioni ed i due filamaneti servono da
stampo per la sintesi dei due filamenti figli con formazione finale di 2 molecole di DNA identiche
semiconservate.

Duplicazione DNA eucariotico:


Nel DNA eucariotico, che ha le estremità libere, le origini di replicazioni sono di più e quindi la
duplicazione comincia in più punti contemporaneamente perchè la molecola di DNA si deve
formare velocemente per ridurre gli inserimenti di errori e la cellula deve continuare a svolgere
la sua funzione ed è quindi necessario che la duplicazione avvenga in tempi rapidi e le origini
sono quindi più di una. Ci sono delle sequenze di riconoscimento ben definite, ovvero quelle
che sono ricche di basi azotate che formano solo due legami a ponti di idrogeno, quindi adenine
e timine. Da quei momenti lì il DNA inizia a denaturarsi e la sintesi di DNA anche qui è
bidirezionale e si formano le bolle di replicazione o repliconi e prosegue la sintesi.

Cosa tenere conto nella resplicazione del DNA:


I filamenti che sono stati denaturati del DNA parentale tendono a richiudersi e li tengono
separati delle proteine che stabilizzano il singolo filamento, che si associano al DNA a singolo
filamento impedendo l'appaiamento con il filamento complementare. Effettua la rottura dei
legami a ponte idrogeno l'enzima elicasi, che procede consumando energia (idrolizzando ATP)
per rompere i legami. la DNA elicasi comincia ad aprire il doppio filamento nelle due direzioni
consumando energia e le proteine stabilizzano i filamenti.
I due filamenti fungono entrambi da stampo.
Si evita i superavvolgimenti del DNA per mezzo delle topoisomerasi, enzimi che tengono fermi i
DNA a valle delle forche di replicazione e rompono il legame tra i nucleotidi mantenendo uniti il
DNA e si allenta la tensione dovuta all'apertura del doppio filamento e sempre le stesse
topoisomerasi rilegano i nucleotidi allentando le tensioni.
Abbiamo quindi i due filamenti stampo pronti e si ha l'intervento di un enzima, la DNA
polimerasi: questo enzima non è in grado di cominciare da zero ma ha bisogno di un innesco
che può essere solamente un pezzo di RNA che prende il nome di primer. L'RNA primer è un
piccolo tratto di RNA che funghe da innesco, fornendo un'estremità 3'OH a cui la DNA
polimerasi potrà cominciare sullo stampo del DNA ad aggiungere nucleotidi. La sintesi dei due
filamenti complementari avviene in due direzioni opposte, perchè dobbiamo dire che la DNA
polimerasi ha una specifica direzione di sintesi, ovvero è in grado di aggiungere i nucleotidi
nuovi solo ad un'estremità della catena che si sta allungando, ovvero l'estremità 3'OH. La
sintesi della DNA polimerasi è quindi in direzione 3'-5'. La sintesi della nuova molecola è quindi
in direazione quindi 5'-3'.
Siccome la direzione di sintesi della DNA polimerasi è 3', uno dei due filamenti andrà in una
sintesi continua, mentre l'altro andrà in formazione discontinua, con frammenti che verrano uniti
successivamente (frammenti di Okazaki) dall'enzima ligasi.
Fasi del processo di duplicazione:
!"""il DNA viene denaturato dall'enzima elicasi, le proteine vanno a stabilizzare il singolo
filamento così che il DNA rimanga denaturato per funzionare da stampo. Durante
l'apertura si possono venire a formare nella porzione di DNA ancora avvolta dei
superavvolgimenti, quindi delle torsioni della molecola che devono essere impedite. I
superavvolgimenti vengono eliminati da alcuni enzimi che sono le topoisomerasi. Le
topoisomerasi allentano le tensioni idrolizzando i legami tra i nucleotidi. Esistono due tipi
di isomerasi, le topoisomerasi di tipo 1 tagliano un solo filamento, mentre le
topoisomerasi di tipo 2 tagliano entrambi i filamenti. Esse rivestono il punto del
superavvolgimento ed idrolizzano il legame covalente tra i nucleotidi.
!""""La sintesi procede in direzione 5'-3'. la DNA polimerasi III è quella di polimerizzazione ed
affinchè possa funzionare, affinchè possa riuscire a legare i nucleotidi in base allo
stampo, è ncessario un innesco, un primer di RNA che viene prodotto da un enzima che
prende il nome di primasi che fa sempre parte del complesso delle proteine che fanno
avvenire la duplicazione. La DNA polimerasi III forma legami fosfodiestere tra il 3'OH
della catena in allungamento ed il 5'P di un nuovo nucleotide. La DNA polimerasi
catalizza il legame tra i nucleotidi complementari. A questo punto si è venuto a formare il
DNA di nuova sintesi e vediamo che rimane un pezzo di RNA primer che deve essere
rimosso per mezzo di una RNAasi e poi con le estremità 3' del frammento precedente
viene riempita quell'apertura.
!""""La sintesi necessita di un innesco. L'RNA polimerasi forma l'innesco che si posizione
sullo stampo. Siccome i filamenti vanno in direzione antiparallela, una sintesi del
filamento sarà continua, l'altro deve avvenire in senso opposto rispetto all'andamento di
apertura della forcella di replicazione.
!"""I frammenti di Okazaki sono staccati tra loro e verrano rimossi poi i primer e verrano
legati per mezzo dell'enzima ligasi che utilizza energia per formare i legami fosfoestere.

Enzimi coinvolti nella replicazione:


!" Elicasi
!" Proteine che legano il singolo filamento
!" Primasi
!" DNA polimerasi III: attività di polimerizzazione e di idrolisi del legame che ha formato,
perchè siccome sono tanti i nucleotidi che devono essere legati insieme, possono
essere inseriti dei nucleotidi con una base sbagliata. Se questo inserimento fa si che la
dimensione e la distanza dei filamenti sia troppo distante o non abbastanza distante il
DNA non scorre più nella struttura terziaria della proteina, che quindi si ferma e torna
indietro idrolizzando il legame rimuovendo il nucleotide e si inserisce il nucleotide
corretto. Se questo non avviene si hanno le mutazioni puntiformi del DNA.
!" DNA polimerasi I: corregge le bozze eliminando i nucleotidi incorporati in modo errato.
!" Ligasi
Data: 18/11/2021
Materia: Biologia
Lezione: 16
Professore: Alessandra Modesti
Sbobinatore/revisionatore: Matteo Cappello/
Alessio D’Aniello

Proseguiamo con quella che è l'espressione genica.


Abbiamo visto, abbiamo cominciato a vedere come la molecola del DNA si duplica per trasferire
l'informazione alle cellule figlie.

In questa diapositiva semplicemente è per farvi vedere i tipi di RNA polimerasi, quindi sono proteine,
sono enzimi che hanno tutte la funzione di polimerizzazione, non sono tutte uguali come struttura
e diciamo che alcune hanno delle funzioni esonucleasiche che cioè oltre che di sintesi agiscono
anche nella degradazione della molecola del DNA cioè nell'idrolisi dei legami tra i nucleotidi
fosfoesterei e questa attività serve per rimediare a quelle che può essere l'inserimento di nucleotidi
scorretti durante il momento della duplicazione. Spesso sfuggono queste correzioni cioè non
vengono corrette e si dice "le bozze", si dicono bozze perché una volta c'era un individuo, il
correttore di bozze quando venivano stampati i giornali quindi cambiava il carattere e inseriva il
carattere corretto cosa che fa la DNA polimerasi nel rimuovere il nucleotide scorretto nella sequenza
della sintesi del nuovo filamento e introdurre il nucleotide corretto cioè il nucleotide che porta la
base complementare corretta che era stata inserita scorretta.
Spesso queste correzioni non avvengono e qui si vengono a formare quelle che sono le mutazioni
che cosa hanno portato nel tempo le mutazioni? Hanno portato ad avere geni con sequenze non
proprio identiche che però codificano e portano l'informazione per un carattere uguale. Questi
come si chiamano? si chiamano alleli. Quindi le forme alternative di uno stesso gene, che sono gli
alleli, derivano proprio da eventi di mutazione puntiforme che si sono verificati durante l'evoluzione,
quindi portano l'informazione per quel carattere, le informazioni però possono non essere identiche
e questi sono gli alleli, forme alternative dello stesso gene. Dove si trovano gli alleli? si trovano sui
due cromosomi omologhi cioè sui cromosomi si trova la cromatina, si trova il DNA cioè i cromosomi
sono costituiti da DNA e abbiamo anche detto che il genoma che è il tutto quello che stiamo dicendo
finora cioè l'insieme di tutte le sequenze nucleotidiche nella molecola del DNA. Il genoma è
suddiviso in unità funzionali che abbiamo chiamato geni. Un gene porta l'informazione per un
carattere, per una proteina che poi in realtà vedremo che è più di una. Sui due cromosomi, nelle
stesse identiche posizioni, si trovano i geni che portano informazioni per lo stesso carattere queste
sono le posizioni in cui si trovano gli alleli, se queste informazioni non sono uguali abbiamo appunto
gli alleli. Possono o meno essere uguali perché derivano da individui diversi, due cromosomi invece
sui cromatidi dello stesso cromosoma esistono gli stessi geni. E' vero che durante la duplicazione
possono avvenire delle mutazioni, delle variazioni e lì si vengono a creare, nell'evoluzione, le forme
alternative del gene che porta sempre l'informazione per quel carattere. E' ovvio che stiamo
parlando di mutazioni che non alterano completamente il prodotto genico vedremo più avanti
appunto quali possono essere i tipi di mutazioni, però andiamo a vedere adesso come si esprime
questo genoma, questo DNA. Dicevamo dogma centrale che la trascrizione vuol dire anche riscrivere,
ricopiare e infatti la molecola che si forma dell'RNA è scritta con più o meno le stesse lettere con cui
è scritto il genoma.
Chi è che effettua questa ricopiatura? Un po' l'abbiamo accennato, è un altro enzima che ha sempre
la funzione di base di polimerizzare cioè formare il legame tra i nucleotidi e questo enzima è la RNA
polimerasi. Questo RNA polimerasi come fa a iniziare a ricopiare un determinato frammento di
DNA? Perché riconosce sulla molecola del DNA un gene che si chiama gene promotore che
promuove la trascrizione, cioè che favorisce il legame con la RNA polimerasi, cioè la RNA polimerasi
si posiziona sul promotore e da lì inizia a lavorare.
Come lavora? nello stesso modo del DNA polimerasi perché utilizza lo stesso principio biologico, che
vuol dire? vuol dire che aggiunge nucleotidi all'estremità 3’ OH di un nucleotide iniziale perché le
RNA polimerasi può iniziare da zero ovviamente, non a caso lavora su un filamento stampo di DNA.
Quindi la trascrizione è un evento, è un processo che prevede un inizio per cui l’RNA polimerasi
riconosce il gene promotore, inizia un allungamento catalizza la formazione del legame tra
nucleotidi dell’RNA e poi ha un termine, cioè non è che poi quando inizia tutto il genoma viene
trascritto, viene trascritto solamente quel tratto, quell'unità funzionale che poi con l'ultima fase
dell'espressione genica che è la traduzione porterà ad ottenere la proteina. Nei procarioti ed
eucarioti più o meno il processo è uguale, ovviamente gli enzimi sono più o meno complessi però il
concetto chiave è identico e la trascrizione porta a tipi di RNA diversi che hanno funzioni diverse
perché io ho detto che la traduzione porterà ad ottenere proteine, per questo viene prodotto un
RNA particolare che si chiama RNA Messaggero che porta il messaggio dal genoma a quelli che sono
i ribosomi dove avviene la sintesi della proteina, la traduzione. Però esistono delle molecole di RNA
di struttura, l'RNA che fa parte dei ribosomi, ovvero L'RNA ribosomiale che non ha un'azione di
portare il messaggio però i ribosomi partecipano alla traduzione quindi tutte le molecole di RNA
saranno, vedremo, collegate col processo di traduzione della sintesi di proteine dell'espressione del
gene.
In questo disegno vediamo a
destra come lavora sulla
molecola del DNA l'enzima RNA
polimerasi e anche in questo
caso si ha una denaturazione
della molecola del DNA perché
ovviamente anche qua si deve
esporre il singolo filamento.
Nel caso però dell'RNA
polimerasi solo uno dei due
filamenti verrà trascritto che è
quello che sarà in direzione
antiparallela rispetto alla
direzione dell'enzima. L'enzima
abbiamo detto va come la DNA polimerasi in direzione 5’->3’ cioè aggiunge nucleotidi all’estremità
3’ OH di una catena in allungamento, cioè a un filamento di RNA che cominciando da zero al primo
nucleotide, primo nucleotide si posiziona sullo stampo di DNA in modo antiparallelo e dalla sua
estremità 3’ OH l'enzima comincia ad aggiungere nucleotidi a formare il legame covalente fra i
nucleotidi che si posizionano, anche in questo caso come nel DNA, sulle basi stampo del DNA in
modo complementare. Quindi nucleotidi dell'RNA vengono aggiunti all’estremità 3’OH dall’enzima
e l’enzima scorre lungo il filamento di DNA denaturando il legame a ponte di idrogeno tra le basi
facendo in modo che si formi e che fuoriesca dal complesso la coda di RNA prodotto, quindi quella
che è l’estremità 5’ dell’RNA, e prosegue la sintesi fino al gene terminatore.
Nel disegno a sinistra (!!!) vediamo il doppio filamento di DNA con una porzione che viene detta
sequenza promotore che è una sequenza di DNA che viene riconosciuta dall’enzima RNA
messaggero che qui lo vediamo come una struttura arancione, una freccia arancione che si posiziona
(ovviamente ha una struttura tridimensionale) sul gene promotore, scorre lungo la molecola di DNA
che si denatura in quella posizione e la sua direzione è di sintesi 5’->3’ cioè aggiunge nucleotidi
all’estremità 3’ OH su uno stampo che è posizionato in modo antiparallelo, cioè se va da 5’ a 3’ sarà
3’->5’. Quindi qual è il filamento che viene trascritto? Sempre il filamento di DNA che va in direzione
3’->5’.
Vedremo che il promotore indirizza la trascrizione che può essere in una direzione ma anche
nell’altra (“ma allora dice se ha detto che va da 3’ a 5’ sì se andiamo in un senso ma abbiamo il
filamento complementare, se va nel senso opposto trascrive l’altro filamento e produce proteine
completamente diverse”). Cresce, si allunga l’RNA quando l’RNA polimerasi giunge al gene
terminatore (vedremo come sono strutturati, non nei dettagli ovviamente lo farete in modo più
specifico a biologia molecolare) per quello che interessa a noi c’è un’indicazione sulla molecola del
DNA che fa fermare la trascrizione, quindi è solo un tratto di RNA che viene prodotto, quello poi
andrà dai ribosomi per essere tradotto.
In questa figura (a sinistra) vediamo la struttura
diciamo così, la costruzione di quella che è la
struttura dell’RNA polimerasi procariotica
perché ovviamente è più semplice di quella
eucariotica, però per farvi vedere che è una
proteina con una struttura quaternaria cioè
formata da molte subunità che sono due
catalitiche e due invece di riconoscimento. Sono
più di quattro perché c’è un’altra subunità che è
in grado, altre due subunità, una che è la σ e che
è la porzione della proteina che per prima
riconosce la sequenza del promotore. Quindi
consideriamo una proteina struttura
quaternaria che però la struttura quaternaria la
assume quando inizia a lavorare quindi per
prima cosa la subunità σ dell’RNA polimerasi
riconosce il gene promotore, il complesso DNA-
subunità σ è riconosciuto, in sequenza, dalle altre subunità; due di queste sono catalitiche che
vengono attivate per fosforilazione da parte di una ulteriore piccola subunità “epsilon”.
Quando è tutto pronto si inizia il processo della polimerizzazione, cioè dell'attivazione dell'enzima.

Nel disegno viene praticamente evidenziato un po’ quello che avevamo visto nella sequenza diciamo,
nella parte a destra della diapositiva quello che abbiamo visto anche per la DNA polimerasi cioè
perché l'allungamento avviene al 3’? Perché sopraggiungono nucleotidi in forma trifosfata. Qui il
nucleotide ha già perduto gli altri due gruppi fosfato e si lega all'estremità 3’OH del nucleotide che
lo precede. Vedete la freccia in direzione 3’ vuol dire che si va in quel senso di sintesi e viene
ricopiato, trascritto le informazioni, cioè la sequenza che si trova sulla molecola di DNA stampo.

In quest’altra
figura è un po’ più dettagliata di quella vista prima, ci dice appunto che questa RNA polimerasi, qui
quella verde è già complessa, si lega al gene promotore e al termine della sequenza del gene
promotore esiste il primo nucleotide, chiamato nucleotide +1 e da lì inizia l’azione di trascrizione
dell’RNA polimerasi che continua il suo processo di legame, di trascrizione vedete si distacca quello
che è il fattore sigma, cioè la subunità sigma, quella non catalitica, una volta che è iniziato il processo
di trascrizione, e la proteina continua ricopiando/formando la catena di RNA nascente con
l’estremità 5’ esposta questa è importante quando vedremo poi il processo di traduzione perché il
ribosoma riconosce l’estremità 5’, quindi nei procarioti dove il DNA è in contatto diretto coi ribosomi
(non c’è membrana), mentre l’RNA è in fase di trascrizione comincia già la traduzione perché c’è già
quella codina di 5’ libera e viene subito riconosciuta dal ribosoma NEI PROCARIOTI.
Quindi continuando la trascrizione si arriva al gene terminatore che fa in modo che si distacchi il
complesso e il fattore sigma vada ad associarsi con l’RNA polimerasi ed è pronta la molecola di RNA.
In questa figura (a destra) vediamo
anche che il fattore sigma è
determinante cioè quella proteina
che riconosce il sito promotore si è
visto che è fondamentale perché
altrimenti non avviene la trascrizione.
Come si è visto? Facendo delle
mutazioni, cioè mutando la proteina
stessa si vede che mutandola in
determinate posizioni questa o non
viene riconosciuta dal complesso
delle altre subunità dell’enzima
oppure non riconosce il sito del
promotore e se questa proteina è
modificata, mutata, alterata, in
qualche modo non è quella nativa
(come si chiamano le proteine
naturali, quelle insomma che
svolgono la loro funzione in base alla
loro struttura), l’RNA polimerasi non è
più in grado di effettuare la sua
trascrizione. Non solo, si è visto anche
nei procarioti (perché negli eucarioti
esiste un altro modo per regolare
l’espressione genica) ma nei
procarioti la quantità di RNA messaggero dipende spesso dall’affinità che questo fattore sigma ha
per il promotore, quindi un modo vuol dire se è più affine si legherà più facilmente e l’RNA
polimerasi potrà trascrivere molto più molecole di RNA, se è meno affine questo evento avverrà più
lentamente quindi questa diversa affinità del fattore sigma per il promotore regola anche l'attività
dell'enzima RNA polimerasi quindi diciamo c'è un meccanismo di regolazione dell'espressione della
quantità e della velocità di RNA che si ottiene. Come è strutturato il promotore nei procarioti? Negli
eucarioti è simile la struttura del gene promotore. I promotori procariotici sono di dimensioni minori
di quantità, di paia di basi inferiore nei procarioti circa 60 paia di basi quindi 60 coppie di basi è la
dimensione di quello che è il promotore.

In questo disegno (sopra)


vediamo un frammento di DNA, vediamo il doppio filamento, l'orientamento dei due filamenti uno
è 3’-5’ l'altro 5’-3’ e vediamo che ci evidenzia in arancione la sequenza che viene trascritta, che verrà
trascritta. A monte di questa sequenza, circa 10 nucleotidi prima del punto di inizio della trascrizione
si trova una sequenza che è ricca di timine e adenine che si chiama Pribnow box che negli eucarioti
è anche chiamata TATA box perchè si trova numero di nucleotidi superiore prima del punto d'inizio
negli eucarioti, però è una sequenza, perché è importante che ci siano tante timine e adenine?
Perché i legami a ponte idrogeno tra timine e adenine sono due avete visto, tra citosina e guanina
sono tre vuol dire che serve meno energia per rompere due legami idrogeno rispetto a tre.
Ovviamente non è solo un nucleotide ma è una sequenza costituita da circa sei paia di basi ricca di
adenina e timina quindi lì facilmente si apre.
A monte ancora a circa 35 paia di basi ancora prima nel punto d'inizio della trascrizione si trova
invece una sequenza di circa una decina di paia di basi ricca in citosina e guanina, che vuol dire? Che
se da una parte è più difficile aprirsi e da una parte più facile ti indica il promotore promuove la
direzione di trascrizione, di azione dell'enzima, se invece fosse al contrario la direzione sarebbe
favorita verso il verso opposto. Quindi il promotore è fondamentale perché prima di tutto è
riconosciuto dall'enzima, secondo promuove la direzione della trascrizione cioè di quale sarà il
filamento che verrà trascritto, il filamento sul DNA che verrà trascritto. Inizia la trascrizione e poi
procede, però vi volevo dire anche che nei procarioti spesso, quasi sempre, esiste un unico
promotore per più geni, cioè un unico promotore si trova a monte di numerosi geni codificanti e
questo per esempio perché ovviamente è minore è il quantitativo di DNA nei procarioti quindi tutto
quello che c'è viene utilizzato, e non solo ma anche perché un promotore solo attiva la trascrizione
di geni che codificano per enzimi che fanno parte tutti delle di una via metabolica, quindi per
esempio tutti gli enzimi che servono per degradare il lattosio, il galattosio e il glucosio si trovano
sotto l'azione di un unico promotore, si chiamano promotori policistronici, cioè più geni codificano
per proteine sotto l’azione di un unico promotore.

In questo disegno è evidenziato un po’ come sono strutturate quelle che vi ho detto cioè al punto
d'inizio della trascrizione circa 10 nucleotidi prima si trova la sequenza Pribnow box, TATA, e -35 basi
si trovano citosine e guanine che hanno un'energia di legame per tenere insieme i due filamenti che
è superiore a quella della sequenza -10. Inizia la trascrizione e prosegue, prosegue come? Di nuovo
perché viene trascritto il filamento che va in direzione 3’->5’ sul DNA e si forma un filamento di RNA
in direzione opposta, in direzione antiparallela 5’->3’. Diciamo che l'andamento, il meccanismo, la
direzione di sintesi dell’RNA polimerasi è quella che condiziona quale dei due filamenti verrà
trascritto dietro suggerimento, spinta, promozione del promotore. L’RNA prodotto che espone il 5’
fuoriesce da questo complesso, ovviamente i due filamenti di RNA si denaturano ma si rinaturano
subito a valle nella direzione del percorso che è quella dell’RNA polimerasi, quindi si allunga quella
che è la molecola di RNA.
Anche qui vediamo più come distribuita nello spazio
tutto il meccanismo percui quando vi dicevo l'altro
giorno se entrano nelle mutazioni nella molecola
del DNA e questa non ha quella distanza tra
nucleotidi non viene mantenuta, non scorre più
nelle proteine che agiscono sulla molecola. Ecco
questo appunto l'esempio per cui le RNA polimerasi
ma anche la DNA polimerasi avvolgono la molecola
del DNA e tutto quanto viene favorito proprio per la
forma, per la conformazione tipica dell’enzima.
Vedete per esempio che i ribonucleotidi trifosfato
entrano in una specie di canale in modo che
vengano a giusto contatto, perché noi quando
abbiamo parlato degli enzimi abbiamo detto perché abbassano l'energia di attivazione? Perché
orientano in modo corretto il substrato e appunto vediamo che fanno sì che esiste proprio nella
struttura della proteina un sito di riconoscimento specifico per i nucleotidi in forma di trifosfato che
entrano in questo tunnel e vengono convogliati alla sede di contatto con l'estremità in allungamento,
con la molecola di DNA stampo e l'enzima non fa altro che avvicinarli, la reazione avviene e la catena
si allunga. L’enzima scorre lungo la molecola di DNA denaturandolo, vediamo che la molecola del
DNA viene lasciata dal proseguimento della sintesi, si richiude e si riforma il doppio filamento. Come
termina? Quindi prosegue la trascrizione fino ad arrivare a un gene che viene chiamato gene
terminatore. Come è strutturato il gene terminatore? È sempre parte del DNA, tutto il gene che
porta l'informazione per una proteina presenta il promotore, il gene codificante e il terminatore.
Questa porzione di DNA terminatore ha delle sequenze particolari, sequenze che vengono dette
palindromiche autocomplementari e lo vediamo un pochino questo disegno (a destra) poi lo
vedremo anche un po’ più in dettaglio.
Queste sequenze sul DNA sono sequenze che stanno lì
tranquille, quando viene trascritto un singolo filamento,
quando viene completato questo tratto, trascritto
completamente il singolo filamento di RNA si richiude
cioè assume una conformazione lo vediamo qui in questi
due disegni una conformazione secondaria a doppio
filamento, perché? Perché le basi sono complementari,
le basi che sono palindromiche cioè lette in un senso
sono uguali a quelle lette nel senso opposto ma
soprattutto autocomplementari quindi si riappaiono, si
appaiono tra di loro e formano un loop e formano
legami a ponte di idrogeno tra di loro, si forma questo
loop che nel caso nell'esempio in alto è il loop che si
viene a formare in una tipo di terminazione che viene
chiamata ρ-indipendente (“rho-indipendente”) Perché?
perché qui il legame che si viene a formare è tra basi
citosina e guanina quindi un livello di, diciamo,
energetico elevato per cui aprire quel loop lì diventa
complesso, bisogna consumare tanta energia e che cosa porta questo? Potete un po’ immaginarlo
vedendo quella struttura che abbiamo vista prima, abbiamo detta che l'enzima deve avvolgere
completamente la molecola di DNA, fare entrare i nucleotidi ma non ha altro spazio quindi se si
viene a formare una struttura da un punto di vista stechiometrico voluminosa distacca tutto, blocca
la trascrizione, blocca l'azione dell'enzima e termina il processo di trascrizione anche perché
vediamo che in fondo è ricca di uracile che è come la timina, forma due legami a ponte d'idrogeno
quindi lì è debole il legame mentre nel loop è molto forte quindi per ingombro sterico, proprio per
volume che aumenta questa struttura si stacca l'enzima dal DNA e termina quindi l'azione della
trascrizione. E’ proprio un blocco fisico perché provoca il distacco e l'interruzione, il blocco della
trascrizione esiste un altro meccanismo di terminazione che viene chiamato ρ-dipendente (“rho-
dipendente”), ρ è una proteina, un fattore che risale dal 5’ lungo la molecola dell’RNA consumando
energia cioè spostandosi risalendo dal 5’ verso il sito della trascrizione quando si trova anche qui
alla presenza di un loop anche nel rho-dipendente esiste una sequenza particolare sul gene
terminatore che porta sempre la formazione di un loop ma meno stabile rispetto a quello che
abbiamo visto prima. Quindi comunque sia il segnale di termine, di interruzione della trascrizione è
un segnale che avviene che è presente sul gene terminatore che ha una sequenza ben definita
presente sul gene terminatore per cui si forma sull’RNA che viene trascritto una struttura secondaria
che blocca dal punto di vista di ingombro, la stacca diciamo in questa figura la vediamo ancora
meglio,
si viene a formare
questo loop per
cui non c’è più,
siccome abbiamo
detto che il
legame ponte
idrogeno sono
legami deboli
quindi che
facilmente
vengono rotti, se
c'è una struttura
stabile
secondaria che
non passa più
attraverso
l'enzima RNA polimerasi, il complesso si distacca.
Qui lo vediamo in questa sequenza a destra di questo
disegnino quella che è la terminazione rho-indipendente
forma propria la formazione di un loop che è dovuto
semplicemente a un segnale, un messaggio scritto sulla
molecola del DNA per cui quelle sequenze che vediamo
ripetute qui vengono trascritte sulla molecola dell’RNA e
questa molecola dell'RNA va a formare una volta che sono
state trascritte tutte e due immediatamente si richiudono sul
loro stessi perché sono complementari. Quindi si formano
questi legami a ponte idrogeno, molti residui nucleotidici
contenenti citosina e guanina quindi molto stabile dal punto
di vista energetico. Questo loop non entra più nel complesso e siccome i legami, siccome l’RNA che
si è prodotto è unito al DNA solo nel punto in cui l'enzima trascrive tutto il resto della catena, fuori
è libero quindi può facilmente, per ingombro sterico, di staccare il complesso e quindi terminare
anche perché, la direzione abbiamo detto che è questa, rimane debolmente legato a quello che è il
DNA sono due legami a ponte di idrogeno e si stacca la molecola delle RNA trascritto. Dicevamo
prima che nei procarioti la traduzione si dice cotrascrizionale, cioè la molecola di RNA ancora non è
terminata ancora la sua trascrizione, non siamo ancora arrivati al gene terminatore e i ribosomi già
sono in grado di riconoscere il 5’ e iniziare il processo della traduzione, perché la trascrizione e
diciamo il DNA si trova libero nel citoplasma del procariote quindi via via che si produce RNA e si
espone la coda del 5’, i ribosomi sono in grado di riconoscere questa molecola e tradurla. Questo
per quanto riguarda i procarioti.
Negli eucarioti il processo di trascrizione avviene nello stesso modo, cioè i concetti di base sono gli
stessi però noi sappiamo che il genoma umano solamente (anzi meno) del 2% nostro del genoma
umano presenta sequenze codificanti cioè sequenze che sono utili per produrre proteine, meno del
2%, cosa che nei procarioti non è, la porzione non codificante è veramente minima. Infatti, negli
eucarioti il 98% del genoma non ha senso da un punto di vista di proteine. Nel globale del DNA
eucariotico c'è un'altra percentuale che è bassa ma maggiore di quella delle sequenze codificanti,
circa il 26% del genoma umano è rappresentato da sequenze che sono sequenze regolatrici
dell'espressione genica e sono quindi più complesse non sono solo il promotore ma sono quindi
sequenze che attivano o diminuiscono, inibiscono la trascrizione ma esistono anche sequenze che
si trovano interposte nel genoma, nel gene codificante. Queste sequenze vengono chiamate introni,
sequenze introniche, introni perché si trovano in mezzo dentro al gene che porta l’informazione per
le proteine, quindi queste sequenze introniche interposte nel gene che porta l'informazione per una
proteina vengono trascritte però dovranno essere rimosse.

Nel disegno (sopra) vediamo un esempio di quello che è un gene eucariotico che è un po’ più
complicato rispetto a quello procariotico che avevamo visto prima, che presenta il promotore, la
sequenza codificante e il terminatore. Anche qui è presente il promotore che è simile e di
dimensione maggiore al promotore procariotico, si trovano però anche delle sequenze prossimali
ma anche delle sequenze distali molto lontane dal promotore che regolano il promotore stesso,
quindi regolano la velocità di trascrizione di quel gene e quindi la regolazione dell'espressione genica
negli eucarioti è molto più complessa rispetto a quella procariotica perché oltre alla sequenza del
promotore sono presenti sequenze distanti dal promotore che possono trovarsi anche lontane
numerosi geni, quindi sulla sequenza del genoma ma lontani, distanti dal gene che deve essere
trascritto che regolano l’espressione di quel gene, regolano la forza di quel promotore, promotori
forti e promotori deboli dovuti proprio alla presenza di enhancer o silencer. Non solo, ma esistono
dei geni distali che regolano, che sono riconosciuti da proteine che serviranno poi a favorire
l'interazione con il promotore stesso. Oltre a tutte queste sequenze regolatrici che si trovano fuori
dalla porzione codificante nel gene diciamo che serve per portare l'informazione, per produrre la
proteina si trovano anche all'interno di questo gene delle sequenze che non hanno significato,
appunto questi introni, non hanno significato da un punto di fin di vista codificante, quindi queste
zone vengono trascritte, cosa che invece il promotore no, vengono trascritte ma all'interno del
nucleo dove si trova tutto ciò verranno rimosse attraverso il processo chiamato splicing.
In questa figura invece è evidenziato quello che vi dicevo all'inizio cioè che la direzione, la
trascrizione del filamento dipende dall'orientamento del promotore quindi se quella sequenza
ricche di timine e adenine si trova in una direzione, in una posizione, rispetto all'altra verrà trascritto
sempre il filamento che va in direzione 3’->5’ del DNA ma in direzione opposta rispetto all'altra.
Quindi possono essere trascritti e quale frammento viene trascritto lo dice la direzione dell’RNA
polimerasi 5’->3’ e l'orientamento del promotore. Ovviamente considerando un singolo tratto di
gene che venga trascritto un filamento o l'altro non è stessa cosa, non viene prodotta la stessa
proteina perché la sequenza è completamente diversa perché è in una direzione opposta rispetto
all'altro quindi si ottengono più proteine secondo l'orientamento del promotore.
Nei procarioti esiste una sola RNA polimerasi quindi tutti i vari tipi di RNA che si vengono a trovare
nei procarioti (RNA ribosomiale, RNA messaggero, tRNA che è il trasportatore degli amminoacidi, il
vero traduttore perché ovviamente a livello dei ribosomi noi abbiamo l'assemblaggio degli
amminoacidi in base a uno stampo a un'informazione scritta sulla RNA Messaggero ma chi li porta
li amminoacidi al ribosoma? Un trasportatore, un traduttore che è un RNA che è in grado di
riconoscere da una parte il messaggio scritto sull’RNA Messaggero, da una parte l'amminoacido che
deve essere portato).
Nei procarioti c'era un'unica
RNA polimerasi che trascrive
tutti questi promotori tutti
questi RNA, negli eucarioti la
cosa è un po' più complessa.
Qui vediamo che esistono
diversi tipi di enzima che sono
l’RNA polimerasi I che,
andiamo alla due prima, l’RNA
polimerasi II che è quella che
abbiamo visto un po’ i
processi anche adesso, cioè
quell’enzima che trascrive
l’RNA messaggero, quindi,
trascrive quel tratto di RNA
che verrà (prima modificato
nel nucleo) poi tradotto nei
ribosomi. Poi esiste una RNA polimerasi I che è l’RNA polimerasi che trascrive gli RNA ribosomiali,
non tutti ma quasi tutti, che sono il 28S, il 18S, il 5,8S (“5 virgola 8”). Cosa vuol dire questo S? S è la
velocità di sedimentazione di quella molecola cioè indica praticamente la dimensione di quell’RNA
perché i ribosomi sono formati, avevamo detto già dall’inizio delle lezioni, sono degli aggregati di
macromolecole, avevamo detto di RNA e di proteine ma sono tante le proteine che fanno parte dei
ribosomi, di un ribosoma e gli RNA ribosomiali sono questi tre che abbiamo detto ora più un altro
28S, 18S, 5,8S, questi tre vengono trascritti da un’unica RNA polimerasi che è la I che in realtà
trascrive un unico trascritto che viene poi modificato anche lui. Poi esiste quella che è l’RNA
polimerasi III che trascrive l’ultimo tipo di RNA ribosomiale, che è il 5S e che trascrive dei piccoli RNA,
gli “small RNA” come fa anche l’RNA polimerasi II. Questi piccoli RNA non hanno un’attività di
struttura o di portare le informazioni, ma hanno attività catalitica. Small nuclear RNA o Small
nucleolar (cioè nel nucleolo) RNA che sono in grado di riconoscere l’RNA e di catalizzare la sua idrolisi.
Quindi sono in grado di effettuare dei tagli enzimatici sulla molecola, sul polimero dell’RNA. Piccoli
RNA con attività catalitica, vi ricordate quando avevamo detto che durante l'evoluzione il mondo si
dice oggi che derivi della molecola di RNA perché nella molecola di RNA possiamo avere doppio
filamento, abbiamo visto anche prima con quei loop che si vengono a formare, si può avere attività
catalitica vedremo l’esempio di questi Small nuclear RNA e attività di struttura. L’RNA polimerasi III
oltre che a trascrivere questi, trascrive il trasportatore, il traduttore cioè l’RNA di trasferimento il
tRNA che trasferisce gli amminoacidi ai ribosomi. È un RNA, quindi, è in grado di riconoscere l’RNA
messaggero, è un RNA quindi è in grado di associarsi ai ribosomi che sono formati anch’essi da RNA
quindi il fatto che siano presenti una serie di molecole di RNA che fanno parte tutte della traduzione,
che partecipano tutte alla traduzione è importante perché gli RNA tra di loro sono in grado di
riconoscersi perché possono formare legami a ponte di idrogeno perché è una molecola singolo
filamento. Poi ovviamente esiste un RNA polimerasi mitocondriale che avrà le dimensioni di quella
dei batteri perché è lo stesso anche del cloroplasto e sarà molto simile all’RNA polimerasi
procariotica perché abbiamo detto che batteri (nota dello sbobinatore: penso volesse dire
“mitocondri”) e cloroplasti derivano da batteri abbiamo detto hanno un’attività semiautonoma
quindi per tante proteine sono in grado di portare l'informazione del genoma e quindi anche di
trascriverle e poi tradurle. Negli eucarioti esistono dei promotori che sono più complessi e poi esiste,
c'è la presenza di fattori di trascrizione che però abbiamo visto esistono anche nei procarioti (con
sguardo mortifero la Modesti si volge verso alcuni poveri compagni di corso che tentano la fuga)
“cHe SuCcieDe rAgAzZi?!?!?!” (5 secondi di puro terrore e silenzio, la Modesti pone la sua mano
nefasta sul telefono e controlla l’orario) “sOnO l3 tR3!1!1!1, dObBi4m0 4Rriv4r3 aLl3 tR3 s3 vi
4git4t3 di già…” (altri 5 secondi di terrore, cala il silenzio, cala anche la mano nefasta della modesti
sul cursore cambiando slide).
Quindi esistono fattori di trascrizione, che cosa sono i fattori? Sono come il fattore sigma, sono
proteine che ovviamente anche loro vengono trascritte, tradotte dai geni specifici che riconoscono
o il promotore o delle sequenze distanti dal promotore, una volta che si sono associate con queste
sequenze questi attivatori o inibitori regolano l'azione del promotore cioè regolano praticamente la
velocità di trascrizione. Le sequenze vengono riconosciute per affinità su quello che è il DNA su dei
segmenti ben definiti che si chiamano binding site, siti di legame specifici riconosciuti da quello che
è il fattore di trascrizione. Questo è solo un esempio semplice di quanto è complessa la regolazione
genica negli eucarioti.

In questo caso per esempio (sopra) ci sono dei recettori degli androgeni o recettori degli estrogeni,
quindi per ormoni sessuali che regolano una volta che è avvenuta l'interazione, regolano
l'espressione di geni che non c’entrano niente con la sintesi degli estrogeni o degli androgeni, per
esempio, appunto per la formazione di quello che è l'enzima legato al recettore per la vitamina A.
Quindi sono dei… diciamo è una complessità della regolazione dell'espressione genica che è
specifica per ogni gene, per il suo promotore ma poi esistono una serie di regolazioni non specifiche
per la produzione poi della proteina sotto il controllo di quel promotore ma regolata da fattori, da
geni, fattori di trascrizione non direttamente correlati col prodotto.

Questo (sopra) è un esempio perché chiaramente per noi qui a biologia non è così determinante
sapere qui, poi gli altri non lo so. Quello che perché nel caso dei fattori di trascrizione eucariotici
esistono dei fattori di trascrizioni generali cioè che sono presenti per tutti e dei fattori di trascrizione
specifici che invece sono specifici per ogni tipo di promotore e quindi di gene. In questo caso è un
po’ simile a quello che abbiamo visto nell’RNA polimerasi procariotica quindi anche qui c'è una
sequenza di formazione del complesso che deve essere ben definita cioè se queste sono TFIID (“ti-
effe-due-D”), TFIID è “transcription factor uno-due D” hanno una serie di nomi la formazione del
complesso regolata, controllata e in sequenza perché altrimenti non avviene la trascrizione. L'ultimo
evento, l'ultimo fattore di trascrizione che sopraggiunge nel complesso è il fattore che effettua la
fosforilazione della proteina, dell’RNA polimerasi III, della porzione catalitica della proteina, che poi
inizia (quando viene fosforilata, quando viene attivata) Inizia il processo di trascrizione. Quello che
si può notare è che tutti questi fattori si devono legare ho una distanza adeguata dall'inizio della
trascrizione perché sennò non avviene nel punto preciso esatto del nucleotide +1 il processo della
trascrizione. Quindi la distanza di quella che viene chiamata TATA box dal punto di inizio della
trascrizione deve essere mantenuta perché l'enzima, tutto il complesso si andrà a posizionare tra la
TATA box e l'inizio della trascrizione proprio sopra il promotore in un modo ben definito e corretto.
Qui sono praticamente quelle sono le funzioni dei vari fattori di trascrizione e vediamo se qua dice
quale è quella che fosforila… non lo dice. Comunque vediamo che ognuna di queste è formata da
vedete di un diverso numero di catene polipeptidiche, quindi ogni fattore è formato non tutti ma il
90% formato da più di una catena polipeptidica associata e devono essere tutte quante presenti
perché possa avvenire il processo di trascrizione, questi sono i fattori di trascrizione generali, questi
sono quindi quelli che devono essere presenti per tutti i geni, per tutti i promotori perché possa
avvenire una regolare e uguale velocità di trascrizione di un gene. A differenza dei procarioti, negli
eucarioti ogni gene codificante è sotto l'azione del suo promotore che abbiamo detto influenzato
cioè l'attivazione del promotore è sotto il corretto orientamento di tutti i fattori di trascrizione che
fanno parte poi del complesso delle RNA polimerasi II. Oltre però a questi fattori generali che
abbiamo detto darebbero una determinata velocità di trascrizione, la sintesi alla trascrizione
esistono dei fattori a distanza specifici che attivano, quindi accelerano o riducono la velocità della
espressione, della trascrizione e questi sono in questo caso gli enhancer, queste sequenze vengono
riconosciute da proteine specifiche che attraverso un complesso, che fa parte sempre dell’RNA
polimerasi, quindi un altro fattore di trascrizione intermedio, quindi un’altra proteina attiva accelera,
gli enhancer accelerano, la velocità di trascrizione e questi sono specifici e si possono trovare anche
molto distanti dal gene che deve essere trascritto e come vediamo (in basso) non è che sono solo le
sequenze sul DNA ma devono essere presenti le proteine, i fattori di trascrizione specifici che
riconoscono gli enhancer che
possono essere più di uno e che per
avere una accelerazione della
trascrizione, cioè perché quel gene
venga trascritto più velocemente
devono essere tutti presenti, le
proteine di contatto quelle che per
esempio si chiamano TxF1 o TxF2
(trascription factor 1 o 2) devono
essere anche loro codificate
prodotte da geni che si trovano
altrove quindi vedete che la
regolazione dell'espressione genica
degli eucarioti è molto più regolata
e complessa rispetto a quella dei
procarioti. Ovviamente per una
proteina che deve essere sempre presente in una cellula, che deve essere presente in grande
quantità in una cellula, saranno numerosi questi fattori di attivazione della trascrizione e viceversa,
proteine che devono essere meno trascritte invece di fattori di trascrizione possono avere fattori di
silenziamento della trascrizione. Non solo, alcuni geni come abbiamo detto pur essendo presenti in
tutte le cellule in un organismo non sono attivi perché sono silenziati dalla presenza di questi fattori
di trascrizione che invece di attivare bloccano il processo trascrizionale.

Questo (sopra) è tutto il complesso che si può venire a formare nel caso dei fattori specifici per farvi
vedere però che gli attivatori sono proteine, fattori proteici che si legano sulle sequenze enhancer
e questi fattori proteici è ovvio che devono essere prodotti da geni che saranno anche loro sotto
l'azione di promotori, quindi, è una regolazione che dipende dal tipo di gene che viene studiato,
dipende dal tipo di promotore che viene singolarmente studiato però che è molto regolato. Come
termina la trascrizione dell’RNA polimerasi II? Perché tutte quelle RNA polimerasi che abbiamo
detto, anche loro riconoscono promotori specifici che possono trovarsi anche all'interno della
sequenza che verrà trascritta. Nel gene terminatore degli eucarioti, negli eucarioti è presente un
sito che verrà trascritto, che è un sito che viene riconosciuto da una endonucleasi, cioè è un sito di
taglio specifico che viene riconosciuto da una specifica proteina endonucleasi che è associata con
un’altra proteina che è una poliRNA polimerasi, una poli-A polimerasi. Quindi questo complesso
proteico riconosce sull’RNA che viene trascritto dal gene terminatore una sequenza specifica dove
riconosce il complesso, riconosce l’RNA polimerasi prodotto che riconosce la molecola di RNA
prodotta e la porzione catalitica effettua il taglio, cioè viene tagliata la molecola terminale dell’RNA
proprio nella sequenza di taglio e a questa sequenza di taglio viene, una volta che è stata eliminata
la porzione di RNA prodotta che deve essere rimossa, a questa sequenza viene si inizia diciamo la
poli-A polimerasi comincia ad aggiungere code di adenine quindi si viene a formare al termine della
molecola di RNA una coda di poli adenine. Quindi la terminazione avviene perché nel gene
terminatore è presente una sequenza che viene trascritta ed è una sequenza che viene riconosciuta
da una endonucleasi, endonucleasi perché riconosce sequenze di taglio specifiche all’interno di una
sequenza di RNA. Quindi quando nella molecola di RNA che viene trascritta si trova questa sequenza
specifica che è una sequenza di taglio specifica, la proteina, l’endonucleasi effettua il taglio e inizia
(la proteina associata, che è una poli-A polimerasi) comincia ad aggiungere all’estremità 3’ dell’RNA
che è stato tagliato in fondo code di poli adenina. Quindi all’estremità 3’ della molecola di RNA per
azione di questa endonucleasi e successivamente questa terminazione viene riconosciuta dalla poli-
A polimerasi vengono aggiunte numerose adenine, circa 200-250 adenine, a formare una coda di
poli-A.
A cosa serve questa coda di poli-A? Quando l’RNA messaggero si troverà nel citoplasma perché
questa è una molecola viene prodotta nel nucleo negli eucarioti attraverso i pori nucleari fuoriesce
nel citoplasma e qua sono presenti enzimi esonucleasi che degradano le molecole di RNA perché
non deve essere presente RNA libero né citoplasma. Quindi queste esonucleasi inizieranno a
degradare la molecola di RNA a partire dal 3’ sempre. Cominciano a degradare l’RNA e degradandolo
levano esclusivamente le code di poli-A che non hanno significato dal punto di vista di produzione
di proteine. Nel frattempo, la molecola di RNA messaggero all’estremità 5’ viene riconosciuta dai
ribosomi quindi i ribosomi riconoscono la molecola, cominciano a tradurla, si susseguono uno
all’altro arrivano in fondo e producono la proteina. Le esonucleasi cominciano a degradare la
molecola dell’RNA messaggero a partire dall’estremità 3’ però rimuovendo le code di poli-a questa
non ha significato per produrre proteine, quindi la coda di poli adenine protegge l’RNA messaggero
dal citoplasma, dall’azione dell’esonucleasi.

Qui (sopra) è un po’ il complesso vedete c'è anche il disegnino di quelle che sono le forbici il
complesso che si viene a formare nella sequenza all'estremità 3’ dell’RNA messaggero che viene
prodotta trascrivendo quel sito di riconoscimento specifico per l’endonucleasi dal gene terminatore.
Quindi si trascrive sull’RNA messaggero, questa sequenza viene riconosciuta dal complesso di
rimozione e riconoscimento per aggiungere le poli-a e si viene a formare questa terminazione poli-
a. Vedremo che l’RNA prodotto che ha questa terminazione di poli-A ha subito anche altre modifiche
e dovrà subirne altre ancora prima di uscire dal nucleo. Quindi sul gene viene trascritto un RNA che
viene modificato, arriva al livello dei ribosomi e si ha praticamente la traduzione di questa
informazione. Quindi l’ordine corretto… perché vi ho sempre detto che l’RNA polimerasi lavora in
una certa direzione, si produce all'inizio, si espone il 5’ e la direzione di sintesi dell’RNA polimerasi è
5’->3’? Perché la sequenza corretta, l’ordine corretto di direzione di trascrizione poi influenza la
produzione di proteine. Questa molecola di RNA messaggero trascritta verrà tradotta anche lei in
una direzione ben definita che va dall’estremità 5’ verso 3’ quindi anche qui la lettura e la traduzione
dell’informazione deve avvenire in un’unica direzione perché se avvenisse in tutti e due i sensi
avremmo proteine diverse perché la sequenza, l’ordine in cui si trovano in sequenza i nucleotidi
nell’RNA messaggero influenza il tipo di proteina, la sequenza di amminoacidi che si trovano nella
proteina.
La regolazione un po’ dell’espressione genica è proprio quella che praticamente è importante per
questi tanto sono discorsi che abbiamo già fatto, per avere proteine per avere cellule diverse pur
avendo lo stesso informazione genetica. Quindi vuol dire che ci devono essere, ci deve essere un
livello di regolazione dell'espressione genica. Il livello di regolazione un po’ l'abbiamo visto ma lo
vedrete poi con la biologia molecolare proprio al livello dei promotori, dei fattori di attivazione o di
inibizione dei promotori, anche di blocco dell'espressione e le cellule che appartengono a uno stesso
individuo hanno tutte lo stesso contenuto genetico, hanno tutte lo stesso genoma ma si dice che
sono tutte dello stesso genotipo ma hanno un fenotipo differente. Il fenotipo è l'espressione dei
geni quindi la quantità, il tipo di proteine prodotte è diverso perché deve essere in relazione con la
funzione che la cellula dovrà andare a svolgere. Dove si possono avere dei siti regolazione
dell’espressione genica? Abbiamo detto a livello trascrizionale, abbiamo detto così molto
superficialmente, i promotori possono avvenire attivati o inibiti da fattori di trascrizione specifici
però si può avere una regolazione anche a livello della modificazione degli RNA messaggeri che si
formano. Quindi in una cellula eucariotica.

Questo è uno schema dell'espressione genica in una cellula eucariotica l’RNA prodotto prima di
essere tradotto cioè prima di trovarsi nel citoplasma viene modificato nel nucleo. Una modifica
l’abbiamo vista: l’aggiunta di poli adenine, una modifica l’abbiamo accennata: la rimozione delle
sequenze introniche non codificanti e lì c’è una regolazione proprio dell’espressione, perché a quel
punto, a quel livello lì si possono ottenere dei tratti di RNA che portano a proteine differenti da uno
stesso gene.
Un altro punto di regolazione è l'esportazione della molecola di RNA cioè il passaggio attraverso i
pori. Anche qui esistono delle proteine specifiche che se riconoscono delle sequenze specifiche nella
molecola di RNA messaggero lo portano all'esterno, altrimenti quello rimane nel nucleo. Ci sono
anche delle regolazioni a livello dell'azione del ribosoma quindi un controllo di quella che è la
traduzione del ribosoma, un controllo della stabilità, perché la coda di Poli-A se è più o meno lunga
rende l’RNA messaggero più stabile più a lungo rispetto all’altro, perché viene riconosciuto, questa
coda di poli adenine viene rimossa dall’ esonucleasi però se è più corta si comincia a degradare
anche la porzione codificante.
Quindi il genotipo è il tipo di genoma che un individuo contiene, possiede. Questo genotipo serve
per produrre le proteine, le proteine sono il fenotipo dell'individuo, cioè la manifestazione esterna
che si vede di quello che è il contenuto genetico. Quindi gli RNA che vengono prodotti dal processo
della trascrizione abbiamo detto sono l’RNA ribosomiale che è un RNA di struttura, l’RNA di
trasferimento, il tRNA che è l’RNA che porta a legare gli amminoacidi e a portarli a quelli che sono i
ribosomi, quelli che sono la sede di sintesi delle proteine, l’RNA messaggero, che è invece quello che
porta il messaggio ai ribosomi, quindi si va tutti verso il ribosoma, RNA ribosomiale (di struttura),
RNA di trasferimento, transfer, porta gli amminoacidi, l’RNA di messaggero e poi piccoli RNA con
funzioni (che si trovano nel nucleo, in realtà si è visto che esistono RNA che portano messaggi tra
cellule) (nota dello sbobinatore: non sono io stupido, non ha chiuso la frase). Questi RNA vengono
trascritti e poi vengono modificati per andare a svolgere la funzione che devono svolgere. Quando
avviene il processo della traduzione per tradurre è necessario utilizzare un codice, che è il codice
genetico e vedremo poi come è costituito questo codice genetico e quelle che sono le differenze tra
i ribosomi eucariotici… (nella monotonia della lezione altri colleghi di corso tentano la fuga o col
pensiero sono già davanti alla macchinetta del caffè, la Modesti, con omniconoscenza degna di un
dio comprende i desideri nelle latebre del cuore di ogni studente ed esclama, sempre con sguardo
portatore di morte, “r4g4zZ1 io ConT1nU0!1!1!11!!1” (battito di ciglia solenne della modesti, attimi
di silenzio e terrore, cambia la slide amareggiata e tremendamente delusa dal genere umano “è da
tanto che non mi trovo una classe così da LICEO PROPRIO” (incalza subito con un’altra frase, quando
non parla di proteine le frasi sono così lineari…) “io dico se non vi interessano le lezioni potete anche
stare a casa io non mi dispiaccio per niente” (nota dello sbobinatore: chi tentava la fuga stava
proprio cercando di andare a casa, ma gli esseri divini non condividono la finitudine del pensiero
umano). (Cala nuovamente il silenzio, battito di ciglia, ricomincia il dolore). Quindi (lunga pausa, è
in buffering) che cosa vuol dire maturazione? Vuol dire modifica del trascritto primario perché
questo poi possa andare a svolgere le sue funzioni. È un po' come avevamo accennato a quelle che
erano le modifiche post-traduzionali cioè una proteina viene prodotta e poi modificata perché poi
possa essere funzionale. Lo stesso avviene per gli RNA, tutti quanti, una modifica all’RNA
messaggero l’abbiamo vista: l’aggiunta della coda di poli-A. Cominciamo a vedere quelle che sono
le modifiche che avvengono sugli RNA ribosomiali. Gli RNA ribosomiali andranno a costituire quelli
che sono i ribosomi che abbiamo detto dall’inizio sono aggregati di macromolecole, sono aggregati
di RNA appunto e proteine. La quantità di proteine è piuttosto elevata, le proteine però nei ribosomi
non hanno una funzione catalitica o di regolazione hanno solo una funzione di proteggere gli RNA
che vanno a costituire i ribosomi stessi perché abbiamo detto che l’RNA viene facilmente degradato
all’interno del citoplasma, quindi le proteine vanno a formare una protezione alle molecole di RNA
che sono quelle che invece nel ribosoma riconoscono il messaggero, riconoscono il tRNA che porta
l’aminoacido e quindi svolgono le funzioni fondamentali che servono proprio per il processo di
traduzione. I ribosomi si trovano nei procarioti e negli eucarioti. Nei procarioti i ribosomi sono più
piccoli rispetto a quelli degli eucarioti, in tutti e due si trovano gli RNA ribosomiali che abbiamo detto
in quello che sono gli eucarioti sono il 28S, il 18 S, il 5,8S e il 5S che sono distribuiti nelle due subunità
perché i ribosomi sono formati da due subunità, tutte e due formate da RNA ribosomiale e proteine,
queste due subunità che quando il ribosoma non è in fase di sintesi, cioè di traduzione del
messaggero, le due subunità sono dissociate. Nella subunità minore del ribosoma eucariotico che
quindi è quella più piccola, è minore perché è di dimensioni minori, è presente solamente l’RNA
ribosomiale 18S. Nella subunità inferiore, più piccola di quella che è il ribosoma procariotico è
presente una subunità piccola di RNA che è l’RNA 16S che è più piccolo di quello eucariotico però
sempre un solo tipo di RNA ribosomiale mentre tutti gli altri fanno parte della subunità maggiore.
Vedete il numero di proteine cambia, ce ne sono di più in quelle eucariotiche rispetto alle
procariotiche perché sono più piccoli quelli procariotici, sono uguali a quelli che si trovano (i
procariotici) nel mitocondrio e nel cloroplasto perché anche lì abbiamo detto avviene la sintesi
proteica, appunto “organelli semi autonomi”.
Materia e lezione Biologia lezione n°17

Data 22\11\2021

Professore Modesti

Coppia Matteo Chiarantini/Lorenzo Biavati

Modifiche post trascrizionali

Abbiamo visto che la molecola di RNA viene prodotta su uno stampo di DNA mediante
l’azione di RNA polimerasi specifiche (esistono 3 tipi di RNA negli eucarioti e un solo
tipo nei procarioti) e, in base al tipo di promotore, vengono prodotti tipi diversi di RNA
che partecipano tutti alla fase finale dell’espressione genica. Questi tipi di RNA sono.

- rRNA ribosomiale di struttura

- Il tRNA, che riconosce sia la molecola di mRNA che l’amminoacido che deve portare
insede a livello dei ribosomi. Effettua il cambio di linguaggio

- l’mRNA (messaggero)

Ma cosa è il codice genetico?


È un codice universale per tutti gli organismi viventi, a differenza del genoma (specifico
per ogni individuo), ed è il vocabolario per effettuare il processo traduzionale (a livello
dei ribosomi)

Maturazione degli RNA e traduzione

Tutti gli RNA prodotti sullo stampo di DNA vengono modificati. Quella che viene
chiamata maturazione dell’RNA o modifiche post trascrizionali sono tutte quelle
modifiche che avvengono sul trascritto primario per dar luogo a quella molecola di RNA
funzionale (come avviene per le proteine. Modifiche che come vedremo serviranno per
smistare le proteine nei vari compartimenti cellulari)

Ribosomi
Sono aggregati di macromolecole costituiti da due subunità: una maggiore e una
minore. Quando i ribosomi non sono impegnati nel processo traduzionale le due
subunità sono dissociate. Tenute dissociate da fattori proteici che faranno iniziare il
processo di traduzione.
Nei procarioti i ribosomi sono di dimensioni più piccole e contengono un minor numero
di proteine. Come tipo di RNA abbiamo nella subunità maggiore il 23S e il 5S e nella
subunità minore il 16S. Negli eucarioti i ribosomi sono di dimensioni maggiori, e sono
costituiti da due subunità: una maggiore (5S e i 28S e i 5,8S) ed una minore (18S).

Questi tipi di RNA sono importanti perché riconoscono l’mRNA e si associano con la
molecola che dovrà essere tradotta

Sintesi RNA ribosomiale


Negli eucarioti

La porzione del nucleo chiamata nucleolo è


costituita da una zona di DNA altamente
condensato. Questa cromatina nucleolare
contiene quello che viene chiamato rDNA,
cioè quel DNA che porta le informazioni per
sintetizzare rRNA

- zona fibrillare:

È contenuto l’rDNA. Le sequenze che si trovano


in questa zona si dicono zone altamente
ripetute, cioè zone in cui queste porzioni di
rDNA sono ripetute più volte. Questo è dovuto
al fatto che si ha una forte attività di
trascrizione per produrre l’rRNA (e si cerca di
diminuire al minimo la possibilità che
mutazioni genetiche influenzino i miei
ribosomi).

- Zona granulare:

Qui avviene l’associazione fra gli rRNA e le proteine prodotte nel citoplasma e rientrate
nel nucleo attraverso i pori nucleari, assemblate a costituire il ribosoma completo con le
subunità dissociate. Avremo poi proteine (importine ed esportine) in grado di importare
proteine ribosomiali dal citoplasma ed esportare il ribosoma completo

Nei procarioti

Anche nei procarioti si hanno sequenze di rDNA ripetute, ma si trovano tutti in un unico
gene e sono trascritti dall’unica RNA polimerasi presente nei procarioti. Viene prodotto
un unico trascritto primario, sotto l’azione di un unico promotore; verranno poi tagliati e
trascritti in un’unica porzione tutti gli rRNA che costituiscono il ribosoma, compreso il
tRNA

Maturazione degli rRNA negli eucarioti


Vengono trascritti dall’RNA polimerasi 1
alcuni rRNA, ma non tutti (per esempio non
il5S). Vengono trascritti gli RNA: 18S, 5,8S e
28S in un unico trascritto primario.
Ci sono inoltre delle sequenze ripetute di rDNA
intervallate da sequenze non codificanti (NTS).La
parte trascrivibile contiene anche sequenze che
vengono trascritte e poi rimosse. Si genera quindi
un unico trascritto primario, con tratti trascritti che
poi sono rimossi (ETS “spaziatore esterno trascritto”
e ITS “spaziatore interno trascritto”) da piccoliRNA
nucleari ad azione catalitica, trascritti dalla RNA
polimerasi 3, e che prendono il nome di snRNA.
Dal trascritto primario vengono rimosse le sequenze esterne al 5’ e al 3’. Avviene poi un
taglio interno, e la subunità 28S esce dal trascritto legata a doppio filamento
( attraverso legami ad idrogeno fra basi complementari) con il 5,8S. Si forma così un
loop, dal taglio del trascritto primario, che fa si l’RNA 28S e 5,8S escano già associati e
sipossano legare a proteine per formare quella che è la subunità maggiore del ribosoma.
L’RNA 18S, che farà parte della subunità minore, in questa fase viene prodotto
indipendentemente dagli altri due tipi di RNA.

Quando si avrà la condensazione massima della cromatina, e si formeranno i


cromosomi questi rDNA ripetuti saranno disposti in 5 cromosomi differenti.

I cromosomi sono presenti nel nucleolo solo nelle fasi di duplicazione (dove il DNA si
concentra e si compatta), mentre quando la cellula non si sta replicando il DNA si
presenta come cromatina.

tRNA

La molecola di tRNA ha una struttura particolare, ovvero vi sono zone a doppio filamento
causate dalla auto-complementarietà delle basi azotate. La struttura tipica del tRNA è
detta a trifoglio: 4 bracci che separano 3 anse a singolo filamento. É necessario che il
tRNA assuma questa conformazione per potersi inserire nel ribosoma e svolgere la
traduzione.

Ogni tRNA è in grado di trasportare un unico amminoacido (sono altamente specifici).


Anche nei procarioti avvengono modifiche post trascrizionali. In questo caso due tRNA che
portano amminoacidi differenti (glicina e troponina). Vengono trascritti in un unico trascritto
primario che assume subito struttura secondaria. Questa struttura che viene a formarsi
andrà poi modificata rimuovendo gli spaziatori trascritti. Gli spaziatori, che permettono la
formazione di legami ad idrogeno per conferire alla molecola la sua struttura secondaria. Se
non ci fosse spazio fra i due tRNA, per ingombro sterico, non si potrebbero formare i legami
ad idrogeno. Gli spaziatori vengono poi rimossi e si ottengono i tRNA liberi che andranno a
svolgere la loro funzione.
Maturazione dei tRNA negli eucarioti
La maturazione prevede solitamente:
1) La rimozione della sequenza leader all’estremità 5’
2) La sostituzione di due nucleotidi all’estremità 3’ con CCA
3) La modificazione chimica di alcune basi (evidenziate in giallo e favoriscono
l’associamento coi ribosomi)
4) L’eliminazione di un introne (non sempre presente)

All’estremità 3’ OH verrà legato l’amminoacido specifico. Il tRNA legge le basi sull’mRNA


e le traduce nel corrispondente amminoacido in base all’ansa che si trova nella parte
opposta all’ estremità 3’ OH. Nell’ansa in basso si troverà quindi una sequenza
complementare a quella che si trova sull’mRNA: una tripletta di 3 nucleotidi sul tRNA
chiamata ANTICODONE.
Vicino l’ansa dell’anticodone è presente anche una piccola ansa accessoria di
dimensione variabile: la distanza fra il 3’ OH dove si legherà l’amminoacido e l’ansa
dell’anticodone deve rimanere costante, perché il tRNA deve entrare in un sito specifico
nel ribosoma.
Maturazione mRNA negli eucarioti
Il trascritto primario di mRNA subisce alcune modifiche:
- aggiunta di una coda di poliadenine all’ estremità 3’ (poliadenilazione)
- Aggiunta di un cappuccio al gruppo fosfato del 5’, tramite l’aggiunta di un nucleotide
modificato
- Rimozione degli introni, che non portano l’informazione per la produzione di proteine
(splicing)

Capping
Aggiunta di un cappuccio al gruppo fosfato del 5’ tramite un nucleotide modificato
chiamato 7 metil-guanosina. Il legame avviene attraverso il gruppo fosfato in posizione5
della 7 metili-guanosina e il gruppo fosfato in 5’ dell’mRNA. Questo cappuccio serve per
proteggere l’mRNA nel citoplasma e come sito di riconoscimento nel ribosoma per
iniziare la traduzione, il ribosoma inizierà quindi a scorrere sull’mRNA in direzione 5’-3’ e
avvierà la traduzione. Il capping avviene contemporaneamente alla trascrizione.
Splicing

É un meccanismo scoperto nel 1977 (Roberts e


Sharp presero il Nobel nel 93) perché si vide che le
molecole di mRNA che si trovano nel citoplasma
sono di dimensioni minori rispetto ai geni che
codificano per questi RNA. Marcando i vari mRNA
con materiale radioattivo si vide che esistevano delle
zone di DNA che non venivano tradotte.
Si notò inoltre che nel trascritto primario si aveva
perfetta complementarietà fra mRNA e DNA.
Attraverso una serie di
esperimento capirono così che delle sequenze (che
presero il nome di introni venivano eliminate),
mentre gli esoni uscivano dal nucleo.
Durante il processo gli esoni non sono liberi di
organizzarsi in maniera indipendente (altrimenti si
otterrebbero proteine casuali), e il processo avviene
attraverso un complesso, lo spliceosoma.

Lo splicing avviene grazie ad un complesso formato


da proteine e piccoli RNA nucleari chiamato
SPLICEOSOMA. Queste proteine non hanno attività catalitica, ma servono per tenere
insieme gli RNA nucleari che invece hanno attività catalitica. Il complesso serve ad eliminare
gli introni e tenere insieme l’estremità 3’ del primo esone e l’estremità 5’ del secondo esone
per ricongiungerle. Le proteine fanno in modo che si formino delle associazioni fra i gruppi
dello spliceosoma. Gli snRNA (small nuclear RNA), infatti, hanno funzione catalitica e di
riconoscimento del sito di taglio sul trascritto primario. Essi riconoscono una sequenza fra il
primo esone e l’introne sull’mRNA e si associano. Altri snRNA, che fanno parte di un altro
spliceosoma, riconoscono il sito di taglio fra l’introne e il secondo esone e si associano. Le
proteine si riconoscono, avviene un loop, si genera il taglio e subito si legano i due esoni.
Poliadenilazione

Prevede l’aggiunta di una coda poli(A) in 3’.

RIASSUMENDO: Non vengono trascritti il promotore e il terminatore e viene aggiunta


una coda di poliadenine all’estremità 3’. Si aggiunge il cappuccio al 5’ e si esegue lo
splicing del trascritto primario. L’mRNA prodotto sarà pronto per essere tradotto al livello
dei ribosomi
Splicing alternativo
Alcuni esoni possono funzionare come introni ed essere rimossi. Un unico trascritto
primario dà quindi origine a più mRNA e quindi a più proteine che possono presentare
sequenze diverse.

Nell’immagine è rappresentato lo splicing alternativo per alcune proteine che possono


avere una diversa localizzazione

Il genoma umano
Traduzione
É il processo di sintesi di una catena polipeptidica. La formazione del legame peptidico
fraamminoacidi non utilizza energia nel processo di traduzione. L’energia viene utilizzata
per attivare l’amminoacido quando questo si lega al suo trasportatore.

Il gruppo carbossilico dell’amminoacido si lega all’estremità 3’ OH del tRNA con un


legame estere e si immagazzina energia tramite idrolisi di ATP. La formazione di quello
che si chiama amminoacil-tRNA non avviene sempre: l’amminoacido si legherà al suo
trasportatore solo se è necessario che sia portato al ribosoma.
La proteina assume quindi la sua conformazione primaria che è inattiva e dovrà essere
modificata per assumere lasua conformazione tridimensionale ed attivarsi.

Codice genetico
Il codice genetico è quell’insieme di regole che permettono di tradurre l’informazione
genetica, contenuta in sequenze di nucleotidi, in una sequenza di amminoacidi. Come si
è capito però che la lettura dell’mRNA avviene a triplette? Come è possibile che un
codice che contiene 20 amminoacidi diversi venga tradotto utilizzando un alfabeto di
sole 4 lettere?

Sicuramente non poteva esserci una corrispondenza 1:1, altrimenti si sarebbero ottenuti
solo 4 amminoacidi. Si avvalorò quindi l’ipotesi che la lettura di questo codice avvenisse
a gruppi. Ma di quante lettere? Se avessimo avuto gruppi di 2 lettere gli amminoacidi
sarebbero stati 16 (4^2), ma come sappiamo gli amminoacidi sono 20. Rimaneva quindi
il dubbio se questi gruppi fossero di 3 o 4 lettere, rispettivamente 4^3 e 4^4 possibilità.

Nel 1961 NIremberg e Matthei eseguirono esperimenti sintetizzando RNA monotoni


(costituiti da un singolo nucleotide): poli U che generava un polipeptide costituito solo
da fenilalanine e un poli A costituito da solo lisine.

A questo punto un altro ricercatore, Khorana, scoprì che il codice veniva letto a triplette:
sintetizzò un RNA sintetico costituito dall’alternarsi di due nucleotidi aventi basi azotate
diverse (UGUGUG). Se la lettura fosse avvenuta a gruppi di due si sarebbe ottenuto un
polipeptide costituito da un solo amminoacido (UG=UG=UG…). Se la lettura è a gruppi
diversi si ottengono due amminoacidi diversi che si alternano (UGU-GUG). Se la lettura
fosse a gruppi di quattro si otterrebbe sempre lo stesso amminoacido
(UGUG=UGUG=UGUG…).
Una volta sintetizzato si accorsero che il polipeptide era formato dall’alternarsi di due
amminoacidi e dedussero che la lettura del codice avvenisse tramite triplette di nucleotidi,
chiamati codoni.

Vennero poi analizzate tutte le potenziali combinazione e stilata una tabella del codice
genetico. Dalla tabella ci si accorge che alcuni codoni di stop (UAA,UAG,UGA) non
codificano per nessun amminoacido. Non esistono tRNA che riconoscano i codoni di
stop sull’anticodone. Il codone detto di inizio AUG (traduce per la metionina) viene
riconosciuto dall’ anticodone di un tRNA iniziatore e da inizio alla traduzione
Vediamo anche che gli amminoacidi (tranne metionina e triptofano) sono codificati da
più codoni.

Il codice genetico è quindi:


- degenerato: un amminoacido può essere codificato da più codoni.
Esiste anche un ordine definito nel grado di degenerazione. Infatti molti amminoacidi
differiscono tra loro solo per la terza base del codone. Nel caso della prolina essa è
codificata da 4 codoni che differiscono per l’ultima base. É un metodo di protezione
contro le mutazioni puntiformi. La mutazione dell’ ultima base dell’istidina invece può
portare a codificare per la glutammina, quindi alla sintesi di una proteina diversa e a
quella che è una differenza nel fenotipo

- Non è ambiguo: ogni codone codifica per un solo amminoacido

- È universale: è identico in tutti gli esseri viventi

- É senza punteggiatura: la sequenza è lineare. Se avviene l’eliminazione o l’inserzione


di un nucleotide per mutazione salta tutto quello che è il frame, il quadro di lettura
Struttura del ribosoma

Sintesi del ribosoma:


Struttura del tRNA
Il tRNA è un RNA a singolo filamento: ha solo un 5’ e un solo 3’. Questo filamento però
quando viene trascritto si riorganizza in zone a doppio filamento: un braccio formato
dal 5’ dove è legato il gruppo fosfato e la sequenza CCA, e dal 3’ dove l’adenina espone
OH (dove verrà legato l’amminoacido).
Nella parte opposta (la parte inferiore) si trova l’ansadell’anticodone, complementare e
antiparallelo, al codone sull’mRNA. La traduzione avviene dal 5’ dell’mRNA verso il 3’.
Le altre due anse fanno in modo che il tRNA si inserisca nella corretta direzione a livello
del ribosoma

Quel braccio variabile (che vediamo colorato in giallo chiaro) è quel braccio le cui
dimensioni cambiano in base alla struttura del tRNA in modo da mantenere costante la
distanza fra il 3’ OH e l’ansa dell’anticodone, per permettere all’aminoacido di entrare
nel ribosoma.

Gli amminoacidi si legano al 3’ OH del proprio specifico trasportatore attraverso un


legame fosfodiestere.
Sintesi dell’amminoacil-tRNA
I tRNA si legano allo specifico amminoacido solo se quest’ultimo deve essere inserito
nella proteina e si consuma energia. 20 diversi enzimi amminoacil-tRNA sintesasi
favoriscono la formazione del legame fra amminoacido e trasportatore avvicinandoli.
L’enzima avrà un sito di riconoscimento per il tRNA, uno per l’amminoacido corrispondente
e uno per l’ATP. Se non è presente l’enzima non avviene la traduzione. L’idrolisi dell’ATP
dà l’energia necessaria per attivare l’aminoacido e poi permettere la formazione del legame
tra l’aminoacido e tRNA (legame fosfodiestere).
Attivando così il gruppo carbossilico dell’amminoacido e liberando l’AMP. Esce dunque
l’amminoacil-tRNA che sarà pronto per andare nel sito del ribosoma. L’enzima torna quindi
libero pronto a catalizzare una nuova reazione.
Ipotesi di vacillamento

Quello che è l’ultimo nucleotide sull’mRNA e quindi il primo sul


tRNA rispetto al 5’ è unabase che può vacillare. Questo è un
sistema che protegge dalle mutazioni: infatti anchese non sono
del tutto complementari il primo nucleotide di tRNA e l’ultimo di
mRNA, l’importante è che lo siano gli altri per dare il corretto
prodotto proteico.

Caratteristiche generali della traduzione nei procarioti

- Direzione di traduzione dell’mRNA 5’- 3’

- Direzione di sintesi della proteina da amminoterminale a carbossiterminale

- l’mRNA è tradotto mentre viene sintetizzato

- più ribosomi possono legarsi all’mRNA ed aumentare l’efficienza di traduzione


formando il POLIRIBOSOMA o POLISOMA
Materia e lezione: Biologia lezione n°18
Professore: Modesti
Data: 24/11/2021
Coppia: Letizia Baldini/ Arianna Di Niso

DIFFERENZA NELLA TRADUZIONE TRA PROCARIOTI ED EUCARIOTI


•Una prima differenza importante
riguarda l'inizio e in particolare
modo l'individuazione del primo
codone AUG che deve essere
tradotto; negli eucarioti non ne
esiste una di sequenza Shine-
Dalgarno, regione di
complementarità dell'RNA della
subunità minore (16S), ma
esistono delle strutture particolari, ovvero il cappuccio e una sequenza particolare che
aiutano nell'individuazione del primo
AUG. Il cappuccio è legato dalla subunità
minore (18S); quando il ribosoma scorre
lungo I'mRNA, ad un certo punto si trova
di fronte a una regione chiamata
sequenza consenso Kozak (dalla
ricercatrice che l'ha scoperta) che
contiene una sequenza conservata,
all'interno della quale troviamo l'AUG dal
quale la traduzione dovrà cominciare. La
subunità minore riconosce il cappuccio,
scorre lungo la regione 5' non tradotta
dell'mRNA, incontra la sequenza di
Kozak e qui si arresta perché riconosce
l'AUG in un contesto nucleotidico particolare, che rappresenta una sequenza di
riconoscimento; per cui, anche in questo caso entreranno in gioco dei fattori d'inizio e si
avrà poi il raggiungimento della subunità maggiore e l'inizio della sintesi proteica.

• Almeno 12 fattori sono responsabili della formazione del complesso d'inizio e


agiscono in vari modi. Concettualmente il processo è uguale: ci sono alcuni fattori che
impediscono l'associazione prematura della subunità maggiore, un fattore porta il primo
tRNA nel sito P in maniera GTP dipendente e così via. Il risultato è lo stesso e
l'allungamento è identico: ci sono gli stessi tre fattori dei procarioti (EF = Eukaryotic
Factor). Uno ha la stessa funzione di IF2, cioè quel fattore che legava il GTP ed è
importante per il posizionamento del tRNA nel sito A, questo fattore è quello che aiuta lo
scambio tra GDP e GTP (nei procarioti fattore FTS) e poi c'è il fattore di traslocazione che
determina la traslocazione dal sito A al P in maniera GTP dipendente.

1
• Per quanto riguarda i fattori di terminazione nei batteri ne troviamo tre che riconoscono
in maniera differente i codoni di stop, ma nel caso degli eucarioti un unico fattore di natura
proteica riconosce i codoni di stop e garantisce il distacco della catena proteica.

TRADUZIONE (procarioti)
È costituita da tre elementi fondamentali:
 gli RNA messaggeri, pronti per essere tradotti nel caso degli eucarioti e coinvolti
nella traduzione cotrascrizionale nel caso dei procarioti;
 gli RNA transfer
 gli RNA ribosomiali
Sia nei procarioti che negli eucarioti noi distinguiamo tre fasi della traduzione:
1. Fase d'inizio, che è quella in cui un mRNA si lega alla subunità minore del
ribosoma e vede l'ingresso del primo tRNA, che è quello iniziatore. Questo porta il
primo amminoacido della catena peptidica in formazione, cioè la metionina. Quindi
il primo codone che verrà tradotto è AUG che codifica per la metionina. Questa fase
di inizio termina nel momento in cui si associa anche la subunità maggiore per
formare il complesso d'inizio vero e proprio, in cui troviamo subunità minore,
subunità maggiore mRNA e tRNA.
2. Allungamento; da questo momento in poi iniziano vari cicli che vanno sotto il nome
di allungamento che prevedono l'incorporazione di un tRNA e quindi di un
amminoacido per ogni ciclo.
3. Terminazione; ad un certo punto si verrà a trovare a livello dell'apparato di
traduzione un codone di stop e avrà termine la traduzione.

2
FASE DI INIZIO

Nei batteri il primo tRNA è particolare: si chiama tRNA iniziatore e porta una metionina
modificata dall'aggiunta di un gruppo formilico, legato al gruppo amminico. Dunque, il
tRNA con anticodone complementare alla tripletta AUG, è legato e trasporta la
fornilmetionina che presenterà l’estremità N-terminale bloccata dal gruppo formilico.

Come viene individuato l'AUG corretto a livello del quale iniziare la traduzione?
A livello dell’estremità 5’, a monte del
codone di inizio, troviamo una
sequenza definita sequenza Shine-
Dalgarno. Tale regione, altamente
conservata, è ricca di purine,
costituita da 4 a 9 residui e viene
riconosciuta dalla subunità 16S del
ribosoma.
Per cui, nella fase di inizio c'è il
riconoscimento tra la subunità
minore del ribosoma e I'mRNA; il
riconoscimento è selettivo e
permette di individuare il codone
AUG a livello del quale la traduzione
deve avere inizio. Questo avviene
perché, a livello dei batteri, è
presente la sequenza di Shine-
Dalgarno, che permette il
riconoscimento specifico, poiché
I'rRNA ha una sequenza complementare a questa.

A livello del complesso del ribosoma si possono individuare delle regioni:


 sito e (exit); sul quale si viene a
trovare il tRNA scarico.
 sito p (peptidi); qui c'è il tRNA
che porta la catena nascente, in
allungamento.
 sito a (amminoacil); perché
accoglie il tRNA che porta
l’amminoacido.

Dunque, ci sono tre regioni importanti che entreranno in gioco durante sintesi proteica.
In questo processo è necessaria anche l’azione di tre fattori proteici: IF1, IF2, IF3 (I=inizio,
F= fattore).

3
I’IF1 promuove la dissociazione dei ribosomi in subunità separate. Infatti, le subunità del
ribosoma si trovano dissociate all’interno del citoplasma, andando ad associarsi solo nel
momento in cui il ribosoma è in fase di
traduzione. L’IF2 lega il GTP e
l'amminoacido iniziatore, permettendo il
posizionamento fisico a livello del primo
codone, del sito AUG. Tutti i tRNA sono
posizionati a livello del codone
complementare da dei fattori leganti GTP
che trasportano il tRNA sull' mRNA e
successivamente vanno incontro a idrolisi
del GTP legato. Infine, l’IF3 continua a
tenere stabilizzate le due forme in modo
che il tRNA iniziatore possa posizionarsi correttamente sul primo codone.

Una volta compiuta la propria funzione, i fattori vengono rilasciati: prima il tre poi l'uno e il
due, dopo l'idrolisi del GTP a GDP e P. A questo punto troviamo il complesso d'inizio dove
abbiamo le due subunità del ribosoma associate e la fenilmetionina situata a livello del sito
P e legata al primo AUG.

ALLUNGAMENTO

Ora inizia la fase di allungamento; il sito a viene occupato da un secondo tRNA. A questo
punto si forma il legame peptidico tra la metionina presente sul tRNA sul sito P e
l'amminoacido presente sul tRNA arrivato per secondo.
Lavora il gruppo carbossilico della metionina (dato che l’N-terminale è bloccato dal legame
con il gruppo funzionale) che andrà ad attaccarsi al gruppo amminico dell’amminoacido
trasportato dal secondo tRNA (situato nel sito A), formando il primo dipeptide che
conseguentemente rimarrà attaccato al tRNA presente nel sito A. Successivamente
questo tRNA si sposterà dal sito A al sito P, mentre il tRNA vuoto passerà nel sito e ed
uscirà fuori. La sintesi potrà procedere perché, a questo punto, il sito A è vuoto e il sito P è
occupato dal tRNA che porta la catena peptidica in via di accrescimento. In questo modo
la catena si allungherà, come si può vedere anche dall’immagine.

4
Nel sito A vuoto arriva il secondo tRNA che si posizionerà secondo le regole di
complementarietà di codone e anticodone. Questo posizionamento avverrà grazie alla
presenza di un fattore di allungamento (EF-Tu) legante il GTP che poi verrà idrolizzato. Il
fattore EF-Tu che ha svolto il suo ruolo nel favorire il posizionamento del tRNA idrolizza il
GTP; si crea la forma legata al GDP che, mediante l'intervento di un altro fattore (EF-Ts),
scambia il GDP con GTP e ritorna nella forma attiva per trasportare un altro amminoacido.
Questo altro fattore che interviene è detto dunque EF-Ts. Esso interviene nello scambio
tra GDP e GTP in modo da rigenerare il
fattore EF-Tu nella sua forma attiva in
grado di trasportare nel ciclo successivo
un altro tRNA nel sito A.
A questo punto si deve formare il legame
peptidico, che avviene tra il gruppo
carbossilico e il gruppo amminico dell’altro
amminoacido, per catalisi da parte
dell’rRNA 23S. Quando si forma il legame
peptidico si ha un attacco nucleofilo del
gruppo carbossilico sull'azoto del gruppo
amminico dell'amminoacido successivo
con la formazione del legame peptidico
classico.

Il tRNA presente nel sito P risulta essere


scarico, dato che ha trasferito il proprio amminoacido, e avverrà la sua traslocazione nel
sito E. La traslocazione, non è altro che uno scorrimento dei tRNA all’interno dei siti
ribosomiali. Il tRNA scarico va nel sito E e quello contenente il dipeptide nel sito P. Questa
traslocazione avviene grazie a un altro fattore di allungamento, di tipo G, ed è garantita
dall'idrolisi di GTP che fornisce l'energia per i cambiamenti strutturali che determinano il
meccanismo della traslocazione.
Dopo la traslocazione il tRNA vuoto si troverà nel sito E, e se ne andrà; il tRNA con il
polipeptide nascente si troverà nel sito P e il sito A sarà vuoto: il ciclo potrà ricominciare. Il
processo si può ripetere più volte in modo tale da allungare la catena di amminoacidi.

5
TERMINAZIONE

La terminazione avviene quando a livello del sito A appare uno dei tre codoni stop. I
codoni di stop non sono riconosciuti da nessun anticodone, ma sono riconosciuti da fattori
proteici di rilascio che, in maniera GTP dipendente, determinano Il rilascio della proteina
nel citoplasma o nel reticolo endoplasmatico, a seconda dei casi.
Tali fattori vanno a rompere il legame estere instaurato tra il gruppo carbossilico
dell’amminoacido e il gruppo ossidrile del tRNA. Le due subunità del ribosoma si
dissociano e la sintesi proteica termina.
La stessa molecola di mRNA può essere letta da più ribosomi contemporaneamente e
quindi tradotta in più proteine contemporaneamente.
Ogni ribosoma si muove di concreto lungo I'RNA e ciascuno di essi produce una proteina
usando la stessa molecola di RNA.

6
INIBITORI DELLA SINTESI PROTEICA

Esistono degli inibitori della sintesi proteica, molti di questi sono antibiotici: in grado di
inibire selettivamente la sintesi proteica procariotica e non quella eucariotica.

Ce ne sono diversi; alcuni inibiscono la sintesi per entrambi: per


esempio la puromicina ha una struttura simile all’estremità 3’ di un
aminoacil tRNA. Si lega sul sito A e partecipa alla formazione del
legame peptidico causando la terminazione prematura del polipeptide.

Altri inibitori agiscono esclusivamente nella sintesi proteica. Ne è


un esempio la tetraciclina (immagine sulla destra) che si lega alla

7
subunità 30S, subunità maggiore del ribosoma, ed impedisce l’attacco degli aminoacil-
tRNA. L’azione inibitoria funziona solo nei procarioti, dato che la struttura dei ribosomi è
diversa, è presente il cloramfenicolo che funziona solo nei procarioti e la strettomicina.

Il cloramfenicolo è un antibiotico che inibisce la peptidil-


transferasi della subunità 50S. Tale enzima, permette il
trasferimento del tRNA
che porta la proteina in
allungamento sul
ribosoma.

La streptomicina inibisce l’inizio della traduzione a causa di una errata lettura dell’mRNA.
Questo è dovuto alla sua struttura, simile all’estremità 50 dell’RNA messaggero, che gli
permette di alterare il legame tra mRNA e ribosoma.

La tossina difterica blocca la traslocazione mediante ADP


ribosilazione del fattore di traslocazione. Questa tossina, causa
una modifica chimica del fattore di allungamento di tipo 2, che è
quello responsabile del trasporto dei tRNA legante l'amminoacido
durante l'allungamento della catena peptidica; questa
modificazione chimica determina la perdita di funzionalità e il
blocco della sintesi proteica.

MUTAZIONI

Le mutazioni sono alterazioni del genoma che possono coinvolgere pochi o anche un
solo nucleotide e in questo caso sono geniche/puntiformi. Ci sono poi mutazioni
cromosomiche che coinvolgono sia il numero dei cromosomi sia la struttura dei
cromosomi stessi.

Le mutazioni geniche possono essere di diverso tipo; innanzitutto distinguiamo le


mutazioni che avvengono per sostituzione di una base (una base è sostituita con un'altra)
e le mutazioni che avvengono per inserzione o delezione di una base (una base viene
persa oppure viene inserita).

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Le mutazioni per sostituzione di una base possono essere di vario tipo; prendiamo per
esempio l'amminoacido lisina codificato dal codone AAA;
 ci sono delle mutazioni chiamate silenti (samesense) che prevedono il
cambiamento del codone con uno diverso ma che codifica però per lo stesso
amminoacido (tramite il fenomeno della ridondanza). Se AAA lo sostituisco con
AAG, questo è comunque un codone per la lisina, quindi ho una mutazione al livello
del DNA, ma non avrò nessun tipo di cambiamento a livello della proteina. La
sostituzione, infatti, è avvenuta a livello del terzo nucleotide e quindi, in accordo con
la teoria del vacillamento, si otterrà un genotipo identico a quello iniziale (e quindi
anche il fenotipo).

 Si possono avere delle mutazioni di senso che cambiano il significato


dell'amminoacido: se la tripletta AAA è convertita in GAA la codifica è diversa
perché GAA non codifica più per la lisina ma per l'acido glutammico. In questo
caso, otterremo un risultato completamente differente dato che le caratteristiche
chimico fisiche dei due amminoacidi sopra citati sono diverse.

9
Un esempio è la forma mutata dell'emoglobina: si ha la sostituzione dell’acido
glutammico con la valina. Le caratteristiche chimico fisiche diverse dei due
amminoacidi, porteranno alla formazione di una proteina genotipicamente e
fenotipicamente differente. Questo tipo di mutazione di senso dà luogo
all’emoglobina caratteristica dell’anemia falciforme. Si ha una vera e propria
destrutturazione della proteina, che provoca una deformazione dei globuli rossi che
assumono la classica forma a falce. Tale forma, fa sì che i globuli rossi abbiano una
minore efficienza nella circolazione del sangue, all’interno del quale circolerà una
quantità minore di ossigeno. Nonostante questa alterazione tale patologia è
compatibile con la vita.

 Ci sono casi in cui però una mutazione che causa la presenza di un amminoacido
diverso sia una mutazione che a livello della proteina non causa un problema

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(mutazione neutra). Ciò significa che, nonostante il genotipo sia diverso, il fenotipo
rimane lo stesso.
Prendiamo l'esempio della Lisina che viene sostituita con l'Arginina a causa di una
sostituzione del secondo nucleotide. Strutturalmente risultano simili per via delle
caratteristiche basiche e della catena laterale abbastanza grande. Dunque, si
otterrà una proteina mutata con funzione uguale alla proteina non mutata.
Ovviamente dipende anche da dove avviene la mutazione, se essa avviene in parti
vicino al sito attivo allora probabilmente ci saranno dei danni, in caso contrario la
mutazione potrebbe essere ininfluente.

 Ci sono anche le mutazioni non senso, generalmente molto gravi perché


prevedono la comparsa di un codone di stop e quindi la terminazione prematura

della sintesi proteica.

Mentre l'inserzione o delezione di un nucleotide avrà conseguenze ben diverse:


immaginando di avere una delezione, alla base del punto di delezione si avrà una lettura
sfalsata di tutti i codoni, si ha quello che viene chiamato scivolamento del codice di lettura.
Questo scivolamento avviene sia che si tratti di una delezione, come detto, sia che si tratti
di una inserzione (l'effetto è lo stesso) proprio perché Il codice genetico viene letto a
triplette: se vengono inseriti o tolti dei nucleotidi tali triplette non corrisponderanno più.

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MODIFICHE POST-TRADUZIONALI

Esamineremo 4 punti particolari:


1. come si ripiegano le proteine all'interno della cellula
2. come vengono smistate nei vari compartimenti cellulari
3. le modificazioni a cui possono andare in contro
4. come vengono degradate le proteine all'interno della cellula (meccanismo fine)

1) Per quanto riguarda l'acquisizione della struttura tridimensionale delle proteine questi
studi (di Anfinsen) sono iniziati intorno alle metà del '900 e dimostrano che all'interno
della struttura primaria delle proteine, ovvero nella semplice sequenza di amminoacidi, c'è
scritta la modalità con cui la proteina si configurerà nello spazio.
Per evidenziare ciò viene fatto un esperimento: presa
la ribonucleasi A, una proteina di pochi amminoacidi
(124AA), caratterizzata dalla presenza di 4 ponti di
solfuro, viene isolata e si nota che, se sottoposta
all'azione di un agente denaturante, l'urea, e
seguendo la sua attività, si poteva osservare un
meccanismo di questo tipo: la sua attività
progressivamente diminuiva quando la
concentrazione dell'urea diventava massima, ma
rimuovendo gli agenti denaturanti la proteina
riassumeva la sua conformazione nativa, cioè quella
favorita da un punto di vista termodinamico.

Perciò si nota che la proteina da denaturata veniva riconfigurata identica a prima, questo
significava che dentro la struttura primaria c'è scritto come deve foldare, cioè raggiungere
la sua configurazione tridimensionale corretta.

Questo studio dei meccanismi mediante il quale le proteine acquisiscono la loro struttura
proteica tridimensionale corretta o possono perderla ha riscosso molto interesse negli
ultimi venti anni.
Il processo di ripiegamento delle proteine è piuttosto complesso. Anzitutto le proteine
escono dai ribosomi un po' alla volta, durante questa fase potrebbero interagire con altre
proteine magari presenti nel citoplasma, per cui nella cellula esistono dei meccanismi che
controllano il folding proteico. Il folding è assistito da una famiglia di proteine che vengono
chiamate chaperoni molecolari. Gli Chaperoni accompagnano la proteina a raggiungere
il corretto folding, senza interferire. Generalmente, per svolgere la propria funzione, si
legano reversibilmente agli amminoacidi idrofobici.
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Essi si possono distinguere in due famiglie:
1. Chaperoni veri e propri (hsp70): proteine indotte dallo shock termico.
L'incremento della temperatura, altro non è che una denaturazione, per cui veniva
creato un meccanismo che permetteva la sintesi di proteine coinvolte e il controllo
del folding.
2. Chaperonine: strutture simili complessivamente in eucarioti e procarioti. Le
chaperonine di gruppo I sono espresse negli Eubatteri, nei mitocondri, nei
cloroplasti e in alcuni Archeobatteri, mentre le chaperonine di gruppo II nel citosol
degli Eucarioti e degli Archeobatteri.

Gli Chaperoni legano in maniera ATP dipendente la proteina nascente dal ribosoma in
modo tale che le varie regioni non interagiscano tra loro fino a quando tutta la proteina non
è stata sintetizzata. Evitano la formazione di strutture non necessarie al raggiungimento di
quella nativa.

La via invece mediata dalle chaperonine è


un'altra: sono dei complessi, strutture a
barilotto, dove la proteina in forma denaturata
viene trasportata all’interno in maniera ATP
dipendente. In questa regione protetta da altre
proteine e isolato dall’ambiente idrofilo, la catena polipeptidica va ad
assumere la sua struttura tridimensionale, senza risentire di eventuali
interferenze da parte di altre proteine o di fattori ambientali citoplasmatici.
Quindi, le proteine, appena state sintetizzate e legate agli hsp70, vengono destinate
all’interno del complesso delle chaperonine.

Un esempio sono le GroEL, un tipo di chaperonina. All’interno del lume di questi


complessi molto grandi vengono introdotte le proteine legate alle hsp70, attraverso
l’utilizzo di ATP. L’ATP fa in modo che la cavità venga chiusa, in modo da isolarla
completamente dall’ambiente esterno. Si consuma ATP, sia per la formazione del legame
tra hsp70 e la proteina nativa, che ancora non ha assunto la sua conformazione, che per il
trasporto nelle chaperonine.

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Dunque, la corretta conformazione 3D, è un evento che avviene sì spontaneamente
(poiché dipende dal tipo di amminoacidi che costituiscono la catena polipeptidica) ma è
favorito da complessi proteici specifici e prevede l’utilizzo di energia.
Avviene simile anche negli eucarioti, anche se in maniera più complessa.

2) Una volta aver assunto la giusta struttura tridimensionale, le proteine sono soggette a
un meccanismo di smistamento. Il destino di una proteina è scritto nel gene stesso, nella
sequenza amminoacidica.

Esistono due tipi di percorsi:


 Via secretoria o
vescicolare; produce proteine
destinate al reticolo endoplasmatico, al Golgi, alla membrana cellulare, alla
secrezione o ai lisosomi.
 Via citoplasmatica; per la quale la proteina o rimane nel citoplasma o è destinata
ad un organello citoplasmatico (mitocondri, cloroplasti, nucleo o perossisomi).

Le proteine destinate al reticolo


endoplasmatico contengono un
peptide segnale, costituito da una
specifica sequenza alla estremità
ammino terminale. La proteina
comincia la sintesi nel citoplasma, e
immediatamente viene prodotto un
peptide segnale per cui ci saranno dei
fattori che, dopo averlo riconosciuto,
bloccano la traduzione e fanno
migrare tutto il complesso al livello del
reticolo. All’interno del reticolo si
concluderà la sintesi proteica, e la
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proteina, ormai formata, verrà portata attraverso vescicole o alla membrana per poi essere
secreta, o ad altri organelli cellulari. Questa informazione, sarà racchiusa nella sua
sequenza amminoacidica.

La via citoplasmatica prevede che le proteine vengano sintetizzate completamente nel


citoplasma, dove rimarranno anche successivamente. Infatti, non ci sono dei segnali
particolari.

Le proteine destinate a mitocondri o


cloroplasti, siccome devono attraversare
una doppia membrana, saranno
introdotte attraverso dei trasportatori
specifici che riconoscono delle porzioni
amminoacidiche specifiche. Questi
trasportatori sono dei veri e propri
recettori proteici di membrana che
riconoscono in modo specifico sequenze
che si trovano all’interno della proteina.

Se la proteina deve essere trasportata


nel nucleo, il segnale si trova centrale
alla sequenza amminoacidica. Questa
porzione centrale è riconosciuta da proteine che effettuano il trasloco attraverso i pori
nucleari, le importine (in grado di portare nel nucleo altre proteine) o esportine (le proteine
che sono in grado di riconoscere proteine che si legano all’mRNA e favoriscono
l’esportazione). Il segnale della localizzazione proteica si trova sulla proteina stessa.

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MATERIA E LEZIONE Biologia lezione 19
DATA 25/11/2021
PROFESSORE Modesti
COPPIA Riccardo Gabbani/Chiara Cortini

I primi minuti della lezione non sono stati registrati, per cui la sbobina non presenta le
primissime cose che sono state dette dalla professoressa a lezione.

SMISTAMENTO DELLE PROTEINE CON DESTINAZIONE


NUCLEO

CICLO DI IMPORTAZIONE
Nella prima figurina, la proteina che deve essere importata si lega ad un trasportatore
che viene chiamato importina; questo è un trasportatore di natura proteica che è affine
e che riconosce in maniera specifica la sequenza consenso interna (la sequenza di
localizzazione nucleare, costituita da 5 amminoacidi basici). A seguito di questa
interazione si forma un complesso proteico che è riconosciuto e che riesce ad
attraversare il poro nucleare (apertura costituita da proteine nucleari).
Una volta localizzato a livello del nucleo, il complesso viene dissociato per azione di una
proteina nucleare specifica che si trova nel nucleo in forma defosforilata. Questa proteina,
detta Ran, viene fosforilata legando un gruppo fosfato al GDP (guanosindifosfato) che si
trova associato alla proteina stessa, a costituire RanGDP (in questa forma defosforilata, il
complesso è inattivo, non è riconosciuto dal poro nucleare e quindi non può uscire). Si
forma una proteina fosforilata (Ran con legato GTP) che farà staccare l’importina, grazie
alla sua maggiore affinità. Il RanGTP, quindi, si associa all’importina e interagendo con il
poro nucleare è rilasciato nel citoplasma insieme all’importina stessa. Una volta che
raggiunge il citoplasma, il GTP è defosforilato e la proteina trasportatrice (Ran) cambia
conformazione, diventando meno affine per l’importina, che viene liberata nel
citoplasma. A questo punto l’importina è pronta per portare dentro al nucleo un’altra
proteina che presenta la stessa sequenza segnale.
Questo trasportatore, l’importina, non è specifico per le proteine che deve trasportare
ma è specifico perché riconosce il segnale che è presente in tutte le proteine che devono
avere una localizzazione nucleare. Quindi, il segnale che indica che la proteina deve
essere portata all’interno del nucleo è presente in tutte le proteine che avranno una
localizzazione nucleare.
Ad esempio, le proteine che devono svolgere la DNA polimerasi, che sono tradotte a
livello citoplasmatico, presentano questa sequenza segnale e perciò vengono importate
nel nucleo tramite importina.
L’importina da sola non può attraversare il poro nucleare, ma può entrare ed uscire dal
nucleo con il processo precedentemente descritto (associata alla proteina cargo da
trasportare per entrare, associata al RanGTP per uscire). Il processo di trasporto
dell’importina prevede utilizzo di energia.
CICLO DI ESPORTAZIONE
Alcune proteine o molecole possono essere trasportate anche nella direzione opposta,
cioè dal nucleoplasma verso il citoplasma, grazie all’azione di un altro trasportatore detto
esportina. (Ad esempio i ribosomi, una volta associati agli RNA ribosomiali all’interno del
nucleo, devono poi riuscire a livello del citosol)
L’esportina si lega alla proteina che deve trasportare, e poi si lega al Ran fosforilato
(Ran+GDP+fosfato). Il complesso attraverserà il poro nucleare; in seguito, il GTP verrà
idrolizzato e cambierà la sua struttura, rendendo il Ran meno affine per il complesso
esportina-proteina. La separazione dell’esportina dal trasportatore Ran fa sì che anche
l’esportina stessa cambi struttura, liberando così la proteina trasportata nel citoplasma.
Una volta liberata la proteina, l’esportina libera rientrerà nel nucleo, pronta per
l’esportazione successiva, così come il RanGTP, che è stato nuovamente fosforilato per
poter attraversare il poro e rientrare.
Il passaggio dal citoplasma al nucleo o viceversa è altamente regolato, prevede consumo
di energia e coinvolge proteine che non devono essere mutate perché altrimenti le
mutazioni impedirebbero l’associazione, il riconoscimento tra le proteine di trasporto.
TRASPORTO A LIVELLO MITOCONDRIALE

Alcune proteine sono destinate al mitocondrio, che è un organello semiautonomo, cioè


in grado di produrre proteine all’interno della matrice (perché ha DNA circolare e
ribosomi). Ad esempio, le proteine che fanno parte della catena di trasporto degli
elettroni sono prodotte a livello della matrice. L’organello è semiautonomo perché non è
in grado di produrre alcune proteine necessarie al suo funzionamento, proteine che sono
quindi importate dal citoplasma.
Il segnale che fa sì che le proteine entrino nella matrice del mitocondrio, oppure nello
spazio intermembrana, ha localizzazione diversa rispetto alle precedenti sequenze
segnale delle proteine nucleari.
Le proteine da portare nei mitocondri hanno sequenza segnale all’estremità N-
terminale, ricca di arginina e lisina e, come le sequenze segnale delle proteine da
trasportare nel nucleo, queste hanno amminoacidi carichi positivamente, mentre sono
assenti amminoacidi carichi negativamente nella catena N-terminale (amminoacidi acidi).
Questa sequenza è specifica per proteine che sono trasportate all’interno della matrice,
mentre le proteine dello spazio intermembrana hanno una sequenza segnale interna alla
proteina stessa.
I trasportatori in questo caso sono proteine che trasportano selettivamente nello spazio
intermembrana e poi nella matrice (in base alla sequenza che si trova nella proteina);
prendono il nome TIM o TOM (trasporto interno alla membrana o trasporto esterno alla
membrana) e sono proteine transmembrana. Questo TOM dimerizza per consentire il
passaggio (per far avvenire passaggio è necessario un dimero del trasportatore).
La proteina che si trova nel citoplasma è associata ad ASP70 (chaperoni molecolari) che
fanno assumere la conformazione corretta alla proteina. La proteina raggiunge la
struttura grazie ai legami dei trasportatori dimerizzati sull’estremità N-terminale, che
fanno entrare la proteina nel mitocondrio. Se la proteina ha una sequenza interna, questa
viene riconosciuta dalla proteina all’interno della seconda membrana interna che si
chiama TIM. In questo caso il trasportatore farà entrare la proteina nella matrice e una
volta attraversata la membrana la proteina verrà riconosciuta da chaperoni molecolari che
si trovano nella matrice mitocondriale.
I chaperoni favoriscono il folding e si trovano anche nei batteri, perciò, sono presenti
anche all’interno dei mitocondri. Questi riconoscono la proteina e ne guidano il corretto
folding, al fine di raggiungere la sua struttura nativa e quindi il suo funzionamento
all’interno del mitocondrio.
Il passaggio delle proteine attraverso le membrane del mitocondrio è altamente selettivo
e conformazione delle proteine è un’altra delle condizioni che deve avvenire perché
questa proteina importata possa funzionare.
I due trasportatori (a livello della membrana esterna e a livello della membrana interna)
riconoscono sequenze diverse. I trasportatori chiaramente devono essere presenti nelle
membrane per far avvenire il trasporto e devono avere una struttura tale da posizionarsi
sulle membrane.
Nelle membrane interne ci sono due trasportatori: uno che fa attraversare
completamente la membrana e porta le proteine nella matrice, mentre l’altro, specifico
per le proteine transmembrana, che deposita la proteina nello spazio tra i due fosfolipidi
della membrana. In questo caso, la proteina rimane nella membrana mitocondriale
interna, che ha infatti un’alta concentrazione proteica (tutte le proteine di trasporto degli
elettroni + proteine trasportatrici).
Anche nel caso del trasporto nel mitocondrio si ha utilizzo di energia (ad esempio per
associazione proteine-chaperoni). La funzione delle chaperonine avviene sia nel
citoplasma sia nella matrice e ogni chaperone ha una struttura specifica (la struttura dei
chaperoni nel citoplasma è diversa rispetto a quelli presenti nella matrice, dato che, per
la teoria endosimbiotica, il mitocondrio deriva da un batterio procariote, mentre la cellula
è di tipo eucariotico)

PROTEINE DESTINATE A PEROSSISOMI


Le proteine destinate ai perossisomi fanno parte della via citoplasmatica perché la
proteina è tradotta interamente nel citoplasma. Queste proteine hanno due segnali: uno
all’estremità amminoterminale, l’altro all’estremità carbossiterminale. Delle
sequenze di leucina e serina si trovano a una delle due estremità. Anche in questo caso
le sequenze segnale sono riconosciute da specifici trasportatori che portano le proteine
all’organello indicato.

PROTEINE DI SECREZIONE
Esistono poi anche delle proteine di secrezione, che non devono trovarsi nel citoplasma
ma devono essere esportate fuori dalla cellula (secrete). Le proteine di secrezione sono
quelle destinate alla matrice extracellulare, che devono comunque passare per il RER, dal
quale poi usciranno per arrivare al loro destino finale.

SINTESI PROTEICA NEL RER


Il reticolo endoplasmatico è detto ruvido perché sulla faccia della membrana rivolta
verso il citoplasma sono esposti i ribosomi che si trovano in posizione solo quando
producono proteine. Quando le proteine non sono prodotte, il ribosoma si trova
normalmente dissociato nel citoplasma.
Il segnale di
importazione nel RER si
trova sull’estremità
amminoterminale della
proteina ed è costituito
da una serie di 10-12
amminoacidi idrofobici.
Questo materiale
idrofobico non può stare
nel citoplasma e viene
riconosciuto da una
proteina detta
particella di
riconoscimento del
segnale (SRP). In
questo caso, l’mRNA ha due codoni di inizio: uno prima della sequenza segnale e una
dopo la sequenza segnale, che serve per far ripartire la sintesi della reale struttura della
proteina, al momento dell’arrivo del ribosoma a livello della membrana del RER. Ciò fa sì
che il peptide segnale quando inizia la produzione della proteina nel RER venga rimosso.
Studiando queste proteine, gli studiosi
hanno trovato nei geni trascritti e nel
mRNA due codoni di partenza (AUG) e
ciò permise di capire che il peptide
segnale non si trovava nelle proteine
secrete, ma si trovava a livello
dell’mRNA sull’estremità 5’ (primo
frammento esposto, poiché la sintesi
proteica avviene da 5’ a 3’, da estremità amminoterminale ad estremità
carbossiterminale).
La sintesi della proteina si blocca quando il fattore di riconoscimento del segnale
riconosce la sequenza idrofobica sull’estremità 5’. Il fattore di riconoscimento si attacca al
peptide idrofobico e, una volta associato alla coda amminica idrofobica, blocca la
traduzione. Il ribosoma è quindi legato al fattore di riconoscimento del segnale e al
peptide idrofobico; tutto questo complesso migra nel RE dove trova un recettore (che
presenta proteine canale) che riconosce il complesso ‘fattore di riconoscimento del
segnale e sequenza amminoacidica idrofobica’. Il recettore si associa al complesso e si
apre, permettendo l’introduzione del peptide segnale nel canale dove si trova la porzione
proteica del recettore che idrolizza la porzione del peptide segnale; questo è il
segnale per cui il ribosoma riprende la traduzione e la proteina viene prodotta
all’interno del RER. Una volta arrivato al codone di stop, il ribosoma che è adeso al
recettore separa le due subunità, si stacca dal recettore e ritorna nel citoplasma.
Quindi ricapitolando: il ribosoma inizia a tradurre da 5’ a 3’ e produce un peptide molto
piccolo (circa 12 amminoacidi idrofobici) che viene riconosciuto da complesso di
riconoscimento della sequenza segnale (SRP), che permette poi al ribosoma di interagire
con il recettore posizionato sul RER. Questo complesso, una volta essersi legato alla
porzione idrofobica e al ribosoma, fa sì che la traduzione si interrompa e fa sì che tutto
sia diretto verso la membrana del reticolo, dove è presente un traslocatore che è formato
da una proteina canale che è chiusa prima che ribosoma giunga sulla membrana del RER.
La proteina canale ha una porzione recettoriale e una porzione catalitica. Questa porzione
catalitica si occupa del
taglio del peptide
segnale. Si usa ATP
(attività catalitica) e la
proteina può continuare
ad essere sintetizzata nel
lume del RE. A questo
punto i complessi che
hanno accompagnato il
ribosoma con il peptide
segnale al recettore si
staccano e l’idrolisi del
GTP fa sì che si liberi
GDP e fosfato
inorganico e che questo complesso proteico ritorni nel citoplasma.
Il ribosoma, dopo il taglio delle peptidasi che si trovano nel complesso del traslocatore,
riprendere la sintesi della proteina che è prodotta nel lume del RE, fino al codone di stop.
Il processo prevede la presenza di numerosi fattori: traslocatori, proteine che
riconoscono sequenza segnale, proteine che si associano a sequenza segnale, presenza
del traslocatore fatto da proteine canale, peptidasi, sequenze di riconoscimento che
devono essere tutte presenti perché possa avvenire secrezione di una proteina.
Tutte le proteine per funzionare devono avere una corretta sequenza amminoacidica,
seguire corrette modificazioni post-traduzionali e devono anche essere in associazione
con proteine con cui collaborano per svolgere loro azioni (se fosse mutata la proteina del
traslocatore, la secrezione non potrebbe più avvenire).
PROTEINE TRANSMEMBRANA E SECRETE
Il passaggio dal RER è una tappa obbligatoria anche per tutte le proteine
transmembrana e per le proteine che dovranno essere secrete nell’ambiente
extracellulare.
Alcune proteine si trovano infatti anche sulla membrana (sia a livello del RER che a livello
della membrana plasmatica, se sono proteine con sequenza amminoacidica specifica per
quella destinazione, che sarà raggiunta grazie al trasporto tramite vescicole). Nel caso
delle proteine transmembrana a livello della membrana plasmatica, le proteine
monopasso (che attraversano una sola volta la membrana) avranno l’estremità
amminoterminale esposta verso l’esterno, verso la matrice, mentre il gruppo carbossilico
sarà orientato verso il citoplasma, proprio per come avviene la sintesi delle proteine e
per come le proteine devono essere secrete, infatti queste hanno sequenza segnale
all’estremità amminoterminale che sarà quella che si troverà nel lume del RER e sarà poi
rivolta verso l’esterno nel caso delle proteine di membrana.
In queste proteine transmembrana, la sequenza idrofobica che permetterà alla proteina
di bloccarsi sul doppio strato fosfolipidico è inserita internamente alla proteina stessa.
Attraverso lo splicing alternativo, alcuni esoni possono funzionare da introni, per esempio
in alcune proteine che svolgono la stessa attività, ma che possono trovarsi sia sulla
membrana sia nel citoplasma. L’esone si trova propriamente come esone nelle proteine
transmembrana (perché contiene informazioni per produrre catene idrofobiche
all’interno della proteina stessa e la localizza nello spazio tra i due strati lipidici), se la
sequenza nucleotidica invece funziona da introne, la proteina avrà una sequenza di
riconoscimento, ma non una sequenza per posizionarsi come proteina di membrana (non
avrà porzione di amminoacidi idrofobici).
Nel caso di proteine transmembrana, il peptide segnale si legherà al trasportatore, ma
quando si arriverà a sintetizzare la sequenza segnale interna, il traslocatore libererà la
proteina nello spazio
intermembrana, tra le
code dei fosfolipidi di
membrana, e la proteina
rimarrà ancorata alla
membrana del RE.
Questa proteina, che
esporrà il gruppo
amminico verso il lume
del RER, rimarrà
ancorata sulla
membrana del RE,
completerà la
traduzione verso il
citoplasma e poi la proteina completa rimarrà incastrata nella membrana e da qui verrà
portata sulla membrana esterna (se la sua destinazione finale non è il RE).
Le proteine che si trovano nel lume del
RER si troveranno secrete fuori dalla
cellula tramite vescicole, il cui
trasferimento verso membrana esterna
avverrà grazie a proteine motrici
(microtubuli), mentre le altre proteine
verranno modificate a livello
dell’estremità amminoterminale
(esempio: modifica post-traduzionale
per aggiunta di piccola catena
oligosaccaridica sulla sequenza
polipeptidica). Le vescicole si
fonderanno con la membrana cellulare;
se la vescicola porterà una proteina di
secrezione, questa verrà secreta, mentre
se la vescicola porterà proteine transmembrana, queste resteranno ancorate alla
membrana stessa.

LE MODIFICHE POST-TRADUZIONALI
Abbiamo già visto che le modifiche post-traduzionali sono o di taglio (eliminazione
frammenti), come per esempio l’eliminazione del peptide segnale o come quando viene
rielaborata l’insulina con eliminazione di un tratto di una sequenza interna, oppure sono
modifiche su amminoacidi specifici:

• Idrossilazione, vista nel caso del collagene (se idrossilazione a livello delle glicine
non avviene non si ha collagene che svolge la sua funzione)
• aggiunta di un gruppo metilico o acetilico (istoni acetilati a livello dell’estremità
N-terminale: cromatina acetilata è quella decondensata che si esprime, mentre
cromatina deacetilata è quella meno condensata)
• N-glicosilazione (tipica di quelli che
sono i gruppi sanguigni, che consiste
nell’aggiunta di oligosaccaridi
all’estremità amminoterminale di
alcune proteine terminale su atomi di
azoto di amminoacidi basici)
• O-glicosilazione, con aggiunta di
oligosaccaridi su amminoacidi che
hanno gruppi OH.
• aggiunta di cisteine che hanno gruppo SH; se c’è un numero pari di cisteine,
queste possono essere ossidate e si possono formare
ponti disolfuro. Questa è una modifica covalente che
avviene anche quando si forma la struttura terziaria della
proteina che assume la sua specifica forma grazie alla
presenza di ponti S-S.
• aggiunta di lipidi, soprattutto quando le
proteine si ancorano covalentemente ai lipidi di
membrana, nonostante non si trovino sulla membrana,
ma nel citoplasma o nella matrice extracellulare. Questo
caso consiste nell’aggiunta di un certo tipo di acidi grassi
legati a proteine.

• Fosforilazione, che permette la


regolazione della funzione delle
proteine; nel caso del trasporto, queste proteine sono fosforilate su residui di
tirosina (su amminoacidi che hanno gruppo OH per cui si può formare legame
fosfoestere) e queste, fosforilando, regolano l’attività, attivando o inibendo la
proteina stessa.
• aggiunta di ubiquitina, che può regolare il funzionamento di una proteina;
questa si lega alla proteina che deve essere degradata, giungendo al proteasoma.
Le proteine prodotte in modo scorretto, parzialmente degradate o che hanno
svolto la propria funzione, sono riconosciute dall’ubiquitina, si legano e la proteina
ubiquitineata viene eliminata.
• (modifica già visto nei trasportatori) legame con il GTP, che si lega in varie forme
e cambia la conformazione della proteina a cui si lega, variandone l’attività.
Le modifiche sopra descritte avvengono sia nel RER, quando la proteina ha appena
terminato la sintesi, sia nell’apparato del Golgi, dove avvengono le ultime modifiche.
Nel Golgi, per esempio, avviene l’aggiunta di oligosaccaridi ai gruppi OH grazie ad
enzimi che aggiungono gruppi oligosaccaridici. In questo caso, per esempio, si ha la
formazione dell’N-glicosilazione (aggiunta di più oligosaccaridi su amminoacido basico
che presenta un gruppo amminico in più oltre a quello per fare il legame, come
nell’asparagina). Le asparagine hanno l’acido aspartico con un gruppo amminico in più e
quindi sul gruppo NH2 si lega, tramite un enzima specifico, una coda di oligosaccaridi
tramite N-glicosilazione.

GRUPPI SANGUIGNI
Nel caso della O-glicosilazione, questa avviene sul gruppo ossidrilico di residui di serina
o treonina. L’esempio è quello dei gruppi sanguigni, dove c’è aggiunta sull’amminoacido
serina di oligosaccaridi che rimangono sulla membrana e sono modificati all’estremità
amminoterminale con O-glicosilazione tramite enzimi specifici. Questo fa si che sulla
superficie dei globuli rossi siano presenti tra le proteine di membrana alcuni
oligosaccaridi e in questo caso è sempre presente un corto oligosaccaride che contiene
un glucosio, un galattosio, una N-acetilglucosammina, un galattosio e un fucoso (il
loro insieme si dice SOSTANZA H)
Questa catena oligosaccaridica fa si che gli individui possano essere classificati in base al
gruppo sanguigno. Questa struttura di
base è presente su tutte le membrane dei
globuli rossi di tutti gli individui. Alcuni
organismi hanno un gene che codifica
per un enzima specifico che si chiama N-
acetilgalattosammina transferasi. Questo
enzima effettua delle modifiche post-
traduzionali, che si sviluppano all’interno
del RE e che fanno si che alla sostanza H
venga legato un N-acetilgalattosammina
(quindi è aggiunto un ulteriore
monosaccaride modificato). Sui globuli
rossi si avrà quindi la sequenza completa
fatta dalla sostanza H più una N-
acetilgalattosammina. Questi individui hanno gruppo sanguigno A.
Nel cromosoma si può avere un altro enzima che è il galattosio tranferasi che aggiunge
galattosio alla sostanza H; questi sono gli individui del gruppo B.
Alcuni organismi possono possedere sui loro cromosomi entrambi i geni per i due
precedenti enzimi e quindi hanno sulla sostanza H sia una N-acetilglucosammina in più,
sia un galattosio in più e formano il gruppo sanguigno AB. Questo è un esempio di alleli
multipli.
L’allele è una forma alternativa di un gene, e nel caso dell’allelia multipla, per un gene si
hanno più di due alleli; nei gruppi sanguigni, si hanno tre alleli, perciò l’organismo in base
al suo genotipo può avere o un gene che non porta la formazione dell’enzima (e quindi
l’allele è silente) oppure può avere un allele di tipo A o un allele di tipo B oppure
entrambi.
Oltre ad avere alleli multipli, nelle popolazioni si possono avere anche più alleli
dominanti, per cui se un individuo ha sia l’allele del gruppo 0 sia quello del gruppo A che
porta alla formazione della N-acetilgalattosammina tranferasi, domina l’allele A e
l’individuo avrà gruppo A; la stessa cosa vale per il gruppo B. Se in tutti e due gli alleli si
ha gruppo 0, allora si manifesta il gruppo sanguigno 0. L’esempio dei gruppi sanguigni
ci dimostra che le proteine di membrana possono essere modificate, che i cromosomi
omologhi portano sui cromatidi alleli che possono essere uguali o diversi (perché i due
cromosomi derivano uno da un individuo e uno dall’altro individuo, da cui si origina
l’individuo di cui stiamo analizzando il genotipo).
Le modifiche che avvengono si sviluppano all’interno del reticolo grazie alla presenza o
meno di enzimi che sono codificati da geni.

DEGRADAZIONE DELLE PROTEINE


Le proteine, infine, sono degradate perché hanno svolto la loro funzione oppure perché
non hanno raggiunto l’esatta conformazione spaziale. Ancora non si sa precisamente
perché una proteina abbia un determinato periodo di vita, ma molto spesso la
stimolazione della produzione della proteina cessa e quindi la proteina smette di essere
sintetizzata. Un esempio di ciò può essere l’insulina che è prodotta quando c’è bisogno
di abbassare la glicemia, ma nel momento in cui lo stimolo cessa, la proteina è degradata.
Altre proteine che regolano processi metabolici sono quelle del ciclo cellulare. Queste
sono prodotte in base alla progressione del ciclo cellulare e durano pochissimi minuti
perché nel ciclo cellulare ci sono fasi che avvengono rapidamente in sequenza.
Le proteine vengono degradate tramite destinazione al
proteasoma che è un complesso proteico fatto sia da
proteine di struttura sia da proteine con funzione catalitica.
Ci sono proteine che aprono e chiudono un’apertura per
permettere alle proteine da demolire di introdursi nella
cavità dove la proteina sarà distrutta tramite idrolisi del
legame peptidico, operata da quelle che sono le subunità
catalitiche a e b. Queste proteine si trovano una sull’altra a
formare un cilindro dentro il quale avviene la catalisi in
ambiente isolato dall’ambiente esterno. Le proteine, una
volta idrolizzate, liberano gli amminoacidi, che sono
rilasciati nel citoplasma dove verranno utilizzati per la sintesi di altre proteine.
Il segnale che indica che una
proteina deve essere degradata e
dato dall’ubiquitina, tramite il
processo di aggiunta di ubiquitina.
Si tratta di un processo molto
laborioso durante il quale alla
proteina sono aggiunti numerosi
residui di ubiquitina, consumando
energia. La proteina è quindi
modificata per aggiunta di queste
molecole e alla fine è destinata al
proteasoma. Alcune proteine che
devono essere degradate non hanno aggiunta di ubiquitina ma ancora non se ne
conosce il motivo.

CICLO CELLULARE

La meiosi avviene nell’uomo a


livello delle gonadi, che portano
alla formazione di gameti,
cellule specializzate nella
riproduzione. La meiosi porta
alla formazione di cellule aploidi
che hanno metà del contenuto
cromosomico e vengono usate
per produrre nuovi individui. I
gameti sono le cellule sessuali
maschili (spermatozoi) e
femminili (cellule uovo).
L’unione dei 2 gameti porta a
una nuova cellula che si chiama
zigote e che ha un numero
diploide di cromosomi,
composto da coppie di
cromosomi omologhi. Prima
della divisione cellulare il DNA
deve duplicarsi, quindi da un’unica molecola di DNA si ottiene un DNA dicromatidico,
fatto da due cromatidi che si divideranno durante la mitosi o durante la meiosi.
Questo momento della duplicazione fa parte di una fase del ciclo cellulare che non è altro
che il susseguirsi delle fasi di vita della cellula.
Una volta che la cellula si è originata, questa è indifferenziata e, anche se nel genotipo
ha le informazioni per differenziarsi, questa rimane indifferenziata finché non ha
raggiunto le dimensioni adulte. Prendendo in considerazione due cellule tissutali figlie,
derivanti da una divisione cellulare, una cellula delle due si differenzia e l’altra cellula
invece no, formando una cellula staminale del tessuto considerato. In realtà sono pochi i
tessuti che hanno cellule staminali e che possono produrre cellule dello stesso tipo, ciò
dipende dal tipo di ciclo cellulare.
La prima fase del ciclo è la fase di crescita e differenziamento detta G1 (“gap” o “growth”),
durante la quale la cellula aumenta di dimensioni, diventa adulta, si differenzia.
Alla fine della fase G1, c’è un primo punto di controllo dove ci sono proteine che
determinano il futuro della cellula. Perciò, una cellula in fondo alla fase G1 può continuare
il suo ciclo oppure andare in fase G0 e non riprodursi più. Queste sono le cellule perenni
come i neuroni, che una volta diventate adulte non possono più rigenerarsi (se subiscono
un danno, non sono più riparabili).
La cellula uscita da G1 e finita in G0 può restare così per sempre se non ha stimoli, oppure,
se opportunamente stimolata, può riprendere a riprodursi; ciò, per esempio, avviene
negli epatociti (cellule del fegato), che si riproducono fino a che l’organo non ha
dimensioni adeguate. Tra individui che hanno sulle loro cellule proteine compatibili si
possono portare avanti trapianti di fegato cedendo un lobo del fegato, che non rimane
piccolo perché le cellule epatiche riprendono a riprodursi, generando un organo di
forme normali e con funzionamento corretto. Queste cellule sono dette stabili e quindi
escono dal ciclo, non si accrescono più ma se stimolate possono riprendere a duplicarsi.
Si hanno poi le cellule labili, tipo le cellule degli epiteli, che continuamente si
rigenerano; in queste cellule, conclusa la fase G1, c’è il punto di controllo e poi si entra
nella fase S (fase di duplicazione) e il DNA è duplicato, quindi la cellula sarà sicuramente
destinata alla divisione.
Completata la fase S, c’è un secondo punto di controllo che controlla che il DNA non
abbia rotture e che ci siano le proteine di riparazione di eventuali danni. Si entra così nella
fase G2, dove sono prodotte tutte le proteine per la fase di divisione cellulare.
Alla fine della fase G2 si ha un’altra fase di controllo che verifica che ci siano le proteine
adeguate per la divisione (come le proteine che serviranno per formare il fuso mitotico
dai centri di organizzazione dei microtubuli).
Dopo la fase G2 si entra nella fase M (mitosi) perché a questo punto la cellula ha un DNA
duplicato, che si spiralizza, formando cromosomi dicromatidici (i due cromatidi sono
frutto della duplicazione del DNA).
La direzione del ciclo cellulare è unica.
Tutti gli eventi del ciclo cellulare sono regolati da proteine dette cicline e ogni ciclina è
prodotta all’inizio di ognuna delle fasi. Il fattore che promuove la mitosi è l’MDS (fattore
promuovente mitosi) e questo fattore è costituito da ciclina, che deve essere legata a una
proteina che ha azione catalitica, capace di aggiungere gruppo fosfato (chinasi) al fine di
attivare la ciclina. CPK è la chinasi ciclina dipendente.
Una volta che l’associazione tra CPK e ciclica è avvenuta, si attiva la funzione enzimatica
della proteina e sono aggiunti gruppi fosfato dalla chinasi che fosforila una serie di
proteine favorendo le fasi della mitosi (come avviene ad esempio per la degradazione
della membrana (fosforilazione lamine) che favorisce la formazione del fuso mitotico).
Esistono diverse CPK e ognuna dipende dalla specifica ciclina prodotta in una fase
specifica del ciclo.
Materia e lezione Biologia lezione 20

Data 29/11/2021

Professore Modesti

Coppia Anna Gorino/Letizia Baldini

REGOLAZIONE DEL CICLO CELLULARE


Abbiamo cominciato a vedere nell’ultima lezione, accennato alla regolazione del ciclo cellulare, cosa
significa ciclo cellulare: quell’arco di tempo della vita della cellula; e abbiamo visto soprattutto che
quello che è importante è la regolazione del ciclo cellulare che fa si che le cellule, innanzitutto
vengano suddivise in base al fatto che possono continuamente riprodursi, e quindi andare incontro
a duplicazione del DNA per raddoppiare il contenuto genetico in modo che questo venga poi
distribuito alle cellule figlie. Quando una cellula si duplica, cioè quando una cellula duplica il suo
materiale genetico è destinata per forza alla divisione perché non può contenere un quantitativo
doppio di molecole di DNA e quindi o va incontro a divisione cellulare o va incontro a degradazione.
Esistono sistemi di regolazione: chi è che regola il passaggio o comunque la presenza in una
determinata fase? Ovviamente sono delle proteine che regolano dei fattori di regolazione, del
tempo, anche della durata di queste fasi, le abbiamo chiamate cicline. Le cicline vengono prodotte
in modo che si abbia una massima quantità di produzione della ciclina quando si deve entrare nella
fase che queste regolano. Non agiscono da sole, cioè la regolazione non avviene ad opera di una
singola ciclina, ma si deve associare alle cinasi, proteine enzimatiche che fosforilano. La regolazione
delle varie fasi avviene solo nel momento in cui si forma il complesso ciclino-cinasi.
In questo caso vediamo il picco del livello della
ciclina B che si lega con la Cdk1, la cinasi che in
associazione con la ciclina B regola l’ingresso in
mitosi della cellula cioè quando si è duplicata la
molecola del DNA.
Nel caso di quello che è il fattore che promuove la mitosi.
I partecipanti\gli
“attori” sono la Ciclina
B e la Cdk1, che è la
cinasi cioè la proteina
che
ha un'azione catalitica
di aggiungere il
gruppo fosfato. La
Cdk1 si associa con la
ciclina, quindi viene
espressa la proteina
ciclina che va ad
associarsi al Cdk. Però
il complesso che si è
formato non è attivo,
cioè non esercita
l'azione che deve
svolgere, ovvero di
regolare e abbiamo
visto che cosa fa
questa cinasi: fosforila una serie di proteine, tra cui per esempio anche le lamine della lamina
nucleare che una volta fosforilate vengono degradate. Infatti, anche la membrana nucleare viene
degradata all’inizio della mitosi e avviene per opera della fosforilazione svolta da questo complesso
attivo. In questo momento però ancora non è attivo, quindi che cosa avviene?
Avviene una fosforilazione per opera di alcune cinasi specifiche, sono tre i residui che vengono
fosforilati. Un residuo che è una treonina 161, che è quella che deve restare fosforilata perché il
complesso sia attivo, e contemporaneamente vengono fosforilati altri due residui sempre dalla
Cdk1. Quindi questo è un esempio di come la fosforilazione abbia sia un'azione che promuove la
funzionalità di un enzima che una funzione che la inibisce. Perché è vero che la fosforilazione sulla
treonina 161 è quella attivatoria ma contemporaneamente la fosforilazione dei residui di treonina
14 e tirosina 15 (i numeri indicano la posizione dell’aminoacido nella sequenza primaria della
proteina), non permette l’attivazione del complesso.
Quindi questa tripla fosforilazione su questi tre residui specifici, fa sì che il complesso sia fosforilato
ma ancora inattivo cioè sono dei meccanismi che regolano l'attività della proteina, del complesso
stesso. A questo punto interviene una fosfatasi, una proteina che defosforila, e siccome sappiamo
che gli enzimi sono tutti altamente specifici questa defosforila in modo specifico la tirosina 15 e la
treonina 14 che sono quelle inibitorie (cioè che quando sono fosforilate inibiscono l'attività) . Questo
Cdc25 è una fosfatasi che defosforila moltissime altre proteine fosforilate ed è una proteina che
regola moltissimi altri processi, tra cui questo.
Quindi, avviene la defosforilazione, per opera di questa fosfatasi, e si ha il complesso attivo che va
a svolgere quelle funzioni che abbiamo visto. A questo punto la cellula entri in mitosi. Una volta che
ha svolto la sua funzione, per prima cosa viene degradata la ciclina; quindi, viene eliminato uno dei
due componenti, ma la CdK resta fosforilata su quella treonina 161 ma è inattiva perché non è più
legata alla ciclina. A questo punto funziona una fosfatasi un po’ più generica e si ha la
defosforilazione ma la proteina, la CdK 1, è già inattiva e come vediamo nel disegno, Cdk1 non viene
degradata. Infatti, la quantità della proteina Cdk1 è costante nel nucleo della cellula per tutto il
periodo della sua vita. Ma diventa attiva solo quando viene prodotta la ciclina, per questo si
chiamano cinasi ciclino-dipendenti, perché sono presenti come proteine ma sono inattive.
Vediamo che gli eventi della regolazione di questo complesso sono tanti, per prima cosa devono
essere presenti tutte e due le proteine, devono essere presenti le cinasi che fosforilano tutti i
residui che abbiamo visto, deve essere presente la fosfatasi Cdc25 che defosforila due residui
inibitori (fosforilati) e dopodiché può avvenire l'azione.
Quindi sono eventi altamente regolati.

In questa tabella vediamo quali sono le cicline


che regolano le varie fasi del ciclo cellulare e le
Cdk a cui queste si associano. Vediamo che
esiste la stessa cinasi ciclino-dipendente che
regola sia l'ingresso in fase S, che in fase G2.
Quindi, quello che regola tutto quanto è sì l'espressione delle cicline che attivano le cinasi ma anche
delle cinasi e delle fosfatasi che regolano la fosforilazione e la defosforilazione delle Cdk. Quindi
sono eventi che regolano la riproduzione o meno delle cellule, tutti i momenti di vita cellulari. Qui
vediamo (immagine sopra a dx) come si alternano le cicline durante le varie fasi del ciclo cellulare.
Abbiamo detto quali sono le cicline, le cinasi a cui si associano, abbiamo detto che la progressione
del ciclo va dall'uscita della mitosi, fase G1, fase S, fase G2 e di nuovo ingresso in mitosi.

CICLO CELLULARE E PUNTI DI CONTROLLO


Quindi riguardando il ciclo cellulare, possiamo dire innanzitutto che il ciclo va unicamente in una
direzione (quella che abbiamo detto ora) e che esistono diversi punti di controllo, che controllano
che cosa?
Il primo punto alla fine della fase G1: controlla che la cellula sia diventata una cellula adulta, che
sia correttamente differenziata, che abbia prodotto le
proteine che fanno sì che abbia quella forma, che
possa andare a svolgere quella funzione ed
eventualmente far sì che entri in fase S se è una cellula
labile, che entri in fase S solo se stimolata se è una
cellula stabile ( vi ricordate, avevamo visto queste
differenze proprio in fondo alla fase G1 ) oppure esca
dal ciclo e vada in G0 se è una cellula perenne.
Se è una cellula di quelle labili entra nella fase S, dopo
aver oltrepassato quei sistemi di regolazione (di
controllo\di quel checkpoint\di quel punto di
restrizione) tra la fine della fase G1 e la S, a questo
punto avviene la duplicazione del DNA.
Qui c’è un controllo durante la fase S: che è dovuto
un po’ anche alla DNA polimerasi, che controlla che
non si siano verificate mutazioni puntiformi che
alterino troppo la struttura del DNA, cioè le
dimensioni e la distanza tra i due filamenti, ed
eventualmente la correzione di questi errori e dopodiché vi sarà l’ingresso in fase G2.
Alla fine della fase G2, subito prima del controllo della formazione del fattore di inizio che promuove
la mitosi, c'è un altro controllo alla fine della fase G2 per vedere se le proteine che sono state
prodotte siano quelle che poi serviranno a quella che è la mitosi.
MITOSI E MEIOSI:
differenze
Quali sono le differenze
sostanziali fra questi due tipi di
divisione cellulare?
Partendo da quella che è una
cellula diploide, quella che qui si
trova al centro, che viene
chiamata cellula madre, che è la
cellula diploide (con coppie di
cromosomi, 22 coppie di
cromosomi omologhi o autosomi
e una coppia di cromosomi
sessuali). Questa cellula può
andare, in base al tipo di cellula,
verso uno dei due tipi di divisione
cellulare: quella sinistra è quella più “semplice”, per cui dalla cellula diploide madre si ottengono
due cellule diploidi identiche (come la cellula parentale, cioè la cellula che le ha originate). È ovvio
che se si devono formare due cellule identiche alla cellula parentale, è necessario che il DNA si
duplichi, in fase S la cellula duplica il materiale genetico: i cromosomi diverranno dicromatidici cioè
formati da due cromatidi fratelli perché sono fatti da DNA identico e quindi entrerà in mitosi.
Avete visto le fasi della mitosi: Profase, Metafase, Anafase, Telofase e Citodieresi.
Durante la profase si evidenziano i cromosomi cioè la cromatina si compatta, si ha il massimo grado
di compattazione e si vedono i cromosomi formati appunto dai due cromatidi e quindi a questo
punto la cellula va in metafase. Dopo che si sono evidenziati i cromosomi, che la membrana nucleare
si è degradata per azione anche della fosforilazione, da parte di quel complesso che abbiamo visto:
la fosforilazione delle lamine, si ha la metafase. Abbiamo visto che da quelli che sono il centro di
organizzazione dei microtubuli, si formano le fibre del fuso mitotico, che sono microtubuli, vanno
ad ancorare i cromosomi e li distribuiscono lungo quella che viene chiamata piastra metafisica. A
questo punto si arriva alla fase successiva, l’anafase. I microtubuli si accorciano, staccano i due
cromatidi fratelli e si vengono a formare le due cellule figlie, ognuna contenente il numero di
cromosomi di quella specie.

La meiosi è formata da due fasi successive, meiosi I e meiosi II e tra le due fasi non si ha duplicazione
del DNA, al termine della meiosi I si hanno due cellule che contengono metà del contenuto
cromosomico, contengono un cromosoma sempre formato da due cromatidi però questi cromatidi
si sono mescolati e quindi sono cromosomi ricombinanti. Un cromosoma va in una cellula e uno
nell'altra, vuol dire che alla fine della meiosi I i cromosomi che si separano non sono più due
omologhi ma sono ricombinanti. Le cellule che si formano sono cellule aploidi anche se contengono
cromosomi dicromatidici, queste cellule vanno incontro a una successiva divisione, cioè si separano
i cromatidi che formano il cromosoma che queste cellule contengono. Quindi le cellule che si
vengono a formare sono quattro e contengono una quantità di DNA che è la metà rispetto a quella
della cellula parentale.
Che cosa avviene di importante? [MITOSI I] In profase i cromosomi omologhi si legano, si formano
tra i cromatidi non fratelli, cioè tra cromatidi omologhi, dei legami covalenti veri e propri, si formano
quelle che vengono chiamate tetradi, costituite dall’appaiamento dei due cromosomi omologhi. Per
cui quando nella metafase, una fase simile a quella della mitosi, queste tetradi vengono orientate
longitudinalmente, sono tutti e quattro i cromatidi che si muovono contemporaneamente. Anche
qui nell’anafase si accorceranno i microtubuli, quindi si separeranno i cromosomi che erano legati
tra di loro, portando ogni cromosoma (parte del cromosoma omologo) nelle due direzioni. È qui che
inizia quella che è la variabilità genetica, il rimescolamento dei geni nei cromosomi che costituivano
quella cellula. In questa figura (alla pagina precedente) vediamo che, in quelle che vengono
chiamate metafase I e telofase I, i cromosomi hanno colori mescolati e infatti qua si è avuto un
mescolamento genico. Nella MITOSI II, che non è altro che una semplice “mitosi”, questi cromosomi
ricombinanti vengono disposti sulla piastra metafisica dai microtubuli delle fibre del fuso mitotico
delle due cellule che si sono formate dalla meiosi I. Quindi si formano due cellule distinte che subito
vanno incontro alla meiosi II, che possiamo considerare una specie di mitosi, le cui cellule madre
contengono metà del contenuto di cromosomi. Si vengono ad originare, da ognuna di queste due
cellule, delle cellule aploidi cioè che hanno metà delle quantità di DNA e avranno un solo cromatidio
per ogni cromosoma. Questa divisione cellulare è alla base di quella che è la riproduzione sessuata,
dato che questo evento di meiosi porta alla formazione di cellule specializzate che serviranno per la
riproduzione sessuata. Queste cellule che hanno metà del contenuto di cromosomi si potranno
fondere: la cellula uovo con lo spermatozoo, cioè cellule di individui diversi, per dare un nuovo
individuo che avrà nuovamente il numero dei cromosomi di quella specie.
In questa figura (sopra), vediamo che le cellule somatiche
sono cellule diploidi, cioè hanno un numero di cromosomi
che è formato da coppie di cromosomi. Da dove derivano
queste coppie? Dalla fusione dei gameti in organi specializzati
degli individui che si riproducono per via sessuata. Questi
organi, si chiamano gonadi. In questi organi specializzati si
vengono a formare, per eventi di meiosi, la cellula uovo e lo
spermatozoo: le cellule aploidi che saranno importanti per
formare il nuovo individuo.
In queste gonadi avviene la meiosi che viene anche chiamata
gametogenesi. Quindi, vengono a formarsi questi gameti
aploidi con un solo cromosoma per ogni coppia, la fusione,
che viene chiamata fecondazione, darà luogo a quello che è
lo zigote cioè la nuova cellula diploide che per cicli di mitosi si
riprodurrà e andrà a formare gli individui pluricellulari. Però il processo del differenziamento fa sì
che nelle gonadi si vengano a formare cellule che saranno sempre diploidi, che saranno quelle da
cui poi inizierà la meiosi specifica: la gametogenesi, per portare a queste cellule specializzate.

Non solo gli organismi pluricellulari fanno questo, quindi tutti gli eucarioti pluricellulari, ma per
esempio anche i lieviti che sono sempre organismi eucariotici ma unicellulari che normalmente si
riproducono per mitosi. Il ciclo cellulare che oggi noi conosciamo, nelle cellule eucariotiche dei
mammiferi, è stato studiato per la prima volta proprio in questi organismi unicellulari. Quindi anche
nei lieviti avvengono processi di mitosi. Quando l'ambiente circostante, nel caso degli organismi
unicellulari, è sfavorevole queste cellule cominciano a formare i gameti che si differenziano tra
gamete maschile e gamete femminile, anche se non c'è questo tipo di “maschi e femmine” ma di
sesso sì, vengono chiamati con altri nomi, e quando appunto i gameti poi si incontreranno si
formeranno nuovi individui. Perché durante la meiosi sia ha un mescolamento? Un po’ l’abbiamo
visto, in quella che è la profase I, si ha lo scambio di materiale genetico ma anche i cromosomi
omologhi quando le tetradi si dispongono lungo la piastra metafasica possono orientarsi in modi
diversi. Sono 23 le coppie dei cromosomi che effettuano il crossing-over, anche nel caso dei
cromosomi sessuali, e questi possono orientarsi cioè disporsi lungo la piastra in modo differente;
quindi, anche qui i cromosomi verranno separati in modo casuale perché sono 23 coppie, 23 tetradi,
che si dispongono lungo questa piastra metafisica e anche qua appunto l'orientamento casuale di
ognuna di queste 23 tetradi, il mescolamento genico e quindi la variabilità genetica è notevolmente
amplificata.

Quindi diciamo che la riproduzione sessuata è sì un evento che comporta un notevole dispendio
energetico, rischi di alterazioni del numero dei cromosomi, ma porta anche a quella che è la
variabilità genetica che favorisce l'evoluzione e quindi l'aumento della resistenza anche a fattori
esterni negativi; cosa che non avviene nel caso della riproduzione asessuata. Lo avevamo accennato
anche quando avevamo parlato dei batteri, dicendo che quelli che possiedono quel pilo, possono
far passare materiale genetico alle altre cellule; in questi casi si può avere un miglioramento
genetico di quei batteri, perché possono sopravvivere in condizioni poco favorevoli.

GAMETOGENESI: spermatogenesi ed oogenesi


Andiamo a vedere quella che è la gametogenesi cioè la formazione dei gameti a livello cellulare nelle
gonadi maschili che sono i testicoli e gonadi femminili che sono le ovaie. Sono doppi in tutti e due
gli individui, di sesso maschile e di sesso femminile, e all'interno di questi organi avvengono cicli di
meiosi.
In questa figura così subito all'apparenza vediamo che
tra spermatogenesi, cioè formazione di spermatozoi,
ed oogenesi, da un punto di vista macroscopico, ci
sono delle differenze. Anche se sono tutti e due eventi
di meiosi, possiamo dire che la spermatogenesi parte
da cellule diploidi, che sono gli spermatogoni, e
attraverso cicli di meiosi (meiosi I e meiosi II) arriva alla
formazione di quattro cellule aploidi che poi
maturano. Si chiama spermioistogenesi la formazione
della cellula completa, quando assume la sua forma
per svolgere la sua funzione. Si formano quattro
cellule aploidi, quindi una meiosi. Nella cellula uovo,
la cellula funzionale, si trova la maggior parte del
contenuto citoplasmatico, tutti gli organelli (cosa che
non avviene nello spermatozoo). Lo spermatozoo, lo
avevamo già detto, l'avevamo visto come cellula
altamente specializzata che porta esclusivamente
contenuto genetico\ materiale genetico e una
vescicola che è ricca di enzimi litici, che serve ad
attraversare la membrana della cellula uovo. Tutti gli organelli che serviranno alla nuova cellula sono
contenuti nella cellula uovo. Lo avevamo visto anche quando, parlando dei mitocondri, avevamo
detto che il mitocondrio viene ereditato per via materna, cioè dalla cellula uovo. Infatti, la cellula
uovo che si forma è di grosse dimensioni ed è UNA sola. Una sola cellula funzionante\funzionale.
Anche se avviene anche qua una meiosi I, si formano due cellule, con tutti gli eventi che avvengono
durante la meiosi I però il citoplasma della cellula che si suddivide finisce in una sola delle due. L’altra
contiene solo materiale genetico, dopo la divisione meiotica, e viene chiamato globulo polare, primo
globulo polare.

Alcuni dicono che il globulo polare va incontro anche lui alla meiosi II, altri dicono che si degrada;
comunque sia, che vada incontro e quindi generi altri due globali polari o che si degradi subito, non
è funzionante.

Invece la cellula che deriva dalla meiosi I, entra in meiosi II e forma anch'essa un piccolo globulo
polare, perché il citoplasma finisce di nuovo nella cellula aploide che si viene a formare al termine
della meiosi II ed è questa la cellula che eventualmente verrà fecondata.

SPERMATOGENESI
Quindi cominciamo a vedere quella che
è la spermatogenesi: c'è una prima fase
mitotica per cui lo spermatogonio che si
trova nelle gonadi maschili e vedremo
(senza andare troppo dentro
all'istologia) dove si trova questa cellula
diploide che andrà incontro a mitosi
successive per formare altre cellule
diploidi che eventualmente, non tutte
però, potranno andare incontro alla
meiosi.
Poi c'è la fase meiotica dopodiché la
spermioistogenesi, che è la maturazione
della cellula aploide che si è venuta a
formare in modo che abbia quella forma
che abbiamo visto: con il flagello, col
grosso mitocondrio che serve a fornire
energia al flagello perché possa
muoversi, la testa che contiene
materiale genetico e quell’acrosoma che serve per poter entrare nella cellula uovo.

Gli spermatogoni sono le cellule diploidi che vanno incontro a divisione meiotica. Gli spermatogoni
negli individui di sesso maschile sono presenti alla nascita nelle gonadi, non sono di un alto numero
diciamo, e vanno incontro a divisione mitotica, questi vengono chiamati spermatogoni di tipo A.
All’inizio di quella che è la pubertà, verso i 10 anni, queste cellule si duplicano per mitosi ma ancora
non sono mature (nella fase prepuberale aumentano di numero ma non sono ancora attive per
andare incontro al processo della spermatogenesi). Nella pubertà per l’azione di stimoli ormonali
vengono prodotte le gonadotropine, degli ormoni prodotti dall’ipofisi e sotto azione dell'ipotalamo
e di altre proteine. Dato che le gonadotropine sono ormoni di natura proteica, vengono rilasciate le
proteine di secrezione in circolo e le gonadotropine vanno ad agire a livello delle gonadi. A livello
delle gonadi, queste gonadotropine stimolano alcuni (non tutti) di questi spermatogoni ad iniziare
la maturazione e a diventare quelli che sono gli spermatogoni di tipo B.

Quindi è ovvio che la maturazione e quindi l'inizio del processo della spermatogenesi è sotto l'azione
di ormoni proteici che agiscono a livello di cellule specializzate nelle gonadi (nei testicoli, in questo
caso) a produrre invece ormoni di natura lipidica: il testosterone, è un ormone che abbiamo visto
essere un derivato del colesterolo. (Il testosterone) Prodotto da queste cellule, agisce favorendo
l'inizio di quella che è la spermatogenesi, un evento che avviene nelle fasi successive ma è piuttosto
semplice, nel senso che a questo punto quelli che vengono chiamati spermatogoni di tipo B che sono
quelli specializzati, commissionati come si dice in termine, inizieranno il processo di divisione
meiotica.
Quindi all'inizio, nella fase mitotica, quelli che sono gli spermatogoni si duplicano e continuano a
duplicarsi per tutto l'arco di vita dell'individuo. Sotto l'azione di quelle che sono le gonadotropine,
alcuni di questi che sono chiamati spermatogoni tipo B, iniziano il processo della meiosi. Sotto
l'azione delle gonadotropine che fanno sì che alcune cellule, che si trovano nelle gonadi maschili,
producano l'ormone testosterone di natura lipidica che favorisce proprio l'evento della meiosi.
La cosa interessante è che lo spermatogonio che va incontro a quella che è la meiosi I (la prima fase
della meiosi) e che genera quelli che si chiamano spermatociti primari, sono cellule che restano
collegate tra di loro. Vi ricordate quelle giunzioni comunicanti che si vengono a formare per esempio
a livello delle cellule che ricoprono la membrana intestinale? Noi avevamo detto che esistono delle
giunzioni comunicanti che pur mantenendo le membrane delle cellule separate collegano il
citoplasma, avviene anche in questo caso. Perché in questo modo lo stimolo che avviene su una sola
delle cellule può essere propagato a tutte e due le cellule che si sono formate dopo la prima divisione
meiotica, cioè la formazione di quelli che sono gli spermatociti primari.
Gli spermatociti primari, collegati, vanno incontro alla meiosi II che porta alla formazione di quelle
che sono le cellule aploidi e gli spermatociti secondari, restano tutti sempre collegati tra di loro, fino
a che gli spermatociti secondari vanno incontro alla seconda divisione meiotica e per ognuna delle
due si formano quattro cellule aploidi e quindi si vengono a formare quelli che non sono ancora
spermatozoi e che vengono chiamati spermatidi, tutti collegati tra di loro.
Quindi le prime cellule vanno incontro a mitosi, che porta alla formazione di due cellule collegate
che successivamente entrano in meiosi. Le quattro cellule degli spermatociti secondari ancora
collegati poi vanno incontro a meiosi II e si formeranno quelli che sono gli spermatidi aploidi (ancora
non con la forma finale completa e funzionale). Rimangono questi corpi residui, cioè praticamente
restano le membrane con gli organelli che erano contenuti nelle cellule e che sono andati incontro
a divisione, e gli spermatozoi sono liberi di poter andare a svolgere la loro funzione.

È interessante il fatto che le cellule restino sempre in collegamento tra di loro anche quando
cominciano la mitosi, quindi quando cominciano a diventare spermatogoni di tipo B commissionati.
Essi sono legati tra di loro attraverso i ponti delle giunzioni comunicanti, in modo che gli eventi di
maturazione avvengano contemporaneamente nelle due cellule.
(Ovviamente non saranno due cellule sole che vanno incontro a meiosi
ma contemporaneamente un grande numero di cellule che restano
tutte associate in modo che gli eventi avvengano contemporaneamente
in tutte le cellule che stanno maturando e che si stanno formando.)
Quindi, a questo punto, si ha la fase finale che è quella che darà luogo
alla cellula completa e che può andare a svolgere la funzione perché
presenta il lungo flagello con il mitocondrio che produce energia, che è
limitato a quella porzione che è chiamata collo (il tratto intermedio), la
testa che contiene il nucleo e poi quella vescicola, che è chiamata
acrosoma, che contiene all'interno gli enzimi litici che serviranno per
aprire il varco nella membrana della cellula uovo.
Il DNA contenuto nel nucleo di queste cellule (spermatozoi) è legato a
delle proteine che non sono più gli istoni ma sono delle proteine molto
più basiche degli istoni, che si chiamano protammine e permettono una maggiore condensazione
del DNA contenuto nella testa dello spermatozoo.

Dove avviene la spermatogenesi?


All'interno di quelli che sono i tubuli
seminiferi, che si trovano nelle gonadi
maschili.
Quindi, nelle gonadi maschili sono
presenti delle strutture tubulari che
sono formate da una parete e poi uno
strato di cellule che arriva verso
l'interno, un lume (sono cavi all'interno)
all'interno del quale si riversano gli
spermatozoi maturi.

Vuol dire che, come vediamo nel disegno


a destra, gli spermatogoni (che vanno
incontro a divisione mitotica) si trovano
verso la parete di quello che è il tubulo,
sempre in questo strato di cellule. L'evento di meiosi avviene in direzione dell’interno del tubulo,
quindi via via gli spermatogoni maturano, vanno incontro prima a mitosi poi a meiosi (quelli che
sono gli spermatogoni di tipo A), che portano alla formazione di quelli che sono gli spermatidi, e poi
a maturazione dello spermatozoo maturo che verrà riversato nel tubulo.
Gli spermatogoni sono inseriti in un tessuto, dove si trovano altri due tipi di cellule: le cellule del
Sèrtoli o del Sertòli e le cellule di Leydig.

Le cellule del Sertoli, forse qui lo vediamo (immagine sotto a sx), hanno funzione di sostegno delle
cellule in maturazione: indirizzano e mantengono gli spermatogoni, gli spermatociti e gli
spermatozoi maturi, inducendo il loro orientamento (li dirigono) in quella direzione. Le cellule di
Leydig, producono gli ormoni di
natura steroidea.
In questo disegno ancora più schematico (immagine sopra a dx) vediamo come sono distribuite le
cellule in quello che è il tubulo seminifero. Gli spermatogoni da maturare si trovano verso la parete
del tubulo, il processo è diretto verso il lume del tubulo stesso e le cellule di sostegno, le cellule del
Sertoli, hanno la funzione di indirizzare questi spermatozoi verso il lume (la maturazione degli
spermatozoi verso il lume). Le cellule di Leydig, sono cellule che producono gli ormoni sessuali
maschili sotto l’azione delle gonadotropine. Il testosterone favorisce la maturazione e la formazione
degli spermatozoi.

Come avviene la regolazione ormonale della spermatogenesi?

Inizia con la pubertà, quindi con il momento in cui a


livello dell'ipotalamo avviene la produzione di un
ormone di natura proteica che si chiama
gonadotropin- releasing hormone (GnRH), l'ormone
di rilascio delle gonadotropine.
È una proteina ormonale che viene secreta (quindi
sarà prodotta nel reticolo, arriverà al Golgi, migrerà
con le vescicole e verrà secreta).
Quindi, perché le cellule possano recepire il
messaggio, devono essere presenti recettori
specifici sulle membrane, che si trovano sulle cellule
dell’ipofisi.
L'ipotalamo è la ghiandola che contiene cellule che
producono questi fattori di rilascio delle
gonadotropine che a livello dell'ipofisi (suddivisa in
due parti) indurrà la produzione degli ormoni.
Questo processo avviene per la presenza di
recettori per questi fattori di rilascio,
(gonadotropin-releasing hormone).
L'ipofisi produce le gonadotropine che sono
l'ormone luteinizzante e follicolostimolante questi
nomi ci richiamano un altro tipo di meiosi che è
l’oogenesi, (il follicolo e il corpo luteo li ritroveremo a livello dell’oogenesi), però gli ormoni sono gli
stessi)
Quindi queste due gonadotropine: follicolostimolante e luteinizzante, sono ormoni di natura
proteica che hanno un effetto opposto e che vengono prodotti appunto dall’ipofisi sotto l'azione
dell'ipotalamo.
Queste proteine vengono liberate nella circolazione sanguigna e vanno ad agire sulle cellule di
Leydig: l'ormone luteinizzante (LH), lo vediamo nel disegno in verde, va ad agire a livello delle cellule
di Leydig, sulle quali è presente un recettore specifico che riconosce questo tipo di proteina, che
inizieranno a produrre testosterone, favorendo la maturazione degli spermatozoi. (Questo ormone
lo avevamo già visto quando avevamo parlato degli ormoni di natura steroidea e degli ormoni
sessuali che favoriscono lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, quindi tutte quelle
caratteristiche tipiche degli individui di sesso biologico maschile.)
Il testosterone, ormone di natura lipidica, quando aumenta la sua concentrazione nel sangue va ad
inibire (è quello che si vede con le frecce rosse) l'azione centrale di liberazione degli ormoni
stimolanti e attiva la liberazione di quello che è l'ormone FSH follicolostimolante, che ha la funzione
di inibire la produzione di testosterone. Quindi si ha quella inibizione (viene detta feedback) per cui
il prodotto della stimolazione di un ormone, quando aumenta la sua concentrazione nel sangue,
inibisce la liberazione dell'ormone stimolante.
Questo è anche per dire che spesso quando viene assunto, ovviamente se non ci sono delle
patologie, testosterone dall'esterno fa sì che aumenti la sua concentrazione nel sangue e che abbia
un'azione di inibizione della spermatogenesi. Un’inibizione a livello centrale, perché inibisce la
secrezione degli ormoni che stimolano le cellule specializzate a produrlo.
Ovviamente ci sono molti altri fattori che regolano questo evento di spermatogenesi, tra cui la
produzione da parte delle cellule del Sertoli, anche loro sotto l'azione degli ormoni (delle
gonadotropine). Le cellule del Sertoli sono sensibili all'ormone follicolostimolante FSH, vuol dire che
sulla loro membrane contengono i recettori che riconoscono la proteina ormonale. Gli ormoni di
natura proteica, per svolgere la propria funzione, hanno bisogno di recettori specifici: proteine che
si trovano sulle membrane, che riconoscono l'ormone di natura proteica. Quindi le cellule bersaglio
dell’ormone follicolostimolante sono le cellule del Sertoli.

Cosa fanno queste cellule del Sertoli?


Producono un'altra proteina, che viene chiamata inibina, che appunto inibisce l’azione sull’ipofisi
delle cellule che producono l’ormone follicolostimolante.
Anche in questo caso, i recettori per le inibine, si trovano a livello delle cellule che producono
l'ormone FSH quindi delle cellule dell’ipofisi, che sono specializzate nella produzione di questo
ormone. Quindi è una regolazione centrale, che avviene a livello del sistema nervoso centrale di
quelle che sono le ghiandole che producono gli ormoni e i regolatori.
Per cui l'ipotalamo produce il gonadotropin-releasing hormone: proteine che interagiscono con i
recettori sulle cellule bersaglio (cellule dell’ipofisi) che iniziano a produrre gli ormoni LH,
luteinizzante ed FSH, follicolostimolante.
LH va ad agire a livello delle cellule di Leydig, che sono cellule secernenti, cioè che producono
ormoni. Agiscono su queste cellule perché sulle loro membrane si trovano i recettori che
riconoscono esclusivamente l'ormone luteinizzante. Si ha l'interazione tra l'ormone e il recettore, la
cellula di Leydig risponde producendo testosterone che favorisce l’evento finale che è la
maturazione degli spermatozoi.
Questo ormone però aumenta nella circolazione sanguigna e questo è il segnale che la stimolazione
deve essere rallentata, perché si è avuto l'effetto finale. Quindi, inibizione a feedback: il prodotto
finale, che poi è l'ormone, inibisce lo stimolo che ha causato la sua produzione.
L’ormone FSH che è un'altra gonadotropina che agisce sulle altre cellule che sono quelle del
Sertoli, che indirizzano nel giusto orientamento, cioè fanno sì che gli spermatozoi vengono riversati
nei tubuli seminiferi, e producono anche un'altra proteina che andrà ad inibire la stimolazione
centrale perché è avvenuto l'effetto, è avvenuta la risposta. Ovviamente quando diminuisce la
quantità del testosterone nella circolazione, questo sarà un segnale per cui riparte l'attivazione
centrale e quindi riprende lo stimolo alla produzione. Gli spermatozoi nell’ individuo adulto,
vengono prodotti dalla maturità sessuale e per tutto l'arco di vita dell'individuo stesso. (in condizioni
fisiologiche normali di salute, sotto l'azione di un corretto equilibrio della regolazione ormonale.)

OOGENESI
Che cosa avviene nel caso della oogenesi?

Innanzitutto, le cellule che poi porteranno


alla cellula uovo sono già tutte stabilite,
pronte e definite al momento della nascita
dell'individuo. Quindi tutti quegli eventi di
mitosi che avvenivano negli spermatogoni,
a livello dell’oogonio avvengono prima
della nascita dell'individuo. Quando si sono
differenziate le cellule, a partire dallo zigote
fino alla formazione dell'embrione e
successiva formazione delle gonadi prima
della nascita dell'individuo, all'interno delle
gonadi stesse si ha la mitosi che porta alla
duplicazione degli oogoni.
Gli oogoni abbiamo detto sono le cellule
diploidi che si dividono per mitosi e un
grosso numero di queste cominciano la
meiosi I che si ferma in profase I. (Però la
meiosi I è già iniziata, prima della nascita
dell'individuo) Quindi nelle gonadi di
individui di sesso femminile (sesso
biologico), si vengono a formare un certo
numero di oociti primari, bloccati in meiosi
I (formati prima della nascita dell’individuo)
e quindi si ha la nascita. Lo vediamo in questa figura, nella prima parte si vede che la cellula
(l’ovogonio) va incontro a mitosi, si viene a formare il l’oogonio maturo che viene chiamato oocita
che va incontro alla meiosi I prima della nascita dell'individuo e viene bloccato in profase I, quindi
quando si formano le tetradi.
Al momento della nascita l'individuo ha già il suo numero di oociti primari bloccati in meiosi I, in
profase I. Lì resteranno fino alla maturazione sessuale, raggiunta quando si iniziano a produrre gli
ormoni che regolano questo evento. Questi oociti bloccati in profase I, uno per volta termineranno
la meiosi I e verranno di nuovo bloccati, questa volta però in metafase II, quindi non termina
nemmeno la meiosi II, se non quando l’oocita secondario verrà fecondato. Solo l’oocita secondario
bloccato in meiosi II, se avviene la fecondazione, termina la meiosi II e formerà lo zigote.
Dove avviene l’oogenesi?
In quelle che sono le gonadi
femminili: le ovaie.
All’interno delle quali avviene
il ciclo ovarico, che può
essere suddiviso in tre fasi:
- fase follicolare: formazione
del follico;
- fase di deiscenza del
follicolo o ovulazione;
- fase luteinica: ormone
luteinizzante. (è qui che si
capisce meglio il nome e la
funzione di questo ormone,
che però è presente anche in
quelli che sono le gli individui
di sesso maschile)

Un follicolo (oocita secondario), che abbiamo detto essere bloccato (ce ne sono molti all'interno
della gonade femminile di questi oociti bloccati, tutti in profase I), sotto azione ormonale comincia
il ciclo ovarico. Per cui, l’oocita ha delle cellule circostanti che ne favoriscono la maturazione, le
cellule del follicolo. Esse sono uno strato di cellule specializzate, che circondano l’oocita, che sotto
l'azione dell'ormone follicolostimolante produce ormoni di natura steroidea, gli estrogeni. Quindi,
queste cellule del follicolo, sotto l'azione dell'ormone follicolostimolante, si riproducono per mitosi
e cominciano a produrre gli estrogeni che favoriscono il completamento di quella che è la meiosi I
e l'inizio della meiosi II dell’oocita secondario.

In questo periodo, che dura14-15 giorni, queste cellule aumentano di dimensioni e formano lo
strato di cellule del follicolo che produce estrogeni, che agiscono sull’oocita e vengono secreti nella
circolazione sanguigna (affinché anche loro agiscano su caratteri sessuali secondari), fino ad arrivare
alla maturazione di quello che è l’oocita secondario che viene bloccato in meiosi II. Quindi non è
terminata la meiosi II.
A questo punto il follicolo si apre, si ha quella che viene chiamata: deiscenza del follicolo o
ovulazione. Si rompe la parete dell'ovaio e fuoriesce l’oocita insieme alle cellule del follicolo. Nel
momento in cui si richiude la membrana\ la parete dell'ovaio, si forma una cicatrice. Le cellule che
sono rimaste, che rivestivano il follicolo, sotto l'azione dell'ormone luteinizzante cominciano a
riprodursi. Infatti, nel momento della deiscenza del follicolo, si ha il massimo della produzione degli
estrogeni che agiscono a livello dell'ipofisi, stimolando la produzione dell'ormone luteinizzante. Che
vuol dire sotto l'azione? Che sulle membrane delle cellule che formano il corpo luteo si trovano i
recettori specifici per l'ormone luteinizzante.

Cosa fanno queste cellule oltre a riprodursi e a formare il corpo luteo? (Luteo perché ha un colore
biancastro come le cellule che lo costituiscono)

Producono un altro ormone sempre di natura steroidea, il progesterone, che ha un'azione specifica.
Se non c'è più l’oocita c’è una probabilità che sia stato fecondato e, in tal caso, bisogna preparare lo
strato di cellule dove questo andrà ad annidarsi se venisse fecondato e a formarsi lo zigote.
Il progesterone favorisce l'ispessimento, la riproduzione, delle cellule che rivestono la membrana
uterina, portando ad un aumento dello spessore di questa membrana che risulterà essere un
ambiente favorevole per lo sviluppo dello zigote. Aumenta anche il contenuto e il numero dei vasi
sanguigni, in modo da portare nutrimento e ossigeno allo zigote e permettendo a tale cellula di
riprodursi, nutrirsi e andare a formare il nuovo individuo. (Se la cellula uovo viene fecondata)
Quindi per un determinato periodo di tempo queste cellule producono progesterone. Se la cellula
uovo non viene fecondata queste cellule si atrofizzano, perdendo la propria funzione. Vi sarà
un’interruzione della produzione di progesterone, che causerà la rottura della membrana ispessita
e la successiva eliminazione di questa sotto forma di mestruazione. Questo secondo periodo di
tempo dura circa 14 giorni, tutto il ciclo ovarico dura infatti 28-30 giorni.

Come avviene la regolazione ormonale del ciclo ovarico?

In modo molto simile alla regolazione della spermatogenesi. Però gli eventi sono un po’ più
complessi. La complessità è data dal fatto che c'è anche la mucosa uterina che deve essere
regolata\controllata. Deve essere regolata la riproduzione delle cellule, i cicli di mitosi; perché a
livello della mucosa uterina, l'eventuale cellula fecondata, dovrà andare a insediarsi e lì dovrà
trovare un terreno favorevole per la mitosi.

In questa figura, sono riportati sia il ciclo ovarico, cioè quello


che avviene a livello dell'ovaio, e quello che avviene a livello
della membrana uterina \della cavità\ delle cellule epiteliali
che rivestono l'utero.
Viene riportato tutto in funzione del tempo, nell'arco di
tempo di circa 28-30 giorni. Quindi il giorno 0 è l'inizio, si
comincia quando si ha la mestruazione cioè alla fine del ciclo
ovarico uterino precedente.
Si ha la produzione dell'ormone luteinizzante e del
follicolostimolante, anche loro sono sotto l'azione del
gonadotropin-releasing hormone rilasciato dalle cellule
dell'ipotalamo. Questa proteina agisce a livello dell’ipofisi,
stimola queste cellule a produrre sia l’ormone luteinizzante
che il follicolostimolante.
Il primo che ha azione è il luteinizzante perché va a stimolare
le cellule del follicolo a svilupparsi, cioè attiva la proliferazione
di queste cellule e stimola anche la produzione degli estrogeni
da parte delle cellule stesse, cioè sono cellule secernenti.
Gli estrogeni prodotti favoriscono la maturazione dell’oocita
bloccato in profase I, che termina la meiosi I e inizia la meiosi
II, che si blocca in metafase. Avviene la maturazione di queste
cellule del follicolo e la liberazione dell’oocita secondario; gli
estrogeni agiscono inibendo il luteinizzante e le cellule del
corpo luteo si riproducono, attivando la produzione del
progesterone, un altro ormone di natura steroidea (lipidica),
che favorisce l'ispessimento (lo vediamo nel grafico) della
membrana di rivestimento dell’epitelio uterino. Verrà
favorito anche lo sviluppo e l'aumento di quelli che sono i vasi sanguigni che portano sangue con
nutrimento e ossigeno e, allo stesso tempo, portano via, dalle cellule del tessuto stesso, anidride
carbonica e prodotti di scarto.
Mentre le cellule si riproducono, aumenta lo spessore della membrana uterina per accogliere,
eventualmente, lo zigote (la cellula fecondata).
Se non avviene la fecondazione, il progesterone non viene prodotto più, la membrana si atrofizza e
viene eliminata con la mestruazione.
Quindi vi è una prima fase proliferativa e poi una fase secretoria (quando si ha la eliminazione di
quello strato che non ha più ragione di esistere).

In questo caso si ha appunto il disegno delle tre fasi di maturazione:

-la prima, la fase preovulatoria: le cellule del follicolo producono gli estrogeni e matura la cellula
uovo;
- la fase tardiva: in cui si ha il picco dell'ormone luteinizzante, delle cellule che dovranno attivare
quelle che sono le cellule del corpo luteo e gli estrogeni che vanno a inibire la formazione del
follicolostimolante a livello dell'ipofisi; dopodiché l'ormone luteinizzante stimola la produzione, da
parte delle cellule, del corpo luteo di una proteina, che anche qui è l'inibina. Quindi, anche queste
cellule producono una proteina che va anch'essa ad inibire la produzione a livello centrale. Viene
prodotto il progesterone e quella quantità di estrogeni, che continua a essere prodotta (perché gli
estrogeni sono prodotti sempre a parte il picco che si ha al momento di quella che è la fase
dell'ovulazione, la fase di deiscenza del follicolo) e questi inibiscono la produzione degli ormoni che
stimolano la maturazione della cellula uovo. Quando è compiuto il ciclo e quindi si abbassa la
quantità di estrogeni presenti nel sangue, si abbassa la quantità di inibina, perché non c'è più lo
stimolo, e il ciclo riprende. Questo avviene ogni 28 giorni.
Per cui si ricomincia il ciclo di maturazione, un oocita per volta, mentre nel caso della
spermatogenesi sono tutti gli spermatogoni contemporaneamente che vanno incontro a
maturazione e formazione di spermatociti. Nel caso dell’oogenesi è un'unica cellula, un unico oocita
primario bloccato in meiosi I (in profase I) che viene maturato ogni 28 giorni e viene seguito questo
percorso.
DIFFERENZE TRA SPERMATOGENESI ED OOGENESI

Andando a fare un confronto tra spermatogenesi ed oogenesi si notano delle differenze evidenti.
Da un punto di vista temporale la spermatogenesi inizia durante la pubertà e continua fino alla tarda
età. Dunque, avviene in maniera continua per tutta la vita del soggetto. Nel caso dell’oogenesi:
comincia prima della nascita nello sviluppo embrionale, gli oogoni iniziano la meiosi I e si forma
l’oocita primario che viene bloccato in profase I, e si riattiva con la pubertà. Termina quando molti
o anzi pochi, rispetto a quanti potrebbero essere, oociti primari vanno incontro a maturazione,
quella che viene chiamata menopausa. A quel punto non vengono più maturati gli oociti a diventare
oociti secondari e poi a formare cellule uovo e anche gli ormoni di natura steroidea diminuiscono
moltissimo come quantità e concentrazione plasmatica.

Infatti, solo una piccola parte degli oociti primari vanno incontro a maturazione, gli altri degenerano
cioè vengono degradati. Non solo, siccome gli oociti primari sono prodotti prima della nascita è
ovvio che subiscono tutti i processi di invecchiamento cellulare che subiscono tutte le altre cellule
dell'organismo, dovuti ad agenti esterni e interni, dovuti a produzione di radicali liberi.
Durante la vita cellulare vanno incontro al processo di invecchiamento cellulare che può portare ad
alcune alterazioni durante la divisione meiotica. Infatti, si possono verificare degli eventi di non
separazione, di non disgiunzione che poi portano ad un'alterazione, chiamate aneuploidie
(alterazione del numero dei cromosomi delle cellule).

Da uno spermatocita primario si formano quattro cellule aploidi mature pronte per andare ad
effettuare la fecondazione. Dall’oocita primario invece si forma una sola cellula uovo che può essere
fecondata. Lo spermatozoo è piccolo, si muove con il flagello, e consuma energia per il movimento;
la cellula uovo invece, siccome contiene tutto il citoplasma dell’oocita primario, è una cellula statica
che passa semplicemente dall'ovaio alle tube uterine e lì viene eventualmente fecondata. Poi si
impianta nell'utero, nella membrana uterina, e per cicli di mitosi e poi di differenziamento da luogo
al nuovo individuo.

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