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CITOLOGIA

Che cos’è la cellula?


• La cellula è l’unità fondamentale degli organismi viventi, ed è in grado di vivere
in maniera autonoma e di riprodursi. Nonostante la sua autonomia, la cellula
in realtà non è in grado di sopravvivere al di fuori del suo ambiente, a meno
che non venga coltivata artificialmente in speciali terreni di coltura. Questo
perché ogni cellula si è adattata alle condizioni ambientali in cui si trova e si è
specializzata, negli organismi superiori (come quello umano), a svolgere
determinate funzioni necessarie all’organismo intero, perdendo la capacità di
sopravvivenza autonoma.
Per esempio, una cellula muscolare è in grado di contrarsi conferendo a un organismo la
capacità di movimento, ma non è assolutamente in grado di difendersi da un’infezione virale, al
contrario di un linfocito. Quindi due cellule di questo tipo, isolate dall’organismo, non sono in
grado di sopravvivere, mentre all’interno di esso, dove sfruttano le condizioni di cooperazione
con le altre cellule, trovano un ambiente ideale.
La cellula eucariote ha un volume maggiore rispetto a quella procariotica e contiene una serie di
strutture dette organelli, o organuli. Una caratteristica delle cellule è di avere una membrana,
detta plasmatica o cellulare, che le delimita rispetto all’ambiente esterno e conferisce loro identità.
Vi è poi il materiale genetico (DNA) organizzato in cromosomi e contenuto nel nucleo, che è una
struttura anch’essa delimitata da una membrana nucleare. Il rimanente contenuto cellulare è detto
citoplasma: nel suo interno si trovano organelli, come i mitocondri o i centrioli, immersi in una
sostanza gelatinosa, il citosol.
Il citoplasma è separato in differenti scomparti da un sistema di membrane interne che delimitano
strutture con funzioni specializzate come il reticolo endoplasmatico, l'apparato del Golgi, lisosomi e
perossisomi. Vediamo ora in dettaglio quali sono e come sono organizzate le funzioni delle
strutture che costituiscono la cellula.
ACIDI NUCLEICI
Contengono tutte le informazioni necessarie per la costruzione di un intero organismo e per il
mantenimento in vita di ogni sua singola cellula mediante la sintesi di tutte le proteine cellulari.
Essi hanno una natura acida e sono ricchi di fosforo. Poiché furono isolati dai nuclei delle cellule, fu coniato
per essi il termine di acidi nucleici. Successivamente fu osservato che essi si trovano anche nel citoplasma.
Gli acidi nucleici sono due: DNA ed RNA.

• I virus possiedono solo uno di questi acidi nucleici, DNA o RNA, e per questo non sono in grado di
avere una vita autonoma perché non sono in grado di svolgere tutte le funzioni necessarie per la
vita autonoma di una cellula.
• Nei procarioti e negli eucarioti troviamo entrambi gli acidi nucleici, DNA e RNA, ciò vuol dire che
svolgono un ruolo indispensabile e fondamentale per l’autonomia cellulare. Procarioti ed eucarioti
sono di grande importanza biologica perché il DNA è il depositario di tutta l’informazione genetica
della cellula che viene poi trasferita alle proteine e agli enzimi mediante il trascritto in RNA.

NEI PROCARIOTI:
Gli acidi nucleici li troviamo direttamente immersi nel citoplasma perché non ci sono compartimentazioni
interne alla cellula, quindi non c’è un involucro nucleare.

NEGLI EUCARIOTI:
Possiamo fare distinzione tra: nucleo, citoplasma ed organuli citoplasmatici.
▪ Il DNA lo possiamo trovare → - sia nel nucleo costituente dei cromosomi e della cromatina
- sia nel citoplasma sottoforma di organuli (mitocondri, cloroplasti e
centrioli).

▪ L’RNA lo possiamo trovare → - nel nucleo perché si origina per trascrizione (nucleolo, minima parte
dei cromosomi)
- nel citoplasma sottoforma di ribosomi o rRNA (che sono organuli
citoplasmatici costituiti esclusivamente da RNA e proteine, che non
avendo sistemi membranosi li troveremo nei procarioti e negli
eucarioti) e sottoforma di tRNA e di mRNA
(TRASCRIZIONE → quando a partire da una molecola di DNA, la si utilizza come stampo per creare una
molecola di RNA che serve per trasferire l’informazione possa passare dal nucleo dove il DNA è relegato al
citoplasma dove quest’informazione potrà essere tradotta in enzimi o proteine.)

Gli acidi nucleici sono costituiti da catene nucleotidiche, cioè catene filamentose date dall’associazione di
tante subunità che si ripetono che prendono il nome di nucleotidi. Queste catene polinucleotidiche
andranno a costituire gli acidi nucleici. Ciò costituisce la struttura primaria dove il DNA differisce dall’RNA
per la natura di un pentoso e di una base pirimidinica.
La struttura secondaria, cioè la disposizione spaziale dei polinucleotidi, è profondamente diversa tra DNA e
RNA. Il DNA risulta formato da due filamenti polinucleotidici antiparalleli fra loro e avvolti fra loro a formare
una struttura secondaria a doppia elica con passo regolare; l’RNA invece è un singolo filamento
polinucleotidico, disteso in alcuni punti, in altri avvolto su se stesso in giri elicoidali.

NUCLEOTIDE → associazione di 1 molecola di zucchero pentoso ( Ribosio nell’RNA, Deossiribosio nel DNA) +
acido fosforico + base azotata.

Al Carbonio 1 dello zucchero si lega una delle 5 basi azotate, questo composto prende il nome di
NUCLEOSIDE. Per formare il nucleotide, il radicale fosforico si lega allo zucchero esterificando il gruppo
alcolico in posizione 5 dello zucchero formando un legame di estere fosforico.

BASI AZOTATE → sono l’elemento del nucleotide fondamentale perché si creino nella molecola del DNA i
legami ad idrogeno che fanno si che tale molecola possa essere costituita da due filamenti complementari
ed antiparalleli.

ORGANIZZAZIONE DEL DNA


Questa complementarietà nasce dal fatto che i due filamenti si possono appaiare fra loro tramite legami
deboli (legami Idrogeno) che si vengono a creare tra le basi azotate di un filamento nucleotidico e le basi
azotate di un altro filamento nucleotidico in maniera specifica.
Quindi le basi sono complementari → ADENINA si appaierà esclusivamente alla TIMINA, 2 legami a H.
CITOSINA si appaierà esclusivamente alla GUANINA, 3 legami a H.
Esse sono distinte in:
• PURINE → ADENINA e GUANINA. Costituite da due anelli condensati.
• PIRIMIDINE → CITOSINA, TIMINA e URACILE. Costituite da un solo anello.
La TIMINA la troviamo esclusivamente nel DNA che nell’RNA viene sostituita dall’URACILE. Quindi per ogni
acido nucleico noi troviamo esclusivamente 4 basi azotate.

Il fatto che siano antiparalleli vuol dire che, nel momento in cui questi nucleotidi vanno a legarsi per
formare la catena polinucleotidica, il legame avviene tra il gruppo fosfato in posizione 5’ di uno zucchero
(perché è legato al Carbonio 5) e il gruppo ossidrile, quindi OH, di un altro nucleotide che è legato al
Carbonio 3’ di uno zucchero successivo. Quindi i filamenti si trovano uno opposto all’altro.

Quindi l’attacco nucleofilo può avvenire solo in direzione 5’ → 3’.

La struttura costituita dal gruppo fosfato e dallo zucchero si troverà nella parte esterna, le basi azotate
rivolte verso l’interno che si legano alle basi azotate dell’altro filamento.
Avremo da una parte un filamento che termina con il nucleotide con il gruppo fosfato libero, quindi
estremità 5’, e l’altro filamento termina con il nucleotide con il gruppo ossidrile libero.
Quindi il fatto che i due filamenti siano complementari e antiparalleli, affinché le basi azotate dei due
filamenti si possano guardare e interagire, è necessario che il secondo filamento sia capovolto (cioè
antiparallelo).
RIBOSIO → zucchero che troviamo nell’RNA. Presenta legato al Carbonio 2 un gruppo ossidrile (OH).

DESOSSIRIBOSIO → zucchero che troviamo nel DNA. Questo prefisso sta ad indicare che tale zucchero
differisce dal ribosio dell’RNA per la mancanza di un Ossigeno, qui in posizione 2 non troviamo più un
gruppo ossidrile ma troviamo semplicemente un Idrogeno.

CONFORMAZIONE B (struttura secondaria del DNA)


Questa struttura è stata dettata per la prima volta da Watson e Crick e dissero che il DNA abbia un struttura
a doppia elica. Si potrebbe fare riferimento ad una “scala” dove le parti laterali, cioè orientate in direzioni
opposte, sono gli scheletri zucchero-fosfato, che costituiscono la porzione invariabile del DNA, e gli scalini
centrali sono dati dalle base azotate che si appaiono, mantenuti ad una regolare distanza di 2 nm.
Lungo lo scheletro le basi distano fra loro di 0.34 nm e vi sono 10 basi per ciascun giro della doppia elica.
Nell’avvolgersi, i due filamenti, assumono una CONFORMAZIONE B, che è la più comune.

All’interno di questa conformazione troviamo l’alternarsi di un solco maggiore e di un solco minore.


In questo andamento ad elica è presente il cosiddetto “PASSO DEL DNA” (3.4 nm), cioè una struttura che si
ripete in maniera costante per tutta la molecola, ed è costituita da una porzione che comprende un solco
maggiore ed un solco minore. → cioè l’elica nel momento in cui si viene a formare con una sorte di
torsione della molecola stessa, non si ripete con un andamento costante ma ad ogni torsione si viene a
formare un solco maggiore perché è maggiormente esteso e un solco minore di minore dimensione.

Legame a H
Si instaura tra un gruppo molto elettronegativo che riesce ad attrarre gli H. Tra le basi azotate si vengono a
creare lega a H, quindi dei legami deboli e non serve grande energia per rompere questi legami, per questo
è facile denaturare la molecole di DNA, relativamente perché è possibile denaturarlo ad una certa
temperatura che nei laboratori viene standardizzata ma in realtà dipende da che tipologia e da quanto è
ricca la frazione di DNA che stiamo utilizzando in termini di Citosina e Guanina.
In pratica il numero dei legami H nel DNA può variare da 2 a 3:
• saranno 2 legami H che si instaurano tra ADENINA e TIMINA;
• saranno 3 legami H che si instaurano tra CITOSINA e GUANINA.
Quindi maggiore sarà il numero di Citosine (e di Guanine di conseguenza) presenti nella molecola del DNA,
maggiore sarà la temperatura da utilizzare per separare i due filamenti del DNA, ciò nasce proprio dal
numero di legami che si devono spezzare.

DUPLICAZIONE DEL DNA


La cellula ha bisogno di duplicare il proprio DNA quando si deve dividere. Esso è in grado di trasmettersi
inalterato da una generazione all’altra nel corso della divisione.
Ogni cellula ha un proprio ciclo vitale che prende il nome di CICLO CELLULARE, che è scomponibile in due
momenti:
- INTERFASE → la cellula si accresce, sintetizza e quindi duplica il proprio DNA, sintetizza nuovi
organuli.
- DIVISIONE CELLULARE → (o fase M) la cellula si divide (Mitosi nel caso di cellule somatiche, Meiosi
nel caso di cellule della linea germinale)

Quindi una cellula duplica il proprio DNA durante l’interfase per prepararsi alla fase di divisione, quindi una
sola volta nell’arco della propria vita.

Il meccanismo di duplicazione è definito semiconservativo, perché il DNA si dividerà nei due filamenti, dove
ciascuno servirà da stampo per la sintesi del filamento mancante. Ciò vuol dire che alla fine del processo di
duplicazione le due molecole di DNA che avremo come risultato, saranno costituite ciascuna da un
filamento parentale, cioè il filamento che apparteneva alla cellula madre, ed un filamento neosintetizzato.
Mentre in laboratorio questo meccanismo lo dobbiamo indurre con la temperatura, a livello cellulare viene
indotto dall’intervento di proteine specifiche che portano alla rottura dei legami H e alla separazione fisica
dei due filamenti che verranno a loro volta stabilizzati nel restare singoli perché spontaneamente tendono
a riappaiarsi, quindi ci sarà l’intervento di numerose proteine o enzimi.

Nel DNA la duplicazione viene indotta materialmente da un complesso enzimatico chiamato


DNA POLIMERASI → il suo compito è quello di legarsi al filamento stampo, leggere quindi scorrere lungo il
filamento leggendo un nucleotide alla volta e agganciarlo al nucleotide complementare. (Se ad esempio sta
leggendo una Timina, andrà ad agganciare un’Adenina, e procede con il nucleotide successivo).
La DNA POLIMERASI riesce a compiere questo processo di lettura esclusivamente in direzione 5’ → 3’, ma il
filamento complementare si troverà in direzione 3’ → 5’.
Nel momento in cui i due filamenti si aprono, la regione in cui si ha la biforcazione dei due filamenti prende
il nome di FORCELLA DI DUPLICAZIONE, chiamata così perché ricorda una forcina. Dunque la DNA
POLIMERASI si comporterà in maniera differente nei due filamenti.
• Tendenzialmente tende a legarsi all’estremità 3’ libera e comincia a leggerla nucleotide dopo
nucleotide, quindi sintetizzando il filamento complementare 5’ verso il 3’, in questo caso
l’andamento è quello normale e il filamento viene chiamato FILAMENTO RAPIDO (5’ → 3’). In
questo caso la duplicazione procede in maniera continua, man mano che la DNA POLIMERASI
procede, raggiunta la FORCELLA DI DUPLICAZIONE, la spinge ad aprirsi ulteriormente fino a quando
l’intera molecola di DNA non si sia srotolata e non si sia duplicata.
• Sul filamento complementare che ha l’estremità libera 5’, ma la DNA POLIMERASI non può legarsi
ad esso per formare un filamento 5’ →3’ perché non sarebbe complementare, quindi in questo
caso la DNA POLIMERASI è costretta a legarsi al livello della FORCELLA DI DUPLICAZIONE e quindi
sintetizza, leggendo nucleotide dopo nucleotide, in direzione opposta rispetto alla FORCELLA. Ciò
vuol dire che legge da dove l’informazione si è liberata a livello della forcella verso il termine, ma
quando arriva all’estremità libera è costretta a staccarsi e a tornare indietro a livello della forcella,
dove nel frattempo altro filamento si è liberato quindi la forcella si sarà spostata più in su, e
sintetizza nuovamente allontanandosi dalla forcella, ma raggiunto il tratto che aveva sintetizzato si
stacca e torna nuovamente indietro, dove nel frattempo il filamento avanza e la forcella si sarà
allargata, quindi si saranno liberate nuove basi azotate da leggere.
Dunque questo filamento verrà duplicato in maniera discontinua perché la DNA POLIMERARI è
costretta ad operare a tratti. In questo caso sarà chiamato FILAMENTO LENTO (3’ → 5’).
Tutti questi piccoli frammenti che si creano sono chiamati FRAMMENTI DI OKAZAKY, dal nome di
un ricercatore che per la prima volta ha osservato questo tipo di meccanismo. I buchi che
rimangono tra un frammento e l’altro sono dovuti allo spazio che fisicamente occupa la Dna
polimerasi. Ciò non vuol dire che rimarranno piccoli frammenti singoli, ma finita l’operazione della
Dna polimerasi, interverrà un nuovo enzima che prende il nome di DNA LIGASI → ha il compito di
saldare assieme i frammenti di Okazaky per ripristinare un unico filamento.

LE FORME DEL DNA


La molecola di DNA può trovarsi in due diversi momenti funzionali:
• CROMATINA → (sottoforma di eurocromatina) forma biologicamente attiva del DNA. Corrisponde
al normale DNA cioè despiralizzato, forma leggibile per cui può essere facilmente
letto dalla Dna polimerasi e duplicato e dalla Rna polimerasi. Quindi essa si trova
durante l’interfase.
• CROMOSOMA → forma biologicamente inattiva del DNA. Corrisponde alla struttura fortemente
spiralizzata, forma illeggibile. Questa forma si trova nel momento in cui la
cellula si deve dividere, nel quale deve avere delle strutture fortemente
spiralizzate, quindi questo DNA viene impacchettato in modo da compattare
l’informazione che deve essere ripartita equamente tra le due cellule figlie nel
momento della divisione (esattamente durante la Metafase).
Nella cellula umana sono presenti 23 coppie di cromosomi omologhi.
Quando parliamo di Cromosomi o di Cromatina non stiamo parlando di due cose diverse, ma di due
momenti funzionali diversi della stessa molecola. Ciò vuol dire che ci sarà l’intervento di proteine
accessorie che si legano al DNA per consentire questi processi di spiralizzazione.

PROTEINE ACCESSIORIE → PROTEINE ISTONICHE, di cui ne conosciamo diversi tipi: H1, H2A, H2B, H3, H4.
Quindi abbiamo 5 tipologie di proteine istoniche.
• Di queste 5, le proteine H2A, H2B, H3 e H4 si associano tra di loro a coppie a formare un cilindretto
istonico, o un ottamero istonico o ancora core istonico. Quindi avremo 2 H2A, 2 H2B ecc. quindi una
struttura formata da 8 proteine istoniche. Attorno a questo core istonico si avvolgerà per quasi due
giri completi il DNA, formando il CROMOSOMA. Questo fenomeno è chiamato superavvolgimento
che si dice negativo se avviene in senso sinistrorso, come in questo caso della cromatina degli
eucarioti. (Si dice positivo se avvenisse in senso destrorso. Nei procarioti è catalizzato da enzimi
detti topo isomerasi.) In questo caso il DNA è illeggibile perché si ritrova impacchettato e gi enzimi
non sono in grado di infilarsi in questa struttura per leggere l’informazione.
Tale struttura formata da CORE ISTOMICO e DNA avvolto è chiamata NUCLEOSOMA, prima forma
di spiralizzazione. Quando il DNA compie i due giri esso fuoriesce ed incontrerà un altro core
istonico per andare a formare un altro Nucleosoma e così via. Questa strutture che si viene a
formare a Nucleosomi prende il nome di COLLANA DI PERLE o ROSARIO.
• L’istone H1 stabilizza il DNA LINK, cioè il DNA che troviamo tra un Nucleosoma e quello successivo,
spiralizzando ulteriormente la struttura e andando a formare un ulteriore struttura spiralizzata che
prende il nome di SOLENOIDE, molto più compatta.

Dopo il SOLENOIDE si avrà una struttura a FIBRE DI CROMATINA, le quali vengono ancorate ad uno
scheletro proteico che tiene saldamente unite tra di loro queste fibre e che determina la struttura tipica del
CROMOSOMA.

Un cromosoma costituito da due cromatidi è il risultato della duplicazione del DNA che è avvenuta nella
cellula madre per poter dividere un cromatidio ad una cellula ed un cromatidio all’altra, dove ogni
cromatidio contiene TUTTA l’informazione genetica del DNA, quindi in modo che ogni cellula figlia abbia
l’identico assetto cromosomico tipico della madre.
Dunque se ogni cellula somatica avrà 23 coppie di cromosomi, quando essa si dividerà avrà tutti i
cromosomi formati da due cromatidi, quindi tutto il DNA è già stato duplicato. Quindi ogni cellula figlia
riceverà 23 coppie di cromatidi, che a loro volta verranno duplicati nei cromatidi fratelli.
Il cromosoma è esclusivamente la manifestazione visibile della duplicazione del DNA.
Se fosse possibile (ma non lo è) osservare il DNA spiralizzato anche prima della duplicazione,cioè in
interfase, lo vedremo costituito da un solo cromatidio.

TRASCRIZIONE
RNA → mentre il DNA è una molecola di grandi dimensioni e notevolmente stabile, gli RNA sono più piccoli,
hanno una vita limitata e non sono in grado, in genere, di duplicare se stessi. Una molecola di RNA consta di
uno scheletro di zucchero-fosfato dal quale sporgono le basi azotate. È costituito da ripiegature elicoidali in
alcuni punti dell’RNA, il cui filamento gira su se stesso per una certa lunghezza.
L’RNA si origina tramite il fenomeno della TRASCIZIONE, formato da un solo filamento. Questo fenomeno
avviene copiando un tratto di informazione contenuta nel DNA in RNA, copia complementare del DNA.
Quindi nella cellula, oltre all’enzima Dna Polimerasi che opera la duplicazione del DNA, avremo un altro
enzima che prende il nome di
RNA POLIMERASI → si attacca al DNA e lo legge per sintetizzare il singolo filamento di RNA. Questo enzima
entra tra i due filamenti del DNA e legge il tratto che gli interessa. Questo tratto di DNA è chiamato
PROMOTORE che è specifica per ciascun gene.
Le lunghe molecole del DNA della cellula contengono, codificate nelle triplette dei nucleotidi,
l’informazione per tutte le proteine cellulari, una cellula avvia il fenomeno di trascrizione quando deve
sintetizzare un enzima specifico che gli serve per quel momento funzionale, quindi non trascrive un pezzo di
DNA a caso ma trascriverà il GENE che serve per sintetizzare quella proteina che serve in quel momento.
GENE → tratto di DNA che codifica per una proteina.
L’RNA POLIMERASI, come la Dna Polimerasi, legge nucleotide dopo nucleotide solo in direzione
5’ → 3’ (infatti solo il filamento 3’ → 5’ del DNA funge da stampo per la sintesi dell’RNA) e richiama al
citoplasma nucleare il nucleotide che serve. Questa volta, però, non vengono creati dei legami ad H ma non
fa altro che leggere e legare i nucleotidi che serviranno a formare un filamento di RNA. Se ad esempio
leggesse un nucleotide che porta Adenina, arriverà un nucleotide che porta Uracile ecc.
Ovviamente durante e dopo questo processo il DNA non viene danneggiato.
Finito il processo di trascrizione l’RNA POLIMERASI sgancia il DNA e libera il filamento di RNA, il quale
trasporta l’informazione dal nucleo al citoplasma, quindi in questo caso viene chiamato mRNA, cioè RNA
messaggero.
Negli eucarioti c’è una diversa compartimentazione cellulare rispetto ai procarioti, la trascrizione che da
origine agli RNA avviene nel nucleo, da qui essi devono transitare nel citoplasma e dopodiché avverrà la
sintesi proteica. Quindi trascrizione e traduzione sono spazialmente e temporalmente separati.
Nei procarioti questa suddivisione nel compartimento cellulare non c’è, perché non c’è un nucleo, quindi il
DNA è direttamente immerso nel citoplasma ed il processo di sintesi proteica parte quando ancora il
processo di trascrizione non è ancora completato, dunque trascrizione e traduzione avvengono quasi
simultaneamente, perché man mano che l’RNA viene trascritto e reso disponibile al citoplasma, i ribosomi
lo legano subito. Quindi i due processi non sono né spazialmente né temporalmente separati

LE FORME DELL’RNA
• Prima si forma l’RNA ETEROGENEO → esso maturerà per produrre RNA messaggero (mRNA).
• RNA MESSAGGERO (mRNA) → porta l’informazione per la sintesi delle proteine degli enzimi,
quindi è l’RNA utilizzato dai ribosomi per la sintesi proteica.
L’mRNA è la classe di RNA più eterogenea, infatti e costituita da filamenti contenenti tanti codoni
quanti sono gli aminoacidi delle proteine codificate da ciascun mRNA. Al momento della sintesi
proteica ogni filamento di mRNA viene persorso da più ribosomi, di forma granulare, che gli
conferiscono un tipico aspetto a rosario, tale struttura viene chiamata poliribosoma o polisoma.
• RNA TRANSFER (tRNA) → una volta trascritto passa nel citoplasma e lega amminoacidi. Quindi
“Trasfer” perché lega e trasporta gli amminoacidi che serviranno durante la sintesi proteica, quindi
da assemblare in proteina.
• RNA RIBOSOMIALE (rRNA) → una volta trascritto verrà assemblato alle proteine ribosomiali per
costituire i ribosomi, necessari perché sono loro gli attori principali della sintesi proteica, perché
avviene su di essi.

Quindi gli RNA in tutte le loro sfaccettature sono necessari per il processo di sintesi proteica.

Negli eucarioti di tutto il Dna che abbiamo, il 94% circa è definito DNA SPAZIATORE che fino a qualche anno
fa era definito DNA SPAZZATURA, perché non si conosce la sua funzione ed inoltre non è capace di essere
codificato.
È chiamato DNA “SPAZIATORE” come se creasse degli spazi tra le porzioni attive del DNA.
L’RNA POLIMERASI nel trascrivere non sa che cosa serve e cosa no, quindi l’RNA che si andrà a formare
presenterà sequenze codificanti intervallate da sequenze non codificanti e prende il nome di RNA
ETEROGENEO:
• Le sequenze codificanti prendono il nome di ESONI.
• Le sequenze non codificanti prendono il nome di INTRONI.
Quindi questo Rna Eterogeneo subirà, ancora all’interno del nucleo quindi prima di essere trasferito al
citoplasma, un processo di rimozione degli Introni che rimarranno all’interno del nucleo. Dopodiché gli
Esoni verranno risaldati tra di loro per formare l’mRNA che può passare nel citoplasma. Se passasse l’Rna
Eterogeneo verrebbe sintetizzata una proteina non funzionale.

TRADUZIONE (o Sintesi Proteica)


Si tratta di un processo tipicamente citoplasmatico.
La sintesi proteica richiede l’attivazione degli aminoacidi ad opera della aminoacil-tRNA sintetasi che lega gli
aminoacidi ai rispettivi tRNA. Il processo avviene sui ribosomi e si divide in 3 momenti:
• INIZIO, quando si trova il codone AUG.
• ALLUNGAMENTO, quando tutti i codoni verranno letti e gli amminoacidi aggiunti.
• TERMINAZIONE, quando il ribosoma sul sito A si troverà ad ospitare un codone di terminazione,
dove non verrà accettato nessun tRNA.

I ribosomi, nel momento in cui ottengono il filamento di mRNA, sono costretti a leggere un messaggio
scritto in una sequenza nucleotidica e tradurlo in una proteina, quindi in un messaggio fatto da
amminoacidi. Quindi sarebbe come se i ribosomi avessero bisogno di un dizionario il quale viene definito:
CODICE GENETICO → corrispondenza che esiste tra una tripletta di nucleotidi e un amminoacido. Quindi ad
esempio esso dice al ribosoma che se incontra la tripletta AUG, bisogna accettare
come amminoacido esclusivamente la metionina, se viene proposto un altro
amminoacido bisogna recluderlo perché non è corrispondente a quella tripletta.
Il CODICE GENEICO è costituito da 64 CODONI, dove il termine “codone” significa
“una tripletta di nucleotidi”. Cioè i quattro nucleotidi, presi 3 alla volta, possono
formare 64 combinazioni differenti tra loro, sufficienti per codificare i 20
amminoacidi esistenti. Di questi, molti sono codificati da più di una tripletta, per un
fenomeno detto di “degenerazione del codice”.
CODONI → Di questi 64 codoni:
• 61 sono codificanti
Quando un ribosoma vede arrivare un filamento di mRNA lo lega ed inizia a leggerlo fino a
trovare un codone di inizio: AUG → dice al ribosoma che per iniziare la sintesi proteica
serve la metionina (nei procarioti è formilmetionina). Ciò vuol dire che tutte le proteine
iniziano con la metionina.
Gli altri 60 codoni codificanti serviranno per l’allungamento della proteina.
• 3 sono di terminazione (non codificanti)
Quando il ribosoma, scorrendo lungo l’mRNA, incontra uno di questi 3 codoni è indotto a
suddividersi nelle due subunità e rilascia la proteina ormai sintetizzata ed il filamento di
mRNA. Questi codoni sono chiamati anche:
CODONI NO SENSE → UAA
UAG
UGA
Proprietà Codice Genetico
• È UNIVERSALE → perché ciascun amminoacido è codificato dalle stesse triplette in ogni
organismo vivente, eccetto a livello mitocondriale.
• È UNIVOCO → cioè ad ogni codone corrisponde solo un amminoacido
• È RIDONDANTE O DEGENERATO → un aminoacido può legarsi a codoni diversi, quindi ci
sono codoni che leggono lo stesso aminoacido. Tali codoni il più delle volte differiscono tra
loro solo per l’ultima base azotata. Questa è una “protezione” che la cellula ha escogitato
per far si che se dovessero avvenire delle mutazioni nel codice genetico a carico del terzo
nucleotide del codone, il ribosoma sappia comunque quale aminoacido legare. Ciò quindi è
dovuto ad eventuali errori dovuti ad alterazioni dell’acido nucleico. Le fonti principale sono
le radiazioni.

RNA DI TRASPORTO (tRNA)


L’RNA di trasporto ha una classica struttura importante, perché è quello che giocherà un ruolo cruciale nella
sintesi corretta delle proteine.
Si tratta di molecole piccole costituite da settantacinque-novanta nucleotidi, in parte collegati fra loro a
formare tratti elicati della molecola, in parte liberi a formare tre anse.
Dunque presenta una struttura con 3 anse e 1 stelo, quindi una struttura a trifoglio o a quadrifoglio in base
al fatto che si guardi la struttura spaziale o quella tridimensionale.

Lo stelo è definito STELO ACCETTORE che è la regione che legherà l’amminoacido per portarlo fino alla sede
di sintesi proteica. L’estremità 3’ del filamento di tRNA sopravanza quella 5’ di tre nucleotidi eguali in tutti i
tRNA (CCA). Questa tripletta rappresenta il sito accettore dell’amminoacido che, attivato dall’enzima
aminoacil-tRNA sintetasi, prende posto sul tRNA. Esso si chiama cappuccio.
Le due anse presenti sui due lati della zona centrale sono dette ansa T e ansa D che hanno un ruolo
importante nel riconoscimento del tRNA a opera rispettivamente del ribosoma e dell’aminoacil-tRNA
sintetasi.
L’ansa opposta allo STELO ACCETTORE è chiamata ANSA DELL’ANTICODONE. È questa regione che si
avvicina al codone per verificare che ci sia complementarietà tra il Codone dell’mRNA e il proprio
Anticodone, se c’è complementarietà vorrà dire che il tRNA sta portando l’amminoacido che serve e quindi
il ribosoma lo lascia alloggiare. Se non ci fosse complementarietà, il tRNA si allontana ed il ribosoma rimane
fermo dov’è fino a quando non arriva il tRNA che porta l’amminoacido corretto.

FASE DI ALLUNGAMENTO DELLA PROTEINA


La subunità maggiore dei ribosomi presenta due siti:
• Il SITO A (Amminoacidico), che ospita il tRNA che porta l’amminoacido.
• Il SITO P (Peptidirico), che si tiene l’ultimo tRNA che è stato legato che porta non
l’amminoacido ma la catena peptidica che si sta formando.
Un aminoacil-tRNA si lega al sito A ancora libero, dopo aver riconosciuto sull’mRNA il codone
complementare al proprio anticodone. Se c’è complementarietà vuol dire che l’aminoacido che sta
trasportando è quello che serve per la sintesi proteica, se essa non c’è, il tRNA si allontana e il ribosoma
rimane fermo finché non arriva il tRNA giusto. Dopo che il ribosoma aggancia il primo amminoacido, passa
a leggere il codone successivo ed il tRNA che si trovava sul sito A slitta al sito P, cioè quel tRNA che porta la
metionina, ed il sito A sarà libero per ospitare un nuovo tRNA, ed il processo si ripete, così inizia
l’allungamento della proteina per formazione di legame peptidico tra amminoacidi successivi.
Quindi il ribosoma quando avanza, trasferisce l’RNA transfer che si trovava nel sito A nel sito P e quello che
occupava il sito P viene allontanato scarico dal ribosoma, quindi non ha più l’aminoacido perché essendosi
formato legame peptidico con l’aminoacido che è stato aggiunto per secondo, il primo rimane ancorato al
secondo il quale non porterà solo il suo aminoacido, ma il secondo e il primo.
Quindi quando il ribosoma passa al terzo codone, arriva un altro tRNA che va a occupare il sito A, quindi
quel posto deve essere libero. Il tRNA servirà da supporto perché ciò che interagisce sono gli amminoacidi,
quindi tra il suo amminoacido e quello di prima si forma legame peptidico e il ribosoma può avanzare di un
codone, quindi scarica il “passeggero” che occupava il sito P e quello che occupava il sito A passa dietro il
quale porta il suo amminoacido più quelli che fino a quel momento sono stati aggiunti, così avremmo
nuovamente il sito A libero. Dunque ogni volta che viene agganciato un nuovo tRNA avviene questo
processo.
Sulla parte dell’RNA messaggero già letta da un ribosoma si portano, partendo anch’essi dall’inizio del
messaggero, nuovi ribosomi, con la costituzione di polisomi sui quali sono contemporaneamente in attività
sintetica vari ribosomi, a stadi diversi del processo. Questi fenomeni richiedono l’impiego di fattori
enzimatici e di molecole energetiche (ATP).
Le subunità quando non sono attive, quindi quando non c’è la lettura dell’mRNA, saranno sempre staccate,
si legano solo nel momento in cui arriva una molecola di mRNA e cominciano a scorrere per trovare il
codone di inizio e operare la sintesi.
Tutto questo processo è chiamato ALLUNGAMENTO DELLA PROTEINA.
FASE DI TERMINE
La sintesi termina allorché ciascun ribosoma incontra codoni di terminazione (UAA. UGA, UAG) ai quali non
corrispondono tRNA, ma proteine di rilascio del citoplasma, che hanno il compito di staccare dal sito P la
catena polipeptidica ormai completa negli aminoacidi codificati dell’mRNA. Il ribosoma che ha ultimato la
biosintetasi si divide nelle due subunità, tornando libero nel citoplasma per intraprendere eventualmente
altri processi di sintesi sullo stesso o su nuovi polisomi. Le proteine neo sintetizzate assumono
spontaneamente la loro struttura secondaria e terziaria man mano che si staccano dal polisoma.

MEMBRANA PLASMATICA

(doppio strato fosfolipidico)


Struttura che delimita la cellula e che la mette in relazione all’ambiente circostante. Costituita da un doppio
strato fosfolipidico, ciò in riferimento a quello che è lo Scheletro Della Membrana, cioè la struttura portante
di natura lipidica.
SCHELETRO DELLA MEMBRANA → Costituito principalmente da lipidi, proteine e glucidi organizzati in:
Primi fra tutti i Fosfolipidi, poi Sfingolipidi, Colesterolo, Glicolipidi. Sono organizzati con un piano strutturale
che è il medesimo per tutte le cellule, ma con varianti qualitative per i lipidi e qualitative e quantitative per
glucidi e proteine che rendono specifiche le caratteristiche di una cellula rispetto ad un’altra.
• Fosfolipidi →Sono i più abbondanti. Componente principale è il glicerolo costituito da 3 atomi di C i
quali possono essere ciascuno esterificati con una molecola di acidi grassi. In questo caso esso lega
due catene di acidi grassi e il terzo C va a legare un gruppo fosfato che fa da tramite tra la molecola
lipidica e la porzione idrofila rappresentata da un altro organico che può essere la serina, la colina
(alcol carico positivamente) ecc. quindi avremo rispettivamente cefaline, lecitine (o fosfatidilcolina,
fosfolipide più abbondante).
• Sfingolipidi → La molecola che costituisce la struttura di base non è più il glicerolo, ma la
sfingomielina.
• Colesterolo → Possiede un piccolo gruppo ossidrile (OH), che è l’unica componente idrofilia che
mantiene a questo lipide la caratteristica di anfipaticità. Il colesterolo si va ad intercalare tra i
fosfolipidi di membrana occupando gli spazi che ci sono tra le code perché la maggior parte della
sua molecola è idrofoba e l’unica piccola porzione che interagisce con le teste idrofile è il gruppo
ossidrile. La presenza del colesterolo è importante perché il gruppo ossidrile serve a regolare la
fluidità della membrana, cioè i comportamenti della membrana in relazione alla temperatura.
Esattamente serve a regolare i processi di impacchettamento delle code idrofobe dei lipidi in modo
che la membrana rimanga costante indipendentemente dalla temperatura.
• Glicolipidi → Presenza di carboidrati esclusivamente associati o ai lipidi di membrana o alle
proteine di membrana (glicoproteine). I carboidrati di membrana svolgono principalmente una
funzione di tipo recettoriale e sporgeranno verso l’esterno.

- Intercalate tra i lipidi troviamo le proteine.


- I lipidi che troviamo nella membrana sono molecole ANFIPATICHE (lipidi complessi), cioè costituita da una
porzione idrofila (testa) e una idrofoba (coda). Quella idrofoba è data dalla componente nettamente
lipidica, la componente idrofila è conferita dalla presenza di un gruppo non lipidico, cioè il fosfato e le
molecole ad esso legate.

• Le teste idrofile conferiscono alla membrana due facce o due foglietti, uno rivolto verso l’ambiente
extracellulare cioè il “foglietto esoplasmatico o esterno”e l’altro rivolto verso l’ambiente cellulare
cioè il “foglietto citoplasmatico o interno”. Esse devono essere in grado di interagire con l’acqua
che troviamo negli spazi extracellulari e come componente principale del citoplasma cellulare.
Quindi esse non sono di natura lipidica, ma è un gruppo legato alla porzione lipidica che le
conferisce questa idrofilia.
• Le code si guardano al centro del doppio strato lipidico e interagiscono fra di loro con interazioni
idrofobiche e di van der Waals. Porzione apolare e idrofoba che non sta a contatto con l’acqua.

Per la natura stessa che conferiscono alla membrana, le molecole che sono idrofobe possono liberamente
attraversare la membrana perché lo fanno prendendo contatto con le code idrofobe, quello che è idrofilo
non riesce ad attraversare il doppio strato liberamente. Quindi sarà necessario l’intervento di proteine
canali o proteine trasportatrici.
Possibili strutture dei lipidi:
Le teste idrofile dei lipidi si trovano a contatto con il mezzo acquoso, le code idrofobe invece non stanno a
contatto con esso. Sono possibili diverse strutture di lipidi in base al mezzo in cui si trovano. Possiamo
avere:
• un monostrato, qual’ora ci sia un’interfaccia aria-acqua dove si distribuiscono con le feste verso la
porzione acquosa e le code verso l’aria.
• Micelle, quindi una struttura sferica con tutte le teste all’esterno e le code verso l’interno.
• possono caratterizzare un bilayer, che è quello tipico della membrana plasmatica perché si trova a
contatto con l’acqua su entrambi i fronti perché abbiamo acqua nella compartimentazione
citoplasmatica e nel comparto extracellulare e le code si guardano nella porzione centrale del
doppio strato.

FUNZIONI:
- Separa la cellula dall’ambiente esterno, ma non può isolarla da tale ambiente, può solo delimitare i
confini. Una cellula deve necessariamente interagire con l’ambiente circostante.
- Modula i processi di scambio mediante organismi di trasporto. Scambio di sostanze nutritive, ioni e
molecole varie, tanto in entrata tanto in uscita e ciò fa si che essa sia una struttura dinamica la quale
modifica continuamente la sua composizione. I meccanismi che permettono alla membrana di modulare
questi scambi sono:
• Trasporti di membrana → - Trasporti passivi → - Diffusione semplice(passiva) e Diffusione facilitata
- Trasporti attivi
• Intervento di vescicole → - Esocitosi (le sostanze escono dalla cellula)
- Endocitosi (le sostanze entrano nella cellula)
- Reazione agli stimoli esterni → Capacità delle cellule, che chiameremo cellule eccitabili, di rispondere a
stimoli che viaggiano lungo la membrana plasmatica.
- Tessuto Muscolare
- Tessuto Nervoso, capace di rispondere agli stimoli esterni tramite impulsi
nervosi che sono delle informazioni che viaggeranno lungo la membrana
plasmatica e si diffonderanno alle cellule bersaglio (come tessuti
muscolari)
- Risposta agli ormoni
- Interazioni e comunicazioni cellulari

Tutte queste funzioni vengono garantite dalla presenza dei recettori di membrana, cioè del Glicocalice.
GLICOCALICE → Costituisce il rivestimento esterno. È una struttura che è costituita dall’insieme di tutti i
residui glucidici che sporgono dalla membrana plasmatica, quindi la avvolge, e che permette l’interazione
con l’ambiente esterno, quindi ha una funzione recettoriale.

COMPOSIZIONE CHIMICA:
- Costituenti intrinseci, dati dai lipidi e dalle proteine.
- Costituenti periferici o estrinseci.
- Rivestimenti esterni o glicocalice.

La presenza delle PROTEINE nella membrana è molto importante perché ha anche la funzione di Trasporto.
Se la membrana fosse costituita esclusivamente da lipidi, il doppio strato lipidico sarebbe costituito solo
dalle code idrofobe ed i trasporti non sarebbero possibili, tutto ciò che è idrofilo non potrebbe attraversare
la membrana, motivo per cui è necessaria la presenza delle proteine. Esse sono:
• Proteine di Trasporto, che regolano la permeabilità della membrana.
• Proteine enzimatiche, che servono lungo la membrana per catalizzare le reazioni.
• Glicoproteine, interazioni cellulari, proprietà antigeniche quindi dei riconoscimenti dei gruppi di
istocompatibilità.
• Lipoproteine
I trasporti possono essere:
TRASPORTO PASSIVO → quando le sostanze si spostano da una regione in cui sono concentrate verso una
regione in cui sono meno concentrate, quindi si spostano secondo gradiente di
concentrazione.
TRASPORTO ATTIVO → si forza il passaggio di sostanze da una regione in cui sono meno concentrate ad
una regione in cui sono fortemente concentrate, quindi ci dev’essere qualcosa che
operi questo trasporto che sono appunto le proteine di membrana trasportatrici.
Per operare questo trasporto che avviene contro gradiente di concentrazione,
necessitano di energia, quindi queste proteine sono capaci di scindere ATP
(proteine enzimatiche, ATPasi, che sono capaci di catalizzare le reazioni).

Ci sono anche altri tipi di proteine enzimatiche come quelle a livello mitocondriale che avranno il compito
opposto e si chiamano ATP sintetasi, cioè hanno il compito di sintetizzare l’ATP.

Un altro costituente molto importante è:


Acido Sialico → ruolo fondamentale, soprattutto nella membrana degli eritrociti. È un costituente
importante in tutte le membrane plasmatiche perché conferisce una carica negativa alla superficie
cellulare, perché la sua molecola possiede un gruppo carbossilico il quale è carico.

Le prime osservazioni di membrana sono state fatte al microscopio elettronico, dove ciò che vediamo o non
vediamo si basa sul fatto se il campione sia elettrondenso o meno, dove abbiamo come risultato una
immagine in bianco e nero.

MODELLO A SANDWICH DI DANIELLI E DAVSON


Primo modello di membrana proposto, osservata al microscopio elettronico, definita a Sandwich, dove
abbiamo il doppio strato lipidico costituito da fosfolipidi di membrana che vanno a formare i due binari.

Struttura esterna, che va a formare una sorta di binario, più scura e al centro la struttura appare più chiara.

Come si vedeva l’immagine al microscopio, non c’erano altre strutture evidenziabili quindi ipotizzarono che
la membrana fosse effettivamente fatta solo da lipidi, ma sarebbe una membrana impermeabile e questo è
incompatibile con la funzione della cellula, quindi per risolvere questo problema, dall’osservazione al
microscopio elettronico, ipotizzarono che ci fossero proteine filamentose associate al doppio strato lipidico
che andavano a disporsi sulle teste idrofile e che di tanto in tanto interrompevano il doppio strato lipidico
formando dei canali rivestiti da queste proteine per consentire gli scambi metabolici tra il citoplasma e
l’ambiente esterno alla cellula. Le misure della membrana plasmatica coincidevano con quelle che erano
note, ma ciò che era scorretto era l’ipotesi della disposizione delle proteine e la loro natura.

L’uso del TETROSSIDO DI OSMIO è molto importante per la preparazione dell’oggetto per l’osservazione al
microscopio, oltre che per la fissazione, anche perché ha la capacità di denaturare le proteine. Quindi
realmente le proteine di membrana NON sono filamentose come le descrissero per la prima volta ma sono
PROTEINE GLOBULARI che si vanno a intervallare tra i lipidi stessi. Realmente essi non le vedevano perché
il tetrossido di osmio le aveva denaturate, quindi avevano perso la loro conformazione granulare ed erano
effettivamente diventate proteine filamentose che si andavano a distribuire sulle teste idrofile.
Ciò si è capito con la Criofattura, cioè con l’impiego, anziché di fissativi chimici, di fissativi fisici quali il
congelamento e la successiva frattura. Si è visto che separando i due strati fosfolipidici ciò che veniva fuori
era la presenza su uno strato di avvallamenti e nella parte opposta del monostrato, all’avvallamento,
coincideva una protuberanza e così via per tutta la composizione della membrana.

PROTEINE GLOBULARI
La quantità e la qualità delle proteine di membrana varia da cellula a cellula conferendo ad ognuna la sua
specificità.
Le proteine globulari possono essere classificate. Abbiamo:
• PROTEINE ESTRINSECHE → o PERIFERICHE, prendono debole contatto solo con le teste idrofile e
non con le code. Che si poggino sulle teste che guardano il citoplasma o
sulle teste che guardano l’ambiente extracellulare è indifferente.
• PROTEINE INTRINSECHE → o INTEGRALI, interrompono in parte o in tutto il suo spessore il doppio
strato lipidico.
Per quelle che attraversano completamente la membrana da parte a
parte si usa anche il termine di PROTEINE TRANSMEMBRANA.
PROTEINE TRANSMEMBRANA possono essere: monopasso, quando attraversano la membrana una sola
volta o multipasso, quando attraversano la membrana due o più volte, ciò dipende da qual è il ruolo
funzionale della proteina.

Le proteine periferiche situate sulla superficie esterna o la parte esterna delle proteine integrali mediano le
interazioni con il mondo esterno, mentre quelle periferiche situate sulla superficie interna o la parte interna
delle proteine integrali mediano i rapporti con il mondo interno citoplasmatico.

• PROTEINE ANCORATE → hanno una o due catene aciliche legate covalentemente allo scheletro
peptidico. Non attraversano la struttura lipidica, ma interagiscon questa
mediante la loro componente lipidica.

MODELLO A MOSAICO FLUIDO DI SINGER E NICOLSON


Secondo tale modello la membrana è discontinua, fluida e asimmetrica.
Discontinuità → perché le proteine integrali interrompono la struttura lipidica. Invece, nel modello di
Danielli e Davson le proteine erano descritte solo perifericamente associate alla struttura lipidica centrale
che si considerava continua.
Fluidità → la membrana si comporta come un fluido dato che i lipidi, per movimento termico, possono
diffondere lateralmente all’interno del proprio strato. Il grado di fluidità è influenzato dalla qualità dei lipidi
che la compongono: i lipidi con catene aciliche lunghe e sature hanno ampie superfici di interazione e si
impacchettano strettamente dando luogo a membrane poco fluide; lipidi con catene aciliche corte o lunghe
ma insature, hanno superfici di interazione inferiori e danno luogo a membrane più fluide.
La concentrazione del COLESTEROLO incide sulla fluidità della membrana infatti esso restringe la mobilità
sia delle teste che delle code, diminuendo di conseguenza la mobilità del foglietto lipidico quando è
presente in elevata concentrazione.
Anche le proteine integrali possono muoversi lateralmente come i lipidi. Però in questo caso il fatto che dal
lato citoplasmatico queste interagiscono con il citoscheletro, restringe la loro capacità di movimento fino a
interdirla del tutto se l’interazione è permanente. Tale mobilità di restrizione è dimostrata dal fatto che la
stessa proteina ha un grado di mobilità molto superiore quando inserita in una vescicola artificiale a doppio
strato lipidico, cioè il LIPOSOMA, simile alle micelle, con la differenza che il liposoma al centro contiene una
soluzione acquosa.
Asimmetria → dovuta alla distribuzione asimmetrica di alcuni lipidi e di molti peptidi e soprattutto alla
localizzazione esclusiva dei glucidi sulla faccia esoplasmatica della membrana, legati sia a proteine sia a
lipidi.
1. L’asimmetrica distribuzione di alcuni lipidi nelle due facce è correlata a specifiche funzioni cellulari. I lipidi
sono tutti sintetizzati a livello della faccia citoplasmatica del reticolo endoplasmatico, ma poi alcuni di essi
sono traslocati nel foglietto opposto a opera di specifici enzimi.
2. Contribuiscono proteine legate covalentemente ai lipidi e le proteine periferiche, quest’ultime
contribuiscono indirettamente tramite interazioni con la parte esterna delle proteine integrali o con la testa
idrofilia dei lipidi. Per quanto riguarda le proteine integrali, sequenze idrofobiche situati in differenti punti
della sequenza peptidica per le diverse proteine, interagendo con la componente lipidica, trattengono poi
le diverse proteine con diverso orientamento nella membrana del reticolo endoplasmatico. La proteina,
inserita in una vescicola, transita fino alla superficie della cellula dove, per fusione di tale vescicola, è
inserita con la parte che dava verso l’interno del reticolo endoplasmatico rivolta verso la faccia
esoplasmatica della membrana.
3. Per la stessa ragione, poiché la glicosilazione avviene all’interno del reticolo endoplasmatico, la parte
glicosilata di proteine e lipidi diviene componente della faccia esterna della membrana. Così carboidrati di
proteine e lipidi possono essere abbondanti alla superficie di alcune cellule dando luogo a uno spesso
rivestimento esterno che è il GLICOCALICE.

Dopo si è scoperto che, nella parte esoplasmatica della membrana, esistono regioni ricche di sfingolipidi e
colesterolo che creano domini ordinari che nuotano in un mare di fosfolipidi meno ordinati. Per questa
caratteristica a tali domini è stato dato il nome di zattere lipidice, dove la principale peculiarità sarebbe
quella di concentrare specifiche proteine coinvolte nella comunicazione cellulare.

GLICOCALICE
Complessi proteicomucopolisaccaridici, quindi costituito principalmente da glicoproteine e glicolipidi. Al
microscopio ottico vengono evidenziati con Alcion blu e Pas. Non è una struttura molto corposa dovuta alla
sua natura. Esempi di glicocalice:
• parete esterna delle cellule vegetali (cellulosa e pectine, quindi appare molto consistente in tali
cellule).
• lamine basali, che si intermpongono tra il tessuto epiteliale e il tessuto connettivo sottostante.
• zona pellucida degli ovociti e cellule uovo (glicoproteica e mucopolisaccaridica).
• cuticola di alcune cellule epiteliali.
Nei diversi tessuti il glicocalice avrà una funzione specifica in base al ruolo funzionale del tessuto. Essi
possono essere:
• di natura recettoriale di ciò che è proprio e di ciò che è estraneo. Ciò è sempre legato alla presenza
di recettori specifici. Quando è avvenuto il riconoscimento consentirà l’adesione.
• consente il mantenimento della carica elettrica, cioè è coinvolto nel trasporto di ioni che
contribuiscono a mantenere la differenza di potenziale a carico delle pompe ioniche, quindi dei
trasporti attivi che agiscono a cavallo della membrana.
• regola l’assorbimento.
• catalisi enzimatica, essendo costituita anche da glicoproteine.
• regolazione degli scambi, soprattutto a livello delle lamine basali.
• proprietà filtranti, soprattutto quelli che rivestono le cellule endoteliali.

PERMEABILITÀ DELLA MEMBRANA PLASMATICA


La membrana plasmatica delimita la cellula, permette però l’interazione con l’ambiente circostante con il
quale media gli scambi.
Per la sua composizione chimica non può essere completamente permeabile, perché le sostanze idrofobe
riescono ad attraversarla liberamente mentre quelle che sono idrofile no. Quindi le membrane sono
definite SELETTIVAMENTE PERMEABILI o SEMIPERMEABILI.
Essa tende a equilibrare la cellula secondo gradiente di concentrazione, tramite il flusso di sostanze o fluidi
attraverso la membrana. (Es. se è più concentrato il comparto interno si tende a farlo passare verso
l’esterno, quindi secondo gradiente di concentrazione finché non si è raggiunto l’equilibrio).
Possiamo classificare i trasporti in:
1. TRASPORTO PASSIVO → regolato dall’equilibrio di concentrazione, senza dispendio di energia.
- Diffusione semplice: l’unico principio che regola il trasporto è la
concentrazione senza dispendio di energia, quindi abbiamo una
tendenza all’equilibrio dove le molecole possono fluire liberamente
attraverso la membrana secondo gradiente di concentrazione. Ciò vale
solo per gas e piccole molecole non cariche, come etanolo e urea.
- Diffusione facilitata: abbiamo un trasporto secondo gradiente di
concentrazione ma le molecole non riescono ad attraversare il doppio
strato lipidico liberamente ad esempio a causa della dimensione, ma non
richiedono dispendio di energia. Però è necessario l’intervento di
proteine trasportatrici o di proteine canale, inserite nel doppio strato
lipidico che interverranno quando si parla di molecole
che non riescono ad attraversare per la dimensione (Es. il glucosio, che
verrà consumato per produrre ATP) o quando non riescono ad
attraversarla per carica elettrica.
Un tipo di passaggio molto particolare è quello dell’acqua detto OSMOSI. L’acqua attraversa la
membrana cellulare passando da una soluzione più diluita (ipotonica) ad una soluzione più
concentrata (ipertonica). Il passaggio può avvenire mediante diffusione sia semplice sia facilitata. La
diffusione facilitata in questo caso è mediata da specifici canali detti acquaporine → una classe di
proteine integrali che forma pori per il passaggio selettivo dell’acqua. Sono costituite da 4
sottounità proteiche, ognuna delle quali agisce come un canale. L’architettura di ognuno di essi è
tale da far passare molecole d’acqua in fila singola, mentre la forza elettrostatica del suo interno
impedisce il trasporto di qualsiasi molecola carica. Il cattivo funzionamento delle acquaporine è
connesso con molte malattie come il diabete insipido.
Nella maggior parte delle cellule dell’uomo e in condizioni normali l’ambiente extracellulare è
isotonico con quello del citoplasma delle cellule. Di conseguenza generalmente l’acqua non entra e
non esce attraverso la membrana plasmatica. Però la regolazione del suo passaggio è cruciale nel
funzionamento di molto processi biologici come l’assorbimento dalla dieta a livello intestinale e il
riassorbimento a livello renale.

Proteine trasportatrici
Il trasporto è specifico, poiché ogni molecola attraversa la membrana all’interno del suo specifico
trasportatore. Il GLUT1 (trasportatore del glucosio) è uno dei trasportatori più noti.
Le proteine trasportatrici possono lavorare in condizioni di:
• UNIPORTO, cioè la proteine lega e trasporta una sola molecola alla volta, quindi una sola specie
molecolare. Tale trasporto avviene solo secondo gradiente di concentrazione (diffusione facilitata).
• COTRASPORTO, in grado di trasferire due diverse sostanze di cui una secondo gradiente ed una
contro gradiente . Si divide in:
- ANTIPORTO, cioè lega due molecole diverse però una la conduce in una direzione
ed una in direzione opposta (pompa Sodio-Potassio).
-SIMPORTO, cioè lega due molecole diverse ma le porta nella stessa direzione.

Proteine canale
Le proteine canale permettono il passaggio di acqua e di determinati ioni in condizioni favorite, cioè
secondo il gradiente di concentrazione o il gradiente elettrico. Esse hanno, all’interno della sequenza
peptidica che attraversa lo strato lipidico, un dominio idrofilico nel quale si possono muovere velocemente
molti ioni in singola fila. A differenza dei trasportatori, le proteine canale possono essere aperti o chiusi. La
loro apertura, quando sono chiusi, può avvenire in seguito a precisa segnalazione.
2. TRASPORTO ATTIVO → contro gradiente di concentrazione, quindi quando le sostanze si spostano
da una regione in cui sono meno concentrate verso una regione in cui sono fortemente concentrate
a spese di energia fornita da ATP mitocondriale. Necessita di un mediatore. Le proteine lavorano
come pompe ioniche sulla membrana plasmatica, cioè continuano a pompare ioni mantenendo i
potenziali di membrana. Esse sono quindi proteine trans membrana con uno o più siti di legame per
l’ATP dal lato citoplasmatico.
Es principale:
Pompa ionica Sodio-Potassio → regola a livello di membrana il mantenimento del potenziale di
membrana. Essa lega 3 ioni Sodio nel citoplasma e li porta fuori dalla cellula, prende 2 ioni Potassio
e li porta dentro (entrambi hanno carica positiva), così la concentrazione di Sodio è maggiore
all’esterno della cellula e quella di Potassio è maggiore nel citosol. Ciò è possibile grazie all’idrolisi
dell’ATP perché se non ci fosse, la proteina non subirebbe la modificazione conformazionale che
serve a liberare il sodio dalla parte opposta per poter accettare il potassio in entrata. All’interno c’è
una grande quantità di componente proteica che conferiscono ulteriore carica negativa, ciò porta
ad un accumulo di cariche negative all’interno rispetto all’esterno per conferire un potenziale di
membrana sufficiente.
Tutte le membrane biologiche non regolano un flusso ionico di carica elettrica positiva e negativa
quindi a cavallo tra l’interno e l’esterno della cellula non esiste un equilibrio di cariche elettriche,
ma avremo un eccesso di cariche positive all’esterno della membrana e un accumulo di cariche
elettriche negative nella parte interna della membrana. Questa differenza di potenziale elettrico è
stata misurata e quantizzata dai fisiologi ed è un range che varia in base alla tipologia di cellula tra
-70 mV e -90 mV, noto come POTENZIALE DI MEMBRANA. Gli impulsi viaggiano attraverso la
membrana variando questo potenziale elettrico.
Oltre alle pompe, che mantengono costante questa differenza di concentrazione dei due ioni, ci
sono anche dei canali che favoriscono il passaggio. I canali K+ sono quasi tutti aperti e quelli Na+
sono per la maggior parte chiusi. Ciò costituisce il meccanismo di base che genera un potenziale
elettrico transmembrana di circa 70 mV.
Il Trasporto Attivo genera un gradiente di concentrazione perché concentra ioni Sodio all’esterno e ioni
Potassio all’interno.
Il trasporto attivo può distinguersi in primario e secondario.
Ogni volta che la pompa Sodio-Potassio fa questa sua attività all’esterno si crea un gradiente di
concentrazione per gli ioni Sodio che viene spesso dissipato in un’altra attività di COTRASPORTO (Simporto)
cioè di glucosio e sodio. Ciò fa capire che il trasporto del glucosio all’interno della cellula avviene anche se
non c’è un reale gradiente di concentrazione di glucosio perché il suo trasportatore sfrutta anche il rientro
del Sodio, quindi sfrutta un gradiente di concentrazione che è stato generato con consumo di energia, cioè
quella che si era dissipata per consentire alla pompa di spingere gli ioni sodio all’esterno.
Quindi abbiamo un trasporto attivo secondario quando si ha un trasporto apparentemente senza consumo
di energia, quindi secondo gradiente, ma tale gradiente è il risultato di un trasporto attivo primario.

Negli altri due casi di trasporto sarà necessaria la formazione di vescicole, quindi la membrana partecipa
attivamente perché deve accogliere vescicole che si fondono con essa oppure generare vescicole che si
staccano dalla membrana stessa.
3. ESOCITOSI → si fa riferimento a prodotti di sintesi della cellula (proteine o ormoni) che essa deve
esocitare, cioè che deve portare all’esterno, come enzimi destinati a svolgere le loro funzioni
all’esterno della cellula. Chi sintetizza sono i ribosomi o il reticolo endoplasmatico che ha una
regione adibita alla sintesi delle proteine e l’altra alla sintesi di ormoni di natura lipidica, quindi
avremo il coinvolgimento di più comparti citoplasmatici.
Queste vescicole si saranno formate dal reticolo endoplasmatico, saranno passate dall’apparato del
Golgi per poi raggiungere la membrana, si fonde con essa e libera il suo contenuto all’esterno.
L’esocitosi è importante anche per la costruzione della membrana plasmatica e della matrice
extracellulare dei tessuti.
In molte cellule l’esocitosi si verifica in zone specializzate della superficie cellulare e in molti casi un
dominio della cellula secerne alcune proteine, mentre altre sono secrete da domini diversi. Es.
sistema digerente.
Nell’esocitosi la secrezione può essere:
• Secrezione costitutiva → quando tutto ciò che viene sintetizzato viene riversato all’esterno
continuamente, quindi senza l’intervento di particolari stimoli.
• Secrezione regolata → ad esempio nel caso degli ormoni che non vengono liberamente
rilasciati ma solo se è necessario. Vengono sottoposti ad un controllo ormonale, cioè
vengono rilasciati da sistemi di controllo a feedbeek positivi o negativi. Quindi in questo
caso la cellula sintetizza ma accumula queste vescicole all’interno della cellula finché non
arriva l’input che dice di rilasciarli.
Esempi sono le vescicole sinaptiche, contenenti i neurotrasmettitori, che vengono esocitate
solo all’arrivo di un impulso nervoso.

4. ENDOCITOSI → la cellula internalizza un prodotto che si trova all’esterno, dopodiché questo viene
rivestito tramite la creazione di una vescicola. Il destino di tale prodotto è quello di essere digerito
perché la cellula lo deve utilizzare e tale digestione avviene ad opera dei lisosomi, originati dal
reticolo endoplasmatico e dalla modificazione che subisce nella faccia liscia dell’apparato del Golgi.
Quindi si avrà la fusione di un lisosoma con la vescicola per andare incontro al processo di
digestione.
Quindi quando si parla di esocitosi ed endocitosi realmente si parla di un traffico vescicolare che avviene
all’interno della cellula e che richiede il coinvolgimento dei sistemi membranosi.
Nel momento in cui abbiamo un esocitosi e la vescicola si fonde con la membrana, essa viene arricchita con
un pezzetto che prima non aveva, ma non avremo comunque una membrana più grande perché se da un
lato abbiamo l’esocitosi dall’altro avremo l’endocitosi quindi c’è sempre un equilibrio dinamico, un
processo Bidirezionale.

Di endocitosi ne esistono due tipi:


• Endocitosi libera :
- PINOCITOSI → si dice che la cellula “beve”( in maniera falsa) perché in realtà la cellula internalizza
piccole particelle che sono in soluzione nell’acqua extracellulare. Quindi quando si forma la
vescicola viene internalizzata una buona quantità di acqua extracellulare ma l’obbiettivo della
cellula sono quelle particelle di piccole dimensioni. Secondo le dimensioni delle gocciole assunte si
distingue una macropinocitosi, evidenziabile anche al microscopio ottico, ed una micro pinocitosi,
visibile solo al microscopio elettronico. Spesso numerose micro vescicole, dopo il distacco dalla
membrana plasmatica, si fondono per formare un unico endosoma.
- FAGOCITOSI → si internalizzano molecole di grosse dimensioni che possono essere porzioni di
cellule o anche microrganismi, a scopo di alimentazione o di difesa. Ciò avviene ad esempio a
carico dei macrofagi che sono cellule specializzate nella fagocitosi che, mediante dei recettori,
riconoscono e fagocitano i microrganismi infettanti dopo che questi sono stati rivestiti dagli
anticorpi prodotti dall’organismo in risposta all’infezione. Dopodichè procedono con la loro
demolizione e rimozione.
Dopo l’adesione con la particella da fagocitare, la membrana della cellula si solleva in pieghe o in
pseudopodi che svolgono un’azione avvolgente mentre la porzione di membrana sottostante alla
particella s’introflette, trascinando infine la preda verso l’interno, contenuta in un FAGOSOMA.
L’emissione e il movimento degli pseudopodi durante la fagocitosi sono governati
fondamentalmente dall’intervento del citoscheletro e non prevedono la formazione di
rivestimenti simili a quelli di clatrina.
• Endocitosi mediata dal recettore:
si parla dei recettori specifici di membrana che sporgono da essa e che hanno il compito di captare
degli elementi, anche se in piccola quantità, che devono necessariamente essere internalizzati. Ad
esempio il Ferro che serve in piccole quantità al nostro organismo ma è necessario per il corretto
funzionamento dei trasporti dei gas circolatori, quindi dell’emoglobina. I nostri eritrociti hanno una
vita media di 120 giorni, nel momento in cui vanno incontro a distruzione il Ferro non va perso ma
sarà riutilizzato. Quindi ciò vuol dire che sulle membrane cellulari ci saranno dei recettori specifici
per il ferro. In questo caso ci sarà anche la compartecipazione di proteine specifiche che facilitano il
processo di invaginazione per la formazione della vescicola.
Speso il riconoscimento è indiretto, come nel caso dei macrofagi, il quale può riconoscere e
fagocitare antigeni diversi, tutti resi riconoscibili dallo stesso recettore per le porzioni costanti
dell’anticorpo, cioè la parte che si lega al recettore. O abbiamo anche un riconoscimento diretto,
grazie al legame di recettori del fagocito con specifici oligosaccaridi presenti sulla superficie di
alcuni batteri.
In ogni caso l’endocitosi viene facilitata dalla presenza di una proteina citoplasmatica che prende il nome di
CLATRINA che ha il compito di polimerizzare tirando verso il citoplasma la membrana che si sta invaginando
facilitando e accelerando l’invaginazione della vescicola.
Quindi lungo la membrana ci saranno recettori cellulari che guardano verso l’esterno della cellula, invece
sul versante citoplasmatico ci sarà la disposizione della clatrina.

Nel momento in cui il ligando è presente, il recettore lo lega. Ciò determina spesso un fenomeno detto
reclutamento dei recettori dove i recettori attivati diffondono lateralmente per concentrarsi in un’area della
membrana dove si formerà la fossetta rivestita. Il legame tra recettore e ligando attiva la clatrina che
comincia a polimerizzare a formare una struttura a 3 bracci che prende il nome di triscele, tra di essi si
formano angoli di 120° l’uno. Questi trisceli polimerizzano ulteriormente formando dei cestelli di clatrina,
una struttura convessa a forma di canestro, formando esagoni e pentagoni alternati, che ingabbia la
vescicola e la tira verso il citoplasma. Il risultato finale è quello di una VESCICOLA AMMANTATA, perché è
come se avesse un mantello di clatrina all’esterno. All’interno di essa invece troviamo il recettore con il
ligando. Il recettore invece interagisce con la clatrina grazie a proteine intermediarie, dette adaptine.
Esistono vari tipi di adaptine, capaci di interagire con recettori diversi.
Nel distacco della vescicola rivestita della membrana interviene un’ulteriore proteina dotata di attività
GTPasica, detta dinamina. Inibendo l’drolisi del GTP si impedisce il distacco delle vescicole, che rimangono
collegate alla membrana da un lungo collo che continua ad accrescersi. Numerose subunità di dinamina
formano un avvolgimento a spirale attorno alla base della vescicola e, con l’intervento di altre proteine, ne
determinano un restringimento creando un collo e, infine, il distacco della vescicola.
Una volta che si ha l’internalizzazione della vescicola, la clatrina ha finito il suo compito e si stacca tornando
a disporsi sotto la membrana plasmatica pronta ad intervenire per un nuovo processo di invaginazione,
invece all’interno della vescicola continua a permanere il recettore insieme al ligando il quale dovrà essere
digerito dalla cellula per poterlo utilizzare, invece il recettore dovrà essere restituito integro.
Un attimo prima che avvenga la fusione con il lisosoma si viene a creare una vescicola anonima che prende
il nome di CURL (modificazione della vescicola), che è un compartimento di dissociazione del ligando dal
recettore, dove i recettori scarichi si sono diffusi lateralmente nella membrana dell’endosoma per
concentrarsi in una zona. Quindi nel CURL avremo in una porzione l’accumulo dei ligandi, nell’altra porzione
la membrana con i suoi recettori. Il CURL si scinde in due porzioni dove la porzione di membrana
contenente i recettori torna alla membrana e si rifonde ripristinando i recettori; l’altra porzione si va a
fondere con il lisosoma formando il FAGOLISOSOMA, cioè il comparto di digestione.

In alcuni casi di pinocitosi, sulla faccia citoplasmatica della fossetta è presente una proteina, la caveolina,
che forma rivestimenti con un aspetto diverso da quello della clatrina. Nell’endocitosi mediata da caveolina
le molecole endocitate vengono traslocate al RER o all’apparato di Golgi.

CITOSCHELETRO
Il citoscheletro è un’impalcatura tridimensionale, una sorta di rete, altamente dinamica di natura proteica
che sta all’interno del citoplasma cellulare e che determina alla cellula una sua organizzazione spaziale,
quindi una forma. Inoltre esso garantisce l’ordine perché all’interno del citoplasma non regna il caos, ma gli
organuli, i sistemi membranosi e il nucleo sono tutti ben organizzati.
Sappiamo che la forma delle cellule varia in base alla funzionalità cellulare, e anche tali variazioni
conformazionali sono regolati dal citoscheletro.
Si parla di “impalcatura” ma allo stesso tempo di struttura “dinamica” perché il citoscheletro è costituito da
tre diverse componenti proteiche dove i nomi sono legati alle dimensioni:
• Microtubuli di tubulina → più spessi con diamentro di 26 nm circa.
• Microfilamenti actinici → più sottili, con diametro di 8 nm circa.
• Filamenti intermedi → sono un po’ più spessi dei filamenti actinici, ma ben più sottili dei
microtubuli con diamentro intorno ai 10 nm.

Microtubuli e Microfilamenti actinici sono costituiti dall’associazione, cioè dalla polimerizzazione, di


proteine globulari, quindi si devono associare per costituire le strutture filamentose. Per questo sono
componenti altamente dinamiche, cioè sono in grado di polimerizzare quando e dove servono e
depolimerizzare una volta esplicata la loro funzione.
Questa dinamicità in termini di sintesi e degradazione consente alla cellula di variare la sua forma e di
permettere la mobilità e il movimento degli organuli intermembranosi all’interno del citoplasma.
(Esempio → FUSO MITOTICO che è una struttura costituita da microtubuli, ed appare quando la cellula si
deve dividere. Tali microtubuli polimerizzano allungandosi quando servono per andare ad agganciare i
cromosomi, in questo caso, e depolimerizzano quando la separazione è avvenuta e non servono più.)
I Filamenti intermedi sono costituiti già in partenza da proteine filamentose, quindi sono l’unica
componente citoscheletrica stabile. Ciò si giustifica anche per la funzione, cioè costituire una continuità
citoscheletrica, infatti sono presenti nelle giunzioni aderenti. I filamenti si hanno sempre dall’associazione
di catene proteiche e sono i desmosomi che, a livello delle placche che ogni cellula forma verso il proprio
citoplasma, vanno ad ancorare tali filamenti intermedi andando a formare CATENE PROTEICHE.

1. MICROTUBULI:
- costituiscono un’impalcatura cilindrica cava di proteine globulari di tubulina, lungo la quale avviene il
traffico vescicolare.
(Esempio: le vescicole del tessuto nervoso che portano i prodotti di sintesi, arrivano alle sinapsi grazie a
dei binari molecolari che sono costituiti proprio dai microtubuli, quindi li possiamo trovare in tutto il
citoplasma. Dunque le vescicole camminano nella cellula lungo i microtubuli grazie alle proteine
trasportatrici.)
- Di tubulina ne esistono 2 tipologie: α tubulina e β tubulina.
Il processo di polimerizzazione non avviene con l’aggiunta di un monomero alla volta, ma prima si devono
formare i DIMERI, dove un dimero è costituito dall’associazione di un’α tubulina ad una β tubulina.
Essendo formato da due subunità diverse è definito “ETERODIMERO”. L’affinità esistente tra α- e β-
tubuline è elevata, tanto che nel citoplasma ritroviamo solo eterodimeri, mentre non è possibile rinvenire
monomeri tubulinici liberi. Questi eterodimeri si associano tra di loro formando un filamento, costituito
quindi dall’alternanza di α tubulina e β tubulina, che prende il nome di PROTOFILAMENTO. Però un
microtubulo completo è dato dall’associazione di 13 protofilamenti che si richiudono a formare una
struttura cava con un diametro di 24-26 nm. Invece un passo di eterodimero è di circa 8 nm.
- Una volta che il microtubulo si è organizzato con la sua struttura cava, si potranno individuare:
• un’estremità + → dove è più rapido l’avvicinamento degli eterodimeri, cioè è l’estremità in cui si ha
l’aggiunta e quindi l’allungamento del microtubulo. Avviene la POLIMERIZZAZIONE.
• un’estremità - → dove è più rapido l’allontanamento degli eterodimeri, cioè è l’estremità in cui essi
si staccano, quindi il microtubulo si riduce in termini di dimensione. Avviene la
DEPOLIMERIZZAZIONE.
(Quindi nel caso dell’esempio precedente dove la vescicola viene veicolata dai microtubuli verso la sinapsi,
essi polimerizzano in direzione sinapsi.)
Quindi si ha la polimerizzazione da un lato e la depolimerizzazione dall’altro. L’estremità che polimerizza, lo
fa verso la direzione in cui è diretto il filamento, e prende i nuovi microtubuli da attaccare alle sue spalle,
cioè quelli che verranno staccati dall’estremità - per depolimerizzazione.
Dunque si parla di strutture altamente dinamiche perché presentano due poli, non in termini di carica
elettrica ma di aggiunta oppure di distacco dei dimeri.
- La polimerizzazione della tubulina è positivamente influenzata dalla presenza di proteine ancillari ed è
temperatura-dipendente, cioè procede speditamente a temperature superiori a 30 °C, mentre le basse
temperature, oltre a inibire l’assemblaggio degli eterodimeri, favoriscono la depolimerizzazione del
polimero. Ciò non è valido per l’actina.
- Al termine della polimerizzazione si giunge ad uno steady-state, dove una piccola quantità di dimeri
rimane in equilibrio dinamico con il polimero neoformato, dove il sistema risulta altamente dinamico.
Inoltre nei microtubuli, differentemente dall’actina, esiste un fenomeno chiamato instabilità dinamica,
che non altera le concentrazioni relative delle specie molecolari presenti ma determina la variazione in
lunghezza e conseguentemente in numero dei microtubuli.

- La moneta energetica per la polimerizzazione è la guanosin-trifosfato, cioè GTP → costituito dalla guanina,
ribosio e 3 gruppi fosfato.
Le α-tubuline legano una molecola di GTP a livello di un sito ad altissima affinità, la quale si conserva
durante tutto il processo di polimerizzazione e non viene mai idrolizzato.
Le β-tubuline intrappolano una molecola di GTP a livello di un sito a bassa affinità, la quale viene
idrolizzata durante la formazione del polimero.
Le tubuline inoltre posseggono un sito ad altà affinità per gli ioni metallici bivalenti (magnesio e calcio),
mentre sembrano indifferenti all’azione degli ioni monovalenti (potassio).

- Per essere visti al microscopio possono essere marcati con un fluorocromo. Si usano degli anticorpi ed
essendo che i microtubuli sono fatti da tubulina posso usare l’antitubulina marcata con il fluorocromo.
L’anticorpo andrà a legarsi esclusivamente con la tubulina mettendoli in evidenza.

I microtubuli possono essere anche stabili, ed il fatto che siano instabili o stabili dipende dal ruolo che
devono svolgere.

MICROTUBULI STABILIZZANTI
- Centrosoma
I microtubuli possiamo trovarli anche stabilizzati, esattamente in strutture che sono sempre presenti nel
citoplasma cellulare e che servono per la funzionalità della cellula.
Sappiamo che il fuso mitotico si forma quando serve ma scompare subito dopo. La sua formazione parte da
strutture stabilizzanti che sono i CENTRIOLI → strutture citoplasmatiche costituite da 9 triplette di
microtubuli che si associano tra di loro.
In una tripletta di microtubuli uno solo sarà completo, cioè costituito dai 13 protofilamenti e sarà quello più
vicino all’asse centrale, il secondo ed il terzo si completano addossandosi al precedente, quindi sono
costituiti da un numero minore di protofilamenti cioè 10 che si completeranno dall’associazione con il
microtubulo completo. Inoltre il primo protofilamento di ogni tripletta è legato all’ultimo della tripletta
vicina da una linea densa.

Ogni cellula non possiede un solo centriolo, ma una coppia di centrioli che va a formare il CENTROSOMA,
noto come “centro di organizzazione microtubulare” perché sono i centrosomi a regolarizzare il processo di
polimerizzazione dei microtubuli, quindi ad organizzare il fuso mitotico tramite un controllo spaziale, cioè
numero di microtubuli, localizzazione, orientamento ecc.. I centrioli per andare a formare il centrosoma
sono disposti perpendicolarmente uno all’altro e non parallelamente.
Mentre nella cellula in interfase c’è un solo centrosoma, quando la cellula si prepara per entrare in
divisione duplica i centrioli in modo da avere due centrosomi che si vanno a posizionare ai poli opposti della
cellula e da ciascun polo inizierà il processo di polimerizzazione dei microtubuli del fuso, che avranno il
compito di raggiungere il centro della cellula per agganciare i cromosomi e separarli ai poli opposti.

- Ciglia e Flagelli
Ciglia e Flagelli hanno una struttura di base fatta da microtubuli, che li vanno a sorreggere, ma come i
centrioli devono essere microtubuli stabili, perché devono essere strutture che esistono in maniera
permanente. Ciglia e Flagelli si distinguono solo per il fatto che i flagelli sono meno numerosi e più lunghi.
Oltre le CELLULE CILIATE, esistono anche i VILLI (o MICROVILLI) → che sono più piccoli. Essi rappresentano
delle specializzazioni della membrana plasmatica. La differenza sarà che mentre le ciglia sono supportate
all’interno da microtubuli quindi molto più corpose, i villi sono supportate dai microfilamenti actinici,
dunque c’è di mezzo sempre il citoscheletro, però con componenti diverse, quindi anche all’esterno della
cellula si propongono con un aspetto diverso.
Ciglia e Villi svolgono ruoli diversi:
- Le ciglia, così come i flagelli, sono legate al movimento. Le cellule ciliate si trovano in tutte quelle
strutture, in quegli epiteli, in cui è necessario creare un flusso che sia legato ad un setaccio, cioè al controllo
di ciò che sta passando, ad esempio nelle cavità nasali, oppure legato ad una attività di movimento, come
negli organismi unicellulari come lo spermatozoo.
Nelle cavità nasali il ruolo delle cellule ciliate è quello di veicolare oppure filtrare, perché nell’inspirazione
essi fanno in modo che non si introduca del particolato che non deve andare oltre, il quale viene bloccato e
lo starnuto permette di mandarlo all’esterno.
Nel caso dello spermatozoo, parliamo di CELLULA FLAGELLATA, l’unica esistente nell’organismo umano che
è in grado di essere mobile.
Inoltre per moltissimi piccoli animali che vivono in acqua queste strutture rappresentano il mezzo di
locomozione.
- I villi servono soprattutto ad aumentare la superficie di assorbimento. Quindi la funzione è proprio
diversa, di conseguenza è diversa la struttura.

Ciglia e Flagelli presentano una struttura molto simile, ma non uguale, ai centrioli.
Essi presentano una porzione libera, in grado di muoversi, ed una porzione infissa nella cellula.
La porzione libera è generalmente detta anche tratto espanso il quale è rivestito da una membrana di 9 nm
di spessore che si presenta come una continuazione della membrana plasmatica del polo apicale della
cellula. Nella sezione trasversale si nota che ciglia e flagelli sono costituiti da 9 coppie periferiche di
microtubuli, parallele tra di loro, più 2 microtubuli centrali, con una struttura definita “a ruota di carro”
nota come: 9 + 2. Non viene detto “9+1” riferito esclusivamente alle coppie perché ogni coppia periferica è
formata da un microtubulo completo più uno incompleto, invece la coppia centrale è costituita da due
microtubuli completi. Questa struttura 9+2 prende il nome di ASSONEMA, dunque tutta la parte libera che
fuoriesce dalla cellula e che si può flettere. Esso, dunque, è generatore delle forze motrici che sono alla
base del movimento cigliare e flagellare.

Tale struttura non è formata da coppie scisse tra di loro, ma devono essere necessariamente collegate,
anche perché se essi sono predisposti alla mobilità devono flettere, quindi deve essere un’attività di
coordinamento tra tutte le strutture che costituiscono le ciglia o i flagelli ed è appunto l’intera struttura che
si deve muovere. Dunque la parete del microtubulo più vicino al centro è completa cioè costituita da 13
protofilamenti, mentre quella dell’altro microtubulo è incompleta cioè costituita da 10-11 protofilamenti di
tubulina, ma si addossa all’altro, completando la sua parete.
Si formano:
- a circoscrivere la coppia centrale per tutta la sua estensione, un’impalcatura proteica a forma
elicoidale;
- dei punti di connessione che tengono ferma la coppia di microtubuli centrale che sono sempre
delle connessioni proteiche;
- dei raggi proteici che si devono diramare necessariamente dall’impalcatura che circonda la coppia
centrale per connetterla alle 9 coppie periferiche;
- NEXINA, ponti proteici che legano in periferia le 9 coppie di microtubuli periferici, dando una ruota
esterna chiusa;
- bracci di DINEINA, chiamate proteine MAP, cioè proteine che si legano all’estremità dei microtubuli
stabilizzandoli. Queste proteine impediscono il processo di polimerizzazione e depolimerizzazione
formando una sorta di cappuccio alle due estremità. Grazie ad essa, che è presente in ciglia, flagelli
e centrioli, i microtubuli diventano strutture stabili. Tale proteina è in grado di svolgere la propria
funzione stabilizzante solo nella sua forma defosforilata.
La DINEINA non è solo una proteina MAP, infatti si va ad associare in più punti del microtubulo,
quindi svolge una triplice funzione:
- proteina MAP → stabilizzatrice.
- proteina motrice → quando connette tra di loro i microtubuli, facendo sporgenza dal tubulo A e
collegandolo al tubolo B della coppia successiva, ne consentirà lo scorrimento, lo scivolamento,
degli uni sugli altri delle ciglia e dei flagelli per garantire la flessione di tali strutture atte alla
mobilità. Tale interazione è ciclica.
- ATP asi → funzione opposta a quella dell’ATP sintetasi, quindi ha la funzione di scindere ATP per
liberare energia che servirà per garantire lo scorrimento dei microtubuli gli uni sugli altri.
Differenza con il FLAGELLO → esso non è avvolto da membrana.

La porzione infissa costituisce il punto in cui ciglia e flagelli si inseriscono nella cellula, quindi essi si
originano dalla cellula, cioè alla base della porzione citoplasmatica cellulare che prende il nome di CORPO
BASALE, dove si troverà necessariamente un centriolo, perché è esso in grado di organizzare e guidare la
formazione dei microtubuli, quindi dalla base parte l’input per la polimerizzazione. (Invece nel caso del fuso
mitotico ciò che dava l’input era la coppia dei centrioli, quindi il centrosoma).
Il primo passo consisterebbe nell’espansione, da parte del centriolo, del materiale centrosomale che lo
circonda, questo porterebbe alla formazione di vari siti di nucleazione in grado di dar luogo ad altrettanti
corpi basali. Quest’ultimi, a loro volta, sarebbero capaci di nucleare direttamente le relative strutture
assonemali. Solo i tubuli A e B delle triplette centriolari cominciano ad allungarsi per andare a formare le
coppie periferiche del sistema 9+2. La coppia centrale si forma ex novo, senza alcuna dipendenza dai
microtubuli del centriolo, a partire dalla zona di confine tra corpo pasale e assonema. La membrana
plasmatica segue e asseconda la crescita microtubulare.
Tale porzione infissa comprende anche la PIASTRA BASALE, la quale è posta tra l’assonema e il corpo basale
e il sistema delle radici (radichette cigliari), le quali sono delle fibre che emergono dal corpo basale.
A livello della piastra basale la coppia di microtubuli centrali si interrompe, mentre le coppie di microtubuli
periferici continuano con il primo e il secondo protofilamenti della tripletta del corpo basale.

Le ciglia e i flagelli, essendo che devono avere la capacità di filtrare, di movimento, di accompagnare il
liquido o l’aria, devono avere necessariamente in base alla direzione del movimento un andamento di
spinta e di ritorno. Quindi si ha una continua flessione, un continuo scivolamento dei microtubuli nella
ruota di carro.

Motilità microtubulo-mediata
La motilità legata ai microfilamenti sia quella legata ai microtubuli presentano meccanismi molecolari
d’azione simili. Entrambe sono attribuibili all’interazione, ATP-dipendente, fra una struttura polimerica
(microfilamento o microtubulo) polarizzata e una proteina, ad attività ATPasica, detta proteina motore,
capace di muovere la struttura polimerica in un unico senso di moto rispetto alla polarità presentata dal
polimero. Tutte le PROTREINE MOTORE → sono molecole proteiche formate dall’unione di più polipeptidi
differenti (struttura quaternaria), presentano, ad una delle estremità, una o più formazioni globulari, dette
teste, le quali, in presenza di ioni metallici (calcio, magnesio), acquistano la capacità di idrolizzare l’ATP. Le
teste sono in grado di sfruttare l’energia liberata dall’idrolisi dell’ATP per compiere quel cambiamento
conformazionale che è alla base dell’evento motorio, dove ogni proteina è caratterizzata da un unico
movimento di moto, in relazione alla polarità del polimero interagente.

PROCEDIMENTO DEL MOVIMENTO CIGLIARE → la dineina in condizioni a riposo, è situata a 90° rispetto al
tubulo B che, quando arriva il segnale da parte del magnesio, avverrà l’idrolisi dell’ATP. Essa sfrutta
l’energia rilasciata per portarsi in una nuova configurazione spaziale, caratterizzata da un angolo di 45°
rispetto alle formazioni tubulari. Qui avviene l’aggancio tra dineina e tubulo B. Il rilascio dei prodotti di
idrolisi permette il ritorno della dineina alla posizione iniziale (90°). L’arrivo di una nuova molecola di ATP
favorisce il distacco della dineina dal microtubulo e l’inizio di un nuovo ciclo.
Il ciglio (o il flagello) presenta un moto complesso, in cui l’intera struttura si inclina, ripiegandosi. Dunque, le
ciglia non si accorciano per poi tornare alle dimensioni primitive ma cambiano inclinazione. Le coppie micro
tubulari ancorate alla piastra basale, non potendo scivolare reciprocamente, tendono, sotto la spinta dei
bracci di dineina, a inclinarsi, portando al ripiegamento del ciglio.

Se si ha il flagello o la parte ciliare libera ferma e si fa una sezione trasversale, si riconoscerà la struttura
9+2. Ma se la struttura ciliare o flagellare la si lascia flettere in una direzione, se si andasse a fare nella
porzione apicale una sezione trasversale non ci sarà la ruota 9+2 perché i microtubuli che sono più interni e
accompagnano la curva ci saranno tutti, ma quelli più esterni che dovrebbero compiere più movimento non
ci arrivano, quindi in base alla piegatura, cioè alla flessione, che la struttura subisce, andando a fare la
sezione nella parte più distale non ci sarà più la struttura 9+2, ma ci sarà una parte della ruota mancante e
manca di quella porzione che sta facendo la curva esterna e che necessariamente si ferma prima perché
sono microtubuli stabilizzati, quindi non possono polimerizzare e depolimerizzare, ma quella è la loro
dimensione e quella deve rimanere permanente.

2. MICROFILAMENTI ACTINICI:
- sono costituiti da actina. I microfilamenti rappresentano la forma polimerica (F-actina) dell’actina
globulare (G-actina). Le isoforme di actina sono minime e riconducibili alla sostituzione di qualche residuo
aminoacidico nella struttura primaria.
Si indicano con: α le isoforme muscolari (dette anche sarcomeriche) e con β e γ quelle citoplasmatiche
(proprie delle cellule non muscolari).
- I microfilamenti di actina sono costituiti da due file di monomeri globulari (a collana di perle) avvolti in
doppia elica.
- Anche in questo caso ci saranno estremità diverse:
• un lato con attività polimerizzante maggiore, che acquisterà monomeri;
• un lato con attività depolimerizzante maggiore, che perderà monomeri.
Le attività, così come nei microtubuli, possono invertirsi, ma ci sarà sempre un lato che polimerizza e un
lato che depolimerizza. Quindi da una parte si staccano e dall’altra si legano in modo da avere una
situazione di equilibrio dinamico.
- La moneta energetica per la polimerizzazione è l’ATP, come classicamente è nella cellula.
La G-actina presenta vari siti di interazione per composti differenti. Uno di questo è quello dell’ATP. Ogni
monomero è legato ad una molecola di ATP, la quale viene idrolizzata durante la polimerizzazione in ADP,
che rimane legata alle subunità proteiche costituenti il polimero. Quando una subunità, costituente un
filamento, viene rilasciata (in presenza di ATP libero), l’ADP legato al polipeptide viene velocemente
scambiato con l’ATP.
- In questo caso ci sono 4 fasi per la polimerizzazione dei microfilamenti:
• ATTIVAZIONE DEL MONOMERO
• NUCLEAZIONE
• ALLUNGAMENTO
• ANNEALING (O RICUCITURA)
- Essi necessitano di una fase di attivazione che consiste nel cambiamento conformazionale subìto dalla
molecola proteica in seguito all’occupazione, da parte del magnesio, del sito ad alta affinità per gli ioni
metallici bivalenti. Ciò porterà alla nucleazione nella quale è necessario che un numero esiguo di subunità
di actina si associno tra di loro a formare un piccolo nucleo di 3-4 subunità. Se prima non si crea questo
nucleo il processo di allungamento, e quindi di polimerizzazione del microfilamento, non parte. Quindi se
α tubulina e β tubulina dei microtubuli si associano spontaneamente per formare il dimero i quali poi
polimerizzano, nei microfilamenti actinici, essendo formati esclusivamente da actina globulare che deve
polimerizzare per dare actina filamentosa, il processo non avviene spontaneamente se non a nucleazione
avvenuta. Attivazione e nucleazione comprendono un periodo in cui la formazione di polimeri è quasi
nulla e richiedono una grande quantità di energia.
L’allungamento prevede l’aggiunta di nuovi monomeri a entrambe le estremità dei nuclei di
polimerizzazione ed è la fase più veloce di tutto il processo.
Durante l’annealing i filamenti corti si legano insieme a formare polimeri di lunghezza maggiore. Questa
fase non prevede variazioni nella quantità di polimero. Al termine si raggiunge uno stadio stazionario
detto steady-state, che è una fase di marcato dinamismo. In pratica non tutta l’actina è polimerizzata ma
permane sempre una piccola quantità di monomero che viene comunemente indicata come
concentrazione critica. Allo steady-state le concentrazioni del polimero e del monomero non cambiano,
ma una certa quantità di monomeri allo stadio stazionario continua a essere incorporata nei filamenti dal
lato polimerizzante, mentre dall’altro dei medesimi filamenti rilasciano nel mezzo ambiente un’eguale
quantità di subunità. Dunque il flusso sarà unidirezionale. Ogni tipo di movimento è reso possibile
dall’intervento di una delle cosiddette proteine motore (in questo caso la miosina) che, idrolizzando ATP,
fornisce l’energia necessaria all’evento motorio.
- I microfilamenti si trovano associati alla membrana.
La divisione cellulare avviene anche grazie alla formazione di un anello contrattile di microfilamenti
actinici, che strozza il citoplasma di una cellula dividendola in due cellule figlie. In pratica essi si formano
polimerizzando, poi pian piano depolimerizzano sempre di più tanto da stringere l’anello contrattile finché
non strozza il citoplasma. Quindi si tratta di una struttura altamente dinamica che si forma quando serve e
non c’è quando non serve più.

- I microfilamenti actinici possono essere anche STRUTTURE STABILIZZANTI. Essi rappresentano la struttura
che sorregge i MICROVILLI o VILLI, che sono strutture stabili. Quindi anche qui ci deve essere qualcosa in
grado di stabilizzare tali microfilamenti, perché per eccellenza sono instabili, come i microtubuli. Dunque
se in una cellula ci sono, come nell’epitelio intestinale, devono essere permanenti perché sono una
specializzazione legata alla funzione che deve svolgere l’epitelio, che in questo caso serve ad aumentare la
superficie assorbente. Ciò vuol dire che il processo di polimerizzazione e depolimerizzazione nei
microfilamenti può essere stabilizzato, come viene stabilizzato anche nei microtubuli, stavolta da
PROTEINE ANCILLARI. Di tali proteine ce ne sono di diversi tipi, delle quali ognuna ha la sua funzione.

3. FILAMENTI INTERMEDI:
- “Intermedi” è dettato dalla dimensione intermedia in termini di diametro tra i microtubuli, più grossi, e i
microfilamenti actinici, più sottili.
- Tutte le proteine dei filamenti intermedi hanno forma bastoncellare.
- La peculiarità viene dal fatto che sono definiti tessuti specifici, perché la proteina che li costituisce è
specifica per ogni tipologia tessutale, quindi varia da tessuto a tessuto. Tali proteine possono essere
suddivise, nei vertebrati, in 5 classi:
• negli epiteli la proteine che costituisce i filamenti intermedi è la Cheratina. Esse comprendono un
gruppo numeroso di polipeptidi che, in funzione delle caratteristiche chimico-fisiche, sono
raggruppati in due classi: le cheratine di tipo I, dette anche cheratine acide, comprendono
molecole a punto isoelettrico e peso molecolare meno elevato. Le cheratine di tipo II, dette anche
cheratine neutro basiche, sono caratterizzate da un punto isoelettrico più alto e presentano una
massa molecolare maggiore.
I filamenti di cheratina sono sempre etero polimeri, cioè per la costruzione del filamento sono
necessarie almeno due molecole di cheratina differenti (acida e neutrobasica).
• nei tessuti di derivazione mesodermica, come il tessuto connettivo e il tessuto muscolare, sono
rispettivamente la Vimentina e la Desmina che, insieme alla proteina acida gliale, appartengono
alla III classe. Essi normalmente formano omopolimeri ed in opportuni condizioni sono capaci di
copolimerizzare dando origine a filamenti ibridi.
• nelle cellule nervose ci sono Neurofilamenti e le proteine prendono questo nome. Esse
rappresentano la IV classe e sono 3: catena leggera, catena media e catena pesante. La
componente a più basso peso molecolare polimerizza spontaneamente e può copolimerizzare con
le altre 2 componenti, le quali non sono in grado, da sole, di formare neurofilamenti.
• La periferina sembrava esclusiva dei neuroni del sistema nervoso periferico, ma di recente è stata
rinvenuta anche in neuroni del sistema nervoso centrale. Essa appartiene alla III classe e differisce
dagli altri polipeptidi del citoscheletro intermedio delle cellule nervose in quanto mostra una
spiccata omologia con la desmina e la vimentina.
• Il citoscheletro è presente anche a livello del nucleoplasma, cioè nella porzione di citoplasma
propria del nucleo, in modo che non collassi e che si mantenga la sua forma. Tale impalcatura
proteica in questo caso prende il nome di NUCLEOSCHELETRO, dove le proteine che costituiscono i
filamenti intermedi sono chiamate lamine le quali formano un sistema polimerico insolubile detto
lamina fibrosa. Esse appartengono alla V classe. Queste proteine sono strutturalmente simili alle
cheratine, deducibile dall’alto contenuto di glicina e serina.
• Le tectine sono proteine fibrose ed insolubili, associate ai microtubuli altamente stabili degli
assonemi cigliari e flagellari.
Dunque in base a qual è la proteina dei filamenti intermedi, si sa di quale tessuto stiamo parlando. Ad
esempio quando si parla di malattie tumorali, dalle metastasi si può capire qual è la sede di origine del
tumore andando a studiare le cellule e andando a vedere che tipo di filamenti intermedi presentano.
- Un’altra peculiarità che li differenzia dai microtubuli e dai microfilamenti actinici è la stabilità. Infatti essi
non subiscono il processo di polimerizzazione e di depolimerizzazione perché sono costituite da proteine
già filamentose, quindi non sono date da proteine globulari che si associano tra di loro per costituire dei
filamenti.
- Le proteine filamentose che li costituiscono si associano parallelamente a due a due tra di loro per
formare dei DIMERI, i cui rispettivi domini centrali interagiscono. Essi si associano a loro volta a due a due
per formare dei TETRAMERI che ognuno forma un PROTOFILAMENTO. Da essi si assoceranno a loro volta
in modo da formare le PROTOFIBRILLE, che andranno ad organizzarsi in queste strutture dette filamenti
intermedi, che formano delle CORDE che danno l’idea di una struttura robusta.

- Il fatto che i filamenti debbano essere delle strutture stabili è giustificato dalla loro funzione, li troviamo
particolarmente nelle giunzioni aderenti che servono per connettere le cellule per dare una resistenza alle
pressioni esterne, dove le cellule si adattano modificando la loro forma ma rimangono strettamente adese
le une alle altre.
- Nel citoplasma, tutte le proteine dei filamenti intermedi si trovano aggregate nella loro forma polimerica.
Ciò significa che non esiste un equilibrio tra monomeri (o dimero) e polimero. Nonostante i filamenti
intermedi siano strutture stabili, in alcuni casi, come nelle cellule in mitosi, è possibile assistere a
cambiamenti dell’assetto spaziale dei filamenti intermedi. Quando la cellula è in procinto di duplicarsi,
infatti, i filamenti intermedi sembrano concentrarsi in formazioni sferoidali (a gomitolo) che si ripartiscono
equamente nelle cellule figlie e da cui, al termine della citodieresi, viene ricreato il reticolo. È stato
dimostrato che tutti i polipeptidi che partecipano alla costruzione dei filamenti intermedi vengono
fosforilati da diverse chinasi. Dunque la fosforilazione enzimatica sembra essere uno dei meccanismi di
regolazione del loro assemblaggio.
- Anche i filamenti intermedi, come le altre componenti citoscheletriche, vengono aiutati nello svolgimento
della loro funzione da proteine ancillari, denominate proteine associate ai filamenti intermedi (IFAP), che
modificano l’architettura dei filamenti intermedi stessi.

SPECIALIZZAZIONI DI MEMBRANA
La membrana plasmatica va a circoscrivere la cellula ma la deve anche mettere in relazione all’ambiente
circostante, ciò vuol dire che le cellule comunicano tra di loro e aderiscono.
Ci sono anche dei sistemi che garantiscono alle cellule un contatto con le cellule che le stanno vicine, con
tutto l’ambiente esterno ed anche con cellule di diversa tipologia e funzione.
Sulla superficie libera che guarda verso l’esterno, come gli epiteli di rivestimento, ci sono delle ulteriori
specializzazioni, che in base al distretto corporeo in cui quel tessuto si trova a funzionare avranno un loro
ruolo fisiologico.
Ad esempio le cellule dell’intestino hanno un ruolo di assorbimento, essi presentano dei villi intestinali che
sono delle espansioni che aumentano la superficie di contatto, esattamente sono specializzazioni della
membrana plasmatica nella porzione apicale, quella che va nel lume intestinale. Mentre lateralmente, con
le cellule che stanno vicino, ci saranno dei sistemi giunzionali che collegano le cellule. Anch’essi sono
specializzazioni della membrana. Ad esempio in questo caso dell’intestino, le sostanze che vengono
assorbite dovranno essere mistate fluendo attraverso i tessuti connettivi che stanno sotto queste cellule
epiteliali. Gli epiteli sono connessi al tessuto connettivo tramite le lamine basali (es. di glicocalice).

DIVERSI TIPI DI SPECIALIZZAZIONI


Le specializzazioni della superficie cellulare libera possono essere a carico della superficie libera, della
porzione apicale che si può presentare come:
• ORLETTO A SPAZZOLA (es. microvilli che troviamo nell’epitelio gastrointestinale)
• ORLETTO STRIATO
Ciò in base all’aspetto. Essi sono delle strutture che si estroflettono dalla cellula nella sua porzione libera.

Ci sono anche specializzazioni della superficie basale:


• LAMINA BASALE, sottile strato che si trova in tutti i punti in cui c’è un contatto di natura diversa.
• INTROFLESSIONI DELLA MEMBRANA PLASMATICA che poggiano sulla membrana basale.

Specializzazioni legate ai sistemi giunzionali:


Nell’ordine di apparizione dalle cellule dell’epitelio, quindi dalla porzione apicale verso la porzione basale
avremo:
• GIUNZIONI OCCLUDENTI nella porzione più alta
• GIUNZIONI ADERENTI nella porzione centrale della cellula
• GIUNZIONI COMUNICANTI nella porzione prossima alla basale

ORLETTO → cellule cilindriche con all’esterno prolungamenti, cioè estroflessioni della membrana che
vanno a formare una sorta di orletto sulla cellula stessa. (Il glicocalice se c’è è esterno all’orletto perché
quando parliamo di orletto parliamo sempre di membrana).
Per eccellenza la forma della cellulla viene sorretta dal CITOSCHELETRO.

Passando da un’estremità all’altra della cellula, da un lato ci sarà la porzione libera e dall’altro ci sarà la
porzione che poggia sui connettivi sottostanti. Il contatto non è diretto perché poggia sulla porzione basale,
cioè quella che è la membrana basale che poggia sulla lamina, cioè la porzione del glicocalice che sporge
dalla superficie basale e che la collega al connettivo sottostante.

MEMBRANA BASALE (più corretto LAMINA BASALE, la chiamano membrana perché è costituita da 3 strati,
in cui in nessuno di essi si parlerà di fosfolipidi) è costituita da 3 porzioni:
• LAMINA LUCIDA → composta da 3 proteine: laminina, entactina e integrine, che sono quelle
principalmente a ridosso della cellula e compartecipano ai sistemi di ancoraggio (emidesmosomi).
Quindi si presenta amorfa.
• LAMINA DENSA → composta da strutture più robuste, costituite da un rete di fibre collagene
(collagene IV, ne esistono diversi tipi e differiscono per la localizzazione, la resistenza e il ruolo), che
sono tipiche dei tessuti connettivi, fibre che conferiscono resistenza e robustezza.
• LAMINA RETICOLARE → costituita da altre tipologie di collagene (tipo I e tipo III).
Esse sono strutture che si originano dalla cellula stessa, sono porzioni di glicocalice.

Le cellule per poter aderire le une alle altre, è necessario che si instaurino dei sistemi giunzionali cioè quelli
che sono le giunzioni occludenti, aderenti e comunicanti.

Nell’ordine di apparizione dalle cellule dell’epitelio, quindi dalla porzione apicale verso la porzione basale
avremo:
• GIUNZIONI OCCLUDENTI nella porzione più alta, note anche come giunzioni strette, giunzioni
impermeabili o zonula occludens. Si trovano nei tessuti epiteliali o endoteliali. Esse occludono,
quindi impediscono, o meglio regolano, il passaggio dei liquidi negli spazi tra le due cellule
(intercellulari) addossandosi una all’altra. Quindi queste giunzioni sono indispensabili ogni volta che
c’è un tessuto a contatto con liquidi o sostanze enzimatiche che potrebbero danneggiare altri
sistemi cellulari. Questo è necessario che avvenga nello stomaco, in modo da impedire a questo
ambiente acido di espandersi per andare a danneggiare l’altro. Le cellule epiteliali dello stomaco
sono in grado di produrre delle secrezioni mucose che vanno a formare un sorta di film
impermealizzante delle cellule stesse. Le cellule che stanno sotto non sarebbero in grado, quindi è
necessario che le cellule epiteliali dello stomaco siano strettamente associate tra di loro per questo
tipo di funzione.
Inoltre sono capaci di definire un confine tra zone diverse della membrana plasmatica. Ad esempio
nelle cellule cilindriche dell’epitelio intestinale impediscono alle proteine di membrana di spostarsi
dalla zona apicale a quella basolaterale e viceversa.
Al microscopio elettronico tali giunzioni appaiono come una serie di occhielli che vengono a
costituirsi tra due cellule adiacenti in seguito all’adesione dei foglietti esterni delle due membrane
plasmatiche. Tanto più numerori sono i punti di contatto, tanto più la giunzione risulta
impermeabile. A livello del foglietto interno della membrana è presente una rete proteica
responsabile dei punti di chiusura intercellulari, costituita da proteine trans membrana e da
proteine intracellulari poste appena sotto la membrana plasmatica.
La prima proteina intracellulare, ZO1, così chiamata per la sua localizzazione a livello di queste
giunzioni, appartiene insieme alle più recenti ZO2 e ZO3, ad una famiglia proteica che presenta una
serie di domini comune a tutti i suoi membri. Questi siti, oltre a permettere un’interazione tra le
diverse proteine ZO, legano sia proteine trans membrana (claudina, occludina, JAM) sia proteine
citoplasmatiche. Le proteine Zo si possono trovare anche a livello delle giunzioni aderenti.
Occludina e Claudina → sono le due più note proteine trans membrana coinvolte nell’architettura
delle giunzioni occludenti. Hanno la regione amino terminale (N-terminale) e la regione
carbossiterminale (C-terminale) rivolte verso il citoplasma e presentano due loop extracellulari e
uno intracellulare. Le code carbossiterminali sono capaci di legare una vasta gamma di proteine ZO
e citocheletriche (filamenti di actina) regolando il traffico, la trasmissione dei segnali all’interno
delle cellule e soprattutto l’adesione cellulare.
JAM → (molecole di adesione giunzionale) sono glicoproteine costituite da una corta coda
citoplasmatica, un dominio transmembrana ed una vasta porzione extracellulare.

• GIUNZIONI ADERENTI nella porzione centrale della cellula. Fanno aderire le cellule adiacenti, o le
cellule con la lamina basale conferendo robustezza e resistenza alle pressioni che vengono
esercitate dall’esterno, quindi garantiscono la solidità del tessuto. Ad esempio se qualcuno
stringesse la mano il tessuto si assortiglia, si modifica in forma e si adatta ma non si sfalda.
In queste giunzioni ci sarà il coinvolgimento dei filamenti intermedi, ovvero filamenti proteici che
sono l’unica componente stabile del citoscheletro, costituendo una connessione tra i filamenti di
cellule diverse o tra i filamenti e le proteine presenti a livello della lamina basale. Ciascuna cellula
produce una “PLACCA DI ADESIONE” di natura proteica. Essa aderisce alla membrana plasmatica,
collega mediante dei ponti di nectina le due membrane e funge da punto di ancoraggio per i
filamenti intermedi dell’altra cellula creando una continuità citoscheletrica indispensabile per la
solidità del tessuto stesso.
Le giunzioni ancoranti sono:
− DESMOSOMI A CINTURA → avvolgono la cellula come una cintura e sono presenti a livello
di epiteli ed endoteli dove sia necessaria una protezione da infiltrazione di agenti patogeni
e da azioni meccaniche. Fanno aderire la cellula dell’epitelio alla struttura sottostante
seguendo una ben definita distribuzione spaziale, organizzati sempre dalla cellula epiteliale.
A livello endoteliale sono variamente distribuite.
Le proteine della placca sono costituite principalmente da catenine che legano, a livello
citoplasmatico, diverse proteine tra cui i microfilamenti actinici citoscheletrici e una serie di
proteine transmembrana appartenenti alla famiglia delle caderine o alla famiglia delle
immunoglobuline. Le caderine, desmogleina e desmocollina, sono le principali proteine
transmembrana presenti. A livello dello spazio extracellulare costituiscono dimeri mediante
le estremità aminoterminali, mentre la porzione carbossiterminale citoplasmatica lega le
proteine della placca. A livello della porzione extracellulare, inoltre, presentano numerosi
domini per lo ione calcio la cui concentrazione influenza la stabilità dei dimeri e quindi della
giunzione.
− DESMOSOMI A MACCHIA → localizzati a macchia di leopardo sulla membrana cellulare.
Hanno una funzione meccanica e ne sono ricchi tutti quei tessuti sottoposti a stress
meccanici come l’epidermide e il tessuto muscolare cardiaco. L’archittetura proteica è
simile a quella dei desmosomi a cintura. Infatti, la struttura prevede la presenza di
glicoproteine trans membrana calcio-dipendenti, appartenenti alla famiglia proteica delle
caderine e un gruppo di proteine che costituiscono la placca intracellulare, direttamente o
indirettamente connesse alle proteine dei filamenti intermedi del citoscheletro.
La placca intracellulare è costituita principalmente da desmoplachina, placoglobina e
placofilina. Placoglobina e placofilina legano la desmoplachina, la quale interagisce con i
filamenti intermedi.
Le proteine trans membrana più comuni sono la desmocollina e la demogleina (caderine)
che a livello intercellulare legano le proteine della placca (come dei desm. a cintura).

− EMIDESMOSOMA → la sua localizzazione è nella membrana basale poggiante sulla lamina


basale delle cellule epiteliali, serve ad ancorare la cellula alla lamina basale sottostante.
Presenta metà del normale desmosoma perché la lamina basale, non essendo una vera
cellula, non è in grado di sintetizzare l’altra metà. Dunque non c’è una continuità
citoscheletrica.
Le principali molecole costituenti la placca intracellulare sono la plectina e la proteina
BP230 che presentano all’estremità aminoterminale, domini per l’interazione con le
proteine transmembrana costituite dalle integrine (le quali con l’estremità aminoterminale
interagiscono le con le lamine della matrice)e all’estremità carbossiterminale, siti di attacco
per le proteine del citosceletro che sono rappresentate dalla famiglia dei filamenti
intermedi (cheratina, vimentina e desmina) la cui composizione varia in base alla
localizzazione.
• GIUNZIONI COMUNICANTI o GAP nella porzione prossima alla basale. Mettono in comunicazione
diretta il citoplasma di due cellule adiacenti. Permettono una comunicazione del flusso diretto di
piccoli ioni. È indispensabile per i tessuti che devono rispondere ad uno stimolo rapidamente (è il
caso del cuore) dove il messaggio, che viaggia attraverso i “POTENZIALI D’AZIONE”, deve propagarsi
simultaneamente tra tutte le cellule.
Si trovano negli epiteli (sia di rivestimento che ghiandolari), nel tessuto nervoso (sia dei neuroni sia
della neuraglia), nel tessuto muscolare liscio e cardiaco, nel tessuto osseo (a livello delle
estroflessioni citoplasmatiche degli osteociti) e nel follicolo ovarico. Inoltre sono presenti già
durante le prime fasi della segmentazione per mettere in comunicazione i vari blastomeri
dell’embrione.
Esse sono date da proteine di membrana, esattamente PROTEINE CANALE, che vanno a costituire
canali proteici da cellula a cellula, dove ciascun emicanale prende il nome di CONNESSONE,
consentono il passaggio di piccole molecole e di ioni, consentendo quindi il passaggio libero e
immediato di questa corrente elettrica (potenziale d’azione) da una cellula all’altra che garantisce
la risposta simultanea di tutte le cellule. Quindi si tratta di un Flusso Immediato.
I CONNESSONI sono costituiti da una rosetta di sei subunità di connessine, che sono una famiglia di
proteine transmembrana. Le sei subunità possono essere identiche e costituire un connessone
omomerico o differenti e cotituire un connessone eteromerico. Quando due connessioni
omomerici uguali si allineano, costituiscono un canale omotipico; quando due connessioni
omomerici differenti si allineano, costituiscono un canale eterotipico. Il canale funzionalmente
compoleto si raggiunge quando due connessioni di due cellule adiacenti si agganciano a livello dello
spazio extracellulare grazie ai loop extracellulari delle connessine.
I connessoni sono quasi sempre aperti, quindi è la selettività del canale stesso e la concentrazione
della molecola nel citoplasma delle due cellule adiacenti, che determina il passaggio dei diversi
composti.
In base all’estensione della giunzione si può parlare di FASCE, nella giunzione più esterna, o di ZOLLE, nel
caso di zone più limitata.

Un’alterazione del glicocalice che funge da recettore, e di conseguenza un’alterazione della membrana
plasmatica, portano ad un isolamento della cellula. Essa non riceve più segnali dalle cellule adiacenti e si
comporta autonomamente.

CELLULA – SISTEMI INTERNI


Ciò che caratterizza la cellula eucariotica e la distingue da quella procariotica è la presenza, nel citoplasma,
di differenti regioni, compartimenti ed organuli, ognuno specializzato per assolvere particolari funzioni.
In una cellula eucariotica possiamo distinguere:
• NUCLEO → sede principale dove le attività della cellula vengono gestite.
• CITOPLASMA → sede dei vari sistemi membranosi e degli organuli.
All’interno del CITOPLASMA possiamo trovare:
• Citoplasma fondamentale (fase otticamente omogenea del microscopio ottico), si vedrà la MATRICE
o CITOSOL e un sistema membranoso o strutture non delimitate da una propria membrana
• RIBOSOMI
• RETICOLO ENDOPLASMATICO
• COMPLESSO DEL GOLGI
• LISOSOMI
• VACUOLO di varie categorie
Come organuli avremo:
• MITOCONDRI
• CLOROPLASTI
• CENTRIOLI
I sistemi membranosi sono:
• Reticolo endoplasmatico
• Involucro nucleare
• Complesso del Golgi
• Mitocondri
• Lisosomi
• Grossisomi
Di cui i primi 3 nascono come sistemi di membrane, gli altri 2 nascono come vescicole che sono originate
dai processi di maturazione che si compiono tra reticolo endoplasmatico e l’apparato del Golgi.
Ogni compartimento è costituito da sistemi chiusi di endomembrane che definiscono spazi luminali con uno
specifico ambiente sia ionico sia di pH. Il compartimento più abbondante è il reticolo endoplasmatico.

RETICOLO ENDOPLASMATICO
Il reticolo endoplasmatico può presentarsi sotto due forme:
• RETICOLO ENDOPLASMATICO GRANULARE, organizzato in cisterne appiattite e vescicole. Dato da
una serie di cisterne comunicanti fra di loro e si ripiegano a partire dal nucleo verso il citoplasma.
Così noto perché presenta delle granulazioni adese alle cisterne, che sono i Ribosomi, che fa
crescere la percentuale di RNA (50-60%), quindi di proteine (70%). Lipidi presenti per il 30%. La
presenza dei ribosomi giustifica la maggiore presenza di proteine rispetto al ret. end. liscio. Esso è
particolarmente abbondante nelle cellule a secrezione seriosa.
Predisposto alla biosintesi delle glicoproteine.
• RETICOLO ENDOPLASMATICO LISCIO, organizzato in tubuli e piccole cisterne. Assenza di ribosomi
quindi di RNA, proteine presenti per il 65%. Lipidi 35%. È abbondante in alcune tipologie cellulari
come la cellula epatica, con funzione di detossificazione di sostanze idofobiche, e la cellula
muscolare, con funzione di rilascio di calcio.
Predisposto all’accumulo di calcio.

Inoltre il reticolo endoplasmatico è una struttura dinamica che, pur mantenendo la sua caratteristica
morfologia, può riarrangiare la sua rete allungando, retraendo o ramificando i suoi tubuli.

Tra il reticolo endoplasmatico ed il nucleo c’è uno stretto rapporto. Attorno al nucleo c’è l’involucro
nucleare costituito da cisterne con adesi i ribosomi, in comunicazione con il reticolo endoplasmatico
granulare. L’involucro nucleare non è una membrana unitaria ma è una cisterna del reticolo
endoplasmatico, ciò si è capito studiando la composizione dell’involucro che è costituito da due
citomembrane, una interna ed una esterna, e questo si adatta all’idea di cisterna espansa che avvolge una
regione di citoplasma. Inoltre si è visto che sulla citomembrana esterna sono presenti gli stessi ribosomi che
sono adesi alle cisterne del reticolo endoplasmatico granulare.
Quindi involucro nucleare e reticolo endoplasmatico granulare sono in continuità.
Di conseguenza tale reticolo sarà a ridosso del nucleo.
Nelle cellule che sono attivamente impegnate nella sintesi proteica e glicoproteica avremo più espanso il
reticolo endoplasmatico granulare, nelle cellule che sono attivamente impegnate nella biosintesi di ormoni
steroidei avremo molto più sviluppato la porzione del reticolo endoplasmatico liscio. Ma sono sempre
presenti entrambe.

Il reticolo endoplasmatico è un sistema membranoso la quale composizione, come la membrana


plasmatica, è data da lipidi e proteine, però in questo caso tra reticolo endoplasmatico granulare e reticolo
endoplasmatico liscio ci sono notevoli differenze in termini di quantità di lipidi e proteine.
Le proteine delle membrane del reticolo liscio e granulare sono in parte uguali e in parte differenti. Le
differenze sono soprattutto a carico di proteine coinvolte nella collocazione dei ribosomi e nella
traslocazione delle proteine sintetizzate dai ribosomi nel reticolo.

Funzioni:
• Esso interviene nello scambio delle sostanze (endocitosi ed esocitosi).
• Processi di secrezione proteica e glicoproteica in riferimento al reticolo endoplasmatico granulare.
Il ripiegamento della proteina è influenzato dalle modificazione della proteina nel RE. Si parla di
formazione dei ponti disolfuro e della glicosilazione.
− PONTI DISOLFURO → si formano per una reazione di ossidazione dei gruppi SH (solfidrile)
fra cisteine (aminoacido). Tale reazione è favorita dall’ambiente ossidante presente nel
reticolo. Nel citoplasma non si formano ponti disolfuro perché l’ambiente è riducente.
− GLICOSILAZIONE → consiste nel legame covalente di una catena oligosaccaridica alla
proteina.
Domanda importante per gli esami: differenza tra i ribosomi liberi nel citoplasma e quelli che si trovano
adesi al reticolo endoplasmatico. → All’interno del reticolo endoplasmatico granulare, quindi all’interno
delle cisterne, le proteine che vengono sintetizzati dai ribosomi adesi subiscono dei processi di
maturazione, processi di glicosilazione, individuando così le categorie di proteine che vengono sintetizzate
dai ribosomi adesi al reticolo, le quali si muoveranno soltanto veicolate da vescicole:
- Le glicoproteine che costituiscono la membrana plasmatica.
- Saranno proteine glicosilate anche gli enzimi litici che si trovano nei lisosomi e lo sono a volte anche
ormoni, o prodotti di secrezione che dovranno fungere da messaggeri per altre cellule.
- Lisosomi e Perossisomi.
• Processi di eliminazione e di accumulo tramite vacuoli digestivi, come il caso dei lisosomi, vacuoli di
riserva o vacuoli di secrezione.
Il reticolo endoplasmatico liscio è attivamente coinvolto nella biosintesi degli ormoni a base lipidica, quindi
ormoni steroidei. Tra le sue funzioni abbiamo:
• Metabolismo del glicogeno → il reticolo interviene perché è anche sede di accumulo, facendo
accumulare il glucosio sottoforma di glicogeno. Presenta anche enzimi che lo vanno a scindere.
• Metabolismo dei lipidi → così come le proteine, vengono sintetizzati in associazione alla membrana
e immediatamente incorporati in questa. Gli enzimi che sintetizzano la classe più numerosa di lipidi
di membrana, i fosfolipidi, sono proteine integrali della membrana del reticolo con il sito attivo
nella faccia citoplasmatica. Ciò vale anche per la sintesi degli sfingolipidi, in questo caso però essa
continua e finisce dell’apparato di Golgi.
• Processi di idrossilazione e deaminazione → processi che, soprattutto a livello epatico,
intervengono a ?? da farmaci…
Ci sono degli enzimi che a livello epatico ci dicono se il fegato sta funzionando bene oppure no,
perché tutto quello che viene eliminato dai farmaci che si assumono, che risulta tossico al nostro
organismo, a livello epatico passa attraverso il reticolo endoplasmatico liscio lì dove ci sono questi
enzimi in grado di modificare queste sostanze.
• Sede di potenziali elettrici → perché il reticolo endoplasmatico liscio funge da deposito per gli ioni
Calcio. Quindi normalmente nel citoplasma cellulare non troviamo Calcio libero. Esso è necessario
per tutti i processi di contrazione, quindi esso interviene quando è necessario e viene conservato,
quindi tolto dal citoplasma nel momento in cui non serve più, a livello del reticolo endoplasmatico
liscio. Il calcio rientra nei potenziali elettrici perché possiede carica positiva. L’entrata di tale ione
dipende dalle pompe calcio e l’uscita da recettori rianodici, che una volta attivati aprono i canali
calcio. L’alta concentrazione di calcio è anche molto importante per il ripiegamento della proteina
poiché i fattori di ripiegamento hanno dei siti di affinità per questo ione sia ad alta affinità, che
potrebbero servire per trattenere il calcio anche nel momento di apertura dei canali, e a bassa
affinità, per cedere lo ione.

Tutti i prodotti, tutto ciò che proviene da queste porzioni membranose del reticolo endoplasmatico, lo
lasciano all’interno di vescicole che verranno portate all’altro sistema membranoso, cioè all’Apparato del
Golgi nel quale avverranno ulteriori modificazioni e farà da centro di smistamento di tali prodotti. Dunque,
tali compartimenti fortemente correlati in un sistema detto via secretoria, che consiste appunto nel
passaggio delle molecole che vanno sequenzialmente dall’uno all’altro.
Il meccanismo che regola la diversa distribuzione delle proteine è legato a sequenze aminoacidi che
indirizzano le proteine alla loro corretta sede, durante la traduzione (indirizzamento co-traduzionale), che
gestisce l’entrata delle proteine nel reticolo endoplasmatico, o dopo la traduzione (indirizzamento post-
traduzionale), che serve per veicolare le proteine nelle sedi successive alla via secretoria o a organuli
indipendenti alla via secretoria come mitocondri e perossisomi o alla regione nucleare. Resteranno nel
citoplasma tutte quelle proteine che non presentano sequenze di indirizzamento.

Il ruolo del reticolo endoplasmatico e dell’apparato di Golgi nella sintesi e destinazione delle proteine è
stato dimostrato mediante l’uso di aminoacidi marcati. In questo modo possono essere seguiti mediante
autoradiografia che lo identifica sotto forma di riccioli densi.
Andando a marcare degli amminoacidi, si vede come inizialmente si trovino all’interno del reticolo
endoplasmatico granulare, a distanza di tempo si vede che lo hanno abbandonato per passare all’apparato
di Golgi e dopodiché si troveranno all’interno di vescicole che sono pronte o ad uscire per esocitosi, o in
parte possono essere prodotti di secrezione, o destinate a formare proteine di membrana, cioè
glicopreoteine o rimanere nel citoplasma sottoforma di lisosomi. Dunque questi sistemi di marcatura
permettono di seguire il flusso che c’è tra le proteine sintetizzate a livello del reticolo endoplasmatico
granulare e l’esterno della cellula, quindi permettono di mettere in evidenza i rapporti che esistono tra i
sistemi membranosi stessi.

Indirizzamento e sintesi delle proteine di esportazione nel RE


Il meccanismo di indirizzamento al RE prevede che durante la traduzione, che inizia al livello di ribosomi
citoplasmatici, venga esposta una sequenza segnale che consta di circa 30 aminoacidi con 6-12 aminoacidi
idrofobici centrali seguiti da aminoacidi carichi negativamente. Una robinucleoproteina denominata
particella di riconoscimento della sequenza segnale (SRP), costituita da una catena di RNA a cui sono
associate sei proteine, è responsabile dell’interazione con la sequenza segnale e con il recettore SR
presente come proteina integrale nella membrana del reticolo. L’interazione sequenza segnale-SRP
interrompe temporaneamente la sintesi proteica che riprenderà quando il ribosoma è portato sulla
membrana del RE. SPR e SP hanno due GTPasi che al momento della loro interazione si attivano e
idrolizzano due molecole di GTP. L’energia rilasciata permette il distacco di SPR dalla sequenza segnale e il
posizionamento del ribosoma su un traslocone. Poiché il traslocone ha un canale centrale, la ripresa della
sintesi proteica porterà la catena peptidica a entrare nel lume del RE dove verrà rilasciata quando la sintesi
termina. A queto punto la sequenza segnale può essere tagliata da una peptidasi e la proteina luminale sarà
pronta per successivi eventi di maturazione.
Anche le proteine di membrana vengono sintetizzate con lo stesso processo, ma in questo caso interviene
una sequenza idrofobica di circa 20-25 aminoacidi denominata sequenza di ancoraggio o sequenza di
arresto che fa si che la catena in formazone non possa ulteriormente entrare nel lume. Alla fine della
sintesi, la sequenza passa dal traslocone nella membrana dove rimane ancorata al doppio strato lipidico.
- Se tale sequenza si trova al centro del poliptide dopo che la parte amino terminale è entrata con la
sequenza segnale posta alla sua estremità, il ribosoma si allontana dal reticolo e la parte successiva viene
sintetizzata nel citosol, cioè l’estremità carbossiterminale.
- Se la sequenza di ancoraggio si identifica con la sequenza segnale e questa è posta al centro della catena
peptidica nascente, il ribosoma si assocerà al RE solo dopo che è stata sintetizzata molta parte
dell’estremità aminoterminale. In questo caso solo la parte carbossiterminale entrerà nel lume del RE.

MICROSOMI
Andando a fare una centrifugazione della cellula si vanno a stratificare i diversi organuli e sistemi
membranosi in base al loro peso specifico. Le membrane del reticolo endoplasmatico, in seguito alla
centrifugazione, vengono frammentati in piccoli corpi membranosi chiamati MICROSOMI. Se essi vengono
trattati con dei detergenti che scindono i ribosomi, quindi la parte proteica del reticolo endoplasmatico, si
hanno questi ribosomi liberi e le membrane libere. Ciò ha permesso di identificare le due porzioni del
reticolo, perché si è capito che i ribosomi che venivano recuperati non erano sufficienti per rendere
granulare tutti i microsomi che si vengono ad originare.
Questa identificazione ha fatto capire che quello che si osservava al microscopio elettronico, cioè una
diversa distribuzione e organizzazione, era il risultato fisiologico del fatto che il reticolo endoplasmatico
fosse presente in due porzioni, una granulare con associati i ribosomi e una liscia priva di ribosomi.

RIBOSOMI
• Sono in grado di leggere, codone dopo codone, filamenti di RNA messaggero che porta le
informazioni per la sintesi di una proteina. Quindi sono in grado di determinare la traduzione da un
messaggio scritto in nucleotidi ad un messaggio scritto in aminoacidi, dove ad ogni codone
corrisponderà un aminoacido.
Differenza tra ribosomi liberi nel citoplasma e ribosomi ancorati al reticolo endoplasmatico granulare:
il reticolo endoplasmatico granulare è dotato di particolari recettori che sono accoppiati ai ribosomi. Nel
momento in cui quest’ultimo inizia a sintetizzare la proteina, il primo tratto, detto “tratto segnale”, che si
viene a sintetizzare è riconosciuto da un recettore che lega la proteina e la fa transitare all’interno della
cisterna del reticolo. Man mano che la sintesi continua, tutta la proteina viene trasferita all’interno della
cisterna dove verranno associati dei residui glucidici, ecco perché di parla di “processo di glicosilazione”,
dove alla fine avremo le glicoproteine (ciò non avviene con un unico passaggio). I passaggi di glicosilazione
non avvengono in una cisterna, ma per transizione da una cisterna all’altra. Tali proteine nel corso di
maturazione vengono veicolate attraverso vescicole che si staccano dalle cisterne stesse, le quali
transiteranno fino all’apparato di Golgi, perché è qui che avverranno l’ultimazione dei processi di
glicosilazione e quindi maturazione proteica.
Tali residui glucidici: se rimangono come glicoproteine di membrana serviranno come recettori della
membrana stessa; se invece sono prodotti di secrezione, cioè molecole che devono portare messaggi ad
altre cellule, serviranno come segnali per mediare il riconoscimento con la cellula bersaglio, che presenterà
dei recettori di membrana, in modo da poter essere internalizzati.
Esistono dei meccanismi molecolari che dicono al trascritto se deve andare ad un ribosoma libero o ad uno
adeso. Ma anche un ribosoma libero, agganciato all’RNA messaggero, può ancorarsi al reticolo in base al
messaggero che sta legando, cioè nel caso in cui si rende conto che sta sintetizzando un primo segmento di
peptide segnale il quale è quello che deve essere riconosciuto dal recettore presente sul reticolo.

• Li troviamo anche nel citoplasma di una cellula procariote ed eucariote in quanto non sono
delimitati da membrana ma sono costituiti dall’associazione di RNA ribosomiale e proteine, infatti
sono degli organuli citoplasmatici tipici tanto nei procarioti, quanto negli eucarioti.
Una cellula si definisce tale anche nel caso dei procarioti che non presentano dei sistemi
membranosi né organuli, perché è comunque in grado di vita autonoma, dunque può sintetizzare
perché possiede sia DNA che RNA, quindi può trascrivere e tradurre, cioè può sintetizzare proteine.
Essa infatti possiede i RIBOSOMI.
• Li troviamo anche nella matrice dei MITOCONDRI → Hanno vita semiautonoma, sono in grado di
sintetizzare alcune proteine indispensabili per il loro stesso funzionamento (ma non tutte, per
questo hanno vita semiautonoma) ma per farlo hanno bisogno dei ribosomi. Inoltre i mitocondri
sono in grado di duplicarsi all’interno della cellula quindi indipendentemente dalla duplicazione
della cellula stessa. Nel momento in cui si ha una richiesta energetica maggiore del necessario, se
non sono sufficienti i mitocondri che quelle cellule hanno, essi stessi sottoposti ad induzione si
duplicano, quindi aumentano in numero per rispondere alla richiesta energetica di quella cellula.
Ciò è possibile perché sono organuli in cui è presente una molecola di DNA circolare.

DIFFERENZE
1. LUOGO D’ORIGINE
- Negli eucarioti
I robosomi sappiamo che sono costituiti da RNA ribosomiale e proteine.
- L’rRNA è un prodotto della trascrizione del DNA, la quale avviene nel nucleolo che è un addensamento
visibile al microscopio a livello nucleare nel quale abbiamo una grande quantità non solo di DNA ma anche
di rRNA.
- Le proteine vengono sintetizzate nel citoplasma.
C’è un flusso continuo tra nucleo e citoplasma. Il nucleo non è un compartimento isolato ma è in
collegamento con il citoplasma. Attraverso i Pori Nucleari ci sarà il passaggio delle proteine ribosomiali dal
citoplasma verso il nucleo e al livello del nucleolo ci sarà la compattazione dei ribosomi dove l’rRNA
neotrascritto si associa alle proteine ribosomiali e si creano i Ribosomi.
Quindi il luogo di origine dei ribosomi nella cellula eucaristica è il NUCLEOLO.
- Nei procarioti
Il nucleo non c’è, quindi nemmeno un nucleolo, ma è presente una regione nel citoplasma definita
Nucleoide nel quale avremo una regione dove avviene la trascrizione del’rRNA che prende il nome di
GENOFORO che sarà la sede di origine dei ribosomi nei procarioti.

2. LOCALIZZAZIONE
- Negli eucarioti
Li possiamo trovare liberi o associati alla membrana del reticolo endoplasmatico granulare.
Nel caso in cui siano liberi possono andare a formare i POLISOMI → raggruppamento di ribosomi che vanno
a leggere tutti una stessa molecola di RNA messaggero in punti diversi, la quale quindi viene sfruttata per la
sintesi di più proteine, dove il primo ribosoma lega il codone di inizio e va avanti, Dopodiché alle sue spalle
il codone di inizio verrà liberato e si potrà legare al secondo ribosoma che si trova dietro, comincia a
sintetizzare e così via. Questo perché l’RNA messaggero una volta trascritto nel citoplasma ha una vita
molto breve, quindi non si può aspettare che finisca la sintesi della proteine perché un altro ribosoma si
possa agganciare perché l’mRNA nel frattempo potrebbe iniziare il processo di degradazione.
- Nei procarioti
Li possiamo trovare liberi nel citoplasma, singoli oppure a formare polisomi, o associati alla membrana
plasmatica.

COME SONO COSTITUITI I RIBOSOMI?


I ribosomi sono costituiti da due subunità diseguali: una minore che contiene una molecola di rRNA ed una
maggiore che ne contiene due o tre diverse tra loro. La distinzione, dunque, si deve alla diversa quantità di
molecole di RNA ribosomiale e quindi alla diversa quantità di proteine che si associano ad essi. Tra le due,
che risultano complementari per forma, rimangono delle fessure all’interno del quale può scorrere il
filamento dell’RNA messaggero per essere letto.

• La forma della subunità minore è descrivibile come un corpo principale ovoidale unito a
una testa tondeggiante da un collo più sottile. Una protuberanza che emerge dal corpo
genera una fessura al cui interno probabilmente avviene l’interazione codone-anticodone.
• La subunità maggiore presenta una faccia convessa e una faccia piana da cui sporgono tre
protuberanze, una delle quali, detta stelo, è lunga e sottile e quella più grande è detta
naso. Inoltre è presente un canale attraverso cui passa la catena polipeptidica in via di
formazione, esso interagisce con le estremità CCA del tRNA e catalizza la formazione dei
legami peptidici tra i vari aminoacidi costituenti le proteine.
Le due subunità del ribosoma sono associate fra loro solo nel momento in cui questi organuli sono attivi
nella sintesi proteica. In questo caso vari ribosomi si allineano lungo un filamento di mRNA a formare i
poliribosomi o polisomi.

Un ribosoma può contenere due tRNA alla volta, ma può leggere un solo codone (tripletta di nucleoditi) alla
volta. Quindi per la lettura dell’mRNA, il ribosoma contiene due postazioni:
• SITO A (Aminoacidico)
• SITO P (Peptidirico)

L’unità di misura che ci consente di differenziare le due subunità è la SUBUNITÀ SVEDBERG, cioè l’unità di
sedimentazione e quindi il tempo che impiegano le subunità separate, o il ribosoma intero, in seguito a
centrifugazione, a sedimentare.
Per cui si dice che nel ribosoma procariote abbiamo un ribosoma di 70 S, costituito da due singole subunità,
quella maggiore di 50 S, la quale possiede due tipologie di rRNA uno di 5 S e l’altro di 23 S più 34 proteine
associate e quella minore di 30 S contenente rRNA di 16 S. Il ribosoma intero non sedimenta a 80 S, dato
dalla somma degli indici di sedimentazione delle due subunità separate, perché quando esse sono associate
hanno una forma più dinamica (cioè dipende dalla forma e dalla superficie che espongono durante la
sedimentazione) e di conseguenza offrono meno attrito, quindi sedimentano un po’ più rapidamente.
Nel ribosoma eucariotico abbiamo un ribosoma di 80 S, con la subunità maggiore di 60 S, la quale possiede
tre tipologie di rRNA di 28 S, 5,8 S e 5 S più 49 proteine e quella minore di 40 S con rRNA di 18 S e le
proteine vanno da 21 a circa 36.
La differenza degli indici di sedimentazione tra ribosoma procariotico ed eucariotico è data dalla
composizione, cioè dagli rRNA e dalle proteine. Di fatto il ribosoma eucariotico ha un indice di
sedimentazione maggiore perché ha un mRNA in più nella subunità maggiore e una quantità di proteine
superiore rispetto al ribosoma procariotico.

APPARATO Del GOLGI


L’Apparato del Golgi si estende dal reticolo endoplasmatico verso la membrana. Esso:
• funge da stazione intermedia per il trasporto dei prodotti di secrezione proteica, quindi dal luogo di
sintesi cioè il reticolo endoplasmatico granulare, tramite vescicole che si staccano dal reticolo fino
all’apparato del Golgi, lì dove è avvenuta la condensazione e concentrazione del materiale di
secrezione, può avvenire l’esocitosi verso l’esterno della cellula o rimanere ancorate alla
membrana stessa o rimanere all’interno del citoplasma.
• Quindi esso può essere sede di elaborazione di glicosaminoglicani (GAG), di polisaccaridi,
glicoproteine, proteoglicani, quindi anche sede di sintesi di cellulosa e pectina, cioè quello che
succede nelle cellule vegetali dove essi sono componenti fondamentali della parete cellulare, che
altro non è il glicocalice di tali cellule costituito da glicoproteine. Quindi esso è sede di prodotti che
devono essere sintetizzati a livello del reticolo endoplasmatico e modificati a livello dell’apparato
del Golgi.
Quindi si ha un apparato del Golgi insieme al reticolo endoplasmatico molto sviluppati in quei
tessuti che presentano un’abbondante matrice quale può essere il tessuto connettivo, il tessuto
cartilagineo e il tessuto osseo. In questi casi le cellule, a differenza dei tessuti epiteliali, non sono
strettamente stipate le une alle altre associate a formare una lamina continua, ma ci sarà
un’abbondante matrice extracellulare in cui ci sono immerso le cellule. La sintesi di tale
componente avviene a carico del reticolo endoplasmatico ed elaborazione a carico dell’apparato
del Golgi.
• Sede di formazione dell’ACROSOMA che corrisponde ad una grande vescicola lisosomiale (infatti
l’apparato del Golgi è sede di sintesi dei lisosomi stessi) che sormonta il nucleo degli spermatozoi
che ha l’attività di lisare gli involucri ovulari esterni alla cellula uovo.

L’apparato di Golgi deve il suo nome allo scienziato Camillo Golgi che per primo, utilizzando
l’impregnazione argentica, lo descrisse al microscopio ottico come un organulo a forma reticolare nelle
cellule nervose.
Solo dopo, al microscopio elettronico, è stata identificata la morfologia a cisterne, con l’impregnazione di
sostanze elettrondense, con osmio o con argento.

Il Golgi è fatto da un sistema di membrane (CISTERNE appiattite) e di vescicole che si staccano. Le singole
membrane (o cisterne) si vanno a disporre una sull’altra andando a formare una serie di membrane chiuse,
non in comunicazione tra di loro ma messe in relazione dalle vescicole che progrediscono da una
membrana all’altra per passare da una stazione all’altra dell’apparato. La forma e il numero delle cisterne
possono variare da cellula a cellula.
Nel sistema di Cisterne abbiamo:
• la regione rivolta verso il reticolo endoplasmatico, chiamata REGIONE CIS (o faccia cis);
• la regione verso la membrana plasmatica, quindi le porzioni più esterne prenderanno il nome di
REGIONE TRANS (o faccia trans);
• interposte tra le due regioni ci sono le CISTERNE INTERMEDIE che sono anche dette CISTERNE
MEDIANE.
Sono presenti anche due regioni addizionali da ambedue i lati denominate cis Golgi network, che si forma
per fusione delle vescicole che vengono dal reticolo, e trans Golgi network, quella da cui partono le
vescicole per la membrana plasmatica.

Quindi le vescicole che si staccano dal reticolo endoplasmatico contenenti le glicoproteine, che sono
risultato della glicosilazione, vanno a fondersi con la REGIONE CIS dell’apparato nel quale verranno ultimati
i processi di maturazione, grazie alla presenza in ogni cisterna di particolari enzimi per la glicosilazione che
assicurano alla proteina in transito che le catene oligosaccaridiche vengano sequenzialmente maturate,
tramite rimozione e trasferimento di carboidrati, finché non si arrivi a formare le catene oligosaccaridiche
di tipo complesso.
Tale flusso di vescicole tra il Reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi, si dice che va nella direzione
anterograda, ma esiste anche un flusso retrogrado, secondo il quale le vescicole trasportano il contenuto a
ritroso tra le cisterne fino al rientro nel RE. Infatti, la composizione del RE è mantenuta costante, e questo è
possibile sia impedendo che alcune proteine si trasferiscano all’apparato di Golgi, sia recuperando proteine
che vengono riportate al RE tramite le vescicole. Sono presenti dei segnali che trattengono le proteine.
- Nel RE uno di questi segnali è la sequenza KDEL, che rappresenta il segnale per l’inserimento della
proteina in una vescicola che tornerà al RE.
- Per le proteine destinate a rimanere nell’apparato di Golgi è possibile che esistano sequenze segnale
specifiche, ma è anche probabile che un ruolo importante sia esercitato dal legame delle proteine ad aree
particolari della membrana di diverso spessore, dovuto alla presenza di opportuni domini idrofobici, che
vengono ancorati specificatamente a membrane di spessore adeguato regolando la loro localizzazione.

Ci sono due ipotesi di progressione:


• La più accettata è il trasporto che sarà mediato dalle vescicole, dove i prodotti passano da una
cisterna all’altra tramite la progressione di tali vescicole che passano attaccandosi pian piano con
le facce che stanno sopra, fino a quando arrivano alla CISTERNA TRANS più esterna, dove si
staccano, e saranno vescicole di esocitosi (di secrezione) o vescicole che contengono le
glicoproteine di membrana.
• L’altra ipotesi parla di una progressione delle cisterne, come se maturassero in continuazione
nuove cisterne a partire dalla vescicola che arriva dal reticolo la quale, dalla faccia cis, con il suo
contenuto pian piano progredisce. Si ipotizza che la cisterna cis dell’apparato si venga a creare per
fusione delle vescicole che si staccano dal reticolo endoplasmatico, la quale una volta creatasi viene
pian piano spinta verso l’alto dalle nuove vescicole che arrivano, quindi sarebbe una progressione
dell’intera cisterna, la quale per passaggi successivi diventerebbe una cisterna della porzione
mediana la quale alla fine, sempre spinta da nuove cisterne che si vengono a formare da sotto,
diventerebbe la faccia trans che si dissolverebbe per formazione di vescicole le quali conterranno le
tre tipologie di prodotti, cioè vescicole che originano lisosomi, vescicole con prodotti di secrezione
e vescicole che contengono le glicoproteine di membrana. Quindi la faccia trans scompare, ma
viene subito sostituita con la cisterna che sta sotto.
Dunque non si parla di un apparato del Golgi stabile come struttura in cisterne.

L’ultima teoria non viene accettata perché in realtà non tutti i prodotti fuoriescono dalla faccia trans. Come
i lisosomi → che sono degli organuli deputati alla digestione di corpi estranei che arrivano a contatto con la
cellula, questo grazie al fatto che all’interno del lisosoma c’è un ambiente acido e numerosi enzimi idrolitici.
Ciò vuol dire che tali enzimi in grado di degradare, una volta abbandonato il reticolo endoplasmatico
granulare, passano alla faccia cis dell’apparato del Golgi e sono già ultimati nel loro processo di
maturazione, dunque non possono essere portati avanti alla faccia trans perché si potrebbe rischiare di
degradare le cisterne successive dell’apparato. Quindi gli enzimi litici rappresentano l’unico esempio di
prodotto che fuoriesce maturo già dalla faccia cis dell’apparato.

Inizialmente le vescicole hanno un rivestimento che poi vanno a perdere. Esistono tre famiglie di proteine
che vanno a costituirlo: clatrina, COPI e COPII. La clatrina riveste sia le vescicole che vanno dal trans Golgi ai
lisosomi sia quelle di endocitosi. COPII riveste le vescicole che dal RE vanno al Golgi e COPI tutte quelle che
riportano le vescicole dal trans Golgi verso le cisterne precedenti o verso il RE.

VIE DELLE VESCICOLE


Una delle possibili vie delle vescicole è la secrezione. La secrezione, nel caso di vescicole di secrezione o
contenenti glicoproteine di membrane, può essere distinta in:
• SECREZIONE COSTITUTIVA → i prodotti vengono secreti con la stessa velocità di sintesi, quindi la
cellula sintetizza e man mano che si formano le vescicole di secrezione, si fondono con la
membrana e vanno ad esocitare il contenuto in maniera costitutiva, cioè continua. (Quello che
avviene a carico dei condrociti, dei linfociti, ecc.). Non è chiaro se tutte le vescicole che escono
dall’apparato di Golgi vadano incontro automaticamente a una secrezione costitutiva in assenza di
segnali specifici. Alcuni dati sperimentali suggeriscono che si tratti di un processo automatico: ad
esempio proteine che dovrebbero essere destinate al RE hanno la seguenza KDEL, se ne fossero
private si avvierebbe la secrezione costitutiva. Altre osservazioni hanno evidenziato l’esistenza di
sequenze aminoacidi che comuni a molte proteine secrete costitutivamente.
• SCREZIONE REGOLATA → il prodotto che viene rilasciato dalla faccia trans dell’apparato all’interno
di vescicole non va a fondersi con la membrana per riversare all’esterno il suo contenuto ma va ad
accumularsi a ridosso della membrana fino a quando non arriverà un input che dice di riversare tali
prodotti di secrezione all’esterno. (Quello che succede per i neuroni, le ghiandole endocrine).
Esempio → se mi cade dalle mani una penna non mi metto a pensare a quello che devo fare ma lo
raccolgo e continuo ad utilizzarla, questo perché il sistema nervoso dice subito al mio muscolo di
muoversi e contrarsi e prendere la penna, ciò vuol dire che la trasmissione dell’impulso nervoso
avviene perché i neurotrasmettitori, quindi i mediatori chimici, che comunicano alle altre cellule la
decisione presa volontariamente di raccogliere la penna sono già pronti e non si deve aspettare che
vengano sintetizzati perché erano stati già sintetizzati e accumulati nella cellula fino a quando non
servano.
In tale secrezione, le vescicole che si staccano dall’apparato di Golgi subiscono un processo
maturativo che comporta soprattutto una concentrazione del loro contenuto e spesso modifiche
consistenti in tagli proteolitici. In molti casi i tagli trasformano proenzimi inattivi in anzimi maturi
attivi. È possibile che lo scopo di produrre un enzima in forma inattiva sia quello di evitare che
possa agire all’interno della cellula provocando danni.

In entrambi i casi possiamo avere una:


• secrezione polarizzata → quando ad essere interessata all’esocitosi dei prodotti è solo una regione,
cioè particolari zone specializzate della membrana plasmatica.(Es. cellule epiteliali che presentano
le membrane nelle regioni laterali interessate dalle giunzioni, quindi strettamente associate le une
alle altre, per cui la secrezione può avvenire solo dalla superficie libera).
• secrezione non polarizzata → quando l’intera membrana plasmatica è coinvolta nel processo di
secrezione. (Es. cellule del connettivo dove esse sono immerse in un’abbondante matrice, quindi
non si avrà una regione della membrana che non può fare esocitosi, ma l’intera membrana
plasmatica può esocitare).
Quindi ciò porta già ad una distinzione cellulare.

Un’altra via è la destinazione ai lisosomi.


LISOSOMI → - sono organuli vescicolari contenenti numerosi enzimi idrolitici, circa 40 tipi, comprendenti
ad esempio proteasi, nucleasi, lipasi, fosfolipasi, glicosidasi e fosfatasi.
- Il loro lume è acido, grazie alla presenza nella sua membrana di pompe protoniche che, consumando ATP,
aumentano la concentrazione interna dei protoni, fino a raggiungere il valore di pH 5.

- Un modello accettato, ma non completamente chiarito nei dettagli, per la formazione dei lisosomi
prevede che questi derivino da vescicole provenienti dall’apparato di Golgi, dette vescicole idrolasi che per
il loro contenuto.
- Sono soprattutto sede della digestione cellulare, catalizzata dalle idrolasi acide, che ha la funzione di
scindere le sostanze introdotte per endocitosi ricavandone composti utili per la cellula, ma può anche avere
lo scopo di distruggere microrganismi o cellule danneggiate o di demolire strutture intracellulari.
- I lisosomi in genere si presentano con una forma tondeggiante e un diametro tra 0,2 e 1 μm. In relazione
al materiale da digerire contenuto al loro interno talvolta i lisosomi possono essere più voluminosi e di
forma irregolare.
- Una caratteristica della membrana del lisosoma è quella dell’abbondante glicosilazione delle proteine,
probabilmente importante per proteggere la membrana lisosomiale dall’attacco degli enzimi presenti nel
lume.
- Per la destinazione lisosomiale di una proteina esiste un marcatore specifico che è il Mannosio 6-fosfato
(M6P). Tale proteina marcata con M6P viene riconosciuta da recettori sulla membrana dell’apparato di
Golgi e viene inclusa in una vescicola idrolasica, sempre legata al recettore. In seguito la vescicola si fonderà
con un endosoma tardivo costituendo un endolisosoma che maturerà in lisosoma. I recettori, dopo aver
rilasciato le rispettive idrolasi grazie all’acidificazione dell’ambiente, verranno recuperati all’interno di
vescicole che, gemmando dall’endosoma tardivo, ritornano all’apparato di Golgi.

MITOCONDRI

Tutti gli organismi viventi sono dotati di sistemi che consentono loro di assorbire continuamente energia
dall’ambiente circostante e di trasformarla in energia chimica sotto forma di ATP. Negli eucarioti gli
organuli preposti all’assorbimento e alla trasformazione dell’energia sono i mitocondri, che si trovano in
tutte le cellule animali e vegetali, e i cloroplasti, che si trovano solo nelle cellule dei vegetali foto sintetici. In
alcune fasi del metabolismo energetico interviene anche un altro tipo di organulo che è il perossisoma.

I MITOCONDRI al microscopio elettronico si presentano come cilindretti allungati dai bordi arrotondati con
la parete formata da due membrane. Una membrana esterna e una membrana interna, che circoscrivono
due spazi distinti, rispettivamente una camera mitocondriale esterna ed una camera mitocondriale
interna, e tra di esse si interpone uno spazio definito spazio intermembrana che corrisponde alla camera
esterna, la camera interna è occupata da matrice detta matrice mitocondriale. Essa è un gel nel quale si
trovano enzimi idrosolubili per l’ossidazione di acidi grassi e per il funzionamento del ciclo di Krebs. Si
trovano anche organuli le cui dimensioni sono in rapporto all’accumulo di cationi bivalenti come il calcio e il
magnesio.
- Le due membrane non sono a decorso parallelo ma la membrana esterna circoscrive il mitocondrio, la
membrana interna si introflette a formare le creste mitocondriali perché c’è la necessità di aumentare la
superficie, perché è qui che avviene la terza e ultima tappa della RESPIRAZIONE AEROBICA, cioè avviene la
fosforilazione ossidativa che porta alla produzione di ATP. Quindi sarà lungo le creste mitocondriale che
avrà sede l’ATP SINTETASI. → FUNZIONE PRINCIPALE DEI MITOCONDRI.
MEMBRANA ESTERNA → ha uno spessore di circa 6 nm ed è separata da quella interna dalla camera
esterna la quale ha uno spessore di 6-8 nm, che può variare in relazione ai diversi
livelli funzionali. La membrana esterna è molto simile a quella del reticolo
endoplasmatico e ha un più alto contenuto lipidico (40-50%) rispetto a quella
interna (20%). I lipidi che la costituiscono sono essenzialmente fosfolipidi.
Essa ha un’elevata permeabilità e contiene molte copie della proteina porina.
MEMBRANA INTERNA → ha uno spessore di 6 nm. Si solleva entro la cavità del mitocondrio a formare
pieghe dette creste mitocondriali, in genere di forma lamellare e sono disposte
perpendicolarmente all’asse maggiore del mitocondrio. Tuttavia, alcuni tipi
cellulari possono presentare creste disposte parallelamente all’asse longitudinale
dell’organulo come per esempio nei mitocondri delle cellule nervose e dei
muscoli striati.
Nei mitocondri di protozoi, insetti e cellule della corticale del surrene, le creste
possono avere una forma tubulare.
Inoltre le creste possono essere semplici o ramificate o disposte a formare reti.
Non è permeabile come la membrana esterna e contiene diverse proteine di
trasporto che controllano selettivamente il passaggio solo di alcune molecole
coinvolte nei processi metabolici che avvengono all’interno del mitocondrio.
A livello di questa membrana, inoltre, si trovano i complessi proteici coinvolti nei
processi di fosforilazione ossidativa e del trasporto di elettroni.
- Possiedono una propria molecola di DNA circolare la quale non è legata a proteine ed è localizzata nella
matrice e agganciata alla membrana delle creste. In ogni mitocondrio ci sono diverse molecole di DNA
mitocondriale, dove nei mitocondri delle cellule animali se ne trovano in media da 5 a 10. Nella matrice
sono presenti i vari tipi di RNA e dunque anche i ribosomi (o mitoribosomi, che hanno dimensioni minori di
quelle dei ribosomi eucaristici), dove si svolgeranno le attività che serviranno per la sintesi delle proteine e
gli enzimi. Di conseguenza i mitocondri possono dividersi in base alla necessità energetica della cellula
senza che sia necessaria la divisione cellulare. Però hanno VITA SEMIAUTONOMA perché le informazioni
contenute nella molecola di DNA circolare non sono sufficienti per la vita completamente autonoma e
indipendente del mitocondrio.
Quindi le informazioni per alcune proteine e enzimi mitocondriali saranno contenuti in tale DNA
mitocondriale, ma per gli altri enzimi e proteine dipendono dal DNA genomico.

Molte proteine destinate ai mitocondri sono dotate di un segnale localizzato all’estremità aminoterminale
che determina l’indirizzamento alla matrice, altre hanno segnali interni. La scelta che determina la precisa
localizzazione della proteina ai diversi compartimenti del mitocondrio dipende da ulteriori segnali
aggiuntivi.
Inoltre i mitocondri degli animali e dei funghi utilizzano un codice genetico differente da quello universale e
diverso anche in specie affini, mentre i mitocondri delle piante utilizzano il codice universale.
La presenza di questa molecola di DNA circolare si giustifica tramite due teorie:
• La TEORIA ENDOSIMBIONTICA → cioè che con la comparsa di cellule eucariotiche primitive, una
cellula batterica e cioè un procariote con attività di sintesi di ATP sia entrato in simbiosi con la
cellula eucariotica primitiva, integrandosi con la sua membrana e con la membrana che andava a
circoscrivere tale cellula eucariotica (ciò giustificherebbe il sistema a doppia membrana) e con il suo
DNA circolare che ogni cellula procariote possiede, restando all’interno della cellula eucariote come
organulo perché compensavano le attività. Dunque i procarioti avrebbero dato origine ad un
rapporto di simbiosi , cioè uno scambio reciproco di “favori”, un rapporto vantaggioso tra due
organismi che vivono l’uno all’interno dell’altro: la cellula più grande avrebbe fornito biomolecole e
sali minerali, mentre i procarioti avrebbero fornito energia.
• La TEORIA AUTOGENA → si tratterebbe di una derivazione del mitocondrio per frammentazione
del DNA nucleare, dove una parte di esso rimarrebbe in una piccola porzione di involucro nucleare
che si stacca proprio dal nucleo. Dunque si verrebbe a formare il mitocondrio con la piccola
molecola di DNA circolare.
Entrambe le teorie sono ancora “in piedi” ma tutt’oggi si cerca ancora di capire quale possa essere quella
più fondata.

Forma e caratteristiche mitocondri


- Possiamo avere molte strutture ma ciò che è peculiare è l’organizzazione delle creste mitocondriali che in
entrambi i casi vanno ad occupare quasi interamente la porzione interna.
Per i mitocondri non si può dare con certezza una forma perché le forme sono molto variabili, la quale
insieme alla forma delle creste cambia in base alla tipologia cellulare. Essi possono allungarsi e restringersi,
accorciarsi e rigonfiarsi. Inoltre un mitocondrio da semplice può biforcarsi e frammentarsi e due mitocondri
possono fondersi in uno.
Abbiamo: forme tubulari, prismatiche.
FORMA ORTODOSSA → forma che il mitocondrio ha quando è a riposo.
FORMA CONDENSATA → forma attiva del mitocondrio dove lo spazio intermembrana si espande a spese
della camera interna che viene ristretta sulla matrice.

Quando si va a preparare un campione da analizzare si deve fissare e disidratare, così l’oggetto lo vedremo
nelle stesse condizioni in cui era da vivo però le richieste energetiche non ci sono più quindi il mitocondrio
non sarà più attivo, per cui la maggior parte delle osservazioni che vengono fatte sono di mitocondri a
riposo. Le osservazioni dei mitocondri attivi si sono avute facendo delle indagini su cellule vive.
- Al pari della forma. La grandezza dei mitocondri è variabile, poiché presentano una lunghezza
normalmente compresa tra 1 e 6 μm, mentre il loro diametro varia tra 0,2 e 1 μm.
- Si presentano come organuli molto dinamici, apparentemente dotati di rapidi movimenti e trasformazioni.
Il movimento dei mitocondri attraverso il citoplasma non è una caratteristica intrinseca dell’organulo, ma
dipende dai microfilamenti e microtubuli.
Riguardo ai rapidi cambiamenti di forma, al contrario, è stato suggerito il coinvolgimento di proteine
contrattili a localizzazione mitocondriale.
- Il numero dei mitocondri è in relazione con il fabbisogno energetico della cellula. In una normale cellula si
trovano generalmente da mille a duemila mitocondri.
- Essi sono generalmente distribuiti in modo uniforme nel citoplasma. La localizzazione varia spesso in base
alle zone in cui è necessaria l’energia all’interno della cellula. Ad esempio nelle cellule dell’epitelio
intestinale possono trovarsi dislocati ai due poli; nella fibra muscolare striata sono allineati tra le miofibrille.

Composizione chimica
Le membrane hanno una composizione chimica e organizzazione strutturale comune alla membrana
plasmatica, quindi hanno un doppio strato fosfolipidico, solo che in questo caso la membrana
mitocondriale interna è ricchissima di proteine perché è la sede della terza tappa della respirazione
aerobica che consiste in due diversi momenti: uno step di trasporto di elettroni e uno step di fosforilazione
ossidativa, ed entrambi i casi è necessario l’intervento di proteine e di enzimi.
Oltre ai nucleotidi presenti negli acidi nucleici possiederà principalmente ATP e ADP che sono due forme di
energia che troviamo sottoforma di adenosina trifosfato (ATP) nel momento di sintesi e adenosina
difosfato (ADP) nel momento in cui viene scissa l’ATP o dev’essere fosforilato per produrre l’ATP.
C’è anche un’elevata quantità di NAD e FAD che sono per eccellenza trasportatori che si trovano a livello
cellulare di elettroni e protoni, infatti quando vengono fuori dai vari processi di trasformazione biochimica,
dove si fanno carico di elettroni e protoni, si ritrovano sottoforma di NAD ridotto (NADH) e FAD ridotto
(FADH2). Invece il trasportatore libero si ritrova come NAD+ e FAD2+. Essi sono presenti a livello dei
mitocondri perché è lì che devono andare per cedere elettroni e protoni che si sono fatti carico nel
citoplasma per poi ritornare nella loro forma ossidata e ad essere in grado di agire nuovamente nei vari
processi glucidici.

Esiste un certo rapporto tra mitocondri e cloroplasti. I mitocondri producono energia sottoforma di ATP,
quindi energia chimica, a partire dal glucosio, ma le cellule animali non sono in grado di produrlo quindi
devono assumerlo tramite l’alimentazione. Quindi il rapporto che c’è tra mitocondri e cloroplasti è dovuto
al fatto che il glucosio viene prodotto nei cloroplasti delle cellule vegetali sfruttando l’energia luminosa.
I mitocondri operano e producono energia se serve, quindi non viene accumulata ma sintetizza e rilascia
subito l’ATP prodotta per essere resa disponibile alla cellula per tutti i processi che richiedono il dispendio
di energia (es. trasporto attivo, contrazione, sintesi di sostanze cellulari, trascrizione o duplicazione,
trasmissione degli impulsi ecc.).

Metabolismo energetico
Le reazioni esoergoniche (che liberano energia) sono dette cataboliche, mentre quelle endoergoniche (che
richiedono energia) sono dette anaboliche. Alle prime appartengono quelle del metabolismo energetico,
mentre le seconde costituiscono il metabolismo biosintetico.
Dunque il metabolismo energetico è quell’insieme di reazioni che liberano energia necessaria per le
funzioni cellulari. A partire dalla degradazione di una molecola organica, si arriva alla produzione di
molecole di ATP, che è l’intermedio comune tra le reazioni che liberano e che richiedono energia, capace di
essere utilizzata da tutti gli apparati cellulari.
ATP → Detta adenosin- trifosfato, costituita dalla base azotata adenina, dal ribosio e da 3 gruppi fosfato
legati assieme.
Dalla scissione di un gruppo fosfato si libera l’energia necessaria che la cellula usa per i vari processi. Da tale
scissione si origina l’adenosin-difosfato (ADP) più fosfato che viene liberato sottoforma di fosfato
inorganico. Il mitocondrio per riprodurre l’ATP dovrà fosforilare l’ADP che recuperano dal citoplasma,
quindi è un processo che richiede energia perché se dalla scissione di un gruppo fosfato si libera energia
vorrà dire che per ricreare il legame servirà quella quantità di energia liberata. Dunque, per far questo
devono disporre di una fonte di energia che prelevano dalla demolizione di molecole carboniose (zuccheri,
grassi, proteine) i cui legami C-C o C-H sono ossidati ad anidride carbonica e acqua, lasciando notevoli
quantità di energia chimica. La cellula opera questa ossidazione in 3 tappe.

(La prof non chiederà di parlare della respirazione aerobica intesa come tappe, come nomi, come rese energetica e la
parte biochimica ma è importante sapere cosa succede, da dove partiamo, a cosa arriviamo e in quale comparto
cellulare avvengono questi processi).
Il metabolismo energetico consta di una fase anaerobica, che si attua in assenza di ossigeno e si svolge nel
citoplasma cellulare (GLICOLISI) e una fase aerobica, che richiede la presenza di ossigeno e si svolge
all’interno dei mitocondri (seconda e terza tappa).
Quando si parla di respirazione cellulare si fa riferimento a 3 tappe fondamentali che sono:
1. La GLICOLISI → avviene nel citoplasma della cellula. È una trasformazione biochimica, determina la
lisi del glucosio in due metà che saranno due molecole a 3 atomi di C di piruvato, senza la richiesta
di ossigeno. Questo passaggio avviene attraverso una serie di reazioni in modo che l’energia sia
liberata poco per volta. Ciò permette alla cellula di conservarne una grande quantità sotto forma di
energia chimica utilizzabile. Se, viceversa, l’energia fosse liberata tutta insieme, una gran parte di
essa si trasformerebbe in calore e ciò danneggerebbe la cellula perché innalzerebbe troppo la
temperatura e perché l’energia sotto forma di calore non è utilizzabile dalle cellule.
Interverranno due trasportatori NAD che si faranno carico di protoni ed elettroni, quindi si
trasformano in NAD ridotto (NADH).
2. Il CICLO DI KREBS → avviene nella matrice mitocondriale. Una volta che viene prodotto il piruvato,
in presenza di ossigeno viene invertito in acetil-coenzima A, il quale attraversa le membrane
mitocondriali raggiungendo la matrice dove darà il via al Ciclo di Krebs, o “Ciclo degli acidi
tricarbossilici” o “Ciclo dell’acido citrico”.
Il ciclo inizia con l’unione dell’acetilcoenzima A a una molecola di ossalacetato, un composto a 4
atomi di C, formando il citrato (a 6 atomi di C) che, attraverso otto reazioni consecutive mediate da
enzimi, viene smontato, dando luogo a una nuova molecola di ossalacetato e liberando 2 atomi di C
sotto forma di anidride carbonica.
Dunque, una volta arrivato nella matrice mitocondriale, l’acetato viene decarbossilato (perdita di
una molecola di anidride carbonica) e deidrogenato (perdita di H), quindi viene ossidato, dai vari
enzimi solubili contenuti in essa, con produzione di anidride carbonica e di coenzimi ridotti NADH e
FADH2.
La partecipazione dell’acetilcoenzima A (acetilCoA) al ciclo di Krebs ha una notevole importanza per
gli essere viventi dato che l’acetato è anche uno dei prodotti della demolizione delle proteine e dei
grassi, oltre che degli zuccheri. Per questo motivo anche le proteine e i grassi possono essere
utilizzati come sorgente di energia. Infatti, nella matrice citoplasmatica così come il piruvato, gli
aminoacidi e gli acidi grassi sono trasformati in acetato che si lega al coenzima A.
3. Il TRASPORTO DI ELETTRONI e la FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA → Avviene lungo la membrana
mitocondriale interna. La fosforilazione ossidativa prevede che l’energia necessaria per caricare una
molecola di ADP trasformandola in ATP derivi dal gradiente elettrochimico che si viene a creare,
grazie alle differenze nella concentrazione di protoni (H+), tra le due camere mitocondriali.
NAD ridotto (NADH) e FAD ridotto (FADH2), per poter tornare liberi nuovamente a poter operare
nella Glicolisi e nel Ciclo di Krebs e in tutti gli altri contesti in cui serviranno, andranno a cedere
elettroni e protoni di cui si fanno carico, nelle creste mitocondriali dove seguiranno due diverse
strade: una relativa agli elettroni e una relativa ai protoni, perché NAD ridotto e FAD ridotto
raggiungono dei sistemi proteici localizzati lungo le creste mitocondriali che vengono chiamati
CITOCROMI. Il compito di tali molecole proteiche è quello di farsi carico degli elettroni e passarseli
di “mano in mano” mediante “proteiossidoriduttivi”(??) , cioè differenze di ossidoriduzione, dove
alla fine interverrà l’ossigeno come accettore ultimo di questi elettroni, che se li lega e se li tiene,
divenendo in grado di legare H e produrrà acqua.
In pratica il complesso NADH-CoQ reduttasi riceve gli e- dal NADH e li trasferisce all’ubichinone (o
coenzima Q, CoQ) (molecola presente nella membrana interna) che si riduce a CoQH2 e poi li passa
al complesso proteico CoQH2 citocromo c reduttasi che a sua volta li passa al citocromo c (proteina
presente nella camera esterna). Da qui passano al complesso citocromo c ossidasi e li passa
all’ossigeno.
Anche i protoni vengono ceduti ai CITOCROMI, però essi non li legano e quindi non li trasportano,
ma li portano verso lo spazio intermembrana (chiamato Camera Esterna) dove si avrà un pH acido.
Un pH acido non è compatibile con la vita cellulare, quindi la camera esterna per impedire che tale
concentrazione di protoni diventi pericolosa richiama acqua per tamponare l’accumulo dei protoni.
Ciò determina la condensazione interna del mitocondrio e la camera esterna si espande a spese
della camera interna (forma CONDENSATA e ATTIVA del mitocondrio). Nella camera esterna si crea
un gradiente protonico, cioè un gradiente di concentrazione, dunque i protoni tenderebbero ad
entrare verso la matrice mitocondriale, però le membrane mitocondriali interne sono impermeabili
al rientro di tali protoni. L’unica via che ne consente l’ingresso è un complesso proteico chiamato
ATP SINTETASI.
(La prof dell’atp sintetasi vuole sapere come funziona, com’è fatta e a cosa serve).
ATP SINTETASI → chiamata complesso proteico perché è costituita da due subunità. Una subunità
Fo, dove “o” si riferisce alla presenza di oligomicina, ed una subunità F1.
- La porzione Fo si posiziona lungo lo spessore dello spazio intermembrana e funge esclusivamente
da canale protonico per fare rientrare secondo gradiente i protoni, concentrati nello spazio
intermembrana, lungo la matrice.
- La porzione F1 si ritrova verso la matrice ed è la porzione enzimatica in tale complesso che sfrutta
l’energia che si libera dal flusso dei protoni in entrata per legare un gruppo fosfato all’ADP, quindi
per fosforilare l’ADP per la sintesi dell’ATP, cioè energia.
Bisogna immaginare che F1 sia una sorta di cancello all’ingresso di un negozio dove iniziano i saldi.
Tutta la gente messa in fila fa girare il cancello. Questo è quello che fanno i protoni attraverso F o,
cioè rientrano tutti in fila uno dietro l’altro ed F1 riesce a recuperare l’energia che si libera dal
rientro massivo dei protoni la quale viene utilizzata per la fosforilazione.
Quindi lungo le creste mitocondriali si giustifica l’elevata percentuale di proteine proprio perché sono
presenti il complesso di citocromi e l’ATP sintetasi che serve per far rientrare i protoni e per produrre
energia.
Questa fase avviene quando il mitocondrio è attivo, perché altrimenti sia Fo che F1 saranno perfettamente
ripiegati nello spessore della membrana mitocondriale interna. Quando il mitocondrio si attiva invece la
subunità Fo si posizione lungo lo spazio intermembrana e la subunità F1 si spinge verso la matrice.

Organuli simili ai mitocondri


Altri organuli che sono simili ai mitocondri in termini di organizzazione (sistema di membrane che li
delimita) e per la presenza di una propria molecola di DNA circolare sono i plastidi che si trovano nelle
cellule vegetali.
I plastidi in base a quello che contengono al loro interno posso essere distinti in: leucoplasti, che sono
bianchi e translucidi e generalmente contengono amido, quindi sono principalmente costituiti da
amidoplasti e non sono in grado di svolgere reazioni fotosintetiche; e cromoplasti, contengono pigmenti
dove abbiamo cloroplasti se contengono clorofilla, che è un pigmento verde e sono responsabili della
fotosintesi, oppure carotenoidi, che contengono pigmento rosso e sono quelli responsabili della colorazione
delle foglie e dei frutti.
Differenze: cloroplasti e mitocondri
Per quanto riguarda il sistema di membrane che li delimita, i cloroplasti sono accomunati ai mitocondri con
la differenza che mentre nei mitocondri c’è una membrana esterna ed una membrana interna ripiegata a
formare le creste, nei cloroplasti c’è un sistema a doppia membrana, separate da uno spazio
intermembranoso, che li circoscrive ma le due membrane sono a decorso parallelo e in quello che è
“camera interna” dei plastidi prende il nome di “stroma” piuttosto che “matrice”. Inoltre si forma un
sistema membranoso interno che si organizza come una sorta di vescicole, simili a dei sacchi appiattiti,
interconnesse tra di loro, chiamati tilacoidi. Alcune membrane di tali tilacoidi formano dischi appiattiti
sovrapposti a formare pile dette grana che al microscopio ottico appare come un granulo di colore
verde.Tale sistema ricorda le “creste mitocondriali”, quindi anche in questo caso c’è il bisogno di una
membrana che si estenda all’interno del plastidio, del cloroplasto, per aumentare la superficie
membranosa interna che giustifica le tappe della fotosintesi, cioè serve esattamente per assorbire una
porzione ben precisa di energia luminosa legata alla produzione, a partire da acqua e anidride carbonica, di
glucosio, il quale può essere scisso dalle cellule vegetali stesse o può essere sfruttato dalle cellule animali
per produrre ATP a livello mitocondriale.
Da ciò si può dedurre che nelle cellule vegetali la produzione e scissione del glucosio funziona in maniera
perfetta, perché essa possiede sia chi produce glucosio che ci lo scinde, mentre le cellule animali essendo
eterotrofi non possiedono cloroplasti e non sono in grado di sintetizzare il glucosio ma lo devono introdurre
con l’alimentazione.

Inoltre nelle membrane dei tilacoidi si trovano anche complessi di ATP sintetasi analoghi a quelli che si
notano nella membrana interna dei mitocondri, il cui frammento F1 è rivolto verso lo stroma.
Come i mitocondri, anche i cloroplasti posseggono un proprio DNA il quale è di tipo procariotico, nudo e
chiuso ad anello e un apparato sintetico. Però i cloroplasti usano il codice genetico universale.
Quindi esiste una continuità funzionale tra le due tipologie di organuli.
La sintesi dei componenti del cloroplasto è solo in piccola parte endogena. Gran parte delle componenti
molecolari dell’organulo è sintetizzata nel citoplasma sotto il controllo del genoma sia nucleare sia
cloroplastico, i cui trascritti sono così tradotti da ribosomi eucariotici.
Le proteine destinate ai tilacoidi sono dotate di un secondo segnale, posto dopo il segnale per lo stroma.
Dopo l’importazione nello stroma, il primo segnale viene rimosso da un’apposita peptidasi e viene così
esposto il secondo segnale che invia la molecola alla membrana tilacoidale, direttamente o mediante
l’intervento di recettori solubili nello stroma.

NUCLEO
- Il NUCLEO è una compartimentazione del citoplasma. L’insieme delle componenti all’interno del nucleo è
chiamato NUCLEOPLASMA.
- È circoscritto da un involucro nucleare, che altro non è che l’espansione di una cisterna del reticolo
endoplasmatico granulare, motivo per cui esiste una continuità tra involucro nucleare e reticolo
endoplasmatico.
- Essendo che è circoscritto dall’involucro nucleare, costituito da membrane, il nucleo è tipico solo delle
cellule eucariotiche perché le cellule procariotiche non possiedono sistemi membranosi interni al
citoplasma.
- Rare sono le cellule prive di nucleo, come ad esempio i globuli rossi dei mammiferi.
- All’interno del nucleo si posiziona l’informazione genetica quindi è presente tutto il DNA. Dunque
all’interno del nucleo avvengono la DUPLICAZIONE del DNA, che porta alla divisione cellulare, e la
TRASCRIZIONE del DNA, ogni volta che la cellula necessità di sintetizzare enzimi o proteine specifiche,
motivo per cui l’informazione viene veicolata dal nucleo al citoplasma e lo fa sottoforma di RNA.
- Il nucleo è una struttura dinamica la cui morfologia cambia nelle diverse fasi del ciclo cellulare. Tutto il
CICLO CELLULARE, dove la cellula dal momento che si origina si accresce per poi dividersi nuovamente, è
costituito principalmente da 2 momenti: INTERFASE e DIVISIONE CELLULARE (Fase M).
Il nucleo è visibile nell’interfase, momento in cui troviamo la forma attiva del DNA (Cromatina) perché
deve essere duplicato e trascritto, quindi si parla di una forma leggibile e despiralizzata.
Durante la divisione (mitotica o meiotica), il DNA si trova sotto la forma inattiva (Cromosomi), perché la
cellula deve ripartire il DNA in maniera esatta tra le due cellule figlie. In questo caso il DNA sarà
fortemente spiralizzato e apparirà nella sua forma illeggibile compatta in cromosomi.
- Le dimensioni del nucleo sono in rapporto alla quantità di DNA in esso contenuto e sono generalmente
proporzionali a quelle del citoplasma. Il rapporto tra le dimensioni del nucleo e del citoplasma si chiama
indice nucleo plasmatico ed è dato dalla divisione del volume del nucleo e il volume cellulare meno il
volume del nucleo, il quale deve essere sempre costante. La cellula sa che è giunto il momento di dividersi
se viene alterato tale rapporto nucleo/plasmatico, dove il volume del citoplasma risulta troppo grande per
il nucleo che lo gestisce, ed è nell’interfase che la cellula si accresce volumetricamente ed aumenta le sue
dimensioni. Dunque le due nuove cellule non saranno più piccole, ma avranno dimensioni uguali a quella
che aveva la cellula madre prima di entrare in interfase.
Esistono cellule:
• MONONUCLEATE, con un solo nucleo, che sono la maggioranza;
• Con due nuclei
• PLURINUCLEATE, cioè si parla di masse citoplasmatiche plurinucleate in cui si fa riferimento a:
- Sincizi → quando si ha la fusione di diverse cellule singole che confluiscono tra di loro e si
fondono. Il risultato è un’unica massa citoplasmatica con un’unica grande membrana che
avvolge il tutto e con tanti nuclei quanto erano le cellule che si sono fuse per originare
questa struttura.
- Plasmodi → quando all’interno di un’unica cellula inizia a dividersi il nucleo, quindi avviene
la Cariocinesi, ma non avviene la divisione del citoplasma. Dunque si ha l’accrescimento
volumetrico non seguito dalla strozzatura che da origine alle cellule figlie. Alla fine si avrà lo
stesso risultato che si ha nel Sincizio, ciò che li differenzia è solo l’origine.
Esempio: fibra muscolare scheletrica. Infatti i muscoli volontari non sono fatti da un’unica
cellula, ma la fibra è data dalla fusione di più cellule. Ciò avviene durante la vita embrionale.

INVOLUCRO NUCLEARE
- Costituito da due citomembrane a percorso parallelo con diametro di 6 nm:
• la citomembrana esterna tappezzata tutta da ribosomi. Essa è associata alla rete citoscheletrica di
actina e al centrosoma.
• la citomembrana interna è a contatto con il materiale nucleare, dove i ribosomi non sono più
visibili, ma si vedono tanti “buchini” che corrispondono alla parte centrale del poro nucleare. Essa
interagisce con la lamina fibrosa, essenziale per l’integrità dell’involucro, e con la cromatina.
Queste interazioni dipendono da proteine integrali delle due membrane.
- Tra le due citomembrane c’è uno spazio intermembrana, detto spazio perinucleare. Esso ha un diametro
di circa 40-50 nm ed è in continuità con il lume del reticolo endoplasmatico rugoso.
- In varie cellule, l’involucro forma invaginazioni all’interno del nucleo che aumentano l’area di contatto tra
membrana interna e materiale nucleare. Queste invaginazioni sono state chiamate RETICOLO
NUCLEOPLASMATICO.
- Sono presenti dei PORI NUCLEARI → che sono dei punti in cui le due citomembrane prendono contatto
tra di loro, cioè si fondono dando luogo ad una continuità. Nel punto in cui avviene la fusione si crea un
complesso proteico chiamato COMPLESSO DEL PORO che presenta delle proteine globulari, dette
nucleoporine, che circoscrivono il cosiddetto ANNULUS, cioè una struttura circolare, ad anello, che
definisce un canale di comunicazione che si restringe al centro formando una sorta di “canestro” in modo
da limitare le dimensioni delle molecole o degli organuli che possono transitare attraverso i pori nucleari, le
quali sono molecole di piccole o medie dimensioni. Quelle di maggiori dimensioni non sono in grado di
attraversare il poro se non attivamente.
Dunque essi, insieme ad altri sistemi di comunicazione, permettono un traffico bidirezionale.
Il numero dei pori varia in relazione alle dimensioni del nucleo, ma soprattutto in conseguenza dell’attività
sintetica della cellula. Mediamente una cellula somatica umana possiede circa quattromila pori nucleari.

- Ci sono diversi tipi di vie di comunicazione, cioè di trasferimento di materiale dal nucleo al citoplasma e
viceversa:
• per evaginazione, dove si staccano porzioni dell’involucro nucleare per intero, quindi formate da
citomembrana interna ed esterna, quindi si formano vescicole che si muovono nello spazio
intermembrana, dalla citomembrana interna passa nello spazio e si fonde con la citomembrana
esterna;
• si può avere il passaggio libero attraverso i pori nucleari;
• grazie alla formazione delle BLERS (?), cioè si formano vescicole a carico soltanto della
citomembrana esterna.
Tutti questi meccanismi fanno capire che tra nucleo e citoplasma c’è una continua comunicazione con
scambio di informazioni. Devono veicolarsi trascritti, proteine ed anche subunità ribosomiali.

Nucleolo
Il Nucleolo è un addensamento visibile all’interno del nucleo. Quindi è una porzione del nucleo non
delimitata da membrana che, quando si osserva al microscopio il nucleo, appare più scuro e più denso. È
più denso perché è la sede di attiva trascrizione dell’RNA ribosomiale.
Quindi si avrà un accumulo di DNA , di RNA, geni che codificano per l’RNA ribosomiale e proteine, in quanto
si avranno prodotti di sintesi per gli enzimi che servono per assemblare i ribosomi e le proteine che passano
dal citoplasma per assemblarsi all’RNA ribosomiale per formare i ribosomi stessi, infatti è qui la sede di
organizzazione dei ribosomi.
Tra le proteine sono presenti tutti i tipi di RNA polimerasi, cioè quelle proteine che servono a legare il DNA
per trascriverlo in RNA, perché in base al tipo di RNA che si deve trascrivere cambierà il tipo di RNA
polimerasi.
Senza la presenza del nucleolo non si avrebbe né l’RNA né i ribosomi.

Importazione ed esportazione
- Le molecole proteiche che devono essere trasportate attraverso il poro sono dotate di specifici segnali di
importazione o di esportazione nucleare che vengono riconosciuti da specifici recettori.
- Caratteristica dei segnali di importazione nucleare è quella di non venire in genere rimossi dopo aver
svolto la loro funzione. Ciò è spiegato dal fatto che durante la prometafase si ha la disgregazione
dell’involucro, che libera nel citoplasma il contenuto nucleare. Con la telofase si ha la ricostruzione
dell’involucro e il mantenimento del segnale permette di reimportare le proteine preesistenti, senza
costringere la cellula alla costosa sintesi ex novo di tutte le proteine nucleari.
- I recettori che riconoscono i segnali di importazione sono dei recettori citosolici detti IMPORTINE che a
propria volta si legano al poro nucleare. Le proteine del poro hanno siti di attacco per tali recettori. Esso,
legato alla proteina da importare, penetra nel complesso del poro fino a raggiungere l’interno del nucleo,
dove rilascia il suo carico per tornare poi al citoplasma.
- L’energia necessaria per il trasporto di molecole all’interno e all’esterno del nucleo è fornita dall’idrolisi di
GTP.
- Una caratteristica del trasporto nucleare è che le proteine passano attraverso i pori nucleari in forma
completamente ripiegata nella conformazione nativa. Nel trasporto in altri organuli le proteine devono
svolgersi.

Modificazione dell’involucro nucleare


Nella maggior parte degli eucarioti l’involucro nucleare si disgrega all’inizio della divisione e si riforma al
temine della divisione, durante la telofase. In alcuni organismi che hanno una mitosi detta chiusa l’involucro
non si disgrega, ma anche in questo caso subisce profonde modificazioni.
Nella mitosi aperta, inizialmente il complesso del poro si modifica in modo tale che rimanga solo
l’intelaiatura centrale, ciò consente l’entrata nel nucleo di tubulina. Successivamente si ha la fosforilazione
delle lamine a causa del fattore per la promozione della mitosi (MPF) e questo provoca la disgregazione
dell’involucro:
- I frammenti di involucro si mescolano al RER;
- Le nucleoporine sono disperse nel citoplasma;
- Le lamine si disperdono nel citoplasma a eccezione della lamina B, la quale rimane legata alle membrane
dell’involucro che si sono mescolate al RER.

Alla telofase, in seguito all’inattivazione di MPF, le lamine vengono defosforilate e questo consente la
riaggregazione dell’involucro. Le vescicole derivate da tale disgregazione in profase unite alle lamine si
associano alla superficie dei cromosomi e si fondono attorno a ciascun cromosoma formando piccoli nuclei,
detti cariomeri, ai quali si aggiungono i complessi del poro. Successivamente i cariomeri si fondono
ricostituendo l’involucro completo.

Nucleoscheletro
Il nucleo al suo interno presenta una rete tridimensionale paragonabile al Citoscheletro, che prende il nome
di NUCLEOSCHELETRO, che da robustezza e forma, quindi sostengono l’involucro nucleare, fornendo
supporto alla cromatina. Esso avrebbe anche un’importante influenza su varie funzioni nucleari, quali la
duplicazione e la riparazione del DNA, la trascrizione, l’apoptosi e il controllo del ciclo cellulare. La
componente che si riconosce con quella del citoscheletro è quella dei Filamenti Intermedi, costituiti in
questo caso da lamine che vanno a formare la lamina densa a ridosso della membrana e la rete fibrillare.
Lamina densa → le lamine si intrecciano fra loro in una struttura reticolare. Ne esistono 4 tipi diversi: due
appartengono al tipo A, lamina A e lamina C, e 2 al tipo B, lamina B1 e lamina B2. L’unità dei filamenti di
lamine è un dimero. I dimeri interagiscono testa-coda a formare protofilamenti che si uniscono
lateralmente a costituire una struttura reticolare. La lamina densa si lega alla membrana interna
dell’involucro nucleare, dandogli supporto e facendogli da tramite con la cromatina. Tale legame avviene
mediante proteine integrali di membrana. Inoltre le lamine possono legarsi anche a proteine
nucleoplasmatiche, che a propria volta si legano alla cromatina.
Rete fibrillare → le lamine formano un reticolo più lasso e meno stabile di quello della lamina fibrosa. In
tale rete oltre alle lamine si trovano altre proteine, fra cui le forme nucleari dell’actina e le proteine
associate ad essa.
- Pertanto, esisterebbe una rete di interazioni che, attraverso i legami delle proteine della membrana
interna con la lamina fibrosa e con le proteine della membrana esterna e di queste ultime con l’actina
citoscheletrica, unirebbe il nucleoscheletro al citoscheletro e servirebbe a posizionare e a dare stabilità al
nucleo. Questa rete è stata chiamata LINC.
CICLO CELLULARE
Quando si parla di riproduzione cellulare, si parla fondamentalmente di due processi:
• MITOSI → (riproduzione asessuale) processo che interessa le cellule somatiche di un organismo ed
è in grado di formare due nuove cellule geneticamente e morfologicamente identiche alla cellula
parentale, infatti risultato di tale divisione porterà alla formazione di due cellule con assetto
cromosomico diploide (2n).
• MEIOSI → (riproduzione sessuale) processo che interessa le cellule della linea germinale e che, a
partire da una cellula diploide, detta zigote, data dall’unione di due gameti provenienti da individui
di sesso diverso, porta alla formazione di gameti che possiedono metà patrimonio genetico rispetto
alla cellula parentale, infatti tale divisione porterà alla formazione di quattro cellule con assetto
cromosomico aploide (n).
I gameti si differenziano in organi specifici detti gonadi, secondo una precisa sequenza di eventi
denominata gametogenesi, durante la quale le cellule vanno incontro a meiosi. L’incontro e la fusione
dei due gameti ripristina, nello zigote, il corredo cromosomico diploide.

Però prima di parlare di divisione cellulare andremo ad analizzare quello che è il CICLO CELLULARE nelle sue
fasi, il quale corrisponde al periodo che intercorre fra l’origine di una cellula da una divisione e il momento
in cui questa, a sua volta, si divide. Esso è diviso in due fasi che si chiamano INTERFASE e FASE M.
- INTERFASE → periodo che intercorre fra due fasi M ed è caratterizzato a sua volta da diverse fasi:
1. FASE G1 → (sta per gap) la cellula cresce in dimensioni, aumenta il numero di organelli, molecole ed
enzimi. Vi è dunque una spinta attività di TRASCRIZIONE DELL’RNA e SINTESI DI COMPONENTI
necessari alla duplicazione del DNA. Inoltre la cellula verifica che vi siano le condizioni necessarie ed
ottimali per procedere alla fase S.
2. FASE S → avviene la DUPLICAZIONE del DNA e la SINTESI DELLE PROTEINE. Vengono infatti
sintetizzate le proteine istoniche, che formeranno i nucleosomi (strutture portanti del DNA
spiralizzato). In questa fase avviene anche la DUPLICAZIONE del CENTROSOMA. Esso, come si è già
visto, è il principale organizzatore dei microtubuli citoscheletrici e di quelli del fuso mitotico.
Dunque, esso si duplica ed ogni centrosoma successivamente migrerà ad uno dei poli della cellula,
organizzando le fibre del fuso mitotico.
Terminata la fase S la cellula si stabilizza solo nel caso in cui non deve subire un altro processo di mitosi,
passando alla FASE G0 → caratterizza alcune popolazioni di cellule che hanno raggiunto uno stato
perennemente (tessuto nervoso), o stabilmente (tessuto osseo e muscolare) quiescente ma
metabolicamente attivo. Perciò saranno cellule vive, attive ma che non necessitano di mitosi. Tali cellule
vanno incontro a un profondo differenziamento, costruendo nuovi organuli o apparati e ingrandendosi.
Essi derivano dunque da elementi ancora indifferenziati (blasti) che, dopo un certo numero di divisioni
e, quindi, di regolari cicli vitali, iniziano il differenziamento.
In alcuni casi la fase G0 precede la senescenza e la morte cellulare.
Altrimenti vi è una terza fase:
3. FASE G2 → avviene solo se la cellula andrà incontro ad un’altra mitosi. Essa prevede la
condensazione dei cromosomi, la sintesi di gran parte delle strutture micro tubulari che formeranno
l’apparato mitotico e vari componenti di membrana che. Al termine della divisione, sono utilizzati
per la costruzione di parte delle nuove membrane plasmatiche delle due cellule figlie. Dunque
avviene una sorta di preparazione per la mitosi. In tale fase le cellule sono distinguibili da quelle in
fase G1 poiché presentano un contenuto doppio di DNA.

Variazioni nella normale sequenza del ciclo cellulare si hanno anche nel corso della segmentazione dello
zigote (uovo fecondato), nei cosiddetti blastomeri. Alla divisione non segue alcun accrescimento
volumetrico. Dunque i blastomeri sono cellule che si dividono rapidamente, saltando la fase G 1 e gran parte
della G2. Infatti, le prime fasi dello sviluppo dell’embrione utilizzano gran parte degli RNA e delle proteine
che sono state sintetizzate in precedenza dalla cellula uovo.

Ogni fase del ciclo cellulare è controllata e verificata da opportune proteine o complessi proteici che
ciclicamente vengono attivati e disattivati affinché venga garantito il corretto svolgimento delle diverse fasi.
Errori a carico di questi processi, che vedono coinvolte anche un solo numero esiguo di cellule, potrebbero
portare alla crescita cellulare incontrollata, caratteristica peculiare delle cellule tumorali.
Le molecole che controllano i vari eventi del ciclo cellulare sono proteinchinasi, dette Cdk, che attivate dalle
proteine chiamate cicline, fosforilano, attivandole, le proteine che danno inizio e regolano i processi
principali delle varie fasi. Esse sono disattivate, invece, dalla proteolisi delle relative cicline.

- FASE M →è caratterizzata dal processo della mitosi a cui segue la citodieresi. La mitosi è l’evento
attraverso il quale la maggior parte degli organismi eucarioti proliferano, quindi è un meccanismo usato per
moltiplicarsi. Consiste inizialmente in una divisione nucleare in cui le molecole di DNA che si sono duplicate
precedentemente in fase S, sono equamente suddivise nelle due cellule figlie. A questo scopo, dunque, è
importante che il DNA si sia duplicato e che i cromosomi assumano una configurazione che consenta
un’agevole e corretta segregazione dei cromatidi fratelli. Inoltre è importante che si formi l’apparato
mitotico che è capace di determinare tutti i movimenti necessari per questa segregazione. Il processo di
citodieresi invece è quella fase che assicura un’equa suddivisione del citoplasma e di tutti gli organuli
cellulari in esso presenti.
La fase M è caratterizzata da:
1. PROFASE → condensazione dei cromosomi. Dunque, ci sarà la spiralizzazione del DNA e la seguente
formazione dei cromosomi. Essi appaiono dunque al microscopio ottico come strutture
bastoncellari, formati da due cromatidi fratelli, uniti in corrispondenza di un centromero. Sempre
durante la profase, i centrosomi presenti nel citoplasma (in seguito alla divisione in fase S del singolo
centrosoma) migrano ai poli opposti della cellula, dove iniziano ad organizzare i microtubuli, dando
forma alle prime fibre che formeranno poi il FUSO MITOTICO.
2. PROMETAFASE → disgregazione dell’involucro nucleare in vescicole che si disperdono nel
citoplasma. Ciò avviene in conseguenza alla depolimerizzazione della lamina nucleare. Inoltre il fuso
mitotico si forma completamente ed i cromosomi si posizionano al centro della cellula. In questo
momento, i CINETOCORI dei cromosomi, strutture proteiche che si localizzano a livello del
centromero (zona centrale dei cromosomi), prendono contatto con alcune fibre del fuso e, tramite
l’estremità +, si agganciano ad esse con un legame bipolare che permette ai due cromatidi fratelli di
legarsi correttamente ai microtubuli che provengono dai poli opposti della cellula.
3. METAFASE → grazie al legame bipolare le fibre del fuso allineano ordinatamente i cromosomi sul
piano equatoriale della cellula, formando così la PIASTRA METAFASICA. Questo fenomeno sembra
essere legato all’azione antagonista delle forze che attraggono i cromosomi verso i poli opposti.
Infatti, si nota che i cromosomi sono spinti alternativamente in direzioni di uno o dell’altro dei due
poli fino a che non è raggiunto il punto di equilibrio al centro del fuso. In questa fase il fuso mitotico
è una struttura altamente specializzata costituita da microtubuli che possono essere suddivisi in 3
categorie:
- Microtubuli dell’Aster, i quali si irragiano dal centrosoma verso l’aria esterna del fuso.
- Microtubuli del cinetocore, i quali, partendo dai centrosomi si agganciano ai cinetocori dei
cromosomi.
- Microtubuli polari, che partono da un centrosoma e vanno ad interagire con i microtubuli del
centrosoma posizionato all’estremità opposta.

La metafase risulta essere il momento più proficuo per studiare i cromosomi poiché presentano il
massimo grado di spiralizzazione e sono disposti ordinatamente sul piano della piastra equatoriale.
4. ANAFASE → migrazione dei cromosomi ai poli della cellula. L’anafase a sua volta si divise in anafase
A e anafase B. L’ANAFASE A ha inizio nel momento in cui i cromosomi allineati sulla piastra
metafisica si separano nei due CROMATIDI FRATELLI, in corrispondenza del centromero, grazie ad un
enzima proteolitico detto separasi, e da qui iniziano a migrare ai poli opposti della cellula. Lo
spostamento dei singoli cromatidi ai poli della cellula è determinato dall’accorciamento dei
microtubuli cromosomici a partire dall’estremità legata al cinetocore in direzione del centrosoma.
Nell’ANAFASE B il movimento dei cromatidi verso i poli opposti è accompagnato dall’allungamento
del fuso mitotico a carico dei microtubuli polari, il quale genera un allontanamento dei due poli
cellulari.
5. TELOFASE → equa suddivisione del citoplasma nelle due cellule figlie. Essa è la quinta e ultima tappa
della divisione mitotica. Ha inizio quando i due gruppi di cromatidi (ormai diventati cromosomi delle
due cellule figlie) hanno raggiunto i poli della cellula. A questo punto i cromosomi si
DECONDENSANO ritornando sotto forma di cromatina, si formano i nucleoli delle due cellule figlie.
In seguito alla defosforilazione delle lamine si ricostituisce la lamina fibrosa attorno a ciascuno dei
due gruppi di cromosomi figli e, di conseguenza, inizia a ricostruirsi l’involucro nucleare a partire
dall’adesione con la lamina e la fusione di vescicole che, in parte derivano dal vecchio involucro
nucleare ed in parte sono state neosintetizzate dal REG. Il fuso mitotico si disassembla con
l’esclusione dei centrioli e di un gruppo residuo di microtubuli antiparalleli posto al centro della
cellula, chiamato fuso centrale, che permane finché non si è diviso anche il citoplasma.
La telofase termina con la CITODIERESI, processo che garantisce l’equa suddivisione del citoplasma e
di tutti gli organuli, alle cellule figlie. Nelle cellule animali, in tarda telofase compare un solco, detto
SOLCO DI DIVISIONE, a carico dei microfilamenti di actina, i quali all’inizio dell’anafase si dispongono
al di sotto della membrana plasmatica a formare un anello. Tale anello è capace di contrarsi a causa
della polimerizzazione e depolimerizzazione dei filamenti di actina, provocando l’introflessione della
membrana plasmatica che gradualmente avanza verso il centro della cellula dove incontra le pieghe
provenienti dal lato opposto con le quali si salda, cosi avviene la divisione citoplasmatica.
L’esatta localizzazione dell’anello contrattile sembra determinata in alcuni casi dai microtubuli
astrali e in altri dai microtubuli polari antiparalleli del fuso centrale.
Essa solo per comodità didattiche e sperimentali viene suddivisa in tappe, ma si tratta sempre e comunque
di un processo continuo.

MEIOSI
- La meiosi è un processo riproduttivo che si differenzia dalla mitosi ed ha altre caratteristiche principali.
- Da un organismo diploide (zigote) si passa a quattro organismi aploidi, geneticamente diversi.
- È caratterizzata da un crossing-over, ovvero un ampio rimescolamento del patrimonio genetico fra i
cromosomi di ciascuna coppia di omologhi.
- La meiosi avviene solo per le cellule deputate alla riproduzione.
- Possiamo dividere la meiosi in due fasi successive una all’altra, MEIOSI I e MEIOSI II, precedute da una
sola fase S (quindi una sola duplicazione del DNA, motivo per cui al termine della meiosi ci saranno 4 cellule
aploidi).
- MEIOSI I → la prima divisione è molto lunga e produce due cellule figlie contenenti un numero di
cromosomi dimezzato rispetto ai cromosomi originari. Essa è costituita da:
1. PROFASE I → è divisa in 5 stadi:
- LEPTOTENE: i cromosomi cominciano a spiralizzarsi diventando corpuscoli sottili e allungati,
disposti con i telomeri verso il polo della cellula e aderenti all’involucro nucleare. A partire dai
telomeri, gli omologhi cominciano ad appaiarsi punto per punto. Per tale appaiamento è necessario
che inizino gli eventi che porteranno alla ricombinazione tra cromatidi non fratelli, ovvero la
formazione di una rottura della doppia elica a livello di uno dei due cromatidi che corrisponde alla
zona che andrà incontro al CROSSING-OVER.
- ZIGOTENE: si completa e si stabilizza l’appaiamento degli omologhi (chiamati bivalenti o tetradi,
essendo ciascun omologo formato da due cromatidi) con la formazione di una struttura proteica
detta COMPLESSO SINAPTINEMALE. Esso è una formazione composta da tre zone disposte in
parallelo lungo l’asse longitudinale. Le due zone esterne sono dette core assiali tra le quali c’è una
terza struttura o elemento centrale che è costituita da elementi trasversali che collegano gli
elementi laterali. Il ruolo del complesso sinaptinemale è quello di stabilizzare l’unione dei
cromosomi omologhi ed anche per completare il crossing-over.
- PACHITENE: gli omologhi si spiralizzano ulteriormente e i telomeri si staccano dall’involucro
nucleare. Quì avviene il processo che prende il nome di CROSSING-OVER. Esso è basato sull’incrocio
di due cromatidi non fratelli, seguito dalla rottura nel punto di incrocio e successiva saldatura che
porta alla formazione di due nuovi cromatidi costituiti da una porzione di uno dei due cromatidi e
da una porzione dell’altro, cambiando così la composizione genica originaria.
- DIPLOTENE: gli omologhi appaiati iniziano a separarsi, restando però uniti dove è avvenuto il
crossing-over, formando strutture i cui punti di contatto sono detti CHIASMI.
- DIACINESI: le tetradi si spiralizzano, mentre i chiasmi sembrano scorrere verso l’estremità dei
cromosomi con un processo detto terminalizzazione dei chiasmi, forse dovuto alla diversa
contrazione delle varie regioni cromosomiche. Si avrà la formazione del FUSO MITOTICO a cui fanno
seguito la scomparsa del nucleolo e dell’involucro nucleare. Avviene dunque la liberazione delle
tetradi nel citoplasma e la loro migrazione verso la piastra metafisica del fuso.

2. METAFASE I → le tetradi si spostano sul piano equatoriale della cellula in modo diverso da quello
della metafase mitotica. Gli omologhi rimangono attaccati al livello dei chiasmi che si localizzano
all’equatore del fuso, mentre i centromeri di ciascun omologo sono orientati verso i poli opposti.
L’orientamento di ciascun omologo di una coppia verso l’uno o l’altro polo è casuale. I microtubuli
del cinetocore, provenienti dai poli opposti della cellula, legano i cromosomi omologhi di ciascuna
tetrade.
3. ANAFASE I → inizia quando i cromosomi omologhi si separano e migrano ai poli della cellula. A
differenza della mitosi, nella meiosi i cromatidi fratelli non si separano, bensì sono i cromosomi
omologhi a separarsi.
4. TELOFASE I → i cromosomi si despiralizzano e si distendono, diventando indistinguibili e si forma
l’involucro nucleare. Avviene il processo di formazione delle due cellule figlie e quindi la
conseguente citodieresi. Le due cellule figlie posseggono un corredo aploide, dato che hanno un
solo cromosoma, costituito ancora da due cromatidi, per ogni coppia di omologhi.
Si passa quindi all’INTERFASE I dove il fuso scompare, i nucleoli si riformano e riprende la sintesi di
proteine.
- MEIOSI II → ogni cromosoma è già costituito da due cromatidi fratelli e questa divisione non è
preceduta da alcuna sintesi del DNA. Le sue fasi sono quelle tipiche della divisione mitotica, ma
riferendosi ad una seconda divisione meiotica:
1. PROFASE II → inizia a formarsi il fuso in ciascuna cellula figlia ed i cromosomi si ricondensano
alla fine della profase II l’involucro si disorganizza.
2. METAFASE II → si forma la piastra equatoriale dove vengono a posizionarsi i cromosomi.
3. ANAFASE II → i cromatidi fratelli si separano migrando ai poli opposti della cellula in numero
eguale. Essi andranno a determinare quelli che sono i cromosomi figli in assetto aploide (n).
4. TELOFASE II → si forma l’involucro nucleare e vi sarà una conseguente citodieresi. Assistiamo
alla formazione di 4 cellule figlie con corredo genetico dimezzato.

CLASSIFICAZIONE DELLE CELLULE


Le cellule vengono classificate in base alla loro capacità di permanere in un ciclo cellulare continuo o meno.
Una prima classificazione è stata fatta da Bizzozero:
− Cellule perenni
− Cellule stabili
− Cellule labili
Terminologia della classificazione più moderna:
− Popolazioni cellulari statiche (perenni) → Es: TESSUTO NERVOSO. Cellule che si dividono entrando
in un ciclo cellulare con un numero di divisioni prestabilito, dopodiché fuoriescono dal ciclo
cellulare senza più tornare a dividersi, anche se opportunatamente stimolate a causa di un danno al
tessuto.
− Popolazioni cellulari in espansione (stabili) → vanno a costituire quei tessuti che dopo un periodo
di accrescimento si arrestano in una situazione di stabilità. Si parla del TESSUTO OSSEO. Esso
subisce un processo di ossificazione, a partire da un abbozzo cartilagineo che si crea durante lo
sviluppo embrionale, che accompagna l’accrescimento della statura di un individuo. Per cui,
raggiunta la propria dimensione non potrà accrescersi ulteriormente.
Dunque le cellule si sono divise aumentando il loro numero ma fino al raggiungimento di una
struttura definitiva, dove le cellule entreranno in una fase di quiescenza, però se opportunamente
stimolate (ad esempio dopo una frattura) possono tornare a dividersi per ripristinare la struttura.
− Popolazioni cellulari soggette a rinnovo (labili) → hanno la necessità di essere costantemente
all’interno di un ciclo cellulare. Es: TESSUTO EPITELIALE. Ad esempio quello che costituisce la nostra
epidermide, lo strato di cellule più esterno è soggetto a continuo allontanamento. Una
manifestazione ce l’abbiamo quando si hanno le mani screpolate, ciò vuol dire che le nostre cellule
hanno bisogno di allontanarsi, ovvero di cambiare. Questo non vuol dire che l’epidermide giorno
dopo giorno si assottiglia fino a sparire, ma vuol dire che alla base ci sarà uno strato di cellule che
sono in grado di continuare a proliferare in modo da rimpiazzare quelle che nei strati superiori
vengono perse.
Cambia il modo di definirle ma non cambia il concetto.

ISTOLOGIA → si fa riferimento a come le cellule, in base alla loro sezione, si associano tra di loro a formare
i tessuti. Quando si parla di tessuti si deve necessariamente far riferimento all’ISTOGENESI.

ISTOGENESI
Si intende la formazione di diversi tessuti funzionali a partire da una cellula indifferenziata:
• FECONDAZIONE → due gameti aploidi di fondono per dare origine ad una cellula diploide (zigote).
Ciò dà il via alla segmentazione per ripristinare la pluricellularità (Divisioni cellulari).
• GASTRULAZIONE → si verranno a formare 3 foglietti embrionali: ectoderma, endoderma e
mesoderma. Da quì si andranno ad organizzare tutti i tessuti e gli organi dell’individuo, dove ogni
tessuto sarà il risultato di un differenziamento che avviene durante lo sviluppo embrionale.
• NEURULAZIONE → differenzazione del sistema nervoso nell’embrione.
• ORGANOGENESI

Le cellule avranno, da tessuto a tessuto, forme diverse.


Questa varietà di tessuti, a partire solo da 3 foglietti embrionali, è dovuta al fatto che ci sono delle cellule
che sono in grado di differenziarsi in maniera differente partendo da un precursore comune.
Inoltre la specializzazione delle varie tipologie cellulari dei diversi tessuti è frutto dell’accensione o
spegnimento differenziale dei geni che sono comuni a tutte le cellule di un organismo pluricellulare.
Ogni linea cellulare prende origine da CELLULE STAMINALI.
CELLULA STAMINALE → cellula indifferenziata. Si divide in maniera continua tramite mitosi bivalente che
porta alla formazione di due cellule figlie che non seguono lo stesso destino. Una cellula permane come
cellula staminale e l’altra seguirà un destino di differenziamento, dunque determinerà quale sarà il suo
ruolo.
Si possono identificare 4 diverse categorie di cellule staminali:
- totipotenti, cellule prodotte dalle primissime divisioni cellulari, che possono dare origine ai diversi tipi di
tessuti fino a creare un intero individuo;
- pluripotenti, possono dare origine ad una molteplicità di tessuti, ma non ad un intero individuo. Tali cellule
vengono usate ad esempio per la riparazione dei tessuti danneggiati;
- multipotenti, cellule che possono dar luogo solo a cellule appartenenti a popolazioni strettamente
correlate;
- unipotenti, cellule che possono dare origine a una sola tipologia cellulare. Hanno caratteristica di auto
rinnovamento.
CELLULA DIFFERENZIATA → cellule che subiranno ancora processi di divisione mitotica ma danno cellule
uguali tra loro e uguali alla madre. Dunque sono unipotenti.
Le cellule staminali possono dividersi in:
− CELLULE STAMINALI EMBRIONALI → per eccellenza è lo ZIGOTE. Esso è l’unica cellula dalla cui
divisione si origina un intero individuo. Dunque dalle sue generazioni filiali si sviluppano cellule che
si specializzeranno a formare tutti i tessuti ed organi che sono tipici di un nuovo individuo, cioè è
totipotente.
Dunque la divisione inizia con lo zigote e prosegue con i primi blastomeri, i quali:
- sono cellule ancora indifferenziate e quindi proliferano in coltura indefinitivamente.
- si integrano perfettamente in qualunque sito vengano introdotte, cioè sono pluripotenti , perché
in qualunque popolazione cellulare vengano inserite, si lasciano guidare in quello che è il destino
che devono avere in tale sito.
− CELLULE STAMINALI SOMATICHE (o ADULTE) → rappresentano il sistema di rigenerazione dei
tessuti. Anche se non sono completamente differenziate, sono già determinate. Esse si dividono
senza limiti in vivo e darà ancora origine tramite mitosi bivalente ad una cellula staminale ed una
che si differenzierà. Inoltre esse non sono totipotenti e non sono nemmeno pluripotenti ma
essendo somatiche daranno origine a quella tipologia di tessuto dove si trova, cioè in base alla
nicchia, dunque sono unipotenti. Ad esempio si può fare riferimento all’esempio fatto nel caso delle
cellule labili, dove le nello strato basale del tessuto epiteliale ci saranno cellule staminali adulte,
perché si continuano a dividere, dove una rimane come cellula staminale e l’altra si differenzia.

Se da un lato c’è la proliferazione cellulare, dall’altro ci deve essere un fenomeno che la contrasti data dalla
morte cellulare programmata, cioè tali cellule devono essere eliminate in maniera pulita, la quale prende il
nome di APOPTOSI → Dunque si parla di una morte fisiologica, cioè deve avvenire perché è finalizzata al
corretto funzionamento e rimodellamento di quel tessuto o organo, la quale mantiene costante il numero
di cellule nei tessuti. È fondamentale dunque per il mantenimento dell’omeostasi tissutale ed anche per
l’eliminazione di cellule non più utili o dannose per l’organismo.
1. La prima modificazione avviene a carico del DNA, dunque si avrà una cromatina che si condensa in
modo da non essere più leggibile, in modo da non rendere più disponibili le informazioni genetiche.
Di conseguenza la cellula è programmata a morire.
2. Dissolvimento dell’involucro nucleare e degradazione delle componenti citoscheletriche.
3. La cellula si raggrinzisce, perché vengono alterati gli equilibri osmotici che regnano al livello della
membrana plasmatica, per cui la cellula tende a disidratarsi.
4. Dunque si formano tante piccole vescicole, che conterranno tutti gli organuli e tutta l’informazione
genetica della cellula, chiamate CORPI APOPTOTICI che verranno fagocitati dai macrofagi, ma non
innescano nessuna azione infiammatoria, perché la cellula non si è lisata riversando all’esterno il
suo contenuto citoplasmatico.
Anomalie della morte cellulare programmata posso essere alla base di un’ampia gamma di patologie, tra le
quali quelle neoplastiche e neurodegenerative.

NECROSI → Quando c’è un evento scatenante che viene dall’esterno, come un trauma (come temperature
estreme o radiazioni), una lesione, un’infezione, le cellule non muoiono perché hanno programmato a farlo
ma perché sono state danneggiate.
A causa delle drammatiche alterazioni strutturali e funzionali che subito manifesta la membrana
plasmatica, l’acqua penetra massivamente all’interno della cellula, determinando il suo rigonfiamento e
quindi la lisi della membrana plasmatica stessa e quella degli organuli, riversando all’esterno tutto il suo
contenuto citoplasmatico innescando un’infiammazione.
Ad esempio se si ha un trauma a carico del tessuto osseo muscolare si dovranno innescare i processi di
riattivazione del ciclo cellulare delle cellule che si erano fermate alla fase G 0, se invece fosse
un’infiammazione legata ad un infezione dall’esterno si dovranno attivare i meccanismi legati alle risposte
immunitarie.

Dunque NECROSI ed APOPTOSI sono due processi diversi che portano a due comportamenti diversi delle
cellule adiacenti.
Alcuni studi hanno messo in evidenza il fatto che esiste un meccanismo di morte programmata che risulta
associato alla comparsa, a livello citoplasmatico, di autofagosomi e che dipende dall’espressione di tipiche
proteine dell’autofagia, dunque si parla di una via lisosomiale. Questo tipo di morte è definita AUTOFAGICA
e sembrerebbe coinvolta durante l’espressione di programmi in cui è richiesta un’estesa eliminazione
cellulare.
Ad esempio il citoscheletro mostra un destino diverso rispetto all’apoptosi e risulta ridistribuito, ma in larga
parte preservato, al fine di favorire il traffico e la fusione di lisosomi e autofagosomi.

APOPTOSI e MORTE AUTOFAGICA possono manifestarsi contemporaneamente nello stesso tessuto e


persino nella stessa cellula.
Tutto ciò dimostra la notevole variabilità degli eventi di morte cellulare programmata anche se la specifica
finalità delle varie forme non è del tutto chiarita.

ISTOLOGIA

TESSUTI

TESSUTO → Insieme di cellule con stessa origine embrionale e caratteristiche morfologiche e funzionali
simili.
Tutti i tessuti si originano dall’embrione. Durante la gastrulazione si sono formati i 3 foglietti embrionali:
ECTODERMA, ENDODERMA e MESODERMA.
Ogni foglietto embrionali si differenzia poi nei vari tessuti, il quale differenziamento è detto
istodifferenziamento:
TESSUTI ECTODERMA ENDODERMA MESODERMA
Epiteliale x x x
Ghiandolare x x x
Connettivi x
Muscolare Scheletrico x
Muscolare Cardiaco x
Muscolare Liscio x
Nervoso x x

Alla base del differenziamento c’è la capacità delle cellule eucariotiche di modulare l’attività dei loro geni,
mantenendone stabilmente attivi alcuni e repressi altri.

Il TESSURO EPITELIALE si può originare da tutti e 3 i foglietti embrionali in base alla localizzazione e alla
funzione che svolgono. Essi si distinguono in:
- EPITELI DI RIVESTIMENTO
- EPITELI GHIANDOLARI.
I TESSUTI GHIANDOLARI sono una specializzazione dei tessuti epiteliali, per questo si possono originare
anch’essi da tutte e 3 i foglietti embrionali.
I TESSUTI CONNETTIVI prendono origine esclusivamente dal mesoderma. Essi si dividono in:
- CONNETTIVI PROPRIAMENTE DETTI
- CONNETTIVI SPECIALIZZATI → sangue, tessuto cartilagineo, tessuto osseo, tessuto adiposo.

TESSUTO EPITELIALE
- Cellule a stretto contatto tra di loro.
- Non è direttamente vascolarizzato, ma verranno nutriti dal tessuto connettivo sottostante tramite scambi
metabolici per diffusione. Dunque è riccamente innervato, dove le terminazioni nervose di tipo sensoriale
arrivano all’epitelio,di fatto noi riusciamo a percepire sensazioni tramite le cellule epiteliali.
- Il connettivo nutre l’epitelio sovrastante tramite diffusione, scambiando sostanze nutritive importanti per
il metabolismo cellulare con doppio senso di marcia. I nutrienti diffondono dai capillari alla matrice
connettivale e poi alle cellule epiteliali attraversando la membrana basale, mentre i cataboliti seguono il
percorso inverso.
- Poggia su una lamina basale, tramite sistemi giunzionali che lo separa dal tessuto connettivo.
- Le cellule hanno un preciso orientamento, è pertanto possibile indicare con un nome preciso le varie parti
della membrana: porzione apicale libera, porzione laterale e porzione basale. Inoltre hanno una loro
polarità perché il nucleo e gli organuli si possono trovare o in posizione centrale oppure più spostati verso
la parte basale qualora si parli di cellule secernenti. La porzione basale poggia tramite la lamina basale sul
connettivo sottostante, la quale lamina oltre ad avere funzione di ancoraggio, ha il compito di mediare gli
scambi metabolici tra il connettivo e le cellule epiteliali, infatti si presenta sinuosa per aumentare la
superficie degli scambi. Sulla porzione apicale, ovvero quella libera, si possono trovare se sono cellule
epiteliali di rivestimento villi o microvilli e ciglia, ovvero specializzazioni della membrana. Nella porzione
laterale sono presenti le giunzioni, dove in base all’estensione di quest’ultime, dunque al coinvolgimento
della cellula, si può parlare di macule, zolle o fasce.

I TESSUTI EPITELIALI si classificano:


- In base alla funzione:
• TESSUTO EPITELIALE DI RIVESTIMENTO forma lamine che vanno a rivestire le strutture esterne
all’organismo o anche cavità interne dell’organismo stesso.
• TESSUTO EPITELIALE GHIANDOLARE. Le cellule di tale epitelio originano da un ispessimento locale
di una lamina epiteliale di un epitelio di rivestimento. Esso forma una cordone inizialmente
compatto che si allontana dall’epitelio sprofondando nel tessuto connettivo, che rappresenta la
ghiandola endocrina od esocrina. Tali cellule hanno un’elevata attività secernente. Dove c’è una
secrezione ghiandolare di natura proteica, le sostanze vengono sintetizzate a livello del reticolo
endoplasmatico granulare, se c’è una secrezione ghiandolare di natura lipidica (componente
steroidea, ovvero ormoni), le sostanze vengono sintetizzate al livello del reticolo endoplasmatico
liscio. In entrambi i casi tali sostanze sono modificate dall’apparato di Golgi.

TESSUTO EPITELIALE DI RIVESTIMENTO


- Gli epiteli di rivestimento esterni prendono origine dall’ectoderma.
Gli EPITELI DI RIVESTIMENTO si classificano:
- In base al numero degli strati:
• Semplice → MONOSTRATIFICATI, ovvero costituiti da uno strato cellulare (incluso il caso di quello
pseudostratificato, chiamato così perché è un falso stratificato, cioè trae in inganno quando viene
osservato al microscopio perché le cellule che lo compongono poggiano tutte sulla lamina basale,
dunque sarebbe un unico strato. Ma poiché presenta dei nuclei ad altezze diverse sembra essere
fatto da due strati diversi, essendo che in uno strato i nuclei dovrebbero essere allineati). Hanno
funzione di protezione e diffusione o fitrazione.
• Composto → PLURISTRATIFICATI, ovvero costituiti da più strati cellulari, i quali numeri possono
variare. Hanno funzione di rivestimento e protezione. In alcune superfici rivestite da epiteli
composti si aprono i condotti escretori di ghiandole esocrine situate nel tessuto connettivo
sottostante. Essi si dividono in:
- PLURISTRATIFICATO CHERATINIZZATO, quando l’ultimo strato di cellule è dato da cellule
morte, dunque prive di nucleo. Tali cellule subiranno un processo chiamato citomorfosi cornea,
cioè una modificazione cellulare che porta alla cheratinizzazione.
- PLURISTRATIFICATO NON CHERATINIZZATO, quando invece questo strato esterno non c’è.
- PLURISTRATIFICATO DI TRANSIZIONE, incluso quello della vescica.
Che sia cheratinizzato o no, si fa riferimento ad una organizzazione di cellule “SQUAMOSE”, ovvero
cellule piatte.
Inoltre si classificano in accordo alla forma delle cellule che costituiscono lo strato più superficiale.
- In base alla forma che le cellule assumono, che è sempre strettamente associata alla funzione:
• PAVIMENTOSI, quando le cellule sono appiattite. Essi si possono trovare anche con il termine di
“SQUAMOSI”.
• CUBICI, dove l’altezza e la larghezza si equivalgono. Noti anche come “ISOPRISMATICI”.
• CILINDRICI, se è l’altezza a prevalere. Noti anche come “COLONNARI” o “BATIPRISMATICI”.
Quelli che incontreremo sono gli epiteli semplici (di vari tipi), epiteli pavimentosi pluristratificati e gli epiteli
pseudostratificati.
Tipi di Epitelio di Rivestimento
SEMPLICI → - PAVIMENTOSO SEMPLICE
- CUBICO SEMPLICE
- CILINDRICO SEMPLICE
- CILINDRICO SEMPLICE PSEUDOSTRATIFICATO
COMPOSTI → - PAVIMENTOSO COMPOSTO
- PAVIMENTOSO COMPOSTO CHERATINIZZATO
- CUBICO E CILINDRICO COMPOSTO
- POLIMORFO O DI TRANSIZIONE
Lo strato basale degli epiteli composti è in continua divisione, perché sono epiteli soggetti a continuo
rinnovamento. Dunque lo strato basale non può mancare.

- Nel caso degli EPITELI PAVIMENTOSI le cellule sono appiattite con attività, oltre che di rivestimento, di
protezione.
Maggiore è il numero degli strati, maggiore sarà la capacità di difendere dagli agenti esterni. (Epidermide
che riveste l’intera superficie corporea).
Minore è il numero degli strati e più esile è lo spessore della cellula, più facile saranno gli scambi, ovvero la
diffusione. Dunque in questo caso la funzione sarà sia di rivestimento che di scambi gassosi. (Epiteli che
rivestono gli organi interni). Un esempio sono i polmoni, addetti agli scambi dei gas respiratori, infatti gli
epiteli di rivestimento degli alveoli polmonari saranno di tipo semplice. Dunque le cellule saranno
piccolissime in termine di spessore, in modo da facilitare la diffusione tra i capillari sanguigni e l’aria.

Per capire al microscopio qual è il tessuto epiteliale:


- bisogna mettere a fuoco o la parte più esterna o la parte più interna, ad esempio nel caso del canale
digerente l’epitelio sarà all’interno.
- bisogna guardare se le cellule sono strettamente unite tra di loro. Inoltre si può distinguere se si tratti di
un epitelio semplice o composto, in base al fatto se al di sotto del primo strato le cellule siano ancora
strettamente associate tra di loro o meno. Inoltre in un singolo strato, i nuclei delle varie cellule che lo
compongono sono tutti alla stessa altezza.

- Epitelio pavimentoso semplice


- Ha l’aspetto di un pavimento a mattonelle poligonali.
- Lo spessore delle cellule è piccolo, dunque la funzione è principalmente legata ai processi di diffusione e di
filtrazione.
Solo al centro appare più spesso a causa della presenza del nucleo.
- Lo troviamo:
• negli alveoli polmonari;
• in alcune parti del rene, dove avvengono tanti processi di filtrazione per la regolazione volumetrica
dell’urina che si deve formare, dove ci saranno processi di riassorbimento di acqua attivi e passivi;
• nelle membrane seriose (mesotelio), ovvero i sacchi che avvolgono il cuore (pericardio) o i polmoni
(pleure), sono guaine di natura connettivale avvolte da tali membrane;
• nella parete dei vasi sanguigni e linfatici (endotelio), ad esempio perché a livello degli alveoli
polmonari deve avvenire lo scambio tra i vasi sanguigni e l’aria, dunque se gli alveoli polmonari
hanno un epitelio di tipo pavimentoso semplice, la stessa organizzazione ci deve essere nel
capillare, essendo che in questo caso la funzione di entrambi è la stessa;
• nella cavità del timpano, ovvero nel labirinto membranoso dell’orecchio interno.

- Epitelio cubico semplice


- Le cellule hanno altezza e larghezza uguali, essendo che sono cubiche. Hanno l’aspetto di bassi prismi.
- Spesso le cellule presentano microvilli generalmente corti e anche ciglia vibratili.
- Spesso svolge funzione secretoria.
- Lo troviamo:
• sulla superficie dell’ovaio, in questo caso è denominato epitelio ovarico o germinativo;
• nei dotti escretori delle ghiandole;
• nei follicoli tiroidei, dove la tiroide è l’unico esempio di ghiandola a follicolo. In una parte l’epitelio
cubico poggia direttamente sul connettivo sottostante, inoltre esso va a rivestire i follicoli.
All’interno del follicolo apparentemente non c’è nulla, non c’è connettivo, perché lì vanno riversati i
percursori degli ormoni tiroidei, i quali vengono secreti, assemblati ed infine rimessi in circolo;
• nei bronchioli terminali, dove si trovano cellule cubiche cigliate.

- Epitelio cilindrico semplice


- Formato da cellule colonnari, dove l’altezza della cellula prevale.
- Quando l’epitelio svolge funzioni assorbenti o di trasporto, le cellule sono fornite, rispettivamente, di
microvilli o di cilgia vibratili.
- Funzione di assorbimento e secrezione.
- Tra le comuni cellule cilindriche sono spesso intercalate cellula a forma di calice, dette caliciformi, e
mucipare, in quanto producono muco.
- Il nucleo, di forma ovoidale, è situato quasi sempre verso la base della cellula.
- Lo troviamo:
• nell’intestino, dove sono presenti delle specializzazioni di membrana, ovvero i microvilli, che
aumentano la superficie di assorbimento ed inoltre qui le cellule hanno anche funzione di
secrezione (pag 333 e 344);
• nello stomaco, dove svolgono funzione di secrezione;
• nella tuba uterina, dove sono presenti ciglia vibratili. Esse con il loro movimento facilitano la
progressione della cellula uovo dalla tuba verso l’utero. Inoltre inserite tra le ciglia si trovano cellule
secernenti mucipare (pag 345);
• nell’utero;
• in parti del rene, ovvero nei tubuli contorti prossimali o distali;
• nei dotti escretori di molte ghiandole.

POLARITÀ MORFOFUNZIONALE → Tipica delle cellule semplici, soprattutto cubici e cilidrici, in quanto la
loro superficie libera o apicale differisce, strutturalmente e funzionalmente, dalla superficie basale, a causa
delle differenti specializzazioni di membrana. Appare molto evidente negli epiteli che, oltre alla funzione di
rivestimento, svolgono anche quella di assorbimento e di secrezione. In queste cellule, infatti, l’estremità
libera mostra spesso formazioni particolari quali microvilli, ciglia vibratili (es. tubuli renali, parte dei dotti
escretori).

- Epitelio cilindrico semplice pseudostratificato:


- È costituito da cellule che poggiano tutte sulla membrana basale, ma non raggiungono tutte la superficie
distale, dunque hanno nuclei posizionati ad altezze diverse.
- Tra le cellule prismatiche si trovano anche cellule caliciformi mucipare.
- Lo troviamo:
• nelle vie respiratorie, le quali accompagnano la filtrazione dell’aria. Dunque anche qui saranno
presenti specializzazioni della membrana, ovvero le ciglia vibratili. Esse sono incaricate di spingere
continuamente verso l’esterno lo strato di muco che ricopre l’epitelio, prodotto dalle cellule
mucipare caliciformi, e che contiene eventuali particelle solide, penetrate accidentalmente con
l’aria inspirata. Esso sarà:
- nelle fosse nasali;
- nella laringe (pag. 347);
- nella trachea (pag. 348);
- nei bronchi.
• nei dotti escretori di alcune ghiandole.

- Epitelio cubico e cilindrico composto:


- Essi non sono molto frequenti nell’uomo.
- Si trovano principalmente:
• nella congiuntiva della palpebra (cilindrico);
• in alcuni dotti escretori delle ghiandole (cubico)(pag 349);
• epiglottide (cilindrico).

- Epitelio di transizione o polimorfo:


- “Di transizione” perché varia il suo aspetto, ovvero la forma delle cellule e apparentemente il numero
degli strati cellulari, in relazione al grado di distensione dell’organo che varia in base al momento
funzionale dell’organo che vanno a rivestire. Dunque esso è particolarmente adatto a rivestire organi cavi
e tubulari sottoposti a distensione.
- Lo troviamo:
• nella vescica, (pag.350) la quale è l’esempio per eccellenza, perché sottoposta a continue
sollecitazioni e si presentano due diversi momenti. Essa, nell’arco della giornata, passa da fasi in cui
l’epitelio è rilassato e dunque la vescica è vuota, a fasi in cui l’epitelio è disteso e dunque la vescica
è piena. Ciò vuol dire che la forma delle cellule deve accompagnare e assecondare tali
sollecitazioni. In realtà si modifica la forma delle cellule, però sembra che si modifichi il numero di
strati cellulari.
Le cellule di questo tessuto rappresentano specializzazioni della membrana nella porzione apicale,
ovvero croste (pag 351), le quali rappresenterebbero una riserva di membrana plasmatica. Quando
l’organo è vuoto, la membrana plasmatica apicale è invaginata in una serie di pieghe e di vescicole
discoidali. Quando l’organo si riempie, queste vescicole si saldano e si integrano con la membrana
apicale, mentre le pieghe si distendono, permettendo un aumento di estensione della superficie
apicale.
• in quasi tutte le vie escretrici del rene, ovvero i condotti che portano l’urina alla vescica stessa.
- È formato da 3 strati di cellule:
• uno STRATO BASALE, dove le cellule sono tutte associate strettamente le une alle altre. Esse hanno
un aspetto isoprismatico e sono soggette a continuo rinnovamento;
• uno STRATO INTERMEDIO di cellule definite “clavate” perché assumono un aspetto a clava, le quali
hanno la parte apicale slargata e la parte basale più assortigliata;
• Uno STRATO SUPERFICIALE con cellule di tipo “globose” dette “cupoliformi”, le quali sono tutte
tondeggianti a cupola per assecondare la transizione. La membrana plasmatica presenta zone
ispessite costituite da placche di natura lipoproteina, che formano la crosta caratteristica di questo
epitelio.
Quando la vescica è piena di urina, per effetto della distensione l’epitelio si assottiglia e gli ordini delle
cellule si riducono; le cellule clavate si incuneano tra quelle basali e le cellule cupoliformi si distendono a
tal punto che ognuna di esse si trova a ricoprire l’estremità apicale di 2-4 cellule clavate.
- Epitelio pavimentoso composto:
- È costituito da più strati cellulari. Dunque varia il ruolo rispetto all’epitelio pavimentoso semplice.
- La sua funzione è di rivestimento e, particolarmente, quella protettiva.
- Lo troviamo:
• nella bocca;
• nella faringe;
• nell’esofago;
• nella vagina;
• nella cornea;
• nella parte terminale dell’utero maschile e femminile.
Dunque iniziamo a ritrovarlo in quelle regioni dove c’è un’attività meccanica e dove quindi un epitelio
semplice non è più sufficiente perché potrebbe essere disgregato.
- È formato da 3 diversi strati di cellule:
• STRATO BASALE, le quali cellule sono cellule staminali metabolicamente attive, a differenza delle
cellule degli strati superiori che non sono più in grado di proliferare;
• STRATO SPINOSO. Le cellule non hanno più un aspetto regolare, ma la membrana è come se avesse
delle spine. Numerosi desmosomi connettono tali cellule a cellule dello strato basale;
• STRATO SUPERFICIALE, dove le cellule cambiano forma e sono meno organizzate rispetto a quelle
dello strato basale o della strato spinoso. Esse si staccano con facilità dalla superficie dell’epitelio.
Ad esempio nella saliva è frequente il riscontro di cellule pavimentose desquamanti, staccatesi
dall’epitelio che riveste la cavità buccale. Nelle cellule desquamate si trova glicogeno.
- Questo epitelio ricopre le mucose ed è mantenuto umido e lubrificato dal secreto delle ghiandole i cui
condotti escretori si aprono alla superficie dell’epitelio stesso. Si forma così un film liquido, di protezione
per le cellule più superficiali. Ciò appare bene evidente, per esempio, nell’epitelio della cavità buccale con
la saliva e in quello della cornea con il secreto elaborato dalle ghiandole lacrimali.
- Quando gli strati aumentano, è difficile che gli strati superiori vengano nutriti dai vasi sanguigni presenti
nel tessuto connettivo sottostante. Dunque lo strato basale dell’epitelio si introflette verso il connettivo
che sta sotto l’epitelio in modo da aumentare i punti di contatto col connettivo stesso e quindi aumentare
e accelerare i punti di scambio con gli strati epiteliali sovrastanti. Queste strutture prendono il nome di
PAPILLE CONNETTIVALI, ovvero le invaginazioni che lo strato basale crea intervallate con le creste che
conseguentemente si formano. Inoltre papille e creste conferiscono una maggiore aderenza dell’epitelio al
sottostante connettivo.

- Epitelio pavimentoso composto cheratinizzato:


- Permane la pluristratificazione delle cellule però sulla superficie libera, dunque oltre l’ultimo strato, è
presente uno strato di cellule disidratate, chiamato strato corneo, ovvero cellule morte e lo si capisce
perché sono prive di nucleo, dunque non svolgono più nessun ciclo di attività metabolica. (pag 353)
Questo strato corneo costituisce una protezione meccanica e dall’invasione da parte di patogeni. In
particolare, riduce l’evaporazione dei liquidi tissutali evitando la disidratazione dell’organismo.
- Un esempio per eccellenza è l’EPIDERMIDE. (pag.334)
- Il numero di strati aumenta e saranno 5 (pag 354). Avremo dal basso verso l’alto:
• STRATO BASALE o GERMINATIVO, si tratta di cellule staminali adulte, le quali sono disposte in un
solo ordine. Citoplasma ricco di poliribosomi;
• STRATO SPINOSO, dove le cellule sono più irregolari e si presentano come se avessero delle spine.
Risulta formato da 3-7 ordini di cellule e il suo spessore varia secondo la sede. Citoplasma ricco di
poliribosomi. Sono particolarmente evidenti i filamenti di cheratina, i quali si associano tra loro
dando luogo alle tonofibrille, le quali convergono verso i desmosomi, formando le caratteristiche
spine che conferiscono il nome allo strato. Al microscopio ottico le cellule di questo strato appaiono
separate le une alle altre da spazi extracellulari più ampi che altrove, nei quali è presente un liquido
interstiziale. Le lamelle lipidiche, granuli presenti nel citoplasma che aumentano nello strato
successivo, determinano la formazione, nello spazio intercellulare, di una barriera impermeabile
all’acqua;
• STRATO GRANULOSO, perché nel citoplasma sono evidenti dei granuli, che sono il risultato della
sintesi di un qualcosa che deve essere accumulata, ovvero cheratine. Le cellule si fanno sempre più
appiattite e allungate. Tale strato è costituito da 2-6 ordini di cellule, i cui nuclei cominciano a
presentare evidenti alterazioni apoptoniche;
• STRATO LUCIDO, perché si comincia a perdere il nucleo e gli organuli sono scomparsi, quindi la
cellula a questo punto si deve disidratare. Le cellule sono appiattite ed allungate. Questo strato non
è distinguibile in tutti i distretti dell’epidermide, è tipicamente presente nell’epidermide della
palma della mano e della pianta del piede, dove lo strato corneo è più spesso. Al microscopio ottico
appare come una linea omogenea chiara e rifrangente;
• STRATO CORNEO, dove non è più visibile nessuna attività metabolica cellulare, non è visibile il
nucleo e la membrana plasmatica è assai ispessita. Sono cellule estremamente appiattite, chiamate
lamelle cornee, costituite solo da citoplasma pieno di filamenti di cheratina.
- Nell’uomo lo spessore dell’epidermide varia nelle diverse regioni del corpo ed è compreso tra 30 μm e
2 mm.
- CITOMORFOSI CORNEA → si tratta di un differenziamento che è definito “terminale” perché porta ad
una cellula morta. In pratica le cellule degli strati di un tessuto cheratinizzato corrispondono ad un
continuo differenziamento, dove ogni cellula che dallo stato basale prolifera, cambiando continuamente
forma durante il differenziamento, si porta fino allo strato più esterno trasformandosi in lamella cornea,
con forma appiattita, che viene continuamente rimpiazzato.
Dunque non ci saranno più solo 3 strati, ma di più, perché ci deve essere dal passaggio dallo strato basale
verso lo strato corneo tale processo, dove le cellule devono avere il tempo durante questa progressione di
andare incontro ad apoptosi. La cellula in questo caso non viene fagocitata dai macrofagi ma rimane nella
sua sede fino a quando non verrà allontanata per desquamazione o per azione degli agenti atmosferici
esterni o perché viene fisicamente spinta via dalle cellule degli strati inferiori che la vanno a sostituire. Ad
esempio quando facciamo la doccia, o quando applichiamo lo scrub, perché stimolano la proliferazione
degli strati basali che vanno a spingere fuori e quindi eliminare tali cellule morte.
Quindi il processo di differenziamento consiste in una attiva sintesi proteica, le quali proteine sintetizzate
saranno le cheratine, le quali sono un esempio di proteina che costituisce i filamenti intermedi del
citoscheletro nel tessuto epiteliale, i quali conferiscono resistenza meccanica. Questo giustifica il fatto che
i cheratinociti (cioè cellula che è capace di sintetizzare una maggiore quantità di cheratina) in tale
processo di differenziamento non vengono eliminati, ma la cellula vede l’intensa attività di sintesi proteica
che riempie il citoplasma di cheratina che si ripercuote su una disidratazione cellulare, quindi
un’inattivazione delle attività nucleari, la quale porta alla morte cellulare.
Un cheratinocita ha un turn-over di 30 giorni, ovvero il tempo che impiega dal momento in cui viene
prodotto nello strato basale fino a quando diventa a far parte dello strato corneo e viene poi eliminata.
La cheratina è presente sotto forma di cheratina molle, che ricopre la cute in tutta la sua estensione e
cheratina dura, solo in alcuni annessi cutanei come unghie e peli. Essa è più resistente e non desquama,
scarsamente reattiva e più ricca di zolfo. Non riscontra ne uno strato spinoso ne granulare.
- Anche qui si formano le papille chiamate PAPILLE DERMICHE, perché il connettivo in cui si introflettono è
chiamato DERMA (connettivo propriamente detto).
- Oltre i cheratinociti, che sono di natura ectodermica, altre tipologie di cellule che sono associate
all’epidermide, chiamate cellule intrusive, perché originano da altri tessuti e poi migrano tra i
cheratinociti, sono (pag 354):
• melanociti, grandi cellule pigmentate e polimorfe, di forma stellata, perché originano numerosi e
lunghi filopodi che si infiltrano tra le cellule dello strato basale e spinoso, infatti hanno il compito di
produrre melanina (piccoli granuli di colore bruno). Essi hanno un apparato di golgi e reticolo
endoplasmatico granulare molto sviluppati e contengono granuli in cui avviene la sintesi di
melanina, chiamati melanosomi, i quali migrano dal corpo cellulare nei prolungamenti
citoplasmatici e quindi vengono esocitati e trasferiti nei cheratinociti, la quale melanina viene poi
smistata equamente tra tutti i cheratinociti, motivo per cui in estate al sole ci abbronziamo in
maniera uniforme e non a chiazze. Dunque, l’esposizione ai raggi solari porta alla produzione e
l’aumento di melanina, la quale protegge i cheratinociti, in particolare quelli dello strato basale. I
melanociti non formano desmosomi con le cellule vicine e non contengono cheratina. Essi si
originano durante il processo di neurulazione, e sono cellule delle creste neurali;
• le cellule di Langerhans. Queste hanno un ruolo nella difesa immunitaria perché anche attraverso
gli epiteli di rivestimento si ha contatto con gli agenti estranei al corpo. Sono capaci di riconoscere,
captare ed elaborare molecole ad attività antigenica, per poi presentarle alle cellule
immunocompetenti. Esse, come tutte le cellule del sistema immunitario, vengono prodotte e
maturate nel midollo osseo. Nessun tipo di giunzione li collega ad altre cellule. Tali cellule sono
presenti anche negli altri epiteli pavimentosi composti non cheratinizzati;
• Le cellule di Merkel che sono associate ai neuroni sensitivi, infatti si trovano dello strato basale
dell’epidermide sempre vicino ad aree ben vascolarizzate e innervate del derma, dunque hanno
una funzione prevalentemente sensoriale. Essi possiedono desmosomi.

TESSUTO EPITELIALE GHIANDOLARE


- La maggior parte delle ghiandole origina dall’ectoderma o dall’endoderma, ma esistono anche quelle che
derivano del mesoderma.
- Gruppo di cellule epiteliali (non necessariamente in gruppo infatti esistono anche ghiandole unicellulari)
che sono altamente differenziate nella sintesi di prodotti di secrezione.
- Dunque hanno attività secernente.
- Esistono due tipi di secrezione: costitutiva e regolata. La secrezione regolata è soprattutto una
specializzazione delle cellule epiteliali ghiandolari. Le ghiandole elaborano e secernono sostanze dotate di
attività specifiche che influenzano le funzioni di altre cellule o le funzioni generali dell’organismo.
- Il nucleo sarà localizzato nella parte più basale della cellula.
- Tali cellule hanno il reticolo endoplasmatico granulare più sviluppato nel caso in cui hanno un’intensa
attività di sintesi proteica, invece hanno il reticolo endoplasmatico liscio più sviluppato se hanno
un’intensa attività di sintesi steroidea.
- Sono presenti diverse parti: - ADENOMERO, è la parte nettamente secernente, ovvero costituita da cellule
in grado di produrre prodotti di secrezione;
- DOTTO ESCRETORE, il quale è tipico solo delle ghiandole esocrine. Esso
collega l’adenomero all’epitelio e convoglia il secreto
sulla superficie libera dell’epitelio.
Questa parte prende il nome di parenchima → ovvero l’insieme dei dotti e delle unità secernenti. Quindi
l’intera ghiandola.
Inoltre abbiamo lo stroma → connettivo di supporto. Essendo che si tratta di cellule epiteliali, non sono
direttamente vascolarizzate, per cui devono essere necessariamente circoscritte da connettivo.
- Le cellule del tessuto ghiandolare si modificano dal tessuto epiteliale di rivestimento e si portano nel
connettivo sottostante. Durante questo processo le cellule possono:
• restare in contatto con l’epitelio dal quale si sono originate mediante dei dotti, si parla di
GHIANDOLA ESOCRINA. Essa porterà il secreto direttamente all’esterno del corpo, ovvero sulla
superficie libera, mediante il dotto escretore. Dunque lo riversa nel lume e lo porta all’esterno
mediante il dotto.
• perdere contatti con l’epitelio di rivestimento. Si parla di GHIANDOLA ENDOCRINA, la quale produce
secreti che prendono il nome di ormoni, che possono appartenere a 4 classi: steoridi, proteine o
polipeptidi, amine biogene e acidi grassi modificati. Avendo perduto il dotto escretore, è costretta a
mettersi in contatto con i vasi sanguigni, quindi una volta prodotti i prodotti di secrezione li
riversano nel sangue che servirà a smistare gli ormoni. Quest’ultimi agiscono a concentrazioni molto
basse e possono essere portati anche in punti ben lontani dalla sede di origine, perché verranno
riconosciuti dagli “organi bersaglio”.(Riferimento a segnalazione paracrina, endocrina o autocrina).
Gli ormoni riconoscono qual è il loro organo bersaglio perché le cellule presentano i recettori di
membrana, il quale sistema recettoriale di una cellula costituisce il glicocalice, i quali sono
posizionati solo sugli organi devono essere regolati da quell’ormone.
Esempio → l’IPOFISI, posizionata alla base dell’encefalo, va a regolare le attività delle gonadi.
Il sistema endocrino è formato da ghiandole che hanno pochi o nessun rapporto anatomico. Esse
sono disseminate in tutto il corpo e presentano in molti casi un’organizzazione istologica diversa tra
loro. Oltre alla posizione, differiscono anche per origine embrionale e per il tipo di molecole
prodotte. Tuttavia, sono tutte provviste di una ricchissima vascolarizzazione.

Le GHIANDOLE ESOCRINE possono essere classificate:


- In base al numero di cellule secernenti:
• GHIANDOLE UNICELLULARI → (pag 383) singole cellule in grado di secernere il prodotto di
secrezione. Esse sono mucipare caliciforme:
− MUCIPARE, dal tipo di secreto in grado di sintetizzare. Producono apparentemente una
secrezione di tipo mucosa, quindi in tale muco troviamo mucine ovvero mucopolisaccaridi
acidi e neutri con una bassissima percentuale di proteine.
− CALICIFORMI, assumono un aspetto caliciforme con una struttura slargata all’apice che
rappresenta la parte della cellula dove si trova accumulato tutto il prodotto di secrezione,
dunque il muco, e una parte basale sottile, o piede, contenente il nucleo, il REG e alcuni
mitocondri.
Esse si trovano intercalate tra le cellule degli epiteli di rivestimento nella mucosa delle vie digerenti
e respiratorie. Li troviamo soprattutto a livello dell'intestino.
Nel percorso di processi infiammatori, è stata descritta una sottopopolazione di cellule caliciformi
che, oltre al muco, producono enzimi ad azione antibatterica, o lisozimi.
- Esiste un caso particolare, ovvero si parla dell’EPITELIO CILINDRICO SEMPLICE della mucosa
gastrica, cioè quando l’intero epitelio di rivestimento è in grado di secernere. Dunque è un caso
atipico dove lo stesso tessuto epiteliale funge sia da epitelio di rivestimento sia da epitelio
ghiandolare.
È tipico dello stomaco, il quale ha il bisogno di essere continuamente lubrificato perché in esso
avviene l’attività di digestione enzimatica e c’è un forte accumulo di succhi gastrici che servono a
digerire enzimaticamente ciò che mangiamo, dunque è presente un pH fortemente acido che si
ripercuote sulla funzionalità delle stesse cellule.
Quindi l’epitelio si protegge da questo pH fortemente acido:
- tramite giunzioni occludenti che impedisce il passaggio di tali succhi gastrici nei strati
sottostanti;
- allo stesso tempo le stesse cellule producono elevate quantità di mucopolisaccaridi che va a
rivestire, creando un film, tutto lo stomaco impedendo ai succhi gastrici di bruciare fisicamente
le cellule. Ciò è quello che succede fisiologicamente.
Se patologicamente una regione non è in grado di difendersi in questo modo subentrano le
mulcere, cioè film protettivi costituiti da sostanze a base di mucine che si idratano e andranno a
formare questo film mucopolisaccaridico.
Questo è anche un esempio di ghiandola unicellulare perché è la singola cellula a secernere.
• GHIANDOLE PLURICELLULARI → costituite da un’associazione di cellule che avranno ruoli diversi
perché c’è una porzione nettamente secernente, dunque fatta da cellule che sono in grado di
sintetizzare prodotti di secrezione che forma l’ADENOMERO e una parte costituita da cellule
esclusivamente epiteliali che fanno da collegamento con il lume esterno (DOTTO ESCRETORE).
Ciò ci permette di fare diverse classificazioni di tali ghiandole.
CLASSIFICAZIONE DELLE GHIANDOLE PLURICELLULARI
- In base alla localizzazione:
• GHIANDOLE PARIETALI → (o intraparietali o intramurali), comprese nello spessore dell’organo a cui
appartengono. Esse si distinguono in:
− GHIANDOLE INTRAEPITELIALI, totalmente comprese nello spessore dell’epitelio di
rivestimento, sono prive di un dotto escretore e hanno un adenomero di forma alveolare
(es. ghiandole mucipare della mucosa nasale).
− GHIANDOLE EXTRAPARIETALI, l’adenomero si trova negli strati connettivali sottostanti
l’epitelio.
• GHIANDOLE EXTRAEPITELIALI → (o extramurali), la cui porzione secernente si trova al di fuori
dell’organo in cui sbocca il dotto escretore principale. Sono organuli molto voluminosi, che
comprendono le ghiandole principali dell’organismo. Es. il fegato, il pancreas esocrino e le
ghiandole salivari maggiori.
- In base alla forma dell’ADENOMERO:
• ADENOMERI TUBULARI → le cellule secernenti si organizzano in modo da creare una struttura con
forma a tubicino;
• ADENOMERI ACINOSI → con aspetto tondeggiante acinoso, ovvero di un chicco d’uva. Sono tutte
celluline una vicina alle altre con attività secernente. Presentano un lume
molto ristretto;
• ADENOMERI ACINOSI DI TIPO ALVEOLARE → si fa riferimento agli alveoli polmonari, ovvero
strutture dove l’epitelio è sottilissimo. Anche in questo caso l’adenomero è di tipo acinoso però il
lume, all’interno del quale viene riversato il secreto prima di essere portato fuori, è molto più
ampio perché le cellule epiteliali con attività secernente sono molto piccoline e occupano poco
spazio.

- In base alla forme del DOTTO ESCRETORE:


• GHIANDOLA SEMPLICE → se il dotto escretore rimane unico, quindi non subisce divisioni, e
collegato ad un’unica porzione secernente;
• GHIANDOLA SEMPLICE RAMIFICATA → quando il dotto escretore rimane unico, ma la ghiandola
sarà ramificata, perché in esso convergono i prodotti di secrezione di più porzioni secernenti,
dunque il dotto è collegato a più adenomeri. Tipica delle Sebacee della cute. Ciò è messo in
relazione alla quantità di secreto che serve. Oppure nella sottomucosa dell’intestino a carico di
ghiandoline;
• GHIANDOLA COMPOSTA → quando il dotto escretore si ramifica per raggiungere più adenomeri
possibili. Sono quelle più numerose e tra queste rientrano tutte le salivari, le lacrimali e la
mammaria.
In base alla forma dell’adenomero e del dotto possiamo avere diverse combinazioni: GHIANDOLA
TUBULARE SEMPLICE, ovvero un unico dotto ed un unico adenomero che avrà forma tubulare. Esempi
sono quelle gastriche, che si trovano lungo l’epitelio gastrico, oppure le sudoripare, sia quelle non
annesse ai peli che quelle annesse ai peli (pag 385); GHIANDOLA TUBULARE SEMPLICE, RAMIFICATA,
ovvero più adenomeri che convergono sullo stesso dotto; GHIANDOLA ACINOSA SEMPLICE (pag 387),
COMPOSTA ACINOSA TUBULARE, ecc.
Da una sezione trasversale possiamo distinguere un epitelio di rivestimento da uno ghiandolare esocrina,
perché le cellule di quest’ultimo oltre ad essere strettamente legate tra di loro, sono organizzate a formare
strutture secernenti che vanno a rivestire un LUME, che corrisponde alla sezione del dotto escretore. Si
parlerà di ghiandola esocrina per la presenza del dotto, ma non posiamo sapere di che tipo di ghiandola si
parli.
Da una sezione longitudinale è possibile vedere l’organizzazione dell’adenomero, dunque possiamo
stabilire di che tipo di ghiandola si tratti.

- In base al tipo di secreto:


• SIEROSE → elaborano un liquido acquoso, chiaro e fluido prevalentemente proteico. Per la natura
del secreto le cellule seriose sono ricche di ribosomi associati alle cisterne del REG; (pag 380)
• MUCOSE → producono un materiale viscoso glicoproteico, ovvero mucina composta da
mucopolisaccaridi con funzione lubrificante e protettiva. La mucina una volta secreta si idrata e
diventa muco. Le cellule mucose accumulano la mucina in grandi vacuoli che occupano il citoplasma
apicale della cellula. Succede nelle ghiandole mucose che troviamo associate alla cavità orale
(invece quelle dello stomaco sono unicellulari). (pag 380)
• MISTE → costituite da adenomeri seriosi e mucosi, situati di solito in porzioni diverse della
ghiandola. In alcune ghiandole, però, le cellule seriose possono coesistere con le cellule mucose
nello stesso adenomero. (pag 381)
Il tipo di secreto ci aiuta anche nell’osservazione istologica perché in base ad esso le ghiandole cambiano
colorazione:
− Quando le strutture ghiandolari risultano intensamente colorate si tratta di GHIANDOLE SERIOSE;
− Quando le strutture ghiandolari non risultano intensamente colorate si parla di GHIANDOLE
MUCOSE. Per colorare i mucopolisaccaridi non bastano i coloranti che si legano per affinità, per la
presenza di molti vacuoli, ma serve la reazione istochimica con l’Alcian Blu e l’Acido Periodico di
Schiff in modo da colorare in base al fatto che siano acidi o neutri.
− Quando alcune cellule secernenti appaiono bianche (secrezione mucosa) e altre intensamente
colorate (secrezione seriosa) si parla di GHIANDOLE MISTE.
Zinogeno → fa riferimento alla sintesi proteica del prodotto di secrezione che sta sintetizzando che si
colora intensamente.

- In base alla modalità di secrezione:


• SECREZIONE MEROCRINA → dove la cellula tutto quello che sintetizza lo riversa direttamente nel
lume per esocitosi senza nessuna disgregazione cellulare. Secrezione tipica delle ghiandole miste;
• SECREZIONE APOCRINA → dove “apocrina” sta per “apicale”. Della cellula secernente viene
eliminata, insieme al secreto, la porzione apicale del citoplasma. Quindi non riversa per esocitosi.
Essendo che si tratta di un tessuto ghiandolare, il nucleo si troverà alla base della cellula quindi
opposto rispetto al punto di secrezione, di conseguenza la perdita della porzione apicale del
citoplasma non danneggia la cellula la quale ripristinerà le sue normali condizioni. Esempi sono
alcune ghiandole sudoripare, spesso annesse ai follicoli piliferi;
• SECREZIONE OLOCRINA → dove “olos” vuol dire “tutto”. Ciò vuol dire che l’intera cellula
secernente viene eliminata insieme al secreto. Questo non vuol dire che dopo un po’ di cicli di
secrezione la ghiandola non esiste più, perché stiamo parlando sempre di epiteli dunque lì dove è
necessario il ricambio delle cellule ci saranno associate cellule staminali. La ghiandola mammaria è
un esempio tipico, dove la cellula secernente si riempie del prodotto di secrezione, quindi la
velocità di allontanamento non soddisfa la richiesta di produzione, per questo motivo tutta la
cellula viene eliminata, così da accelerare la richiesta. Ciò succede quando la ghiandola mammaria
deve allattare.
Nessuna delle modalità si può riuscire a vedere o riconoscere dal preparato istologico.

Le GHIANDOLE ENDOCRINE possono essere classificate:


- In base alla funzione → il sistema funzionale riconosce l’esistenza di rapporti funzionali tra alcune
ghiandole endocrine (o loro componenti), che identificano diversi assi endocrini corporei, coinvolti nella
regolazione di funzioni specifiche:
• ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-GONADI → che controlla la riproduzione
• ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-TIROIDE → che controlla molte delle attività metaboliche dell’organismo
• ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-SURRENE → che è anche noto come asse dello stress

Da pag.400 a 416

TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO


I TESSUTI CONNETTIVI di SOSTEGNO sono:
• TESSUTO CARTILAGINEO
• TESSUTO OSSEO

TESSUTO CARTILAGINEO
- La cartilagine costituisce lo scheletro durante la vita embrionale. Ciò vuol dire che durante il processo di
accrescimento si va incontro ad un processo di ossificazione, ma non tutta la cartilagine viene ossificata
perché il tessuto connettivo può produrre sostanze che inibiscono l’ossificazione, motivo per cui
nell’individuo adulto si trova sia tessuto cartilagineo che tessuto osseo.
- Il tessuto cartilagineo, proliferando, determina pian piano l’allungamento delle ossa lunghe. Nel momento
in cui anche l’ultimo abbozzo cartilagineo, che prende il nome di metafisi o disco (o piastra) metafisario,
viene raggiunto dal tessuto osseo che lo “insegue” col processo di ossificazione, non c’è più un disco
cartilagineo che si accresce. Infatti il tessuto osseo è considerato statico.

- La cartilagine è costituita da una matrice costituita dalla sua componente amorfa, ricca di proteoglicani
solforati, aggrecani che tramite i GAG sono assocaiti alle fibre collagene di tipo II ed elastiche stabilizzando
l’organizzazione tridimensionale, e da una fibrillare (fibre collagene o elastiche). La matrice inizialmente è
più fluida, man mano che viene prodotta assume una consistenza gelatinosa. Le sue cellule mature, che
rimangono separate tra di loro, sono i condrociti. Prendono origine dai condroblasti (i quali presentano un
cospicuo RER e apparato di Golgi), che a loro volta si differenziano dal mesenchima, esattamente da un
popolazione le cui cellule prendono il nome di cellule condrogeniche. I condroblasti sintetizzano tutta la
parte organica della matrice e si dividono reastando intrappolati in spazi detti lacune, che costituiscono i
gruppi isogeni, ovvero rappresentano gruppetti di tali cellule proveniente dalla mitosi. Dunque nelle
porzioni più periferiche della cartilagine già formata si possono ancora trovare i condroblasti, ma man
mano che ci si sposta verso l’interno tali gruppi tenderanno a sparire perché ogni condroblasto secernerà
matrice distanziandosi dalle altre cellule e contemporaneamente si differenzia in condrocita, ovvero quella
cellula circondata esclusivamente dalla sua matrice nella quale rimarrà intrappolato. La condensazione del
mesenchima che circonda l’abbozzo cartilagineo forma il pericondrio.
- La forma dei condrociti è correlata con la loro posizione: nella parte più interna (zona radiale) della
cartilagine, le cellule sono rotonde (tipico dei condrociti maturi) e formano gruppi isogeni; nella zona
intermedia le cellule sono di forma ovoidale ma non si presentano in gruppi; nella zona tangenziale le
cellule diventano sempre più allungate fino ad appiattirsi e le lacune sono più vicine tra di loro. In questa
regione le cellule sono più abbondanti della matrice.

- È un esempio di tessuto connettivo che non è direttamente vascolarizzato e non è innervato dunque la
cartilagine è nutrita per diffusione dalla matrice.
Ha un tasso metabolico ridotto. Una volta prodotta la matrice esso viene rallentano, perché non è un
tessuto soggetto a continuo rinnovo e continue sollecitazioni.
- Tutta la cartilagine, tranne che a livello delle articolazioni e la fibrocartilagine, che permane viene rivestita
da un manicotto (o capsula) connettivale compatta che prende il nome di pericondrio, il quale è
vascolarizzato. Nel pericondrio si possono distinguere 2 strati:
• uno più esterno → le cellule tipiche dei tessuti connettivi, dunque i fibroblasti, e le fibre collagene.
• uno più interno → a ridosso del contenuto cartilagineo, si trovano i vasi sanguigni e le cellule
condrogeniche che si staccheranno portandosi verso la matrice per dividersi, per iniziare a
secernere e differenziarsi in condrociti.
Dunque i nutrienti arrivano da questo connettivo di rivestimento i quali per arrivare alle cellule che sono
tutte smistate serve che la matrice sia fortemente idratata, perché se non c’è una buona idratazione non
diffonderebbe assolutamente nulla. Ciò che la idrata sono i GAG, i quali hanno un sacco di gruppi solfato
che richiamando cariche positive, ovvero ioni Sodio, che a loro volta richiamano acqua.
Dunque l’idratazione permette nutrimento e conferisce anche resistenza alla compressione, perché così la
matrice risponde alle sollecitazioni deformandosi e ritornando nella sua forma iniziale.
A livello della cartilagine articolare, la quale poggia sul tessuto osseo, non è presente pericondrio perché è
presente il liquido sinoviale, il quale viene prodotto dalla membrana sinoviale che serve a lubrificare i capi
articolari, in modo che non ci sia un consumo fisico dell’articolazione, e a nutrirli. La cartilagine ha bisogno
di un continuo turn-over delle componenti che si usurano, di conseguenza è bene che sia continuamente
nutrita dove l’accrescimento e il suo metabolismo sono sotto controllo di ormoni ed alcune vitamine. La
loro mancanza potrebbe portare a seri problemi.
- La cartilagine è sia elastica ma anche resistente. La matrice extracellulare è dotata di buona elasticità
dunque si piega ma non si spezza, dunque dà resistenza dalle sollecitazioni meccaniche e dà levigatezza.
Quest’ultima fa pensare ad un processo di rimodellamento. Questo fa capire che quando si parla di
cartilagine non si pensa solo ai condroblasti e condrociti che hanno il compito di secernere tale matrice,
ma bisogna pensare anche ad una popolazione cellulare in grado di rimodellare gli abbozzi cartilaginei che
si formano degradando la matrice, tali cellule sono i condroclasti. Essi non sono residenti, ma
intervengono quando servono, e sono una specializzazione dei macrofagi. Sono coinvolti nel processo di
riassorbimento del tessuto cartilagineo soprattutto quando la cartilagine viene sostituita definitivamente
dal tessuto osseo.

- Oltre alle proteine che sono tipiche della costituzione della parte fibrosa, sono presenti anche proteine
“adesive”, come la condronectina, ovvero proteine collocate sulla superficie cellulare coinvolte
nell’adesione dei condrociti, tramite le integrine, con il collagene di tipo II. Infatti le cellule non sono
posizionate in maniera casuale ma c’è una stretta relazione tra le cellule e la matrice, infatti la
componente organica che la costituisce è sintetizzata dalle stesse cellule.

- Al microscopio (TEM) si vedrà la parte reticolare che costituisce i reticoli che si formano con i proteoglicani
che è attraversata dalle fibre collagene, le quali presentano una bandeggiatura che è legata
all’associazione testa-coda del collagene stesso. La sostanza amorfa, in particolare l’elevata
concentrazione di proteoglicani, è responsabile delle affinità tintoriali della matrice che è basofila.

- Quando la cartilagine invecchia viene definita cartilagine asbestiforme, perché ricorda l’asbesto (o
amianto) che è un minerale. La matrice perde l’idratazione, di conseguenza le fibre vengono smascherate.
Dunque perde la sua peculiarità di scambio di nutrienti.

- In base all’abbondanza della sostanza amorfa e alla percentuale e alla tipologia di fibre presenti nella
matrice, che si ripercuotono sulla robustezza, sulla resistenza, sull’elasticità e di conseguenza sul ruolo
fisiologico che deve svolgere ogni tipologia di cartilagine, si distinguono 3 tipi di cartilagine:
• CARTILAGINE IALINA → contiene fibre collagene di tipo II. È la più abbondante in termini di
distribuzione e di tipologia lungo tutto l’organismo. È costituita da un’abbondanza di cellule, le
quali rimangono per lo più a formare i gruppi isogeni.
• CARTILAGINE ELASTICA → oltre alle fibre collagene di tipo II, contiene fibre elastiche. Di
conseguenza la distribuzione inizia ad essere diversa perché le fibre elastiche si insinueranno tra le
cellule per conferire una maggiore resistenza alle sollecitazioni.
• CARTILAGINE FIBROSA (o FIBROCARTILAGINE) → nei preparati istologici non sempre si riesce a
distinguere facilmente e molto spesso si continua con i connettivi propriamente detti, ovvero col
connettivo denso, come le terminazioni tendinee. Contiene fibre collagene di tipo I, quindi formano
delle corde più robuste che tengono distribuite in maniera ordinata le cellule, perché non deve
conferire elasticità ma solo resistenza e robustezza.

Cartilagine Ialina
- Prende questo nome dal suo aspetto vitreo, dunque ha l’aspetto e la trasparenza del vetro e davanti ad
una colorazione istologica appare translucida di colore bianco-bluastro perché il blu è il colorante che
preferibilmente assume. (pag486)
- Abbondanza di cellule, dove per lo più troviamo gruppi isogeni, peculiarità che ci permette di distinguerla
dalle altre. Le lacune sono ben evidenti perché attorno ad esse si crea una capsula pericellulare simile per
organizzazione alla lamina basale, dunque di natura proteica e fibrosa.
Di conseguenza la matrice può essere suddivisa in:
• Matrice territoriale → attorno ad ogni lacuna. Sarà povera di fibre collagene ma ricca di
condroitinsolfato e si colora più intensamente.
• Matrice interterritoriale → quella che conferisce robustezza e resistenza e dunque sarà più ricca in
fibre.
- Rappresenta l’abbozzo utilizzato dal feto per la formazione delle future ossa.
- Durante l’ossificazione si avrà una modificazione dell’aspetto, dove aumenterà il numero di cellule le quali
soprattutto si organizzano in file di condrociti piuttosto che in gruppetti. Dunque ci sarà una proliferazione
e la cartilagine ialina si chiamerà cartilagine seriata, perché i condrociti si dispongono in serie. Tutto ciò, a
sua volta, determina un allungamento. La cartilagine non si allarga ma si allunga perché è guidata dal
pericondrio all’esterno che la contiene. Subito dopo i condrociti diventeranno molto più voluminosi per cui
questo strato prende il nome di cartilagine ipertrofica, perché è come se il condrocita si stesse nutrendo
più del dovuto, ma realmente sta cominciando ad inglobare matrice in modo da cominciare ad eliminarla
sul fronte di ossificazione. In questo caso, essendo che la matrice deve essere degradata vengono chiamati
anche i condroclasti. La matrice verrà calcificata dalle cellule osteoprogenitrici, ovvero osteoblasti.
(Esempio di ossificazione indiretta dove il tessuto osseo va a sostituire un abbozzo cartilagineo
preesistente. Tipico delle ossa lunghe).

- La cartilagine ialina la troviamo:


• nei modelli cartilaginei delle future ossa;
• a livello della piastra metafisaria (tra epifisi e diafisi, che rappresentano rispettivamente la parte
terminale e la parte centrale delle ossa lunghe);
• ad accompagnare le parti cartilaginee che ci sono lungo l’apparato respiratorio, ovvero la trachea
che impedisce alle sue pareti di collassare quando c’è l’inspirazione, poi bronchi e bronchioli;
• nel setto nasale e nella laringe;
• in alcuni punti del canale uditivo esterno;
• nelle cartilagini costali, che permettono la chiusura della gabbia toracica;
• sulle superfici articolari.

Cartilagine Elastica
- Deve il suo nome alla presenza di fibre elastiche di fianco alle fibre collagene di tipo II. (pag 494)
- Appare giallognola ed è più opaca della cartilagine elastica, la quale opacità è data dalle fibre elastiche.
- Non può calcificare. È questa la cartilagine capace di secernere sostanze che impediscono l’ossificazione,
ovvero fattori di anticalcificazione.
- Cambia la distribuzione delle fibre elastiche le quali sono ramificate e hanno un andamento più
disordinato come se fossero corde che si possono ancora tirare, dunque danno l’idea di un elastico
rilassato che può essere posto a tensione. Quindi la cartilagine resiste ad urti improvvisi senza rompersi.
Inoltre le fibre elastiche sono più facilmente colorabili, mascherano i condrociti e formano una fitta rete in
cui la matrice amorfa viene notevolmente ridotta.
- I condrociti sono situati in lacune e sono riuniti in gruppi isogeni ma meno numerosi, dunque si trovano
per lo più singoli e sono più voluminosi, ognuno con la propria capsula pericellulare.
- La cartilagine elastica la troviamo dove serve il rimodellamento in seguito a sollecitazioni, ovvero dove
serve una modificazione della forma la quale deve ritornare a quella iniziale. Dunque la troviamo:
• principalmente nel padiglione auricolare;
• in alcuni punti del canale uditivo esterno;
• nella tromba di Eustachio, condotto che collega l’orecchio medio alla faringe;
• nell’epiglottide;
• nelle corde vocali.

Fibrocartilagine
- Nella matrice è presente una grande quantità di fibre collagene di tipo I formanti fasci. (pag 495 e 496)
- Si può considerare una forma di transizione tra il tessuto connettivo denso e la cartilagine ialina.
- Non possiede pericondrio, perché è sempre a continuo contatto con il connettivo denso dunque non ha
bisogno di una guaina connettivale, come ad esempio nei punti di inserzione dei tendini e dei legamenti
delle ossa.
- Non può calcificare, perché per le sollecitazioni a cui deve rispondere deve rimanere cartilagineo.
- Non costituisce gruppi isogeni, dunque si trovano solo i singoli condrociti che vengono impacchettati
all’interno delle fibre collagene.
- Presenta fibre collagene di tipo I.
- I condrociti sono disposti in maniera ordinata e vanno a formare dei fasci che sono mantenuti in posizione
dalle fibre collagene disposte rigidamente tra questi fasci.
- Esaminata al microscopio ottico, la matrice intercellulare appare acidofila per la presenza notevole di fibre
collagene e la scarsa presenza di componente amorfa.
- La fibrocartilagine la troviamo:
• nella sinfisi pubica;
• nei dischi intervertebrali, dove costituisce gli anelli fibrosi che circondano il nucleo polposo;
• nei menischi;
• nell’inserzione dei tendini sull’osso.
Dunque si trova in tutti quei posti in cui deve rispondere a sollecitazioni anche molto importanti senza
spezzarsi, dunque deve essere elastica ma allo stesso tempo robusta.
- L’organizzazione istologica della fibrocartilagine è fondamentale per il ruolo che deve svolgere ed un suo
eventuale danneggiamento porta delle conseguenze. Ad esempio la colonna vertebrale durante lo
sviluppo embrionale sostituisce la notocorda, che è un esempio di tessuto cartilagineo esclusivamente
embrionale, la quale però non scompare ma rimane a formare quel cuscinetto, chiamato nucleo polposo,
che s’interpone fra i corpi vertebrali per conferire una certa semirigidità, quindi un minimo di movimento,
e resistenza alla compressione. A tenere in posizione questi dischi è presente una struttura di
fibrocartilagine, ovvero gli anelli fibrosi che assicurano resistenza alla trazione. Se una di queste strutture
si lacera o perde il suo rigore i cuscinetti possono riuscire e ciò prende il nome di ernia del disco.

Accrescimento della cartilagine


Esistono due eventi che portano all’accrescimento della cartilagine:
• Accrescimento per apposizione → per apposizione di cellule condrogeniche a partire dal
pericondrio, dunque queste cellule arrivano dall’esterno. Tali cellule poi iniziano a dividersi,
formando gruppi isogeni e spostandosi verso la porzione centrale facendo accrescere la cartilagine.
• Accrescimento interstiziale → dai nuovi condroblasti si ha l’accrescimento interstiziale perché i
singoli condrociti secernano matrice distanziandosi tra di loro e determinando un accrescimento
dall’interno.

Varietà minori di cartilagine


Sono presenti altre tipologie di cartilagine che fanno riferimento al tessuto cartilagineo della notocorda
durante lo sviluppo embrionale. Essi sono:
- TESSUTO CORDOIDE
Corrisponde all’organizzazione del tessuto cartilagineo embrionale che è presente nella notocorda, la quale
nei vertebrati viene poi sostituita dalla colonna vertebrale, ma negli organismi cordati la struttura di
sostegno sarà costituita ancora dalla notocorda.
Essa è costituita da una guaina esterna connettivale che ricorda il pericondrio, che fornisce i precursori
delle cellule presenti all’interno, ma all’interno non è presente matrice, dunque le cellule ci danno un’idea
di tessuto cartilagineo perché sono cellule vacuolate, le quali all’interno hanno dei vacuoli che si riempiono
di acqua, ovvero riserve idriche della cellula. Ciò gli permette di diventare un organo idraulico il quale
impedisce la compressione.
- TESSUTO CONDROIDE
Non c’è una vera e propria organizzazione cartilaginea, ma sono per lo più singole cellule di natura
cartilaginea che al loro interno accumulato sostanze adipose, le componenti tipiche delle fibre, però le fibre
non si vanno ad organizzare nella matrice come nelle aree interterritoriali dove si ha una certa estensione,
ma vanno semplicemente a sorreggere le singole cellule cartilaginee.

TESSUTO CONNETTIVO CIRCOLANTE


Il sangue è un tessuto connettivo specializzato. È l’unico tessuto fluido dell’organismo. Viene incluso
fra i tessuti connettivi per via dell’origine comune dal mesenchima.
E’ costituito da elementi figurati immersi in una componente liquida detta plasma .

Funzioni
Il sangue ha diverse funzioni:
• Consente il trasporto di:
Sostanze nutritive (dal tratto gastrointestinale alle cellule)
Prodotti di rifiuto (dalle cellule agli organi deputati alla eliminazione)
Prodotti cellulari (ormoni, molecole segnale, elettroliti ecc.)
O2 (dai polmoni ai tessuti)
CO2 (dai tessuti ai polmoni)

• Contribuisce alla regolazione temperatura corporea


• Mantiene l’equilibrio osmotico dei liquidi tissutali
• Consente la migrazione dei globuli bianchi nei vari distretti dell’organismo
• Interviene nella coagulazione del sangue e nella riparazione delle ferite vascolari

Composizione
Il sangue è formato da:
- Componente liquida (55% del tessuto), che prende il nome di plasma;
- Componente corpuscolata (45% del tessuto).
Questa percentuale prende il nome di ematocrito ed è uno dei parametri fondamentali delle analisi del
sangue.

Le due componenti sono visibili dopo aver aggiunto in una provetta di sangue un anticoagulante (eparina) e
aver centrifugato il campione. Nella provetta, la componente corpuscolata è divisa in una parte inferiore
(44%) costituita da eritrociti e una parte intermedia (1%) formata da globuli bianchi e piastrine, chiamata
buffy coat.

Componente liquida (plasma)


È il corrispondente della sostanza intercellulare di un connettivo generico. Tuttavia, mentre la sostanza
intercellulare è semisolida (propriamente detto) o solida (cartilagine e osso), nel sangue il plasma è liquido
per l’assenza totale di fibre connettivali.
Il plasma è costituito da:
-Acqua (90%)
- Proteine, tra cui: Albumina (60%), che ha due funzioni: ->Regolare il rapporto tra sangue e liquido tissutale
e mediare il trasporto di diverse sostanze (es.: ormoni tiroidei)

- Globuline (35%), prodotte dal fegato e possono essere di diversi tipi (α, α2, β). Anche queste servono a
trasportare sostanze, come ormoni, ioni metallici (in particolare, ceruloplasmina e transferrina), lipidi
(soprattutto le β).
-Fibrinogeno (5%), coinvolto nei processi di coagulazione
-Proteine del complemento, coinvolte nei meccanismi di difesa immunitaria.
- Glucidi, lipidi (colesterolo,trigliceridi, ...), aminoacidi
- Altre sostanze (ormoni, vitamine, sali minerali, ...)
Il plasma, privato del fibrinogeno e delle altre proteine della coagulazione prende il nome di siero. Il siero è
la parte liquida che rimane dopo che si lascia coagulare il sangue.

I globuli rossi
Gli eritrociti sono cellule prive di nucleo prodotte dal midollo osseo. La sopravvivenza media del globulo
rosso è di circa 120 giorni, dopodiché la cellula degradata viene eliminata a livello della milza, del fegato e
del midollo osseo. La funzione principale è quella di trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti ed
anidride carbonica prodotta a livello tessuti dei polmoni. Tale funzione è possibile grazie ad una sostanza
contenuta all'interno dell'eritrocita che si chiama "EMOGLOBINA", e che costituisce il 30 -36% del volume
del globulo rosso e che funge da trasportatore di ossigeno e di anidride carbonica alle quali si lega in
maniera reversibile.

I globuli bianchi
Hanno il fondamentale compito di difendere l’organismo dalla penetrazione di qualsiasi agente estraneo:.
alcuni agiscono direttamente distruggendolo, altri hanno la funzione di formare gli anticorpi. A seconda
delle loro funzioni e caratteristiche morfologiche, si possono dividere in Granulociti, Monociti e Linfociti. Si
formano nel midollo osseo, nelle ghiandole linfatiche e nella milza.

Sono gli elementi corpuscolari più piccoli (un quarto del globulo rosso) ed hanno una funzione
determinante nell'emostasi, cioè nell'arresto del sanguinamento in caso di lesione di un vaso, formando un
"tappo" che blocca l'emorragia. Successivamente si attiva il processo della coagulazione in modo da
stabilizzare il coagulo. Si formano nel midollo osseo La loro vita media è di pochi giorni.

TESSUTO OSSEO
- Connettivo specializzato con matrice dove la percentuale di acqua è molto più bassa perché essa è
calcificata.
- Funzione:
• prevalentemente legata al sostegno della struttura del corpo perché andrà a formare lo scheletro;
• dunque anche di protezione degli organi interni (es. scatola cranica, gabbia toracica);
• di leva;
• riserva di minerali.
- Le ossa contengono nei loro sistemi cavitari interni il midollo osseo, importante tessuto emopoietico.
- Struttura statica dovuta alla matrice che è calcificata, ma in realtà è anche un sistema dinamico perché si
riorganizza in funzione delle forze di carico esercitate sul tessuto osseo stesso, dunque le cellule che lo
compongono sono in qualunque momento funzionale cellule vive. Infatti, in caso di fratture, si riorganizza
tramite il processo di rimodellamento osseo.
- È sensibile allo stato nutrizionale, infatti il rimodellamento dipende dalla nutrizione essendo costituito da
cellule vive.
- È soggetto a controllo endocrino.

COMPONENTI
1. Componente inorganica
- Può raggiungere il 65% del peso secco al completo accrescimento dello scheletro osseo.
- Composto da:
• Acqua, che però non supera mai il 20%, infatti è un tessuto necessariamente vascolarizzato;
• Sali minerali, i quali sono rappresentati da citrati, carbonati, floruri, ma principalmente (80%) da
fosfato tricalcico idrato che si presenta sottoforma di cristalli di idrossiapatite, responsabili della
presenza di elevata percentuale di calcio. Essi consentono una distribuzione ordinata tra quelle che
saranno poi le fibre collagene che a loro volta garantiscono una disposizione ben ordinata dei
cristalli di idrossiapatite. Essi sono circondati da un alone di idratazione che facilita gli scambi ionici
tra cristalli e ambiente tissutale circostante.
2. Componente organica
• Componente amorfa, costituita da proteoglicani, presenti in minor quantità (1%). Quelli più
caratterizzati sono il biglicano, sparso nella matrice mineralizzata e attorno agli osteociti, e la
decorina, associata alle fibrille collagene e si ritiene abbia un ruolo nel pilotare la deposizione dei
cristalli di idrossiapatite lungo le stesse fibrille;
• Componente fibrillare, componente organica più abbondante (85%), costituita da fibre collagene di
tipo I;
• Glicoproteine, la quale tutt’oggi si continua a studiare, dunque i tipi di glicoproteine presenti nella
matrice continua a crescere. Quelle già determinate di cui è nota la funzione sono:
- l’OSTEONECTINA, glicoproteina ad alta affinità per il calcio. Agisce come fattore di nucleazione dei
cristalli di idrossiapatite. Dunque essa regola la disposizione e l’organizzazione di tali cristalli;
- l’OSTEOCALCINA, inibisce la mineralizzazione, in quanto ha la capacità di arrestare la crescita dei
cristalli di idrossiapatite. Dunque attorno alle cellule che saranno imprigionate nella matrice ci sarà
un’area non fortemente mineralizzata in modo da garantire gli scambi metabolici e le normali
attività di sintesi e di secrezione della cellula;
- l’OSTEOPONTINA, responsabile dall’adesione cellula-matrice.

3. Cellule (pag 502)


Esistono 4 diverse tipologie cellulari e sono le cellule:
• OSTEOPROGENITRICI o OSTEOGENICHE, che si differenziano direttamente dalle cellule del
mesenchima e rappresentano la prima linea differenziativa delle cellule del tessuto osseo. Hanno
forma allungata, nucleo ovale e citoplasma ricco di ribosomi liberi;
• OSTEOBLASTI, (pag 513) forma globosa o isoprismatica. Nucleo voluminoso e rotondeggiante
collocato in posizione eccentrica. Durante l’attività di sintesi sono ricchi di mitocondri contenenti
granuli densi di ioni calcio, un esteso RER. Derivanti dal differenziamento delle cellule
osteoprogenitrici, sono in grado di secernere la matrice e di mineralizzarla, nella quale ne
rimangono imprigionati rallentando la propria attività metabolica e rimangono sottoforma di cellule
mature;
• OSTEOCITI, sono le cellule mature del tessuto osseo, hanno forma stellata;
• OSTEOCLASTI, (pag 515) si originano dal midollo osseo e sono dei derivati dei monociti. Essi sono
multinucleati perché esattamente si originano dalla fusione dei monociti. (Esempio di struttura
sincinziale). Sono deputate al rimodellamento del tessuto osseo, demineralizzazione della matrice e
riassorbendo i sali minerali.
Periostio → Responsabile della corretta organizzazione del tessuto osseo, il quale può intervenire anche
nel momento in cui il tessuto subisce una frattura affinché venga riparato. Esso si presenta come un
rivestimento connettivale che si trova sulla superficie esterna delle ossa. Esso è costituito da 2 strati:
• più esterno, più ricco di fibre e di fibroblasti;
• più interno, vascolarizzato e sono presenti le cellule osteoprogenitrici. Esso è chiamato strato
ostogenico di Ollier.
Il pericondrio era a contatto diretto con la cartilagine perché la matrice era fortemente idratata,
nel caso del tessuto osseo dove la matrice è fortemente calcificata e dunque le cellule sono
imprigionate, il periostio per rimanere ancorato all’osso sottostante organizza dei fasci fibrosi che
penetrano, per ancorarsi, profondamente nella matrice ossea, i quali prendono il nome di fibre di
Sharpey.
Accanto al periostio si trova anche un’altra guaina connettivale che prende il nome di ENDOSTIO.

Endostio → Rivestimento connettivale lasso delle cavità interne delle ossa, le quali sono cavità diversi in
base al fatto che si parli di tessuto osseo compatto, tessuto osseo spugnoso, di porzioni epifisarie o di
porzioni diafisarie. Es. canale midollare o canale di Havers. Anche qui sono presenti le cellule
osteoprogenitrici disposte in un unico strato e vanno a rivestire le cavità.

- Le cellule osteoprogenitrici si presentano molto vicine tra di loro, con una forma fusata con un nucleo
molto ampio, il quale è segno di attività, dunque sono molto attive durante l’accrescimento perché
devono differenziarsi in osteoblasti, ovvero la forma attiva del tessuto osseo in grado di secernere
matrice. Gli osteoblasti in seguito all’attività mitotica delle cellule osteoprogenitrici rimangono connessi
tra di loro, in quegli spazi che anche qui sono detti lacune, mediante giunzioni GAP, ovvero le giunzioni
comunicanti che servono a mantenere i contatti tra di loro, infatti in questo caso il tessuto è chiamato
Epitelioide perché ricordano le cellule di un epitelio. Tali giunzioni vengono perdute tra le membrane degli
osteoblasti man mano che vanno a deporre matrice e di conseguenza si allontanano tra di loro
modificando la loro forma, rallentando il loro metabolismo e rimangono imprigionate nella matrice che
hanno sintetizzato. Ma rimangono attive, dove in caso di necessità possono riprendere la loro attività
biosintetica.
Le giunzioni GAP però non spariscono perché sono necessarie, ma si modificano in termini di
localizzazione. Essi, negli osteociti, non hanno più il contatto diretto con la membrana ma il citoplasma
forma delle estroflessioni che decorrono all’interno di canalicoli in cui risiedono tali giunzioni. Questo
perché all’interno di tale matrice che è calcificata non possono esistere i vasi perché rimarrebbero
schiacciati, allora poiché realmente il tessuto osseo è vascolarizzato, questi vasi scorreranno all’interno dei
canali. Possiamo avere:
• canali principali, che prenderanno il nome di canali di Havers;
• canali secondari che collegano trasversalmente i canali di Havers e sono chiamati canali di
Volkmann.
L’osteocita imprigionato nella matrice per raggiungere questi vasi sanguigni, lo fa o direttamente tramite
questi processi citoplasmatici che terminano con giunzioni comunicanti i quali prendono contatto con
analoghi prolungamenti provenienti dalle cellule adiacenti, creando dei ponti citoplasmatici con altri
osteociti. Dunque tali giunzioni GAP permangono come punto di contatto tra questi processi citoplasmatici
che ogni osteocita è costretto a produrre per non rimanere isolato e conseguentemente per non andare
incontro a morte.

Osteoclasti
- Gli osteoclasti hanno:
• ZONA BASALE → sono presenti nuclei e organuli subcellulari;
• BORDO INCRESPATO → delle strutture che ricordano l’orletto a spazzola. Questa regione
rappresenta il punto di contatto con il tessuto osseo, perché sarà a livello di questo bordo che si
attiveranno i processi enzimatici e chimici che portano al rimodellamento osseo;
• ZONA CHIARA → zona laterale. Area in cui il citoscheletro si organizza in modo da rimodellare la
membrana cellulare e dunque la forma della cellula, per farla aderire al tessuto osseo. Poi essa
aderisce tramite sistemi giunzionali, che sono peculiare per gli osteoclasti, e prendono il nome di
podosomi;
• ZONA VESCICOLARE → si trova a livello del bordo increspato perché è qui che si hanno tutte le
vescicole che portano i prodotti che devono essere secreti, tramite esocitosi, nell’area in cui
l’osteoclasto deve agire. Tali prodotti sono gli enzimi litici (idrolasi lisosomiali e collagenasi) che
saranno in grado di degradare la matrice.
-Le aree in cui gli osteoclasti si vanno a posizionare per iniziare il rimodellamento si chiamano lacune di
Howship.
- La membrana plasmatica presente nell’area dell’orletto increspato è ricca di anidrasi carbonica, enzima
che catalizza la formazione di acido carbonico a partire da diossido di carbonio e acqua. Una volta
prodotto, l’acido carbonico viene scisso in ioni di dicarbonato e in ioni H+. Il bordo increspato
dell’osteoclasto è ricco di pompe protoniche, le quali prendono questi protoni H+ e li veicolano verso la
matrice che deve essere degradata. Il continuo rilascio di protoni determina un abbassamento del pH
acidificando l’ambiente che porterà alla solubilizzazione della matrice ossea. Dunque rende facile il lavoro
degli enzimi litici che vengono riversati sempre a livello della matrice organica. I prodotti finali della
degradazione della matrice vengono riassorbiti dall’osteoclasta per endocitosi e rilasciati, grazie ad un
meccanismo di transcitosi, alla superficie opposta della cellula.
Una volta che la matrice viene demineralizzata si possono attaccare le fibre.

- L’omeostati del calcio viene modulata dal paratormone, elaborato dalle ghiandole paratiroidi che induce
l’attività degli osteoclasti perché favorisce la liberazione del calcio dalla matrice mineralizzata delle ossa.
- Invece l’ormone che induce l’azione contraria a quella del paratormone è la calcitonina, che prodotta
dalle cellule C (che si trovano tra i follicoli tiroidei), blocca l’attività degli osteoclasti, perché essa favorisce
il deposito di calcio nelle ossa.

VARIETÀ DEL TESSUTO OSSEO


Sulla base dell’organizzazione della matrice, possiamo avere 2 varietà:
- TESSUTO OSSEO ALAMELLARE
Ha una matrice che non si organizza a formare lamelle ma essa si sviluppa in maniera continua dove si
possono trovare fibre collagene che si dispongono o a formare dei fasci intrecciati o a formare una struttura
a fasci paralleli. Il fatto che non sia ben organizzato fa capire che di tratta ti un tessuto osseo primitivo.
Quello a fasci intrecciati lo troviamo nei vertebrati primitivi (come i pesci) ed è tipico della prima
formazione di tessuto osseo nei mammiferi. Quando nell’embrione si forma il tessuto osseo non si forma in
tutte le sedi, perché gran parte di esso si formerà per ossificazione indiretta a partire dagli abbozzi
cartilaginei. Un esempio di quello che si formerà nell’embrione è quello della scatola cranica dove come
prima organizzazione avrà quella dell’osso alamellare e successivamente si assisterà ad un processo di
riorganizzazione e si passerà all’osso lamellare. Ci sono alcune regioni che rimarranno alamellari che sono
quelle zone riconducibili alle articolazioni o ai punti in cui si formano le suture che si trovano nelle ossa del
cranio. In questi punti è come se non ci fosse la necessità di trasformare il tessuto osseo.
Quello a fasci paralleli lo troviamo principalmente nello scheletro degli uccelli e in alcuni limitati siti dello
scheletro adulto nei mammiferi come nelle aree di inserzione dei tendini.
- TESSUTO OSSEO LAMELLARE (pag 504 e 505)
Dove c’è un’organizzazione. Esso presenta una matrice organizzata a lamelle parallele, tenute assieme da
un materiale cementante ed è l’esempio preponderante di tessuto osseo che rappresenta lo scheletro dei
mammiferi. Per tale organizzazione, rispetto al tessuto osseo alamellare, conferisce una maggiore
resistenza alle tensioni, alle pressioni ecc. È possibile trovarlo in 2 tipologie:
• TESSUTO OSSEO COMPATTO
• TESSUTO OSSEO SPUGNOSO
- La lamella è caratterizzata dalla presenza di fibre collagene di tipo I che si organizzano in maniera
altamente ordinata, il quale orientamento può essere costante o può cambiare, ma si trovano ad essere
sempre parallele tra di loro. La disposizione a lamelle appesantisce l’osso e lo ispessisce. Ciò conferisce
una struttura a rete che dà una maggiore resistenza.
- Tra le fibre collagene si vanno a posizionare in maniera ordinata i cristalli di idrossiapatite. Responsabile
dell’organizzazione delle fibre collagene e della deposizione dei cristalli sono gli osteoblasti perché senza
di essi la matrice non potrebbe esistere.
- I cristalli idrossiapatire conferiscono durezza all’osso, i quali sono responsabili della calcificazione. La
resistenza è data invece dall’organizzazione delle fibre collagene.
- In base alla dimensione di ossa ci sono:
• OSSA LUNGHE
• OSSA CORTE, (es. vertebre, ossa del carpo e del tarso ecc.) sono costituite da una massa centrale di
tessuto osseo spugnoso rivestito da uno strato di tessuto osseo compatto.
• OSSA PIATTE, (es. costituiscono la calotta cranica) sono costituite da due lamine di osso compatto, i
tavolati interno ed esterno, delimitati da uno strato di tessuto osseo spugnoso detto diploe.
Che siano ossa lunghe, corte o piatte, ci sarà sempre la compartecipazione di entrambe le varietà di
tessuto osseo lamellare, dunque ci sarà tanto quello compatto quanto quello spugnoso, i quali si
continuano una nell’altra senza una confine netto perché semplicemente corrispondono ad una diversa
organizzazione delle lamelle. Però, i loro rapporti quantitativi e la loro distribuzione variano sensibilmente
nelle diverse componenti scheletriche.
Esempio:
TIPICO OSSO LUNGO
Nelle ossa lunghe il tessuto osseo spugnoso si trova esclusivamente alle 2 estremità, ovvero nell’epifisi, che
costituiscono dunque i capi articolari, la quale superficie in corrispondenza delle articolazioni è rivestita da
uno strato di cartilagine ialina. Il tessuto osseo compatto si troverà nella porzione centrale che prende il
nome di diafisi.
• TESSUTO OSSEO SPUGNOSO → (pag. 511 e 512) ricorda una spugna. Costituito da sottili strutture
colonnari, ovvero le trabecole ossee, che si dispongono nello spazio secondo le linee di forza che
vengono esercitate sul tessuto dalle sollecitazioni a cui il tessuto è sottoposto. Esse vanno a
fondersi tra di loro, intrecciandosi a formare una struttura a rete con delle maglie. Queste maglie
sono piccole cavità che vengono occupate dal midollo osseo che è la sede di emopoiesi. Dunque il
concetto che il tessuto osseo sia vascolarizzato inizia a concretizzarsi. I sistemi haversiani sono
generalmente assenti e la rete formata da canalicoli ossei si apre direttamente in corrispondenza
dell’endostio.
• TESSUTO OSSEO COMPATTO → è presente un’unica grande cavità che prende il nome di cavità
midollare centrale, dove verrà ospitato il midollo osseo.
Negli individui in via di accrescimento, tra diafisi ed epifisi, è presente uno strato di cartilagine, detto disco
epifisario che aderisce alla diafisi tramite una struttura di transizione costituita da osso spugnoso, detta
metafisi. Tuttò ciò rappresenta la regione dove si realizza l’accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe.

Il midollo osseo in base al momento funzionale si può presentare sottoforma di:


• midollo osseo rosso, chiamato così per la pigmentazione che assume legata alla sua intensa attività
emopoietica, dunque sintesi degli elementi figurati del sangue, primi fra tutti in termini numerici gli
eritrociti;
• midollo osseo giallo, si tratta dello stesso midollo osseo ma invecchiato perché fisiologicamente,
con l’avanzare dell’età, le attività emopoietiche rallentano come rallentano le attività metaboliche
di qualsiasi tipologia cellulare. L’invecchiamento porta ad un accumulo di lipidi che gli fa cambiare
aspetto apparendo giallognolo, ovvero il colore tipico che conferiscono i lipidi.

La diversa distribuzione di tessuto osseo compatto e spugnoso è dovuta al fatto che quello spugnoso è
presente dove le forze vengono applicate da varie direzioni, il quale presentando le cavità resiste meglio a
queste forze. Invece, il tessuto osseo compatto è molto resistente alla compressione, dunque se ad
esempio fosse esercitata una compressione in senso longitudinale esso si oppone grazie alla presenza delle
lamelle poste in maniera ordinata. Però se la pressione proviene lateralmente l’osso si può fratturare.

TESSUTO OSSEO LAMELLARE COMPATTO (pag 504, 505, 507)


Sono presenti 4 sistemi diversi: il sistema circonferenziale esterno, il sistema circonferenziale interno, il
sistema osteonico ed il sistema interstiziale.
- L’OSTEONE o sistema Haversiano è l’unità strutturale dell’osso compatto. Esso è l’insieme di tutte le
lamelle che si dispongono concentricamente, dove in ognuna le fibre decorrono parallelamente tra loro
ma con un andamento elicoidale destroso in una lamella, e sinistroso in quella consecutiva e così via, per
cui le fibre di due lamelle consecutive si incrociano secondo un angolo di 90°. Le lamelle si dispongono
attorno ad un canale centrale (canale di Havers) nel quale scorrono i vasi sanguigni. Invece il tessuto
osseo spugnoso con le cavità midollari ne era a diretto contatto. I canali di Havers decorrono
parallelamente all’asse longitudinale dell’osso, seguendo la sua lunghezza, invece i canali secondari
chiamati canali di Volkmann si dispongono perpendicolarmente o obliquamente ai canali di Havers e li
collegano tra loro, perforando i sistemi ordinati di lamelle. Così si costituisce una perfetta trama
neurovascolare che si connette con la rete rappresentata dai canicoli e lacune ossee provvedendo alla
nutrizione ed al ricambio della popolazione cellulare presente nel tessuto osseo. Dunque l’OSTEONE è
l’insieme di un canale di Havers e delle lamelle concentriche che si distribuiscono attorno a questo canale.
- Inoltre l’osteone è delimitato da un sottile strato di matrice amorfa mineralizzata, detto linea cementante.
In generale le lamelle sono strettamente aderenti le une alle altre e sono unite da una matrice molto
mineralizzata, per cui gli spazi tra le lamelle sono assenti o molto ridotti.
- Tra i fasci di fibre abbiamo detto che si depositano i cristalli di dirossiapatite.
- Nella matrice rimangono intrappolati gli osteociti, i quali si ritrovano assottigliati con quei prolungamenti
citoplasmatici che gli servono per prendere contatto con gli altri osteociti o direttamente con i vasi del
canale di Havers o del canale di Volkmann.
- Tutto il tessuto compatto sarà formato da un sistema di OSTEONI, che si ritrovano uno di fianco agli altri.
- Ci sono anche osteoni imparziali, cioè sono incompleti perché si addossano agli osteoni completi.
- Le lamelle che vanno ad occupare gli interstizi tra gli osteoni, non sono distribuite in maniera concentrica
e prenderanno il nome di lamelle interstiziali.
- Si parla di sistema circonferenziale esterno e sistema circonferenziale interno là dove si fa riferimento alle
cellule che non sono ancora intrappolate nelle lamelle ma che vanno a ridosso delle guaine connettivali,
che rispettivamente sono una esterna (periostio) ed una interna (endostio) che riveste il canale midollare,
i canali di Havers nei rispettivi osteoni e i canali di Volkmann.

 Lamelle concentriche
OSSIFICAZIONE
Processo che prevede la formazione del tessuto osseo.
- Può avvenire con 2 diverse modalità:
• OSSIFICAZIONE DIRETTA o INTERMEMBRANOSA → si dice “intermembranosa” perché il tessuto
osseo si forma a partire dal mesenchima. L’ossificazione diretta è tipica delle ossa piatte del cranio.
• OSSIFICAZIONE INDIRETTA o ENDOCONDRALE → quando il tessuto osseo si forma in seguito ad un
processo che porta alla sostituzione di un abbozzo cartilagineo preesistente. Ossificazione che
riguarda la stragrande maggioranza del tessuto osseo.

OSSIFICAZIONE DIRETTA
Nel corso dell’ossificazione diretta il tessuto osseo si forma a partire dai centri di ossificazione che si
organizzano in seno al mesenchima o a partire dal tessuto connettivo fibrillare denso che da esso deriva.
- Il mesenchima embrionale è riccamente vascolarizzato ed è il precursore del mesoderma. Sarà costituito
da un’abbondante matrice gelificata in cui ci sono le cellule pluripotenti disperse, cioè cellule del
mesenchima che possono differenziarsi nei diversi tessuti connettivali.
- Nelle aree in cui si deve formare il tessuto osseo, si assiste ad una ricca crescita della rete vascolare che da
riscontro un’intensa proliferazione cellulare ed un incremento della fibrillogenesi. Si forma il cosiddetto
blastema mesenchimale all’interno del quale si differenziano le cellule osteoprogenitrici che dunque si
differenzieranno in osteoblasti che vanno a formare una struttura definita Epitelioide, perché essi si
legano tra di loro tramite le giunzioni GAP che ricordano il tessuto epiteliale. Dopodiché gli osteoblasti
iniziano a secernere matrice e dunque originano la struttura del tessuto osseo.
- Nell’ossificazione diretta, gli osteoblasti secernano una matrice che è diversa dalla vera e propria matrice
del tessuto osseo già differenziato, perché sarà una matrice non calcificata, dunque non ci sarà
l’organizzazione dei cristalli di idrossiapatite e sarà una matrice omogenea e poco densa. Infatti questa
prima deposizione non prende il nome di tessuto osseo perché non è definitivo, ma viene detto OSTEOIDE
o OSTEOMUCOIDE il quale è un tessuto osseo alamellare. Dunque la prima deposizione di tessuto osseo
vede l’intensa attività di sintesi della parte relativa alle fibre, che porta alla formazione di prime strutture
ossee che prendono il nome di TRABECOLE OSSEE. Tra di esse rimane imprigionato il mesenchima che
differenzierà il midollo osseo, motivo per cui si parla di cavità midollari primitive, perché sono cavità che
ospiteranno il midollo osseo ma il quale si deve ancora differenziare.
- I vasi sanguigni dunque si svilupperanno anch’essi dal mesenchima, i quali si posizionano all’interno di tali
cavità che si vanno a creare durante l’ossificazione che saranno le cavità midollari nel caso del tessuto
osseo spugnoso, o canali di Havers nel caso in cui si parli di tessuto osseo compatto.

Tutto questo fa capire che l’OSTEOIDE dovrà subire dei processi di sostituzione.

- Man mano che gli osteoblasti continuano a deporre matrice, aumentano lo spessore delle trabecole e
finiscono per rimanere intrappolati nella matrice stessa, rallentano il proprio metabolismo e iniziano a
produrre piccoli prolungamenti differenziandosi in osteociti.
- Il manicotto connettivale che riveste le trabecole neoformate va incontro a condensazione e si differenzia
a costituire il periostio.
- Saranno gli osteoclasti che si occuperanno del rimaneggiamento di questa matrice, affinché dagli
osteoblasti maturi possa essere sintetizzata una matrice calcificata. Gli osteoclasti si posizionano sulle
trabecole ossee neosintetizzate e cominciano a degradare la matrice osteoide, in modo che gli osteoblasti
riattivino il loro metabolismo e vadano a depositare matrice calcificata.
- Con deposizione della matrice calcificata si inizieranno ad organizzare le lamelle e dunque si passa ad un
tessuto osseo definitivo di tipo lamellare che potrà mantenere le caratteristiche di un tessuto osseo
spugnoso o andrà acquisendo le caratteristiche di quello di tipo compatto.
- Alla fine, ad ossa mature, le cellule che troveremo saranno solo gli osteociti e cellule osteoprogenitrici che
si trovano a ridosso del periostio all’esterno e a livello dell’endostio che riveste le cavità interne.

PASSAGGI DALL’OSTEOIDE A TESSUTO OSSEO DEFINITIVO


1. Deposizione di Sali di calcio che porterà alla calcificazione. Una volta che la matrice definitiva viene
deposta gli osteoblasti rimangono intrappolati in questa matrice e diventano osteociti. Per
assecondare la formazione del tessuto osseo definitivo, e dunque per raggiungere le dimensioni
definitive, in seno al mesenchima si avranno più centri di ossificazione, cioè è come se le cellule del
mesenchima si organizzassero a formare dei piccoli gruppi che si differenzieranno in cellule
osteoprogenitrici e così via.
2. Man mano che avviene tale rimaneggiamento, la deposizione di matrice accresce i diversi centri di
ossificazione che si fonderanno per apposizione. La formazione di questo tessuto osseo è
accompagnata dai connettivi di rivestimento, ovvero periostio ed endostio.
Il processo di rimaneggiamento non si arresta a tale fase, ma prosegue attivamente per tutto il periodo di
accrescimento, per rallentare progressivamente con il crescere dell’età. Inoltre nella fase di accrescimento
il processo di rimaneggiamento si accompagna ad un parallelo rimodellamento delle ossa tale da soddisfare
le mutevoli necessità in termini di architettura delle strutture scheletriche. Es. ossa della volta cranica.

Questo modello di osteogenesi si realizza nel corso della formazione delle ossa piatte che costituiscono la
volta del cranio e una parte di ossa della faccia (mascellare ecc).

ESEMPIO OSS. DIRETTA → OSSA DELLA VOLTA CRANICA


Le ossa che si originano per ossificazione diretta sono le ossa della volta cranica. Essendo che una volta
formato, l’accrescimento del sistema nervoso centrale non è ancora avvenuto, si deve andare incontro a
processi di rimodellamento in termini di architettura, perché la volta cranica deve accompagnare
l’accrescimento in volume dell’encefalo, che accompagna l’accrescimento dell’embrione e del bambino
prima, fino allo stadio adulto dopo. Dunque dalla superficie interna delle ossa che vanno a costituire la
volta cranica, ovvero quella che guarda verso l’encefalo, si assiste ad una continua attività degli osteoclasti
che continuano a degradare matrice e contemporaneamente rimodellano la curvatura concava delle ossa.
Le ossa però non si assottigliano perché dall’altra parte si assiste ad una nuova apposizione di osteoblasti
che continuano a deporre matrice, dunque nuovo tessuto osseo, sulla faccia convessa esterna. Quindi lo
spessore rimane costante e si modifica la dimensione della cavità che vanno a rivestire.
Contemporaneamente si realizza una continua deposizione di nuova matrice ossea lungo i margini delle
ossa piatte, in corrispondenza delle suture lì dove è presente fibrocartilagine.

ESEMPIO OSS. DIRETTA: OSSIFICAZIONE MANTELLARE


Prende il nome di “mantellare” perché si forma come un mantello attorno ad una struttura di natura
cartilaginea a forma di ferro di cavallo, ovvero la cartilagine di Meckel, che delinea la forma della
mandibola. Tale cartilagine non è direttamente coinvolta nel processo di ossificazione ma, una volta che si è
formato questo tessuto osseo, essa non ha più la possibilità di scambi metabolici dunque tende a
degenerare e lascia un vuoto che verrà colmato da centri di ossificazione.
Dunque ciò non è da confondere con un’ossificazione indiretta, perché in questo caso non è presente un
abbozzo cartilagineo, dunque il tessuto osseo non va a sostituire una cartilagine ma si forma da sé.
OSSIFICAZIONE INDIRETTA O CONDRALE
L’induzione embrionale porta ad una prima organizzazione di una struttura di natura cartilaginea che
durante lo sviluppo embrionale inizierà ad ossificare, completando tale ossificazione nella vita adulta
perché deve accompagnare l’accrescimento del bambino, dunque durante la crescita si assiste ad un
processo graduale di sostituzione dell’abbozzo cartilagineo che man mano prolifera.
Nel momento in cui esso non prolifera più, pian piano la cartilagine viene sostituita tutta dal tessuto osseo
il quale poi può essere solo rimodellato ma non potrà più accrescersi.

Subiscono questa ossificazione le ossa dello scheletro assile, degli arti e della base del cranio.

Dunque essa è costituita da 2 fasi:


- 1° FASE
Si viene a formare il modello cartilagineo.
- 2° FASE
Sostituzione e accrescimento del tessuto osseo.
- L’accrescimento è duplice, dunque avremo:
• Accrescimento interstiziale → si vedrà dall’interno che il tessuto cartilagineo degenera e si avrà la
deposizione di matrice calcificata. Si parla di ossificazione endocondrale.
• Accrescimento per apposizione → a carico del periostio, dunque è un’apposizione che avviene
dall’esterno. Si parla di ossificazione pericondrale, perché avverrà lungo i margini dell’abbozzo
cartilagineo.

PERCORSO DI OSSIFICAZIONE
1. La prima cosa che si sviluppa è una struttura ossea a carico del manicotto esterno, il quale comincia
a differenziare le cellule mesenchimali che si trovano sullo strato interno, non più in cellule
condroprogenitrici, ma in cellule osteoprogenitrici, perché il modello cartilagineo si è ormai
definitivo e non serve più costruire nuova cartilagine. Dunque si comincia a modificare la tendenza
differenziativa della guaina esterna dell’abbozzo cartilagineo. Contemporaneamente si inizieranno
a svilupparsi anche i vasi sanguigni dal periostio, che indurranno l’invasione delle cellule
osteoprogenitrici tramite la contemporanea invasione del mesenchima. Inducono anche l’invasione
dei monociti che si fonderanno per produrre gli osteoclasti.
2. Le cellule della cartilagine iniziano dei processi di degradazione della matrice tramite processi di
apoptosi innescati dagli osteociti che si stanno cominciando a differenziarsi. I condrociti iniziano ad
assorbire la matrice che avevano deposto, di conseguenza appariranno voluminose tanto che
prenderanno il nome di cellule ipertrofiche, ed in seguito si assiste ad una piccolissima quantità di
matrice interposta tra le cellule. (pag 527 e 528) Ciò accade perché il tessuto dovrà essere
degradato, infatti le cellule mentre assorbiranno la matrice rilasceranno enzimi litici. Inoltre gli
osteociti quando innescano il processo di morte programmata iniziano anche a depositare delle
fosfatasi che portano ad una modificazione della poca matrice che rimane e che inizia ad essere
mineralizzata. Da qui le cellule ipertrofiche andranno incontro a morte rilasciando i loro enzimi
lisosomiali, perché essendo che la matrice è stata mineralizzata, in essa non potranno più
diffondersi le sostanze nutritive e le cellule ipertrofiche non potranno più essere nutrite.
3. A questo punto la matrice non è più supportata ed intervengono gli osteoclasti che si occuperanno
di eliminare le cellule morte e la matrice lasciando spazi vuoti, che corrisponde alla cavità
midollare.
4. Questi spazi vuoti verranno sostituiti dai vasi sanguigni che proliferano dal periostio, accompagnati
dalle cellule osteoprogenitrici che differenziano in osteoblasti i quali iniziano a depositare matrice
in quelli che sono i centri di ossificazione e inizieranno a depositarsi anche le trabecole ossee. Il
tutto correlato da un esteso sviluppo dei vasi sanguigni nella rete vascolare. Tale deposizione viene
poi rimodellata con l’organizzazione del tessuto osseo definitivo, che avviene con le modalità
dell’ossificazione diretta.

Nelle OSSA LUNGHE:


DIAFISI → questo sistema di ossificazione parte dal centro di ossificazione primario che si ha nella parte
centrale della diafisi. Il fatto che questo manicotto si venga a formare nella parte centrale della diafisi sta ad
indicare che proprio lì avverrà l’invasione da parte dei vasi sanguigni che porteranno queste cellule
osteoprogenitrici che porteranno alla deposizione di tessuto osseo.
ACCRESCIMENTO
Mentre dal centro primario l’ossificazione si estende verso le due epifisi sostituendo progressivamente la
cartilagine, nelle aree adiacenti si assiste ad una notevole attività proliferativa dei gruppi isogeni della
cartilagine ialina, i quali però non saranno disposti in maniera casuale nella matrice ma andranno a creare
una fila di condrociti disposti uno sopra l’altro. Questo perché inizieranno a disporsi le fibre collagene di
tipo I che sono più robuste e dunque impediranno alla cartilagine di distribuirsi lassamente, così che
possano determinare l’accrescimento in lunghezza. Questa zona prenderà il nome di cartilagine seriata.
Questa attività proliferativa dei gruppi isogeni avviene in entrambe le direzioni della diafisi. Si assiste ad un
equilibrio dove la velocità di proliferazione è uguale alla velocità di ossificazione. Il periostio si allunga ed il
canale midollare invece sarà allargato dall’attività degli osteoclasti che degraderanno le trabecole interne, lì
dove dovrà esserci tale cavità. Man mano che la cartilagine al livello diafisario viene eliminata, si ha la
diposizione delle trabecole del tessuto OSTEOIDE che poi si riorganizzerà. Dopo tale riorganizzazione il
tessuto osseo definitivo andrà a formare solo le parti esterne, mentre al centro rimarrà una grande cavità
che ingloberà tutta la parte del mesenchima che era arrivato per l’organizzazione. Esso si trasformerà in
tessuto emopoietico, dunque ospiterà midollo osseo. (pag 528)
L’area in cui si ha la cartilagine ialina e subito sotto la cartilagine seriata, prende il nome di disco
metafisario ed è il fronte che separa la diafisi dall’epifisi. Tale fronte corrisponde all’ultimo pezzo di
cartilagine che verrà ossificata. Ciò accade quando la velocità proliferativa diminuisce, di conseguenza il
fronte di ossificazione avanzerà più velocemente e verrà ossificata l’intera struttura.

EPIFISI → Quasi a completamento della gestazione, nel caso dei mammiferi, si innescano i centri di
ossificazione secondari che riguardano le epifisi, ovvero le due estremità delle ossa. Ci sono delle
differenze:
- Dopo l’organizzazione del tessuto osseo definitivo, ci sarà la presenza di entrambi i tessuti ossei, ovvero
all’esterno tessuto osseo compatto, invece all’interno troveremo tessuto osseo spugnoso, il quale
organizzerà piccole cavità midollari tra le trabecole ossee, dove rimarrà mesenchima il quale si
trasformerà in tessuto emopoietico. Invece nella parte del tessuto osseo si organizzeranno i vasi dove
saranno anche presenti gli osteoni.
- A livello dell’epifisi non si formerà il periostio essendo che nella cartilagine, a livello delle articolazioni, non
si assiste alla comparsa di un pericondrio ma il nutrimento arriva dal liquido sinoviale. Dunque i vasi
sanguigni arriveranno a partire dalla diafisi fino alle parti laterali dell’epifisi, ma non sormonteranno la
porzione terminale.
- A livello della diafisi si assiste alla distribuzione ordinata della cartilagine seriata. Invece nell’epifisi,
mancando il manicotto, la cartilagine seriata non si distribuirà in modo ordinato per determinare
l’allungamento dell’osso ma si distribuirà, partendo dal centro, in maniera raggiata verso le estremità in
modo da permettere l’invasione ossea di tutta l’epifisi, tranne all’estremità che corrisponde al capo
articolare della piastra epifisaria, ovvero la parte che darà il fronte dell’articolazione a contatto con il
liquido sinoviale, dunque rimarrà di natura cartilaginea.
OSSA CORTE → La sostituzione della cartilagine avviene con modalità identiche a quelle che si verificano a
livello delle epifisi delle ossa lunga. La differenza è che in questo caso il manicotto pericondriale era
presente nella cartilagine, dunque si formerà anche il periostio dal quale si organizzerà un manicotto di
tessuto osseo che si differenzierà in tessuto osseo compatto.

Ad ossificazione completata le cellule saranno statiche, ovvero non si divideranno più, fin quando non
intervengano dei traumi, ovvero fattori che inducono alla proliferazione.

FRATTURA
In caso di frattura si avrà una discontinuità del tessuto osseo. Ciò porta alla morte di cellule, distruzione
della matrice, lacerazioni periostio ed endostio e si lesionano anche i vasi sanguigni, i quali portano fattori
di induzione che possono indurre la proliferazione, ovvero il rientro nel ciclo cellulare delle cellule del
tessuto osseo. La frattura porterà dunque ad una fuoriuscita di sangue, ovvero ad una emorragia.
EMORRAGIA → i fattori emorragici inducono la coagulazione di un coagulo. Dunque si assiste ad una
rivascolarizzazione e all’intervento dei fibroblasti che proliferano andando a costituire il TESSUTO DI
GRANULAZIONE, ovvero si forma un callo fibrocartilagineo.
Da quì verranno attivate le cellule osteoprogenitrici che si differenziano in osteoblasti, i quali
provvederanno alla deposizione del tessuto osseo primario (alamellare), che resterà tale, senza subire il
processo di riorganizzazione. In esso però ci saranno ancora le cellule osteoprogenitrici, per cui in caso di
una seconda lesione potranno riattivarsi per riparare. Dunque questo tessuto non prenderà il nome di
“tessuto osseo” ma di CALLO OSSEO.

CONTROLLO ENDOCRINO
Le fasi successive dell’osteogenesi e del rimodellamento osseo si realizzano sotto il controllo di numerosi
fattori di natura endocrina e metabolica.
• l’ormone della crescita, rilasciato dall’adenoipofisi, agendo sulle cellule epatiche le induce a
rilasciare a loro volta somatomedine, fattori di crescita peptidici che attivano la proliferazione ed il
metabolismo dei condrociti promuovendo la crescita in lunghezza delle ossa;
• il paratormone;
• la calcitonina;
• gli ormoni sessuali, rilasciati dalle gonadi che favoriscono il differenziamento e l’attività degli
osteoblasti. Essi, al termine dell’accrescimento svolgono un ruolo inibitore nei confronti della
proliferazione condrocitaria contribuendo al riassorbimento della cartilagine e alla saldatura tra
diafisi ed epifisi. Ormoni importanti sono gli estrogeni (es. osteoporosi);
• gli ormoni tiroidei, T3 e T4, rilasciati dalle cellule follicolari della tiroide che sembrano avere un ruolo
nella deposizione e maturazione del tessuto osseo. Anomalie nella produzione e rilascio degli
ormoni tiroidei nel corso dello sviluppo si tradusono in malformazione di vario tipo che possono
arrivare al cosiddetto nanismo tiroideo.

PATOLOGIE
(Controllo ormonale).
- OSTEOPOROSI → quando le ossa si impoveriscono della componente minerale. Solitamente sono le
donne ad esserne soggette quando raggiungono la menopausa perché calano i livelli ormonali legati alla
protezione degli estrogeni. Gli estrogeni normalmente attivano gli osteoblasti, inducendoli a sintetizzare
matrice calcificata. Nel momento in cui arriva la menopausa, ci sarà un calo fisiologico in produzione di
estrogeni che si ripercuote sull’attività degli osteoblasti. Dunque l’attività degli osteoclasti, che iniziano a
degradare la matrice, porterà ad una rimozione di calcio che prevalerà sulla deposizione della matrice. Se
non c’è un corretto bilanciamento tra rimodellamento e sintesi necessariamente le ossa vengono
impoverite di matrice inorganica.
Ciò porta ad un indebolimento della struttura ossea perché di conseguenza la matrice diventa “più
leggera”, e le ossa saranno più soggette alle fratture.

-RACHITISMO → quando si ha una carenza di vitamina D. Ciò porta ad uno scorretto sviluppo del tessuto
osseo. Infatti, questa carenza si ripercuote su un alterato assorbimento di Calcio (Ca2+).

Dunque, realmente, il tessuto osseo non è una struttura fissa e immutabile.

TESSUTO MUSCOLARE

- Il tessuto muscolare è il principale costituente della massa corporea ed è responsabile dei movimenti
volontari ed involontari.
- Le cellule sono di derivazione mesodermica ed il loro citoplasma è caratterizzato dalla presenza di
numerosi mitocondri, per far fronte ad un’elevata richiesta energetica e da filamenti proteici contrattili
(mio filamenti) quali actina e miosina.
- Sono capaci di trasformare l’energia chimica immagazzinata nell’ATP in energia meccanica tramite uno
scorrimento.
CLASSIFICAZIONE:
- In base a come si presenta il tessuto nelle osservazioni istologiche:
• TESSUTO MUSCOLARE STRIATO → abbiamo quello scheletrico e quello cardiaco.
• TESSUTO MUSCOLARE LISCIO → abbiamo quello viscerale.

- In base al tipo di controllo nervoso:


• TESSUTO MUSCOLARE VOLONTARIO → abbiamo quello scheletrico.
• TESSUTO MUSCOLARE INVOLONTARIO → abbiamo quello cardiaco e quello viscerale.

- In base all’aspetto anatomico:


• TESSUTO MUSCOLARE SCHELETRICO
• TESSUTO MUSCOLARE CARDIACO
• TESSUTO MUSCOLARE VISCERALE

TESSUTO MUSCOLARE STRIATO SCHELETRICO


- Tramite l’osservazione istologica di vengono delle bande chiaro scure che conferiscono una striatura al
preparato.
- Per quanto riguarda il controllo nervoso, riguardo la contrazione, è un tessuto volontario.
- Esso è collegato con le ossa dello scheletro e ciò conferisce una particolare efficienza del movimento.
- La FIBRA MUSCOLARE è l’unità funzionale del tessuto muscolare striato scheletrico. È una cellula
fusiforme allungata ed è multinucleata, ovvero si ha un sincizio ottenuto dalla fusione di più cellule. Ci
saranno tanti nuclei, quanto erano le cellule che si sono fuse per formare la fibra stessa. Questa fusione
avviene durante lo sviluppo embrionale, dunque nel nascituro la fibra muscolare è già formata.
- I precursori delle cellule muscolari sono le cellule dei somiti, le quali si differenziano in mioblasti che si
fondono tra loro a formare un sincizio primordiale che prende il nome di miotubo. Quest’ultimo poi si
organizza con le miofibrillare, ovvero filamenti sottili e spessi rispettivamente di actina e miosina, che
danno capacità contrattile, per organizzare la fibra muscolare scheletrica, dove ognuna ha un diametro
che va da 10 a 100 μm. Normalmente, dopo la nascita, il successivo accrescimento del muscolo non si
realizza per ulteriore fusione di altre cellule ma per aumento del volume delle stesse.
- Il MUSCOLO sarà dato dall’insieme di fasci di fibre muscolari paralelle tra di loro. È avvolto da una guaina
connettivale che prende il nome di epimisio, ricca di fibre collagene. Ogni fascio di fibre muscolari è a sua
volta rivestito da una guaina che prende il nome di perimisio. All’interno di ogni fascio di fibre ci saranno
le singole fibre muscolari, dove ognuna è avvolta da un’ulteriore guaina detta endomisio, più ricca in fibre
reticolari, riccamente vascolarizzata e c’è la presenza di cellule connettivali I diversi rivestimenti
confluiscono all’estremmità del muscolo dove sono in continuità con i tendini che permettono il
collegamento del muscolo con la struttura scheletrica.
- Collegate tra il sarcolemma e l’endomisio sono presenti le cellule satelliti, che possono entrare in
proliferazione e rigenerare nuove fibre muscolari in caso di lesione.

In ogni FIBRA MUSCOLARE → (pag. 581) la membrana plasmatica viene indicata con il termine
sarcolemma, il citoplasma viene chiamato sarcoplasma ed il reticolo endoplasmatico si chiama reticolo
sarcoplasmatico, il quale principalmente è presente quello liscio ed occupa interamente il sarcoplasma.
- I nuclei delle fibre si troveranno sempre a del sarcolemma, dunque verranno spinti in periferia e non sono
più in grado di dividersi in quanto si ritrovano stabilmente nella fase G0. Questo perché all’interno della
fibra muscolare dovranno trovare una giusta disposizione con un registro che si ripete in maniera
costante, sono le miofibrille, dove actina e miosina specifiche per il tessuto muscolare, e sono organizzate
in maniera tale da consentire la contrazione.
- I mitocondri si trovano sia lungo il sarcolemma, sia tra le miofibrille che rappresentano la struttura
contrattile e purché la contrazione avvenga ci dovrà essere energia.
- Il reticolo endoplasmatico è distribuito a formare una sorta di canalicoli che si vanno ad ampliare in
cisterne in regioni determinate che sono i punti in cui si ha l’alternanza tra un sarcomero e quello
successivo.
- MIOFIBRILLE → strutture cilindriche di miofilamenti sottili, ovvero filamenti di actina, e miofilamenti
spessi, ovvero filamenti di miosina. Entrambi si impacchettano a formare dei fasci longitudinali che
assecondano e seguono la struttura della fibra muscolare, secondo un registro ben organizzato che prende
il nome di sarcomero che rappresenta l’unità strutturale che si ripete. La bandeggiatura che si vede dal
preparato istologico è dovuta dalla disposizione ordinata di filamenti sottili di actina e filamenti spessi di
miosina che si alternano andando a disporsi in tutta la fibra muscolare perché ogni miofibrilla si
organizzerà in maniera identica all’altra miofibrilla.
- SARCOMERO → è scomponibile in 2 diverse aree che si alternano:
• una banda chiara che prende il nome di banda I (Isotropa). Costituita esclusivamente da filamenti
di actina. Al centro di ogni banda Isotropa si vede una struttura fortemente colorata che prende il
nome di linea Z, che la divide in due ed è il punto dove si ancorano i filamenti sottili di actina.
• una banda scura che prende il nome di banda A (Anisotropa). Costituita dai filamenti spessi di
miosina che sono intervallati dai filamenti sottili di actina. Al centro di questa banda anisotropa si
individua una linea mediana, chiamata linea M, dovuta alla presenza di ponti di collegamento tra i
filamenti di miosina, ed anche una zona H che è l’area in cui c’è esclusivamente i filamenti spessi di
miosina e si presenta leggermente meno colorata.
Un sarcomero invece corrisponde alla regione compresa tra due linee Z. Dunque costituito da due
semibande I, una ancorata ad una linea Z ed una ancorata all’altra linea Z ed un’intera banda A con la sua
linea M e con la sua zona H.
Contrazione
Purché avvenga la contrazione, i filamenti che si trovano al centro, ovvero quelli di miosina, devono
agganciare tramite le teste, i filamenti di actina per spingerli e farli scorrere verso il centro del sarcomero
tirandosi dietro anche le linee Z. A questo punto anche nella zona H ci saranno entrambi i filamenti. Dunque
il sarcomero contratto sarà di dimensioni ridotte rispetto al sarcomero rilassato. Inoltre essendo che ogni
linea Z è condivisa da due sarcomeri successivi, trascinandola vengono trascinati anche il sarcomero
precedente e quello successivo. Per cui si parla di un fenomeno “a cascata” che si ripercuote sull’intero
muscolo.

- FILAMENTO di MIOSINA → costituito dall’associazione di più molecole di miosina. Ogni molecola di


miosina sarà costituita da una coda, orientata verso il centro del sarcomero, e da due teste, orientate
verso l'esterno:
• la coda è data da due catene polipeptidche che si avvolgono formando una doppia elica e sono
definite due catene pesanti. Ciascuna di essa all’estremità delle teste presenta delle catene leggere
che conferiscono la capacità di flessione alle teste.
• Le teste, costituita ognuna dalle due catene pesanti, presentando una forma globulare. Esse,
dunque, grazie alle catene leggere possono flettersi in modo da agganciare i filamenti di actina e
spingerli. Per fare questo lavoro fisicamente le teste devono prima passare da 45° di inclinazione a
90° in modo da poter ancorare l’actina che sta sopra o sotto. Dopodiché deve flettersi
ulteriormente per spingere tali filamenti.
Inoltre, i filamenti che costituiscono le teste, portano il sito di legame per l’ATP la quale una volta
legata dovrà essere idrolizzata, ovvero scissa in ADP e fosfato inorganico.

- Proteine associate all’actina → In questo caso non possiamo pensare ad un’actina che polimerizza e
depolimerizza, ma il filamento, costituito da due filamenti avvolti ad α-elica di actina globulare (G-actina)
che si ripete formando actina filamentosa (F-actina), deve essere stabile. Questa stabilizzazione è data da
proteine associate: - l’estremità (+) è ancorata tramite l’α-actinina alla linea Z e bloccata dalla proteina
capping cap-Z;
- l’estremità (-) è stabilizzata dalla proteina nebulina, che chiude tale estremità in
modo che i monomeri di actina né si possano aggiungere né si possano togliere;
- la tropomiosina, è una proteina filamentosa che si va ad intercalare tra i 2 filamenti
di actina impedendone il contatto con la miosina, in modo che quando il muscolo è a
riposo il contatto fisico non ci possa essere;
- la troponina, è costituita da 3 proteine globulari che sono note come:
• subunità A, detta anche “subunità I”, lega l’actina con la funzione di inibire
ulteriormente il contatto con la miosina;
• subunità T, che legherà la tropomiosina e quindi interviene nel processo di
stabilizzazione di quest’ultima.
• subunità C, che è la subunità più piccola ma la più importante. Essa legherà
il calcio il quale, con il suo arrivo, determina la contrazione perché questo
legame determina un cambio di conformazione spaziale del complesso ATC
causando anche la liberazione dei siti di attacco con la miosina.
Dunque il tutto innesca una modificazione conformazionale all’intero
miofilamento di actina.

- Altre proteine sono:


• la distrofina che permette la connessione dell’actina al sarcolemma rafforzandolo durante la
contrazione. Una sua carenza o alterazione provoca la rottura del sarcolemma a cui fa seguito una
lenta degenerazione della fibra muscolare che porta ad una grave malattia nota come distrofia
muscolare di Duchenne;
• la nebulina che è una proteina che stabilizza e regola la lunghezza dei filamenti di actina;
• la titina che è particolarmente importante nel meccanismo contrario alla contrazione che è la fase
di rilassamento del muscolo. Questa proteina unisce le due estremità del sarcomero collegandosi
fra le linee Z e la miosina, contribuendo a mantenerla al centro del sarcomero, e nella fase di
contrazione, viene compressa come una molla per poi cedere la sua energia elastica per riportare il
sarcomero alla lunghezza originale nella fase di riposo.

- Purché avvenga la contrazione è necessario che ci sia l’ATP, la quale si lega con le teste che sono capaci di
idrolizzarla e scinderla in ADP e fosfato inorganico per ottenere l’energia necessaria per agganciare
l’actina. Dopodiché il sito per l’ATP viene liberato anche dall’ADP e si ha la flessione delle teste in modo da
spingere il filamento ancorato alla linea Z verso il centro del sarcomero. Questa situazione permane fin
tanto non arrivi una nuova molecola di ATP che si legherà alla testa della miosina che causa il ritorno alla
sua posizione di riposo.
Questo è alla base del CONCETTO DEL RIGOR MORTIS, che stabilisce che i muscoli rimangono contratti in
seguito a morte perché non viene più fornita ATP e di conseguenza le teste della miosina non sganciano
l’actina.
Ad ogni modo, non è sufficiente il solo fatto che ci sia l’ATP perché se non arriva il calcio che libera i siti di
legame, la contrazione non avviene, la quale quindi è sotto un duplice controllo.

- RETICOLO SARCOPLASMATICO. STRUTTURA e FUNZIONE. (Pag 594) Per eccellenza il reticolo


endoplasmatico liscio nelle cellule serve come deposito di ioni calcio. Nei muscoli esso viene chiamato
reticolo sarcoplasmatico e si organizza a formare degli avvolgimenti attorno ad ogni miofibrilla tramite
delle strutture che rappresentano degli elementi tubulari. Questi elementi si espandono a formare vere e
proprie cisterne nelle porzioni terminali che rispetto alla miofibrilla sono il punto di confine tra Banda A e
Banda I, dunque accompagnano l’organizzazione dei sarcomeri. Le cisterne si trovano proprio in queste
regioni perché il sarcolemma si invagina tra le cisterne formando il tubuto T che attraversa tutta la
struttura. Queste regioni in cui c’è il tubulo T e le due cisterne terminali prende il nome di TRIADE.
In pratica, quando la terminazione sinaptica di un neurone motore trasmette l’impulso nervoso alla
placca motrice, tramite il legame con il neurotrasmettitore, sul sarcolemma si innesca la
depolimerizzazione che cammina fin quando non raggiunge il tubulo T, dove viene incanalata verso le
cisterne del reticolo sarcoplasmatico. Ciò induce il reticolo ad aprire i canali del calcio, rilasciando gli ioni
calcio che saranno resi disponibili alle miofibrille per la contrazione.

- GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE o PLACCA MOTRICE (pag 598)


Ogni fibra muscolare striata è collegata con una terminazione di un neurone motore che risiede nel
midollo spinale e invia i suoi lunghi assoni, contenuti nei nervi, fino a contattare le fibre muscolari. La
struttura di giunzione neuromuscolare fra i due tessuti è detta placca motrice e consiste in una
ramificazione della zona terminale dell’assone xhe perde il suo rivestimento mielinico e si collega con più
fibre dello stesso muscolo. Il contatto avviene tramite i bottoni che si affondano nella fibra muscolare in
depressioni del sarcolemma dette docce sinaitiche. Il rivestimento connettivale che avvolge la fibra
nervosa si fonde con quello che riveste la fibra muscolare.
TESSUTO MUSCOLARE STRIATO CARDIACO
- Le cellule si originano sia dall’ectoblasto che dal mesoblasto.
- Anche qui è presente una bandeggiatura chiaro scura, di actina e miosina, che conferiscono la striatura
con l’organizzazione del sarcomero.
- Dal punto di vista nervoso è un tessuto involontario.
- Differenza peculiare con lo striato scheletrico è che non si può parlare di fibre muscolari, ma si parla di
CELLULE MUSCOLARI CARDIACHE, perché sono singole cellule uninucleate allungate, chiamate
CARDIOCITI. Esso contiene un nucleo voluminoso ovoidale posto in posizione centrale provvisto di uno o
due nucleoli.
- Il muscolo cardiaco è innervato dal sistema nervoso vegetativo.
- Nel citoplasma sono presenti gocce di glicogeno, lipidiche e numerosi mitocondri disposti in file tra i fasci
di miofibrille, le quali sono simili per organizzazione a quelle del muscolo scheletrico. (Pag 602) Il reticolo
endoplasmatico risulta più sottile, ramificato e privo di cisterne terminali. (Pag 603)
- Anche se il cuore è costituito da singole cellule, si dovrà presentare come un’unica grande cellula, perché
la sua contrazione e rilassamento devono avvenire in maniera ritmica e in maniera ciclica, dunque non ci
possono essere ritardi di contrazione, ma deve avvenire contemporaneamente. Purché questo avvenga il
cuore si dovrà comportare come un sincizio funzionale ma non numerale.
- Queste cellule hanno una forma peculiare, dove all’estremità presenta una biforcazione, la quale serve
per aumentare la superficie di contatto tra due cardiociti e serviranno come punti di giunzione tra di essi.
Queste aree prendono il nome di dischi intercalari. (Pag 605)
- DISCHI INTERCALARI → sono ricchi di:
• desmosomi, (giunzioni aderenti) indispensabili per garantire la continuità cellulare e dunque la
resistenza del tessuto. Sono importanti quindi anche per dare compattezza al cuore come pompa
muscolare che è in continuo lavoro, dunque sottoposta a continue pressioni.
• giunzioni comunicanti, che servono per garantire un flusso diretto di piccoli ioni, il quale corrisponde al
segnale che indurrà alla contrazione, ed è un flusso che scorre talmente rapidamente da una cellula
all’altra che l’intero cuore si contrae e si rilassa in maniera ritmica e sincrona. Dunque non ci sarà un
ritardo di comunicazione cellulare.

Contrazione
- Anche qui al cuore arriva un input che gli dice di contrarsi e poi si rilassa e così via. Ma il cuore è un
muscolo involontario, dunque non sarà la terminazione sinaptica dei neuroni a dare l’input, ma sarà il
cuore stesso. Dunque di parla di una capacità autoritmica, la quale insorge nel cuore durante lo sviluppo
embrionale ancor prima che il sistema nervoso si sia definito del tutto.
- Quando si studia il cuore si fa riferimento a 2 tipi diversi di cardiociti:
• MIOCARDIO DA LAVORO, costituisce il 90% del cuore o anche di più. Corrispondono alle cellule
deputate a ricevere il segnale, contrarsi e rilassarsi, quindi far si che avvenga costantemente il ciclo
cardiaco ovvero l’alternanza di sistole e diastole.
• MIOCARDIO DI CONDUZIONE, costituito da cellule che hanno la peculiarità in più di non riuscire a
mantenere un potenziale di membrana a riposo. Dunque sono cellule che si autoeccitano,
innescando un potenziale d’azione, poi riacquistano il potenziale di membrana e si riautoeccitano.
Ciò determina la capacità di contare il ritmo cardiaco, costituendo un vero e proprio pacemaker. del
cuore (conta passi) generando delle scariche elettriche.
(Es. Il pacemaker è un dispositivo che genera scariche elettriche per far battere il cuore ad un ritmo
normale. Quando non c’è una buona funzionalità cardiaca, bisogna fare l’impianto del pacemaker,
perché vuol dire che queste cellule non sono più in grado di mantenere quella frequenza di battiti
cardiaci, ovvero perdono la loro capacità di autoeccitarsi).
Queste cellule si troveranno in un punto di insorgenza, cioè un primo nodo che prende il nome di
nodo senoatriale che si trova nella parete posteriore dell’atrio destro, costituito da un
raggruppamento di cellule che prendono il nome di pacemaker naturale del cuore. Quindi
corrisponde al punto in cui si innesca il potenziale d’azione che si deve propagare lungo tutto il
cuore fino al nodo atrio-ventricolare, posizionato tra atrio e ventricoli. Da qui l’impulso si estende
lungo il setto interventricolare, ovvero il fascio atrio-ventricolare di His, per poi propagarsi lungo
tutta la parte ventricolare attraverso le fibre del Purkinje.
Queste 4 regioni formano il SISTEMA DI CONDUZIONE CARDIACO, ovvero è un sistema di
insorgenza e propagazione del potenziale d’azione, tramite i sistemi giunzionali a livello dei dischi
intercalari, che deve dire al miocardio da lavoro di contrarsi per dare l’intera contrazione del cuore.

- Ciò che entra in gioco è il sistema nervoso autonomo, dunque quelli simpatico e parasimpatico. Dunque il
cuore viene raggiunto da rami vagali per l’innervazione simpatica e da altri rami per l’innervazione
parasimpatica.
In seguito ad una forte emozione, ad esempio in seguito ad una paura, il battito cardiaco accelera
notevolmente. Questo vuol dire che l’innervazione vagale sta agendo sulla frequenza del battito cardiaco
ma non sul battito che invece non è sotto il controllo di natura nervosa.
Questa frequenza quindi verrà accelerata (tachicardia) se c’è una sollecitazione simpatica e rallentata
(bradicardia) se c’è una sollecitazione parasimpatica.

TESSUTO MUSCOLARE LISCIO VISCERALE


- Dal punto di vista nervoso è un tessuto involontario.
- È costituito da singole cellule mononucleate che appaiono fusiformi, con un nucleo che occupa
preferenzialmente la porzione centrale, le quali sono sempre organizzate a fasci. (Pag 608)
- Le cellule sono connesse tra loro mediante giunzioni comunicanti, ma sono assenti i dischi intercalari.
- Non sono più presenti le striature, ma actina e miosina sono comunque presenti perché le proteine
deputate al processo di contrazione sono sempre quelle, manca semplicemente la loro organizzazione a
registro del sarcomero. Dunque saranno organizzate in maniera meno ordinata andando a formare una
rete all’interno di tutto il citoplasma cellulare.
Inoltre i filamenti di actina si presentano più lunghi e quelli di miosina più corti rispetto al tessuto
muscolare striato.

Contrazione
- Anche in questo caso la muscolatura liscia subirà un’innervazione dal sistema nervoso autonomo.
- Chi permetterà alla rete di actina e miosina di poter agire è il citoscheletro, infatti essi sono associati ai
filamenti intermedi tipici delle cellule muscolari, ovvero costituiti da vimentina e desmina, in particolari
zone dette punti nodali, tramite l’α-actinina e questi al sarcolemma in aree dette corpi densi.
Questi addensamenti svolgono lo stesso ruolo delle linee Z del muscolo striato, che legavano l’actina in
modo da permettere che la sua contrazione venisse trasmessa a tutta la cellula. Ciò vuol dire che nel
momento in cui actina e miosina agiscono tra di loro per contrarsi la contrazione si ripercuote sulla
membrana plasmatica.
- Dunque la forma fusata è l’aspetto della cellula muscolare liscia a riposo. Quando invece si ha la
contrazione, i filamenti di actina si ritirano e si tirano dietro la membrana plasmatica e la cellula assume
un aspetto più globoso. Tirandosi la membrana di conseguenza si tira anche le cellule adiacenti perché
tutte loro sono legate tra di loro dalle giunzioni comunicanti e sono sempre organizzati a fasci.

-L’eccitabilità del muscolo liscio è assai inferiore a quella del muscolo striato e sono, infatti, necessari
stimoli prolungati e ripetuti per ottenere risposta. Il muscolo liscio è sensibile a stimoli chimici diversi, da
parte sia di mediatori chimici dell’impulso nervoso, sia di molecole ormonali. Si distinguono due tipi di
muscoli lisci:
• Muscoli viscerali o unitari, tipici dell’intestino, dell’utero e delle vie urinarie. L’eccitamento si
propaga da una cellula all’altra attraverso le giunzioni GAP, per cui, pur essendo composti da unità
morfologicamente indipendenti, si comportano funzionalmente come un sincizio.
• Muscoli lisci multiunitari, in assenza di giunzioni GAP, l’eccitamento non si propaga da cellula a
cellula, in quanto ciascuna cellula è innervata in modo indipendente. Sono tipici dei vasi sanguigni,
del muscolo ciliare dell’occhio, muscoli erettori del pelo.
- La contrazione è molto più lenta che nel muscolo striato, ma di durata maggiore. Questa caratteristica
deriva dal sistema di reazione allo stimolo nervoso. In pratica la miosina presenta un’attività ATPasica
inferiore ed inoltre può interagire con i filamenti sottili di actina solo quando le sue catene leggere sono
fosforilate da una chinasi attivata dalla calmodulina.
Nella cellula è assente il complesso troponina-tropomiosina, e viene utilizzata come mezzo di regolazione
della contrazione la calmodulina. Essa, a seguito della depolimerizzazione del plasmalemma, nel
sarcoplasma aumenta la concentrazione del calcio che si lega alla calmodulina. Il complesso
calmodulina-calcio attiva una chinasi delle catene leggere, inducendo la fosforilazione di quest’ultime. Ciò
determina il passaggio della miosina dallo stato raggomitolato, cioè inattivo, alla forma allungata attiva e
l’attivazione del processo di fosforilazione dell’ATP in ADP e conseguentemente avverrà il contatto tra
actina e miosina.

- La cellula muscolare liscia esprime due tipi di contrazione differenti:


• Contrazione peristaltica, contrazione lenta che si potrae a lungo nel tempo.
Es. La muscolatura liscia di tutto l’apparato digerente determina i suoi movimenti peristaltici, dove
la peristalsi è la contrazione che determina il passaggio dal boccone lungo i vari tratti dell’apparato
digerente. Infatti, nel momento in cui si ha la contrazione e le cellule diventano globose, sopra il
boccone si crea una sorta di strozzatura che piano piano spinge il boccone lungo l’apparato
digerente.
Questo apparato è accompagnato infatti da un sistema di tuniche, cioè di tessuti che lo vanno a
rivestire, dove dopo l’epitelio e il connettivo ci saranno 2 strati di muscolatura liscia disposti una
longitudinalmente e l’altra trasversalmente per favorire questo processo di contrazione peristaltica
che determina l’avanzamento del boccone.
• Contrazione del tono muscolare, ha una soglia minima di contrattilità permanente ed è
caratteristica peculiare delle pareti dei vasi sanguigni, dove la contrazione viene influenzata
dall’azione dui alcuni ormoni presenti nel sangue.
La noradrenalina e la vasopressina sono in grado di determinare una contrazione del vaso con
conseguente vasocostrizione, in questo caso la pressione sanguigna aumenta.
Mentre la bradi china causa una riduzione del tono vascolare che porta ad una vasodilatazione, in
questo caso la pressione sanguigna si abbassa.
Dunque l’avvolgimento di questa muscolatura nella parete dei vasi sanguigni svolge un ruolo
importante nella regolazione della pressione sanguigna.

CELLULE MIOEPITELIALI
- Cellule uninucleate.
- Non si organizzano a formare un tessuto compatto, ma sono singole cellule con attività contrattile che si
associano alle ghiandole facilitando i processi di secrezione andando ad esercitare una pressione sulle
ghiandole stesse.
- Anche in questo caso la contrazione è provocata dall’interazione tra filamenti di actina e miosina.
- Queste cellule hanno forma stellata e si connettono tra di loro a formare una rete che va ad imbrigliare gli
adenomeri di diverse ghiandole esocrine.
- Favoriscono con la loro contrazione la fuoriuscita del secreto verso i dotti escretori lungo i quali si trovano
delle strutture mioepiteliali fusate che provocano la contrazione del dotto, aumentando l’efficienza del
processo di secrezione.
TESSUTO NERVOSO
- È costituito da cellule chiamate NEURONI, che caratterizzano l'unità strutturale e funzionale del sistema
nervoso, che con le loro espansioni citoplasmatiche creano una rete perfettamente organizzata per la
comunicazione neurale.
- Il sistema nervoso si divide in:
•SISTEMA NERVOSO CENTRALE (SNC) → si fa riferimento all'encefalo e al midollo spinale, che è in grado di
ricevere trasmettere ed integrare le informazioni. L’encefalo è costituito da più parti, il midollo spinale
rappresenta la parte allungata del SNC.
•SISTEMA NERVOSO PERIFERICO (SNP) → costituito da nervi: sia cranici che spinali, dunque nervi che
derivano dal sistema nervoso centrale. Ne fanno parte anche i gangli.
GANGLI NERVOSI→ sono degli ispessimenti costituiti da soma di più neuroni, all’esterno del
sistema nervoso centrale, che si congiungono per dare origine ai nervi. In pratica, un neurone
presente nell’encefalo, ad esempio per dire al muscolo di tenere ben saldo qualcosa tra le dita, non
può farlo da solo, ma ci saranno questi sistemi di neuroni che si contattano tramite le sinapsi.
Da qui poi si diramano le fibre nervose nelle varie direzioni.
Il SNP è suddiviso, dal punto di vista funzionale, in una componente sensitiva (afferente) che riceve
gli stimoli e li trasmette al SNC, ed una componente efferente che origina dal SNC e trasmette gli
impulsi alle varie parti del corpo.
Inoltre, la componente motoria si organizza in un SISTEMA CEREBRO-SPINALE, di natura volontaria,
che controlla la motilità della muscolatura scheletrica, ed un SISTEMA AUTONOMO (SNA), di natura
involontaria, che regola l’attività secretoria delle ghiandole e della muscolatura liscia e cardiaca.
Anche qui si formano i gangli.

Quando si parla di SISTEMA NERVOSO AUTONOMO o VISCERALE, che gestisce la parte involontaria
dell’organismo, si fa riferimento ai GANGLI. Dunque questo sistema verrà diviso in:
− una porzione SIMPATICA, prende questo nome perché ha una funzione prevalentemente
eccitatoria. I gangli sono situati nei tratti toracici e lombari del midollo spinale;
− una porzione PARASIMPATICA, inibisce. I gangli si trova nel tronco encefalico e nella porzione
sacrale del midollo spinale.
Ciò dipenderà dai neurotrasmettitori che modulano la loro attività.
Per distinguere, anatomicamente, il sistema nervoso simpatico da quello parasimpatico, ci si basa sulla
posizione dei gangli.

- NEURONI → - sono cellule perenni, ovvero dopo un iniziale periodo di accrescimento che porta al
compimento del sistema nervoso, non si dividono più. Dunque se venissero danneggiati non
verrebbero rimpiazzati. Di conseguenza ci devono essere necessariamente delle cellule di
supporto che coadiuvino l'attività di questi neuroni, che li sorreggano e li nutrino, ovvero cellule
gliari o nevroglia.
- sono cellule eccitabili, in grado di ricevere informazioni sensoriali ed elaborare risposte
congruenti, sotto forma di impulsi nervosi. Questi impulsi possono essere trasmessi ad altre
parti dello stesso neurone ad altri neuroni o a cellule muscolari.
- è definita una cellula stellata perché presenta un soma, ovvero il corpo centrale o pirenoforo, in
cui saranno presenti il nucleo e tutti gli organuli tipici della cellula, e da questo corpo si
dipartono dei prolungamenti citoplasmatici chiamati NEURITI che generalmente sono:
• un ASSONE → che è il prolungamento più importante in termini dimensionali, il quale
può ramificarsi nelle terminazioni per aumentare i punti di contatto con le cellule, le
quali prenderanno il nome di terminazioni sinaptiche. La sua funzione è quella di
condurre informazioni dal corpo cellulare verso le altre cellule, quindi verso la
terminazione dell'assone stesso, infatti rappresenta la componente efferente. Dunque si
parla di una propagazione di tipo centrifuga, perché parte dal centro e si porta verso la
periferia. Si parla di una via preferenziale.
• DENDRITI → cioè tutti gli altri prolungamenti citoplasmatici che sono numerosi e
anch'essi si possono ramificare nella loro parte periferica per aumentare i punti di
contatto con le cellule vicine. Hanno dimensioni più ridotte rispetto all'assone e hanno
un funzione diversa. Essi rappresentano la componente afferente, infatti presentano
sulla loro superficie delle piccole protrusioni, cioè spine dendritiche, che captano le
informazioni e le convogliano verso il soma, dunque sono i punti dove si stabiliscono i
contatti con le terminazioni assoniche di altri neuroni. Quindi in questo caso si parla di
direzione centripeta, ovvero conduce i segnali dalla periferia verso il soma, perché
essendoci il nucleo vengono attivate le risposte che la cellula nervosa elabora e
trasmette sottoforma di impulso nervoso, ovvero potenziali d'azione (passaggio di ioni,
quindi di cariche elettriche). Si parla di vie di conduzione, che sono più numerose.
Il citoplasma dei dendriti, detto dendroplasma, ha ultrastruttura simile al pirenoforo,
tranne per l’assenza dell’apparato di Golgi. Il citoplasma delle spine è costituito solo da
microfilamenti, a cui è dovuta la plasticità. È presente una struttura a 3-4 cisterne
provenienti dal REL a formare l’apparato della spina. Inoltre sono ricche di poliribosomi.

- SOMA → (pag 627) essendo che il sistema nervoso deve elaborare tutti gli impulsi nervosi e deve gestire
la
funzionalità di tutta la parte volontaria ed involontaria dell'organismo, il neurone deve
necessariamente essere una cellula nervosa metabolicamene attiva. Dunque ci sarà:
- un nucleo voluminoso, in posizione centrale, caratterizzato dalla presenza di cromatina finemente
dispersa (eucromatina), indice di un’intensa attività metabolica.
- all’interno del nucleo ci sarà un evidentissimo nucleolo, altro elemento che indica un’intensa
attività di trascrizione e di sintesi di ribosomi, per questo il nucleo si presenta molto voluminoso.
- un esteso reticolo endoplasmatico granulare, apparato di Golgi e poliribosomi.
Al reticolo endoplasmatico granulare e ai ribosomi è stato dato in nome di ZOLLE o SOSTANZA DI
NISSL che, siccome sono molto numerosi per l’intensa attività di sintesi della cellula nervosa,
vanno a formare delle aree fortemente colorate (pag 622). Prendono in nome di “zolle” perché è
come se colorassero intere porzioni di citoplasma. I corpi di Nissl sono presenti nel soma e nei
dendriti.

- ASSONE → - ci sarà la presenza o meno di una guaina impermealizzante.


- Quando si parla di fibra nervosa si parla esclusivamente di assone, perché è la parte che conduce
l'impulso nervoso. Invece i nervi sono raggruppamenti di fibre nervose, dunque dei fasci
all'interno dei quali scorrono più assoni.
- Abbiamo detto che le sue terminazioni sono chiamate terminazioni sinaptiche, dove le SINAPSI
sono delle giunzioni tipiche del sistema nervoso, dunque corrispondono ai punti in cui 2 cellule
nervose, o una cellula nervosa ed una cellula muscolare (prende il nome di PLACCA NERVOSA), si
contattano e comunicano. Esse permettono la trasmissione del segnale nervoso da una cellula
all’altra.
- Attorno all'assone ci può essere guaina mielinica che è un avvolgimento di cellule che lo va ad
irrobustire, in base al fatto che si parli di fibra nervosa nuda, avvolta o mielinizzata, che si
ripercuote sulla velocità di conduzione dell'impulso nervoso:
• FIBRA NERVOSA NUDA → la conduzione avviene lungo la membrana punto per punto;
• FIBRA NERVOSA MIELINIZZATA → sarà avvolta da una guaina isolante, dunque le
cariche elettriche non si possono scambiare tra l'interno e l'esterno della membrana
punto per punto. Essa non potrà essere continua ma sarà interrotta in punti ben precisi,
ovvero punti nudi, che prenderanno il nome di nodi di Ranvier. Di conseguenza la
conduzione di potenziale elettrico avverrà in maniera saltatoria, perché anziché
propagarsi lungo tutta la membrana dell'assone, si propagherà saltando da un nodo di
Ranvier a quello successivo, dunque in questo caso la fibra conduce più rapidamente il
potenziale d'azione.
- Dal soma, il punto di insorgenza dell’assone è molto più voluminoso e meglio organizzato rispetto
ai punti di insorgenza dei dendriti. L’area in cui si origina l’assone prende il nome di cono di
emergenza, dal quale si sviluppa la guaina mielinica. In questa regione mancano sia i ribosomi
liberi che le cisterne del RER, infatti con il metodo di Nissl appare come una regione chiara.
- Il segmento iniziale dell’assone, o detto anche zona d’innesco, è un tratto compreso tra l’apice del
cono di emergenza e l’inizio del primo rivestimento di mielina. In questa zona i diversi stimoli
vengono sommati per determinare l’eventuale trasmissione dell’impulso nervoso.
- Delimitato da una membrana plasmatica detta assolemma, mentre il citoplasma è definito
assoplasma che è privo di ribosomi, di RER e di membrane del Golgi. Sono abbondanti i
microtubuli ed i mitocondri.

GUAINA MIELINICA → Il neurone è l’unità morfologica e funzionale del tessuto nervoso, ma per creare
un tessuto nella sua interezza sarà supportato e nutrito da altre cellule che non sono coinvolte nell’attività
di conduzione dell’impulso nervoso. Queste cellule sono le cellule gliali, che sono differenti in base al fatto
che ci si trova nel SNC o nel SNP. La loro membrana si va ad avvolgere concentricamente più volte attorno
all’assone, infatti corrispondono alla guaina mielinica, ed hanno funzione isolante perché è costituita
costituita principalmente da lipidi di membrana.
Composizione: - sostanza di natura lipidica (colesterolo, fosfolipidi, cerebrosidi)
- sostanza di natura proteica.
Funzioni: - isolamento elettrico. In questo caso l’impulso nervoso è condotto in maniera saltatuoria da nodo
di
Ranvier a nodo di Ranvier;
- di conseguenza aumenta la velocità di propagazione.
Se la guaina è monolamellare, l’assone è definito amielinico.

Si tratta degli oligodendrociti, nel SNC, e delle cellule di Schwann, nel SNP.
AVVOLGIMENTO → Nella fase iniziale la cellula di Schwann avvolge l’assone e con la membrana che lo
circonda completamente. Le due estremità che avvolgono la cellula vengono a contatto formando il
mesassone. Successivamente il mesassone si avvolge più volte intorno all’assone grazie all’accrescimento
continuo della membrana plasmatica. Inizialmente, all’interno degli strati concentrici del mesassone rimane
il citoplasma della cellula gliale ma successivamente questo viene espulso rendendo gli avvolgimenti
concentrici più serrati. Alla fine di tale processo si possono distinguere un mesassone interno ed uno
esterno.
Nei punti di Ranvier la guaina mielinica si interrompe e le due estremità di due cellule di Schwann adiacenti
si affrontano ed entrano in contatto diretto con l’assolemma. Il tratto di fibra compreso tra due nodi di
Ranvier consecutivi prende il nome di segmento internodale o internodo e risulta coperto da una singola
cellula di Schwann. Invece i prolungamenti degli oligodendrociti adiacenti non si affrontano, lasciando così
un intervallo dove l’assone è completamente nudo.
GUAINA DI SCHWANN

OLIGODENDROCITO

- I NEURONI gestiscono la contrazione muscolare. Dunque essi possono prendere contatto con altre cellule
nervose, nel fenomeno della conduzione, per andare a controllare l’attività muscolare e l’attività di
secrezione
ghiandolare.
- In base alle sedi in cui si trova, dunque in base al ruolo che devono svolgere, i neuroni possono variare
per:
• forma, che può essere a fiasco, a piramide o stellata. Ciò dipende dal numero e dalle proiezioni che
si hanno in merito alla formazione dell’assone e delle terminazioni assonali e dendriniche.
• dimensione del corpo, può variare da 4 a 120μm.

- Lungo il sistema nervoso centrale i neuroni si dispongono a farfalla:


• Nel midollo spinale → - la parte più al centro è intensamente colorata e prende il nome si sostanza
grigia. Chi accumula più colorante è il nucleo, dunque questa parte più colorata
è il SOMA. Dunque nella sostanza grigia i soma dei neuroni sono tutti raccolti;
- la parte che circonda la parte centrale prende il nome di sostanza bianca, è
data dalla lucentezza che viene conferita dalla guaina mielinica che avvolge gli
assoni. Infatti essa corrisponde all’insieme degli assoni, dunque tutte le fibre
nervose, o nervi spinosi in questo caso, che si dipartono dal midollo spinale per
poi raggiungere tutte le varie parti del corpo.
• Nell’encefalo → la situazione è invertita, dunque è invertita la disposizione di soma rispetto alle
fibre
- la sostanza bianca forma la farfalla centrale;
- la sostanza grigia periferica.
CLASSIFICAZIONE dei NEURONI:
- In rapporto ai prolungamenti possono essere:
• UNIPOLARI, costituiscono un unico prolungamento e corpo cellulare sferico, dove il pirenoforo è
l’unico sito di ricezione degli stimoli. Riguardano i mammiferi in età embrionali, infatti nella vita
adulta sono molto rari. Es. cellule sensoriali della mucosa olfattiva;
• BIPOLARI, con un dendrite ed un assone alle due estremità. Es. retina dell’occhio;
• PSEUDOBIPOLARI, hanno un unico prolunfamento che si diparte dal corpo cellulare e dopo un
breve tratto si divide a T dirigendosi nelle 2 estremità. Si trovano principalmente nei gangli
vestibolari;
• MULTIPOLARI, sono i più rappresentati. Ci sono numerosi dendriti che emergono in diversi punti
del soma ed un assone.

- In rapporto al comportamento dell’assone si distinguono:


• NEURONI del I TIPO di GOLGI, caratterizzati da un lungo assone che origina dalla sostanza grigia e
decorre nella sostanza bianca oppure uscendo dal SNC entra a far parte del SNP;
• NEURONI del II TIPO di GOLGI, con assone breve che non entra nella sostanza bianca e non forma
nervi.

- In rapporto alla funzione possono essere:


• SENSITIVI, quando riescono a percepire gli stimoli dalla periferia del corpo e li conducono verso il
sistema nervoso centrale;
• MOTORI, quando innescano il controllo della muscolatura. Conducono stimoli effettori dal sistema
nervoso centrale (o detto anche nevrasse) alla periferia;
• ASSOCIATIVI, si trovano intercalati tra i primi due tipi.

- In rapporto agli involucri, ovvero in base alle cellule associate ai neuroni abbiamo:
• NEURONI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE (SNC), i quali lavoreranno insieme alle cellula della
glia che sono gli oligodendrociti e gli astrociti;
• NEURONI DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO (SNP), i quali lavorano associati alle cellule di
Schwann o alle cellule satelliti.
Queste altre popolazioni cellulari funzionano da supporto per i neuroni e hanno anche funzione trofica e di
rimozione dei cataboliti.

NERVI
Parlando di nervi non si fa riferimento ad un solo assone, ma sono fasci di fibre nervose, costituite a loro
volta da piccoli fascetti di fibre, il tutto circondato da rivestimenti connettivali che conferiscono resistenza
alla trazione. Essi sono chiamati:
• EPINERVIO, circoscrive il nervo nella sua interezza, dunque è la guaina più esterna. Sunque separa il
nervo dai tessuti circostanti e svolge funzione meccanica di protezione;
• PERINERVIO, riveste i singoli piccoli fascetti di fibre, separandoli. Più sottile e conferisce al nervo
elasticità e resistenza alla trazione;
• ENDONERVIO, riveste la singola fibra nervosa. Si trova tra il perinervio e la singola cellula di
Schwann.

FLUSSO ASSONICO
- Chiamato così perché avviene lungo l’assone.
- I neuroni sono interessati da continui movimenti della componente citoplasmatica che smistano gli
organuli e
materiali vari nelle diverse regioni della cellula, in particolari questi movimenti interessano l’assone che
essendo privo di strutture neosintetiche dipende dal pirenoforo.
- Il potenziale d’azione viene innescato nell’altra cellula nervosa perché vengono rilasciati dei
neurotrasmettirori, che sono delle molecole di natura prevalentemente proteica che lo stesso neurone è
in
grado di sintetizzare, a livello del soma. Esso poi verrà trasferito alla terminazione sinaptica, ovvero lì dove
serve, tramite il flusso assonico.
- Il neurotrasmettitore dal soma arriva alla sinapsi grazie al citoscheletro. Dunque lungo l’assone, così come
lungo i dendriti, si andranno a distribuire in maniera ordinata i microtubuli a formare dei binari molecolari
lungo i quali potranno muoversi le vescicole contenenti questi neurotrasmettitori.
- Il flusso assonico è un flusso BIDIREZIONALE, perché c’è un flusso che va verso la terminazione sinaptica,
ci
sarà anche un flusso che va verso il soma.
- Esistono le proteine motrici che sono in grado di legarsi con un’estremità ad una vescicola o all’organulo e
con
l’altra ai microtubuli in modo da dirigere lo spostamento delle vescicole. Principalmente sono:
• la CHINESINA → si avrà un flusso anterogrado, dunque dal soma verso la terminazione sinaptica. Si
tratta di neurotrasmettitori all’interno di vescicole o costituenti di membrana che devono essere
ricambiati;
• la DINEINA → si avrà un flusso retrogrado, dove la vescicola o l’organulo vengono legati alla
terminazione sinaptica e vengono condotti verso il soma. Si tratta di organuli citoplasmatici
invecchiati, come mitocondri, vescicole, subunità di microtubuli ecc.

SINAPSI
- L’assone a livello della sua terminazione perde le sue guaine e si espande assumendo una forma più
arrotondata. Questa parte è chiamata terminazione sinaptica o Bottone Sinaptico, nel quale sono assenti i
microtubuli, mentre si osservano numerosi mitocondri e vescicole contenenti neurotrasmettitori
imbrigliate
nelle maglie di una rete formata da microfilamenti di actina.
- L’impulso nervoso è la risposta del sistema nervoso ad uno stimolo, detto anche potenziale d’azione.
Quando
il sistema nervoso deve dare un’informazione, la dà depolarizzando la sua membrana.
- La trasmissione dell’impulso nervoso, che avviene solo in una direzione, prende il nome di polarizzazione
della
sinapsi. La sua propagazione avviene dal corpo cellulare di un neurone lungo l’assone ed arriva alla
terminazione sinaptica.
- Il fatto che ogni terminazione può avere delle ramificazioni suggerisce che tra due elementi ci saranno più
punti di contatto. Dunque una singola struttura può essere raggiunta da più terminazioni.
I punti di contatto di differenziano in base alle sinapsi:
• SINAPSI ASSOASSONICHE → cioè una terminazione assonica che contatta la terminazione assonica
di un altro neurone;
• SINAPSI ASSOSOMATICHE →un assone che contatta direttamente il soma di un altro neurone;
• SINAPSI ASSODENDRITICHE → un assone che contatta un dendrite. Più frequente nel SNC.
- Può esistere o meno un contatto fisico tra la terminazione sinaptica di un neurone e il neurone successivo.
Ciò
dipende dalla sinapsi:
➢ nelle SINAPSI CHIMICHE, sono quelle frequenti nei mammiferi. In questo caso è necessario
l’intervento di un mediatore chimico, ovvero di una sostanza chimica che faccia da segnale per
l’altra cellula che è il neurotrasmettitore. In questo caso non c’è il contatto diretto, ma la
terminazione pre-sinaptica e l’elemento post-sinaptico del neurone successivo sono fisicamente
separati da uno spazio chiamato spazio intersinaptico, nel quale è presente materiale amorfo
filamentoso corrispondente al glicocalice delle membrane delle due cellule che si affrontano. È in
questo spazio intersinaptico che le vescicole vanno ad esocitare i neurotrasmettitori.
Il flusso di ioni lungo la membrana determinerà l’apertura dei canali per gli ioni calcio, il quale serve
a gestire le esocitosi, cioè induce le vescicole a fondersi con la membrana ed esocitare il
neurotrasmettitore. Dunque gli ioni calcio entreranno dall’ambiente extracellulare e ciò determina
profonde modificazione del citoscheletro del bottone. Essi si legano alla calmodulina formando il
complesso che attiverà a sua volta l’enzima fosforilante, la chinasi II, e le proteine disgreganti
l’actina, che provoca l’apertura delle maglie della rete dei microfilamenti di actina. La chinasi II a
sua volta fosforila un certo numero di proteine compresa la sinapsi I che rende libere le vescicole di
muoversi verso i siti attivi di esocitosi e le connette in condizioni di riposo alla membrana pre-
sinaptica mediante il legame con un’altra proteina.
Sull’elemento post-sinaptico ci saranno recettori specifici, ovvero proteine intrinseche. Una volta
che il neurotrasmettitore è stato esocitato, i recettori lo legano e all’interno dell’elemento post-
sinaptico si innescheranno dei meccanismi di trasduzione del segnale che saranno diversi in base al
neurotrasmettitore:
− se si lega al recettore legato ad un canale ionico che apre canali permeabili solo ai cationi,
portano all’innescarsi di un potenziale d’azione dunque si ha una SINAPSI ECCITATORIA, la
quale comunica alla cellula successiva che anch’essa deve innescare un potenziale d’azione,
per cui si continua a condurre l’informazione e si ha una depolarizzazione (es. acetilcolina);
− se si lega al recettore che è associato a canali permeabili principalmente agli ioni Cl-, porta
ad una iperpolarizzazione della membrana, ovvero ad un arresto del potenziale d’azione. Si
ha una SINAPSI INIBITORIA, dunque all’elemento viene comunicato che il potenziale
d’azione non deve essere più propagato (es. glutammone).

- Dopodiché i neurotrasmettitori vengono rapidamente degradati nello spazio intersinaptico ad opera di


enzimi
specifici, oppure possono essere riassorbiti nella cellula pre-sinaptica per essere riutilizzati, o ancora
possono
diffondere nello spazio circostante la sinapsi per essere successivamente catturati dalle cellule di nevroglia.
- Nella maggior parte delle sinapsi del SNC e nelle giunzioni neuromuscolari, i neurotrasmettitori possono
essere acetilcolina ed aminoacidi (glutammato).

➢ Nelle SINAPSI ELETTRICHE, c’è un contatto fisico tra due cellule nervose. L’elemento pre-sinaptico e
l’elemento post-sinaptico sono in continuità perché sono legati da giunzioni comunicanti, che
servono per il passaggio diretto di piccoli ioni. Dunque in questo caso si sfrutta la capacità di
conduzione delle membrane, che quindi sono eccitabili. (Ad esempio se una persona prendesse la
corrente si consiglia di non toccarla perché altrimenti la carica elettrica si trasferirebbe
automaticamente al nostro corpo, proprio perché le nostre cellule sono dei buoni conduttori).
- Per cui, se si ha un potenziale d’azione in una cellula nervosa, questo si propaga automaticamente
all’altra. Si parla infatti di sinapsi più rapide rispetto a quelle chimiche dove invece è presente un
ritardo perché necessitano della liberazione del mediatore chimico, il riconoscimento dal recettore
e
l’innesco dell’eventuale potenziale nell’elemento post-sinaptico.
- NON sono regolabili perché se il primo neurone conduce, il secondo necessariamente conduce.
Dunque sono esclusivamente SINAPSI ECCITATORIE.
- Sono presenti nel SNC degli invertebrati e vertebrati non mammiferi, ad esempio nei pesci che
hanno
la capacità di poter sfuggire rapidamente alla predazione. O nel polpo, che ha la capacità di ruotare
rapidamente gli occhi per potersi guardare attorno.
- Sono bidirezionali.
- Non permettono l’interazione di più segnali sinaptici, ciò che invece può accadere in quelle
chimiche.

POTENZIALE D’AZIONE
A carico della membrana plasmatica lavora costantemente un trasporto attivo che è mediato dalla pompa
ionica sodio-potassio, la quale lavora spingendo attivamente verso l’esterno della membrana 3 ioni sodio e
verso l’interno della membrana 2 ioni potassio. Tutto questo crea e mantiene un disequilibrio di cariche
elettriche tra l’interno e l’esterno della cellula, dove all’interno della cellula regna una carica elettrica
negativa e all’esterno positiva. Questa differenza di carica è stata misurata, ed in base alla tipologia
cellulare può variare tra -70 mV e -90 mV.
-70 mV corrisponde alla situazione di riposo, ovvero la situazione normale di una qualunque cellula del
nostro organismo. Un impulso nervoso corrisponde alla variazione di questa differenza di potenziale.
Quando arriva uno stimolo sufficiente che raggiunge un valore chiamato SOGLIA (una volta raggiunto
l’intensità dello stimolo è indipendente perché la risposta sarà sempre la stessa. Legge del tutto o nulla.) le
cellule eccitabili, che sono quelle nervose, muscolari e cardiache, sono in grado di rispondere tramite il
potenziale d’azione, che si manifesta con una depolarizzazione della membrana, ovvero lungo di essa si
aprono dei canali per il Sodio, il quale entra immediatamente all’interno della cellula perché all’esterno è
presente in eccesso. Di conseguenza, esso inizialmente va a bilanciare le cariche negative così che il
potenziale d’azione arrivi a 0. A volte succede anche che si arrivi ad avere un eccesso di cariche positive
all’interno della cellula, generalmente intorno ai 20/25 mV.
La cellula però non rimane in questa situazione “anomala”, dunque dopo un brevissimo periodo innesca
immediatamente la chiusura di questi canali e contemporaneamente la pompa sodio-potassio ricomincia a
lavorare. Da quì la situazione si inverte per tornare nuovamente alle condizioni di normalità.
Questo potenziale d’azione è un fenomeno transitorio in ogni punto, perché parte lì dove c’è lo stimolo ma
si propaga velocemente, ovvero cammina, per l’intera lunghezza della membrana della fibra nervosa o
muscolare. Ovvero si ha una propagazione di cariche elettriche, quindi gli ioni Sodio entrano nel citoplasma
man mano da canali successivi, perché man mano che il potenziale cammina, alle sue spalle torna la
normalità.
Quando il potenziale d’azione raggiunge la terminazione sinaptica:
− se si ha una sinapsi elettrica, si propaga in maniera continua;
− se si ha una sinapsi chimica, ci sarà un’interruzione fisica dove ci sarà il rilascio dei
neurotrasmettitori. Da qui, l’elemento pre-sinaptico torna alle sue normali condizioni, invece
nell’elemento post-sinaptico si innesca il potenziale d’azione dovuto al legame con il
neurotrasmettitore.
Tutto ciò avviene nelle fibre mieliniche.
Nelle fibre amieliniche la modificazione della membrana si verifica solo nei nodi di Ranvier, dove l’impulso
non si propaga ma “salta” da un nodo al successivo.

GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE
La giunzione neuromuscolare corrisponde alla sinapsi tra gli assoni, detti motoneuroni, e le fibre dei
muscoli nervosi scheletrici.
L’assone dei motoneuroni in prossimità della fibra muscolare si ramifica in una serie di bottoni pre-sinaptici
ravvicinati in una struttura chiamata PLACCA MOTRICE, che corrisponde alla sinapsi che collega dunque una
cellula nervosa ad una muscolare.
Il neurotrasmettitore usato nelle giunzioni neuromuscolari è l’acetilcolina.
NEVROGLIA o CELLULE GLIALI (Accessorie)
Chi conferisce compattezza, dunque chi riempie gli spazi tra cellule e le tiene unite tra di loro, sonno le
CELLULE ACCESSORIE. Esse vanno a costituire la popolazione del NEVROGLIA.
- Detta anche NEUROGLIA.
- Sono molto più numerosi dei neuroni.
- Rappresentano la seconda popolazione cellulare del tessuto nervoso. Occupano tutti gli interstizi tra i
neuroni
e quelli tra i neuroni e i vasi sanguigni.
- Con i loro prolungamenti formano una fitta rete che avvolge completamente i pirenofori ed i
prolungamenti
nei neuroni fornendo un sistema di supporto meccanico, protezione molto sviluppato per i neuroni,
essendo
che quest’ultimi sono perenni, dunque una volta che si crea un danno sarà permanente.
Inoltre queste cellule hanno il compito di nutrire, regolare e di supportare le attività metaboliche dei
neuroni,
permettendo gli scambi tra sangue e cellule nervose. Dunque aiuteranno i neuroni nella rimozione dei
cataboliti dell’attività metaboliche svolte da essi stessi. Inoltre, infatti, quando le cellule nervose
presentano
un organulo o qualcosa di danneggiato lo eliminano nell’ambiente circostante dove verrà recuperato e
smaltito dalle cellule della nevroglia attraverso il sistema sanguigno.
- Esse sono connesse tra di loro da giunzioni GAP e sono in grado di dividersi.
- Le cellule del nevroglia non sono coinvolte nella conduzione degli impulsi.
- Le cellule del nevroglia saranno:
• Nel SNC → astrociti, oligodendrociti, cellule ependimali e cellule della microglia.
Astrociti e olidodendrociti costituiscono la macroglia.
• Nel SNP → principalmente cellule di Schwann, cellule satelliti, cellule della glia terminale e
cellule della microglia.
Le cellule della microglia derivano dal tessuto emopoietico, tutte le altre derivano, come i neuroni,
dall’ectoderma del primitivo tubo neurale. Precocemente le cellule neuroectodermiche si differenziano in
due
categorie: - i neuroblasti, che diventeranno neuroni;
- gli spongioblasti, che daranno origine alla nevroglia.

ASTROCITI → sono caratterizzati da un piccolo corpo cellulare e da numerose estroflessioni ramificate che
danno loro forma di tipo stellata. I processi degli astrociti si estendono fino a coprire la parete dei vasi
sanguigni, i neuroni e la pia madre (ovvero una membrana che riveste la superficie dell’encefalo e del
midollo spinale), dunque svolgono principalmente una funzione trofica per i neuroni, perché permettono il
trasferimento trofico dai capillari ai neuroni e viceversa.
Sono provvisti di moltissimi microfilamenti cioscheletrici e fungono da matrice di supporto per i vasi
sanguigni e neuroni.
Si dividono in:
• ASTROCITI PROTOPLASMATICI, localizzati principalmente nella zona grigia, provvisti di
prolungamenti citoplasmatici più numerosi, più spessi e più corti, che presentano alle estremità
terminali delle espansioni lamellari dette pedicelli attraverso le quali stabiliscono contatti con la
rete vascolare. Altri astrociti avvolgono i vasi a livello del corpo cellulare e formano la barriera
ematoencefalica, che isola i neuroni dal sistema vascolare, presente solo a livello del sistema
nervoso centrale.
• ASTROCITI FIBROSI, situati nella sostanza bianca, possiedono sottili prolungamenti, lunghi e poco
ramificati e terminano anch’essi con pedicelli.
Tra gli astrociti sono presenti giunzioni intercellulari.
Essi rilasciano molecole che giocano un ruolo fondamentale nella regolazione dei fluidi extracellulari del
SNC perchéqueste molecole promuovo la formazione di giunzioni comunicanti tra le cellule endoteliali dei
capillari, le quali formano una barriera ematoencefalica che determina quali sostanze possono passare dal
sangue al tessuto nervoso del SNC e quali no.

OLIGODENDROCITI → sono piccole cellule con prolungamenti meno numerosi, più corti e meno ramificati
degli astrociti. Presenza di un nucleolo molto evidente, abbondante RER, molti ribosomi e apparato di
Golgi. Si distinguono oligodendrociti disposti in fila lungo le fibre nervose mieliniche della sostanza bianca e
oligodendroditi che sono associati al pirenoforo di neuroni localizzati nella sostanza grigia.
La loro funzione è quella di costituire e mantenere la guaina mielinica attorno agli assoni del SNC,
avvolgendo i loro prolungamenti citoplasmatici più volte attorno all’assone.
Sono quindi omologhi delle cellule si Schwann con la differenza che una di quest’ultime cellule si avvolge
attorno ad un solo assone formando un singolo segmento internodale, invece un singolo oligodendrocita è
in grado di mielinizzare contemporaneamente più segmenti internodali di uno o più assoni.

CELLULE DELLA MICROGLIA → sono le più piccole cellule gliali, con corpi irregolari e allungati. Pochi
organuli a eccezione dei lisosomi. Avvolgono i neuroni e i capillari sanguigni nel SNC sia nella sostanza
bianca che nella sostanza grigia. Appartengono ai fagociti, con origine mesodermica e compaiono nel SNC
verso la fine della vita fetale migrando tramite movimenti ameboidi. Esse tendono ad aumentare in caso di
lesioni del tessuto nervoso o infiammazioni svolgendo un’intensa attività fagocitaria riguardo il tessuto
necrotico, i microrganismi e le sostanze estranee che abbiano invaso il SNC.
CELLULE EPENDIMALI → costituiscono l’epitelio monostratificato pavimentoso o prismatico che riveste le
cavità ventricolari dell’encefalo ed il canale centrale del midollo spinale. Possiedono ciglia che facilitano il
movimento del liquido cerebrospinale all’interno delle cavità. Nei ventricoli, alcune cellule ependimali si
modificano formando un rivestimento dei plessi coroidei, formazioni vascolari che si estroflettono nelle
cavità ventricolari, responsabili della produzione e del mantenimento delle proprietà chimiche del liquido
cerebrospinale.
Inoltre, alcune di queste cellule, detti taniciti, hanno un lungo processo basale che si estende in profondità
terminando o in prossimità di capillari sanguigni o in cellule neurosecretorie, con funzione di trasporto di
molecole dal liquido cerebrospinale al tessuto nervoso e viceversa.
Esse prendono contatto con gli epiteli basali, per protegge il sistema nervoso da eventuali sostanze
chimiche che possono raggiungerlo formando la Barriera ematoencefalica . Dunque si cerca di ispessire
l’epitelio vasale. Attorno ai capillari, che sono i vasi di più piccole dimensioni che vanno a nutrire
direttamente i tessuti, è presente un epitelio monostratificato che prende il nome di endotelio. Esso è
peculiare perché si presenta fenestrato perché garantisce il passaggio delle cellule mobili, es. i monociti. Di
conseguenza se in circolo ci sono sostanze dannose, potrebbero attraversare il capillare e raggiungere i
neuroni, ma per evitare questo intervengono le cellule ependimali che vanno a prendere contatto
direttamente con gli endoteli vasali in modo da irrobustirlo formando questa barriera ematoencefalica,
dunque esclusivamente al livello del sistema nervoso centrale.

CELLULE DI SCHWANN → si avvolgono attorno agli assoni del SNP formando la guaina mielinica e può farlo
attorno ad un solo assone.

CELLULE DELLA GLIA TERMINALE → circondano i neuroni dei gangli e le terminazioni nervose.

CELLULE SATELLITI → circondano il corpo delle cellule gangliari fungendo da supporto e provvedono alla
loro nutrizione.

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