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UNIVERSITÀ DI FERRARA
Biochimica
Introduzione:
La biochimica descrivere in termini molecolari le strutture, i meccanismi, i processi chimici
che sono alla base della vita di ogni singola cellula e che determinano le funzioni dei
tessuti e degli organi dei sistemi viventi. Descrive cioè la logica molecolare della vita.
Unità vivente più semplice à Cellula (unità strutturale e funzionale di tutti gli organismi
viventi).
Tutto quello che vediamo in Biochimica (proteine, etc.) deriva dall’informazione genetica
contenuta nel DNA. Quando noi parliamo di Biotecnologie parliamo di proteine prodotte da
DNA modificato che vengono fatte produrre in procarioti (se semplici) o in eucarioti (se più
complesse). Perciò un biochimico non sintetizza artificialmente una proteina.
Importante à Relazione tra struttura e funzione di una biomolecola (se cambia anche solo
un amminoacido possono insorgere diverse patologie). Ci possono essere proteine
disfunzionali o proteine con cambiamenti in amminoacidi importanti per la conformazione,
quest’ultimi vengono degradati all’interno della cellula.
Domanda: Perché consumiamo ossigeno? Perché per produrre energia (ATP) dobbiamo
ossidare i combustibili (molecole organiche quali zuccheri, lipidi, proteine).
Noi quindi consumiamo l’ossigeno perché esso è l’accettore finale degli elettroni che
vengono estratti durante le vie cataboliche grazie all’ossidazione degli acidi grassi, del
glucosio, etc.
Ci sono tanti modi per regolare le reazioni e tanti modi per regolare i processi; uno di
questi è quello di confinare processi diversi in compartimenti diversi:
compartimentalizzazione dei processi.
Ambiente acquoso:
Tutto quello che deriva dai ragionamenti della biochimica non può prescindere dal fatto
che ci troviamo in ambiente acquoso (nella cellula).
3) Infine, è importante il pH (-log [H+]) che varia a seconda dei compartimenti in base
alla loro funzione (importanza delle soluzioni tampone). Ad esempio gli enzimi
funzionano solo con determinati pH.
Quindi, dentro e fuori dalla cellula, ci devono essere dei meccanismi tampone che
neutralizzino le sostanze acide o basiche prodotte durante il metabolismo
• Soluzione tampone: combinazione di un acido debole e la sua base coniugata
o viceversa. Le soluzioni tampone hanno un range tamponante entro il quale
funzionano (pKa).
Gli amminoacidi possono avere due tipi di configurazioni che non sono intercambiabili tra
loro, a meno che non si rompa un legame covalente e se ne riformi un altro (in altre
molecole ci sono enzimi che possono farlo).
Gli amminoacidi, avendo un centro chirale, possono polarizzare la luce in due modi.
Gli amminoacidi vengono classificati secondo Fischer in due stereoisomeri (in biochimica
sono importanti gli aminoacidi di classe L sia nell’uomo che negli animali).
• Amminoacidi che hanno il gruppo amminico a destra sono detti stereoisomeri della
classe D; quando invece il gruppo è a sinistra sono della classe L
• 99.9% degli amminoacidi in natura appartengono alla classe L
o Eccezione: nella parete di alcuni batteri.
Classificazione degli amminoacidi
La catena laterale (R) differenzia i 20 aminoacidi e li distingue fra loro. Abbiamo quindi
una classificazione degli aminoacidi che si basa sulla struttura e sulle caratteristiche di
polarità o di carica della catena laterale:
1) Amminoacidi con catena laterale semplice,
idrocarburica e quindi alifatica e idrofobica / non
polare, in quanto non presentano cariche e non sono
polari (es.: glicina, molto piccola e chiave della
struttura del collagene perché può stare in spazi
molto piccoli, ha come catena laterale un solo
idrogeno e perciò non è chirale; alanina, anch’essa
molto semplice; valina; leucina; isoleucina;
metionina). Di questa categoria è importante la prolina, che non
ha una catena laterale libera, ma presenta una catena ciclica
che conferisce rigidità alla struttura in quanto non ha più la
possibilità di ruotare intorno ai legami. Questo determina due
diversi orientamenti della prolina in cis o in trans che non sono
interconvertibili se non mediante rottura di legami. Questo
aspetto è così importante che all’interno del nostro organismo
sono presenti enzimi in grado di interconvertire un isomero della
prolina nell’altro, chiamati PPI (Peptidil-Prolin-Isomerasi) →
famiglia delle isomerasi (famiglia grande di proteine in grado di
convertire un isomero configurazionale in un altro).
3) Amminoacidi polari con gruppo -OH, con una catena laterale non carica ma polare e
quindi capace di formare legami idrogeno con l’ambiente acquoso e che quindi si trovano
all’esterno della proteina. L’ossigeno può, inoltre, andare incontro a fosforilazione e a
reazioni di attacchi nucleofili. Esempi sono la serina
e la treonina.
• La serina può andare incontro a fosforilazione
(ad opera delle chinasi, le quali aggiungono) e
defosforilazione (ad opera delle fosfatasi, le
quali tolgono)
• La serina fosforilata ha un gruppo fosfato
4) Amminoacidi polari con gruppo -SH (es.: cisteina), con catena laterale non carica ma
polare. Negli eucarioti, in ambienti riducenti (citosol) la cisteina rimane nella sua forma
libera con il gruppo SH capace di formare legami idrogeno; in ambienti ossidanti (ER,
Golgi, organelli e ambiente extracellulare), invece, la cisteina genera ponti disolfuro,
legami covalenti (quindi legami forti!) che la rendono più stabile. Nella maggioranza dei
procarioti le cisteine in genere non
ingaggiano ponti disulfuro. Questi
ponti possono essere intramolecolari
(nella stessa proteina) o
intermolecolari (tra proteine diverse).
Non a caso le proteine presentano
un numero pari di cisteine, poiché
queste si appaiano in ambiente
ossidante! Esiste una famiglia di
isomerasi che sono capaci di
riarrangiare i ponti disolfuro, chiamate
PDI (“Protein disulphyte isomerase”),
per evitare che si generino legami
covalenti tra cisteine che intaccano
nel folding finale della proteina →
PDI rompe i ponti di solfuro illegittimi.
Ponti disolfuro à fondamentali per il “folding” delle proteine.
6) Amminoacidi basici, che sono carichi positivamente (il gruppo amminico NH3+),
hanno catena laterale che può essere protonata. Esempi sono la lisina, l’arginina e
l’istidina. Importante è l’istidina, che presenta nella catena laterale un anello
eterociclico chiamato “imidazolico” (la catena laterale si chiama gruppo
imidazolico), che ha la possibilità di
protonarsi o deprotonarsi in maniera
reversibile (lo vedremo nel sito attivo
degli enzimi, perché l’istidina sarà
cruciale per le catalisi acido-base in cui
c’è scambio di protoni). Perciò non è
carico positivamente ma è estremamente
flessibile come atteggiamento di acido-
base e può accogliere un protone e
diventare carico positivamente oppure,
una volta accolto un H+, può ricederlo al
substrato (importante comportamento
nelle catalisi).
Ricapitolando:
Modificazioni post-traduzionali
Gli amminoacidi sono 20, tuttavia nelle proteine
troveremo questi amminoacidi che verranno
modificati post-traduzione.
Nel ribosoma, la proteina sintetizzata si
conforma → gli amminoacidi possono andare
incontro, dopo la traduzione (a livello del RE ma
anche extra cellulare), a modificazioni post-
traduzionali, dove possono essere modificati
covalentemente e quindi acquisire proprietà che
non avevano originariamente.
Ci possono essere delle acetilazioni reversibili (una acetil transferasi che acetila e una
deacetilasi che tira via), o metilazioni (una metil transferasi che aggiunge e una
deametilasi che tira via)
Tra gli aminoacidi si forma il LEGAME PEPTIDICO à reazione di condensazione (con perdità
di una molecola d’acqua) tra il -COOH di un amminoacido e il gruppo -NH2 dell’amminoacido
seguente.
Il legame peptidico, dal punto di vista termodinamico, tende a idrolizzarsi, ma è talmente lenta
questa reazione che non ha importanza dal punto di vista biologico.
L’idrolisi, in natura, è catalizzata da una famiglia di enzimi (specifici per i vari legami) chiamati
proteasi (portano alla rottura del legame peptidico).
Il legame peptidico ha una lunghezza di 1,32 Angstrom, molto più simile al doppio legame
tra C e O (1,24 Angstrom) che a un legame covalente singolo (circa 1,51 Angstrom).
Questo perché il legame peptidico ha le
caratteristiche di un parziale doppio
legame, in quanto è un ibrido di risonanza in
cui gli elettroni sono delocalizzati. Questo fa
sì che il legame peptidico non può ruotare,
quindi la disposizione degli atomi intorno al
legame peptidico è fissa e planare (il legame peptidico è planare) e l’ossigeno e
l’idrogeno sono disposti, rispetto al legame peptidico, in posizione trans.
Questo si riflette sulla conformazione della
proteina, che nella maggior parte delle
volte è globulare, ma quindi quali legami
ruotano? I legami covalenti Cα1-C e N-Cα2
(chiamati rispettivamente psi e fi) che
permettono al peptide di assumere la
configurazione tridimensionale della
proteina.
Quindi la proteina può avere infiniti
conformeri grazie alla libera rotazione di
psi e fi? No, perché c’è un limite al numero
di conformazioni permesso a causa
dell’ingombro sterico dato dalle catene
laterali. Altro motivo sono le cariche, se ci
sono catene laterali di amminoacidi con la
stessa carica sarà quasi impossibile metterli vicini perché si respingono à Perciò
l’interazione tra gruppi funzionali e le catene laterali limita di gran lunga il numero di
conformazioni permesse.
Quindi ci saranno sequenze amminoacidiche che tendono ad assumere una
conformazione di un tipo e altre sequenze, con posizioni diverse degli amminoacidi e, in
virtù delle loro caratteristiche biochimiche, tenderanno ad assumere conformazioni
diverse. Ecco perché, se per esempio vengono prodotte 100 o 1000 proteine identiche
(es: l’albumina nel fegato) tutte vengono sintetizzate con la stessa sequenza
amminoacidica e alla fine del percorso, con qualche insidia, raggiungeranno un’unica
conformazione nativa identica e avranno la medesima funzione.
Struttura primaria
La struttura primaria è definita geneticamente e consiste nella sequenza
amminoacidica (dall’estremità ammino-terminale a quella carbossi-terminale).
Struttura secondaria
La struttura secondaria è costituita dall’orientamento di corte regioni proteiche che possono
essere classificate in alfa-elica o beta-foglietto (organizzazione locale della proteina).
La struttura terziaria deriva dalle interazioni tra le strutture secondarie presenti nella
proteina.
Tornando perciò al concetto di caratteristiche periodiche dell’alfa elica, essa ha una determinata
dimensione costante. Questo determina il cosiddetto “passo dell’elica” à ovvero la distanza che c’è
tra un atomo di carbonio e il prossimo che, dopo un giro completo, si trova nella stessa posizione
(circa 5,4 Angstrom o 3,6 residui), ovvero tutte le alfa-eliche instaurano legami a idrogeno nello
stesso modo.
L’alfa-elica è una delle strutture secondarie più abbondanti nelle proteine (più di ¼
di tutte le strutture)!
Nei testi si trovano spesso dipinte come una struttura a cilindro.
Le alfa-eliche sono molto abbondanti (c’è solo lei praticamente) nelle proteine
fibrose (quelle allungate) à es: Cheratina dei filamenti intermedi, dei capelli, delle
unghie e delle corna.
Ciascuno dei 20 amminoacidi mostra una specifica propensione, o meno, per
assumere conformazione in alfa-elica:
• Ala, Glu, Leu, Met: buoni iniziatori di alfa-eliche
• Gly, Tyr, Ser: deboli iniziatori di alfa-eliche à La glicina: l’idrogeno della
sua semplice catena laterale non è polare, carico, etc; sono fattori che
danno molta flessibilità alla glicina. L’alfa-elica, però, essendo una struttura
ben definita, non accetta la glicina perché la destabilizzerebbe troppo.
• Pro: impossibile la formazione del legame a H con il gruppo CO à la
prolina si adatta bene nel primo giro dell’alfa-elica, mentre, a causa della
sua rigidità, se si trova in qualunque altra posizione nell’elica di solito
produce una significativa distorsione dell’asse dell’elica dalla linearità (circa
25°).
A una estremità dell’alfa elica ci sarà la regione carbossi-terminale (negativa) e
all’altra la regione ammino-terminale (positiva). Ciò porta l’alfa elica ad essere una
specie di dipolo con parziale carica negativa a un’estremità e parziale carica
positiva all’altra.
Loop di superficie: La struttura della maggior parte delle proteine risulta dalla
combinazione di elementi ad alfa-elica ed elementi a beta-foglietto. Questi elementi sono
collegati da regioni LOOP (a forma di ansa) di
lunghezza variabile e forma irregolare. In queste
anse i gruppi CO e NH non fanno legami
idrogeno.
Sono strutture che sono coinvolte nei
cambiamenti conformazionali quando questa
proteina interagisce con altri partners/proteine.
I loop sono esposti al solvente e presentano residui polari.
I loop rappresentano spesso siti di legame, ad esempio, ENZIMI-SITO ATTIVO
ANTICORPI (6 regioni a loop).
La struttura terziaria della proteina è tenuta insieme da interazioni a breve raggio (tra
amminoacidi vicini), medio o a lungo raggio, tra i vari amminoacidi di una proteina.
Le interazioni sono, nella maggior parte dei casi,
interazioni deboli:
1) Possiamo trovare ponti disulfuro (legami
covalenti tra due atomi di S di due
amminoacidi di cisteina) à non sempre li
troviamo (dipende da dov’è stata generata la
proteina):
o in ambiente riducente (citosol cellule
eucariotiche) le cisteine tendono a
stare da sole
o in ambiente ossidante (RE, Golgi o
proteine secrete) troviamo ponti
disulfuro
2) Legami idrogeno
3) Ponti salini
4) Interazioni idrofobiche (interazioni di van der
Waals, importantissime, nel “core” idrofobico
della proteina à determinano una grande stabilità della struttura terziaria tridimensionale)
La struttura terziaria può essere di diversa natura à nella maggior parte delle proteine da noi
considerate è globulare (enzimi, trasportatori, immunoglobuline, etc.). Un esempio è la
mioglobina, un trasportatore dell’ossigeno presente a livello dei miociti (cellule muscolari).
Le proteine, molto spesso, possono contenere al loro interno delle strutture non proteiche
chiamate “gruppi prostetici”. Il gruppo prostetico agisce assieme alla proteina stessa in questo
complesso per conferire proprietà che la proteina altrimenti non avrebbe. Ad esempio, sempre
nella mioglobina, è presente il gruppo eme (in rosso nella figura precedente).
Come è possibile?
1) esistono agenti che “aiutano” la proteina?
2) è già scritta nella sequenza primaria?
Questo lo chiarisco mediante un processo chimico chiamato di “denaturazione delle proteine”;
una volta denaturate mi chiedo: ritroveranno il folding nativo o no?
Esponendo una proteina nella sua struttura nativa a particolari agenti chimici o fisici detti
DENATURANTI la struttura terziaria/quaternaria della proteina viene scompaginata con
conseguente perdita della funzione (in laboratorio è spesso presente l’esigenza di denaturare
la proteina mediante la rottura delle interazioni della struttura terziaria e spesso si usa una
combinazione di agenti riducenti):
- agenti fisici denaturanti (calore, congelamento) à sono più intuitivi
- agenti chimici denaturanti [valori estremi di pH (interagiscono con lo stato di ionizzazione),
agenti denaturanti (come l’urea che interferisce con le interazioni idrofobiche), agenti
riducenti come il β-mercaptoetanolo (il ponte di solfuro, che si genera tra due cisteine in un
ambiente ossidante, lo si rompe ponendo la proteina in un ambiente fortemente riducente).
La proteina così assume una struttura random che non ha più alcuna funzione.
La denaturazione della proteina è descritta dalla CURVA
DI DENATURAZIONE, una curva con andamento
“sigmoidale”, questo perché all’inizio la proteina rimane
fortemente foldata fino ad un certo punto quando la
proteina si denatura istantaneamente. Questo ci dice che
c’è un processo COOPERATIVO, ovvero migliaia e
migliaia di legami/interazioni deboli riescono a tenere ben
salda la struttura nonostante l’agente denaturante per un
bel po’ di tempo (es: a piccole temperature). Questo capita
anche quando si cerca di denaturare il DNA.
Ad un certo punto, però, con sufficiente denaturante,
quando diversi legami sono stati rotti, si raggiunge una
soglia e la struttura generale non regge più e si apre
completamente (ecco perché l’andamento non è lineare).
Se l’agente denaturante è il calore, la temperatura alla
quale la specifica proteina si denatura al 50% si chiama
“temperatura di fusione (Tm)” della proteina. Esistono
proteine più stabili o meno stabili (con Tm più alte o
basse). Questo ha molto a che vedere con le nicchie
evolutive (proteine dei batteri ipertermofili sono più
resistenti al calore di proteine umane).
Esperimento di Anfinsen: se metto la proteina foldata in un agente denaturante, questa
si denatura.
Una volta denaturata, se tolgo l’agente denaturante (processo di “rinaturazione”), la
proteina si rifolda o no? Anfinsen denaturò con urea e β-Mercaptoetanolo la Ribonucleasi
(una proteina piccola con poco più di 100 aa) e scoprì che, una volta denaturata e tolti gli
agenti denaturanti, la proteina riusciva a rinaturarsi/rifoldarsi e a riprendere la sua
funzione.
Inoltre, questo esperimento fu condotto in una provetta, quindi non era presente nient’altro
oltre alla proteina.
Questo ci dice che la proteina, nella sua sequenza amminoacidica, possiede le
informazioni che le permettono di rifoldarsi correttamente à è un processo
spontaneo (in acqua). Questa è la teoria di Anfinsen.
Chiaramente le cose diventano più complesse quando si tratta di proteine più
grandi.
L’imbuto di energia libera però presuppone che le proteine comincino a foldarsi quando sono
state completamente formate, ma, poiché la formazione delle proteine nei ribosomi è
sequenziale e lenta, queste cominciano a foldarsi quando una parte deve essere ancora
sintetizzata e questo è un problema per il folding intracellulare:
• Possono formare ponti disulfuro illegittimi, interazioni inopportune, etc.
• le proteine, nell’ambiente intracellullare, non sono da sole (“Macromolecular
crowding”). Mentre esse si stanno foldando possono venire a contatto con altre proteine
con cui possono formare polimeri e che impediscono il raggiungimento dello stato
nativo.
Questo problema viene risolto grazie al fatto che dentro la cellula, in cui il folding è molto più
difficile, intervengono i “chaperoni” (famiglia di macromolecole che sono gli assistenti del
folding e assicurano il controllo di qualità delle proteine) à essi assistono il folding,
prevengono l’accumulo delle proteine non foldate dentro la cellula e guidano le proteine non
foldate (nonostante l’aiuto degli chaperoni) ad essere degradate a livello del proteasoma.
Alcuni chaperoni che già conosciamo sono le “ossido-riduttasi” per i ponti disulfuro oppure le
“isomerasi delle proline”, oltre a tutta una famiglia (es: HSP70, HSP90) che si preoccupa di
prevenire l’aggregazione tra proteine, aiutare il folding delle proteine e fare il “quality control”
(guidare proteine alla degradazione se necessario).
Struttura quaternaria
Riguarda proteine costituite da due subunità o più catene polipeptidiche (subunità).
Le subunità possono essere uguali (omopolimeri, omodimeri, omotrimeri, etc.) o distinte
(eteropolimeri, etc.) e si associano tra loro con legami non-covalenti.
L’associazione di catene polipeptidiche può servire a diversi scopi:
• subunità regolatrici
• subunità con funzioni diverse ma correlate
PROTEINE FIBROSE:
• CHERATINA
È composta da un’unica proteina che si chiama alfa-cheratina,
la quale è un omopolimero (subunità identiche), in cui le
strutture terziarie di ciascuna subunità hanno una sola
conformazione, una sola struttura, dove struttura terziaria e
secondaria coincidono, ovvero sono due alfa-eliche.
• Alfa-cheratina à monomero è una proteina allungata
tutta alfa-elica e destrorsa
Nella struttura dell’alfa-cheratina, l’unità elementare è
l’omodimero, in cui due alfa-eliche si avvolgono l’una all’altra a
formare un’unica alfa-elica (omodimero) con andamento
sinistrorso.
Più di queste strutture omodimeriche si uniscono a formare i protofilamenti e la protofibrilla (la
struttura del capello, la quale è formata da tantissime di queste strutture).
Tra le alfa-eliche ci sono tantissime interazioni idrofobriche à alle interfacce, tra due alfa-
eliche, ci sono dei residui di amminoacidi idrofobici
• Interazioni idrofobiche sono accompagnate dalla presenza di interazioni ioniche
All’interno di queste strutture ci inoltre sono numerose cisteine che ingaggiano tra loro ponti di
solfuro, i quali danno stabilità e rigidità.
La rigidità differente di capelli, unghie e corno di rinoceronte formate da protofilamenti di alfa-
cheratina è data dalla presenza di più o meno ponti di solfuro (fino a 18% nel corno).
• Esempio: quando si va dal parrucchiere per fare la piega: per cambiare la forma del
capello (da liscio a riccio) il parrucchiere deve modificare l’assetto dei ponti disolfuro, lo
fa utilizzando un riducente, così che questo riduca e rompa i ponti di solfuro, in seguito
si dà la forma e si rimuove il riducente per far formare i nuovi ponti disulfuro tra cisteine
adiacenti (e per un po’ si mantiene la forma data).
• COLLAGENO
È il componente essenziale del tessuto connettivo, insieme a elastina, fibrillina e proteoglicani.
• Tutti prodotti da fibroblasti, condroblasti osteoblasti
• Proteina molto abbondante (fino al 25% del peso in un mammifero)
o è parte integrante dei tendini, dei legamenti, del derma, cartillagine, osso,
matrice extracellulare, membrane basali, cornea e cristallino, etc.
• Filogeneticamente molto antico: già presente nei Poriferi (600 milioni di anni fa)
• Ci sono tanti geni (almeno 18) che codificano per il collagene, per questo possiamo
averne almeno di 10 tipi diversi.
o I quali si distinguono per composizione amminoacidica e per caratteristiche di
resistenza meccanica à dal punto di vista generale hanno tutti struttura simile
(molto complessa à ci sono numerose malattie genetiche che derivano da difetti
di un solo gene)
• Insolita composizione aa: 30% Gly, 20% Pro e OH-Pro (basso valore nutrizionale)
• Un terzo di tutti gli amminoacidi è composto da glicina.
In linea generale, il collagene è un eterotrimero,
ovvero la struttura più elementare del collagene è
composta da tre proteine distinte codificate da tre
geni diversi che, prese singolarmente, hanno un
andamento elicoidale sinistrorso (non sono alfa-
eliche). Queste tre proteine si arrotolano una
attorno all’altra per formare il procollagene (unità
elementare del collagene) in maniera destrorsa.
Queste unità funzionali si uniscono le une alle
altre per formare la fibrilla del collagene.
La glicina è presente sempre ogni tre amminoacidi
nella sequenza amminoacidica (tre residui amminoacidici per passo/giro dell’elica). Questo è
importante perché occorre che le catene si avvicinino
molto e la glicina non occupa spazio e quindi favorisce la
formazione dell’eterotrimero (procollagene).
• Struttura primaria generale di una singola catena
(circa 103 residui): Gly-X-Y (circa 100 residui X
sono Proline/Lisine e 100 residui Y sono
idrossiproline-idrossilisine)
• La sequenza più rappresentata nei collageni è
Glicina-prolina-idrossiprolina
Tutte le volte che le glicine sono mutate geneticamente si incorre in diversi difetti (essere
molto flessibili) o malattie (come l’osteogenesi imperfetta).
Gli anticorpi:
gli anticorpi sono detti anche immunoglobuline, sono dei complessi proteici prodotti dai linfociti
B, plasmacellule, i quali fin dalla nascita producono immunoglobuline. Le immunoglobuline
sono in grado di riconoscere specifici antigeni e riconoscendoli guidano l’agente infettivo ad
essere riconosciuto da altri linfociti, inclusi i macrofagi, i quali riconoscendo il complesso
ricoperto da immunoglobuline, fagocitano e distruggono il complesso.
Ci sono molti tipi di immunoglobuline, le più abbondanti sono le IgG, poi ci sono altri tipi (GE,
GM …)
• Le IgG sono costituite da una struttura terziaria
composta da più catene, due catene pesanti e
due leggere (è un eterotetramero) à si
dispone nello spazio in una struttura
quaternaria che assomiglia ad una Y
o C’è una regione costante che accomuna
le IgG
o C’è una regione variabile che è il sito di
legame con l’antigene
• Quindi un anticorpo può legare, con le due
estremità della Y, due unità
L’antigene è quella molecola, in genere una proteina, che viene riconosciuta da un
determinato anticorpo, tuttavia l’anticorpo riconosce solo specifiche regioni di quella proteina
• Regioni specifiche dell’antigene si chiamano epitopi
L’interazione tra anticorpo ed antigene è tenuta insieme da interazioni deboli, non ci sono
legami covalenti, ma l’interazione è fortissima e specifica (anticorpo disegnato per riconoscere
solo un epitopo e l’affinità con l’antigene è altissima)
• l’affinità di una proteina per un’altra (o di un anticorpo per l’antigene) viene misurata
con un parametro chiamato costante di dissociazione
Costante di dissociazione (Kd): è il rapporto tra il prodotto
delle specie dissociate (al numeratore) e la concentrazione
del complesso
• Tanto più A e B interagiscono in maniera forte (grande
affinità), tanto più tendono ad unirsi, tanto più sarà il
valore di AB e quindi tanti più piccola sarà la frazione in
cui sono dissociati
In altre parole, la Kd è inversamente proporzionale alla affinità
tra i due interattori (più è piccola la Kd, più sono affini A e B)
Nel caso degli anticorpi, questa costante di affinità si aggira intorno a 10-10 M e quindi è uno
dei legami più forti e una delle interazioni più specifiche in natura (questo fatto viene utilizzato
per molte vie sperimentali in biochimica e biologia molecolare).
Infatti, all’interno dell’emoglobina e della mioglobina è presente il Fe, legato alla proteina (la
reversibilità del legame dipende proprio dal legame del ferro con la proteina; al di fuori della
proteina esso non lega reversibilmente l’ossigeno).
La globina contiene molte alfa-eliche (8) che circondano l’EME, che può formare due legami,
uno sopra e uno sotto. Uno dei due può coordinarsi con un azoto dell’istidina (istidina
prossimale). Rimane libero un legame. É proprio qui che il Fe2+ è in grado di legare
reversibilmente l’ossigeno (e in modo da non ossidare Fe2+) all’interno della mioglobina.
L’ossigeno non ha perciò grande libertà per accedere al ferro, però questo è un vantaggio
perché limita anche l’accesso di CO e NO.
Vicina al ferro dell’eme è presente l’istidina distale,
che è cruciale! È in una posizione che è l’esatto
compromesso tra il non essere troppo vicina al
ferro per non occupare il sesto legame di
coordinazione, ma da essere abbastanza vicina
per interferire con il legame con altri gas
competitori dell’ossigeno che possono legarsi al
ferro. In più partecipa a stabilizzare, attraverso un
legame idrogeno, il legame tra ferro ed ossigeno.
Il competitor più temibile è il CO, che ha una
affinità che è intorno alle 20.000 volte maggiore a
quella dell’ossigeno, l’istidina diminuisce l’affinità
attraverso l’ingombro sterico. L’orientamento
diverso degli orbitali dell’ossigeno e del CO
permette
all’istidina di
diminuire l’affinità
con il legame del competitor con il ferro. Questo spiega
perché in condizioni normali, noi non ci avveleniamo con la
CO, che ha una pressione parziale minore di quella
dell’ossigeno.
L’EME è collocato all’interno della struttura della globina,
quindi servono movimenti molecolari che durano
nanosecondi (le proteine non sono “cristallizzate”) che
permettono all’ossigeno di accedere.
Come è fatta la curva di saturazione della mioglobina che lega l’ossigeno?
Ha una P50 di 26 Torr, il che le permette di cedere ossigeno ai tessuti quota pare del suo
ossigeno. A livello dei tessuti e a basse pressioni dell’ossigeno l’emoglobina è solo
parzialmente saturata (cede l’ossigeno) e a livello polmonare è completamente satura
(trattiene l’ossigeno).
Cosa spiega la differenza tra le due curve (i due comportamenti)?
La differenza sta nella relazione tra la struttura e la funzione (grande differenza strutturale tra
le due) à differenza tra le due curve è data dal fatto che l’emoglobina ha 4 subunità che
parlano tra loro, ovvero possono andare incontro a cambiamenti conformazionali trasmessi da
uno all’altro attraverso un processo chiamato allosteria (è una proteina allosterica).
L’allosteria corrisponde alla capacità, all’interno di un complesso proteico (il tetramero), di un
cambiamento conformazionale indotto da qualcuno (in questo caso dall’ossigeno). Se cambia
la conformazione di una subunità, questa determina/trasferisce il cambiamento anche nelle
altre subunità à possibile perché tra le subunità esistono legami ed interazioni che
permettono ciò.
Può assumere una conformazione R (ad alta affinità per l’ossigeno) e una T (a bassa affinità),
l’emoglobina oscilla tra queste due conformazioni limite.
Il tetrametro di emoglobina lega quattro molecole di ossigeno, nel momento in cui una
subunità cambia conformazione da uno stato T a uno stato R, questo cambiamento
conformazionale viene trasmesso a tutte le altre subunità, quindi la proteina diventa altamente
affine all’ossigeno. Avviene il contrario a livello dei tessuti, in cui si ha una conversione dallo
stato R allo stato T, con maggiore capacità di cedere ossigeno (importanza dell’allosteria) à
esiste un equilibrio dinamico tra i due conformeri, equilibrio spostato da vari modulatori, il
primo tra tutti è l’ossigeno (modulatore positivo del legame a
sé stesso delle subunità)
Gli altri due importanti modulatori, accanto all’ossigeno, sono gli H+ (quindi il pH) e la CO2,
prodotta dal catabolismo cellulare a livello periferico à emoglobina trasporta anche una quota
parte degli H+ (funziona da tampone in parte) e CO2 (1/5 di quella prodotta a livello periferico
e riversata in circolo).
Da qui si campisce l’importanza della correlazione fra struttura e funzione.
La CO2 dalla respirazione cellulare si riversa in circolo. Poiché questa è un gas ed è poco
solubile in acqua, è importante che questa non rimanga come gas. Reagisce con l’acqua e
diventa H2CO3 per poi scomporsi in HCO3- e H+, che acidifica il sangue. A livello dei polmoni
avviene il contrario, abbiamo l’emissione della CO2 e il pH è più alcalino (aumenta
leggermente). L’emoglobina è capace di risentire di altri principi che ne modificano la
conformazione: effetto Bohr à l’emoglobina cambia la sua curva di saturazione a seconda del
pH e a seconda della pressione parziale della CO2. La CO2 e il pH agiscono perciò in maniera
sinergica/coordinata.
Dove si legano gli idrogeni (H+) e la CO2? Entrambi i ligandi si legano all’emoglobina in punti
diversi e hanno un effetto opposto:
• Né H+, né CO2 si legano al ferro
• Rendono l’emoglobina meno affine all’ossigeno
L’emoglobina, risentendo, a livello delle catene laterali degli amminoacidi posti alle interfacce
delle subunità e che ingaggiano delle interazioni ioniche, delle variazioni di pH diminuisce la
sua affinità per l’ossigeno (sono stabilizzati i legami ionici che
stabilizzano la struttura T, perché il pH è acidulo) o aumenta la sua affinità per l’ossigeno (a
livello dei polmoni dove il pH è più basico), quindi cambia la sua P50. A parità di pH, la
pressione parziale della CO2 è maggiore a livello dei tessuti piuttosto che a livello dei polmoni.
Questo stabilizza maggiormente lo stato T dell’emoglobina a livello dei tessuti, spingendo la
proteina a cedere più ossigeno diminuendo la sua affinità con esso.
La CO2 partecipa ad una reazione reversibile di carbossilazione dell’emoglobina, ovvero le
estremità amminoterminali delle subunità globiniche reagiscono con la CO2 per produrre la
carboamminoemoglobina. Legame spontaneo e non catalizzato che stabilizza lo stato T à la
reazione produce anche H+, i quali spingono il pH verso il basso.
Tutte le reazioni che vedremo nella seconda parte del corso sono regolate da enzimi.
Cinetica Enzimatica
E + S ⇌ ES ⇌ E + P
Gli enzimi (per il 99.9% sono proteine e prevalentemente proteine globulari) sono
catalizzatori biologici, ovvero accelerano reazioni chimiche che sono, dal punto di vista
termodinamico, favorite. Se il ∆G è negativo, l’enzima velocizza la reazione che
avverrebbe comunque spontaneamente, se il ∆G è positivo l’enzima non compie nessuna
funzione perché la reazione non è spontanea.
• Non possono alterare l’equilibrio della reazione ma solamente accelerare la velocità
di reazione riducendo l’energia di attivazione richiesta per iniziare la reazione
o Se la ΔG di una reazione è negativa (es: ΔG = 30 – 50 = -20), allora la
reazione sarà spontanea dal punto di vista termodinamico perché il prodotto
è più stabile. Questa reazione avverrebbe anche senza enzima. L’enzima,
quindi, interviene non toccando la spontaneità ma solo accelerando la
reazione, ma l’equilibrio e la termodinamica rimangono uguali. Lo stesso
enzima non è capace di far avvenire reazioni non spontanee già di loro.
§ Es.: il saccarosio (zucchero da cucina) è molto stabile in condizioni
normali, ma la sua dissociazione in glucosio e fruttosio è molto
favorita termodinamicamente. L’unica cosa che impedisce la
dissociazione è che questa reazione è molto lenta (molti anni). Un
enzima invece riesce a far avvenire una reazione del genere in una
frazione di secondo, ma non influisce sulla spontaneità.
• Dalla regolazione degli enzimi dipende l’adattabilità metabolica
• Permettono alle reazioni di andare verso condizioni che l’organismo può tollerare (in
tempi biologicamente compatibili)
• Può processare milioni di molecole ogni secondo
• Gli enzimi agiscono in modo molto specifico, solo con pochi tipi di molecole
(substrati): sono molto stereospecifici!
o Es.: nella glicolisi ci sono dieci tappe; per ognuna di queste tappe ci sarà un
enzima diverso stereo-specifico per il suo substrato.
Reazione tipo
S ⇌ P (substrato che diventa un prodotto)
Questa è una reazione di primo ordine (una specie sola che si trasforma in un’altra) ma esistono
anche reazioni di secondo, terzo, etc. ordine che coinvolgono più specie.
Bisogna ricordarsi che esiste sempre anche la possibilità della reazione inversa (P che diventa S).
Tra S e P c’è una differenza di energia libera che rende la reazione spontanea,
ma il percorso non è una retta, poiché prima di andare a formare P, S con i suoi
legami covalenti va incontro a una serie di rotture e formazione di nuovi legami e
durante questo percorso di trasformazione abbiamo una forma effimera,
intermedia, dove alcuni legami si stanno rompendo e altri formando. Questa
specie intermedia, difficile da catturare perché ha una stabilità molto transiente nel
tempo (ha un tempo di permanenza di picosecondi), si chiama “Stato di
transizione”. Questa è una specie altamente instabile, con un alto contenuto di
energia libera.
Per far avvenire la reazione dobbiamo superare questa barriera energetica
∆G=∆GI°+ RT ln [C]c[D]d/[A]a[B]b
dove ΔGI° (variazione di energia libera standard biochimica) = GCD – GAB
Perciò le concentrazioni delle specie hanno un impatto enorme sulla reazione, anche
perché il ΔGI° rimane sempre uguale poiché i valori di energia libera di determinate specie
sono sempre quelli.
Es.: tornando alle 10 fasi della glicolisi, se in una delle fasi la variazione di energia sarà
negativa, allora l’enzima catalizzerà la reazione diretta. Se invece la variazione diventa
positiva (a causa di un cambio di concentrazione, etc.) allora l’enzima catalizzerà la
reazione inversa.
La ΔGI° nella maggior parte delle reazioni metaboliche sarà modesta o molto
grande? La maggior parte delle reazioni biochimiche ha ∆GI° che tende a zero, il
che rende la reazione reversibile.
Numerose reazioni delle vie metaboliche del nostro organismo, infatti, hanno ∆GI° finale
prossimo a zero; questo costituisce un vantaggio perché la reazione può essere più
facilmente controllata in un senso o nell’altro, quindi la reazione può essere reversibile a
seconda di come cambiano le condizioni fisiologiche (concentrazioni).
Ma se una reazione è spontanea non significa che sia veloce, potrebbe avvenire in
tempi lunghissimi (quindi, in termini biologici, è come se non avvenisse).
Es.: la tendenza dell’ATP di perdere un fosfato e diventare ADP è paurosa, perché
c’è la repulsione delle cariche negative e perdendo un gruppo fosfato diventa più
stabile (ΔGI° = -33KJ/mol). Ma allora come fa a stare dentro le cellule, non dovremmo
nemmeno avere tracce di ATP? La risposta sta nel fatto che questa reazione è lenta
e avremo bisogno di opportuni enzimi.
S⇌P
Velocità = k1 (S) à Molarità/secondi
(inversamente proporzionale all’energia di attivazione)
Velocità reazione inversa = k-1 (P)
• Dove k1 è la costante cinetica della reazione diretta e S è la concentrazione del substrato (M).
• k-1 invece è la costante cinetica della reazione inversa e P la concentrazione del prodotto (M).
Ogni trasformazione, quindi, si porta dietro una costante cinetica (con unità di misura moli/(s)(M)).
La costante cinetica determina la velocità con cui una specie si trasforma in un’altra.
L’energia di attivazione (ΔGI) ci fornisce k. Quanto più k è elevata, tanto più bassa è l’energia di
attivazione e viceversa.
L’unico modo in cui l’enzima può modificare la velocità di una reazione è intervenire
sull’energia di attivazione della reazione stessa.
Quindi, l’enzima fornisce una via alternativa di reazione con una energia di attivazione più
bassa e perciò una k più alta, partecipando/interagendo con il substrato e tutti gli intermedi
che si generano.
Reazione Enzimatica Tipo
E + S ⇌ ES ⇌ EP ⇌ E + P [Reazione catalizzata; si
crea il complesso enzima-substrato, ES]
Ricapitolando:
SITO ATTIVO à regione specifica delle molecole enzimatiche dove il substrato si lega e
reagisce per formare il prodotto. Esistono due modelli per interpretare l’interazione sito
attivo-substrato:
• Modello chiave-serratura: l’enzima è una serratura in cui può girare solo la chiave
specifica
• Modello adattamento induttivo (quello corretto): la forma assunta dall’enzima è
adatta a far avvenire la reazione solo dopo che questo si è legato al substrato. Tale
fenomeno serve a portare i gruppi funzionali specifici dell’enzima nell’orientamento
corretto necessario per la catalisi della reazione.
Reversibilità delle reazioni enzimatiche:
A. l’enzima favorisce il raggiungimento dell’equilibrio, quindi catalizza anche la
reazione inversa (A ⇌ B)
B. Ma, se B è substrato di una reazione successiva, la prima reazione diventa
praticamente irreversibile (A –> B ⇌ C). Questa è la strategia delle vie
metaboliche concatenate (che possono essere lineari, circolari, etc.)
C. Ciò vale anche per catene molto lunghe di reazioni (catene enzimatiche)
Tipi di catalisi:
L’enzima, per catalizzare, deve avvalersi di strategie. Tre sono quelle principali:
• Catalisi Acido-Base à l’enzima, a livello del sito attivo, ha catene laterali di amminoacidi in grado
di cedere o acquisire protoni.
• Catalisi covalente à l’enzima, a livello del suo sito attivo, forma un legame covalente con un
intermedio della reazione
• Catalisi da ioni metallici (concetto di cofattore) à l’enzima, nel suo sito attivo, ha dei cationi che
favoriscono la reattività di alcuni gruppi.
Esistono enzimi che usano solo una di queste strategie, ma anche enzimi che usano una
combinazione di queste.
Cinetica enzimatica
Obiettivo principale: costruire un’equazione che potesse descrivere in generale il
comportamento cinetico degli enzimi e quindi determinare parametri cinetici più importanti
(KM, Vmax, costante di specificità, costante catalitica) che sono la carta d’identità di ogni
enzima, misurando la velocità della reazione catalitica à conoscendo questi parametri
sapremo le condizioni e le concentrazioni del substrato che dobbiamo processare, a cui
dovremo sottoporre l’attività dell’enzima per aspettarci una catalisi efficiente.
Dobbiamo essere in grado di misurare nel tempo
la conversione dei reagenti nei prodotti, in base
alla concentrazione del substrato.
Mantenendo costante la concentrazione
dell’enzima, cosa capita alla velocità della
reazione se aumento la concentrazione del
substrato?
L’andamento di quanto prodotto si genera nel
tempo è: all’aumentare della concentrazione del
substrato, si ha un aumento dell’attività
enzimatica, ma essa non è lineare per sempre
(solo all’inizio), ma raggiunge in seguito una sorta
di plateau. La reazione va verso una velocità che
cala e arriva fino a raggiungere un equilibrio.
• Kcat (costante catalitica, detta anche numero di turnover): ci dice l’efficienza di un enzima, è il
numero massimo di molecole di substrato convertite in prodotto nell’unità di tempo da una
molecola di enzima (quando l’enzima è saturo).
o Nel caso di reazioni complesse con molte tappe catalitiche, la costante catalitica è data dal
contributo di tutte le costanti di velocità nei singoli step. Se una di queste velocità è molto più
lenta delle altre, allora Kcat sarà uguale alla K di quello step.
La costante catalitica ci dice l’efficienza catalitica, ma non la sua KM, perciò ci dice come si fa ad
arrivare alla velocità massimale, ma non ci dice se quella velocità è elevata o no.
Al contrario, la KM ci dice qual è la concentrazione a cui si raggiunge la velocità semi-massimale, ma
non l’efficienza catalitica.
Es.:
• Scenario 1: due enzimi con apparente stessa capacità catalitica (stessa Vmax) ma KM differenti
• Scenario 2: due enzimi con Vmax diverse ma stessa KM
Perciò, presi da soli, questi due valori ci dicono solo una parte della storia
I ricercatori, quindi, non usano mai questi due valori da soli ma la costante di specificità.
• Costante di specificità: che è l’esatto integrale tra queste due cose, cioè il rapporto tra
l’efficienza catalitica (Kcat) e l’affinità tra enzima e substrato (KM) à costante di specificità =
Kcat/KM. Perciò la costante di specificità definisce l’efficienza catalitica di un enzima. L’enzima
migliore avrà Kcat alto e KM basso e perciò una costante di specificità elevata. Parametro cinetico
che dipende in maniera diretta dalla frequenza di interazione tra E ed S e dall’efficienza con cui E
ed S si legano all’interno della soluzione.
I valori di Kcat e KM sono legati alle condizioni biologiche in cui l’enzima si trova ad operare
e dipendono dal substrato, dalla sua concentrazione e della chimica delle reazioni da
catalizzare. I valori possono non coincidere.
Qual è il limite massimo alla velocità di una reazione, che non si può superare? Quello della
velocità con cui due molecole si incontrano, ovvero la velocità di diffusione (picosecondi).
Questo vale in condizioni normali, tranne se le due molecole si attirano per motivi elettrostatici
(Effetto Circe).
A seconda del tipo di inibitore, l’impatto sulla KM e sulla Vmax cambia in maniera drasticamente
diversa:
• Inibizione reversibile competitiva: l’enzima o lega il substrato o l’inibitore. Chi vince è in
relazione a due parametri:
o A favore della specie più concentrata (concentrazione maggiore)
o Affinità di enzima per le due specie separate (inibitore e substrato). Se la costante di
affinità è superiore per l’inibitore allora si legherà ad esso.
Perciò: A bassa concentrazione di substrato, con affinità simili, vince l’inibitore.
A parità di concentrazioni di substrato, se non ho l’inibitore, avrò una velocità x, se metto
l’inibitore la velocità (iniziale) cala.
Se la quantità di substrato diventa molto più grande dell’inibitore, vince il substrato. A
elevatissime concentrazioni di substrato, perciò, l’inibizione sarà trascurabile e la Vmax verrà
raggiunta ugualmente, ma più lentamente perché nella prima parte viene inibita. La curva si
sposta verso destra e perciò la KM aumenta, anche se la Vmax rimane invariata.
Tutti gli enzimi hanno perciò un loro pH ottimale a cui esercitano la loro funzione in
modo massimale.
Es.:
Meccanismi di azione
Tipi di catalisi:
a) catalisi covalente (l’enzima e alcuni intermedi della reazione ingaggiano un
legame covalente, che naturalmente poi si romperà)
b) catalisi acido-base (a livello del sito attivo ci sono catene laterali che cedono o
acquistano protoni per far avvenire la reazione)
c) catalisi da ioni metallici (enzimi che a livello del loro sito attivo hanno dei cationi/ioni metallici
che sono direttamente coinvolti nella catalisi)
Gli enzimi possono usare contemporaneamente più di un tipo di catalisi.
Nucleotidi à sono costituiti da uno zucchero, ribosio (per DNA deossiribosio) che
presenta in posizione 3’ un OH, in posizione 1 la base azotata e in posizione 5’ CH2
legato a tre fosfati con tutti i suoi ossigeni.
Questo è il nucleotide trifosfato. Quando
parliamo delle posizioni del ribosio usiamo
sempre il suffisso ‘ (primo). I tre fosfati
vengono nominati in base alla distanza dal
5’ con alfa, beta e gamma.
Il legame tra un nucleotide e l’altro è
formato da un legame fosfodiesterico, il
quale si diparte dal 3’ di un nucleotide con
un ossigeno, un fosfato e arriva
all’ossigeno del 5’ del secondo nucleotide.
Abbiamo detto che la DNA-pol ha
bisogno di uno stampo per partire.
Questo innesco è complementare al
filamento stampo.
Cos’è che rende questa reazione irreversibile che sarebbe, normalmente, reversibile (∆G
leggermente negativo)? É irreversibile perché il pirofosfato che viene generato viene
subito idrolizzato da una fosfatasi (che si chiama pirofosfatasi inorganica) che scinde il
pirofosfato in due fosfati inorganici. Questa reazione di idrolisi del pirofosfato ha un ∆G
marcatamente negativo; pertanto, nel momento in cui il pirofosfato viene “tirato via”, la
reazione inversa non può più avvenire.
Catalisi covalente (e catalisi acido-base): Catalisi degli enzimi proteolitici (serina proteasi)
Le proteasi sono enzimi che catalizzano la rottura del legame peptidico (il 2% del genoma umano
codifica per delle proteasi, sono una famiglia enorme). Esse sono fondamentali per i batteri e per
tanti processi fisiologici (sviluppo, digestione e coagulazione del sangue).
Le due fasi scandiscono le reazioni che avvengono, tra le due fasi c’è la formazione di un
complesso intermedio con legame covalente tra enzima e intermedio (da qui il nome di
catalisi covalente)
Questa è la catalisi covalente, mediata anche da una catalisi acido-base (istidina che si
comporta da acido o base).
L’enzima, come sappiamo, accelera le reazioni fornendo una via alternativa allo svolgimento della
reazione e stabilizza lo stato di transizione (così abbassa l’energia di attivazione). L’enzima ha una
tasca che stabilizza l’ossianione, fatto che abbassa l’energia di attivazione.
Quando si genera l’ossianione, quindi, questo è “accolto”
da altri amminoacidi vicino alla triade catalitica che lo
stabilizzano e quindi ne abbassano l’energia libera
abbassando il picco di energia di attivazione. Questa
regione è chiamata buco ossianionico.
Se vi sono mutazioni genetiche che vanno a colpire la
tasca dell’ossianione mentre la triade rimane perfetta, la
serina proteasi non funzionerà.
Per questa ragione, gli enzimi proteolitici nella maggior parte dei casi
vengono generati sotto forma di precursori inattivi che, d’ora in poi,
chiameremo con il termine di “zimogeno”. Lo zimogeno deve andare
incontro ad attivazione per dare origine all’enzima cataliticamente
competente. Ed è proprio quello che capita nella produzione degli
enzimi digestivi, solo una volta che sono nel lume intestinale questi
possono essere convertiti nell’enzima attivo per la digestione.
Il taglio nel sito di attivazione determina modificazioni conformazionali del dominio catalitico e
la formazione del sito attivo della serin proteasi. Dopo il taglio si portano vicini gli aa della
triade catalitica, si genera il buco dell’ossianione, si genera la tasca che accoglierà
l’amminoacido da tagliare in prossimità e l’enzima diventa cataliticamente competente.
Tutto sta nella formazione del legame salino, senza di esso non si genera l’enzima attivo.
Quindi adesso capiamo l’altra metà della dipendenza delle serin proteasi dal pH à Tripsina,
chimotripsina ed elastina sono serin proteasi digestive che agiscono a livello dell’intestino e si
differenziano per la specificità e agiscono intorno a pH che si aggira intorno alla neutralità. Se
io calo il pH tendo a protonare le catene laterali; se protono le catene laterali chi si può
protonare è l’istidina della triade catalitica, quindi si protona e non è più capace di strappare il
protone alla serina della triade, quindi non abbiamo attività (ecco perché le serin proteasi non
funzionano a pH più basso della neutralità).
Se invece aumento il pH le catene laterali tendono a deprotonarsi. Dopo il taglio proteolitico
dello zimogeno si genera un nuovo amminoterminale che è cruciale per formare un ponte
salino con l’asp 194 in prossimità della triade catalitica, ma se io aumento il pH e questo
amminoterminale si deprotona, il ponte salino non si può più formare e quindi non abbiamo
attività neanche in questo caso, perché l’enzima non riesce a raggiungere la conformazione
necessaria.
La specificità
Partiamo dal livello più basso, dalle serinproteasi della digestione, che a livello intestinale si
preoccupano di idrolizzare il legame peptidico delle proteine ingerite (praticamente
frammentano le proteine in peptidi più piccoli che poi verranno tagliati ulteriormente da altre
peptidasi per produrre gli aa separati). Assumiamo di avere tre proteine da digerire e le serin
proteasi della digestione (tripsina, chimotripsina ed elastasi), possiamo immaginare un enzima
digestivo con una specificità precisa per una determinata proteina? NO, perché non
basterebbe il nostro intero genoma per avere abbastanza proteasi per tutte le diverse
proteine. Infatti, le serin proteasi della digestione digeriscono i legami peptidici non
riconoscendo la proteina ma riconoscendo l’amminoacido che precede il legame da tagliare.
In altre parole:
• La tripsina taglia dopo tutti gli aa che sono carichi positivamente (lisina, arginina).
• Differentemente, la chimotripsina taglia dopo aa idrofobici ed aromatici (triptofano,
fenilalanina, tirosina).
• L’elastasi, invece, taglia dopo aa con piccole catene laterali
Questo metodo è molto più efficace della specificità a una singola proteina, è impossibile che
queste serin proteasi non trovino un punto da tagliare.
Ecco la specificità degli enzimi della digestione, riconoscono la catena laterale dell’aa che
precede il legame da tagliare. Ma come fanno a riconoscerlo? Lo riconoscono perché in
prossimità della triade c’è una regione chiamata “tasca di specificità”, detta anche dai
biochimici “S1 specificity pocket” ed è proprio questa taschina che ha la caratteristica per
accogliere in maniera specifica le catene laterali degli aa che poi saranno quelli che
precedono il legame da tagliare. Quindi, quello che differenzia la tripsina dalla chimotripsina
dall’elastasi è come è fatta la tasca di specificità.
• Se è vero che la tripsina taglia
dopo aa carichi positivamente,
chiaramente nella tasca sarà
presente un aa carico negativo
(un aspartico), in tale maniera si
forma un legame ionico.
• Differentemente la chimotripsina
che accomoda gli aa aromatici e
ha quindi la catena laterale
grande ha una tasca di
specificità grande, capiente,
senza cariche.
• L’elastasi, con aa con catene
laterali piccoline e
idrocarburiche, ha una tasca piccola, occupata da catene laterali che la rendono
piccolina.
Questa però è la versione più semplice della specificità, si può arrivare a specificità molto
maggiore andando a vedere la coagulazione del sangue.
Queste interazioni appena viste non sono infatti sufficienti a garantire la specificità di taglio di
molte serin proteasi in altri processi.
Es: noi abbiamo la trombina (convertita dal suo precursore protrombina), essa ha quattro
diversi substrati, eppure se andiamo a guardare i punti sui substrati sui quali la trombina
taglia, scopriamo che taglia sempre dopo una arginina. Come fa a riconoscere questi substrati
e a tagliare proprio lì? Potrebbe essere perché intorno a quell’arginina c’è una sequenza
peptidica che accomuna i quattro substrati? Se fosse così, io dovrei ritrovare intorno al punto
di taglio delle similitudini nei vari substrati
tagliati dall’unico enzima trombina; quindi,
questa non è la risposta. La verità è che
la trombina (macromolecola da 400+ aa)
taglia il suo substrato (altra
macromolecola di centinaia di aa) in
unico punto perché non riconosce
direttamente il punto di taglio, ma prima
di farlo ingaggia estese interazioni
macromolecolari.
Quello che capita, perciò, è che prima
queste macromolecole interagiscono a
livello di regioni molto lontane dal sito
attivo (chiamate “esositi”); dopo aver
formato il complesso macromolecolare,
quell’arginina specifica del sito di taglio si
troverà vicino al sito attivo.
Perciò questo è un passaggio più
complesso di determinanti di
specificità. Solo se il substrato e
l’enzima sono quelli giusti, si
genererà l’esteso network di
interazioni lontane dal sito attivo che
collocheranno la specifica arginina
nel sito attivo.
In queste numerose interazioni partecipano non solo l’enzima, ma spesso anche i suoi cofattori
Determinanti di specificità a complessità crescente:
• Substrato di piccole dimensioni (es. glucosio) e un enzima con il suo sito attivo à il
substrato piccolino non fa altro che, per ragioni cinetiche e probabilistiche, entrare nel
sito attivo, dove poi si ingaggiano interazioni specifiche che rendono conto della
specificità tra il substrato e l’enzima, e qui avviene la catalisi.
• Serin proteasi della digestione (es. chimotripsina) à enzima con tasca di specificità
dentro alla quale viene accomodata la catena laterale dell’aa che precede il punto di
taglio. Non c’è un riconoscimento specifico della proteina in quanto macromolecola.
• Interazioni tra un enzima macromolecolare con tasca di specificità e un substrato
macromolecolare (prevale nei complessi fisiologici complessi) à prima i due partner
interagiscono attraverso interazioni specifiche in regioni lontane dai siti attivi/di taglio
(esositi), solo dopo le interazioni si forma il complesso e nel sito attivo si andrà a
posizionare il punto da tagliare.
o Tanti farmaci anticoagulanti di nuova generazione vanno a interferire con gli
esositi, in maniera tale che l’enzima della coagulazione non venga a interagire
male con il substrato quindi spegniamo la coagulazione per prevenire eventi
trombotici.
Le altre macromolecole
Carboidrati e glicobiologia
I carboidrati sono le molecole più abbondanti sulla Terra, sono importantissime ed hanno numerose
funzioni:
• energetico/riserva energetica à basti pensare agli zuccheri da cui il nostro organismo trae
una quota parte importante di energia ed alcuni tessuti, come il cervello, utilizzano
principalmente gli zuccheri, il glucosio in particolare. Altri tessuti, invece, per esempio il
muscolo e il fegato, sono sì in grado di utilizzare gli zuccheri ma buona parte della loro energia
viene tratta dai lipidi. I neuroni e il sistema nervoso centrale, invece, non possono utilizzare i
lipidi perché essi non passano la barriera ematoencefalica, ovvero la barriera che divide la
circolazione sistemica normale da quello che è il circolo all’interno del sistema nervoso
centrale. Per questa ragione, quando andiamo in ipoglicemia, chi soffre per primo è il cervello;
infatti, in condizioni ipoglicemiche si può andare incontro a coma proprio per mancanza di
glucosio e di zuccheri sufficienti a livello del sistema nervoso centrale. Gli zuccheri hanno
funzione energetica sia nelle piante/vegetali (basti pensare all’amido) sia a livello dei nostri
muscoli o del fegato (basti pensare al glicogeno).
• strutturale à per esempio è uno zucchero quello che compone la parete (peptidoglicano)
delle cellule vegetali. Anche la cellulosa nelle piante è fondamentalmente uno zucchero (basti
pensare alla carta, cotone). Anche i costituenti della matrice extracellulare sono
zuccheri/carboidrati; anche il liquido sinoviale, che sta dentro le nostre articolazioni, è un
carboidrato. Perciò in questi esempi ci sono componenti di carboidrati che rendono conto di
ruoli strutturali nella ECM o di ruoli di lubrificazione, per esempio dove ci sono i capi articolari
che si muovono all’interno delle articolazioni.
• funzionale à comunicano informazioni. Ad esempio, nel traffico intracellulare delle proteine,
un mannosio-6-fosfato è il marker che porta le proteine in un compartimento o in un altro. Gli
zuccheri sono anche un codice sulla superficie delle proteine che permettono interazioni
specifiche con ligandi.
Monosaccaridi: scheletri carboniosi che vengono definiti come poliidrossi (quindi con
numerosi gruppi OH) aldeidi o poliidrossi chetoni, a seconda del gruppo funzionale (se è
aldeidico o chetonico) e quindi
possiamo distinguere, a livello dei
monosaccaridi, gli aldosi e i chetosi.
Lo scheletro carbonioso può essere
più o meno lungo, oscilla tra i 3 e i 7
atomi di C in natura. Quelli più comuni
sono a 5 (ribosio e deossiribosio) o a
6 (glucosio, fruttosio, ecc.) atomi di C.
Il glucosio, ad esempio, è un
aldoesoso, mentre il fruttosio è un
chetoesoso. La presenza di numerosi
gruppi OH rende i monosaccaridi solubili in acqua, in virtù del fatto che in acqua possono
ingaggiare estese interazioni a legame idrogeno con l’acqua.
Questa è la forma lineare degli zuccheri, tuttavia, quando gli zuccheri sono in soluzione
acquosa (ovvero nella norma dentro la cellula), vanno incontro a delle reazioni
intramolecolari non catalizzate/spontanee per assumere delle forme cicliche.
Prendiamo a modello il D-glucosio nella sua
forma lineare, in soluzione acquosa quello che
capita è che avviene una reazione
intramolecolare tra un gruppo ossidrilico OH e il
carbonio carbonilico del gruppo aldeidico o
chetonico (prono a ricevere un attacco
nucleofilo). Perciò, quelle che succede è che
l’OH del carbonio 5 (solo in questa posizione
per questione di stabilità della forma ciclica che
si genera) fa un attacco nucleofilo sul carbonio
carbonilico per dare origine a una struttura
ciclica a sei atomi (eterociclica a sei atomi);
naturalmente quello che rimane fuori dall’anello è il carbonio 6 con il suo CH2OH.
Questa struttura ciclica si chiama struttura emiacetalica, è un emiacetale. Se al posto
del gruppo aldeidico avessimo avuto un gruppo chetonico a ricevere l’attacco nucleofilo,
la struttura ciclica si sarebbe chiamata struttura emichetalica, sarebbe un emichetale.
Il carbonio carbonilico nella struttura lineare non era chirale, tuttavia, nella struttura ciclica
il carbonio 1 diventa un nuovo centro chirale e questo carbonio 1 nella struttura
emiacetalica viene chiamato carbonio anomerico.
Se è vero che questo carbonio è un nuovo centro chirale, significa che l’OH può stare
verso l’alto, come in questa reazione, o verso il basso (dipende da come avviene l’attacco
nucleofilo). Possiamo quindi distinguere due stereoisomeri differenti (due anomeri
differenti), uno con l’OH verso l’alto e l’altro con l’OH verso il basso. Queste due strutture
sono due strutture diverse e non interconvertibili direttamente, l’unico modo è che si riapra
l’anello e che si richiuda nell’altra maniera, perciò dobbiamo passare sempre attraverso
l’apertura dell’anello e quindi la forma lineare. Queste due forme cicliche assumono dei
nomi, se l’OH è verso l’alto si dice che questa è la forma β, se è verso il basso si dice che
questa è la forma α.
In soluzione acquosa, queste tre forme non sono ugualmente rappresentate ma ce n’è
qualcuna più stabile rispetto alle altre. Sicuramente sono più stabili le forme eterocicliche
chiuse rispetto a quella lineare. Se dovessimo dare le proporzioni in soluzione acquosa,
stimiamo che 1/3 sia nella forma α, 2/3 nella forma β e una percentuale bassissima nella
forma lineare, ma TUTTE queste forme sono presenti in un equilibrio.
Il fatto che queste forme siano interconvertibili ci porta al processo della mutua
rotazione. In altre parole, se è vero che l’isomero β ruota la luce polarizzata in un senso e
l’α nel senso opposto, se noi prendessimo solo una delle tre forme, dopo un po’, si
raggiunge un equilibrio con le proporzioni viste sopra.
(NB: Sui testi, tanto più il segno di legame nella forma ciclica è spesso, tanto più vuol dire
che sta venendo verso di noi; tanto più è sottile, tanto più si sta allontanando da noi
dentro lo schermo)
Queste strutture scritte così possono sembrare planari, ma in realtà, per ragioni di
stabilità, questi anelli non sono mai planari. In realtà vengono assunte due possibili
conformazioni (non configurazioni, quindi sono interconvertibili) chiamate conformazioni
a sedia, tipico degli anelli a 6 atomi di C. In questa conformazione a sedia, i sostituenti
attorno a ogni posizione possono avere un orientamento assiale o equatoriale.
Ora possiamo capire perché la forma β sia più stabile della forma α. I due anomeri si
differenziano per l’OH in posizione 1
che nella forma α è assiale (vicino
all’altro OH in posizione 2) e nella
forma β è equatoriale (forma più stabile
termodinamicamente poiché l’OH in
posizione equatoriale si allontana
dall’anello) e questo spiega perché in
soluzione è maggiormente presente la
forma β.
L’anello a 5 atomi di C, invece, assume
una conformazione a barca.
Una conformazione di un tipo rispetto all’altra ha profonde ripercussioni sulla
macromolecola (in termini di conformazione generale) che contiene queste conformazioni.
La glicobiologia è molto più variegata persino rispetto agli amminoacidi. La sequenza degli zuccheri
non è scritta sui geni come per le proteine, ci sono enzimi che aggiungono monosaccaridi per
generare polisaccaridi e il fine controllo sulla dimensione, per quanto fine sia, non sarà mai blindato
come la trascrizione dei geni e la traduzione nei ribosomi; quindi, c’è molta variabilità nelle strutture
dei glicani.
Non bisogna essere sorpresi, quindi, se nelle strutture degli zuccheri si trovano spesso delle
modificazioni di questi zuccheri, ovvero monosaccaridi che sono stati modificati à ad esempio uno
zucchero modificato molto comune nelle strutture biologiche è la β-D-Glucosammina, ovvero una
molecola di glucosio con un gruppo amminico in posizione 2. Altrettanto comune è avere in posizione
2 un gruppo acetilico legato a un gruppo amminico, questo si chiama acetilglucosammina. Un terzo
esempio lo troveremo nella prima tappa della glicolisi, dove parleremo dello zucchero che entra
dentro la cellula con dei trasportatori e una volta entrato viene fosforilato; questa strategia di
fosforilare il glucosio (glucosio-6-fosfato) appena entrato è una strategia che abbiamo evoluto per
blindare il glucosio dentro la cellula, perché se è vero che esistono dei trasportatori per i
monosaccaridi, è peraltro vero che non sono presenti sulle membrane trasportatori per composti
fosforilati.
Ci sono poi altre varianti in cui il glucosio è ossidato; il glucosio può essere ossidato in due posizioni,
in posizione 6 dove c’è il gruppo aldeidico e l’aldeide ossidata diventa gruppo carbossilico
(glucoronato), oppure può essere ossidato dove c’è il carbonio anomerico (gluconato).
L’aggiunta di questi gruppi conferisce proprietà addizionali a questi monosaccaridi. Tutte queste
varianti le possiamo trovare in numerosi contesti.
Polisaccaridi con ruoli strutturali: un esempio perfetto per capire quanto i legami siano
importanti è la cellulosa. Mentre il glicogeno e l’amido sono composti da α-glucosio, nel
caso della cellulosa abbiamo un polimero sempre di glucosio ma, in questo caso, il
legame è il β-1,4 (la configurazione del glucosio è β). Questo ha profonde ripercussioni
sulla struttura tridimensionale che il polimero assume, perché se abbiamo il legame β-1,4,
la cosa più termodinamicamente sensata è che i
monosaccaridi si distendano e assumono una
configurazione lineare, dove una struttura a
sedia è girata alla rovescia rispetto all’altra.
Perciò tutta questa catena è lineare.
Glicoconiugati: molto spesso gli zuccheri sono legati anche alle altre macromolecole e
abbiamo:
• Proteoglicani
• Glicoproteine
• Glicolipidi
Quindi abbiamo uno zucchero che può essere unito covalentemente a proteine o a lipidi
(glicolipidi). L’unione tra zucchero e proteine può dare origine a due classi di
macromolecole, le glicoproteine e i proteoglicani. In entrambi i casi c’è una componente
zuccherina e una proteica. Quello che li distingue è il rapporto di proporzioni in cui si
trovano i due componenti. La glicoproteina è fondamentalmente una proteina con una
piccola componente di zucchero. Il proteoglicano, invece, vede lo zucchero come parte
più grande, con una piccola componente proteica.
Quindi, pensando alla glicoproteina, abbiamo una proteina sulla cui superficie sono legate
corte sequenze oligosaccaridiche. La maggior parte delle proteine circolanti sono delle
glicoproteine, con delle componenti zuccherine all’esterno che possono aiutare il folding
della proteina o partecipare a interazioni specifiche.
Nel caso dei proteoglicani, invece, abbiamo dei
glicosamminoglicani enormi che sono tenuti assieme da
un piccolo “scaffold”/scheletro proteico.
I nucleotidi hanno anche altre funzioni oltre al famoso ruolo che svolgono nel DNA e RNA:
• Trasportatori di energia chimica
• Cofattori enzimatici
• Molecole regolatrici
Cosa vuol dire trasportatori di energia chimica? L’esempio chiave è l’ATP, ovvero la molecola/
“moneta” di scambio energetico, è il segnale del bilancio energetico positivo di una cellula e viene
sintetizzato nelle reazioni cataboliche (quando andiamo ad ossidare i nutrienti) o nella fotosintesi (se
pensiamo alle piante). L’ATP viene consumato, invece, nelle vie endoergoniche, ovvero quelle
anaboliche (ATP serve per far funzionare le pompe sulle membrane, per il lavoro meccanico, alla
contrazione muscolare, per la biosintesi delle molecole); tutti questi processi richiedono energia e
l’ATP è la fonte principale per far funzionare questi processi. Quindi le reazioni del catabolismo e
dell’anabolismo sono accoppiate a reazioni di sintesi e idrolisi dell’ATP. In alcuni casi avremo bisogno
di sintetizzare ATP e lo faremo fosforilando la sua versione defosforilata, l’ADP. Vedremo come alla
fine di tutto il processo catabolico, a livello della fosforilazione ossidativa, grazie all’attività dell’ATP-
sintasi, a livello del mitocondrio viene sintetizzato ATP.
Quando avremo bisogno, invece, di energia per far avvenire reazioni, l’ATP si convertirà in ADP
perdendo un gruppo fosfato.
Da qui il concetto delle reazioni accoppiate.
Perché l’ATP tende con tanta spontaneità a perdere il gruppo fosfato? Ogni volta che una
molecola si converte in un’altra, dobbiamo ragionare sulla termodinamica. Se andiamo a guardare la
stabilità dell’ATP e dell’ADP, possiamo immaginare una variazione di energia libera molto negativa (-
30,5 kJ/mole), perciò vediamo che l’ATP è molto più instabile dell’ADP + un gruppo fosfato. Vista
così, la tendenza dell’ATP a convertirsi in ADP è estremamente alta, raramente vedremo composti
nelle nostre reazioni metaboliche che hanno dei ΔG così negativi. Tuttavia, la conversione di ATP in
ADP + fosfato (una reazione di idrolisi), è una reazione che avverrebbe in tempi lunghissimi, in virtù
del fatto che l’energia di attivazione è estremamente elevata; perciò, questa reazione avviene solo se
catalizzata da enzimi.
Ma perché l’ATP è meno stabile? La ragione è che l’ATP presenta 3 gruppi fosfato attaccati l’uno
all’altro (α, β e gamma, come nella DNA-pol), questi 3 gruppi fosfato hanno degli ossigeni carichi
negativi e quindi si respingono, ci sono forze repulsive che lo rendono instabile. Quando, grazie
all’idrolisi (ma non sarà l’acqua a intervenire e lo vedremo), viene perso il gruppo fosfato, le due
specie che si producono, ovvero il fosfato inorganico e l’ADP, sono molto più stabili della molecola di
partenza, ecco perché il contenuto di energia libera cala; il fosfato inorganico è stabilizzato per
risonanza, mentre l’ADP, avendo due gruppi fosfato, ha una minore repulsione tra le cariche
elettriche.
A questo aggiungiamo il fatto che, in condizioni
normali, i nucleotidi non sono mai soli ma sono
coordinati con cationi (nella cellula è lo ione magnesio
quello che prevale) che, coordinandosi con le cariche
negative, tendono a minimizzare la repulsione tra le
cariche e quindi rende l’ADP ancora più stabile.
Il NAD+ può accettare reversibilmente due elettroni e un protone e da NAD+ si converte in NADH.
Il FAD può accettare reversibilmente due protoni e due elettroni e diventa FADH2 nella forma ridotta.
Il NAD+ è un dinucleotide, infatti si chiama “nicotinammide adenina dinucleotide” ed è il principale
trasportatore di elettroni nell’ossidazione di molecole organiche combustibili. Esso ha da una parte
l’adenina, uno zucchero e un gruppo fosfato (il “primo nucleotide”) e dall’altra un gruppo fosfato, uno
zucchero e una base azotata (il “secondo nucleotide”) che non è quella classica dei nucleotidi degli
acidi nucleici ma, in questo caso, il gruppo funzionale deriva da una vitamina, dalla vitamina PP
(detta anche niacina); questo anello si
chiama anello nicotinammidico e in
condizioni ossidate ha una carica positiva
(NAD+), ma può accettare due elettroni e un
protone sul suo anello (NADH) e questa
reazione è reversibile. Il NAD+ lo troviamo
nelle vie cataboliche, mentre nelle vie
anaboliche l’alter-ego del NAD+ è il NADP+
(che ridotto diventa NADPH), che si
distingue per avere un fosfato nella
posizione 2I del ribosio attaccato all’adenina.
Quindi le deidrogenasi, coinvolte nelle vie
cataboliche, utilizzano il NAD+, mentre gli
enzimi delle vie anaboliche, le riduttasi, utilizzano il NADP+.
Accanto a questo possiamo trovare il FAD, anch’esso un dinucleotide, formato da una adenina,
ribosio e gruppo fosfato nel primo nucleotide, da una base azotata più complessa nel secondo
nucleotide, persino più complesso dell’anello nicotinammidico; abbiamo infatti 3 anelli eterociclici con
l’azoto. Anche questa base azotata deriva da una
vitamina, la riboflavina, da cui il nome del
complesso che si chiama “flavin adenin
dinucleotide”. Ed è proprio su questo anello che
possono essere accolti in maniera reversibile due
protoni e due elettroni ed è per questo che
parliamo del passaggio da FAD a FADH2. Anche
il FAD è coinvolto solo nelle reazioni cataboliche
e non in quelle anaboliche.
Esiste una variante del FAD che si chiama FMN,
“flavin mononucleotide”, usato pochissimo dagli
enzimi del metabolismo. Quello che cambia tra i
due è che l’FMN ha solo la parte superiore e
quindi è un mononucleotide.
La terza funzione dei nucleotidi è il fatto che molti di essi sono anche molecole regolatrici
Le vedremo nel metabolismo, quando l’ATP sarà un modulatore di enzimi delle vie metaboliche.
L’ATP extracellulare è anche un messaggero di informazioni che ha degli opportuni recettori e che
regola le funzioni cellulari.
Lipidi
I lipidi sono molecole accumunate dal fatto di avere una pochissima, in alcuni casi nulla,
solubilità in acqua (ex. Oli).
I lipidi sono una classe eterogenea di composti e possono avere varie funzioni:
• Di riserva energetica à a livello degli adipociti, i lipidi lì accumulati sono una riserva che ci
permette di sopravvivere per settimane, se non mesi (riserve di glicogeno, invece, sono
prontamente disponibili in pochissimo tempo, possiamo mobilizzare il glucosio demolendo
il glicogeno, tuttavia le riserve di glicogeno ci permettono di utilizzarlo per al massimo una
giornata). Abbiamo diversi chili di riserve lipidiche accumulati sotto la cute corporea.
• Lipidi strutturali à le membrane
• Vitamine importanti per la visione, per l’assorbimento del calcio (vitamina D)
• Ormoni (ex. Ormoni steroidei) à importanti come molecole che poi regolano l’espressione
genica
LIPIDI DI RISERVA:
si parte dal costituente principale e fondamentale:
gli ACIDI GRASSI.
Gli acidi grassi sono degli acidi carbossilici a lunga
catena idrocarburica (idrofobica), possiedono una
testa polare (il COO-), la quale si sposa bene con
l’ambiente idrofilico.
Cosa distingue gli acidi grassi? La lunghezza della
coda idrocarburica (può variare da 4 a 32 atomi di
C, ma quelli più comuni nelle nostre strutture
oscillano tra 12 e 14) e il grado di saturazione,
ovvero la presenza o meno di doppi legami.
• Saturo vuol dire saturo di idrogeni, se non ci sono doppi legami si parla di acido grasso
saturo
• Insaturo quando presenta dei doppi legami
o Possono avere un doppio legame (monoinsaturo), due, tre… (quelli preferibili nella
dieta sono poli-insaturi).
NOMENCLATURA:
se dovessimo definire con la
nomenclatura questo acido grasso a
destra, dobbiamo utilizzare due numeri: il
primo, assumiamo che abbia nc = 16, per
definire la posizione del carbonio si inizia
a numerare i carboni partendo da quello
carbonilico (COOH). Quindi per definire
questo acido grasso, dobbiamo dire quanti atomi di carbonio ha e quanti doppi legami ha (16
atomi di C e 1 doppio legame). Poi, se si è fini, si indica la posizione del doppio legame
mettendo un delta e il numero dell’atomo di carbonio più piccolo che è coinvolto nel doppio
legame:
16:1 (∆* )
*,,,
Ci fossero stati due doppi legami: 16:2 (∆ )
Un acido grasso saturo sarà 16:0.
Questa è la nomenclatura più normale per definire gli acidi grassi.
In altri casi, come nell’ossidazione degli acidi grassi (avviene nel mitocondrio) i ricercatori
possono usare anche le lettere 𝛼, 𝛽, 𝛾, ecc…
• 𝛼 è il carbonio successivo a quello carbonilico, e così via.
La nomenclatura che invoca il termine ω (omega) è per gli acidi polinsaturi che hanno
numerosi doppi legami. In questi acidi grassi polinsaturi è da considerare ω l’estremità più
lontana dal carbonio carbonilico.
• Gli omega 3 sono acidi grassi poli-insaturi con un doppio legame in posizione 3 a partire
dall’ ω.
Chi fa la differenza nelle caratteristiche chimico-fisiche negli acidi grassi è la loro struttura in
termini di lunghezza della coda idrocarburica e in termini della loro saturazione. Questi
parametri sono importanti per determinare il grado di impacchettamento degli acidi grassi
l’uno vicino all’altro e la struttura solida o liquida che hanno a temperatura ambiente.
• In assenza di doppi legami, la tendenza della coda idrocarburica è quella di stare lineare
• La presenza di un doppio legame, ovvero l’impatto nella sua conformazione, porta ad
assumere una piega.
I lipidi, in soluzione acquosa, che hanno un acido grasso con una regione idrofilica (es. testa
polare) e una grande coda idrocarburica apolare, tendono ad impacchettarsi fra loro per dare
origine ad una struttura che tenga tutte le code idrocarburiche vicine tra di loro e le teste
idrofiliche esposte all’acqua in maniera tale che ingaggino interazioni con l’acqua.
Se sono presenti solo lunghe code idrocarburiche lineari (e quindi non sono presenti doppi
legami), come nel grasso animale, quello che si osserva è un impacchettamento molto fine,
ordinato delle code idrocarburiche che possono interagire tra loro attraverso interazioni
idrofobiche; questa rete di interazioni idrofobiche tra le code che si impacchettano
perfettamente a temperatura ambiente spiega come il grasso animale sia solido (vedi burro).
Se invece si prende una miscela in cui prevalgono acidi grassi insaturi con una disposizione
diversa di doppi legami, non c’è la possibilità di impacchettarsi finemente. Quindi si genera
una struttura meno impacchettata saldamente, il che spiega perché, ad esempio, l’olio
vegetale, a temperatura ambiente, sia liquido.
Questo si vede bene se si va ad osservare il punto di fusione, tanto più alto è il punto di
fusione, tanto più tenderà allo stato
solido a temperatura ambiente
• Esempio, un acido grasso saturo a
18C ha punto di fusione a 69°, ma
basta l’inserimento di un doppio
legame 18:1 per far calare
vertiginosamente il punto di fusione
a 13°.
Tanto più è insaturo tanto più il punto di
fusione è basso.
Le gocce lipidiche all’interno degli adipociti sono protette da una proteina (forma di
regolazione). Infatti, noi immagazziniamo negli adipociti i triacilgliceroli e quando ce n’è
bisogno interviene un enzima, la lipasi, che idrolizza il legame estere (attacco nucleofilo sul
carbonio carbonilico con tre molecole di acqua).
• In questo caso c’è la degradazione del triacilglicerolo, la liberazione degli acidi grassi, i
quali vengono messi in circolo per arrivare alle cellule dei vari organi/tessuti
Gli acidi grassi, quando liberi, circolano coniugati in maniera non covalente a una delle
proteine più abbondanti, l’albumina-serica.
Le cere:
sono una variante dei triacilgliceroli, sono degli esteri
in cui l’acido grasso (uno solo) è coniugato con un
alcol a lunga catena. Sono composti altamente
idrofobici, idrorepellenti, infatti le cere vengono
prodotte per rendere idrorepellenti le superfici
(renderle isolate).
LIPIDI STRUTTURALI DELLE MEMBRANE: fosfolipidi
Le membrane sono un doppio strato lipidico
di lipidi con differente composizione:
• Fosfolipidi
• Glicolipidi
• Steroli à derivano dal colesterolo
Perché la membrana è fatta così? È fatta così
perché i lipidi in acqua rispondono al fatto che
sono idrofobici, organizzandosi in strutture
che tendono a minimizzare l’esposizione
all’acqua delle code idrocarburiche (come nel
folding delle proteine).
Questo viene sfruttato a livello farmacologico per testare droghe, farmaci, ecc. perché nel
momento in cui si forma il liposoma, questo porta al suo interno droghe e farmaci
(lipofazione).
• Prendendo fosfolipidi e mettendoli in una soluzione acquosa che contiene il DNA, si
genera il liposoma, quando si richiude contiene al suo interno la soluzione acquosa, se
questa conteneva DNA, o un farmaco, dentro la vescicola si trova il farmaco.
o Questa struttura possiamo quindi usarla come veicolazione di una molecola di
nostro interesse.
Le varie membrane cellulari non hanno composizione uguale, dal punto di vista qualitativo ci
sono tutte le componenti, ma dal punto di vista quantitativo, ovvero la percentuale relativa, la
composizione è molto diversa. C’è quindi una grande eterogeneità nella composizione dei
lipidi delle membrane a seconda del distretto in cui si trovano.
Glicerolfosfolipidi:
costituiti da una struttura comune, il glicerolo, che in
due posizioni (1 e 2) ha una coda idrocarburica e in
posizione 3 ha un gruppo fosfato. Questa è l’unità
elementare dei glicerolfosfolipidi.
Attaccato al fosfato ci può poi essere un sostituente.
La struttura elementare dei glicerolfosfolipidi, con solo
un H come sostituente, si chiama acido fosfatidico.
Ci sono vari tipi di glicerolfosfolipidi presenti nelle
membrane che si distinguono per il sostituente X.
Ci può essere un’amminoacido, una
etanolammina, una colina, un alcol ecc…
Tutti questi glicerolfosfolipidi possono essere
presenti sulle membrane, con ruoli strutturali e
in alcuni casi hanno anche dei ruoli coinvolti
nella segnalazione intracellulare (es.
fosfatidilinositolo).
A seconda del sostituente può avere cariche complessive o di un tipo o di un altro. L’acido
fosfatidico (non ha niente come sostituente) ha una carica negativa -1.
Sfingolipidi:
La sfingosina è un amminoalcol con una lunga
catena; la sfingosina richiama la struttura di un
monoacilglicerolo (hanno scheletro che si
dispone nello spazio nella stessa maniera).
Però è un amminoalcol, presenta un gruppo
amminico in posizione 2, che può essere
coniugato con un legame ammidico ad un altro
acido grasso.
Quando lo scheletro è a sfingosina, si può
avere, come sostituente, un gruppo fosfato e,
in questo caso, la colina. Questa si chiama
SFINGOMIELINA, abbondante nelle
membrane degli assoni e dei neuroni (carente
nei pazienti con sclerosi multipla).
Quando si parla di glicolipidi nelle cellule animali, si trovano i glicolipidi che appartengono a
quelli con lo scheletro a sfingosina.
Nelle piante, invece, troviamo degli altri glicolipidi, i galattolipidi, i glicolipidi più abbondanti in
natura, costituiti da uno scheletro a glicerolo, due code idrocarburiche e attaccato c’è il
galattosio. In alcune sue varianti possiamo addirittura trovare un gruppo solfato.
• abbondanti nei tilacoidi dei cloroplasti delle piante
I glicolipidi, in particolare quelli con le code saccaridiche della sfingosina, sono talmente
importanti che la loro differente composizione è quella che rende conto dei gruppi sanguigni
AB0.
Steroli:
Accanto ai fosfolipidi e ai lipidi ci sono gli
steroli, ovvero dei lipidi che derivano dal
colesterolo.
Il colesterolo è una molecola planare che ha
4 anelli, tre a 6 C, uno a 5, più una coda
idrocarburica e una piccolissima testa
polare. Si trovano dentro le membrane e in
genere, avendo una struttura planare degli
anelli, conferiscono rigidità a tutta la
struttura.
Il doppio strato fosfolipidico, come abbiamo già detto, è di 3nm, ma in tutto la membrana si
aggira intorno ai 5-8nm.
Il fatto di avere un doppio strato di code idrocarburiche rende la membrana cellulare
impermeabile alla maggior parte dei soluti. Per questo motivo c’è bisogno di trasportatori.
Le proteine possono essere legate alla membrana in diverse
maniere. Possiamo avere:
• proteine integrali di membrana: ancorate alla
membrana
• proteine periferiche: ancorate allo strato interno o allo
strato esterno con legami deboli ma non covalenti
Qual è la differenza?
Viene definita proteina integrale di membrana quando, per
isolare quella proteina, devo usare dei detergenti che
distruggono il doppio strato fosfolipidico.
L’esempio più chiaro di proteina integrale è la proteina
transmembrana, ovvero la proteina che passa da un lato
all’altro di membrana, con una regione extracellulare idrofilica
in contatto con l’acqua, una regione idrofilica citosolica e una
regione centrale ricca di amminoacidi idrofobici (deve sposarsi
con le code idrocarburiche).
Le proteine periferiche, invece, sono quelle proteine la cui rimozione può essere fatta con dei
semplici detergenti che lasciano intatta la membrana. Queste sono legate in modo differente
(ma a prescindere non sono legate covalentemente con la membrana).
Proteine transmembrana:
Quello che contraddistingue le
proteine transmembrana è il fatto di
avere una o più alfa-eliche che
passano attraverso il doppio strato
fosfolipidico e sono ricche di aa
idrofobici. Ci possono essere perciò
anche molteplici domini
transmembrana che passano
attraverso il doppio strato
fosfolipidico e ancorano la proteina
alla membrana in maniera molto
stabile.
Proteine periferiche:
Es. una proteina con un residuo di cisteina fa un
ponte tioestere con un acido grasso che la ancora
alla membrana
Le membrane sono dinamiche e, a seconda della temperatura in cui si trovano, hanno un tipo
di stato differente:
• stato liquido ordinato a temperature moderate
• con aumento della temperatura, questo stato diventa disordinato, in virtù dei moti termici
indotti dalla temperatura.
Chi influenza la fluidità della membrana sono la natura delle code idrocarburiche, in termine
di lunghezza e saturazione, che compongono i lipidi delle membrane:
• più la membrana è ricca di code idrocarburiche lunghe e sature, tanto più la membrana
sarà compatta e meno fluida
• tanto più la membrana ha una percentuale di code insature, tanto più sarà fluida
Ci sono alcuni organismi, quelli non termo regolati (batteri), che sono in grado di modificare la
saturazione dei loro lipidi (saturasi rimuovono i doppi legami, desaturasi mettono dei doppi
legami).
• Prendendo alcuni batteri e mettendoli a crescere a basse temperature, la membrana
tenderebbe a diventare poco fluida, quindi i batteri attraverso l’azione di desaturasi, sono
in grado di introdurre doppi legami così che la membrana torni fluida.
• Al contrario, mettendoli a crescere ad alte temperature la membrana tenderebbe a
diventare troppo fluida, ma i batteri sono in grado attraverso enzimi, le saturasi, di togliere
i doppi legami e compattare la membrana.
Anche le proteine diffondono nella membrana, ma non tutte, dipende se la proteina è libera o
è parte di complessi più articolati. Alcune proteine, ad esempio, se legate sul versante interno
al citoscheletro, hanno movimento orizzontale limitato, appunto perché legate al
citoscheletro.
Proteine transmembrana:
giocano numerosi ruoli:
• Adesione (integrine) à interazione tra una cellula ed un’altra, o con una proteina che
deve legarsi alla membrana
• Riconoscimento (lectine, selectine) à proteine che sono dei recettori
• Segnalazione, recettore e biosegnalazione
• Trasporto
Trasporto attraverso la membrana:
esistono diversi meccanismi, il primo modo è la semplice diffusione (per la natura del doppio
strato, passano solo piccoli soluti apolari) e avviene da una regione dove il soluto è più
concentrato ad una dove lo è meno (DIFFUSIONE SECONDO GRADIENTE). Se le molecole
non possono passare per diffusione semplice ci sono altri meccanismi:
• utilizzo di trasportatori (che cambiano
conformazione per far passare la
molecola) à fanno un trasporto secondo
gradiente (DIFFUSIONE FACILITATA)
• proteine canale à in genere sono canali
ionici che si aprono o chiudono e fanno
passare lo ione in maniera selettiva
(sempre secondo gradiente)
• trasporto attivo à riesce a far passare il
soluto contro gradiente usando energia, in
genere sono delle pompe e ne distinguo
due tipi
o primario, in cui si utilizza come
energia l’ATP
o secondario, dove non viene
utilizzato ATP, ma in cui si
trasportano due soluti, uno a favore
di gradiente e uno contro gradiente, quest’ultimo che avviene grazie a un
precedente trasporto attivo primario (accoppiamento tra processo favorito e non-
favorito).
Quando si parla di gradiente non si deve pensare solo alla concentrazione, ma il nostro
pensiero deve andare al
gradiente elettrochimico, perché
tanti soluti sono carichi, quindi
quando si trasporta il soluto
bisogna chiedersi dove è il
gradiente elettrochimico, ovvero
l’integrale tra la concentrazione e
le cariche? Quindi se le specie
sono cariche devo preoccuparmi
anche della carica.
Carrier vs canali:
carrier sono monomerici, sono stereospecifici
(devono interagire in maniera molto specifica col
soluto), sono lenti (hanno bisogno di cambiamenti
conformazionali), hanno una loro velocità di
trasporto arrivando ad una velocità massima (sono
saturabili)
• canali sono formati da più subunità, sono meno
specifici, si avvicina alla velocità della
diffusione, è insaturabile (tanto più è il
gradiente, tanto più la velocità con cui passa
aumenta)
Come per gli enzimi esistono varianti che hanno differenti velocità di catalisi, così per i
trasportatori del glucosio c’è una famiglia che ha caratteristiche di trasporto e di cinetica
differenti a seconda dei tessuti in cui ci troviamo (espressione genica differente a seconda
dei tessuti).
Esistono 12 isoforme di GLUT codificate da 12 geni diversi, tutti questi sono accumunati dal
fatto che trasportano il glucosio, ma ciò che cambia è la KT.
Esempio:
• fegato (organo che mantiene la glicemia):
GLUT2 ha una KT di 66mM, quindi ha una
bassa affinità per il glucosio in momenti di
glicemia normale (si aggira intorno ai
5mM) e non è mai saturo
• muscolo e neurone (avidi di glucosio):
GLUT4 (muscolo), GLUT3 (neurone). Il
GLUT3 ha una KT di 1,7mM, quindi ha
un’alta affinità per il glucosio ed è saturo
anche a basse concentrazioni del soluto;
quindi, il neurone è saturo anche quando la
glicemia è bassa (il neurone vive di
glucosio). Il GLUT 4, nel muscolo, ha una
KT di 5 mM, quindi pari alla
concentrazione del glucosio in situazioni di glicemia normale, perché il muscolo lavora non
solo con il glucosio, ma anche con gli acidi grassi, quindi ha “possibilità di scelta”.
Attraverso la presenza di isoforme differenti del trasportatore GLUT, nei diversi distretti, noi
siamo in grado di garantire un trasporto differente nei tessuti, rispettando le priorità, il
trasporto di glucosio nel cervello o nel fegato quando la glicemia è molto alta (fegato si
preoccupa di immettere glucosio in circolo per mantenere la glicemia, mentre il neurone o il
muscolo tirano dentro il glucosio).
Nel muscolo, GLUT 4 ha una KT perfettamente tarata sulla glicemia, GLUT 4 è regolato
dall’insulina (ormone prodotto quando la glicemia è alta), la quale ha il compito di stimolare
l’esposizione del trasportatore GLUT 4 sulla membrana del muscolo. Quindi, in una persona
affetta da diabete, la mancanza dell’insulina porta anche le cellule muscolari a non esporre il
GLUT 4 e quindi a non tirar dentro il glucosio, quindi non si abbatte la glicemia e non entra il
glucosio necessario nei muscoli.
Ricapitolando, i GLUT più importanti (da ricordare) sono il GLUT 2 del fegato, il GLUT 3 del
cervello e il GLUT 4 del muscolo e del tessuto adiposo.
Gli esseri viventi devono avere delle molecole energetiche, si devono alimentare, infatti gli
alimenti, in particolare zuccheri, lipidi e proteine sono i nostri alimenti energetici. Quindi
siamo in grado di trasformare questa energia, che sta nei legami, si tratta della rottura dei
legami che si trovano negli zuccheri, lipidi e proteine, per produrre energia. L’energia che
usa la cellula è l’ATP, la cellula per produrre ATP deve utilizzare le sostanze nutritive.
La pianta è un individuo autotrofo, riesce ad estrarre energia dai raggi solari per
convertirla in energia chimica, che poi passa da autotrofi ad eterotrofi e quindi è da lì che
noi ricaviamo i nutrienti (mangiando carne di un erbivoro, etc.).
Tutto funziona perché c’è energia, quindi tutte le cellule viventi generano migliaia di
differenti reazioni (il metabolismo è la totalità di queste reazioni chimiche e deriva dalle
interazioni tra molecole). Il metabolismo di un organismo trasforma materia ed energia.
Tutto questo è soggetto alle leggi della termodinamica (le più importanti sono due):
• l’energia non si crea, non si distrugge, ma può cambiare (posso trasformarla da un
tipo ad un altro)
• l’universo va verso il disordine, cioè la spontaneità di un qualsiasi evento va verso il
caos à ENTROPIA
o il disordine avviene “spontaneamente”, mentre l’organizzazione richiede
energia.
o il disordine vuol dire “qualcosa di casuale”, però chiaramente c’è sempre una
probabilità incredibilmente piccola che questo evento casuale mi porti ordine
(es. se lancio vestiti che mi cadano tutti ripiegati perfettamente)
o trasformazioni energetiche procedono spontaneamente per convertire
materia da una forma più ordinata ma meno stabile a una forma meno
ordinata ma più stabile (reazioni spontanee, ad esempio le reazioni
cataboliche, non richiedono energia infatti).
o la conversione di un’energia in un altro tipo mi costa una quota energetica,
che non viene perduta, ma viene convertita in disordine, in questo caso in
calore. La misura del nostro disordine è il calore.
o Quindi io posso convertire l’energia da una forma all’altra, ma non
completamente; ci sono dei sistemi energetici in cui ho un buon recupero
(dispersione di calore bassa), ma vedremo che tutti i processi metabolici atti
a produrre energia non hanno un buon recupero (circa del 40%), quindi una
grossa quantità di energia viene dissipata sotto forma di calore. Perciò,
anche ordinando, io vado comunque sempre verso un aumento dell’entropia
perché genero molto calore.
o Il calore, in genere, non è un’energia che lavora, anche se non è del tutto
vero, nel senso che non è una forma di energia che posso ottenere e usare
quando voglio, ma la posso utilizzare in determinate condizioni (es.
macchina a vapore o il calore usato per generare energia elettrica, etc.)
C’è una differenza tra quello che si vede nella cellula e nei laboratori di chimica, dove la
reazione che avviene è all’interno delle provette e può essere veloce, esplosiva, lenta
ecc..; in genere nella provetta si mettono dei reagenti i quali si trasformano in prodotti dato
che la reazione è favorevole, quindi spontanea. Ci sono però delle reazioni che non sono
spontanee, ma hanno bisogno di un input per avvenire. Quello che vediamo in laboratorio
non è quello che avviene in realtà, tanto meno nelle reazioni metaboliche della cellula,
perché la cellula fa delle reazioni accoppiate e non si può parlare di una reazione unica
(conversione di una molecola in un'altra), ma è multi tappa, cioè costituita di più enzimi e
substrati, quindi vengono definite tappe metaboliche o vie sintetiche, che possono
essere di vario tipo, dunque ci sono più tappe, più reazioni in cui un prodotto viene
convertito in un prodotto finale, questo facendo il passaggio attraverso degli intermedi.
Quindi io non passo direttamente da A a D, perché magari è troppo sfavorevole o avviene
in tempi troppo lunghi, ma trasformo con tappe accoppiate A in B, poi B in C e infine C in
D.
Ricapitolando, una sequenza di reazioni chimiche, dove il prodotto di una reazione serve
come substrato per la prossima, viene definita via metabolica o via biosintetica/biochimica.
Le tappe metaboliche sono posizionate in regioni particolari della cellula, ad es. nel
citoplasma per la glicolisi, nella matrice mitocondriale per il ciclo di Krebs. Queste reazioni
sono catalizzate da degli enzimi.
La bioenergetica è la scienza che studia come gli organismi usano le risorse energetiche
mediante le vie metaboliche, quindi sono in grado di far avvenire reazioni che
normalmente non avvengono; ma non vanno contro le leggi della termodinamica,
semplicemente bypassano dei passaggi, usano delle scappatoie, come accoppiare le
reazioni.
Energia
L’energia è la capacità di fare del lavoro o l’abilità di causare dei cambiamenti; ogni
cambiamento nell’universo richiede energia.
Un essere vivente è quindi un essere dinamico, qualcosa che fa un cambiamento, si
muove…
Le forme di vita sono in grado di catturare questa energia, di usarla, di modificarla a
proprio piacimento per poi sopravvivere. I più importanti tipi di energia sono due, quella
potenziale (che viene conservata, cioè l’energia che è statica) e l’energia cinetica (legata
al movimento).
L’energia potenziale comprende anche l’energia chimica presente nelle strutture
molecolari.
• Energia potenziale viene convertita in cinetica (ex. Combustione)
o Gli esseri viventi sono in grado di convertire l’energia potenziale presente
nei legami nei cibi in energia cinetica per tutti i processi della cellula.
I sistemi biologici non vanno contro le leggi della termodinamica, infatti, l’entropia può
ridursi in un organismo, ma quella totale dell’universo aumenta.
I sistemi viventi vivono quindi a spese energetiche, a spese di un’energia chiamata
energia libera (G).
Che cos’è l’energia libera? Entra in gioco il
concetto di spontaneità, ovvero, una reazione è
spontanea quando rilascia energia, quindi se
faccio reagire due molecole, i reagenti avranno
un’energia più elevata e i prodotti una più bassa,
questa reazione si chiama esoergonica; quando
faccio una reazione endoergonica, devo fornire
energia perché i miei reagenti hanno più bassa
energia dei prodotti.
Questo si misura attraverso la variazione di
energia libera (ΔG), quindi la differenza di
energia tra reagenti e prodotti.
• L’energia libera (di Gibbs) in una cellula
è la quantità di energia contenuta nei
legami chimici della molecola a
temperatura e pressione costante
(perché queste due grandezze
influiscono chiaramente sull’energia)
Reazione esoergonica: ogni reazione che
rilascia energia libera (ΔG < 0)
• avviene spontaneamente e ha un
rilascio di energia libera e/o un
incremento dell’entropia
Reazione endoergonica: ogni reazione che
richiede un input di energia (ΔG > 0)
• non avviene spontaneamente e ha un input di energia e/o una riduzione
dell’entropia
I legami fosfoanidridici sono legami ad alta energia, mentre il legame fosfoestere no e per
questo non viene scisso e utilizzato per produrre energia. Quindi solo da ATP e ADP si
può ricavare energia.
A cosa serve l’ATP?
• Lavoro meccanico
• Lavoro di trasporto
• Lavoro chimico
Con le reazioni cataboliche, io attraverso i cibi produco/sintetizzo ATP, il quale dopo viene
idrolizzato, rilasciando energia, per bypassare i processi endoergonici.
Queste reazioni sono spesso accoppiate, e in particolare sono catalizzate (la catalisi
velocizza la reazione) à ci sono tanti modi,
per esempio:
• abbiamo visto che molte reazioni
esoergoniche devono passare
attraverso uno stadio di transizione, ci
sono allora degli enzimi che
abbassano questo stato di transizione,
facendo avvenire la reazione ad una
velocità maggiore.
o Per esempio, se abbiamo
poche molecole e la probabilità
che si incontrino (magari anche nel punto giusto perché magari solo in un
certo modo possono far avvenire una reazione) è bassa, un enzima può
aiutare a farle incontrare legandole entrambe a sé. In questo modo la
reazione avviene in tempi velocissimi ed è comunque spontanea.
Quindi, la maggior parte delle molecole non ha abbastanza energia cinetica per raggiungere lo stato
di transizione dove collidono.
Perciò, la maggior parte delle collisioni è non-producente e la reazione avviene molto lentamente o
proprio non avviene.
Cosa si può fare per velocizzare queste reazioni?
• Posso aggiungere calore (energia) per far muovere più velocemente le molecole in modo tale
che si incontrino più frequentemente e con forza maggiore
o Questo però non è possibile in un sistema biologico perché l’organismo può morire etc.
o Inoltre, il calore, chiaramente, non è per niente specifico nella sua azione.
• La catalisi è prodotta dagli enzimi, come abbiamo già detto poco fa
o Tutti gli enzimi sono specifici (al contrario del calore) a riconoscere quel tipo
di reagente e trasformarlo in prodotto (OGNI REAZIONE HA IL SUO
ENZIMA).
L’enzima ha un sito attivo, quindi non tutta la proteina fa la reazione, ma solo una piccola
parte, una tasca interna; questo sito attivo è in grado di riconoscere il substrato, l’enzima
con il substrato lo converte nel suo prodotto e lo fa in tempi molto rapidi.
Esistono organismi
autotrofi (piante) che
utilizzano la fotosintesi e
quindi partendo da H2O e
CO2 formano glucosio.
Esistono poi organismi
eterotrofi e, in particolare,
i chemotrofi (animali)
utilizzano composti
organici (carboidrati,
amminoacidi e lipidi) per
produrre ATP.
Gli eterotrofi esistono solamente grazie all’esistenza degli autotrofi.
La glicolisi è un processo che vale solo per gli zuccheri, non per i grassi, per i quali invece
si utilizza un altro processo chiamato β-ossidazione.
I nutrienti più usati per la produzione di energia sono soprattutto zuccheri e lipidi, mentre
con le proteine facciamo altre cose (facciamo altre proteine o in caso d’emergenza
possiamo usarle per generare ATP).
Le 10 tappe:
1. Il glucosio è un’aldeide ed è esoso. La prima tappa è che il glucosio, presente nel
sangue, arriva ai tessuti, viene internalizzato nelle cellule da parte dei suoi
trasportatori e si ha la fosforilazione
del glucosio. Cosa vuol dire? Vuol
dire che c’è un trasferimento dall’ATP
al C6 del glucosio di un fosfato. Chi fa
questo tipo di trasferimento sono le
chinasi, che non fanno altro che
trasferire un gruppo fosfato da una
specie all’altra. Nel nostro caso, quindi,
consumiamo energia perché
utilizziamo l’ATP che diventa ADP e l’enzima che converte l’ATP in ADP e
trasferisce il gruppo fosfato è la esochinasi (il primo enzima della glicolisi) (nel
fegato abbiamo la glucochinasi). La reazione completa è quindi: Glucosio + ATP
à Glucosio-6-P + ADP. Una volta che il glucosio è fosforilato diventa carico
negativamente perché i gruppi fosfato sono negativi, quindi non può più uscire dalla
cellula, non può più attraversare la membrana, in quanto adesso è carico
negativamente e il suo trasportatore non lo riconosce. ATP si lega all’enzima come
un complesso con Mg++. La carica negativa dell’ATP viene bilanciata/attirata dal
magnesio, il quale promuove anche una conformazione favorevole dell’ATP al sito
attivo dell’enzima esochinasi. Quindi l’esochinasi funziona proprio grazie al
magnesio, perché questo enzima ha un sito attivo che accoglie l’ATP attraendolo
tramite il magnesio, quindi fa avvicinare il C6 del glucosio all’ATP e questa reazione
diventa spontanea. Questa reazione è altamente spontanea e quindi esoergonica.
Perciò il glucosio entra nel sito attivo dell’esochinasi, la quale quindi cambia
conformazione/”fitta”, il suo sito attivo blocca e lega in maniera affine il glucosio e
poi si procede alla formazione del Glucosio-6-fosfato.
2. La seconda tappa consiste nella conversione del glucosio-6-P in fruttosio-6-P.
La differenza è che il fruttosio è un
chetoso, mentre il glucosio era un
aldoso; inoltre, il glucosio aveva
forma esamerica/piranosica,
mentre il fruttosio ha forma
furanosica/pentamerica
(naturalmente entrambi son
zuccheri ciclici, non a formula
aperta). Quello che succede è che
la fosfoglucosio isomerasi (le
isomerasi sono quelli enzimi che
convertono una specie nel proprio isomero) catalizza la conversione del glucosio-6-
P in fruttosio-6-P
A primo impatto sembra che non ci sia stato guadagno energetico, perché ho due ATP
consumati e due ATP prodotti, però questo non è vero perché dobbiamo ricordarci che
abbiamo due molecole di gliceraldeide (GA3P) per glucosio. Quindi abbiamo speso 2
molecole di ATP, abbiamo prodotto 4 legami -P di ATP (considerato che ci sono due
molecole di GA3P per glucosio) e perciò il guadagno netto è 2. Quindi, con la glicolisi, per
ogni molecola di glucosio siamo in grado di produrre 2 ATP. Sono pochi, però è pur
sempre un guadagno energetico di 2 ATP e, naturalmente, di 2 molecole di NADH.
Ovviamente questo vale per ogni molecola di glucosio e nella cellula ci saranno tante
molecole di glucosio, quindi questo processo è molto veloce e produrrà velocemente
anche grosse quantità in totale di ATP.
Chiaro che il guadagno netto per glucosio è basso perché, in realtà, con glicolisi + ciclo di
Krebs e fosforilazione ossidativa noi andiamo a produrre 32 ATP contro i 2 della sola
glicolisi; quindi 30 in più in condizioni aerobiche, mentre in condizioni anaerobiche
funziona solo la glicolisi e abbiamo la produzione di soli 2 ATP.
La reazione completa della glicolisi (omettendo H+) è quindi:
Glucosio + 2 NAD+ + 2 ADP + 2 Pi à 2 Piruvati + 2 NADH + 2 ATP
La fermentazione
In realtà, il piruvato non rimane ad accumularsi nel citoplasma, ma viene immediatamente
portato nel mitocondrio, ma questo solo in condizioni aerobiche (in presenza di ossigeno).
Ovviamente però ci sono casi dove la cellula va in debito di ossigeno (es. durante lo
sport), non c’è abbastanza ossigeno per produrre molto ATP, quindi si va in anaerobiosi.
In questo caso si blocca il ciclo di Krebs, si blocca la fosforilazione ossidativa, rimane solo
la glicolisi e quindi ho l’esigenza di recuperare questo NADH, perché altrimenti non ho più
NAD+ per far procedere la glicolisi. Infatti, nella sesta tappa ho bisogno di NAD+ che si
riduce a NADH; se io sono in assenza di ossigeno ho un accumulo di NADH e non ho più
NAD+ e quindi si ferma anche la glicolisi, che non è possibile perché vorrebbe dire non
produrre nemmeno un po’ di ATP.
Quindi cosa succede? Negli organismi inferiori abbiamo la fermentazione alcolica, mentre
noi abbiamo la produzione di acido lattico.
Il piruvato, in assenza di ossigeno, viene convertito in qualcos’altro.
• Per esempio, in Saccharomyces Cerevisiae, un lievito (quello che poi forma il vino),
trasforma (questo lo fa sempre, non dipende da anaerobiosi o aerobiosi) il piruvato,
tramite una decarbossilazione (viene tolto CO2), catalizzata dall’enzima piruvato
decarbossilasi, in acetaldeide, che poi viene naturalmente ridotta grazie alla alcol
deidrogenasi e al NADH + H+, (prodotti dalla GA3P) che si ossida a NAD+; quindi
l’acetaldeide si riduce
(un’aldeide quando si riduce si
trasforma in un alcol primario) a
etanolo. In questo modo
riusciamo a recuperare il NAD+,
il quale può venir ridotto
nuovamente nello step 6 della
glicolisi e così la reazione
procede anche in condizioni
anaerobiche. Questo succede solo negli eucarioti inferiori.
o Il prodotto di scarto che è la CO2 sono le bollicine del vino e l’etanolo
(anch’esso un prodotto di scarto della fermentazione tecnicamente) è il
grado alcolico del vino; quindi, la conversione di mosto in vino avviene
grazie a questi microrganismi o eucarioti inferiori.
• Negli eucarioti superiori come i vertebrati succede che il piruvato, in assenza di
ossigeno, viene ridotto ad acido lattico. In questo caso il piruvato, che è un
chetoacido, non viene
decarbossilato; quindi, succede
che, a livello del muscolo, quando
non c’è più ossigeno e serve
energia e il NADH deve essere
convertito in NAD+, il piruvato
viene ridotto grazie alla lattato
deidrogenasi a lattato o acido
lattico, che invece ha un gruppo
alcolico. Quando riduco un
chetone si forma un alcol
secondario, non primario. Il NAD+
quindi viene riutilizzato nella
glicolisi, mentre l’acido lattico viene depositato temporaneamente nel muscolo e poi
rimosso, portato al fegato dove viene riconvertito in piruvato, il quale può essere
utilizzato per la gluconeogenesi o venir ossidato nel ciclo di Krebs a produzione di
energia.