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Biologia: studio della vita in tutte le sue parti

La cellula è l’unità elementare della vita. Non esiste vita senza cellule.
Le cellule si differenziano in procariote ed eucariote.
Entrambe si riproducono ma le prime presentano una struttura molto più semplice delle
seconde, che presentano dei compartimenti con funzioni ben definite.

I virus NON sono cellule.


La chiave che diversifica ciò che è vivente da ciò che non lo è, è la capacità di riprodursi
(riproduzione che è necessaria ai tessuti per mantenere una sorta di equilibrio). La cellula,
se inserita in un ambiente idoneo, per riprodursi impiega un tempo nell’ordine dei minuti
(ogni 20 minuti circa un batterio escherichia coli si divide, ad esempio).
I virus, tutto questo, non lo possono fare. Sono degli involucri, contenenti un acido nucleico
al loro interno, e hanno tassativamente bisogno di un ospite. Quindi vivono come parassiti
obbligati all’interno di un ospite ma non sono considerati entità biologiche delle cellule.

BIOLOGIA: bio (vita) + logos (discorso) = discorso sulla vita


Il principio cardine della biologia è caratterizzato da unità e diversità, ciò significa che gli
organismi viventi rispondono tutti a un’organizzazione unitaria, a delle caratteristiche che li
accomunano, ma le diverse forme di vita manifestano anche delle caratteristiche proprie.

DI COSA SIAMO FATTI


La tavola periodica degli elementi chimici è una tavola che riassume tutti gli elementi
presenti in natura e li cataloga in funzione di determinate caratteristiche.
La materia vivente è costituita principalmente da ossigeno, idrogeno, carbonio e azoto.
Questi sono i 4 elementi cardine che troviamo in massima quantità nella materia vivente, ma
ci sono anche altri elementi, anche con un’importanza fondamentale, ma oggettivamente in
quantità nettamente inferiore rispetto ai primi 4.
La materia non vivente invece è formata da altri elementi che normalmente i viventi
presentano in quantità infinitesima.

N.B: ossigeno e idrogeno andranno a formare l’acqua (le nostre cellule ne presentano
concentrazioni elevate, oltre il 70%); il carbonio andrà a costituire gli scheletri delle nostre
molecole biologiche; l’azoto è il costituente principale delle proteine.

CARATTERISTICHE DELLA MATERIA VIVENTE


1. complessità specificamente definita
2. capacità di accrescimento
3. capacità di riprodursi
4. adattamento all’ambiente
Complessità specificamente definita: partiamo da un organismo molto semplice, l’atomo,
che si combina con altri elementi a formare piccole e grandi molecole, che si aggregano a
loro volta tra di loro e vanno a formare delle strutture. Ad esempio: la cellula è nata quando
si è formata una struttura in grado di circoscrivere un micro-ambiente, delimitando un
ambiente cellulare e un ambiente extracellulare; più organelli cellulari vanno a formare una
cellula complessa; la vita può essere fatta da una sola cellula o dall’organizzazione di più
cellule, a formare un organismo più grande. Noi non viviamo isolati, ma insieme. Diversi
organismi di una stessa specie vanno a formare una popolazione. Le popolazioni
interagiscono creando un livello di organizzazione superiore, la comunità. L’insieme di tutte
le comunità in un determinato ambiente rappresenta l’ecosistema. L’insieme di tutti gli
ecosistemi presenti sulla Terra è definito biosfera.
Capacità di accrescimento: ci si riferisce all'aumento della dimensione e del numero delle
cellule. L’esempio più lampante è la nascita di un individuo. Dall’unione di un ovocellula e
uno spermatozoo, si forma una cellula che nell’arco dei 9 mesi si divide continuamente fino
a generare il bambino. Quando smettiamo di crescere, raggiungiamo un equilibrio e
quell’equilibrio sta nel mantenere costante il livello delle nostre caratteristiche.
La capacità di accrescimento è strettamente collegata alle nostre capacità metaboliche,
perchè noi ricaviamo dal cibo l’energia, l’ATP, necessaria sia all’accrescimento che come
mattoni per costruire le strutture cellulari. L’equilibrio tra ciò che mangiamo e ciò che
bruciamo deve essere mantenuto in condizioni ottimali.
Capacità di riprodursi: riproduzione asessuata (mitosi) e sessuata (meiosi).
La mitosi sarà il meccanismo cellulare che permetterà all’organo di crescere, la meiosi che
porterà alla formazione di cellule specializzate, tutte diverse l’una dall’altra, i gameti, che con
la fecondazione determinerà la cellula uovo.
Adattamento all’ambiente: gli adattamenti sono caratteri ereditari che migliorano la
capacità di un organismo di sopravvivere in un determinato ambiente. L’ambiente, infatti, ci
plasma continuamente e sopravvive solo chi mostra le caratteristiche più idonee. Un
esempio di adattamento all’ambiente sono gli arti, che altro non sono che strutture
anatomiche che si sono modificate nel tempo a seconda del contesto a cui hanno dovuto
adattarsi, e la comprensione della storia evolutiva ci aiuta a far luce sulla struttura e funzioni
dell’organismo.

QUANDO SONO STATE STUDIATE PER LA PRIMA VOLTA LE CELLULE


Le cellule, per essere osservate, hanno dovuto attendere l’invenzione dei microscopi.
Sono state studiate per la prima volta nel 1600 con un microscopio che nasceva dalla
sovrapposizione di una serie di lenti di ingrandimento da Robert Hooke. Lui osservò i tappi di
sughero e notando una struttura alveolare, simile alle cellette di un alveare, gli diede proprio
il nome di cellula.
(approfondisci studio dell’acqua dello stagno)

Seguirono altri studi fino ad arrivare alla teoria cellulare:


1. tutti gli organismi sono formati da una o più cellule
2. è l’unità strutturale della vita
3. nasce da cellule preesistenti
ALBERO DELLA VITA: la vita è nata da un antenato comune, poi in corrispondenza di
ciascun “ramo” è successo qualcosa che ha diversificato le forme viventi.
Gli organismi molto semplici sono i procarioti, i batteri, sono tutti monocellulari. La cellula
procariotica, molto semplice, è un involucro membranoso che racchiude un ambiente
cellulare e il DNA, un magazzino di informazioni genetiche, e ben poco altro.
La cellula eucariotica, invece, è una cellula che ha subito un processo di
compartimentalizzazione, cioè troviamo al suo interno tutta una serie di distretti.

MATERIA VIVENTE E NON VIVENTE


La materia è fatta di elementi. Un elemento è una sostanza che non può essere suddivisa in
cose più piccole, più semplici, mediante reazioni chimiche ordinarie.
La materia non vivente è quella materia che manca di un proprietà fondamentale della vita,
cioè la capacità di riproduzione.
La materia vivente è fatta al 90% da 4 elementi: idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto.
Siamo fatti di tante molecole, a partire dalle più piccole, come l’acqua, fino ad arrivare alle
macromolecole, il cui scheletro è una successione di atomi di carbonio.

COME SI FORMANO I COMPOSTI?


La tavola periodica degli elementi chimici è una tavola che cataloga tutti gli elementi presenti
in natura in funzione di dimensioni e caratteristiche.
L’atomo è la porzione più piccola di un elemento e ne conserva tutte le caratteristiche.
Esso è una particella che presenta un nucleo centrale, che può essere più o meno grande.
Questo nucleo è carico positivamente e le particelle che ne fanno parte prendono il nome di
protoni, con carica positiva.
Attorno a questo nucleo centrale ruotano altre particelle, gli elettroni, con carica negativa.
Nel complesso ciascun atomo è una particella neutra (numero protoni = numero elettroni).
Nel nucleo possono esserci anche i neutroni, con carica neutra.
Gli elettroni sono collocati in maniera molto ordinata attorno al nucleo dell’atomo, seguendo
il modello dei gusci. Ogni guscio contiene un numero massimo di elettroni, una volta che il
guscio si è riempito, si passa al guscio successivo. Si procede a riempimento di tutti gli spazi
a disposizione. Il primo guscio occupa 2 elettroni, il secondo 8 e il terzo pure ne occupa 8.
Un elemento raggiunge la massima stabilità quando il suo guscio più esterno di elettroni è
completo.
Gli atomi possono combinarsi chimicamente dando vita alle molecole. Gli atomi di una
molecole sono tenuti insieme da forza attrattive chiamate legami chimici, e ciascuno di essi
rappresenta una certa quantità di energia. L’energia di legame è l’energia necessaria a
rompere quel legame.
Legame ionico: si basa su un’interazione di tipo
elettrostatico. Si viene a formare quando un
elemento accetta o perde uno o più elettroni,
quindi si vengono a formare degli ioni di carica
opposta, che ovviamente si attraggono.
Dall’immagine: il cloro si prende l’elettrone del
sodio. Il sodio diventa positivo (catione), il cloro
negativo (anione). Si attraggono.

I legami covalenti comportano una condivisione degli elettroni.


Legame covalente (non-polare): si basa
su una condivisione equa. Fortemente
stabile, molto forte, è necessario
immettere tanta energia per romperlo. La
nuvola elettronica è equamente
distribuita.
Dall’immagine: l’idrogeno è l’elemento più
semplice in assoluto, un protone e un
unico elettrone (sul primo guscio). Per stabilizzarsi gli manca un altro elettrone. Quando due
atomi di idrogeno si incontrano, mettono in perfetta condivisione, in equa partecipazione,
l’uno l’elettrone dell’altro e la nuvola elettronica è equamente distribuita.
In questo modo si viene a formare la molecola di idrogeno.

La valenza è il numero di legami covalenti che un elemento può formare per raggiungere la
massima stabilità. Il carbonio, per esempio, è detto tetravalente perché tende a formare 4
legami covalenti per raggiungere la massima stabilità.

ACQUA: H2O
Un atomo di ossigeno legato covalentemente a due atomi di idrogeno.

La valenza dell’ossigeno è 2 perché formando 2


legami covalenti con l’idrogeno si forma una molecola,
che è l’acqua, in cui l’ossigeno ha raggiunto la
massima stabilità.
L’ossigeno avendo un nucleo molto più grande rispetto
all’idrogeno, quando si viene a formare il legame
covalente tra ossigeno e idrogeno succede che si ha
una condivisione ma attira verso di sè, con maggiore
forza, gli elettroni dell’idrogeno.
Ne consegue che il legame è covalente polare.
La nuvola elettronica non è equamente distribuita ma è più verso l’ossigeno. Nella
distribuzione degli elettroni, c’è un maggior addensamento di carica negativa nei pressi
dell’ossigeno ed è come se avessimo una mancanza di di carica negativa in corrispondenza
dell’idrogeno (i delta indicano proprio questa differenza di carica).
La condivisione degli elettroni non è equilibrata. Si viene a instaurare ogni volta che gli
elementi coinvolti nel legame hanno dimensioni molto differenti l’una dall’altra.
N.B: il legame covalente polare sarà poi idealmente responsabile di tutte le proprietà
biologiche dell’acqua.
In un bicchier d’acqua, le molecole di acqua si disporranno tridimensionalmente nel
seguente modo: gli atomi di idrogeno, parzialmente positivi, si orientano verso l’atomo di
ossigeno (di un’altra molecola d’acqua), che è maggiormente negativo.
Si viene a formare un altro legame chimico, il legame a idrogeno, che non avviene tra
elementi della stessa molecola, ma si instaura tra un atomo con una parziale carica negativa
e un atomo di idrogeno legato covalentemente all’ossigeno o all’azoto di un’altra molecola.
Il legame a idrogeno è una debole attrazione che si realizza tra atomi molto elettronegativi,
ma la forza del legame a idrogeno non sta nel singolo legame. Su 10.000 molecole di acqua
contenute in un bicchiere, la forza del legame a idrogeno sta nel fatto che ognuna di quelle
molecole interagisce con le altre formando 4 legami. Quindi la forza dei legami a idrogeno, in
quel bicchiere d’acqua, sta nella loro numerosità.

PROPRIETÀ DELL’ACQUA
Rispetto ad altre molecole che hanno le sue stesse dimensioni è unica, e la sua unicità
dipende dalla caratteristica di formare legami a idrogeno, in un determinato contesto, con
altre 4 molecole di acqua, formando un tutt’uno.
Le proprietà dell’acqua sono:
1. forza di coesione
2. tensione superficiale
3. calore di evaporazione
4. capacità termica
5. punto di ebollizione e di fusione
6. densità

Elevata forza di coesione: grazie alla presenza di legami a idrogeno, ogni molecola di
acqua si lega ad altre 4, motivo per cui una forza esercitata su una colonna di acqua verrà
trasmessa a tutta la colonna. Oltre alla coesione, c’è anche un’elevata forza di adesione,
cioè le molecole di acqua si attaccano a sostanze che presentano atomi carichi in superficie.
Elevata tensione superficiale: è una conseguenza della coesione. Essendo molecole
coesive esse sono più attratte le une con le altre piuttosto che dalle molecole presenti
nell’aria, quindi la superficie dell’acqua mostra una notevole resistenza alla penetrazione,
resistenza data proprio dalla fitta rete di legami a idrogeno.
Elevato calore di evaporazione: la quantità di energia necessaria a rompere i legami a
idrogeno e far evaporare un grado di acqua è molto più elevata che in qualsiasi altro liquido.
Elevata capacità termica: è in grado di assorbire una quantità di calore elevata
aumentando di poco la propria temperatura. L’aumento di temperatura comporta un
aumento di energia termica che porta le molecole a muoversi più velocemente e a generare
più energia cinetica. Siccome gran parte dell’energia cinetica è utilizzata per fare e disfare i
legami a idrogeno, solo una piccola parte di essa resta disponibile per l’aumento della
temperatura.
Elevato punto di ebollizione e di fusione.
Densità: molto peculiare perché allo stato solido è meno densa che allo stato liquido.
Quando è allo stato vapore è l’unica condizione in cui non ci sono legami a idrogeno.
Allo stato liquido le molecole d’acqua sono libere di muoversi in maniera continua e
disordinata, continuamente formano e disfano legami a idrogeno, portandomi ad avere una
struttura molto poco organizzata. Allo stato solido il ghiaccio ha una struttura cristalliforme in
cui le molecole di acqua sono fisse. C’è una struttura ben organizzata che presenta però dei
vuoti che rendono il ghiaccio più leggero e quindi in grado di galleggiare.
L’ACQUA COME SOLVENTE
Molte sostanze si sciolgono in acqua, quindi è un solvente universale.
Ci sono sostanze che rendono acido o basico un ambiente.
Il pH è un parametro chimico pari a pH=-log[H+], dove H+ indica la concentrazione degli
idrogenioni all'interno della soluzione.
A seconda del pH, che è una scala che va da 1 a 14, le sostanze sono classificate come
acide, basiche o neutre.
Il pH della cellula è circa 7.4 e viene mantenuto costante da una serie di sistemi tampone,
una sostanza che si oppone alla variazioni di pH.
Anche il pH, come la temperatura, è un parametro che va tenuto costantemente sotto
controllo perché influenza la forma e la funzione delle molecole biologiche.
In particolare agisce su:
➔ la velocità delle reazioni chimiche
➔ la capacità di due molecole di legarsi tra di loro
➔ la capacità degli ioni o delle molecole di dissolversi in acqua

SOSTANZE IDROFILE: interagiscono molto bene con l’acqua e vi si sciolgono rapidamente.


Sono molecole che contengono legami covalenti polari.
L'acqua è una molecola polare, che presenta una concentrazione di carica negativa in
prossimità dell’ossigeno, positiva vicino l’idrogeno. Il cloruro di sodio è caratterizzato da un
legame ionico, che si basa su interazioni di tipo elettrostatico. L’acqua andrà a disporsi
intorno al cubetto di sale in questo modo: Na+ andrà verso l’ossigeno e il Cl- verso l’idrogeno.
Le molecole di acqua circondano ogni ione o molecola polare che si trova sulla superficie
portandolo in soluzione. Quindi sciogliere una sostanza vuol dire che l’acqua va ad
avvolgere questa sostanza formando un vero e proprio guscio attorno alle singole
componenti della sostanza stessa, guscio che prende il nome di guscio di solvatazione.
Una sostanza è solubile quando le interazioni stabilite con l’acqua sono più forti di
quelle che si instaurano tra le sostanze stesse, e si va a creare una situazione di
massima stabilità tra l’acqua e la sostanza sciolta.

SOSTANZE IDROFOBE: si compattano l’una sull’altra per esporre meno superficie possibile
all’acqua, creando delle interazioni idrofobiche, legami deboli che limitano il più possibile il
contatto con la superficia acquosa.
L’acqua costringe i gruppi idrofobici ad aggregarsi per minimizzare il loro effetto di disturbo.
L’acqua non è attratta dalle molecole idrofobiche e perciò non tende ad avvolgerle e a
portarle in soluzione.
MOLECOLE ANFIPATICHE: presentano una testa polare, idrofila,
e una coda apolare, idrofoba.

La micella è una struttura sferica che si viene a formare quando le


molecole anfipatiche interagiscono tra di loro quando sono
completamente immerse in acqua.
Le micelle sulla superficie hanno tutte le teste polari, mentre all’interno le
code, che odiano l’acqua, si stringono l’una accanto all’altra allontanando
l’acqua dal centro.

Sulla superficie di un bicchiere d’acqua, quindi in un’interfaccia aria/acqua, non ho più una
struttura sferica ma si viene a creare uno strato compatto (monostrato) di molecole
anfipatiche, in cui tutte le teste sono immerse nell’acqua e tutte le code si dispongono
parallelamente l’una accanto all'altra e immerse nell’ambiente aeriforme, che è un ambiente
non polare.

INTERAZIONI DI VAN DER WALLS


Sono interazioni molto deboli.
Si vengono a creare tra molecole apolari, o porzioni di molecole, quando gli elettroni, a
causa del loro movimento costante, si accumulano casualmente in una porzione o l’altra di
una molecola. Questo fenomeno porta alla formazione di zone di carica positiva o negativa e
permette l’adesione di molecole molto vicine (molto frequenti negli acidi nucleici).
Le molecole biologiche, o macromolecole, sono dei polimeri nati dall’unione di unità più
piccole, i monomeri.
I polimeri possono essere degradati nei monomeri che li compongono mediante reazioni di
idrolisi. Invece il processo con cui i monomeri si legano covalentemente è detto
condensazione (libera sempre una molecola di acqua).

I COMPOSTI ORGANICI
Noi siamo fatti da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto.
Il carbonio va a costituire lo scheletro delle nostre molecole biologiche, quali carboidrati,
proteine, lipidi e acidi nucleici.
Il carbonio ha 4 elettroni di valenza che vanno a formare 4 legami covalenti.
Le caratteristiche di una molecola organica possono essere cambiate quando uno o più
atomi di idrogeno legati allo scheletro carbonioso di un idrocarburo sono sostituiti da altri
gruppi di atomi, detti gruppi funzionali.

Un gruppo funzionale molto comune, è il gruppo ossidrilico -OH (R-OH).

C’è il gruppo carbonilico che presenta un carbonio legato con doppio legame covalente
all’ossigeno. A seconda di dove sarà posizionato il gruppo funzionale si determinerà un
aldeide, alla fine della catena carboniosa, o un chetone, al centro della catena carboniosa.

Il gruppo carbossilico vede un carbonio legato con doppio legame a un ossigeno e a un


gruppo ossidrilico, ed è tipico degli amminoacidi.

Il gruppo amminico prevede, nello scheletro carbonioso, un azoto legato a due atomi di
idrogeno, ed è anch’esso presente negli amminoacidi.

Il gruppo fosfato, in cui lo scheletro carbonioso presenta un atomo di fosforo legato a


quattro atomi di ossigeno ed è tipico degli acidi nucleici.

Il gruppo sulfidrilico, è costituito da un atomo di zolfo legato covalentemente a un atomo di


idrogeno, tipico di molecole dette tioli.

Anche in biologia ci sono delle “molecole-sinonimo”, cioè ci sono molecole con la stessa
formula molecolare, ma nella realtà dei fatti sono cose diverse: sono gli isomeri.
Isomeri strutturali: differiscono per l’arrangiamento covalente dei loro atomi (come, ad
esempio, l’etanolo e l’etere).
Isomeri geometrici: legami covalenti identici ma differiscono nell’ordine in cui i gruppi sono
arrangiati nello spazio (come, ad esempio, il trans-2-butene e il cis-2-butene).
Enantiomeri: molecole che sono l’immagine speculare l’una dell’altra e hanno proprietà
chimico-fisiche completamente diverse tra loro.
CARBOIDRATI
I carboidrati sono idrati di carbonio, molecole che amano l’acqua, che possono essere in
forma molto semplice oppure unirsi e formare molecole legate covalentemente tra di loro.

I carboidrati sono molecole che amano l’acqua, la cui formula bruta è Cn(H2O)n.
➔ sono composti prevalentemente da uno scheletro carbonioso, idrogeno e ossigeno.
➔ possono essere monosaccaridi (glucosio), disaccaridi (saccarosio) e polisaccaridi.
Gli zuccheri semplici si diversificano per il numero di atomi di carbonio. I più diffusi
contengono 5 o 6 atomi di carbonio.
Il gruppo funzionale dei carboidrati è il gruppo carbonilico. Essp può essere sia terminale
che centrale, e a seconda del caso lo zucchero prende il nome di aldoso o chetoso.

In ambiente acquoso gli zuccheri non esistono in forma lineare ma si chiudono su stessi
formando delle strutture cicliche e, in base all’orientamento del gruppo funzionale, si forma
un isomero piuttosto che un altro.

RIBOSIO E DESOSSIRIBOSIO: sono


entrambi zuccheri pentosi ma il desossiribosio
differisce nel carbonio 2 perché presenta solo
l’idrogeno.

LEGAME GLICOSIDICO: legame covalente che lega tra di loro zuccheri semplici (viene
liberata sempre una molecola di acqua), in particolare lega il carbonio 1 di una molecola e il
carbonio 4 della molecola adiacente.
➔ due unità zuccherine: disaccaride
➔ fino a 10 unità zuccherine: oligosaccaride
➔ decine e decine di unità zuccherine: polisaccaride
La funzione degli zuccheri semplici è quella di fornire immediata energia, ma sono anche
materiale di sostegno, tipo la cellulosa nelle piante, quindi rappresentano anche una
componente strutturale). i carboidrati più abbondanti sono i polisaccaridi:
Polisaccaridi di riserva: amido e glicogeno
Polisaccaridi di sostegno: cellulosa e chitina

Amido e glicogeno: sono entrambi polimeri di α-glucosio. Si diversificano per le


ramificazioni della struttura. L’amido è il polisaccaride di riserva dei vegetali, immagazzinato
in organuli detti amiloplasti. Si presenta in due forme: amilosio e amilopectina. L’amilosio è la
forma più semplice, non ramificata, mentre l’amilopectina è la forma più comune ramificata
ed è costituita da circa mille unità di glucosio. Il glicogeno, detto anche amido animale, ha
una struttura molto più piena e risulta molto idrosolubile.
Si tratta di glucosio immediatamente scindibile da cui ricavare energia.
Cellulosa: è un polimero di β-glucosio. Non presenta punti di ramificazione. Il polimero
lineare funge da sostegno. Non ci sono enzimi adatti a scindere questi legami β-glicosidici e
sfruttarli come energia (i ruminanti possono farlo), motivo per cui svolge un ruolo strutturale.
Chitina: esoscheletro degli insetti, sono strutture molto compatte che interagiscono tramite
legami a idrogeno.
I carboidrati, per la loro capacità di attirare l’acqua, sono ricchi in particolari tessuti
(tipo la cartilagine).

LIPIDI
Classe molto eterogenea di composti.
Sono molecole a lunga catena, non amano l’acqua e possono essere lineari (saturi) o
deformati (insaturi).
Sono associati principalmente alla composizione della membrana plasmatica, ma sono
anche materiale di riserva quindi rappresentano materiale energeticamente utilizzabile.

I lipidi sono polimeri di acidi grassi.


Acidi grassi, lipidi molto semplici che vanno poi a costituire i più complessi.
Essi possono essere classificati in saturi, negli alimenti di origine animale, e insaturi, negli
olii e negli alimenti di origine vegetale.
Saturi: struttura perfettamente lineare. Si tratta di una lunga catena carboniosa che presenta
al termine un gruppo carbossilico. A temperatura ambiente sono allo stato solido.
Insaturi: struttura leggermente deformata che presenta delle curve a gomito in
corrispondenza del legame carbonio-carbonio (i poli-insaturi presentano tante curve a
gomito quanti sono i doppi legami carbonio-carbonio che si trovano lungo la catena).
Trans: sono grassi insaturi idrogenati artificialmente che finiscono per avere le stesse
caratteristiche dei grassi saturi.
Un lipide complesso nasce dall’unione di un acido grasso, saturo o insaturo, con un alcool a
3 atomi di carbonio, il glicerolo.
I monogliceridi hanno una sola molecola di acidi grassi, i digliceridi ne hanno due (il
legame covalente tra le due si chiama estere, che coinvolge il gruppo ossidrilico del glicerolo
e il gruppo carbossilico dell’acido grasso) e i trigliceridi presentano il glicerolo unito a tre
molecole di acidi grassi.

Tra i lipidi complessi ci sono i fosfolipidi, digliceridi fosforilati, cioè un digliceride a cui va
aggiunto un gruppo fosfato al carbonio 3 del glicerolo. La struttura che ne risulta è l’acido
fosfatilitico, ovvero la struttura base del fosfolipide.
➔ acido fosfatilico = glicerolo + 2 acidi grassi + gruppo fosfato
Ne risulterà una molecola anfipatica: il gruppo fosfato sta benissimo in acqua mentre le code
degli acidi grassi no. Quindi le codine sono degli acidi grassi, nella testa c’è almeno un
gruppo fosfato, affine all’acqua.
➔ fosfolipide = glicerolo + 2 acidi grassi + gruppo fosfato + gruppo polare

Sappiamo come si dispongono le molecole anfipatiche in acqua!!!


Nella cellula c’è una situazione particolare perchè c’è acqua sia dentro che fuori dalla
cellula: la micella non basta perché non permetterebbe la formazione del citoplasma, il
monostrato non va bene perchè prevede un’interfaccia aria/acqua non presente nella cellula.
L’unico modo per circoscrivere l’ambiente acquoso cellulare da quello extracellulare,
sempre acquoso, è la disposizione a doppio strato.

COLESTEROLO: lipide molto complesso con una struttura


ingombrante a 4 anelli chiusi.
Questi anelli legano una lunga catena carboniosa e un gruppo
ossidrilico, motivo per cui assume le proprietà di molecola anfipatica.
Il colesterolo è un componente strutturale della membrana plasmatica, insieme ai fosfolipidi,
tra cui si inserisce, ma è anche il precursore di tutta una serie di molecole fondamentali per
la vita, tipo gli ormoni del testosterone e del progesterone.
I lipidi, come i carboidrati, rappresentano una riserva energetica fondamentale per la vita.
PROTEINE
Le proteine sono lunghi polimeri di amminoacidi coinvolti in tutti i processi cellulari.
L’amminoacido, una molecola piccola che presenta un atomo di carbonio centrale α, che si
lega a:
➔ un gruppo amminico
➔ un gruppo carbossilico
➔ idrogeno
➔ catena laterale R, che diversifica gli amminoacidi

Il gruppo R diversifica i singoli amminoacidi conferendo specifiche proprietà, in termini di


affinità con l’acqua, capacità di formare legami ionici, capacità di formare interazioni
elettrostatiche, ecc. Dei 22 amminoacidi presenti in natura, gli ultimi due amminoacidi
scoperti sono stati la selenocisteina e la pirrolisina. La selenocisteina presenta un atomo
di selenio nella catena laterale; la pirrolisina si credeva che fosse una modifica di un altro
amminoacido esistente, la lisina, poi si è scoperto essere tutt’altro.

Formula ionizzata degli amminoacidi

Isomeri degli amminoacidi: sono l’uno la forma speculare dell’altro e vengono distinti in
forma D e forma L (tutte le nostre proteine contengono esclusivamente amminoacidi di
forma L). Con 22 amminoacidi si possono ottenere, ovviamente, infinite combinazioni.
C’è una parte comune a tutti gli amminoacidi formata da carbonio centrale, gruppo
amminico, gruppo carbossilico e idrogeno; c’è poi la catena laterale, cioè ciò che conferisce
specificità all’amminoacido, che può essere più o meno complessa. A seconda della natura
della catena laterale, gli amminoacidi vengono distinti in:
➔ polari e non-polari, e ciò conferirà alla molecola specifiche caratteristiche in termini di
affinità o non-affinità con l’acqua
➔ carichi positivamente (basici) e carichi negativamente (acidi), e la carica sarà
fondamentale nell’organizzazione tridimensionale della proteina
Ci sono amminoacidi che possono essere sintetizzati dalla cellula, e sono gli amminoacidi
non essenziali. Altri amminoacidi devono essere tassativamente incamerati con la dieta,
amminoacidi essenziali. Gli amminoacidi essenziali sono: fenilalanina, istidina, isoleucina,
leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano e valina. Per i bambini va aggiunta l’arginina .

LEGAME PEPTIDICO: lega covalente che lega due amminoacidi adiacenti (si tratta sempre
di una reazione di condensazione, per cui abbiamo la formazione di un legame covalente e
l’eliminazione di una molecola di acqua).
Il legame peptidico coinvolge il carbonio del gruppo carbossilico dell’amminoacido 1
della catena e l’azoto del gruppo amminico dell’amminoacido adiacente.
l dipeptide che si viene a formare presenta dei gruppi funzionali liberi, amminico nel primo e
carbossilico nel secondo. Una sarà l’estremità amminoterminale e l’altra sarà
carbossiterminale. Questo determinerà una sorta di polarità nella molecola che si forma.
STRUTTURA DELLA PROTEINA
Primaria: successione degli amminoacidi legati l’uno all’altra con legame peptidico. Questa
sequenza, detta “a filo di perle” viene specificata dalle istruzioni contenute nel pacchetto di
informazioni genetiche.
Secondaria: si basa su legami a idrogeno che conferiscono stabilità alla struttura. Non
coinvolgono le catene laterali.
α-elica, si avvolge a spirale attorno a un asse centrale. Risulta molto elastica.
Viene tenuta insieme da legami a idrogeno tra una spira e l’altra, cioè tra amminoacidi non
adiacenti.
foglietto β, a zig-zag. I legami a idrogeno si formano tra amminoacidi di catenepolipetidiche
differenti. Risulta flessibile piuttosto che elastica.
Terziaria: riguarda tutte le interazioni che si possono avere tra le catene laterali.
Le interazioni (che possono essere a idrogeno, elettrostatiche, idrofobiche, di Van der Walls,
ecc.) tra le catene laterali andranno a determinare dei domini, ovvero delle “sottoporzioni”
che, ad esempio, possono amare o respingere l’acqua.
Si possono formare anche dei legami covalenti, molto forti, tra gli atomi di zolfo di due
cisteine, che formano delle piegature praticamente indeformabili in corrispondenza dei ponti
disolfuri.
Vista nel suo insieme, la proteina è un’organizzazione di amminoacidi, in cui questo
filo deve ripiegarsi su se stesso, determinando al suo interno dei domini, ovvero
regioni con specifiche caratteristiche.
Quaternaria: molte proteine sono dei macrocomplessi nati
dall’unione di più proteine. L’emoglobina, ad esempio, presenta 4
proteine diverse, due catene α e due catene β, che si raggomitolano
e interagiscono l’una con l’altra a formare un unico complesso, che
contiene al suo interno i gruppi eme, che contengono il ferro.
Nelle proteine è fondamentale il processo di folding, che la
accompagna durante la sua formazione ad assumere la sua struttura
tridimensionale, fondamentale per la sua funzione.
Per le proteine esiste tassativamente il concetto struttura = funzione.
Infatti ci sono stati patologici che dipendono da anomalie presenti nella struttura di una
proteine. L'anemia falciforme è dovuta a una mutazione che porta alla sostituzione dell’acido
glutammico con la valina in posizione 6 della catena β dell'emoglobina.
Proteine coniugate: sono unite ad altre molecole (zuccheri, lipidi, acidi nucleici, ecc.), cioè
oltre alle catene polipeptidiche contengono anche gruppi prostetici.

FUNZIONI DELLE PROTEINE


Non c’è processo cellulare in cui non siano coinvolte le proteine.
Un enzima è un catalizzatore biologico, una molecola proteica in grado di accelerare delle
reazioni chimiche.
Molte proteine fungono da trasportatori. Molte proteine fungono da segnali, tipo l’insulina è
un ormone di natura proteica. Ci sono, ovviamente, molecole che devono captare questi
segnali: sono i recettori, anch’essi di natura proteica, che devono mettere la cellula in
condizioni da poter rispondere.
Ci sono proteine deputate al movimento e ci sono anche proteine che servono da riserva
energetica. Infine ci sono proteine che interagiscono con il DNA e una serie di proteine che
ne regolano proprio il funzionamento.
ACIDI NUCLEICI
Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi, che trasmettono l’informazione genetica e
determinano le proteine da sintetizzare affinché tali informazioni vengano concretizzate;
sono dei magazzini di informazioni che ci definiscono dal punto di vista morfologico e
funzionale. ll nucleotide è una struttura molto articolata fatta di:
● zucchero pentoso
● base azotata
● gruppo fosfato
Lo zucchero pentoso si trova al centro del nucleotide e fa
da ponte tra la base azotata e il gruppo fosfato. Gli
zuccheri sono diversi tra RNA e DNA e sono,
rispettivamente, il ribosio (ha il gruppo ossidrilico in C2’) e il
desossiribosio (ha solo l’idrogeno in C2’).
Il C1’ lega la base azotata, il cui scheletro presenta dei
carboni ma anche degli azoti.
Le basi azotate sono SEMPRE legate al C1 dello zucchero
del nucleotide, tramite legame N-glicosidico.
Le basi azotate possono essere di tipo diverso:
● pirimidine, un solo anello: citosina (entrambi), timina (DNA) e uracile (RNA)
● purine, a due anelli: adenina e guanina, comuni a DNA e RNA.
Il C3’ porta il gruppo ossidrilico, fondamentale perché permette la formazione di legami
covalenti tra due nucleotidi.
Il C5’ lega il gruppo fosfato, un atomo di fosforo con 4 ossigeni. In particolare in gruppo
fosfato è carico negativamente e dà carica negativa a tutta la molecola.

LEGAMI TRA NUCLEOTIDI


Legame fosfodiesterico: legame covalente che coinvolge tassativamente il gruppo
ossidrilico legato al carbonio 3 del primo nucleotide e il gruppo fosfato legato al carbonio 5
del nucleotide seguente. Polarità che risulterà fondamentale in seguito.
Il primo nucleotide della catena avrà libero il gruppo fosfato, e il carbonio 5 prenderà il nome
di estremità 5’, che una volta fissata non va più toccata (altri nucleotidi si aggiungono ai
successivi, eventualmente). L’ultimo nucleotide avrà libero il gruppo ossidrilico, e il carbonio
3 prenderà il nome di estremità 3’.
La dicitura 5’ → 3’ indica come vado a formare il filamento di DNA o RNA.
Reazione di polimerizzazione: oltre alla molecola di acqua, si perdono anche due fosfati.

DNA
Il DNA è un polimero di nucleotidi, dove il nucleotide presenta:
● uno zucchero, il desossiribosio
● le basi azotate: adenina e guanina (purine), citosina e guanina (pirimidine)
● un gruppo fosfato
Queste si legano con un legame fosfodiesterico.
La complessità del DNA sta nella struttura, dal momento che non abbiamo un singolo
filamento di nucleotidi ma abbiamo un doppio filamento di nucleotidi, che si dispongono a
doppia elica seguendo le regole della complementarietà e dell’antiparallelismo.
Nel 1949 Chargaff demolisce l’ipotesi del tetranucleotide e osserva che, nell’ambito di
ciascuna molecola di DNA, il contenuto di adenina è uguale al contenuto di timina e il
contenuto di guanina è uguale al contenuto di citosina. Scopre la corrispondenza tra le basi
e come si dispongono le basi in mezzi polari e non-polari.
Le basi azotate hanno due caratteristiche:
1. possono impilarsi l’una sull’altra
2. possono formare legami a idrogeno A - T e C - G.
Wilkins e Franklyn deducono che il DNA avesse una forma allungata, un andamento
elicoidale e che c’era una certa ripetività.
Mettendo insieme questi studi, Watson e Crick formulano il loro modello tridimensionale
secondo cui il DNA è una scala a chiocciola, dove i gradini sono le basi azotate e i montanti
sono gli zuccheri e i gruppi fosfati, legati tra di loro con legami fosfodiesterici.

Il DNA risulta costituito da una doppia catena polinucleotidica che si avvolge a spirale
attorno a un ipotetico asse centrale descrivendo un’elica, quindi una struttura che ha un
diametro costante e una certa periodicità. Le due emieliche, una rispetto all’altra, sono
antiparallele e complementari. L’antiparallelismo ci dice l’orientamento delle due emieliche
l’una rispetto all’altra, dove ciascuna catena polinucleotidica è fatta di nucleotidi (unità che
contengono uno zucchero, una base azotata e un gruppo fosfato), legati tra di loro con
legame fosfodiestere. La complementarietà è tassativa per garantire il diametro della
doppia elica e ci spiega bene il decorso dell’elica. Per mantenere costante il diametro
dell’elica, una purina va sempre accoppiata a una pirimidina. Quindi sarà sempre:
adenina - timina e citosina - guanina
in particolare tra adenina e timina si vengono a formare 2 legami a idrogeno, mentre tra
citosina e guanina se ne formano 3.
C’è una certa periodicità, cioè ogni giro di elica contempla 10 coppie di nucleotidi, l’una
sull’altra. In questa struttura si vengono a formare anche delle scanalature, dette solchi, uno
maggiore e uno minore, che sono dei siti che permettono l’interazione con tutta una serie di
proteine.

Il modello di Watson & Crick permette di dedurre l’orientamento dei filamenti conoscendone
uno solo. Il DNA contiene informazioni, i geni, che ci definiscono dal punto di vista
morfologico e funzionale.
Watson & Crick mettono a punto anche un meccanismo che ne permette la duplicazione.
Praticamente si prende la doppia elica del DNA e si rompono i legami a idrogeno tra le basi,
separando la doppia elica. Ciascun filamento farà da stampo per un nuovo filamento, e il
nuovo filamento sarà sintetizzato da un enzima, la DNA polimerasi, seguendo i principi della
complementarietà delle basi e dell’antiparallelismo.

Esperimenti di Griffith (1928): Griffith studiò la polmonite nei topini, approfondendo lo studio
dei batteri dello pneumococco, e si accorse che questi batteri esistevano in una forma
patogena, mortale, ma anche in un’altra variante, sempre batterica, ma “non patogena”.
Griffith prese la provetta con i batteri patogeni e la sottopose a calore; dopodichè prese
questa sospensione e la iniettò al topolino. Il topolino non si ammalava. Allora prese questa
miscela di batteri morti perché sottoposti a calore e li mescolò ai non patogeni vivi: il topolino
si ammalava e dopo una settimana moriva. L’autopsia evidenziava che la morte era stata
provocata dai batteri patogeni “morti”. Da qui Griffith dedusse che ci fosse un principio
trasformante, cioè che ci fosse qualcosa che all’interno del miscuglio di batteri che
trasformava i non patogeni in patogeni, e quindi capaci di innescare il meccanismo della
polmonite.
Esperimenti di Avery (1944): i batteri patogeni disattivati al calore vengono utilizzati per
estrarre carboidrati, proteine, lipidi e acidi nucleici. L’esperimento di Griffith viene riformulato
utilizzando ciascuna singola componente. Vengono mescolati i lipidi del batterio patogeno
con quello non patogeno, le proteine del batterio patogeno con quello non patogeno, i
carboidrati del batterio patogeno con quello non patogeno e gli acidi nucleici del batterio
patogeno con quello non patogeno. Il topolino si ammalava e moriva solo in concomitanza
della mescolanza degli acidi nucleici. Si definì che questo principio trasformante era il DNA.
Esperimenti di Hershey e Chase (1952): i virus sono entità molto semplici, fatte solo di
proteine e acidi nucleici, spesso responsabili della morte cellulare. Con altre metodiche, si
scopre che l’infezione virale comporta come attore principale il Dna, quindi le proteine del
virus non concorrono all’excursus dell’infezione virale, non sono quelle che determinano la
morte della cellula infettata, ma l’entità che entra fisicamente dentro la cellula, provocandone
la morte, è l’acido nucleico.

GENOMA: è la massa totale del DNA della cellula, un pacchetto di informazioni che
definiscono la cellula del punto di vista morfologico e funzionale, per mezzo dei geni,
considerate le unità informazionali del genoma: questa informazione deve sì trasmettersi di
generazione in generazione ma deve anche concretizzarsi tramite delle proteine altamente
specifiche responsabili dei caratteri specifici di quell’individuo. Quindi la successione di
amminoacidi che determina una proteina viene definita dal nostro DNA.

Non tutto il DNA è informazione!!!


Negli organismi semplici, il DNA è tutto informazionale.
Negli organismi più complessi, tipo l’uomo, contiene anche altre regioni:
● sequenze uniche: informazionali, che portano le informazioni delle proteine
● sequenze mediamente ripetute: regolatrici, spazzatrici
● sequenze altamente ripetute: funzione sconosciuta

Il DNA caratterizza tutti gli organismi viventi.


I procarioti hanno un’unica molecola di DNA, di forma circolare, e va a formare una struttura
che prende il nome di cromosoma, di forma circolare.
Gli eucarioti hanno una doppia molecola di DNA, in forma lineare, tagliato in frammenti che
si chiamano cromosomi, strutture lineari composti da due bastoncini a formare una X, che
nell’uomo sono 46.
Cromosoma del batterio: è molto più grande rispetto al diametro del batterio stesso.
Si ripiega formando delle anse, che si ripiegano a loro volta. In questo processo
intervengono delle proteine che devono essere affini al DNA (negativo), cioè devono
presentare la catena laterale positiva, dando vita a una struttura stabile e compatta, che può
stare nel citoplasma. Il compattamento del DNA avviene tramite interazioni con proteine
basiche, chiamate proteine istoniche, amminoacidi al cui interno vi è un’elevata presenza
di lisina e arginina. Gli istoni sono cinque: H1, H2A, H2B, H3 E H4.
Nel compattamento del DNA si forma un rocchetto che ha due
molecole di istoni H2A, due molecole di istoni H2B, due molecole
di istoni H3 e due molecole di istoni H4, attorno al quale il DNA si
avvolge descrivendo due giri. L’avvolgimento del DNA attorno al
rocchetto di 8 proteine istoniche prende il nome di nucleosoma.
L’istone H1 sta al di fuori del rocchetto e va a impedire ai due giri di DNA di srotolarsi,
ottenendo una struttura a collana di perle.
Questo filo di perle può avvolgersi a spirale su se stesso attorno a un ipotetico asse
centrale, con tutti gli istoni H1 che convergono verso il centro: la struttura che si viene a
formare prende il nome di solenoide, ed è ancora più compatto. Il solenoide può
compattarsi ancora di più descrivendo anse e superanse, ma per fare questo ha bisogno di
punti di aggancio, ovvero altre proteine, diverse dagli istoni, che andranno a formare una
sorta di scheletro, a cui le anse di DNA andranno ad agganciarsi. Questo fino a raggiungere
il massimo livello di compattamento del DNA, il cromosoma.

→ ciascun RNA è sintetizzato da uno stampo di DNA seguendo i principi


dell’antiparallelismo e della complementarietà tra le basi azotate.
RNA è costituito da una singola catena di nucleotidi legati tra loro con legame
fosfodiesterico, con precisa polarità 5’→3’. Esistono tre tipi di RNA nella cellula:
● messaggero, mRNA
● di trasporto, tRNA
● ribosomiale, rRNA
Trascrizione: processo con cui si formano gli RNA nella cellula.

L’RNA ribosomiale è di forma globulare e, associato a proteine, costituisce il ribosoma,


l’organulo cellulare deputato al montaggio delle proteine. I ribosomi hanno due subunità:
- procarioti: rRNA e proteine; liberi nel citoplasma; minore 16S - maggiore 23S, 5S
- eucarioti: rRNA e proteine; liberi nel citoplasma o adesi alle pareti del reticolo
endoplasmatico rugoso; minore 18S - maggiore 28S, 5S e 5.8S
L’RNA transfer è una molecola molto piccola, non supera i 120 nucleotidi, che
tridimensionalmente va a descrivere una struttura con due porzioni: braccio accettore,
estremità a cui viene legato un amminoacido, e un anticodone, una tripletta di nucleotidi che
legge l’informazione genetica trasferita dal DNA all’mRNA.
L’RNA messaggero mantiene la sua forma lineare. Fa da intermediario tra il DNA e le
proteine, quindi l’informazione genetica viene trasferita dal DNA all’RNA messaggero, sarà
poi quest’ultimo ad essere decodificato per formare una proteina
Per concretizzare l’informazione genetica scritta nel DNA viene prodotto un RNA
messaggero corrispondente al gene da trascrivere e quell’RNA messaggero lo produco
copiando l’informazione genetica in ribonucleotidi complementari e antiparalleli rispetto ai
primi. Nel processo di sintesi proteica il tRNA legge quest’informazione di tripletta in tripletta
a cui farà corrispondere un determinato amminoacido per ogni tripletta.
Tutto questo avviene nel ribosoma, macchina molecolare fatta di RNA ribosomiale e proteine
il cui compito è quello di legare tra di loro i singoli amminoacidi.

ATP: immagazzina energia durante la demolizione delle molecole biologiche ed è l’erogatore


di energia durante il lavoro cellulare. Adenosina trifosfato, nucleoside trifosfato:
● base azotata, adenina
● zucchero pentoso, ribosio
● tre gruppi fosfato
Nel gruppo trifosfato roppo il legame tra i fosfati β e γ. L’ATP perde un fosfato, cioè viene
idrolizzato, a formare ADP. Perdendo due fosfato si forma AMP.
CELLULA PROCARIOTICA
La cellula procariotica presenta una struttura molto semplice che non ha subito un processo
di compartimentalizzazione. Non c’è nucleo, per cui il DNA, circolare, si trova nell’area
nucleare, o nucleoide. Molte cellule procariote hanno una parete cellulare e si muovono
tramite i flagelli. Alcuni procarioti hanno anche le fimbrie, per aderire tra di loro o alle
superfici. Ci sono anche i ribosomi, liberi nel citoplasma.
I procarioti hanno due forme principali, sferica e bastoncellare.
Quelli sferici prendono il nome di cocchi e possono presentarsi in coppia (diplococchi), in
lunghe catene (streptococchi) o a grappolo (strafilococchi).
Quelli bastoncellari sono i bacilli. Possono avere anche forma elicoidale: se l’elica è rigida si
chiama spirillo, se l’elica è flessibile si chiama spirocheta. Un vibrione è uno spirillo a
forma di virgola.

La parete cellulare dei batteri è costituita prevalentemente da peptidoglicano, un polimero


complesso formato da amminozuccheri e polipeptidi. “Colorati” con violetto di genziana,
quelli che mantengono la colorazione sono detti Gram-positivi e hanno una parete di
peptidoglicani spessa; i Gram-negativi hanno due membrane: una di peptidoglicani e una
esterna che si traduce in una maggiore resistenza agli antibiotici. Quando l’ambiente diventa
ostile molti batteri formano le endospore, cellule dormienti che tornano a germinare, e
quindi riprende il ciclo vitale del batterio, quando le condizioni ambientali tornano favorevoli.

La maggior parte dei batteri si muove grazie a flagelli, costituiti da:


● corpo basale
● uncino
● filamento singolo
Il corpo basale ancora il flagello alla parete cellulare tramite una serie di dischi appiattiti.
L’uncino unisce il corpo basale al filamento singolo.
Il corpo basale è il motore. Il batterio utilizza ATP per pompare protoni fuori dalla cellula,
generando l’energia per sostenere il movimento rotatorio propulsivo del flagello.

I procarioti possono essere distinti in autotrofi ed eterotrofi.


Gli autotrofi utilizzano composti inorganici come fonte di carbonio per produrre le loro
molecole organiche; gli eterotrofi ricavano atomi di carbonio dalle composti organici di altri
organismi.
Sulla base della modalità di cattura dell’energia un autotrofo può essere chemiotrofo, se la
cattura dai composti chimici, o fototrofo, se la cattura dall’energia luminosa.
in conclusione:
➔ fotoautotrofi: utilizzano l’energia luminosa per sintetizzare i composti organici
➔ chemioautotrofi: utilizzano l’anidride carbonica come fonte di carbonio, ma non la
luce solare come fonte di energia
➔ fotoeterotrofi: ricavano il carbonio da altri organismi, ma utilizzano la clorofilla per
catturare l'energia luminosa
➔ chemioeterotrofi: dipendono dalle molecole organiche sia per il carbonio che per
l’energia

Ci sono batteri con metabolismo aerobico, respirano ossigeno molecolare, e altri che sono
anaerobi facoltativi, cioè conducono il metabolismo anaerobico solo se necessario, o
obbligati, che conducono solo la respirazione anaerobica.
CELLULA EUCARIOTICA
Dimensioni che vanno dai 7 ai 40 micron.
La cellula eucariotica presenta un elevato grado di complessità: nel citoplasma c’è il nucleo,
struttura sferica tipica degli eucarioti che va a proteggere il DNA. Le cellule eucariotiche
hanno uno scheletro, una sorta di impalcatura proteica, che conferisce alla struttura una
forma e si adatta ai cambiamenti: il citoscheletro.
All’interno del citoplasma ci sono tutta una serie membrane interne, di organelli membranosi,
che rappresentano la sede in cui la cellula produce tutta una serie di sostanze che andranno
smistate tra i vari compartimenti cellulari o al di fuori della cellula stessa (il Golgi è il centro di
smistamento che determinerà la destinazione dei prodotti della cellula).

Mitocondri: pur essendo rivestiti da membrane (ne hanno due addirittura), non fanno parte
del sistema di membrane interne, perché la sua origine è molto diversa. Fa parte degli
organuli semiautonomi: rappresentano la centrale metabolica della cellula, ovvero si tratta di
organuli specializzati nella sintesi di ATP a spese dell’ossigeno molecolare.
All’interno dei mitocondri c’è una molecola di DNA circolare, cosa che lo rende di origine
endosimbiotica, ovvero che fosse in origine una cellula procariotica incamerata nella cellula
eucariotica come organismo simbionte, diventando parte di essa.

La cellula vegetale, in generale, presenta la medesima organizzazione di quella animale, ma


si differenzia per la presenza dei cloroplasti e della parete cellulare, fatta di cellulosa, al di
fuori della membrana plasmatica, che va a formare dei fasci paralleli.
Inoltre all’interno della cellula vegetale si riconosce una mega vescicola, il vacuolo
(presente anche in alcune cellule animali), che si riempie e si svuota di acqua, e nella cellula
vegetale forniscono sostegno, mentre nella cellula animale (perlopiù monocellulari
eucariotici) sono coinvolti nel nutrimento e nella trattazione del cibo.

Nel citoplasma ci sono i ribosomi, necessari alla sintesi proteica, processo utile a
concretizzare le informazioni del DNA. Ci sono poi organelli di cui non si conosce l’origine, i
perossisomi, piccole vescicole che sono deputate alla detossificazione, trasformando
sostanze nocive in altre facilmente eliminabili.

STRUTTURA = FUNZIONE

MEMBRANA PLASMATICA
Non è visibile al microscopio ottico ma solo a quello elettronico (ha dimensioni nell’ordine del
nanometro).
La membrana plasmatica è l’involucro che circoscrive l’ambiente intracellulare ma, oltre ad
essere un contenitore, è anche ciò che direttamente si interfaccia con l’ambiente
extracellulare. Le membrane biologiche sono strutture complesse e dinamiche, costitute da
lpidi e proteine. Si tratta di una barriera selettiva che media tutti gli scambi che possono
avvenire tra cellula e ambiente esterno. Essa permette alle cellule di comunicare con
l’esterno: sia i monocellulari che i pluricellulari comunicano tra di loro.
La membrana plasmatica si deve adattare ai cambiamenti di forma.
STRUTTURA ARTICOLATA:
1. lipidi, molecole anfipatiche: fosfolipidi (fosfogliceridi e sfingolipidi), glicolipidi e steroli
2. proteine, che possono interagire con i lipidi in modo diverso
3. carboidrati, esclusivamente sul versante extracellulare, a formare, in alcune cellule,
uno strato anche molto compatto.
Struttura di un fosfolipide: glicerolo + acido grasso + 1 fosfato
Struttura di uno sfingolipide: sfingosina + acido grasso + 1 fosfato, dove la sfingosina è un
amminoalcool a lunga catena.

Nella membrana plasmatica i fosfolipidi, principali responsabili delle proprietà fisiche delle
membrane biologiche, si dispongono a doppio strato, dove in ciascun monostrato rivolgono
le teste polari verso l’ambiente acquoso, le code verso l’interno della membrana e
interagiscono tra di loro tramite interazioni idrofobiche.
I lipidi possono spostarsi lateralmente nel proprio monostrato, ruotare attorno al proprio asse
e flettere leggermente la testa. Non possono fare il flip-flop, cioè non possono spostarsi da
un monostrato, anche detto “foglietto del monostrato”, all’altro (azione per cui è necessario
l’intervento di un enzima, la flippasi).

Nel doppio strato di fosfolipidi si inserisce anche il colesterolo (4 anelli chiusi, indeformabili e
planari). Il colesterolo è non-polare ma anche anfipatico perchè presenta un piccolo gruppo
ossidrilico. Riesce a interagire con i fosfolipidi esponendo il gruppo ossidrilico verso la testa
dei fosfolipidi. Risulta una componente strutturale della membrana plasmatica.

MODELLO A MOSAICO FLUIDO


“mosaico” perché formato da tante cose diverse, mentre la fluidità dipende da quali sono i
lipidi e, di conseguenza, dal ruolo ricoperto dal colesterolo:
● troppi saturi, la membrana risulterebbe rigida e impenetrabile
● troppi insaturi, la membrana risulterebbe fluida e incapace di selezionare
Allora diviene necessario un fluidificatore, che sarà proprio il colesterolo, che risulta essere
un vero e proprio tampone di fluidità. Se ci sono troppi grassi saturi, esso funge da
spaziatore, andando a impedire le interazioni van der Walls tra i fosfolipidi che renderebbero
la struttura eccessivamente rigida e quindi incapace di espletare determinate funzioni, come
il trasporto di membrana; se ci sono troppi grassi insaturi, la membrana è eccessivamente
fluida e quindi indebolita: il gruppo ossidrilico del colesterolo interagisce con le teste
idrofiliche dei fosfolipidi riducendo il movimento.
Ovviamente la composizione della membrana plasmatica cambia da membrana a
membrana, da cellula a cellula, da tessuto a tessuto.
PROTEINE DI MEMBRANA
Possono essere di tre tipi:
● estrinseche, o periferiche
● intrinseche, o integrali
● ancorate
Le proteine estrinseche e intrinseche si distinguono per come si dispongono all’interno del
doppio strato lipidico.
Le proteine estrinseche sono poggiate sulle teste dei fosfolipidi con cui creano legami
idrogeno, interazioni deboli, quindi facilmente removibili senza distruggere il doppio strato
lipidico della membrana. Hanno diverse funzioni: quelle che sono sul versante
citoplasmatico sono responsabili della comunicazione cellulare, quelle che sono sul versante
esterno permettono l’adesione della membrana ai substrati.
Le proteine intrinseche sono molecole anfipatiche con le regioni idrofiliche nel citoplasma e
quelle idrofobiche interagiscono con le code dei fosfolipidi, e sono molto difficili da eliminare.
Sono anche chiamate proteine trans-membrana perchè la attraversano da parte a parte:
● monopasso, la attraversano una volta
● multipasso, la attraversano più e più volte.
Gli amminoacidi che sono a contatto con l’acqua saranno polari, mentre quelli a contatto con
le code dei fosfolipidi saranno non-polari. In questo modo possono formare anche strutture
più complesse, i complessi trans-membrana, con al centro un canale che permette il
passaggio di molecole non affini all’acqua e alla membrana plasmatica.
Le proteine ancorate sono proteine legate covalentemente a due lipidi.

Anche le proteine possono spostarsi e diffondere lateralmente. Gli spostamenti sono stati
dimostrati con degli esperimenti durante i quali sono state fuse cellule umane con cellule
murine, proteine umane con proteine murine. Con dei sistemi che ermettono di colorare le
proteine, fu osservato che tutte le proteine umane si spostavano su un lato della cellula
ibrida, tutte le proteine murine sul lato opposto. Dopo un’ora diventava tutta una mescolanza
che dimostrava che anche le proteine di membrana possono spostarsi lateralmente.

FUNZIONI DELLE PROTEINE DI MEMBRANA


Le proteine svolgono funzioni diverse all’interno della membrana plasmatica.
Ci sono proteine di ancoraggio, come le integrine, che legano la cellula alla matrice
extracellulare; ci sono proteine che fungono da trasportatori, permettendo il passaggio di
molecole poco affini all’acqua per mezzo di un canale centrale; alcune proteine sono enzimi;
ci sono proteine che trasducono i segnali: hanno una porzione esterna che sporge verso
l’esterno e capta il segnale e una parte che ricade nel citoplasma, portando l’informazione
all’interno della cellula.

CARBOIDRATI DI MEMBRANA
I carboidrati di membrana sono presenti solo ed esclusivamente sul versante extracellulare.
Sono sempre complessati, legati covalentemente, a lipidi o proteine, formando glicolipidi o
glicoproteine. I carboidrati di membrana servono per l’adesione e per richiamare acqua.

Studi hanno dimostrato che questo modello di membrana vale per tutte le membrane
biologiche, per cui si parla di teoria della membrana unitaria.
TRASPORTO DI MEMBRANA
Una membrana si dice permeabile a una sostanza quando permette a tale sostanza di
attraversarla. La struttura a mosaico fluido della membrana plasmatica la fa funzionare come
una membrane selettivamente permeabile.
Gas, molecole idrofobiche e piccole molecole polari prive di carica possono diffondere
attraverso il doppio strato fosfolipidico. Grosse molecole polari o molecole con carica no.
La prima forma di trasporto è il trasporto passivo, che avviene naturalmente senza
dispendio energetico (reazione esoergonica) ed è quindi un processo spontaneo. Porta la
molecola a spostarsi secondo il proprio gradiente di concentrazione, cioè si sposta da una
regione in cui è più concentrata verso una regione in cui è meno concentrata, fino al
raggiungimento dell’equilibrio.
Questo trasporto, che non richiede energia, può avvenire in due modalità differenti: se la
molecola è affine alla membrana plasmatica, in particolare se presenta affinità con le code
dei fosfolipidi, quella sostanza si sposterà da una faccia all’altra della membrana secondo
gradiente di concentrazione, e si parlerà di diffusione semplice; se la molecola non ha
affinità con l’acqua, è richiesto l’intervento di un trasportatore, un macrocomplesso proteico
trans-membrana, che al suo interno presenta il canale acquoso che coadiuva il passaggio
da una parte all’altra della membrana, e si parla di diffusione facilitata, tramite proteine
canale o proteine carrier. Le proteine carrier, che contengono un sito di ricnoscimento che le
definisce come specifiche per una determinata sostanza, sono una sorta di conchiglia che si
apre sul versante della membrana, accoglie la molecola da trasportare, si chiude e si riapre
sul versante opposto.

TRASPORTO DELL’ACQUA NELLA MEMBRANA PLASMATICA


Secondo la teoria classica, l’acqua è una molecola che, pur essendo polare, è talmente
piccola da riuscire ad insinuarsi tra il doppio strato di fosfolipidi.

NON PARLARE MAI DI CONCENTRAZIONE DELL’ACQUA!!!


ESSENDO UN SOLVENTE, NON HA CONCENTRAZIONE

Esperimento del tubo a U: prendo un tubo a U


e al centro della curva metto una membrana fatta
da un doppio strato di fosfolipidi. Dopodichè
riempio diversamente le due porzioni del tubo: da
un lato metto una soluzione di acqua e zucchero
con poche molecole di zucchero, dall’altra parte
metto la stessa quantità di acqua ma con molto
più zucchero all’interno. Dopo mezz’ora vedo che
il livello dell’acqua è diminuito dove c’era poco
zucchero ed è aumentato dove ce n’era tanto. Si parla di osmosi, ovvero il passaggio
spontaneo di un solvente dalla soluzione in cui i soluti sono più diluiti a quella in cui sono più
concentrati. Quanti più sono i soluti, più questi attraggono l’acqua dal lato opposto della
membrana finché a livello della membrana non si esercita una pressione, che prende il
nome di pressione osmotica che “blocca” questo flusso, ovvero la pressione che deve
essere esercitata sul lato della membrana selettivamente permeabile contenente la
concentrazione maggiore di soluto per impedire la diffusione dell’acqua, per osmosi, dal lato
con la concentrazione minore di soluto.
Quando due soluzioni, alla stessa
concentrazione, sono divise da una
membrana, si dice che queste sono
isotoniche.
Le soluzioni, a diverse concentrazioni, divise
da membrana, sono ipertoniche o ipotoniche
l’una rispetto all’altra.

Una cellula messa in un ambiente isotonico,


cioè con la stessa concentrazione di soluti,
non subisce cambiamenti.
Se la mettiamo in una soluzione ipertonica,
l’acqua tenderà ad uscire perchè attirata dal
soluto esterno (esempio fanghi).
Se mettiamo la cellula in un soluzione
ipotonica, l’acqua entrerà nella cellula, fino a
rischiare di scoppiare.
La cellula vegetale, che all’esterno ha una parete di cellulosa, non corre questo rischio: in
essa c’è un vacuolo contrattile che che viene utilizzato per espellere l’acqua in eccesso.

Nel 2003 i ricercatori Agre e Mackinnon sono stati insigniti del Nobel per aver approfondito
gli studi sul movimento dell’acqua scoprendo l’esistenza, a livello della membrana
plasmatica, dei canali, delle strutture trans-membrana, le acquaporine, che permettono il
trasporto dell’acqua in risposta a variazioni di soluti tra interno ed esterno della cellula.
Quindi anche nel caso dell’acqua si parla di trasporto facilitato.

TRASPORTO ATTIVO
Sebbene alcune sostanze possano essere trasportate attraverso la membrana per
diffusione, a volte c’è bisogno di trasportare soluti contro gradiente di concentrazione.
Sia la diffusione che il trasporto attivo richiedono energia, ma mentre per la diffusione è
fornita dal gradiente di concentrazione della sostanza da trasportare, nel trasporto attivo c’è
bisogno di un dispendio energetico che alimenti direttamente il processo.
Un sistema di trasporto attivo “pompa” materiali contro gradiente di concentrazione.
Anche in questo caso i trasportatori possono essere proteine carrier che se trasportano
un’unica molecola (uniporto), due molecole nella stessa direzione (simporto) oppure due
molecole in direzioni opposte (antiporto)

Due esempi di trasporto attivo: la pompa protonica, nei lisosomi, e la pompa sodio potassio
(antiporto), nei neuroni. La pompa è un macrocomplesso proteico di membrana associato
sempre al trasporto attivo.
La pompa sodio-potassio è una proteina carrier che utilizza l’energia ricavata dall’idrolisi
dell’ATP per pompare ioni sodio fuori dalla cellula e ioni potassio dentro la cellula. Lo
scambio è sbilanciato perché per due ioni potassio che entrano, ne escono tre di sodio.
L’interno della cellula risulta carico negativamente rispetto all’esterno. Questo porta a
stabilire un gradiente elettrico che guida gli ioni attraverso la membrana.
Esiste anche un altro trasporto, sempre attivo, che prende il nome di trasporto secondario.
Dobbiamo immaginare che ci sia una pompa che, bruciando energia, va a concentrare gli
ioni H+ su un lato della membrana. Questi ioni H+ spingono e, accoppiato a questa pompa, ci
sarà un altro trasportatore che, passivamente, permetterà nuovamente l’ingresso degli ioni
nel citoplasma, in modo che il circolo si possa richiudere. Ma il trasportatore di H+ si porta
dietro un intruso, motivo per cui viene detto secondario.
Mentre il trasporto attivo primario è una pompa, un macrocomplesso di membrana che,
bruciando ATP, concentra su un lato della membrana una data sostanza, il trasporto attivo
secondario sfrutta una pompa per creare una differenza di concentrazione tra le due facce
della membrana, tra il citoplasma e l’ambiente extracellulare, ed è accoppiato a un
trasportatore passivo che fa rientrare nel citoplasma una molecola che è stata concentrata
dall pompa. Nel Fare questo, il trasportatore fa entrare anche un secondo incomodo, quindi
sfrutta il ritorno degli ioni H* per poter rientrare nella cellula.

SISTEMA DELLE ENDOMEMBRANE


Rete di organuli che scambiano i
materiali attraverso piccole vescicole di
trasporto.
Reticolo endoplasmatico, complesso del
Golgi e lisosoma (+ vescicole).
Rappresenta una centrale di
smistamento di tutti i prodotti cellulari che
devono uscire e ciò che accoglie prodotti
di derivazione extracellulare. Sono
interconnessi tra di loro: il reticolo liscio e
quello rugoso sono interconnessi perché
in alcuni punti le membrane si fondono; il
complesso del Golgi e il reticolo
endoplasmatico si connettono tramite
vescicole, sfere cave membranose al cui
interno ci sono i materiali trasportati da
un distretto all’altro; dal complesso del
Golgi ha origine il lisosoma, lo stomaco
della cellula.

RETICOLO ENDOPLASMATICO RUGOSO (RER)


Il reticolo endoplasmatico rugoso ha l’aspetto di tanti sacchi interconnessi tra di loro.
Ha una faccia luminale, nuda, e una citosolica, quella esterna, con i ribosomi, che esistono
come entità libere nel citoplasma o come entità associate al reticolo endoplasmatico rugoso.
Proprio per la presenza dei ribosomi, la funzione del reticolo endoplasmatico rugoso è quella
di sintetizzare delle classi particolari di proteine, ovvero tutte le proteine destinate agli altri
organuli membranosi e quelle destinate ad uscire dalla cellula, quindi tutte le proteine
destinate alla secrezione, cioè a lasciare la cellula, e quelle associate alle membrane (tipo le
proteine trans-membrana).
Quando un mRNA codificante una di queste proteine entra nel citosol, si associa un
ribosoma e viene trasportato sulla faccia citosolica del reticolo endoplasmatico rugoso.
Quando la proteina è sintetizzata, passa nel ribosoma e in un poro del reticolo
endoplasmatico. Qui le proteine destinate alla secrezione o agli altri organuli cellulari
passano nel lume del reticolo endoplasmatico, quelle destinate alla membrana passano solo
parzialmente nel poro del reticolo endoplasmatico per poi dirigersi verso il doppio strato
lipidico. Una volta prodotte, sempre nel reticolo endoplasmatico rugoso le proteine
subiscono il processo di folding. All’interno del reticolo endoplasmatico rugoso le proteine
subiscono anche delle modifiche chimiche, ovvero vengono glicosilate, cioè vengono
associate ai carboidrati: la glicosilazione avviene trasferendo un albero saccaridico
complesso (identico per tutte le proteine) sulle catene laterali di un particolare
amminoacido, l’asparagina, per cui si parla di N-glicosilazione.
Si parte da un lipide di membrana, il dolicolo, e uno dopo l’altro vengono aggiunti tutta una
serie di zucchero, a formare un vero e proprio albero. Questo albero inizialmente sporge
verso la faccia citoplasmatica, poi effettuando un flip-flop, e si ritrova sporgente all’interno
del lume del reticolo endoplasmatico rugoso.

RETICOLO ENDOPLASMATICO LISCIO (REL)


Ha la forma di tanti tubuli, non ha i ribosomi ed è in contiguità con il rugoso.
Come il reticolo endoplasmatico rugoso produce le proteine, quello liscio produce i lipidi,
quindi rappresenta la sede primaria della sintesi di fosfolipidi e colesterolo destinati alle
membrane cellulari.
Sia dal reticolo liscio che da quello rugoso gemmano delle sfere lipidiche, le vescicole, che
viaggiano nel citoplasma e si fondono con gli altri organuli membranosi, portando sempre
nuovi lipidi agli altri organuli membranosi, fino ad arrivare alla membrana plasmatica. E
poichè liscio e rugoso sono in contiguità, se il rugoso produce una proteina, questa va
incapsulata nella vescicola, che diviene un cargo che raggiungerà gli altri distretti della
cellula.
Svolge un ruolo nei processi di detossificazione, ovvero quei processi che trasformano
molecole potenzialmente tossiche in idrosolubili, quindi facilmente eliminabili con le urine.
La detossificazione avviene prevalentemente a livello del fegato.
Nella fibra muscolare è importante perché contiene ioni calcio, senza i quali la contrazione
non può avvenire.

COMPLESSO DEL GOLGI


Il complesso del Golgi è stato osservato per la prima volta
nel 19898 dal microscopista italiano Camillo Golgi.
Esso smista le proteine che riceve dal reticolo
endoplasmatico e le impacchetta in vescicole di trasporto
destinate i diversi compartimenti del sistema delle
endomembrane.
Viene sempre paragonato a una pila di piatti, cisterne
impilate l’una sull’altra dai cui lati gemmano continuamente
nuove vescicole, che vanno a fondersi con quelle superiori.
Può essere diviso in tre porzioni:
➔ faccia cis, vicino al nucleo, che riceve le vescicole dai reticoli
➔ faccia intermedia, o regione mediale
➔ faccia trans, rivolta verso la membrana plasmatica, che impacchetta le vescicole
Si crea questo flusso di vescicole che dai due reticoli mandano i prodotti proteici e lipidici
alla faccia cis del complesso del Golgi. Le membrane di queste vescicole si fondono con le
membrane del Golgi, le proteine entrano all’interno delle cisterne del Golgi.
Le vescicole che gemmano dalla faccia trans, nella maggior parte dei casi, si muovono
verso la membrana plasmatica. Quando arrivano alla membrana plasmatica, la membrana
della vescicola diventa parte integrante della membrana plasmatica e il contenuto verrà
liberato all’esterno.
Il Golgi risulta un po’ come una stazione intermedia che deve accogliere tutto quello che
arriva dal reticolo e lo deve smistare verso gli altri distretti della cellula, membrana
plasmatica inclusa.
La proteina, che nel reticolo era stata sintetizzata e glicosilata, al Golgi viene completamente
rielaborata dal punto di vista chimico.
N.B: alle proteine l’albero saccaridico viene aggiunto all’interno della vescicola e il
meccanismo con cui la vescicola si fonde con la membrana plasmatica (tipo guanto che
viene sfilato) fa sì che ciò che stava dentro la vescicola si troverà esposto verso l’ambiente
extracellulare, ciò che stava all’esterno si troverà rivolto verso il citoplasma. Quindi le
proteine glicosilate si troveranno esposte verso la faccia esterna della membrana.
Il Golgi è una centrale che rielabora chimicamente anche tantissime altre sostanze.
Dalla faccia trans del complesso del Golgi gemmerà il lisosoma, vescicola che diventerà un
organello a sè stante che sarà adibita a digerire il materiale inutile per la cellula.

LISOSOMA
Nasce da una vescicola che gemma dalla faccia trans del Golgi.
Gli enzimi lisosomiali funzionano a pH acido (circa 5), quindi il lisosoma è unico nel suo
genere in quanto presenta sulla membrana una pompa che prende ioni H+ e li concentra
all’interno del lisosoma. I lisosomi agiscono fondendo le loro membrane con le vescicole che
contengono il materiale che deve essere digerito.
Il lisosoma contiene nucleasi, proteasi, lipasi, glicosilasi, cioè degli enzimi litici in grado di
degradare le corrispondenti macromolecole biologiche.
Nelle cellule germinali prende il nome di acrosoma, che permette allo spermatozoo di
fecondare la cellula uovo.

PEROSSISOMA
I perossisomi si formano per gemmazione di un dominio specializzato del reticolo
endoplasmatico liscio e sono organuli rivestiti di membrana che contengono enzimi in grado
di catalizzare quelle reazioni metaboliche nelle quali l’idrogeno è trasferito dai vari composti
all’ossigeno. Il nome deriva dal fatto che durante queste reazioni si forma il perossido di
idrogeno, utilizzato per detossificare determinati composti. Un eccesso di perossido di
idrogeno infatti è tossico per la cellula. I perossisomi contengono la catalasi, un enzima in
grado di scindere il perossido di idrogeno in eccesso in acqua e ossigeno, rendendolo
innocuo.
ESOCITOSI ED ENDOCITOSI
L’endocitosi è il processo con cui la cellula incamera dei materiali. Il primo contatto è con la
membrana plasmatica: nel momento in cui una sostanza entra in contatto con la membrana
plasmatica, essa si introflette all’interno del citoplasma formando una gemma che
stringendosi sempre più fino a rilasciare una vescicola. Questa vescicola può contenere
qualcosa di liquido o qualcosa di solido, e a seconda che il contenuto sia liquido o solido si
parla esclusivamente di pinocitosi o fagocitosi. La destinazione finale della vescicola è il
lisosoma: si ha prima una fusione con un lisosoma non maturo, non attivo, l’endosoma, che
non ha raggiunto ancora il suo stato funzionale con pH acido, e poi con il lisosoma.
Endocitosi mediata da recettore: il recettore è una proteina trans-membrana che si trova
nelle fossette rivestite della membrana plasmatica, introflessioni rivestite da uno strato di
clatrina, proteina a tre punte. La molecola che si lega al recettore si chiama ligando.
Nel momento in cui questa sostanza X arriva, la porzione di membrana che contiene i
recettori va a introflettersi e dà origine alla vescicola. Quando questa si strozza, perde il
rivestimento e va nel lisosoma. Il ligando resta attaccato al recettore: sarà il pH acido del
lisosoma a determinarne la separazione. Il ligando verrà degradato, il recettore tornerà sulla
membrana plasmatica.

NUCLEO
Il nucleo ha una forma sferica, diametro di qualche micron ed è adibito a proteggere il DNA.
➔ carioteca
➔ nucleoscheletro
➔ nucleolo
➔ cromatina, RNA enzimi e ribozimi
Nel nucleoplasma c’è il DNA e una serie di proteine istoniche a cui esso è associato.
Questa associazione tra DNA e proteine prende il nome di cromatina.
All’interno del nucleo avvengono processi importanti come la duplicazione del DNA e la
trascrizione dell’RNA, processi per i quali sono necessari enzimi deputati a tali processi,
quindi anche tutti questi enzimi sono nel nucleo (ad esempio i ribozimi).

Carioteca: è l’involucro del nucleo. Si tratta di una coppia di membrane concentriche: una
esterna, rivolta verso il citoplasma, rivestita di ribosomi e in contiguità con il reticolo
endoplasmatico rugoso, e una interna, liscia, che non presenta i ribosomi, rivolta verso il
nucleoplasma e che poggia sulla lamina nucleare, cioè su una rete di proteine che
determina la forma del nucleo stesso.
Le due membrane sono sì concentriche ma in alcuni punti sono fuse e i quei punti si
determina un canale che prende il nome di poro nucleare, che viene occupato dal
complesso del poro, un macrocomplesso proteico fatto da più di 30 proteine che occupa
l’intero poro nucleare. Il complesso del poro ha una struttura a canestro capovolto:
● è ancorato saldamente all’involucro nucleare tramite
proteine di ancoraggio
● due anelli a simmetria ottagonale, uno rivolto verso il
citoplasma e uno rivolto verso il nucleoplasma
● fibre, che si estendono nel citoplasma e nel nucleo
● all’interno presenta un traslocatore (un altro complesso
proteico)
Il complesso del poro regola il trasporto di molecole dal citoplasma al nucleo e viceversa.
Ci sono due modalità di trasporto:
1. per diffusione, e coinvolge le strutture a simmetria ottagonale. Quindi le proteine che
vanno a formare l’anello sono dei canalicoli che permettono questo trasporto.
2. regolato, e coinvolge il traslocatore centrale che media il passaggio di molecole di
grandi dimensioni, e richiede un grande dispendio energetico.

Ciclo di importazione delle proteine: nella struttura primaria della proteina c’è una
particolare successione di amminoacidi che funge da etichetta per indicare la destinazione
della proteina nel nucleo: si chiama NLS, segnale di localizzazione nucleare. Questa
successione viene riconosciuta da una proteina, l’importina, che la trasferisce all’interno del
nucleo attraverso il traslocatore centrale del complesso del poro consumando energia.
Ciclo di esportazione delle proteine: oltre al segnale NLS, c’è anche un segnale di uscita
(NES) che viene riconosciuto nel nucleo da un’altra proteina, l’esportina, che farà uscire
quella proteina dal nucleo.
Il trasporto attraverso il traslocatore centrale del nucleo è finemente regolato, molto
dispendioso dal punto di vista energetico ed è un trasporto monodirezionale per gli
RNA. Le proteine invece possono sia entrare nel nucleo, se presentano una sequenza
di amminoacidi NLS nella struttura primaria, ma possono anche uscire.

Nucleoscheletro: è caratterizzato da due componenti: la lamina nucleare, sottesa alla


membrana nucleare interna, e la matrice. La matrice è una rete tridimensionale di proteine
filamentose, che attraversa il nucleo in tutte le sue parti, che servono da ancoraggio. (per
alcuni è un artefatto, ovvero una conseguenza del trattamento delle cellule per poter
visualizzare i nuclei). La lamina invece è fatta di filamenti intermedi, costituiti da una proteina
che prende il nome di lamina. Questi filamenti si attorcigliano strettamente a formare una
struttura a corda, orientati nel senso testa-coda a formare un unico filamento. Più filamenti si
dispongono parallelamente, creando un fascio, una vera e propria rete tridimensionale, con
strutture molto consistenti, che finirà per essere responsabile della forma del nucleo.
Anche alla lamina nucleare si va ad ancorare il complesso del poro.

Nucleolo: nel nucleo trovo almeno una regione più scura, un distretto chiamato nucleolo,
adibito alla biogenesi dei ribosomi, infatti il nucleolo contiene la quota di DNA che ha
l’informazione genetica per sintetizzare 3 dei 4 RNA ribosomali: 28S - 18S - 5.8S
vengono trascritti nella parte fibrillare del nucleolo; solo il 5S viene trascritto fuori.
All’interno del nucleolo si distinguono più aree: una parte granulare e una fibrillare.
Quindi la parte fibrillare è quella che trascrive, che produce gli RNA ribosomiali.
La parte granulare è quella che monta la subunità maggiore e minore del ribosoma.
La parte granulare è la sede in cui questi RNA ribosomiali neosintetizzati si associano alle
proteine specifiche e vanno a formare la subunità minore del ribosoma (18S). Quando si
aggiungeranno il 28S e il 5.8S, e poi anche l’RNA ribosomiale 5S, prodotto fuori dal
nucleolo, insieme a tutte le proteine si formeranno le due subunità.
Attraverso il traslocatore centrale del complesso del poro non escono i singoli RNA
ribosomiali ma escono direttamente le due subunità complete, ma separate, del ribosoma.
Nucleoplasma: qui troviamo il DNA associato alle proteine, ovvero la cromatina.
La cromatina e i cromosomi (li vedo solo e soltanto quando la cellula si divide) sono due
aspetti della stessa sostanza, è sempre DNA che si organizza con le proteine.
Si possono distinguere zone chiare, eucromatina, e zone scure, eterocromatina.
La cellula, prima di riprodursi, deve crescere e quindi deve continuamente sintetizzare nuove
proteine, coinvolte in tutti i processi cellulari, e altre sostanze.
Affinchè i complessi di trascrizione trovino agevolmente il tratto di DNA che contiene il gene
che mi interessa, il DNA deve essere rilassato, decondensato, sotto forma di eucromatina.
La quota di DNA sotto forma di eucromatina, stadio di collana di perle, è il DNA che in quel
momento viene trascritta. La quota che non mi serve lo trasformo in eterocromatina,
condensato.
Quindi eterocromatina ed eucromatina sono una misura diretta dell’attività
trascrizionale della cellula.
L’eterocromatina può essere a sua volta distinta in:
● costitutiva, che non sarà mai trascritta, è costituita da tratti di genoma non codificante
● facoltativa, attivata solo per necessità e si trasforma in eucromatina
La quota di eucromatina ed eterocromatina cambia a seconda del tipo di cellula, pur
contenendo gli stessi geni.

Dal punto di vista funzionale eucromatina ed eterocromatina si differenziano per il fatto che
una è trascrivibile, è poco densa di elettroni e i geni sono accessibili a tutti i complessi di
trascrizione, l’altra è compatta, può contenere geni non informazionali ma possono
contenere delle informazioni geniche che in questo momento non servono ma potrebbero
esserlo in futuro. C’è una sorta di dinamicità tra eucromatina ed eterocromatina.
In questo caos apparente caos, in realtà c’è un ordine ben definito.
Nuovi studi hanno evidenziato il fenomeno della territorialità dei cromosomi:
ciascun cromosoma occupa una posizione ben precisa e stabilisce specifiche relazioni con
chi sta intorno. C’è un'architettura molto ordinata all’interno del nucleo che viene preservata
e mantenuta, che quando viene a mancare comporta uno stato patologico.
La territorialità dei cromosomi è stata scoperta bombardando una regione specifica del
nucleo con un raggio laser. Si vedeva che il danno non era casuale, ma i cromosomi inficiati
erano sempre i medesimi, che quindi occupavano posizioni ben precise.

CROMOSOMI
I cromosomi sono visibili solo nella fase terminale della vita della cellula,
in fase di divisione.
Sono strutture molto compatte, di forma lineare, ciascuno dei quali è
costituito da due bastoncini uguali, i cromatidi fratelli. I due cromatidi
presentano una strozzatura , il centromero, che può essere al centro,
spostata verso l’estremità, il telomero.
In questa strozzatura, c’è un bottoncino proteico, il cinetocore, ricco di
proteine correlate al movimento, grazie al quale il cromosoma si potrà
separare in due e migrare in una cellula figlia.
Quando il centromero è giusto al centro, si parla di cromosomi
metacentrici; quando è un po’ più spostato verso l’alto o verso il basso,
si parla di cromosoma submetacentrico, e si distinguerà un braccio corto e un braccio lungo;
quando è quasi terminale, si parla di cromosoma acrocentrico.
I cromosomi possono essere analizzati e visualizzati con degli screening.
Quando si parla di cariotipo, esso rappresenta la costituzione o l’assetto cromosomico di un
individuo, ovvero lo descrive in termini di numero e morfologia dei cromosomi.
Nel nostro corpo dobbiamo distinguere due tipi di cellule: le cellule somatiche (cellule di tutto
il corpo tranne quelle della linea germinale) e i gameti (derivano dalle cellule della linea
germinale e sono deputate alla riproduzione).
● somatiche: 46 cromosomi, sono diploidi.
● gameti: 23 cromosomi, sono aploidi
Cariotipo della cellula somatica: diploidi, hanno un doppio assetto cromosomico,
cromosomi uguali a due a due, quindi 23 coppie di cromosomi omologhi.
Nella cellula somatica umana maschile ci sono 22 coppie di autosomi, la ventitreesima
coppia di eterocromosomi, formata da un cromosoma X e uno Y.
Nelle donne invece anche la ventitreesima coppia è una vera coppia con due cromosomi X.
Cariotipo gamete: aploidi, non ci sono più i cromosomi omologhi, ma c’è un solo
rappresentante per ogni coppia dei cromosomi omologhi. I gameti aploidi contengono 22
autosomi, che non permettono di discriminare il sesso, e un eterocromosoma.
Se ho una cellula uovo, l’eterocromosoma sarà tassativamente la X; nel maschio troverò
sempre 22 autosomi, ma nel 50% degli spermatozoi troverò l’eterocromosoma X e nel 50%
troverò l’eterocromosoma Y.

N.B. Dal nucleo è possibile distinguere il sesso dell’individuo.


Nella donna un cromosoma X si spegne sistematicamente, si compatta sotto forma di
eterocromatina e così, nel nucleo, si troverà sempre una zolla adesa all’involucro della
membrana nucleare interna che rappresenta una X condensata: è il corpo di Barr.

CITOSCHELETRO
Il citoscheletro rappresenta lo scheletro
interno della cellula, un’impalcatura fatta da
una densa rete di fibre proteice che attraversa
la cellula da parte a parte.
Funzioni del citoscheletro:
1. struttura e sostegno
2. trasporto intracellulare
3. contrattilità e motilità
4. organizzazione spaziale
Responsabile del movimento (anche all’interno della cellula stessa).
Il traffico vescicolare è indirizzato da componenti del citoscheletro.
Nel citoscheletro è possibile distinguere tre componenti strutturali:
● microtubuli, componente più voluminosa. Sono dei lunghi cilindri cavi, dimeri di
tubulina α e β, che attraversano la cellula da parte a parte
● filamenti intermedi, classe molto eterogenea, si attorcigliano a formare delle corde e
danno molta resistenza alla cellula
● microfilamenti, molto sottili, fatti di actina, una proteina globulare che si associa ad
altre unità a formare dei filamenti
Il movimento degli eucarioti richiede sempre l’interazione dei microfilamenti con le proteine
motrici, che si fanno carico di spostare qualcosa lungo i binari citoscheletrici.
Microtubuli: sono dimeri di α e β tubulina, una proteina globulare. Per espletare le funzioni
legati al sostegno o al movimento, devono essere ancorati a una regione che prende il nome
di centro di organizzazione dei microtubuli, che nelle cellule animali prende il nome di
centrosoma, una sorta di nuvola di tubulina, da cui i microtubuli originano a raggiera.
Il centrosoma contiene al suo interno due strutture perpendicolari l’una sull’altra, i centrioli,
e ciascuno di essi, tagliato trasversalmente, somiglia a una stella a 9 punte e in ogni punta ci
sono 3 microtubuli (struttura 9x3)
I microtubuli rappresentano lo scheletro interno sia della cellula che delle appendici motili
(ciglia e flagelli).
Ma i microtubuli sono anche dei binari lungo i quali si spostano le vescicole.
Ciglia e flagelli hanno uno scheletro interno comune, fatto di microtubuli, organizzati a
formare l’assonema. Lo spostamento prevede l’interazione delle proteine dell’assonema con
le proteine motrici. Queste ultime sono composte da tre parti:
● testa, idrolizza ATP, passo dopo passo si sposta lungo il microtubulo
● coda, si lega ad altri componenti
● cerniera, regione che si flette

Quindi la proteina motrice da una parte lega quello che


deve essere trasportato (coda), poi c’è la regione a
cerniera e infine la testa che idrolizza ATP e ad ogni
passo si sposta lungo il microtubulo.

Ciglia e flagelli: sono appendici motili che sporgono da alcune cellule.


Le ciglia sono molto numerose e disposte in più file in maniera molto ordinata. Le ciglia si
muovono in maniera organizzata e sincrona e, battendo, muovono l’ambiente extracellulare
e creano un movimento all’esterno della cellula, permettendo lo spostamento.
Il flagello è uno per cellula e si muove a sinusoide.
Ciglia e flagelli hanno uno scheletro interno comune, fatto di microtubuli, organizzati a
formare l’assonema, anche detto struttura 9+2, cioè se vado a tagliare trasversalmente un
flagello o un ciglio nella parte mobile trovo 9 coppie di microtubuli periferici fusi e una coppia
di microtubuli centrali non fusi. Nella parte infissa, il corpo basale, ha 9 triplette periferiche di
microtubuli e mancano i microtubuli centrali, come i centrioli.
Lo spermatozoo si muove a sinusoide, cioè si sposta parallelamente all’asse maggiore della
cellula ma non vanno dritto. Le ciglia si spostano per file perpendicolarmente rispetto
all’asse maggiore della cellula.

Il movimento di ciglia e flagelli si basa sullo scorrimento l’uno sull’altro dei microtubuli che
vanno a formare l‘assonema, grazie alle proteine motrici, la dineina (questa cosa succede
contemporaneamente per tutte e nove coppie). Le proteine motrici si caricano una coppia di
microtubuli e la spostano muovendosi su una coppia di microtubuli adiacenti.
Tra le coppie di microtubuli ci sono le proteine di giunzione, i ponti di nexina, che si
possono spostare fin quando queste non raggiungono il loro punto massimo di estensione,
dopodichè si è costretti a fermarsi e tornare alla posizione iniziale.
Filamenti intermedi: hanno una dimensione intermedia tra microtubuli e microfilamenti.
Essi originano da placche proteiche sottese alla membrana plasmatica. Sono molto
eterogenei e si attorcigliano a formare corde. Preservano l’integrità della struttura cellulare e
danno resistenza.

Microfilamenti: la loro unità elementare è l’actina. I filamenti actinici circoscrivono la parte


periferica del citoplasma a formare uno strato sottile che permette alla membrana plasmatica
di adattarsi ai mutamenti di forma della cellula. Conferiscono flessibilità alla cellula e
contribuiscono alla divisione cellulare. I microfilamenti hanno un verso di crescita.
Li troviamo come scheletri motili di alcune appendici, tipo i microvilli, per aumentare il
volume della superficie di assorbimento. Grazie ai microfilamenti, alcune cellule possono
spostarsi (tipo la cellula tumorale che va a fare metastasi).

SARCOMERO
La fibra muscolare è un sincizio polinucleato, cioè sono più cellule che si fondono assieme a
formare un tutt'uno che è la fibra muscolare. Nella fibra muscolare, il citoscheletro si
organizza a formare le miofibrille, costituite a loro volte da tante unità elementari, i
sarcomeri. I sarcomeri hanno un’organizzazione del citoscheletro molto ordinata, con
filamenti sottili di actina parzialmente sovrapposti a filamenti spessi di miosina, proteina
motrice con la testa in grado di idrolizzare l’ATP e in grado di scorrere, di muoversi lungo un
filamento citoscheletrico. In seguito a un segnale nervoso di natura elettrica, la membrana
plasmatica delle fibra muscolare si introflette profondamente all’interno della fibra, a formare
i tubuli T, introflessioni della membrana plasmatica che arrivano a contatto con il reticolo
sarcoplasmatico, ovvero il reticolo liscio della fibra muscolare, che risponde rilasciando ioni
calcio. Per la contrazione servono sia gli ioni calcio che l’ATP.
L’ATP serve a caricare la testa della miosina. La testa della miosina passa da
un’angolazione a 45° a un'angolazione a 90° (conformazione ad alta energia) grazie
all’idrolisi dell’ATP. Senza calcio il legame tra l’actina e la miosina non avviene. Il calcio infatti
serve a spostare il complesso della troponina (filamentosa) e della tropiomiosina (globulare).
In questo modo la miosina può compattare e legare fisicamente l’actina, si può formare il
ponte trasversale tra actina e miosina e può avvenire lo scivolamento dei filamenti sottili su
quelli spessi. Il sarcomero si contrae ma in realtà è solo un aumento del grado di
sovrapposizione tra i filamenti sottili e spessi.
MITOCONDRI
Il mitocondrio è un organulo semiautonomo. Ha forma bastoncellare, costituito da due
membrane concentriche, una interna e una esterna, ma non fa parte del sistema
membranoso della cellula per via della sua origine completamente differente.
Presenta una membrana esterna, liscia, con una serie di pori che permettono la
comunicazione tra il citoplasma e l’interno del mitocondrio; la membrana interna è
ricchissima di proteine (importantissimo il complesso dell’ATP sintasi), è priva di colesterolo
ma presenta la cardiolipina (tipica delle membrane dei procarioti), presenta una serie di
creste che comportano un aumento della superficie di questa membrana. Lo spazio tra le
membrane prende il nome di spazio intermembrana, mentre la parte più profonda del
mitocondrio è la matrice mitocondriale. La matrice mitocondriale contiene una molecola di
DNA circolare, il DNA mitocondriale, e ribosomi.
Somiglia a una cellula procariotica, infatti si pensa che in origine fosse un batterio capace di
respirare ossigeno molecolare. Il mitocondrio per endocitosi penetra nella cellula, da cui
viene completamente incamerata per la sua capacità di respirare, diventando un organello
cellulare. Si crea una simbiosi.
Non fa parte del sistema delle endomembrane perchè è un organulo semiautonomo,
autonomia data dall’informazione genetica contenuta nel DNA circolare.
Come i batteri, i mitocondri si dividono per scissione binaria, quindi prima duplica il proprio
DNA e poi si strozza e dà origine alle due cellule figlie.

Funzioni del mitocondrio: è coinvolto ne processi di autoptosi, cioè di morte cellulare (non
rientra nel programma)
Il mitocondrio è la centrale energetica della cellula, cioè permette di conservare sotto
forma di ATP tutta l’energia che si libera nelle reazioni metaboliche → catabolismo.
(la capacità del mitocondrio sta nell'utilizzare l’energia che si libera quando vado a rompere i
legami chimici tra le sostanze che ingerisco per aggiungere il fosfato all’ADP).

Come si può formare l’ATP nella cellula:


● fosforilazione a livello del substrato: un enzima trasferisce un fosfato alla molecola di
ADP. In questo modo formo una sola molecola di ATP
● chemiosmosi: un meccanismo molecolare che permette di sfruttare al meglio
l’energia contenuta negli alimenti per produrre quantitativi elevati di ATP. Ottengo
molte più molecole di ATP

N.B. Metabolismo:
● anabolismo: sto costruendo qualcosa
● catabolismo: sto demolendo qualcosa (nel nostro caso, il glucosio)
Il glucosio è uno zucchero a 6 atomi di carbonio.
Grazie alla presenza dell’ossigeno molecolare riesco a bruciare completamente il glucosio
liberando nell’atmosfera 6 molecole di anidride carbonica, quindi tutta l’energia che sta nei
legami carbonio-carbonio viene utilizzata per formare ATP.
Ci sono due modi per bruciare il glucosio, molto diversi tra loro:
1. in un unico step il glucosio viene bruciato in anidride carbonica e acqua. In questo
modo la maggior parte dell’energia viene dispersa nell’ambiente sotto forma di calore
2. effettuo più passaggi e, di reazione in reazione, si riesce a conservare l’energia
contenuta nei legami carbonio-carbonio
Il mitocondrio segue la seconda tipologia di lavoro per limitare al massimo la dispersione di
energia e utilizzarla, piuttosto, per la produzione dell’ATP.

Catabolismo del glucosio: la degradazione del glucosio prevede una serie di reazioni
sequenziali (sono tutte reazioni di ossidoriduzione, cioè il glucosio perde elettroni che
vengono acquisiti da altre molecole) che porteranno a bruciare completamente la
molecola di glucosio liberando 6 molecole di anidride carbonica e ad ottenere un
notevole quantitativo di ATP.
Si parte sempre dalla glicolisi, che avviene nel citoplasma e non richiede ossigeno
molecolare: il glucosio, a 6 atomi di carbonio, viene scisso in due molecole di acido piruvico,
a 3 atomi di carbonio. Contestualmente si produrranno 2 molecole di ATP e 2 molecole di
NADH (NAD ridotto si prende gli elettroni ceduti dal glucosio). Il processo potrebbe fermarsi
qui e continuare con una fermentazione, quindi trasformare questo acido piruvico ancora
ricco di energia come etanolo, acido lattico, ma non utilizzabile dalla cellula.
In alternativa possiamo innescare il processo della respirazione, facendo entrare le due
molecole di acido piruvico all’interno del mitocondrio: non entra come acido piruvico ma
entra come acetil coenzima A, e per effettuare questa trasformazione perdiamo un atomo di
carbonio sotto forma di anidride carbonica per ogni molecola di acido piruvico. Allo stesso
tempo formiamo altre due molecole di NADH per ogni molecola di glucosio. L’acetil
coenzima A entra nella matrice del mitocondrio e fa parte del ciclo di Krebs, o ciclo
dell’acido citrico, o ciclo degli acidi tricarbossilici. L’acetil coenzima A, che contiene 2 atomi
di carbonio che provenivano dal glucosio, si fonde con un composto a 4 atomi di carbonio,
formando l’acido citrico. L’acido citrico entra in questo circolo vizioso di reazioni e subisce
tutta una serie di trasformazioni riformando quel composto a 4 atomi di carbonio che si può
fondere con un’altra molecola di acetil coenzima A, quindi formando nuovamente l’acido
citrico. Questo ciclo non termina mai e tende ad esaurire l’acetil coenzima A.
Nella realtà dei fatti, durante questo ciclo vengono liberate 4 molecole di anidride carbonica.
Considerando che altre 2 molecole di anidride carbonica erano state liberate per far entrare
l’acido piruvico nel mitocondrio, del glucosio non resta più niente. Abbiamo prodotto altre 2
molecole di ATP semplicemente fosforilando l’ADP e abbiamo prodotto anche una marea di
coenzimi ridotti, cioè 6 molecole di NADH e 2 molecole di FADH2.
Alla fine di tutto questo processo metabolico ci ritroviamo un mitocondrio che contiene tanti
coenzimi ridotti che dovranno essere riciclati.
A questo punto ci si sposta dalla matrice alle creste (introflessioni della membrana nucleare
interna) del mitocondrio. Sulle creste mitocondriali ci sono tutta una serie di sostanze che
fungono da trasportatori di elettroni, quindi si viene a determinare una vera e propria catena
in base alla quale i coenzimi ridotti cederanno i loro elettroni, quindi si ri-ossideranno
ritornando disponibili per tutto il processo metabolico e questi elettroni passeranno da un
trasportatore all’altro fino ad arrivare all’accettore finale di questa catena di trasporto degli
elettroni, cioè l’ossigeno molecolare, che si prende gli elettroni ceduti dal glucosio ai
coenzimi. Ma la catena di trasporto degli elettroni fa anche un’altra cosa perchè per ogni
elettrone che passava da un trasportatore all’altro c’è un protone un H+, che viene preso
dalla matrice e buttato nello spazio intermembrana. Gli H+ vanno a formare un vero e proprio
gradiente, una forma protonomotrice, ma che vogliono ritornare nella loro sede di origine a
livello della matrice. Però sono degli ioni e la membrana non è permeabile agli ioni. Per
ovviare al problema abbiamo bisogno di un trasportatore, un canale, l’ATP sintasi.
L’ATP sintasi ha la forma di un lecca-lecca e ha due porzioni: una è un canale ionico che
permette il passaggio degli ioni H+, e una porzione che sporge nella matrice ed è la parte
catalitica, cioè la parte in grado di sintetizzare l’ATP. Bisogna immaginare una marea di
protoni che si muovono velocemente per passare lungo il canale dell’ATP sintasi, liberando
grandissime quantità di energia: questo mette in moto la parte catalitica del complesso che
sa quest'energia per legare il fosfato all’ADP, formando ATP. Facendo un conto
approssimativo per ogni elettrone che viene ceduto dal NADH ci sono 3 protoni che vengono
buttati nello spazio intermembrana, 3 protoni che dovranno ritornare nella matrice e quindi 3
molecole di ATP; per ogni FADH 2 che torna allo stato ossidato e che cede i suoi elettroni alla
catena di trasporto, c sarann 2 prtn btta nello spazio intermembrana e di conseguenza 2
molecole di ATP sintetizzate.
La resa massima è di 38 molecole di ATP per molecola di glucosio.
In realtà una piccola parte di energia viene dispersa sotto forma di calore e una parte serve
per il trasporto dell'acido piruvico nel mitocondrio.
Quindi mediamente si ottengono 32/34 molecole di ATP.

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