La cellula è l’unità elementare della vita. Non esiste vita senza cellule.
Le cellule si differenziano in procariote ed eucariote.
Entrambe si riproducono ma le prime presentano una struttura molto più semplice delle
seconde, che presentano dei compartimenti con funzioni ben definite.
N.B: ossigeno e idrogeno andranno a formare l’acqua (le nostre cellule ne presentano
concentrazioni elevate, oltre il 70%); il carbonio andrà a costituire gli scheletri delle nostre
molecole biologiche; l’azoto è il costituente principale delle proteine.
La valenza è il numero di legami covalenti che un elemento può formare per raggiungere la
massima stabilità. Il carbonio, per esempio, è detto tetravalente perché tende a formare 4
legami covalenti per raggiungere la massima stabilità.
ACQUA: H2O
Un atomo di ossigeno legato covalentemente a due atomi di idrogeno.
PROPRIETÀ DELL’ACQUA
Rispetto ad altre molecole che hanno le sue stesse dimensioni è unica, e la sua unicità
dipende dalla caratteristica di formare legami a idrogeno, in un determinato contesto, con
altre 4 molecole di acqua, formando un tutt’uno.
Le proprietà dell’acqua sono:
1. forza di coesione
2. tensione superficiale
3. calore di evaporazione
4. capacità termica
5. punto di ebollizione e di fusione
6. densità
Elevata forza di coesione: grazie alla presenza di legami a idrogeno, ogni molecola di
acqua si lega ad altre 4, motivo per cui una forza esercitata su una colonna di acqua verrà
trasmessa a tutta la colonna. Oltre alla coesione, c’è anche un’elevata forza di adesione,
cioè le molecole di acqua si attaccano a sostanze che presentano atomi carichi in superficie.
Elevata tensione superficiale: è una conseguenza della coesione. Essendo molecole
coesive esse sono più attratte le une con le altre piuttosto che dalle molecole presenti
nell’aria, quindi la superficie dell’acqua mostra una notevole resistenza alla penetrazione,
resistenza data proprio dalla fitta rete di legami a idrogeno.
Elevato calore di evaporazione: la quantità di energia necessaria a rompere i legami a
idrogeno e far evaporare un grado di acqua è molto più elevata che in qualsiasi altro liquido.
Elevata capacità termica: è in grado di assorbire una quantità di calore elevata
aumentando di poco la propria temperatura. L’aumento di temperatura comporta un
aumento di energia termica che porta le molecole a muoversi più velocemente e a generare
più energia cinetica. Siccome gran parte dell’energia cinetica è utilizzata per fare e disfare i
legami a idrogeno, solo una piccola parte di essa resta disponibile per l’aumento della
temperatura.
Elevato punto di ebollizione e di fusione.
Densità: molto peculiare perché allo stato solido è meno densa che allo stato liquido.
Quando è allo stato vapore è l’unica condizione in cui non ci sono legami a idrogeno.
Allo stato liquido le molecole d’acqua sono libere di muoversi in maniera continua e
disordinata, continuamente formano e disfano legami a idrogeno, portandomi ad avere una
struttura molto poco organizzata. Allo stato solido il ghiaccio ha una struttura cristalliforme in
cui le molecole di acqua sono fisse. C’è una struttura ben organizzata che presenta però dei
vuoti che rendono il ghiaccio più leggero e quindi in grado di galleggiare.
L’ACQUA COME SOLVENTE
Molte sostanze si sciolgono in acqua, quindi è un solvente universale.
Ci sono sostanze che rendono acido o basico un ambiente.
Il pH è un parametro chimico pari a pH=-log[H+], dove H+ indica la concentrazione degli
idrogenioni all'interno della soluzione.
A seconda del pH, che è una scala che va da 1 a 14, le sostanze sono classificate come
acide, basiche o neutre.
Il pH della cellula è circa 7.4 e viene mantenuto costante da una serie di sistemi tampone,
una sostanza che si oppone alla variazioni di pH.
Anche il pH, come la temperatura, è un parametro che va tenuto costantemente sotto
controllo perché influenza la forma e la funzione delle molecole biologiche.
In particolare agisce su:
➔ la velocità delle reazioni chimiche
➔ la capacità di due molecole di legarsi tra di loro
➔ la capacità degli ioni o delle molecole di dissolversi in acqua
SOSTANZE IDROFOBE: si compattano l’una sull’altra per esporre meno superficie possibile
all’acqua, creando delle interazioni idrofobiche, legami deboli che limitano il più possibile il
contatto con la superficia acquosa.
L’acqua costringe i gruppi idrofobici ad aggregarsi per minimizzare il loro effetto di disturbo.
L’acqua non è attratta dalle molecole idrofobiche e perciò non tende ad avvolgerle e a
portarle in soluzione.
MOLECOLE ANFIPATICHE: presentano una testa polare, idrofila,
e una coda apolare, idrofoba.
Sulla superficie di un bicchiere d’acqua, quindi in un’interfaccia aria/acqua, non ho più una
struttura sferica ma si viene a creare uno strato compatto (monostrato) di molecole
anfipatiche, in cui tutte le teste sono immerse nell’acqua e tutte le code si dispongono
parallelamente l’una accanto all'altra e immerse nell’ambiente aeriforme, che è un ambiente
non polare.
I COMPOSTI ORGANICI
Noi siamo fatti da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto.
Il carbonio va a costituire lo scheletro delle nostre molecole biologiche, quali carboidrati,
proteine, lipidi e acidi nucleici.
Il carbonio ha 4 elettroni di valenza che vanno a formare 4 legami covalenti.
Le caratteristiche di una molecola organica possono essere cambiate quando uno o più
atomi di idrogeno legati allo scheletro carbonioso di un idrocarburo sono sostituiti da altri
gruppi di atomi, detti gruppi funzionali.
C’è il gruppo carbonilico che presenta un carbonio legato con doppio legame covalente
all’ossigeno. A seconda di dove sarà posizionato il gruppo funzionale si determinerà un
aldeide, alla fine della catena carboniosa, o un chetone, al centro della catena carboniosa.
Il gruppo amminico prevede, nello scheletro carbonioso, un azoto legato a due atomi di
idrogeno, ed è anch’esso presente negli amminoacidi.
Anche in biologia ci sono delle “molecole-sinonimo”, cioè ci sono molecole con la stessa
formula molecolare, ma nella realtà dei fatti sono cose diverse: sono gli isomeri.
Isomeri strutturali: differiscono per l’arrangiamento covalente dei loro atomi (come, ad
esempio, l’etanolo e l’etere).
Isomeri geometrici: legami covalenti identici ma differiscono nell’ordine in cui i gruppi sono
arrangiati nello spazio (come, ad esempio, il trans-2-butene e il cis-2-butene).
Enantiomeri: molecole che sono l’immagine speculare l’una dell’altra e hanno proprietà
chimico-fisiche completamente diverse tra loro.
CARBOIDRATI
I carboidrati sono idrati di carbonio, molecole che amano l’acqua, che possono essere in
forma molto semplice oppure unirsi e formare molecole legate covalentemente tra di loro.
I carboidrati sono molecole che amano l’acqua, la cui formula bruta è Cn(H2O)n.
➔ sono composti prevalentemente da uno scheletro carbonioso, idrogeno e ossigeno.
➔ possono essere monosaccaridi (glucosio), disaccaridi (saccarosio) e polisaccaridi.
Gli zuccheri semplici si diversificano per il numero di atomi di carbonio. I più diffusi
contengono 5 o 6 atomi di carbonio.
Il gruppo funzionale dei carboidrati è il gruppo carbonilico. Essp può essere sia terminale
che centrale, e a seconda del caso lo zucchero prende il nome di aldoso o chetoso.
In ambiente acquoso gli zuccheri non esistono in forma lineare ma si chiudono su stessi
formando delle strutture cicliche e, in base all’orientamento del gruppo funzionale, si forma
un isomero piuttosto che un altro.
LEGAME GLICOSIDICO: legame covalente che lega tra di loro zuccheri semplici (viene
liberata sempre una molecola di acqua), in particolare lega il carbonio 1 di una molecola e il
carbonio 4 della molecola adiacente.
➔ due unità zuccherine: disaccaride
➔ fino a 10 unità zuccherine: oligosaccaride
➔ decine e decine di unità zuccherine: polisaccaride
La funzione degli zuccheri semplici è quella di fornire immediata energia, ma sono anche
materiale di sostegno, tipo la cellulosa nelle piante, quindi rappresentano anche una
componente strutturale). i carboidrati più abbondanti sono i polisaccaridi:
Polisaccaridi di riserva: amido e glicogeno
Polisaccaridi di sostegno: cellulosa e chitina
LIPIDI
Classe molto eterogenea di composti.
Sono molecole a lunga catena, non amano l’acqua e possono essere lineari (saturi) o
deformati (insaturi).
Sono associati principalmente alla composizione della membrana plasmatica, ma sono
anche materiale di riserva quindi rappresentano materiale energeticamente utilizzabile.
Tra i lipidi complessi ci sono i fosfolipidi, digliceridi fosforilati, cioè un digliceride a cui va
aggiunto un gruppo fosfato al carbonio 3 del glicerolo. La struttura che ne risulta è l’acido
fosfatilitico, ovvero la struttura base del fosfolipide.
➔ acido fosfatilico = glicerolo + 2 acidi grassi + gruppo fosfato
Ne risulterà una molecola anfipatica: il gruppo fosfato sta benissimo in acqua mentre le code
degli acidi grassi no. Quindi le codine sono degli acidi grassi, nella testa c’è almeno un
gruppo fosfato, affine all’acqua.
➔ fosfolipide = glicerolo + 2 acidi grassi + gruppo fosfato + gruppo polare
Isomeri degli amminoacidi: sono l’uno la forma speculare dell’altro e vengono distinti in
forma D e forma L (tutte le nostre proteine contengono esclusivamente amminoacidi di
forma L). Con 22 amminoacidi si possono ottenere, ovviamente, infinite combinazioni.
C’è una parte comune a tutti gli amminoacidi formata da carbonio centrale, gruppo
amminico, gruppo carbossilico e idrogeno; c’è poi la catena laterale, cioè ciò che conferisce
specificità all’amminoacido, che può essere più o meno complessa. A seconda della natura
della catena laterale, gli amminoacidi vengono distinti in:
➔ polari e non-polari, e ciò conferirà alla molecola specifiche caratteristiche in termini di
affinità o non-affinità con l’acqua
➔ carichi positivamente (basici) e carichi negativamente (acidi), e la carica sarà
fondamentale nell’organizzazione tridimensionale della proteina
Ci sono amminoacidi che possono essere sintetizzati dalla cellula, e sono gli amminoacidi
non essenziali. Altri amminoacidi devono essere tassativamente incamerati con la dieta,
amminoacidi essenziali. Gli amminoacidi essenziali sono: fenilalanina, istidina, isoleucina,
leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano e valina. Per i bambini va aggiunta l’arginina .
LEGAME PEPTIDICO: lega covalente che lega due amminoacidi adiacenti (si tratta sempre
di una reazione di condensazione, per cui abbiamo la formazione di un legame covalente e
l’eliminazione di una molecola di acqua).
Il legame peptidico coinvolge il carbonio del gruppo carbossilico dell’amminoacido 1
della catena e l’azoto del gruppo amminico dell’amminoacido adiacente.
l dipeptide che si viene a formare presenta dei gruppi funzionali liberi, amminico nel primo e
carbossilico nel secondo. Una sarà l’estremità amminoterminale e l’altra sarà
carbossiterminale. Questo determinerà una sorta di polarità nella molecola che si forma.
STRUTTURA DELLA PROTEINA
Primaria: successione degli amminoacidi legati l’uno all’altra con legame peptidico. Questa
sequenza, detta “a filo di perle” viene specificata dalle istruzioni contenute nel pacchetto di
informazioni genetiche.
Secondaria: si basa su legami a idrogeno che conferiscono stabilità alla struttura. Non
coinvolgono le catene laterali.
α-elica, si avvolge a spirale attorno a un asse centrale. Risulta molto elastica.
Viene tenuta insieme da legami a idrogeno tra una spira e l’altra, cioè tra amminoacidi non
adiacenti.
foglietto β, a zig-zag. I legami a idrogeno si formano tra amminoacidi di catenepolipetidiche
differenti. Risulta flessibile piuttosto che elastica.
Terziaria: riguarda tutte le interazioni che si possono avere tra le catene laterali.
Le interazioni (che possono essere a idrogeno, elettrostatiche, idrofobiche, di Van der Walls,
ecc.) tra le catene laterali andranno a determinare dei domini, ovvero delle “sottoporzioni”
che, ad esempio, possono amare o respingere l’acqua.
Si possono formare anche dei legami covalenti, molto forti, tra gli atomi di zolfo di due
cisteine, che formano delle piegature praticamente indeformabili in corrispondenza dei ponti
disolfuri.
Vista nel suo insieme, la proteina è un’organizzazione di amminoacidi, in cui questo
filo deve ripiegarsi su se stesso, determinando al suo interno dei domini, ovvero
regioni con specifiche caratteristiche.
Quaternaria: molte proteine sono dei macrocomplessi nati
dall’unione di più proteine. L’emoglobina, ad esempio, presenta 4
proteine diverse, due catene α e due catene β, che si raggomitolano
e interagiscono l’una con l’altra a formare un unico complesso, che
contiene al suo interno i gruppi eme, che contengono il ferro.
Nelle proteine è fondamentale il processo di folding, che la
accompagna durante la sua formazione ad assumere la sua struttura
tridimensionale, fondamentale per la sua funzione.
Per le proteine esiste tassativamente il concetto struttura = funzione.
Infatti ci sono stati patologici che dipendono da anomalie presenti nella struttura di una
proteine. L'anemia falciforme è dovuta a una mutazione che porta alla sostituzione dell’acido
glutammico con la valina in posizione 6 della catena β dell'emoglobina.
Proteine coniugate: sono unite ad altre molecole (zuccheri, lipidi, acidi nucleici, ecc.), cioè
oltre alle catene polipeptidiche contengono anche gruppi prostetici.
DNA
Il DNA è un polimero di nucleotidi, dove il nucleotide presenta:
● uno zucchero, il desossiribosio
● le basi azotate: adenina e guanina (purine), citosina e guanina (pirimidine)
● un gruppo fosfato
Queste si legano con un legame fosfodiesterico.
La complessità del DNA sta nella struttura, dal momento che non abbiamo un singolo
filamento di nucleotidi ma abbiamo un doppio filamento di nucleotidi, che si dispongono a
doppia elica seguendo le regole della complementarietà e dell’antiparallelismo.
Nel 1949 Chargaff demolisce l’ipotesi del tetranucleotide e osserva che, nell’ambito di
ciascuna molecola di DNA, il contenuto di adenina è uguale al contenuto di timina e il
contenuto di guanina è uguale al contenuto di citosina. Scopre la corrispondenza tra le basi
e come si dispongono le basi in mezzi polari e non-polari.
Le basi azotate hanno due caratteristiche:
1. possono impilarsi l’una sull’altra
2. possono formare legami a idrogeno A - T e C - G.
Wilkins e Franklyn deducono che il DNA avesse una forma allungata, un andamento
elicoidale e che c’era una certa ripetività.
Mettendo insieme questi studi, Watson e Crick formulano il loro modello tridimensionale
secondo cui il DNA è una scala a chiocciola, dove i gradini sono le basi azotate e i montanti
sono gli zuccheri e i gruppi fosfati, legati tra di loro con legami fosfodiesterici.
Il DNA risulta costituito da una doppia catena polinucleotidica che si avvolge a spirale
attorno a un ipotetico asse centrale descrivendo un’elica, quindi una struttura che ha un
diametro costante e una certa periodicità. Le due emieliche, una rispetto all’altra, sono
antiparallele e complementari. L’antiparallelismo ci dice l’orientamento delle due emieliche
l’una rispetto all’altra, dove ciascuna catena polinucleotidica è fatta di nucleotidi (unità che
contengono uno zucchero, una base azotata e un gruppo fosfato), legati tra di loro con
legame fosfodiestere. La complementarietà è tassativa per garantire il diametro della
doppia elica e ci spiega bene il decorso dell’elica. Per mantenere costante il diametro
dell’elica, una purina va sempre accoppiata a una pirimidina. Quindi sarà sempre:
adenina - timina e citosina - guanina
in particolare tra adenina e timina si vengono a formare 2 legami a idrogeno, mentre tra
citosina e guanina se ne formano 3.
C’è una certa periodicità, cioè ogni giro di elica contempla 10 coppie di nucleotidi, l’una
sull’altra. In questa struttura si vengono a formare anche delle scanalature, dette solchi, uno
maggiore e uno minore, che sono dei siti che permettono l’interazione con tutta una serie di
proteine.
Il modello di Watson & Crick permette di dedurre l’orientamento dei filamenti conoscendone
uno solo. Il DNA contiene informazioni, i geni, che ci definiscono dal punto di vista
morfologico e funzionale.
Watson & Crick mettono a punto anche un meccanismo che ne permette la duplicazione.
Praticamente si prende la doppia elica del DNA e si rompono i legami a idrogeno tra le basi,
separando la doppia elica. Ciascun filamento farà da stampo per un nuovo filamento, e il
nuovo filamento sarà sintetizzato da un enzima, la DNA polimerasi, seguendo i principi della
complementarietà delle basi e dell’antiparallelismo.
Esperimenti di Griffith (1928): Griffith studiò la polmonite nei topini, approfondendo lo studio
dei batteri dello pneumococco, e si accorse che questi batteri esistevano in una forma
patogena, mortale, ma anche in un’altra variante, sempre batterica, ma “non patogena”.
Griffith prese la provetta con i batteri patogeni e la sottopose a calore; dopodichè prese
questa sospensione e la iniettò al topolino. Il topolino non si ammalava. Allora prese questa
miscela di batteri morti perché sottoposti a calore e li mescolò ai non patogeni vivi: il topolino
si ammalava e dopo una settimana moriva. L’autopsia evidenziava che la morte era stata
provocata dai batteri patogeni “morti”. Da qui Griffith dedusse che ci fosse un principio
trasformante, cioè che ci fosse qualcosa che all’interno del miscuglio di batteri che
trasformava i non patogeni in patogeni, e quindi capaci di innescare il meccanismo della
polmonite.
Esperimenti di Avery (1944): i batteri patogeni disattivati al calore vengono utilizzati per
estrarre carboidrati, proteine, lipidi e acidi nucleici. L’esperimento di Griffith viene riformulato
utilizzando ciascuna singola componente. Vengono mescolati i lipidi del batterio patogeno
con quello non patogeno, le proteine del batterio patogeno con quello non patogeno, i
carboidrati del batterio patogeno con quello non patogeno e gli acidi nucleici del batterio
patogeno con quello non patogeno. Il topolino si ammalava e moriva solo in concomitanza
della mescolanza degli acidi nucleici. Si definì che questo principio trasformante era il DNA.
Esperimenti di Hershey e Chase (1952): i virus sono entità molto semplici, fatte solo di
proteine e acidi nucleici, spesso responsabili della morte cellulare. Con altre metodiche, si
scopre che l’infezione virale comporta come attore principale il Dna, quindi le proteine del
virus non concorrono all’excursus dell’infezione virale, non sono quelle che determinano la
morte della cellula infettata, ma l’entità che entra fisicamente dentro la cellula, provocandone
la morte, è l’acido nucleico.
GENOMA: è la massa totale del DNA della cellula, un pacchetto di informazioni che
definiscono la cellula del punto di vista morfologico e funzionale, per mezzo dei geni,
considerate le unità informazionali del genoma: questa informazione deve sì trasmettersi di
generazione in generazione ma deve anche concretizzarsi tramite delle proteine altamente
specifiche responsabili dei caratteri specifici di quell’individuo. Quindi la successione di
amminoacidi che determina una proteina viene definita dal nostro DNA.
Ci sono batteri con metabolismo aerobico, respirano ossigeno molecolare, e altri che sono
anaerobi facoltativi, cioè conducono il metabolismo anaerobico solo se necessario, o
obbligati, che conducono solo la respirazione anaerobica.
CELLULA EUCARIOTICA
Dimensioni che vanno dai 7 ai 40 micron.
La cellula eucariotica presenta un elevato grado di complessità: nel citoplasma c’è il nucleo,
struttura sferica tipica degli eucarioti che va a proteggere il DNA. Le cellule eucariotiche
hanno uno scheletro, una sorta di impalcatura proteica, che conferisce alla struttura una
forma e si adatta ai cambiamenti: il citoscheletro.
All’interno del citoplasma ci sono tutta una serie membrane interne, di organelli membranosi,
che rappresentano la sede in cui la cellula produce tutta una serie di sostanze che andranno
smistate tra i vari compartimenti cellulari o al di fuori della cellula stessa (il Golgi è il centro di
smistamento che determinerà la destinazione dei prodotti della cellula).
Mitocondri: pur essendo rivestiti da membrane (ne hanno due addirittura), non fanno parte
del sistema di membrane interne, perché la sua origine è molto diversa. Fa parte degli
organuli semiautonomi: rappresentano la centrale metabolica della cellula, ovvero si tratta di
organuli specializzati nella sintesi di ATP a spese dell’ossigeno molecolare.
All’interno dei mitocondri c’è una molecola di DNA circolare, cosa che lo rende di origine
endosimbiotica, ovvero che fosse in origine una cellula procariotica incamerata nella cellula
eucariotica come organismo simbionte, diventando parte di essa.
Nel citoplasma ci sono i ribosomi, necessari alla sintesi proteica, processo utile a
concretizzare le informazioni del DNA. Ci sono poi organelli di cui non si conosce l’origine, i
perossisomi, piccole vescicole che sono deputate alla detossificazione, trasformando
sostanze nocive in altre facilmente eliminabili.
STRUTTURA = FUNZIONE
MEMBRANA PLASMATICA
Non è visibile al microscopio ottico ma solo a quello elettronico (ha dimensioni nell’ordine del
nanometro).
La membrana plasmatica è l’involucro che circoscrive l’ambiente intracellulare ma, oltre ad
essere un contenitore, è anche ciò che direttamente si interfaccia con l’ambiente
extracellulare. Le membrane biologiche sono strutture complesse e dinamiche, costitute da
lpidi e proteine. Si tratta di una barriera selettiva che media tutti gli scambi che possono
avvenire tra cellula e ambiente esterno. Essa permette alle cellule di comunicare con
l’esterno: sia i monocellulari che i pluricellulari comunicano tra di loro.
La membrana plasmatica si deve adattare ai cambiamenti di forma.
STRUTTURA ARTICOLATA:
1. lipidi, molecole anfipatiche: fosfolipidi (fosfogliceridi e sfingolipidi), glicolipidi e steroli
2. proteine, che possono interagire con i lipidi in modo diverso
3. carboidrati, esclusivamente sul versante extracellulare, a formare, in alcune cellule,
uno strato anche molto compatto.
Struttura di un fosfolipide: glicerolo + acido grasso + 1 fosfato
Struttura di uno sfingolipide: sfingosina + acido grasso + 1 fosfato, dove la sfingosina è un
amminoalcool a lunga catena.
Nella membrana plasmatica i fosfolipidi, principali responsabili delle proprietà fisiche delle
membrane biologiche, si dispongono a doppio strato, dove in ciascun monostrato rivolgono
le teste polari verso l’ambiente acquoso, le code verso l’interno della membrana e
interagiscono tra di loro tramite interazioni idrofobiche.
I lipidi possono spostarsi lateralmente nel proprio monostrato, ruotare attorno al proprio asse
e flettere leggermente la testa. Non possono fare il flip-flop, cioè non possono spostarsi da
un monostrato, anche detto “foglietto del monostrato”, all’altro (azione per cui è necessario
l’intervento di un enzima, la flippasi).
Nel doppio strato di fosfolipidi si inserisce anche il colesterolo (4 anelli chiusi, indeformabili e
planari). Il colesterolo è non-polare ma anche anfipatico perchè presenta un piccolo gruppo
ossidrilico. Riesce a interagire con i fosfolipidi esponendo il gruppo ossidrilico verso la testa
dei fosfolipidi. Risulta una componente strutturale della membrana plasmatica.
Anche le proteine possono spostarsi e diffondere lateralmente. Gli spostamenti sono stati
dimostrati con degli esperimenti durante i quali sono state fuse cellule umane con cellule
murine, proteine umane con proteine murine. Con dei sistemi che ermettono di colorare le
proteine, fu osservato che tutte le proteine umane si spostavano su un lato della cellula
ibrida, tutte le proteine murine sul lato opposto. Dopo un’ora diventava tutta una mescolanza
che dimostrava che anche le proteine di membrana possono spostarsi lateralmente.
CARBOIDRATI DI MEMBRANA
I carboidrati di membrana sono presenti solo ed esclusivamente sul versante extracellulare.
Sono sempre complessati, legati covalentemente, a lipidi o proteine, formando glicolipidi o
glicoproteine. I carboidrati di membrana servono per l’adesione e per richiamare acqua.
Studi hanno dimostrato che questo modello di membrana vale per tutte le membrane
biologiche, per cui si parla di teoria della membrana unitaria.
TRASPORTO DI MEMBRANA
Una membrana si dice permeabile a una sostanza quando permette a tale sostanza di
attraversarla. La struttura a mosaico fluido della membrana plasmatica la fa funzionare come
una membrane selettivamente permeabile.
Gas, molecole idrofobiche e piccole molecole polari prive di carica possono diffondere
attraverso il doppio strato fosfolipidico. Grosse molecole polari o molecole con carica no.
La prima forma di trasporto è il trasporto passivo, che avviene naturalmente senza
dispendio energetico (reazione esoergonica) ed è quindi un processo spontaneo. Porta la
molecola a spostarsi secondo il proprio gradiente di concentrazione, cioè si sposta da una
regione in cui è più concentrata verso una regione in cui è meno concentrata, fino al
raggiungimento dell’equilibrio.
Questo trasporto, che non richiede energia, può avvenire in due modalità differenti: se la
molecola è affine alla membrana plasmatica, in particolare se presenta affinità con le code
dei fosfolipidi, quella sostanza si sposterà da una faccia all’altra della membrana secondo
gradiente di concentrazione, e si parlerà di diffusione semplice; se la molecola non ha
affinità con l’acqua, è richiesto l’intervento di un trasportatore, un macrocomplesso proteico
trans-membrana, che al suo interno presenta il canale acquoso che coadiuva il passaggio
da una parte all’altra della membrana, e si parla di diffusione facilitata, tramite proteine
canale o proteine carrier. Le proteine carrier, che contengono un sito di ricnoscimento che le
definisce come specifiche per una determinata sostanza, sono una sorta di conchiglia che si
apre sul versante della membrana, accoglie la molecola da trasportare, si chiude e si riapre
sul versante opposto.
Nel 2003 i ricercatori Agre e Mackinnon sono stati insigniti del Nobel per aver approfondito
gli studi sul movimento dell’acqua scoprendo l’esistenza, a livello della membrana
plasmatica, dei canali, delle strutture trans-membrana, le acquaporine, che permettono il
trasporto dell’acqua in risposta a variazioni di soluti tra interno ed esterno della cellula.
Quindi anche nel caso dell’acqua si parla di trasporto facilitato.
TRASPORTO ATTIVO
Sebbene alcune sostanze possano essere trasportate attraverso la membrana per
diffusione, a volte c’è bisogno di trasportare soluti contro gradiente di concentrazione.
Sia la diffusione che il trasporto attivo richiedono energia, ma mentre per la diffusione è
fornita dal gradiente di concentrazione della sostanza da trasportare, nel trasporto attivo c’è
bisogno di un dispendio energetico che alimenti direttamente il processo.
Un sistema di trasporto attivo “pompa” materiali contro gradiente di concentrazione.
Anche in questo caso i trasportatori possono essere proteine carrier che se trasportano
un’unica molecola (uniporto), due molecole nella stessa direzione (simporto) oppure due
molecole in direzioni opposte (antiporto)
Due esempi di trasporto attivo: la pompa protonica, nei lisosomi, e la pompa sodio potassio
(antiporto), nei neuroni. La pompa è un macrocomplesso proteico di membrana associato
sempre al trasporto attivo.
La pompa sodio-potassio è una proteina carrier che utilizza l’energia ricavata dall’idrolisi
dell’ATP per pompare ioni sodio fuori dalla cellula e ioni potassio dentro la cellula. Lo
scambio è sbilanciato perché per due ioni potassio che entrano, ne escono tre di sodio.
L’interno della cellula risulta carico negativamente rispetto all’esterno. Questo porta a
stabilire un gradiente elettrico che guida gli ioni attraverso la membrana.
Esiste anche un altro trasporto, sempre attivo, che prende il nome di trasporto secondario.
Dobbiamo immaginare che ci sia una pompa che, bruciando energia, va a concentrare gli
ioni H+ su un lato della membrana. Questi ioni H+ spingono e, accoppiato a questa pompa, ci
sarà un altro trasportatore che, passivamente, permetterà nuovamente l’ingresso degli ioni
nel citoplasma, in modo che il circolo si possa richiudere. Ma il trasportatore di H+ si porta
dietro un intruso, motivo per cui viene detto secondario.
Mentre il trasporto attivo primario è una pompa, un macrocomplesso di membrana che,
bruciando ATP, concentra su un lato della membrana una data sostanza, il trasporto attivo
secondario sfrutta una pompa per creare una differenza di concentrazione tra le due facce
della membrana, tra il citoplasma e l’ambiente extracellulare, ed è accoppiato a un
trasportatore passivo che fa rientrare nel citoplasma una molecola che è stata concentrata
dall pompa. Nel Fare questo, il trasportatore fa entrare anche un secondo incomodo, quindi
sfrutta il ritorno degli ioni H* per poter rientrare nella cellula.
LISOSOMA
Nasce da una vescicola che gemma dalla faccia trans del Golgi.
Gli enzimi lisosomiali funzionano a pH acido (circa 5), quindi il lisosoma è unico nel suo
genere in quanto presenta sulla membrana una pompa che prende ioni H+ e li concentra
all’interno del lisosoma. I lisosomi agiscono fondendo le loro membrane con le vescicole che
contengono il materiale che deve essere digerito.
Il lisosoma contiene nucleasi, proteasi, lipasi, glicosilasi, cioè degli enzimi litici in grado di
degradare le corrispondenti macromolecole biologiche.
Nelle cellule germinali prende il nome di acrosoma, che permette allo spermatozoo di
fecondare la cellula uovo.
PEROSSISOMA
I perossisomi si formano per gemmazione di un dominio specializzato del reticolo
endoplasmatico liscio e sono organuli rivestiti di membrana che contengono enzimi in grado
di catalizzare quelle reazioni metaboliche nelle quali l’idrogeno è trasferito dai vari composti
all’ossigeno. Il nome deriva dal fatto che durante queste reazioni si forma il perossido di
idrogeno, utilizzato per detossificare determinati composti. Un eccesso di perossido di
idrogeno infatti è tossico per la cellula. I perossisomi contengono la catalasi, un enzima in
grado di scindere il perossido di idrogeno in eccesso in acqua e ossigeno, rendendolo
innocuo.
ESOCITOSI ED ENDOCITOSI
L’endocitosi è il processo con cui la cellula incamera dei materiali. Il primo contatto è con la
membrana plasmatica: nel momento in cui una sostanza entra in contatto con la membrana
plasmatica, essa si introflette all’interno del citoplasma formando una gemma che
stringendosi sempre più fino a rilasciare una vescicola. Questa vescicola può contenere
qualcosa di liquido o qualcosa di solido, e a seconda che il contenuto sia liquido o solido si
parla esclusivamente di pinocitosi o fagocitosi. La destinazione finale della vescicola è il
lisosoma: si ha prima una fusione con un lisosoma non maturo, non attivo, l’endosoma, che
non ha raggiunto ancora il suo stato funzionale con pH acido, e poi con il lisosoma.
Endocitosi mediata da recettore: il recettore è una proteina trans-membrana che si trova
nelle fossette rivestite della membrana plasmatica, introflessioni rivestite da uno strato di
clatrina, proteina a tre punte. La molecola che si lega al recettore si chiama ligando.
Nel momento in cui questa sostanza X arriva, la porzione di membrana che contiene i
recettori va a introflettersi e dà origine alla vescicola. Quando questa si strozza, perde il
rivestimento e va nel lisosoma. Il ligando resta attaccato al recettore: sarà il pH acido del
lisosoma a determinarne la separazione. Il ligando verrà degradato, il recettore tornerà sulla
membrana plasmatica.
NUCLEO
Il nucleo ha una forma sferica, diametro di qualche micron ed è adibito a proteggere il DNA.
➔ carioteca
➔ nucleoscheletro
➔ nucleolo
➔ cromatina, RNA enzimi e ribozimi
Nel nucleoplasma c’è il DNA e una serie di proteine istoniche a cui esso è associato.
Questa associazione tra DNA e proteine prende il nome di cromatina.
All’interno del nucleo avvengono processi importanti come la duplicazione del DNA e la
trascrizione dell’RNA, processi per i quali sono necessari enzimi deputati a tali processi,
quindi anche tutti questi enzimi sono nel nucleo (ad esempio i ribozimi).
Carioteca: è l’involucro del nucleo. Si tratta di una coppia di membrane concentriche: una
esterna, rivolta verso il citoplasma, rivestita di ribosomi e in contiguità con il reticolo
endoplasmatico rugoso, e una interna, liscia, che non presenta i ribosomi, rivolta verso il
nucleoplasma e che poggia sulla lamina nucleare, cioè su una rete di proteine che
determina la forma del nucleo stesso.
Le due membrane sono sì concentriche ma in alcuni punti sono fuse e i quei punti si
determina un canale che prende il nome di poro nucleare, che viene occupato dal
complesso del poro, un macrocomplesso proteico fatto da più di 30 proteine che occupa
l’intero poro nucleare. Il complesso del poro ha una struttura a canestro capovolto:
● è ancorato saldamente all’involucro nucleare tramite
proteine di ancoraggio
● due anelli a simmetria ottagonale, uno rivolto verso il
citoplasma e uno rivolto verso il nucleoplasma
● fibre, che si estendono nel citoplasma e nel nucleo
● all’interno presenta un traslocatore (un altro complesso
proteico)
Il complesso del poro regola il trasporto di molecole dal citoplasma al nucleo e viceversa.
Ci sono due modalità di trasporto:
1. per diffusione, e coinvolge le strutture a simmetria ottagonale. Quindi le proteine che
vanno a formare l’anello sono dei canalicoli che permettono questo trasporto.
2. regolato, e coinvolge il traslocatore centrale che media il passaggio di molecole di
grandi dimensioni, e richiede un grande dispendio energetico.
Ciclo di importazione delle proteine: nella struttura primaria della proteina c’è una
particolare successione di amminoacidi che funge da etichetta per indicare la destinazione
della proteina nel nucleo: si chiama NLS, segnale di localizzazione nucleare. Questa
successione viene riconosciuta da una proteina, l’importina, che la trasferisce all’interno del
nucleo attraverso il traslocatore centrale del complesso del poro consumando energia.
Ciclo di esportazione delle proteine: oltre al segnale NLS, c’è anche un segnale di uscita
(NES) che viene riconosciuto nel nucleo da un’altra proteina, l’esportina, che farà uscire
quella proteina dal nucleo.
Il trasporto attraverso il traslocatore centrale del nucleo è finemente regolato, molto
dispendioso dal punto di vista energetico ed è un trasporto monodirezionale per gli
RNA. Le proteine invece possono sia entrare nel nucleo, se presentano una sequenza
di amminoacidi NLS nella struttura primaria, ma possono anche uscire.
Nucleolo: nel nucleo trovo almeno una regione più scura, un distretto chiamato nucleolo,
adibito alla biogenesi dei ribosomi, infatti il nucleolo contiene la quota di DNA che ha
l’informazione genetica per sintetizzare 3 dei 4 RNA ribosomali: 28S - 18S - 5.8S
vengono trascritti nella parte fibrillare del nucleolo; solo il 5S viene trascritto fuori.
All’interno del nucleolo si distinguono più aree: una parte granulare e una fibrillare.
Quindi la parte fibrillare è quella che trascrive, che produce gli RNA ribosomiali.
La parte granulare è quella che monta la subunità maggiore e minore del ribosoma.
La parte granulare è la sede in cui questi RNA ribosomiali neosintetizzati si associano alle
proteine specifiche e vanno a formare la subunità minore del ribosoma (18S). Quando si
aggiungeranno il 28S e il 5.8S, e poi anche l’RNA ribosomiale 5S, prodotto fuori dal
nucleolo, insieme a tutte le proteine si formeranno le due subunità.
Attraverso il traslocatore centrale del complesso del poro non escono i singoli RNA
ribosomiali ma escono direttamente le due subunità complete, ma separate, del ribosoma.
Nucleoplasma: qui troviamo il DNA associato alle proteine, ovvero la cromatina.
La cromatina e i cromosomi (li vedo solo e soltanto quando la cellula si divide) sono due
aspetti della stessa sostanza, è sempre DNA che si organizza con le proteine.
Si possono distinguere zone chiare, eucromatina, e zone scure, eterocromatina.
La cellula, prima di riprodursi, deve crescere e quindi deve continuamente sintetizzare nuove
proteine, coinvolte in tutti i processi cellulari, e altre sostanze.
Affinchè i complessi di trascrizione trovino agevolmente il tratto di DNA che contiene il gene
che mi interessa, il DNA deve essere rilassato, decondensato, sotto forma di eucromatina.
La quota di DNA sotto forma di eucromatina, stadio di collana di perle, è il DNA che in quel
momento viene trascritta. La quota che non mi serve lo trasformo in eterocromatina,
condensato.
Quindi eterocromatina ed eucromatina sono una misura diretta dell’attività
trascrizionale della cellula.
L’eterocromatina può essere a sua volta distinta in:
● costitutiva, che non sarà mai trascritta, è costituita da tratti di genoma non codificante
● facoltativa, attivata solo per necessità e si trasforma in eucromatina
La quota di eucromatina ed eterocromatina cambia a seconda del tipo di cellula, pur
contenendo gli stessi geni.
Dal punto di vista funzionale eucromatina ed eterocromatina si differenziano per il fatto che
una è trascrivibile, è poco densa di elettroni e i geni sono accessibili a tutti i complessi di
trascrizione, l’altra è compatta, può contenere geni non informazionali ma possono
contenere delle informazioni geniche che in questo momento non servono ma potrebbero
esserlo in futuro. C’è una sorta di dinamicità tra eucromatina ed eterocromatina.
In questo caos apparente caos, in realtà c’è un ordine ben definito.
Nuovi studi hanno evidenziato il fenomeno della territorialità dei cromosomi:
ciascun cromosoma occupa una posizione ben precisa e stabilisce specifiche relazioni con
chi sta intorno. C’è un'architettura molto ordinata all’interno del nucleo che viene preservata
e mantenuta, che quando viene a mancare comporta uno stato patologico.
La territorialità dei cromosomi è stata scoperta bombardando una regione specifica del
nucleo con un raggio laser. Si vedeva che il danno non era casuale, ma i cromosomi inficiati
erano sempre i medesimi, che quindi occupavano posizioni ben precise.
CROMOSOMI
I cromosomi sono visibili solo nella fase terminale della vita della cellula,
in fase di divisione.
Sono strutture molto compatte, di forma lineare, ciascuno dei quali è
costituito da due bastoncini uguali, i cromatidi fratelli. I due cromatidi
presentano una strozzatura , il centromero, che può essere al centro,
spostata verso l’estremità, il telomero.
In questa strozzatura, c’è un bottoncino proteico, il cinetocore, ricco di
proteine correlate al movimento, grazie al quale il cromosoma si potrà
separare in due e migrare in una cellula figlia.
Quando il centromero è giusto al centro, si parla di cromosomi
metacentrici; quando è un po’ più spostato verso l’alto o verso il basso,
si parla di cromosoma submetacentrico, e si distinguerà un braccio corto e un braccio lungo;
quando è quasi terminale, si parla di cromosoma acrocentrico.
I cromosomi possono essere analizzati e visualizzati con degli screening.
Quando si parla di cariotipo, esso rappresenta la costituzione o l’assetto cromosomico di un
individuo, ovvero lo descrive in termini di numero e morfologia dei cromosomi.
Nel nostro corpo dobbiamo distinguere due tipi di cellule: le cellule somatiche (cellule di tutto
il corpo tranne quelle della linea germinale) e i gameti (derivano dalle cellule della linea
germinale e sono deputate alla riproduzione).
● somatiche: 46 cromosomi, sono diploidi.
● gameti: 23 cromosomi, sono aploidi
Cariotipo della cellula somatica: diploidi, hanno un doppio assetto cromosomico,
cromosomi uguali a due a due, quindi 23 coppie di cromosomi omologhi.
Nella cellula somatica umana maschile ci sono 22 coppie di autosomi, la ventitreesima
coppia di eterocromosomi, formata da un cromosoma X e uno Y.
Nelle donne invece anche la ventitreesima coppia è una vera coppia con due cromosomi X.
Cariotipo gamete: aploidi, non ci sono più i cromosomi omologhi, ma c’è un solo
rappresentante per ogni coppia dei cromosomi omologhi. I gameti aploidi contengono 22
autosomi, che non permettono di discriminare il sesso, e un eterocromosoma.
Se ho una cellula uovo, l’eterocromosoma sarà tassativamente la X; nel maschio troverò
sempre 22 autosomi, ma nel 50% degli spermatozoi troverò l’eterocromosoma X e nel 50%
troverò l’eterocromosoma Y.
CITOSCHELETRO
Il citoscheletro rappresenta lo scheletro
interno della cellula, un’impalcatura fatta da
una densa rete di fibre proteice che attraversa
la cellula da parte a parte.
Funzioni del citoscheletro:
1. struttura e sostegno
2. trasporto intracellulare
3. contrattilità e motilità
4. organizzazione spaziale
Responsabile del movimento (anche all’interno della cellula stessa).
Il traffico vescicolare è indirizzato da componenti del citoscheletro.
Nel citoscheletro è possibile distinguere tre componenti strutturali:
● microtubuli, componente più voluminosa. Sono dei lunghi cilindri cavi, dimeri di
tubulina α e β, che attraversano la cellula da parte a parte
● filamenti intermedi, classe molto eterogenea, si attorcigliano a formare delle corde e
danno molta resistenza alla cellula
● microfilamenti, molto sottili, fatti di actina, una proteina globulare che si associa ad
altre unità a formare dei filamenti
Il movimento degli eucarioti richiede sempre l’interazione dei microfilamenti con le proteine
motrici, che si fanno carico di spostare qualcosa lungo i binari citoscheletrici.
Microtubuli: sono dimeri di α e β tubulina, una proteina globulare. Per espletare le funzioni
legati al sostegno o al movimento, devono essere ancorati a una regione che prende il nome
di centro di organizzazione dei microtubuli, che nelle cellule animali prende il nome di
centrosoma, una sorta di nuvola di tubulina, da cui i microtubuli originano a raggiera.
Il centrosoma contiene al suo interno due strutture perpendicolari l’una sull’altra, i centrioli,
e ciascuno di essi, tagliato trasversalmente, somiglia a una stella a 9 punte e in ogni punta ci
sono 3 microtubuli (struttura 9x3)
I microtubuli rappresentano lo scheletro interno sia della cellula che delle appendici motili
(ciglia e flagelli).
Ma i microtubuli sono anche dei binari lungo i quali si spostano le vescicole.
Ciglia e flagelli hanno uno scheletro interno comune, fatto di microtubuli, organizzati a
formare l’assonema. Lo spostamento prevede l’interazione delle proteine dell’assonema con
le proteine motrici. Queste ultime sono composte da tre parti:
● testa, idrolizza ATP, passo dopo passo si sposta lungo il microtubulo
● coda, si lega ad altri componenti
● cerniera, regione che si flette
Il movimento di ciglia e flagelli si basa sullo scorrimento l’uno sull’altro dei microtubuli che
vanno a formare l‘assonema, grazie alle proteine motrici, la dineina (questa cosa succede
contemporaneamente per tutte e nove coppie). Le proteine motrici si caricano una coppia di
microtubuli e la spostano muovendosi su una coppia di microtubuli adiacenti.
Tra le coppie di microtubuli ci sono le proteine di giunzione, i ponti di nexina, che si
possono spostare fin quando queste non raggiungono il loro punto massimo di estensione,
dopodichè si è costretti a fermarsi e tornare alla posizione iniziale.
Filamenti intermedi: hanno una dimensione intermedia tra microtubuli e microfilamenti.
Essi originano da placche proteiche sottese alla membrana plasmatica. Sono molto
eterogenei e si attorcigliano a formare corde. Preservano l’integrità della struttura cellulare e
danno resistenza.
SARCOMERO
La fibra muscolare è un sincizio polinucleato, cioè sono più cellule che si fondono assieme a
formare un tutt'uno che è la fibra muscolare. Nella fibra muscolare, il citoscheletro si
organizza a formare le miofibrille, costituite a loro volte da tante unità elementari, i
sarcomeri. I sarcomeri hanno un’organizzazione del citoscheletro molto ordinata, con
filamenti sottili di actina parzialmente sovrapposti a filamenti spessi di miosina, proteina
motrice con la testa in grado di idrolizzare l’ATP e in grado di scorrere, di muoversi lungo un
filamento citoscheletrico. In seguito a un segnale nervoso di natura elettrica, la membrana
plasmatica delle fibra muscolare si introflette profondamente all’interno della fibra, a formare
i tubuli T, introflessioni della membrana plasmatica che arrivano a contatto con il reticolo
sarcoplasmatico, ovvero il reticolo liscio della fibra muscolare, che risponde rilasciando ioni
calcio. Per la contrazione servono sia gli ioni calcio che l’ATP.
L’ATP serve a caricare la testa della miosina. La testa della miosina passa da
un’angolazione a 45° a un'angolazione a 90° (conformazione ad alta energia) grazie
all’idrolisi dell’ATP. Senza calcio il legame tra l’actina e la miosina non avviene. Il calcio infatti
serve a spostare il complesso della troponina (filamentosa) e della tropiomiosina (globulare).
In questo modo la miosina può compattare e legare fisicamente l’actina, si può formare il
ponte trasversale tra actina e miosina e può avvenire lo scivolamento dei filamenti sottili su
quelli spessi. Il sarcomero si contrae ma in realtà è solo un aumento del grado di
sovrapposizione tra i filamenti sottili e spessi.
MITOCONDRI
Il mitocondrio è un organulo semiautonomo. Ha forma bastoncellare, costituito da due
membrane concentriche, una interna e una esterna, ma non fa parte del sistema
membranoso della cellula per via della sua origine completamente differente.
Presenta una membrana esterna, liscia, con una serie di pori che permettono la
comunicazione tra il citoplasma e l’interno del mitocondrio; la membrana interna è
ricchissima di proteine (importantissimo il complesso dell’ATP sintasi), è priva di colesterolo
ma presenta la cardiolipina (tipica delle membrane dei procarioti), presenta una serie di
creste che comportano un aumento della superficie di questa membrana. Lo spazio tra le
membrane prende il nome di spazio intermembrana, mentre la parte più profonda del
mitocondrio è la matrice mitocondriale. La matrice mitocondriale contiene una molecola di
DNA circolare, il DNA mitocondriale, e ribosomi.
Somiglia a una cellula procariotica, infatti si pensa che in origine fosse un batterio capace di
respirare ossigeno molecolare. Il mitocondrio per endocitosi penetra nella cellula, da cui
viene completamente incamerata per la sua capacità di respirare, diventando un organello
cellulare. Si crea una simbiosi.
Non fa parte del sistema delle endomembrane perchè è un organulo semiautonomo,
autonomia data dall’informazione genetica contenuta nel DNA circolare.
Come i batteri, i mitocondri si dividono per scissione binaria, quindi prima duplica il proprio
DNA e poi si strozza e dà origine alle due cellule figlie.
Funzioni del mitocondrio: è coinvolto ne processi di autoptosi, cioè di morte cellulare (non
rientra nel programma)
Il mitocondrio è la centrale energetica della cellula, cioè permette di conservare sotto
forma di ATP tutta l’energia che si libera nelle reazioni metaboliche → catabolismo.
(la capacità del mitocondrio sta nell'utilizzare l’energia che si libera quando vado a rompere i
legami chimici tra le sostanze che ingerisco per aggiungere il fosfato all’ADP).
N.B. Metabolismo:
● anabolismo: sto costruendo qualcosa
● catabolismo: sto demolendo qualcosa (nel nostro caso, il glucosio)
Il glucosio è uno zucchero a 6 atomi di carbonio.
Grazie alla presenza dell’ossigeno molecolare riesco a bruciare completamente il glucosio
liberando nell’atmosfera 6 molecole di anidride carbonica, quindi tutta l’energia che sta nei
legami carbonio-carbonio viene utilizzata per formare ATP.
Ci sono due modi per bruciare il glucosio, molto diversi tra loro:
1. in un unico step il glucosio viene bruciato in anidride carbonica e acqua. In questo
modo la maggior parte dell’energia viene dispersa nell’ambiente sotto forma di calore
2. effettuo più passaggi e, di reazione in reazione, si riesce a conservare l’energia
contenuta nei legami carbonio-carbonio
Il mitocondrio segue la seconda tipologia di lavoro per limitare al massimo la dispersione di
energia e utilizzarla, piuttosto, per la produzione dell’ATP.
Catabolismo del glucosio: la degradazione del glucosio prevede una serie di reazioni
sequenziali (sono tutte reazioni di ossidoriduzione, cioè il glucosio perde elettroni che
vengono acquisiti da altre molecole) che porteranno a bruciare completamente la
molecola di glucosio liberando 6 molecole di anidride carbonica e ad ottenere un
notevole quantitativo di ATP.
Si parte sempre dalla glicolisi, che avviene nel citoplasma e non richiede ossigeno
molecolare: il glucosio, a 6 atomi di carbonio, viene scisso in due molecole di acido piruvico,
a 3 atomi di carbonio. Contestualmente si produrranno 2 molecole di ATP e 2 molecole di
NADH (NAD ridotto si prende gli elettroni ceduti dal glucosio). Il processo potrebbe fermarsi
qui e continuare con una fermentazione, quindi trasformare questo acido piruvico ancora
ricco di energia come etanolo, acido lattico, ma non utilizzabile dalla cellula.
In alternativa possiamo innescare il processo della respirazione, facendo entrare le due
molecole di acido piruvico all’interno del mitocondrio: non entra come acido piruvico ma
entra come acetil coenzima A, e per effettuare questa trasformazione perdiamo un atomo di
carbonio sotto forma di anidride carbonica per ogni molecola di acido piruvico. Allo stesso
tempo formiamo altre due molecole di NADH per ogni molecola di glucosio. L’acetil
coenzima A entra nella matrice del mitocondrio e fa parte del ciclo di Krebs, o ciclo
dell’acido citrico, o ciclo degli acidi tricarbossilici. L’acetil coenzima A, che contiene 2 atomi
di carbonio che provenivano dal glucosio, si fonde con un composto a 4 atomi di carbonio,
formando l’acido citrico. L’acido citrico entra in questo circolo vizioso di reazioni e subisce
tutta una serie di trasformazioni riformando quel composto a 4 atomi di carbonio che si può
fondere con un’altra molecola di acetil coenzima A, quindi formando nuovamente l’acido
citrico. Questo ciclo non termina mai e tende ad esaurire l’acetil coenzima A.
Nella realtà dei fatti, durante questo ciclo vengono liberate 4 molecole di anidride carbonica.
Considerando che altre 2 molecole di anidride carbonica erano state liberate per far entrare
l’acido piruvico nel mitocondrio, del glucosio non resta più niente. Abbiamo prodotto altre 2
molecole di ATP semplicemente fosforilando l’ADP e abbiamo prodotto anche una marea di
coenzimi ridotti, cioè 6 molecole di NADH e 2 molecole di FADH2.
Alla fine di tutto questo processo metabolico ci ritroviamo un mitocondrio che contiene tanti
coenzimi ridotti che dovranno essere riciclati.
A questo punto ci si sposta dalla matrice alle creste (introflessioni della membrana nucleare
interna) del mitocondrio. Sulle creste mitocondriali ci sono tutta una serie di sostanze che
fungono da trasportatori di elettroni, quindi si viene a determinare una vera e propria catena
in base alla quale i coenzimi ridotti cederanno i loro elettroni, quindi si ri-ossideranno
ritornando disponibili per tutto il processo metabolico e questi elettroni passeranno da un
trasportatore all’altro fino ad arrivare all’accettore finale di questa catena di trasporto degli
elettroni, cioè l’ossigeno molecolare, che si prende gli elettroni ceduti dal glucosio ai
coenzimi. Ma la catena di trasporto degli elettroni fa anche un’altra cosa perchè per ogni
elettrone che passava da un trasportatore all’altro c’è un protone un H+, che viene preso
dalla matrice e buttato nello spazio intermembrana. Gli H+ vanno a formare un vero e proprio
gradiente, una forma protonomotrice, ma che vogliono ritornare nella loro sede di origine a
livello della matrice. Però sono degli ioni e la membrana non è permeabile agli ioni. Per
ovviare al problema abbiamo bisogno di un trasportatore, un canale, l’ATP sintasi.
L’ATP sintasi ha la forma di un lecca-lecca e ha due porzioni: una è un canale ionico che
permette il passaggio degli ioni H+, e una porzione che sporge nella matrice ed è la parte
catalitica, cioè la parte in grado di sintetizzare l’ATP. Bisogna immaginare una marea di
protoni che si muovono velocemente per passare lungo il canale dell’ATP sintasi, liberando
grandissime quantità di energia: questo mette in moto la parte catalitica del complesso che
sa quest'energia per legare il fosfato all’ADP, formando ATP. Facendo un conto
approssimativo per ogni elettrone che viene ceduto dal NADH ci sono 3 protoni che vengono
buttati nello spazio intermembrana, 3 protoni che dovranno ritornare nella matrice e quindi 3
molecole di ATP; per ogni FADH 2 che torna allo stato ossidato e che cede i suoi elettroni alla
catena di trasporto, c sarann 2 prtn btta nello spazio intermembrana e di conseguenza 2
molecole di ATP sintetizzate.
La resa massima è di 38 molecole di ATP per molecola di glucosio.
In realtà una piccola parte di energia viene dispersa sotto forma di calore e una parte serve
per il trasporto dell'acido piruvico nel mitocondrio.
Quindi mediamente si ottengono 32/34 molecole di ATP.