I batteri sono organismi procarioti unicellulari, di dimensioni che vanno da 0,1 µm fino ad un
massimo di 30 µm e sono visibili solamente tramite microscopio.
✤ Cocchi, di forma sferica o ovale, che vengono distinti in base alla disposizione che
assumono nelle colonie:
★ In lunghe catene
Colorazione
Per osservare i batteri al microscopio ottico è molto utile trattarli con colorazioni che ne
rendano possibile la visualizzazione. La colorazione più ampiamente impiegata è una
particolare tecnica di colorazione differenziale, quella di Gram. I batteri Gram-positivi
incorporano il crystal violet (primo colorante), il quale permane anche dopo trattamento
decolorante con alcol o acetone. Questi, pertanto, appaiono di colore viola. Sui batteri
Gram-negativi, invece, il trattamento decolorante agisce dissolvendo la membrana esterna
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facendo così disperdere il primo colorante. Questi batteri si colorano, poi, con il safranina
(secondo colorante) assumendo un colore rosa-rosso.
✤ Gram-positivi
✤ Gram-negativi
Differenze tra procarioti ed eucarioti
L’organizzazione cellulare dei batteri è quella tipica dei procarioti e le numerose differenze
strutturali tra procarioti ed eucarioti sono la base della tossicità selettiva dei farmaci
antibatterici. La cellula batterica comprende delle componenti fondamentali, presenti in
tutte le cellule e fondamentali per la sopravvivenza, e delle strutture accessorie, che
conferiscono speciali caratteristiche ad un batterio.
Citoplasma e cromosoma
Il citoplasma batterico è racchiuso della membrana cellulare ed è rappresentato per la
maggior parte da una fase acquosa in cui sono immerse le varie sostanze organiche ed
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inorganiche caratteristiche come biomolecole, sali di
calcio, magnesio ed altri composti. A differenza degli
eucarioti, che presentano un’organizzazione più
compartimentata, nel citoplasma delle cellule procariotiche
sono assenti mitocondri, apparato di Golgi, cloroplasti,
lisosomi e reticolo endoplasmatico.
✤ Una subunità minore 30S, formata da 21 proteine e una molecola di RNA 16S
È poi presente una singola molecola di DNA a doppia elica circolare che costituisce il
cromosoma batterico. Tale molecola raggiunge lunghezza notevole e si presenta
superavvolta grazie all’azione dell’enzima DNA girasi, una topoisomerasi di tipo II. Le
topoisomerasi di tipo II creano delle interruzioni transitorie su entrambi i filamenti di DNA e
poi le due catene vengono risaldate dal lato opposto dell’elica intatta creando così dei
superavvolgimenti. I superavvolgimenti del DNA vengono invece rimossi ad opera di un
altro enzima, la topoisomerasi I, che introduce un’interruzione in un solo filamento della
doppia elica e provoca la rotazione di un filamento attorno all’altro. Generalmente, le cellule
batteriche sono aploidi.
Membrana plasmatica
La membrana plasmatica batterica è costituita da un bilayer fosfolipidico. Essa è costituita
per la maggior parte da fosfolipidi e proteine, mentre sono assenti le glicoproteine. Tutti gli
acidi grassi sono saturi o mono-insaturi. Non si trova poi il colesterolo, il quale viene
sostituito dagli opanoidi, che rendono la membrana più rigida. Presenta, poi, delle grandi
invaginazioni dette mesosomi coinvolti nella secrezione (sono visibili principalmente nei
gram-positivi).
Funzioni
✤ La membrana permette la separazione di un ambiente esterno da quello interno e
costituisce il punto di passaggio per i vari tipi di trasporto. In primo luogo permette il
trasporto passivo, fra cui raggruppiamo la diffusione semplice e quella attraverso
canali proteici come le acquaporine. Per quanto riguarda il trasporto attivo, invece,
possiamo distinguere particolari carrier in grado di svolgere uniporto, simporto
(come le permeasi di E.Coli che importano lattosio e protoni, sfruttando la forza
proton-motrice) e antiporto. Abbiamo poi altri meccanismi come il meccanismo di
traslocazione di gruppo, nel quale la sostanza da importare viene modificata tramite
fosforilazione (come alcuni monosaccaridi).
3
figlie, e contiene le proteine che formano il septosoma, responsabile della formazione
del setto.
Parete cellulare
La parete cellulare è presente in gran parte dei procarioti e consiste in una struttura posta
esternamente alla membrana plasmatica, visibile al microscopio elettronico come uno
strato elettrondenso. In realtà la parete può presentarsi in diversi modi e proprio a ciò è
dovuta la diversa reattività alle colorazioni.
1. L-alanina
2. Acido D-glutamico
3. L-lisina, nei gram-positivi, o acido diamino-pimelico, nei gram-negativi
4. D-alanina
Le catene glicaniche sono disposte parallelamente e vengono unite, a livello dei
tetrapeptidi, mediante legami crociati peptidici. Il legame si forma tra l’aminoacido in
posizione 3 e la D-alanina in posizione 4 può essere:
Il numero di legami crociati è diverso tra i batteri gram-positivi e gram-negativi: nei primi
tutti i residui dell’acido N-acetilmuramico sono legati a una catena tetrapeptidica a formare
una parete rigida molto forte, mentre nei secondi i legami sono più scarsi.
4
Durante il trasporto del NAM-UDP verso la membrana, inizia l’aggiunta di amminoacidi al
NAM per la sintesi del tetrapeptide. In realtà, inizialmente avviene l’aggiunta di 5
aminoacidi. Non avviene la stesso cosa per UDP-NAG, che si dirige direttamente verso la
membrana.
In questa fase vengono legati dal NAM soltanto tre dei quattro amminoacidi, presenti alla
sua estremità, responsabili poi della formazione dei ponti crociati. Caratteristica essenziale
di questi tre aminoacidi risiede nel fatto che, a differenza dei primi due che possono avere
una conformazione D o L, il terzo deve essere assolutamente di tipo L e solitamente si
tratta di L-lisina.
A questo punto avviene l’aggiunta di due L-alanine che, ad opera di una convertasi
batterica, vengono convertite in D-alanina, e ad opera di un altro enzima vengono
dimerizzate al dipeptide D-ala-D-ala.
A livello della conversione agisce un altro potente antibiotico, la cicloserina, che inibisce la
reazione e svolge un’azione battericida in quanto si lega all’enzima convertasi .
Alla membrana, quindi, giunge un complesso formato da NAM-UDP a cui è legata una
catena di cinque aminoacidi; in questo processo UDP viene considerato un trasportatore.
Entrano in gioco, poi, degli enzimi denominati transpeptidasi che catalizzano la formazione
dei legami crociati, detti anche legami pentaglicinici, che uniscono le diverse catene
adiacenti. Nel particolare, le transpeptidasi catalizzano la formazione dei legami tra gli L-
aminoacidi in posizione 3 di un NAM e la D-alanina in posizione 4 di un secondo NAM
adiacente al primo (su una catena differente). L’enzima, per catalizzare la formazione di tale
legame, taglia la D-alanina in posizione 5 del secondo NAM completando così la
formazione del tetrapeptide.
5
La transpeptidasi è un enzima proprio dei batteri che presenta la caratteristica di poter
catalizzare la formazione di un legame tra un aminoacido levogiro ed uno destrogiro, cosa
normalmente non possibile. Proprio per questa caratteristica vengono definiti trans. Le
transpeptidasi appartengono al gruppo delle serin-proteasi e vengono definite PBP, protein
binding penicillin, in quanto interagiscono con i β-lattamici.
Dall’unione di numerose catene tramite numerosi ponti pentaglicinici origina una rigida
struttura di peptidoglicano, fondamentale per la rigidità e la resistenza della parete
batterica.
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Parete dei gram-positivi
La parete dei batteri gram-positivi è spessa 15-50 nm e consiste di uno strato spesso e
denso agli elettroni costituito per il 90% da peptidoglicano. Il peptidoglicano dei batteri
gram-positivi è sensibile all’azione del lisozima (degrada la componente glicanica del
peptidoglicano agendo a livello del legame β1-4 glucosidico).
Altri componenti della parete dei batteri gram-positivi sono gli acidi teicoici, responsabili
della carica negativa complessiva della parete, e gli acidi lipoteicoici.
La membrana esterna è una struttura bilaminare asimmetrica tipica solo dei batteri gram-
negativi, composta nello strato più interno da fosfolipidi e nello strato più esterno da
lipopolisaccaride (LPS).
Il LPS, anche detto endotossina, è formato dal lipide A, responsabile dell’attività tossica. Il
lipide A è formato da un disaccaride di glucosamina fosforilata, a cui sono legati
acidi grassi a lunga catena (stearico, palmitico, miristico, caproico e laurico).
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galattosio e N-acetilglucosamina, lo scheletro della regione del core (composizione
costante nella stessa specie).
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anche legati ad arabinogalattani o altri zuccheri a formare composti come il
trealosio dimicolato, detto anche fattore cordale. Quando i micobatteri crescono in
terreno liquido, il fattore cordale causa la formazione di ammassi di cellule disposte
in cordoni. Nello strato più esterno della micomembrana vi sono i sulfatidi, cioè
glicolipidi solfati.
Strutture accessorie
Pili e fimbrie
I pili comuni sono strutture accessorie della cellula batterica di natura proteica (costituite
da subunità di pilina), rigide o flessibili, disposte uniformemente intorno alla superficie del
batterio. Essi favoriscono l’adesività, permettendo alla cellula di aderire e colonizzare
mucose o superfici inerti.
I pili sessuali (pili F), codificati da un plasmide F (F da fertility), sono invece più grandi dei
pili comuni e sono determinanti nel trasferimento di materiale genetico tra batteri durante la
coniugazione.
Flagelli
I flagelli sono strutture accessorie delle cellule batteriche e forniscono motilità alla cellula e
le permettono di contrastare i moti Browniani dei fluidi:
In base alla distribuzione dei flagelli sulla superficie batterica si possono distinguere:
✤ La regione basale
✤ Il giunto
✤ Il filamento
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tramite il giunto (costituito da proteine differenti dalla flagellina) si collega alla regione
basale, che rappresenta il motore del flagello. La regione basale è formata da una struttura
cilindrica costituita da un sistema ad anelli diverso tra batteri gram-positivi e gram-negativi.
I primi hanno due anelli collegati alla membrana citoplasmatica, mentre i secondi
possiedono inoltre altri due anelli più esterni ancorati al peptidoglicano. L’energia
necessaria al movimento è data dalla forza proton-motrice prodotta attraverso proteine
associate alla regione basale, come le proteine Mot che fungono da motore, e le proteine
Fli, che al contrario fungono da invertitore del movimento rotatorio flagellare.
Glicocalice e capsula
La superficie esterna della cellula batterica di molte specie è spesso rivestita di uno strato
polisaccaridico detto glicocalice. Se quest’ultimo è organizzato a formare una fitta maglia
di strati polisaccaridici è detto capsula, mentre se lo strato polisaccaridico è poco aderente
o poco denso viene definito strato mucoso.
La capsula può essere osservata al microscopio ottico dopo colorazione con inchiostro di
china (i batteri che possiedono la capsula saranno circondati da un alone chiaro). La
capsula è uno dei maggiori fattori di virulenza, agisce come barriera per molecole
idrofobiche, favorisce l’adesione tra batteri, alle superfici dei tessuti dell’ospite e alle
superfici inerti, ha azione antifagocitaria e ha generalmente caratteristiche antigeniche.
Plasmidi
I plasmidi sono elementi genetici indipendenti dal cromosoma batterico che non codificano
per funzioni vitali della cellula, ma portano informazioni genetiche addizionali. I plasmidi
sono molecole di DNA circolare a doppio filamento che si replicano autonomamente in
quanto hanno una propria origine di replicazione (sono dei repliconi). Alcuni plasmidi sono
in grado di integrarsi nel cromosoma dell’ospite e vengono chiamati episomi (ad es. il
plasmide F di E. coli).
I plasmidi sono stati classificati sulla base dei gruppi di incompatibilità. Per incompatibilità
si definisce l’incapacità di plasmidi che possiedono lo stesso meccanismo di replicazione a
propagare stabilmente nella stessa cellula ospite. Pertanto, nella stessa cellula possono
coesistere due plasmidi che appartengano a gruppi di incompatibilità diversi.
Alcuni plasmidi contengono geni che li rendono capaci di trasferirsi ad altre cellule
batteriche attraverso un meccanismo specializzato di scambio genico orizzontale detto
coniugazione, e vengono definiti coniugativi.
Si presume che solo parte di una popolazione batterica trasporti plasmidi, assicurando un
rapido adattamento dei batteri all’ambiente che li circonda. Uno dei più importanti esempi
di adattabilità batterica è rappresentato dalla diffusione di geni di resistenza agli antibiotici,
plasmide-mediata, tra batteri di diversi taxa (trasferimento genico orizzontale) in risposta a
diverse pressioni selettive.
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Farmaci antibatterici
I farmaci antibatterici sono fondamentali sia nel trattamento di malattie di tipo domiciliare
(comunitarie) sia nel trattamento di malattie nosocomiali (ospedaliere). Circa il 70% delle
infezioni risulta contagioso e negli ospedali si muore prevalentemente di infezioni: sono
circa 10.000 i morti ogni anno negli ospedali per infezioni non trattabili e si pensa che il
numero crescerà entro i prossimi 20 anni fino a 50.000. . La conoscenza della struttura
batterica è fondamentale per quanto riguarda l’utilizzo di antibiotici poiché questi attaccano
aree, o molecole, proprie dei batteri e non delle cellule umane: questa selettività d’azione
permette di avere a disposizione un armamentario che colpisce i batteri, ma non colpisce le
cellule dell’organismo umano. Questo fenomeno è possibile grazie alla presenza di
peculiarità nella cellula batterica come la parete batterica, bersagliando la quale si elimina
qualsiasi rischio di tossicità; vi è infatti una serie di antibiotici che andrà a colpire
selettivamente la parete batterica e non le cellule umane. Queste terapie rappresentano il
massimo della selettività ad oggi. Anche la sintesi proteica è differente nei batteri dal
momento che i ribosomi batterici sono diversi sia in composizione che in grandezza: vi
sono antibiotici che colpiranno i ribosomi della cellula batterica senza colpire quelli della
cellula umana. Lo stesso vale anche per i meccanismi di sintesi di DNA e di RNA.
I farmaci antibatterici vengono classificati, in primo luogo, in base alla loro origine. Si
distingue, pertanto, tra:
A. Antibiotici, di origine naturale. Spesso vengono ricavati dai funghi, che li producono
per poter eliminare le popolazioni batteriche e ricavare spazio per proliferare. Alcuni
possono essere ricavati dai batteri stessi.
L’azione antibatterica di ciascun farmaco dipende dall’interazione specifica con uno o più
bersagli molecolari a livello della cellula batterica. I bersagli molecolari possono essere
enzimi coinvolti nella biosintesi di strutture essenziali per la sopravvivenza e la crescita
cellulare, substrati utilizzati in vie metaboliche essenziali, o componenti strutturali
responsabili dell’integrità della cellula batterica.
I farmaci antibatterici, spesso identificati con il solo nome di antibiotici, possono avere
diversa tipologia d’azione. Si distingue tra:
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Azione sulla sintesi della parete
La parete batterica non esiste nelle cellule umane poiché l’uomo è un organismo
complesso e l’ha sostituita con degli organi. L’organo di prima difesa dell’organismo umano
è la cute poiché questa è impermeabile, termicamente isolante e mantiene l’equilibrio
salino. Quando i batteri si sono formati sulla Terra, questo era un pianeta ostile con
condizioni estreme e la parete era l’organo dei batteri per far fronte a tali condizioni. Oggi le
condizioni ambientali sono più favorevoli e per tale motivo le cellule eucariotiche animali
non necessitano di parete. Essendo una caratteristica propria dei batteri, la parete batterica
è un bersaglio ottimale per i farmaci che permette selettività.
l’alternanza anche di due legami glicosidici differenti. Tra NAG e NAM si forma un legame
β1-6 glicosidico, mentre tra NAM e NAG si forma un legame β1-4 glicosidico. Il legame
β1-6 è una forzatura della struttura delle molecole, che permette di donare all’intera
molecola di murena una maggiore rigidità.
Come già detto, la parete batterica è una struttura caratterizzante i batteri. Agire a livello di
questa, infatti, significa agire con alta specificità. Sono state scoperte e sviluppate sostanze
in grado di interferire con la sintesi della parete che quindi hanno proprietà battericida:
1. β-lattamici
I. Penicilline
II. Cefadlosporine
III. Monobattamici
IV. Carbapenemici
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2. Fosfomicina, con struttura simile al PEP, inibisce l’enzima UDP-eno-piruvil
transferasi, responsabile della conversione di NAG in NAM. Si tratta di un antibiotico
ad ampio spettro che però presenta molte resistenze ed effetti collaterali.
4. Bacitracina, che blocca le fosfatasi (enzimi che defosforilano il BPP) a livello della
membrana. Non avviene il rilascio di NAM e NAG che quindi non possono
polimerizzare. La sua azione si limita ai gram-positivi-
5. Vancomicina
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β-lattamici
I β-lattamici sono un’ampia famiglia di antibiotici che agiscono al di fuori della membrana
plasmatica, nel particolare sulle transpeptidasi responsabili della formazione dei legami
pentaglicinici tra i tetrapeptidi. Essi inibiscono, quindi, l’assemblaggio dell’intera parete, che
rimane formata da filamenti separati.
1. Penicilline
2. Cefalosporine
3. Monobattamici
4. Carbapenemici
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✤ Sintetici, come carbapenemi e monobattami.
Penicilline
I terreni solidi furono scoperti per caso da microbiologi che notarono come l’agar agar, un
composto alimentare derivante dalle alghe, fosse un ottimo addensante e che, a differenza
della gelatina, non si sbriciolava. Inoltre, dato che questi terreni agarizzati sono costituiti dal
95% di acqua, i batteri su di essi seminati potevano espandersi formando delle colonie,
ognuna delle quali era costituita da una forma e da una dimensione caratteristica che ne
permette il riconoscimento.
La penicillina fu scoperta nel 1928 da Alexander Fleming facendo crescere su terreni solidi
agarizzati degli stafilococchi. Per poter far cresce un batterio si prende una colonia pura
dall’agar e poi, con un’ansa sterile, si striscia il composto su una piastra, che in seguito
viene incubata.
Fleming, dopo aver messo il composto nell’incubatore, notò che una colonia di penicillium
(un micete) aveva colonizzato il terreno, probabilmente perché non aveva chiuso
correttamente l’incubatore. Normalmente la piastra andrebbe buttata perché contaminata,
ma Fleming notò che attorno alla colonia di pencillium vi era una zona in cui il batterio, pur
essendo stato seminato, non era presente. Intuì dunque che il micete secernesse sostanze
che, propagandosi attraverso le maglie di acqua dell'agar, condizionavano il microambiente
circostante inibendo la crescita batterica. Queste sostanze con effetto di blocco vennero
definite antibatterici. Decise dunque di isolare e produrre la sostanza che produceva
questo fenomeno, dando così inizio allo sviluppo di quelli che oggi comunemente
conosciamo come antibiotici.
Mentre inizialmente la penicillina veniva estratta direttamente dal penicillium, sono stati
introdotti in seguito metodi di sintesi di laboratorio. La molecola, nel particolare, viene
sintetizzata a partire dagli aminoacidi valina e cisteina. Dalla struttura base della
penicillina, poi, si sono sviluppate altre molecole tramite l’aggiunta di catene di carattere
differente che possono conferire resistenza agli ambienti acidi, uno spettro d’azione
maggiore ed una maggiore efficacia.
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Nel complesso, sia la penicillina di Fleming che quelle più moderne di sintesi, si legano agli
enzimi transpeptidasi, che di conseguenza vengono definiti PBP, penicillin binding
proteins.
Cefalosporine
Le cefalosporine, scoperte da Giuseppe Brotzu, furono
isolate per la prima volta da Cephalosporium
acremonium. Questa molecola, diversamente dalla
penicillina, presentava due catene laterali, e non una
sola: R e X.
E. Quinta generazioni → Efficaci anche on ceppi MRSA (S. Aureus resistenti alla
meticillina)
Monobattamici
Questa famiglia di farmaci, in realtà, è rappresentata unicamente dall’aztreonam, una
molecola sviluppata in laboratorio sulla base delle conoscenza riguardanti le porine.
Questo antibiotico ha uno spettro d’azione molto ristretto, limitato ad alcuni ceppi di
batteri gram-negativi.
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Aztreonam presenta caratteristiche importanti in quanto è particolarmente resistente alle
β-lattamasi e presenta poche reazioni avverse. Risulta utile a sostituire le cefalosporine di
terza generazione, per le quali molti batteri hanno sviluppato resistenza.
Nella molecola di aztreonam, l’anello β-lattamico è posto sulla destra della molecola e
presenta un grosso residuo che lo rende abbastanza inattaccabile
dalle β-lattamasi. Questo residuo, grazie alla presenza di zolfo, è quello
che permette alla molecola di attraversare le porine ed entrare nella
cellula batterica gram-negativa (di molti ceppi ospedalieri). La
molecola, giunta nel citoplasma della cellula, va ad interagire con la
transpeptidasi PBP 2 responsabile della formazione del setto
necessario alla cellula per la duplicazione. Inibita la sua sintesi, la
cellula non è più in grado di riprodursi.
Carbapenemici
Anche la classe dei carbapenemici racchiude solamente una molecola, l’imipenem.
Questo antibiotico presenta uno spettro d’azione più ampio rispetto al precedente ed è
efficace sia con ceppi gram-positivi sia con gram-negativi.
Resistenza ai β-lattamici
I batteri, grazie ai meccanismi di scambio del DNA, possiedono un altissimo grado di
variabilità genetica che gli permette un veloce adattamento alle condizioni ambientali.
Alcuni batteri, infatti, sono in grado di sviluppare resistenza agli antibiotici.
3. Impermeabilità al farmaco
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Alcuni batteri hanno acquisito dei geni codificanti per enzimi in grado di inattivare o
degradare i farmaci antibatterici. Nel caso degli antibiotici β-lattamici, i batteri ne sono
diventati resistenti in quanto hanno sviluppato le β-lattamasi, dei particolari enzimi in grado
di catalizzare l’apertura dell’anello β-lattamico inattivando la molecola in quanto i due capi
vengono immediatamente ossidati. Questi enzimi consistono in particolari transpeptidasi
che si sono modificate formano un sito catalitico che permette la reazione di taglio.
Le lattamasi esistevano già in natura, sviluppate da quei batteri che dovevano resistere alle
molecola prodotte da alcuni miceti (come le penicilline).
La continua variabilità genetica dei batteri permette a questi, dopo diversi contatti con
nuove molecole antibatteriche sviluppate, di sviluppare lattamasi in grado di degradarle. Il
trasferimento di geni codificanti per lattamasi (geni di resistenza agli antibiotici) possono
essere scambiati tra batteri differenti tramite la trasformazione batterica.
Q u e s t e m o l e c o l e v e n n e ro s c o p e r t e n e l l o s t u d i o
dell’antibiotico amoxicillina, che aveva una scarsa azione
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antibatterica. Somministrando una miscela di amoxicillina e acido clavulanico (un inibitore
delle β-lattamasi), l’amoxicillina tornava ad avere una efficace azione batterica. La miscela
di amoxicillina e acido clavulanico venne brevettata e commercializzata con il nome di
Augmentin.
In seguito sono stati sviluppati numerosi inibitori delle β-lattamasi, anche questi
commercializzati in miscele con molecole antibiotiche.
Vancomicina
La vancomicina è ad oggi l’antibiotico più potente in nostro possesso contro i batteri
gram+. Solo recentemente sono comparsi batteri resistenti alla vancomicina.
Essa agisce legano il dimero D-ala-D-ala durante la formazione del ponte crociato. La
transpeptidasi è impossibilitata nella formazione del ponte crociato tra D-ala e L-lys a causa
dell’ingombro sterico della molecola di vancomicina: non si tratta quindi di un’azione a
livello dell’enzima, ma a livello del sito in cui l’enzima svolge la sua catalisi.
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costanze, mentre la seconda (posizione 5) viene sostituita da D-lattato. Per portare a tale
cambiamento sono stati necessari numerosi nuovi geni per produrre numerosi nuovi enzimi.
Ovviamente la vancomicina non riconosce il nuovo dimero e pertanto essa non può
espletare la sua azione.
La sintesi della parete batterica può procedere normalmente. Il taglio del monomero in
posizione 5, caratteristico del processo, porta all’eliminazione della molecola di D-lattato,
portando alla formazione di una parete strutturalmente identica a quella di tutti i batteri. È
proprio la differenza nel processo che fornisce la resistenza all’antibiotico.
Il primo batterio a sviluppare questa resistenza è un eneterococco, i cui ceppi sono tutti
resistenti. Ad oggi negli US il 7% dei ceppi batterici ospedalieri sono resistenti alla
vancomicina. In Spagna il 4% dei ceppi di Stafilococco sono resistenti alla vancomicina,
mentre lo sono il 2% in Italia. I più a rischio sono gli immunicompromessi, che se infettati
con un batterio vancomicina-resistente non hanno speranza di sopravvivenza. È necessario
ripensare gli ospedali, soprattutto per quanto riguarda il trattamento e la degenza di
pazienti immunocompromessi (personale più qualificato nell’evitare trasmissioni,
eliminazioni delle interazioni con persone non qualificate).
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A. Subunità minore 30S = rRNA 16S + 21 proteine
Per dare inizio alla sintesi proteica è necessaria la formazione di un complesso costituito da
3 molecole dette IF (initiation factors) legate ad una molecola di GTP. Tale complesso si
lega alla subunità 30S, che a sua volta si lega a mRNA da tradurre (riconosce seq. di
Shine-Dalgarno) e ad un tRNA per la formil-metionina, codificata dal codone d’inizio AUG.
SI ha l’eliminazione di uno degli IF. La struttura complessiva formata è detta complesso di
iniziazione 30S. Si ha poi l’unione del complesso con la subunità 50S, con eliminazione dei
restanti 2 IF e della molecola di GTP, che viene idrolizzata a GDP + Pi. La sintesi proteica
può così avere inizio. Il ribosomo formato presenta due siti di legame per gli anticodoni del
tRNA:
1. Sito P, peptidilico
2. Sito A, aminoacilico
Il tRNA (con aa) corrispondente al primo codone (formilmetionina) occupa il sito P, mentre il
tRNA (con aa) corrispondente al secondo codone occupa il sito A. Il ribosoma catalizza la
reazione di transpeptidazione (catalizzata dalla peptidil-transferasi), cioè la formazione di
un legame peptidico tra i due aminoacidi. Si ha contemporaneamente la scissione del
legame tra il primo amminoacido ed il corrispondente tRNA scarico, che viene eliminato. Il
ribosoma scorre lungo l’mRNA (traslocazione): il secondo codone viene a trovarsi nel sito
P, mentre il sito A è libero per l’arrivo di un ulteriore tRNA carico. L’aggiunta di ciascun tRNA
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carico è permessa dall’idrolisi di una molecola di GTP. L’aggiunta di tRNA continua finche
nel sito A non entra uno dei tre codini di stop, per cui non esiste alcun tRNA.
Gli antibiotici che agiscono a livello della sintesi proteica sono tutti batteriostatici ad
eccezione di una classe. Questa in quanto il blocco della sintesi proteica inibisce la crescita
della cellula. L’azione degli antibiotici, però, si esaurisce con l’esaurirsi della loro
concentrazione. Il blocco risulta utile nel combattere il batterio in quanto il blocco della sua
proliferazione permette l’azione del sistema immunitario e pertanto risulta inefficace
l’impiego di batteriostatici in immunocompromessi. L’impiego di batteriostatici deve essere
prediletto nei casi di pazienti giovani, come i bambini, così da lasciare le condizioni al
sistema immunitario di svilupparsi. L’impiego di battericidi in individui non
immunocompromessi porta allo sviluppo di organismi dal sistema immunitario debole. I loro
sistemi immunitari, infatti, non sottoposti a stress durante lo sviluppo, in caso di contatto
con patogeni batterici daranno una risposta immunitaria adattiva di tipo Th2 (più blanda,
caratterizzata da reazioni allergiche e asma) piuttosto che una risposta di tipo Th1, cioè la
risposta immunitaria potente.
Aminoglicosidi
1. Gentamicina
2. Tobramicina
3. Amikacina
4. Kanamicina
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La loro attività risulta più efficace solamente con i batteri gram- in quanto diffondono
attraverso le porine. La medesima attività non viene espletata nel caso dei gram+, se non
somministrando aminoglicosidi in combinazione di dei β-lattamici. Si tratta di un chiaro
esempio di sinergia di farmaci, che si può raggiungere combinando composti dalla
medesima attività (batteriolitica in questo caso) che hanno bersagli differenti, andando a
indebolire maggiormente la cellula batterica.
Tetracicline
Le tetracicline sono molecole di origine naturale costituite da
quattro anelli condensati tra loro. Le tetracicline, come la
classe precedente, sono molecole che legano la subunità 30S
del ribosoma, impedendo la sintesi proteica. Nel particolare
esse determinato un ingombro sterico che impedisce l’entrata
del tRNA carico nel sito A. Differiscono, però, in quanto il
legame che si forma tra le tetracicline e la subunità 30S è
reversibile e pertanto esse vanno a bloccare
temporaneamente la sintesi proteica, espletando azione batteriostatica.
Agiscono contro numerosi batteri, sia gram+ sia gram-, colpendo perfino quelli
intracellulari. La tetraciclina presenta un’ottima capacità di diffusione anche in tessuti
come quello nervoso, quello gengivale ed il midollo osseo.
Effetti collaterali
Effetti collaterali si riscontrano principalmente negli individui in via di sviluppo. Molti
bambini sottoposti a terapia con tetraciclina durante la crescita presentano un’alterazione
della colorazione dei denti e problemi nel processi di ossificazione (ossa curve e deformate)
in quanto la tetraciclina interferisce anche con gli osteoblasti, responsabili del processi di
mineralizzazione. Ad oggi non si impiegano tetraciclina o derivati in individui al di sotto dei
18 anni.
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sia contro gram-, inclusi i batteri intracellulari.
Esso presenta pericolosi effetti collaterali e pertanto il suo utilizzo è limitato ai casi in cui
non vi sia valida terapia alternativa.
I suoi derivati presentano uno spettro d’azione più ristretto, limitandone l’azione ai gram+,
e vengono impiegati in infezioni più gravi:
A. Lyncomicina
B. Chindamicina
Effetti collaterali
La somministrazione di cloramfenicolo in bambini predisposti ad anemia può portare a
sindromi aplastiche che colpiscono il midollo osseo, portando all’assenza di globuli rossi
nel sangue e rendendo necessarie le trasfusioni e la sospensione della terapia. Anche in
questo caso, quindi, il farmaco non viene impiegato prima dei 18 anni di età.
Macrolidi
I macroclidi sono molecole di origine naturale che
contendono un anello lattosio a 14, 15 o 16 termini. Essi
legano la subunità ribosomiale 50S, inibendo la reazione
di transpeptidazione e la traslocazione della catena
peptidica nascente da sito A al sito P. L’attività espletata
è quindi azione batteriostatica.
1. Claritromicina
2. Azitromicina
24
Altri non affrontati a lezione
25
Azione sulla sintesi degli acidi nucleici
Inibitori della sintesi di RNA
Questa classe raggruppa farmaci in grado di legare selettivamente gli enzimi responsabili
della sintesi dell’RNA nei batteri, enzimi che presentano differenze specifiche con gli
analoghi enzimi eucariotici.
Rifampicina
La rifampicina è una molecola semisintetica, derivata
dalla rifamicina. Si tratta di una molecola in grado di
penetrare nelle cellule batteriche andando a legare
irreversibilmente l’enzima RNA polimerasi DNA
dipendente (selettivamente quella batterica). Il legame
porta all’arresto irreversibile della trascrizione e pertanto il
farmaco ha azione battericida.
Esistono comunque molti batteri che hanno sviluppato resistenza alla rifampicina grazie a
modificazioni della struttura della RNA polimerasi batterica (modificazione del sito target).
Come vedremo in seguito in casi come la tubercolosi, infatti, la multiterapia è fondamentale.
A. DNA girasi
B. DNA topoisomerasi IV
Chinoloni
I cinologi sono molecole di sintesi che
contengono nella loro struttura un anello
chinolonico. Essi sono in grado di interagire
con le DNA topoisomerasi di tipo II, cioè proprio
la DNA girasi e la DNA toipoisomerasi IV, mentre
queste svolgono la loro azione sulla molecola di
DNA portando alla formazione di un complesso
ternario. Il legame avviene dopo che le
topisomerasi hanno effettuato il taglio,
impedendo quindi il riattacco delle estremità. Si
ha quindi l’arresto delle topoisomerasi e la
frammentazione del genoma, conferendo al
farmaco un’azione batteriolitica.
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Il capostipite di questa classe è l’acido nalidixico, che a causa della sua farmacocinetica
viene eliminato molto velocemente con le urine. Tale caratteristica lo rende utilizzabile
solamente per infezioni batteriche alle vie urinarie.
Sono stati sviluppati, poi, derivati dell’acido nalidixico e fra questi i principali sono i
fluorochinoloni, derivati dall’aggiunta di atomi di fluoro, che presentano farmacocinetica e
farmacodinamica completamente differenti dal precedente. Il primo composto sintetizzato
di questa classe fu la Ciprofloxacina (Ciproxin). Gli atomi di fluoro incorporati nelle
molecole impediscono la rapida eliminazione del farmaco con le urine, e gli permettono di
diffondere a tutti i tessuti.
L’azione dei fluorochinoloni è molto ampia e colpisce sia gram+ sia gram-. Per questi
ultimi si parla però di killer dei gram-.
Per la loro versatilità e la loro ampia azione i chinoloni sono ampiamente impiegati nella
pratica clinica in Europa. Al contrario, negli Stati Uniti ne è stata vietata la somministrazione
a causa dei numerosi effetti collaterali scoperti recentemente (anche se potrebbe trattarsi di
questioni economiche).
Fra gli effetti collateri troviamo l’accumulo di fluoro a livello di tessuti, specialmente a livello
delle ossa, dei denti e delle articolazioni. I problemi determinati da questi accumuli hanno
particolare importanza durante lo sviluppo e pertanto in farmaco non viene impiegato in
pazienti al di sotto dei 18 anni.
La via del folato corrisponde alla via della sua sintesi, che avviene a partire dall’acido
para-amminobenzoico (PABA) e dalla pteridina. Passando per gli intermedi di sintesi
diidropterolato e diidrofolato, si arriva alla produzione di tetraidrofolato.
La via di sintesi del folato, quindi, è caratteristica dei procarioti ed è pertanto un ottimo
target per la produzione di farmaci antibiotici, i quali avranno azione di inibizione sia sulla
sintesi proteica sia sulla sintesi degli acidi nucleici.
I composti inibitori della sintesi del folato sono composti di sintesi e pertanto vengono
definiti farmaci chemioterapici (antimicrobici), per distinguerli dagli antibiotici, di origine
naturale. I principali sono:
A. Sulfamidici
B. Trimethoprim
Essi hanno ampio spettro d’azione, sia contro i gram+ sia contro i gram-.
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Nella pratica clinica questi due farmaci sono spesso impiegati in associazione, così da
portare vantaggi:
Sulfamidici
I sulfamidici sono molecole di sintesi e
rappresentano i primi chemioterapici
antimicrobici introdotti. Essi sono
analoghi strutturali dell’acido para-
amminobenzoico (PABA) e sono
inibitori competitivi dell’enzima
diidropteroato sintetasi (DHPS),
responsabile della produzione di diidropteroato, precursore dell’acido folico. L’azione
complessiva è quella di inibizione della sintesi di TH4. Pertanto esso ha azione
batteriostatica.
Trimethoprim
Il trimethoprim è una molecola di sintesi della famiglia delle diaminopirimidine, che agisce
come inibitore competitivo della diidrofolato reduttasi batterica (DHFR), inibendo la
conversione del diidrofolato in tetraidrofolato.
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Test di suscettibilità agli antibiotici
Per prevedere se i farmaci antibatterici possano essere efficaci per trattare un’infezione,
sono stati sviluppati dei saggi di attività in vitro che misurano l’attività dei farmaci
antibatterici (antibiogramma). I risultati di questi saggi servono a guidare il clinico nella
scelta del protocollo terapeutico più adeguato.
La MIC (espressa in μg/mL o mg/L) viene determinata esponendo una coltura batterica a
concentrazioni decrescenti del farmaco, in condizioni sperimentali standardizzate. Sulla
base di valori soglia (breakpoints clinici) proposti da organismi di riferimento, i valori di MIC
vengono utilizzati per un’interpretazione di tipo qualitativo, ovvero per classificare il ceppo
batterico come sensibile, intermedio o resistente al farmaco saggiato. I breakpoints clinici
sono stabiliti mediante l’analisi e l’integrazione di molteplici parametri (tra cui le proprietà
farmacocinetiche e farmacodinamiche del farmaco antibatterico, e i risultati di studi clinici),
e sono soggetti a periodiche revisioni e aggiornamenti.
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proporzionale alla distanza dal dischetto.
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Diagnostica
Esame microscopico
L’esame microscopico ha due principali scopi: la ricerca dei microbi e la loro preliminare o definitiva
identificazione. Le tecniche di microscopia principalmente impiegate sono le seguenti:
4. Microsopia a fluorescenza
5. Microscopia elettronica
Esame diretto
A fresco Preparati non colorati esaminati al microscopio in campo chiaro, in campo scuro o a
contrasto di fase.
KOH al 10% Il KOH scioglie il materiale proteico. Risulta più utile con i miceti.
Colorazioni differenziali
Colorazione di Gram Si tratta della colorazione più impiega in microbiologia ed è la base della distinzione dei
gram+ e dei gram-. Il procedimento è spiegato nella lezione 1.
Ziehl Neelsen Ricerca micobatteri e altri batteri acido-resistenti. I batteri vengono colorati con fucsina
carbolica basica e resistono alla decolorazione con soluzioni decoloranti. Il fondo è
controcolorato con blu di metilene. I microrganismi appaiono rossi du fondo blu chiaro.
Auramina-rodamina Stesso principio delle altre colorazioni per batteri acido-resistenti ma con coloranti
fluorescenti.
Variazioni delle precedenti Le colorazioni precedenti vengono impiegate con un decolorante più debole per lasciare
coloranti microrganismi meno resistenti agli acidi.
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Colorazioni fluorescenti
Arancio di acridina Ricerca di batteri nei campioni clinici. Il colorante lega gli acidi nucleici mostrandosi rosso-
arancio
Esame colturale
Terreni
Esistono numerosi tipi di terreni di coltura, principalmente raggruppati in:
A. Terreni non selettivi, privi di inibitori e che permettono la crescita indiscriminata della maggior
parte delle specie
i. α-emolisi (emolisi parziale degli eritrociti presenti), che porta alla comparsa di un
alone verde interno alla colonia per la conversione in biliverdina
ii. β-emolisi (emolisi completa degli eritrociti presenti), che porta alla formazione di un
alone trasparente intorno alla colonia
b. Agar cioccolato → Si tratta di un terreno agar la cui preparazione è molto simile alla
precedente. Il sangue, però, viene aggiunto a temperature maggiori così da determinare la
lisi degli eritrociti, che liberano il proprio contenuto, specialmente l’emoglobina. Oltre a
questa si ha la liberazione del di altre componenti immediatamente accessibili ai batteri
(anche a quelli che non espletano emolisi). Esso permette la crescita anche dei batteri del
genere Haemophilus, che non crescono in agar sangue.
d. Brodo tioglicolato
e. Agar sabouraud
B. Terreni selettivi, che consente la crescita solo di alcune specie di microbi grazie ad una o più
sostanze chimiche (fra cui anche gli antibiotici) che inibiscono la crescita delle altre.
a. Agar McConkey → Terreno contenente sali biliari all’1,5% e cristalvioletto che gli
conferiscono selettività per i batteri gram- (inibiscono i gram+). Oltre a selezionare i
gram-, esso permette anche di discriminare i batteri gram- in lattosio-fermentanti e non
fermentanti. Si tratta di un terreno particolarmente utile per discriminare le specie della
famiglia Enterobacteriaceae. La fermentazione del lattosio fa virare al rosso l’indicatore di
pH nel terreno.
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fermentazione (S. Aureus) porta acidificazione del terreno che fa virare al giallo l’indicatore
contenuto.
e. Terreno di Lowenstein-Jensen
f. Agar Middlebrook
C. Terreni specializzati, che permettono la crescita di una sola specie
Esame biochimico
Il test di identificazione biochimica permette di discriminare i batteri in base alle differenti sostanze
metabolizzate. Viene eseguito producendo terreni liquidi contenenti ciascuni differenti sostanze,
solitamente zuccheri, che una volta metabolizzate vengono trasformate in metaboliti che fanno
variare il pH. Tale variazione di pH viene registrata da un indicatore di pH aggiunto al terreno, che
vira di colore.
Antibiogramma
Il procedimento, già affrontato, permette di discriminare i batteri differenti in base alle diverse
resistenze agli antibiotici da essi sviluppate.
Esame immunologico
Le tecniche di diagnosi di tipo immunologico sono quelle che si basano sull’utilizzo di anticorpi per la
ricerca degli antigeni di interesse.
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Blotting come conferma. Una variante della tecnica ELISA è ELISA sandwich, in cui si ha
l’adsorbimento di anticorpi e l’aggiunta di antigeni.
3. Western blot → In questo caso gli antigeni proteici vengono separati elettroforeticamente per
peso molecolare o per carica complessiva e poi trasferite su di un filtro di nitrocellulosa (blot).
Si aggiunge poi il siero del paziente che contiene, in caso di immunizzazione, gli anticorpi
specifici. Si procede poi con l’aggiunta degli anticorpi specifici per quelli umani, marcati
tramite enzimi anche in questo caso.
4. Immunocromatografia su membrana
Esame molecolare
Test per il materiale genetico
1. Elettroforesi → la ricerca dei polimorfismi della lunghezza dei frammenti di restrizione.
3. PCR
4. RT-PCR
2. MALDI-TOF
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Stafilococchi
Gli stafilococchi sono una famiglia di cocchi gram-positivi, generalmente di forma sferica e disposti
irregolarmente a grappoli. Si conoscono circa 40 differenti specie di stafilococchi, il cui habitat
naturale è la cute dei mammiferi. Tutti sono catalasi-positivi, caratteristica che ne permette la
distinzione dagli streptococchi.
Staphylococcus aureus
Lo Staphylococcus aureus è il più importante del genere degli stafilococchi in quanto è molto diffuso
nell’uomo ed è il più famoso patogeno, sia comunitario sia ospedaliero. Si tratta dello stafilococco
più patogeno specialmente per i pazienti immunocompromessi. Se questo è in grado di produrre
esotossine, inoltre, diviene patogeno anche per un individuo con sistema immunitario funzionante, il
quale non è in grado di contrastare in tempo le esotossine.
Caratteristiche
Lo Staphylococcus aureus è un batterio gram-positivo molto resistente in quanto possiede una
spessa parete che permette di resistere a condizioni sfavorevoli, cioè ampi range di pH,
temperatura e salinità.
L’habitat principale è la cute dei mammiferi, anche se sono in grado di crescere ovunque.
I batteri di tale specie sono aerobi ed anaerobi facoltativi e possono, infatti, svolgere la
fermentazione e trasformare il privato in acido lattico acidificando il terreno in cui crescono.
Tale batterio si presenta come immobile formando colonie ben distinte, di forma sferoidale e
caratterizzate da lucidità (dovuta alla presenza della capsula polisaccaridica, che però scompare in
vitro). Il nome aureus è dovuto al fatto che in coltura con presenza di zuccheri come il mannitolo, S.
aureus presenta colonie dal colore giallo-dorato (a causa di un particolare pigmento).
Tale specie di batteri, inoltre, ha attività β-emolitica, cioè sono in grado di degradare
completamente la membrana plasmatica dei globuli rossi per ricavarne sostanze nutritive.
Sostanze solubili
S. aureus produce alcuni enzimi e tossine:
A. È catalasi-positivo (come tutti gli stafilococchi), cioè produce l’enzima catalasi. Le catalasi
sono animi che catalizzano la degradazione del perossido di idrogeno (acqua ossigenata)
come nell’immagine. Con batteri catalasi-positivi si osserva un’effervescenza determinata dalla
liberazione di ossigeno, mentre con batteri catalasi-negativi non si osserva nulla. Il test può
risultare falsato in presenta di eritrociti, fonte di grandi quantità di catalasi.
B. È coagulasi-positivo (unico degli stafilococchi), cioè produce l’enzima coagulasi. Tale enzima
permette al batterio di indurre la coagulazione del sangue dell’ospite così da impedire l’arrivo
delle cellule con funzione immunitaria. I batteri che possiedono coagulasi sono responsabili
della formazione degli ascessi, cioè infezioni isolate.
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D. Enterotossine → Alcune sono a codificazione cromosomica, ma ne esistono alcune a
codificazione plasmidica. Si tratta di una tossina termostabile, acidostabile e resistente
all’azione di molte proteasi.
Manifestazioni cliniche
Le infezioni da stafilocchi prendono il nome di stafilococcìe, ma queste hanno carattere
estremamente variabile e colpiscono distretti differenti.
In generale, quelle che hanno carattere suppurativo (processo infiammatorio purulento, in generale
un ascesso), derivano dalla proliferazione del batterio e sono:
B. Favo → Si tratta di focolai sottocutanei che possono essere spremuti oppure incisi
chirurgicamente.
C. Trombosi → Insorgono quando degli ascessi portano all’occlusione di vasi e quindi alla
necrosi di pozioni di tessuto.
Dagli ascessi, i batteri possono spostarsi anche a livello ematico, portando a condizione di
batteriemia. In immunocompromessi la batteriemia può svilupparsi in setticemia (sepsi +
batteriemia), che risulta mortale.
A livello di altri distretti il batterio può portare a endocardite, osteomielite e artrite settica.
B. Sindrome dello shock tossico, o TSS → Si tratta del quadro causato dalla tossina TSST-1, la
quale può talvolta diffondere al circolo sanguigno a partire da un focolaio iniziale spesso
ignorato (spesso questo si forma a livello vaginale in seguito ad alterazioni della flora batterica
vaginale). La tossina porta ad una condizione acuta con febbre, ipotensione, eritrodermia
desquamativa e massiccia liberazione di citochine (potente ed eccessiva risposta immunitaria).
In molti casi risulta fatale.
C. Sindrome della cute ustionata, o SSSS → Include una serie di quadri clinici, in generale
causati dalla tossina epidermolisina (cioè arrossamento). La sindrome è caratterizzata da
eritema, epidermolisi ed esfoliazione degli strati più superficiali dell’epidermide, soggetti ad
estrema disidratazione. Si tratta di una malattia che colpisce prevalentemente i neonati
(malattia di Ritter), i quali possiedono solamente un sottilissimo strato corneo insufficiente per
la protezione. La sopravvivenza del neonato è possibile tramite trattamento, ma solo se la
percentuale di cute coinvolta non supera il 70%.
D. Impetigine bollosa → Si tratta di una condizione sempre causata dal contatto con
l’epidermolisina (ed è strettamente associata alla precedente). Si manifesta con vescicole che
si forma a causa della degradazione dei desmosomi: l’acqua passa negli strati dell’epidermide,
ma viene contenuta da quello corneo formando la classica bolla.
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Trasmissione e fattori di rischio
Le modalità di trasmissione sono:
2. Pazienti con corpi estranei (come in caso di cateteri per gli ospedalizzati oppure asssorbenti
interni nelle donne)
Diagnosi
Per la coltura di S. aureus possono essere impiegati diversi terreni solidi:
2. Agar cioccolato
La raccolta del campione avviene tramite tampone sterile e la semina avviene tramite un ansa da 100
µl in un ambiente sterile in prossimità di un becco Bunsen. L’ansa viene fatta scorrere sul terreno
scelto: potremmo osservare che il primo punto di contatto sarà quello di inoculo pesante, mentre i
successivi di minore entità.
Una volta eseguita una coltura, si può procedere all’applicazioni delle tecniche di diagnostica, che si
basano sulle caratteristiche della cellula batterica:
1. Test delle catalasi → Questo test permette di distinguere tra stafilococchi, catalasi-positivi, e
streptococchi, catalasi-negativi.
2. Test delle coagulasi → Il test consiste nel porre a contatto la colonia batterica con del plasma
in cui sono stati aggiunti degli anticoagulanti. Se il batterio è coagulasi-positivo, le coagulasi
riescono comunque ad indurre la coagulazione. Questo enzima è sfruttato da S. aureus nella
formazione di ascessi.
3. Test di agglutinazione → Si tratta di un test più affidabile del precedente. Gli anticorpi delle
sferette sono specifici per le catalasi determinando la formazione di un fitto reticolo
comprendente tutte le strutture, visibile in pochi secondi ad occhio nudo come un grumo.
Terapia e resistenze
La terapia per le infezioni più gravi, che richiedono trattamento antibiotico, si impiega la
vancomicina. Spesso però il trattamento antibiotico è sconsigliato in quanto interferisce con la flora
residente, che lascia stazione proliferativo a S. aureus.
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Storicamente vi furono due ondate epidemiche di stafilococchi. Con la prima, comparvero i primi
ceppi penicillina-resistenti, mentre con la seconda comparvero i primi ceppi meticillino-resistenti
(MRSA). In seguito, gli stafilococchi hanno sviluppato resistenza per tutti i β-lattamici.
Stafilococchi coagulasi-negativi
S. aureus è l’unico stafilococco coagulasi-positivo, ed è quello di maggiore interesse clinico. Con
minore diffusione, però, anche altri stafilococchi sono in grado di causare infezioni all’uomo.
Staphylococcus epidermidis
S. epidermidis è un batterio normalmente presente sulla nostra cute, parte della flora residente e
che fornisce una difesa da altri patogeni (50% popolazione è portatrice). Talvolta può però dare
luogo ad infezioni opportunistiche in soggetti a rischio:
A. Immuncompromessi
Staphylococcus haemolyticus
Segue, per diffusione, S. epidermidis ed è un patogeno nosocomiale altrettanto importante. Esso,
oltre alla resistenza alla meticillina, ha anche sviluppo resistenza ai glicopeptidi (vancomicina).
Staphylococcus saprophyticus
Non è né un patogeno nosocomiale né un patogeno opportunista e non tende a sviluppare
resistenze. Esso è responsabile di infezioni urinarie grazie alla sua adesività alle cellule uroteliali. Ha
distribuzione ubiquitaria nel mondo, ma l’infezione colpisce prevalentemente le donne del Nord
Europa.
Streptococchi
Il genere Streptococcus sono un genere di batteri gram+ e generalmente disposti, a seconda della
specie, singolarmente, a coppie o in catenelle (principalmente quest’ultima, da cui deriva il nome).
Come i precedenti, anche gli streptococchi sono batteri immobili in quanto privi di flagelli o fimbrie.
Non producono spore e sono aerobi e anaerobi facoltativi. Sono in grado di produrre energia
tramite glicolisi e fermentazione lattica (da piruvato a lattato) e pertanto vengono definiti
omofermentanti.
Sono in grado di vivere in ambienti acidi (pH intorno a 3,5) come ad esempio la mucosa vaginale
(talvolta si sostituiscono ai lacotobacilli della flora residente portando una serie di problematiche).
Il terreno più impiegato, cioè l’agar Sangue, permette di evidenziare l’attività emolitica delle diverse
specie, che può essere:
1. α-emolisi, cioè emolisi parziale → caratterizza quelli con aggressività intermedia come S.
pneumoniae
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3. γ-emolisi, cioè assenza di emolisi → Si tratta di batteri non aggressivi, che si presentano
solamente come patogeni occasionali (solo in immunocompromessi). Molti sono normalmente
presenti nel cavo orale come S. mutans e S. salivarius. Vengono anche definiti come gruppo
dei viridanti.
Una classificazione per gli streptococchi su fornita dalla microbiologa Lancefield sulla base di un
polisaccaride della parete batterica denominato antigene C o antigene di Lancefield. Esso
presenta struttura variabile e questa variabilità ha permesso di costituire delle classi (quindi secondo
un criterio sierologico) indicate con le lettere maiuscole. Le classi principali sono 6, dalla A alla G,
ma solo in alcune si ha la perfetta corrispondenza tra classe e specie. La classificazione è stata
effettuata tramite l’uso di diversi antibiotici precipitanti. È interessante notare che S. pneumoniae non
possiede alcuna forma dell’antigene C.
Streptococcus pyogenes
Streptococcus pyogenes, anche indicato come streptococco β-emolitico di tipo A, è il principale
streptococco patogeno umano e uno dei più importanti patogeni batterici in generale.
Caratteristiche
Esso presenta tutte le strutture caratteristiche dei batteri del genere Streptococcus. Le componenti
strutturali importanti, inoltre, sono:
3. Proteina M, posta sulla capsula, che può essere considerata il principale fattore di
patogenicità del batterio. Tale proteina è costituita da due filamenti polipeptidi avvolti a doppia
elica. Essa è in grado di inibire fagocitosi e killing dei granulociti, nel particolare inibendo la
via del complemento. Essa svolge anche un ruolo di adesina, nel particolare di adesina
secondaria (è presente solamente negli streptococchi). Conferisce capacità di adesione
maggiore rispetto alle altre adesine (a differenza delle altre, questa conferisce aderenza alle
mucose) e proprio per questo gli streptococchi danno molte infezioni al cavo orale nei bambini
(faringinti e tonsilliti). Con il procedere dell’età, però, la capacità di S. pyogenes di dare
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infezioni diminuisce e sono rare infezioni nell’adulto. Questo perché all’azione dell’immunità
innata (IgG, IgM) si aggiunge, intorno ai 18 anni, un’immunità acquisita mucosale, permessa
dalla presenza di IgA secretorie. Queste vengono secrete dalle cellule del sistema immunitario
e sono specifiche per la proteina M: vi si legano impedendo l’adesione del batterio alle
mucose.
4. Acido teicoico e lipoteicoico, anch’essi posti sulla capsula, sono molecole legate ai filamenti
di proteina M. Essi collaborano con essa per l’adesione e vengono classificati come adesine
(primarie, presenti anche in altri batteri come lo stafilococco e che conferiscono aderenza alla
cute, ma non alle mucose).
5. Proteina F, una FBP (fibronectin binding protein), un’altra adesina che permette l’adesione alle
cellule epiteliali respiratorie (che espongono fibronectina).
6. Proteina T
7. Proteina R
L’elevato potenziale di patogeneticità di S. Pyogenes è dato dalla somma delle strutture esposte
sulla capsula e dalle sostanze solubili prodotte. Il controllo e l’espressione di questi caratteri sono
determinati da complessi sistemi di modulazione genetica, fra cui il più studiato è MGA (multiple
gene activator), un gene codificante una proteina in grado di legare i siti d’inizio della trascrizione dei
geni della virulenza attivandone la trascrizione.
Sostanze solubili
Come altri numerosi cocchi gram.positivi, anche S. Pyogenes produce sostanze che vengono
esocitate (esoenzimi ed esotossine).
2. Ialuronidasi
3. Esotossine pirogene, o SPE, nelle quali si includono SPE-A, SPE-B e SPE-C. Si tratta di una
famiglia di superantigeni batterici che inducono la produzione di numerose citochine e
determinano attivazione dei linfociti T. SPE-A e SPE-C (note come tossine eritrogeniche,
coinvolte nella scarlattina e dall’alta immunogenicità) sono a codificazione fagica, mentre SPE-
B (coinvolta nella sindrome da shock tossico, simile a TSST-1) è a codificazione cromosomica.
Manifestazioni cliniche
Distinguiamo in primo luogo tra infezioni non invasive e invasive:
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a. Infezioni alle mucose, come faringite, tonsillite e otite media (condizioni più frequenti)
a. Sindrome da shock tossico, che per essere distinta da quella causata da Streptococcus
aureus viene indicata con strep-TSS. Anche in questo caso si presenta ipotensione e
compromissione multi-organo.
b. Altre infezioni come ascessi, meningiti, polmoniti, osteomieliti, artrite settica, peritonite
Abbiamo poi una serie di manifestazioni che si presentano come complicazioni post-infezione, senza
necessariamente riscontrare la presenza di S. pyogenes. Queste manifestazioni vengono indicate
con il nome di sequele post-streptococciche, o sequele non-suppurative. In generale, anche in
questo caso si tratta di manifestazioni dovute alla precipitazione di immunocomplessi, che portano a
problemi nella circolazione fino a necrosi del tessuto. I quadri sono:
A. Malattia reumatica, o febbre reumatica → è una sindrome complessa che evolve in un arco
di tempo che dura anni. Essa si localizza a livello delle articolazioni, anch’esse presentanti
importanti reti mirabili in cui si può avere la precipitazione degli immunocomplessi. Vengono
colpite specialmente le articolazioni di maggiore calibro, come il ginocchio, l’anca, la spalla ed
il gomito. Le articolazioni di un bambino affetto da febbre reumatica somigliano a quelle di un
anziano, cioè sono molto usurate e non idratate, con osteoporosi e problemi di deposito del
calcio così da interferire con il movimento e indurre dolore.
Coltura e diagnosi
Il principale terreno per la coltura è Agar Sangue, sul quale S. pyogenes produce colonie di colore
bianco circondante da alone trasparente, che evidenzia l’attività β-emolitica.
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Nelle infezioni primarie da Streptococcus curate con antibiotico, il TAS risulta essere elevato
inizialmente. Se dopo l’apparente guarigione (orizzonte clinico) il TAS risulta ancora essere elevato
significa che il batterio ha iniziato a proliferare nell’organismo in maniera silente: i problemi sorgono a
lungo termine, portando all’insorgenza delle sequele. Se per la glomerulonefrite si puo ancora
intervenire in quanto ha insorgenza precoce, per la febbre reumatica non si può intervenire in quanto
questa insorge oltre i 20 anni.
Terapia e resistenze
Streptococcus pyogenes risulta suscettibili ad antibiotici β-lattamici: se dopo il trattamento il TAS
scende allora si è sviluppata immunità, mentre se il TAS non scende significa che il batterio convive
con gli altri all’intento dell’organismo e in questi casi si rende necessaria l’asportazione chirurgica, ad
esempio, delle tonsille (principale habitat).
In passato ai pazienti soggetti a ripetute infezioni da streptococco veniva prescritta una terapia
prolungata di copertura con β-lattamici, ma ad oggi questo non si fa più per evitare lo sviluppo di
resistenze.
Streptococcus agalactiae
Si tratta dello streptococco di gruppo B ed il maggiore responsabile dei infezioni batteriche
invasive perinatali. Esso ha attività β-emolitica, è omofermentante (produce acido lattico) ed è in
grado di vivere in ambienti acidi.
Manifestazioni cliniche
Le infezioni da S. agalactiae insorgono nei neonati che vengono infettati dal batterio durante il
parto, cioè passando nell’ambiente vaginale della madre in cui si trovano i batteri. Distinguiamo poi
due casi di infezione:
A. A esordio precoce → Insorge quanto la carica batterica con cui il bambino viene a contatto è
massiccia. I batteri raggiungono il cavo orale e poi disseminano a livello ematico e a livello
meningeo, portando a meningite in 2-3 giorni. Talvolta, se la carica infettante è estremamente
elevata, si può avere colonizzazione del liquido amniotico da parte del batterio e quindi morte
del feto prima della nascita. La terapia antibiotica raramente ha successo e nei migliori dei casi
i bambini nati presentano poche malformazioni e alterazioni cerebrali.
B. A esordio tardivo → Insorge quando la carica batterica infettante iniziale è piuttosto ridotta.
La comparsa dell’infezione avviene solamente dopo diversi giorni o settimane, quando si ha
comparsa di batteriemia (batterio raggiunge il sangue) e inizia a manifestare letargia (un
sintomo neurologico che consiste in sonnolenza continua). Si può verificare la presenza del
batterio tramite tampone della mucosa orale, ma i trattamenti non possono fare nulla per
l’alterazione cerebrale, che è irreversibile (stato vegetativo).
Diagnosi e trattamento
La diagnosi viene sempre fatta tramite tamponi (orale nel bambino e vaginale nelle donne incinte). Il
tampone nelle donne incinte viene effettuato al terzo ed all’ottavo mese di gravidanza. In caso di
positività si può scegliere tra parto cesareo oppure di donare ovuli antibiotici e procedere con il parto
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naturale (?). Ad oggi, nella provincia di Brescia i casi di infezione perinatale da S. agalactiae sono
pari a 0 grazie alle misure di controllo e prevenzione.
C. Positività al CAMP test (produzione di una proteina esocellulare che collabora all’emolisi)
Il trattamento viene effettuato per tamponare la proliferazione del batterio tramite cefalosporine,
tetracicline oppure cloramfenicolo. Talvolta per un’azione maggiore si può somministrare tramite
flebo in quanto l’organismo di un neonato è molto meno soggetto ad effetti collaterali causati da
farmaci.
Streptococcus pneumoniae
Streptococcus pneumonie, anche denominato pneumococco o Diplococcus pneumoniae (in
virtù del fatto che si presenta come cocchi in coppie) è uno dei principali patogeni umani, con
distribuzione ubiquitaria e responsabile di una serie di patologie dalle meno invasive alle più invasive.
Esso viene classificato come facente parte della classe dei viridanti.
Caratteristiche
Si tratta di un batterio gram+ che presenta un diametro di 0,5-1,2 µm con forma ovale o lanceolata.
Si tratta di batteri catalasi-negativi e quindi suscettibili all’azione del perossido di idrogeno. Inoltre
essi sono molto esigenti dal punto di vista nutrizionale e pertanto crescono solo in terreni con
additivi emoderivati. Si tratta di batteri omofermentanti il glucosio e altri zuccheri producendo acido
lattico, che in elevate quantità risulta tossico per il batterio stesso.
Per quanto riguarda la parete, un importante componente è il polisaccaride C (da non confondere
con l’antigene C, che lo pneumococco non possiede), il quale è un polimero somigliante all’acido
teicoico, ma contenute fosforilcolina che si lega ad un recettore delle cellule dell’ospite, il recettore
per il fattore attivante le piastrine (PAF). Oltre a questo sono presenti gli acidi teicoici, che svolgono il
ruolo di adesine.
L’habitat prediletto è il cavo orale, specialmente nei bambini, e la trasmissione avviene per via
aerogena.
Sostanze prodotte
Ad accrescere la virulenza di S. pneumoniae sono presenti alcune proteine secretorie e alcune
citoplasmatiche:
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rilasciato solamente in caso di lisi cellulare. Questo enzima è responsabile dell’attività α-
emolitica di questo batterio: lega gli sterili delle membrane determinandone la lisi (degrada
eritrociti, cellule endoteliali e fagociti).
Manifestazioni cliniche
Le manifestazioni cliniche sono molto varie e molto diffuse nella popolazione e si stima che il 40%
dei bambini presenti normalmente S. pneumoniae nel cavo orale:
Riconoscimento e diagnosi
Esso presenta attività α-emolitica e in agar sangue forma degli aloni verdi. Tale attività è però
permessa, a monte, da un’altra proprietà di S. pneumoniae, cioè quella di autolisi. Le colonie che si
possono formare sono di due tipi:
B. Colonie R, rough → Si tratta dell’aspetto delle colonie formate da S. pneumoniae non dotato
di capsula. Presentano aspetto rugoso e una depressione nella zona centrale a causa
dell’autolisi e vengono definite a pedina di dama.
1. Test di solubilità ai sali biliari → esposizione di una colonia ad una goccia di bile: S.
pneumoniae attiverà le autolisine.
Trattamento e resistenze
I farmaci impiegati sono:
2. Macrolidi → Si tratta di una terapia di seconda scelta per paziente allergici alle penicilline.
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3. Fluorochinoloni → Terapia valida con basse percentuali di resistenze.
Da molti anni sono stati introdotti anche vaccini costituiti da polisaccaridi capsulari (sotto forma di
miscela dei tipi prevalenti) che permettono al sistema immunitario di sviluppare anticorpi specifici per
la capsula. In Italia il più impiegato è un vaccino polivalente che copre 23 ceppi differenti.
2. Streptococcus salivarius
3. Streptococcus anginosus
4. Streptococcus sanguinis
5. Streptococcus mitis
Emofili
Il genere Haemophilus comprende un gruppo eterogeneo di batteri accomunati dalla facilità di
coltivazione in Agar sangue (il nome significa “amanti del sangue”). Molte specie si trovano
normalmente nelle mucose alle alte vie respiratorie dell’uomo e sono responsabili si di infezioni
frequenti e lievi, ma anche, più raramente, di infezioni pii gravi.
1. Haemophilus influenzae
2. Haemophilus ducreyi
3. Haemophilus aegyptius
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Essi sono tutti batteri gram- e pleiomorfici, con morfologia variabile da cocco-bacillare a più
allungata. Sono aerobi e anaerobi facoltativi e presentano particolari esigenze nutrizionali e
vengono coltivati su terreni arricchiti in quanto non producono alcuni composti che in essi trovano:
A. Fattore V, cioè il gruppo eme, che viene impiegato da questi batteri per la sintesi di enzimi
come la citocromo-ossidasi
La maggior parte non ha attività emolitica (γ-emolisi) e pertanto è largamente impiegato l’agar
cioccolato in cui si trovano eritrociti già lisati.
Gli emofili possono presentare una capsula polisaccaridica costituita, nel particolare, da PRP
(poliribitol fosfato) e che fornisce attività antifagocitaria. Essa è l’unico fattore di patogenicità. Oltre
a questi esistono emofili non capsulati.
Presentano la struttura tipica dei batteri gram- e pertanto sono dotati di membrana interna e
membrana esterna. La membrana esterna è ricca di lipo-olisaccaridi (LOS) che inibisce il
movimento delle cigli dell’apparato respiratorio.
Haemophilus influenzae
Haemophilus influenzae è il principale patogeno del genere Haemofilus e normalmente costituisce
parte della flora residente delle alte vie respiratorie e del cavo orale (talvolta anche congiuntiva e
apparato genitale). La trasmissione avviene esclusivamente da uomo a uomo. Ad eccezione di
quelle causate da sierotipo B, tutte le infezioni sono opportunistiche.
Caratteristiche
La capsula polisaccaridica ha attività antifagocitaria e presenta diverse varianti che permettono
di distinguere H. influenzae in 6 stereotipi differenti nominati con le lettere da a a f. Particolarmente
importante è la capsula del stereotipo b, che gli conferisce capacità di legare le cellule dei plessi
corioidei e quindi di causare meningiti.
Inoltre, in alcuni ceppi si trovano recettori per lattoferrina e transferrina che conferiscono capacità
di sequestrare il ferro (necessario per formare i citocromi).
Manifestazioni cliniche
H. influenzae può causare (nei stereotipi a, c, d, e, f) infezioni localizzate:
1. Infezioni del cavo orale e della rinofaringe, fra cui l’epiglottite causata dal stereotipo C
(HiC) che colpisce prevalentemente bambini al di sotto dei 5 anni. L’infiammazione porta a
gonfiore e chiusura dell’epiglottide, che porta al soffocamento del bambino se non con
tempestiva tracheotomia.
2. Otite media
3. Sinusite
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4. Broncopolmonite
Si discosta dagli altri il sierotipo B, indicato con HiB, in grado di causare meningiti e anche artriti
settiche. La capsula del sierotipo B, infatti, permette al batterio di aderire alla barriera
ematoencefalica dei plessi corioidei. La proliferazione in tale sede del batterio induce una risposta
immunitaria con un massiccio rilascio di citochine che richiamano le cellule del sistema immunitario.
L’infiammazione del plesso corioideo determina un aumento del calibro delle maglie dei plessi
corioidei: in questo modo nel liquor, che normalmente è sterile, iniziano a proliferare i batteri,
raggiungendo anche i ventricoli cerebrali. Si ha un’alterazione flogistica dei foglietti meningei ed un
aumento della produzione di liquor. Il sintomo iniziale della meningite è il mal di testa, che si evolve
in rigidità nucale. Si ha poi l’infiammazione del midollo e dell’encefalo.
Diagnosi
Le principali tecniche sono la ricerca diretta a livello di campioni.
Per la ricerca di H. influenzae di stereotipo B sono impiegati kit mirati alla ricerca dell’antigene
capsulare B direttamente a livello dei tessuti.
In caso di meningite la diagnosi deve essere tempestiva e si procede con il prelievo di liquido
cefalorachidiano (che in caso di infezione si presenta scuro a causa dell’elevata concentrazione di
polimorfonucleati).
L’osservazione diretta del liquor viene in genere effettuata tramite colorazione con arancio di
acridina (più efficace di quella di gram). La coltivazione avviene su Agar Cioccolato e sulle colonie
posso essere effettuati test per l’identificazione (riferimento alla tabella):
L’indagine sierologica non risulta essere una efficace tecnica di diagnosi, ma permette di verificare e
misurare la risposta anticorpale (immunizzazione).
Terapia e profilassi
Per quanto riguarda la terapia per la meningite da HiB vengono impiegate cefalosporine di terza
generazione (ceftriaxone o cefotaxima). Nei casi più avanzati possono essere impiegate tetracicline
o cloramfenicolo, i quali permeano meglio la barriera ematoencefalica.
Molto più funzionale è la profilassi per questa patologia, che consiste in un vaccino costituito dal
PRP purificato (che simula la capsula) coniugato ad una proteina carrier (anatossina tetanica
oppure difterica). Si tratta di un vaccino estremamente efficace, in grado di fornire immunità anche
se somministrato sotto i 2 anni di età.
Haemofilus ducreyi
H. ducreyi è un agente patogeno a trasmissione sessuale e per contatto, principalmente diffuso
nelle zone tropicali e nei paesi in via di sviluppo. La manifestazione principale è un’ulcera molle che
può trovarsi a livello del cavo orale ed essere trasmessa ai genitali (tramite sesso orale). A livello del
pene si manifesta come una formazione simil-tumorale.
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Neisseria
Il genere Neisseria comprende un’ampia varietà di specie non patogene e due specie patogene per
l’uomo, unico habitat e serbatoio, cioè:
A. Neisseria meningitidis
B. Neisseria gonorrhoeae
In generale, gli appartenenti al genere Neisseria sono batteri gram-, talvolta caratterizzati da capsula
(i ceppi virulenti e patogeni). Le cellule batteriche si dispongono in coppie e pertanto si parla di
diplococchi a chicco di caffè.
Sono inoltre immobili, asporigeni, aerobi, ossidasi positivi (producono il citocromo C) e catalasi
positivi. Talvolta si possono presentare come endocellulari.
L’habitat è l’organismo umano (mucosa rinofaringea), che ne rappresenta anche l’unico serbatoio.
La trasmissione avviene tramite goccioline di saliva.
La virulenza di alcuni ceppi delle specie di Neisseria è dovuta all’espressione di proteine solubili
oppure di membrana e di alcune strutture:
1. Pili → Si tratta di pili di tipo IV, costituiti da pilina, fondamentali nella prima fase del processo
infettivo in quanto permettono l’adesione alle cellule epiteliali (principalmente della
rinofaringe). I pili svolgono poi numerose funzioni come la coniugazione (e quindi la variabilità
genetica).
2. Proteine Opa → In seguito all’adesione pilus-mediata, segue una seconda fase caratterizzata
dalla perdita dei pili: il ruolo dia adesione viene assunto proprio dalle proteine Opa, che
permettono al batterio di raggiungere il sangue. I geni Opa possono essere sfruttati per
discriminare ceppi diversi all’interno delle specie di N. gonorrhoeae e N. meningitidis.
3. Proteina Opc → Altra classe di adesine lontanamente omologhe alle precedenti ed espresse
principalmente dal meningococco.
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4. Porine → Si tratta di importanti proteine canale della membrana esterna del batterio che sono
in grado, fra le altre cose, di fornire resistenza agli antibiotici (per efflusso). Si è osservato che
neisseria sia anche in grado di traslocare le porine ad una cellula target dell’ospite alterandone
il potenziale di membrana e quindi la trasduzione del segnale.
Neisseria meningitidis
Analogamente allo pneumococco ed emofilo, anche Neisseria meningitidis è
normalmente presente nella flora residente orale umana (si stima nel 10% degli
individui). L’habitat è la mucosa della rinofaringe.
Da sottolineare è che la trasmissione avviene per inalazione di goccioline di saliva (via aerea) da
soggetti portatori, ma raramente da quelli malati.
Caratteristiche
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Normalmente fermentano sia glucosio sia maltosio.
La proliferazione incontrollata del batterio a livello del sangue avviene nei casi in cui si ha un sistema
immunitario compromesso e determina il passaggio da batteriemia a setticemia (o, impropriamente,
sepsi). Questa può portare a morte anche senza che sia subentrata una meningite, ma al contempo
si può avere una meningite anche senza il presentarsi di una setticemia.
Grazie alle varie proprietà della capsula, il batterio è in grado di portarsi a livello dei plessi corioidei
colonizzandoli e attraversando la barriera ematoencefalica. L’infezione, quindi, raggiunge le meningi
ed i ventricoli cerebrali.
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Le manifestazioni sono quasi tutte riconducibili alla condizione indicata con meningite, ad eccezione
di alcuni dovuto alla setticemia:
1. Petecchie cutanee → Si tratta di lesioni visibili a livello cutaneo determinate dalla secrezione
sia delle endotossina del batterio sia delle citochine dell’ospite (quindi dovute alla setticemia).
Queste sostanze portano a danni all’endotelio e occlusione dei vasi per coagulazione, la quale
porta a necrosi del tessuto.
2. Insufficienza renale → Compare talvolta nei casi in cui l’occlusione dei vasi avvenga per
quanto riguarda reni e ghiandole surrenali (anche queste, quindi, dovute alla setticemia).
3. Meningite → è la manifestazione clinica che compare una volta che il batterio ha raggiunto il
sistema ventricolare oltrepassando la barriera ematoencefalica dei plessi corioidei. Questa
condizione presenta sintomatologie specifiche:
I. Febbre elevata
II. Cefalea frontale e intensa dovuta all’aumento della pressione intracranica (infiammazione
delle meningi e iperproduzione di liquor). Nei neonati si ha una particolare accentuazione
della pressione a livello della fontanella bregmatica.
V. Rigidità prima a livello della nuca e poi lungo tutto il corpo. Questo sintomo è tipico dei
casi più avanzati.
Diagnosi
In generale la tecnica principale per riconoscere una colonizzazione da parte di Neisseria
meningitidis è l’isolamento del batterio. Questo tipo di esame, che utilizza come campione un
tampone orale, evidenzia indiscriminatamente portatori e malati. L’isolamento, inoltre, non è sempre
possibile e richiede tempo e pertanto impedirebbe un’azione tempestiva.
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batteri a livello del liquor già dall’osservazione ad occhio nudo del colore: un colore scuro è indice
della presenza di cellule del sistema immunitario, che non dovrebbero essere presenti, che stanno
espletando attività fagocitica.
Nei casi in cui il liquor non si di colore scuro, l’infezione è in uno stato precoce e si può procedere
con tecniche più precise ma più lente:
L’incidenza è maggiore nei primi mesi di vita a causa dei frequenti contatti dei bambini con adulti
differenti, i quali sono possibili portatori. In un bambino la produzione di IgA secretorie per impedire
la colonizzazione richiede tempo e pertanto questa risulta frequente. In generale l’incidenza è di 2
casi ogni 100 000 persone ogni anno.
Dopo l’introduzione del vaccino l’incidenza in itali è molto diminuita ma negli ultimi anni è
incrementata nuovamente in quanto molti genitori non accettano la vaccinazione. Poco tempo fa fu
registrato un picco in Toscana che ha nuovamente sensibilizzato alla vaccinazione.
B. Fumatori (sia fumo attivo sia passivo), a causa delle difese immunitarie ridotte a livello orale e
polmonare
Terapia e profilassi
La terapia deve iniziare al più presto, anche prima dell’identificazione del meningococco.
Il farmaco più impiegato è la penicillina G, somministrata per via endovenosa (dal libro, Caruso non
lo dice). Abbiamo poi le cefalosporine di 3a generazione come ceftriaxone e cefotaxima quando
ancora i sintomi non sono gravi. Le cefalosporine sono attive anche con le forme intracellulari (N.
meningitidis, una volta fagocitato dalle cellule dell’immunità, è in grado di sopravvivere in un vacuolo
impedendo la fusione con i lisosomi). Nei casi più gravi e avanzati si impiegano tetracicline o
cloramfenicolo.
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Normalmente in seguito ad un infezione meningococcica si procede alla chemioprofilassi per
evitare contagi. I farmaci impiegati sono la rifampicicna, dei fluorochinoloni (come ciprofloxacina)
oppure, anche in questo caso, le efalosporine di 3a generazione.
Risulta molto più efficace la prevenzione della malattia è l’immunoprofilassi, cioè la vaccinazione. I
vaccini in uso sono polisaccaridi cellulari purificati e coniugati con proteine altamente
immunogeniche (anatossina difterica, anatossina tetanica). Essi sono preparati con polisaccaridi
capsulari dei ceppi A, C, Y e W-135. Esistono sia vaccini monovalenti sia un vaccino tetravalente
(contro il C e coniugato, menjugate, è stato introdotto nel 2005 da Rino Rappuoli).
Neisseria gonorrhoeae
La gonorrea è una malattia sessualmente trasmessa conosciuta da tempi antichi. La trasmissione
può avvenire durante rapporti vaginali, anali e orali.
Caratteristiche
Si tratta di un diplococco gram- dotati di capsula (ma non di tipo B e pertanto non sono in grado di
dare meningite) che però si degrada facilmente e non sopravvive a lungo nell’ambiente esterno. Essa
fermenta il glucosio, ma a differenza della precedente non fermata il maltosio. È catalisi-positivo
e ossidasi-positivo.
Manifestazioni cliniche
La trasmissione puo avvenire:
B. Durante il passaggio del bambino attraverso il canale del parto (portando infezioni più serie,
come setticemia, potenzialmente fatali)
L’infezione da N. gonorrhoeae è una STD seconda per diffusione solamente alla clamidi. Essa
colpisce prevalentemente le donne in quanto la mucosa vaginale è un ambiente favorevole alla
proliferazione batterica. Negli uomini l’infezione si localizza a livello della mucosa uretrale. Si
localizza anche a livello di congiuntiva, retto e faringe.
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fagocitica. Nei casi più gravi l’infezione si può estendere a livello balano-prepuziale e, tramite
microabrasioni, diffondere lungo tutto il pene anche se non a livello delle mucose. Il materiale
purulento si differenzia da quello da Clamidia in quanto in questo caso, essendo un parassita
endocellulare obbligato, la secrezione è limpida.
5. Infezione gonococcica disseminata (DGI) → rara, consiste nella diffusione nel torrente
ematico del batterio
Diagnosi
Tecniche di diagnosi:
1. Esame microscopico degli essudati (come quello uretrale), spesso con colorazione di Gram o
colorazioni immunoistochimiche o immunoenzimatiche
2. Esame colturale, con terreno Thayer-Martin che permette di eliminare le altre popolazioni
batteriche e fungine contaminanti (flora residente dei siti di prelievo dei campioni). Le colonie in
realtà sono uguali per le due specie patogene di neisseria: sono tondeggianti e lucide per la
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presenza della capsula e si presentano di colore grigio opalescente. Presentano tempi di
incubazione lunghi, di circa 2-3 giorni.
5. Test di agglutinazione
6. Tecniche molecolari (nestedPCR), impiegate quando risulti faticoso isolare il batterio e quindi
applicare le tecniche precedenti
Terapia
Sono presenti molti ceppi che hanno sviluppato resistenze (grazie ad una maggiore selezione
operata dalle porine) e pertanto prima di fornire una diagnosi è necessario svolgere un
antibiogramma (le resistenze sono in continuo aumento, come a tetracicline, amminoglicosidi e
macrolidi). I farmaci utilizzati, previo antibiogramma, sono:
2. Chinoloni, specialmente l’acido nalidixico, che viene impiegato nelle infezioni uretrali
3. Tetracicline, fra cui la doxicilina, che ha azione anche sulle cellule all’interno dei fagociti
Spesso si associano un β-lattamico (attivo contro le forme extracellulari) ed una tetraciclina (attiva
contro le forme intracellulari).
Clamidia
Il genere Chlamydiae racchiude batteri molto simili, specialmente per quanto riguarda le infezioni
urogenitali, alla Neisseria gonorrhoeae.
Inoltre, date le loro caratteristiche, forniscono alcuni spunti per lo studio dei virus sotto un punto di
vista evolutivo: le clamide, infatti, sono parassiti endocellulari obbligati e presentano somiglianze
con i virus. È ragionevole ipotizzare una derivazione evolutiva dalle clamide (i batteri sono
sicuramente comprasi per primi in quanto i virus sono parassiti endocellulari obbligati). Date le loro
ridotte dimensioni, son ostate considerate per lungo tempo dei virus in quanto incapaci di crescere
in terreni acellulari.
1. Chlamydia trachomatis
2. Chlamydia psittaci
3. Chlamydia pneumoniae
4. Chlamydia pecorum (non trattata)
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Caratteristiche
I batteri del genere Chlamydiae sono gram- caratterizzati da forma coccoide e da immobilità.
La “parete” (anche se non si può propriamente parlare di parete) delle clamidie presenta delle
peculiarità. A differenza degli altri gram-, non si riscontra peptidoglicano, che è sostituito da due
proteine (nello spazio periplasmatico, tra le due membrane):
1. MOMP (major outer membrane protein). Essa è esposta sulla superficie e determina
l’importazione di sostanze nutritive e quindi svolge il ruolo di porina.
I numerosi ponti disolfuro che si formano tra i residui di cisteina contribuiscono a mantenere tali
proteine strettamente adese tra loro e fornire la resistenza (che negli altri gram- è data dalla parete). I
ponti si scindono (riduzione) una volta all’interno della cellula ospite per aumentare la permeabilità.
La membrana esterna, oltre a MOMP, presenta anche LPS (lipopolisaccaride), che svolge il ruolo
di endotossina e antigene (ed è tipico dei gram-). La porzione tossica è quella intercalata nella
membrana esterna, mentre quella antigenica è quella esposta. L’azione tossica, quindi, si presenta
solo in seguito a rottura della cellula.
B. Corpo reticolare, CR → SI origina dal corpo elementare per progressiva idratazione in seguito
alla penetrazione nel vacuolo. Si tratta della forma metabolicamente attiva ed ha dimensioni
maggiori, di circa 800-1000 nm. Una volta completato il ciclo replicativo, per progressiva
disidratazione, è in grado di trasformarsi nuovamente in corpo elementare.
Le clamide sintetizzano anche una serie di proteine indicate con la sigla Inc, che vengono inserite
nella membrana dell’endosoma (che è un vacuolo parassitoforo). Esse permettono l’unione di
diversi endosomi in uno unico di dimensioni maggiori e contemporaneamente impediscono la
fusione di questo ai lisosomi (e quindi impediscono la degradazione).
Ciclo replicativo
1. L’ingresso del CE avviene grazie all’interazione della MOMP con le molecole espresse dalla
membrana della cellula target (interazione caratterizzata da interazioni deboli).
3. La replicazione del CR, all’interno dell’endosoma, inizia in 6-9 ore (in questa fase si ha la
produzione delle proteine Inc per impedire la formazione dell’endolisosoma). Il batterio importa
nell’endosoma tutte le sostanze necessarie, portando ad ingolfamento. La replicazione consta
di una prima scissione binaria seguita dalla dissoluzione del CR che libera il materiale genetico
il quale viene trascritto nel nucleo della cellula ospite. Una volta prodotte tutte le componenti, i
CE si formano nell’endosoma per autoassemblaggio. L’endosoma si accresce nelle sue
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dimensioni, anche per la fusione con altri eventuali endosomi (sempre grazie alle Inc). Nella
cellula, pertanto, si forma una colonia di clamidia in una grande inclusione citoplasmatica,
spesso visibile al microscopio.
4. La liberazione di 100-1000 nuovi CE infettanti avviene dopo 48-72 ore e può avvenire in due
modalità:
I. Lisi cellulare, caratteristica delle clamidie non adatte all’uomo (C. psittaci) e determinata
dall’ingolfamento della cellula ospite
II. Esocitosi, caratteristica delle clamidie adatte all’uomo (C. Trachomatis e C. pneumoniae),
che non danneggia la cellula ospite. In questo caso la patologia insorge indirettamente a
causa dell’aggressione dei tessuti infetti da parte del sistema immunitario.
Patogenesi
Per quanto riguarda C. psittaci, le infezioni da essa causate sono direttamente causate dal fatto che
il batterio determini la lisi cellulare.
Nei normali batteri, la componente del sistema immunitario che entra in gioco è l’immunità innata:
cellule ad attività fagocitica e via del complemente vanno ad attaccare direttamente il patogeno. Nel
caso delle clamidie, invece, si ha una risposta più simile a quella determinata dai virus, in quanto
entra in gioco l’immunità adattiva: le cellule ad attività citotossica vanno ad indurre la morte delle
cellule infettate tramite storm citochimico e killing, attaccando indirettamente il patogeno. In questo
modo compaiono lesioni importanti anche con necrosi tissutale, il tutto che si evolve nella formazioni
di tessuto cicatriziale.
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Gli anticorpi, infatti, hanno uno scarso effetto protettivo e l’infezione può persistere o riattivarsi
anche in presenza di elevate concentrazioni di anticorpi. Molto frequentemente si instaura un
equilibrio tra il batterio ed il sistema immunitario, evento che porta a decorsi asintomatici delle
infezioni.
Coltura e diagnosi
Tutte le clamidie possono esser coltivate tramite uovo embrionato di pollo oppure tramite altre
colture cellulari di derivazione animale:
Tecniche più veloci dell’isolamento in terreno cellulare sono quelle di biologia molecolare.
Terapia
I farmaci di elezioni per la curia di infezioni da clamidia sono le tetracicline:
Le clamidie, inoltre, sono molto sensibili ai β-lattamici, ma la causa di ciò è sconosciuta in quanto
queste non possiedono parete batterica. Spesso si impiega una terapia con combinazione di questi
farmaci.
Per quanto riguarda la prevenzione, le misure ottimali sarebbero quelle di aumentare le condizioni
igieniche e l’uso di protezioni sessuali. Non esistono al momento vaccini.
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Chlamydia trachomatis
Si tratta della specie di clamidia più rilevante per quanto riguarda la clinica e presenta come unico
ospite l’uomo, con habitat a livello delle mucose.
B. Sierotipi D-K → Responsabili della maggior parte delle infezioni genitali sessualmente
trasmesse dei paesi industrializzati, ma anche polmoniti negli infanti.
Manifestazioni cliniche
La divisione in sierogruppi è facilmente sovrapponibile alla divisione in biotipi, in base alle
manifestazioni cliniche determinate:
1. Tracoma → Inizia con congiuntivite, poi cheratite per poi evolvere con la formazione del
panno corneale (processo cicatriziale) che, se non trattato, porta a cecità permanente. Molto
di frequente, l’infezione viene contratta dai nascituri durante il passaggio nel canale del parto
(di una madre infetta). In questi casi l’infezione porta a cecità attorno ai 20 anni di vita. Talvolta
(10%) i neonati possono anche sviluppare polmonite neonatale. Nei paesi sviluppati il tracoma
nei neonati è ormai debellato grazie all’utilizzo, dopo la nascita, di pomate alla tetraciclina sugli
occhi del neonato.
II. Il linfogranuloma genitale (o venereo, una STD) si manifesta con una lesione primaria
indolore nel sito di infezione (pene o vulva), che però può evolvere, se non curata, in una
lesione secondaria con infiammazione, linfadenopatia e tumefazione. Eventualmente,
un’ulteriore evoluzione porta ad una lesione terziaria con fistole e ulcerazione dovute allo
scoppio di un linfonofo.
Chlamydia pneumoniae
Si tratta di una specie di recente scoperta (la TWAR, Taiwan acute respiratory) di cui esiste un solo
ceppo (sierotipo) in grado di infettare l’uomo.
La trasmissione avviene per via aerogena da uomo a uomo. Nel particolare, la trasmissione avviene
tramite goccioline di Flugge (microgoccioline di liquidi espulse con la tosse, con gli starnuti o anche
solo parlando).
I più soggetti sono i bambini in quanto non possiedono ancora una adeguata immunità acquisita.
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C. pneumoniae tende a dare infezioni lievi o asintomatiche e si stima che in molte aree geografiche il
50% della popolazione presenti positività sierologica da infezione pregressa. C. pneumoniae è
l’agente eziologico di diverse infezioni comunitarie (30% del totale) della alte e basse vie aeree fra le
quali:
1. Sinusiti
2. Bronchiti
3. Polmoniti interstiziali di modesta gravità. Il 10% delle polmoniti in individui tra 10 e 14 anni è
causata da C. Pneumoniae
Chlamydia psittaci
Chlamydia psittaci infetta principalmente animali (pecore, capre, volatili), ma talvolta viene trasmessa
all’uomo (specialmente dai pappagalli). Si tratta quindi di un agente eziologico che determina
zoonosi, anche denominate ornitosi o psittacosi. La trasmissione è aerogena (secrezioni dei
volatili o anche dalle piume).
I soggetti più a rischio sono i bambini (che ancora non possiedono immunità acquisita forte e non
producono sIgA), gli immunocompromessi ed i fumatori (con debole immunità locale a livello
polmonare).
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Micobatteri
Il genere comprende oltre 100 specie che si presentano come cellule di forma bacillare con
lunghezza di circa 2-4 µm. Sono stati per molto tempo considerati solamente aerobi, ma
recentemente si è scoperto che esprimono enzimi necessaria per il metabolismo anaerobioso e
pertanto si pensa siano anche anaerobi facoltativi. Sono tutti immobili, asporigeni e privi di
capsula.
B. Micobatteri a rapida crescita, che invece include specie normalmente non patogene per
l’uomo
Una classificazione più rigorosa è la classificazione di Runyon, che sfrutta come criterio le
condizioni in cui avviene la sintesi di pigmenti carotenoidi:
La complessa struttura rende più complessa l’importazione delle sostanze nutritive: i micobatteri,
infatti, presentano una velocità di replicazione molto ridotta. Mentre gli altri batteri si replicano in
media in 20 minuti, i micobatteri si replicano in un tempo compreso tra le 12 e le 24 ore.
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Le caratteristiche della parete fanno si che questi batteri non si colorino con la colorazione di Gram,
ma piuttosto con la colorazione di Ziehl-Neelsen, che evidenzia nel particolare i batteri acido-
alcol-resistenti (non si può usare la colorazione di Gram e resistono ai più comuni disinfettanti).
La parete rende i micobatteri molto resistenti ai disinfettanti, all’essiccazione, al calore e agli UV.
Mycobacterium tubercolosis
Mycobacterium tubercolosis è l’agente eziologico della tubercolosi (TB), un’antica patologia
polmonare che accompagna l’uomo da milleni (nelle ossa delle mummie egizie si riscontrano lesioni
riconducibili a TB) e ancora oggi è un pericolo (nelle zone popolate anche a causa delle resistenze
antibiotiche che sviluppa). Questa specie appartiene al gruppo dei micobatteri tubercolari insieme
ad altre specie, ma data l’elevata omologia genetica tra queste specie spesso si tende a raggruppare
le MTCB in un’unica specie. Ad esempio M. bovis causa tubercolosi nei bovini mentre M. microti la
causa nei roditori.
Caratteristiche
Il Mycobacterium tubercolosis presenta le caratteristiche tipiche dei micobatteri. Esso non produce
esotossine o capsula e le componenti della parete sono intrinsecamente fattori di virulenza.
La porzione proteica dello strato di peptidoglicano è rivolta verso l’esterno ed ha elevato potenziale
immunogenico inducendo una reazione immunitaria di ipersensibilità di tipo IV. Essa prende il
nome di PDD (derivato proteico purificato) in quanto è stato purificato e viene impiegato nel test di
Mantoux.
Di particolare importanza per la virulenza sono i micosidi, fra i quali i principali sono:
Il bacillo in questi soggetti non viene completamente eliminato, ma permane nei tessuti in uno stato
latente (equilibrio tra proliferazione e azione del sistema immunitario), che può essere diagnosticato
tramite il test di Mantoux. In questa fase il paziente non è contagioso
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In caso di abbassamento delle difese immunitarie, nel 2-8% dei casi si ha una riattivazione, che
porta alla vera e propria malattia tubercolare (o TBC post-primaria). Nuovamente la proliferazione
del micobatterio attira l’azione dell’immunità cellulo-mediata, che però è responsabile dei danni ai
tessuti (sempre a causa della necrosi caseosa determinata dalle citochine e dalle chemochine). In
questo caso l’infezione non viene circoscritta ed il granuloma, che prende il nome di tubercolo, va
incontro a rottura (creando le cavità). Tutti i tessuti possono esser colpiti (reni, ossa, linfonodi, cute),
ma sicuramente i più colpiti sono i polmoni, a livello dei quali si formano le tipiche cavità (e i cui
affetti sono quelli realmente contagiosi).
B. Febbre
C. Astenia
D. Perdita di appetito e di peso
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Nei bambini e negli individui particolarmente immunocompromessi (AIDS) si può osservare la
proliferazione incontrollata del micobatterio a livello sistemico, con coinvolgimento di più organi e
portando alla cosiddetta tubercolosi miliare. Talvolta si può incorrere in una meningite, fatale se non
trattata.
Diagnosi
Di fondamentale importanza per la diagnosi di TB è la diagnostica per immagini e specialmente le
RX torace per ricercare il complesso primario.
I campioni impiegati per la diagnosi di tubercolosi sono le secrezioni bronchiali (raccolte tramite
broncoaspirato, lavaggio bronchiale o espettorato). Dopo il prelievo, i campioni vengono trattati con
N-acetil-cisteina, un agente fluidificante, e con NaOH, un decontaminante che elimina tutti i
microorganismi ad eccezione di Mycobacterium tubercolosis che è particolarmente resistente (acido
e alcol resistente).
La tecnica più efficace (gold standard) per diagnosticare la tubercolosi è l’esame colturale. Questa
tecnica, però, impiega fino a 2 mesi a causa della lenta velocità di proliferazione del micobatterio. I
terreni impiegati sono:
A. Terreni liquidi, spesso arricchiti per accrescere la velocità di proliferazione del micobatterio
b. Terreno Middlebrooke → ?
Una volta ottenute le colonie è possibile eseguire dei test biochimici per valutare le sostanze
metabolizzate.
Le tecniche di biologia molecolare non sono utilizzate come tecniche di diagnosi, ma piuttosto
come conferma, in un secondo momento, del risultato dell’esame microscopico e nell’attesa
dell’esame colturale. Spesso si impiegano sonde complementari ai geni codificanti le subunità
ribosomiali 16S.
Test di Mantoux
Questo test, di tipo immunologico, risulta molto utile per verificare la presenza, in un individuo, di
infezione da parte di Mycobacterium tubercolosis di tipo latente. Il test consiste in un’iniezione
intradermica di PPD (detto tubercolina) nell’avambraccio per verificare la presenza di una reazione
di ipersensibilità di tipo IV.
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1. Test positivo → comparsa di un indurimento di oltre 10 mm
2. Test dubbio → comparsa di indurimento tra 5 e 9 mm
Quantiferon
Questo test, sempre di tipo immunologico, si basa sulla positività all’interferone: solo i linfociti di un
individuo colpito dal micobatterio lo producono. Tale tecnica di diagnosi è basata sulla coltura del
sangue (nel particolare dei leucociti isolati) del paziente con sospetta infezione da micobatterio
insieme ad una popolazione del micobatterio stesso oppure dei suoi antigeni isolati.
Se il sistema immunitario del paziente non è mai venuto in contatto con gli antigeni del micobatterio
allora non si ha alcuna risposta. Se invece il paziente è già venuto in contatto con il micobatterio e si
è sensibilizzato, anche nel campione si avrà la produzione di interferone γ.
Si impiega infine un saggio ELISA per valutare la presenza o meno dell’interferone γ nel campione in
seguito a coltivazione.
1. Personale ospedaliero o persone che trascorrono tempo in ospedali, cliniche, case di cura
4. Affetti da AIDS
La WHO stima ogni anno 1,8 milioni di decessi per tubercolosi, 10 milioni di nuovi casi e 30 milioni
all’attivo affetti da tubercolosi. Si tratta quindi una malattia di altissimo interesse clinico e dal 93 è
classificata come emergenza globale. Particolari picchi nella diffusione si possono individuare a
livello dell’Africa Sub-Sahariana e del Sud-Est Asiatico, luoghi in cui si ha un’incidenza di 100-500
malati ogni 100 000 abitanti.
In Europa l’incidenza si mantiene intorno ai 10-30 malati ogni 100 000 abitanti, mentre in italia
intorno ai 3-5 ogni 100 000.
Ogni anno si registrano ceppi che hanno sviluppato resistenze, i cosiddetti MDR-TB (multidrug-
resistant tubercolosis), che sono la causa del recente aumento dei casi nei paesi industrializzati
(insieme alla diffusione dell’HIV).
Terapia e profilassi
Per far fronte alla comparsa di antibiotico-resistenze si fa uso di una multiterapia, che include i
seguenti farmaci:
1. Isoniazide, che inibisce la sintesi degli acidi micolici (inibizione sintesi parete)
4. Pirazinamide
I farmaci non vengono tutti impiegati contemporaneamente, ma la terapia segue specifiche regole:
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Se i farmaci sono efficaci, gli strisci di escreato saranno privi di micobatteri (non più infettante) dopo
solo 2-3 settimane di terapia.
Come accennato, però, sono presenti numerosi ceppi che hanno sviluppato resistenza:
Il Mycobacterium leprae è l’agente eziologico della lebbra, anche nominata malattia di Hansen. Si
tratta di una malattia di cui si presentano ogni anno 500 000 casi, specialmente in Africa centrale,
India e Brasile.
La lebbra è un’infezione lenta e progressiva che coinvolge la pelle ed il tessuto nervoso periferico.
Generalmente si localizza in zone con temperatura più bassa, lasciando intatti gli organi interni
(eccetto i polmoni). La trasmissione avviene per via aerea oppure per contatto diretto con lesioni
contenenti bacilli.
1. Lebbra lepromatosa → Si tratta della forma che compare se il sistema immunitario non è in
alcun modo in grado di limitare la proliferazione del batterio: questa è la forma più debilitante e
quella altamente contagiosa. Si ha la comparsa di noduli a livello della cute e delle mucose,
noduli che possono ulcerare portando in seguito a lesioni deformanti. All’analisi microscopica i
tessuti appaiono gremiti di bacilli AAR. Il trattamento è lungo e può superare i due anni.
2. Lebbra tubercoline → Si tratta della forma che si presenta quando il sistema immunitario è in
grado di contenere l’infezione (può seguire la precedente in caso di attivazione del sistema
immunitario). A livello della cute si presenta come delle macchie ipopigmentate, caratterizzate
da ipoestesia, che corrispondono a granulomi. La proliferazione avviene a che a livello delle
fibre nervose periferiche. Le manifestazioni sono molto meno forti, non è contagiosa ed il
trattamento si conclude in 6 mesi
La coltura non può avvenire in vitro a causa della specificità delle cellule colonizzate da questo
micobatterio. È possibile coltivare in vivo, nel particolare nella zampa di topo e nell’armadillo. La
colorazione principale, che evidenzia i batteri AAR, è quella di Ziehl-Neelsen.
Mycobacterium ulcerans
Mycobacterium ulcerans è un bacillo a lenta crescita che non cresce a temperature superiori ai 33°C.
Essa è in grado di crescere sia a livello extracellulare sia intracellulare. I danni causati sono dovuti
all’esotossina prodotta, denominata micolattone (effetto citotossico e immunosoppressivo).
Esso è l’agente eziologico dell’ulcera di Buruli, che segue tubercolosi e lebbra per malattia da
micobatteri, e presenta diffusione principalmente a livello dell’Africa occidentale.
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La trasmissione avviene per contatto diretto uomo-uomo in corrispondenza di zone che hanno
subito traumi o microtraumi. L’infezione si manifesta con la comparsa di lesioni granulomatose a
livello del tessuto adiposo dell’ipoderma, quindi non direttamente riscontrabili superficialmente. Nei
casi più gravi l’infezione può estendersi fino alle ossa (rendendo necessaria l’amputazione).
Anche in questo caso il trattamento viene effettuato con rifampicina e claritromicina (da notare il
fatto che l’isoniazide non abbia alcun effetto).
Mycobacterium marinum
Il Mycobacterium marinum sta diventando sempre più endemico negli ultimi anni.
La trasmissione avviene dai pesci all’uomo, tramite morsi, punture o altre ferite. Può avvenire anche
solo con l’acqua contaminata ed infatti coinvolge anche persone che possiedono acquari tropicali o
che frequentano piscine.
L’infezione si manifesta con la comparsa di noduli singoli o multipli che si localizzano nelle zone più
fredde dell’organismo (non replica al di sopra dei 37°C). In seguito all’infezione, i noduli compaiono in
2-4 settimane.
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Enterobatteri
Le Enterobacteriaceae costituiscono il gruppo più ampio ed eterogeneo di bacilli gram- di rilevante
interesse medico. Si tratta di microorganismi con distribuzione ubiquitaria, diffusi nell’ambiente e
nell’intestino dell’uomo e degli altri animali. Alcune specie sono patogene, mentre altre fanno parte
del microbiota intestinale e possono dare infezioni opportunistiche.
1. Produzione di sostanze
3. Fornisce immunità all’intestino, che è infatti considerato il più grande organo dell’immunità
Classificazione
I membri di questa famiglia sono strettamente correlati ed i loro genomi presentano un elevatissimo
grado di omologia. Grazie a fenomeni di ricombinazione genetica tramite i quali questi batteri hanno
acquisito caratteri sfumati da una specie all’altra dal punto di vista antigenico, biochimico e
genetico: risulta quindi complesso formulare una divisione univoca perché nessuna di queste
possiede caratteristiche univoche. La classificazione tassonomica è comunque necessaria per la
pratica clinica e pertanto è stata formulata sulla base di tre criteri:
1. Proprietà biochimiche, tramite colture di batteri in terreni che viravano di colore in base
all’attività metabolica del batterio
2. Struttura antigenica, sfruttando anticorpi monoclonali per i diversi antigeni espressi dal
batterio
3. Caratteristiche del genoma, nel particolare tramite tecniche di ibridazione o tecniche NGS
(next generation sequencing), queste ultime utilissime e precise nell’ambito della
metagenomica
Caratteristiche
Caratteristiche principali dei batteri della famiglia Enterobacteriaceae:
1. Gram-
2. Coccobacilli di 2-4 µm
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3. Possono presentare una capsula
4. Asporigeni
5. Mobili (fanno eccezione Shighella e Klebsiella) grazie alla presenza di flagelli peritrichi oppure
di fimbrie
7. Fermentano il glucosio
8. Catalasi-positivi
Antigeni maggiori
I membri della famiglia Enterobacteriaceae sono antigenicamente molto
complessi e presentano tre principali tipi di antigene:
Ogni sierotipo viene identificato dal numero di antigeni dei tre precedenti tipi che possiede. La
classificazione è fondamentale in quanto permette di capire, a livello epidemiologico, da dove
originano le infezioni.
Patogenesi
Sono stati individuati numerosi fattori di virulenza, alcuni caratteristici di tutte le specie altri, invece,
caratteristici solo di alcune. Il comportamento è molto complesso in quanto questi batteri sono in
grado di regolare l’espressione dei fattori di virulenza, modificare il metabolismo e controllare le
risposte allo stress esterno.
1. Adesine, che corrispondono alle proteine che costituiscono pili e fimbrie e permettono
l’adesione e la resistenza alla peristalsi.
6. Sistemi di secrezione di tipo III e IV, cioè insiemi di proteine necessarie per la secrezione di
tossine in seguito a segnali ambientali
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7. Sequestro di fattori di crescita, nel particolare del Fe che negli altri organismi è presente nel
gruppo eme, nella transferrina e nella lattoferrina. Il batterio lo sottrae per produrre le proprie
proteine contenenti ferro (siderofori): enterobactina e aerobcatina.
8. Resistenza al killing sierico, grazie alla capsula che inibisce il killing da parte dei linfociti e da
parte della via del complemento.
Manifestazioni
Abbiamo due grandi raggruppamenti delle infezioni causate:
i. Diarrea, cioè mancato assorbimento di liquidi che vengono quindi espulsi con le feci
ii. Dissenteria, cioè scariche liquide di feci con aggiunta di muco, sangue e pus
2. Patologie da infezioni endogene, date da migrazione di batteri del microbiota in altri distretti:
I. Ascessi
II. Polmoniti
III. Meningiti
Diagnosi
In genere la coltura di Enterobacteriaceae viene fatta in terreni contenenti sali biliari, i quali
permettono di eliminare tutti gli altri batteri infestanti, e composti che virano di colore in presenza di
alcune condizioni. I terreni impiegati sono:
B. Agar Hektoe → Si tratta di un agar McConkey con aggiunta di tiosolfato di sodio e citrato di
ammonio ferrico. Questi due ultimi composti sono sali molto importanti in quanto reagiscono
con l’acido solfidrico, prodotto solo dalle Salmonelle, formando un precipitato di colore
nero.
Per meglio discriminare le diverse specie di enterobatteri, essendo questi così simili, si deve fare
affidamento anche alle prove biochimiche, andando a verificare le attività metaboliche.
Risulta molto utile anche l’antibiogramma, in quanto i diversi enterobatteri presentano diversa MIC
ai farmaci.
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La resistenza agli antimicrobici è veicolata dai plasmidi, i quali permettono la diffusione tra i batteri di
geni che codificano per elementi che interferiscono con l’azione del farmaco. Gli enzimi espressi
sono:
B. ESBL, o β-lattamasi a spettro esteso, che fornisce resistenza anche a cefalosporine III e
monobattami
Data l’ampia gamma di resistente, la terapia deve essere formulata in seguito ad antibiogramma.
Spesso, eccetto resistenze, vengono impiegati β-lattamici, chinoloni e tetracicline.
Escherichia Coli
In realtà il genere Escherichia contiene 5 specie, ma solamente E. coli risulta patogena e rilevante. Il
suo habitat è l’intestino dell’uomo e di molti altri animali e nel particolare si localizza nella porzione
terminale del colon in quanto non tollera i sali biliari. Solo alcuni ceppi possono comportarsi da
patogeni opportunisti.
Escherichia coli si differenzia in numerosi sierotipi grazie alla combinazione delle 186 varianti
dell’antigene O, 100 varianti dell’antigene K e 56 varianti dell’antigene H. I diversi stereotipi
presentano diverse proprietà e diverse manifestazione e pertanto si può parlare di ceppi. Un
esempio importante è il ceppo K12 (che presenta l’antigene capsule di tipo 12), non patogeno e
storicamente molto importante per la ricerca in biologia molecolare.
1. Adesine, che permettono di aderire in maniera specifica alle cellule endoteliali dell’ospite e
che includono:
I. Pili P
II. Intimina
III. Fimbire
I. Tossine Shiga-like
II. Enterotossine termostabili
Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche delle infezioni da Escherichia coli abbiamo:
Famiglie patogene
I vari ceppi di Escherichia coli che causano gastroenteriti possono essere distinti in 5 gruppi in
base ai fattori di virulenza e alle condizione determinate. La distinzione effettuata individua i seguenti
gruppi:
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tali zone e pertanto si parla di diarrea del viaggiatore (che non colpisce la popolazione del
luogo). L’infezione avviene a partire dall’ingestione di cibo o principalmente acqua
contaminata (con elevata carica infettante). La sintomatologia è dovuta principalmente alle
tossine prodotte, che in questo caso sono di due tipi (con uguale effetto) e a codificazione
plasmidica:
i. STa, una piccola proteina monomerica che induce l’aumento di cGMP e quindi
l’ipersecrezione di liquidi. Anche dopo bollitura, questa proteina va incontro a
rinaturazione e pertanto non è sufficiente bollire l’acqua per evitare l’infezione.
4. Enteroemorragici, EHEC → Si tratta dei ceppi più comunemente responsabili di malattia nei
paesi industrializzati e, nel particolare, sono avvenute numerose epidemie a causa del
sierotipo O157:H7. In realtà la gravità della malattia varia da una lieve diarrea ad una colite
emorragica diarroica. I sintomi si esauriscono in pochi giorni, a meno che insorga una
pericolosa complicazione: la sindrome uremico-emolitica, che è caratterizzata da
insufficienza renale irreversibile (dialisi a vita). I danni sono causati da una esotossina
denominata tossina Shiga-like (o verotossina), essenzialmente identica a quella prodotta da
Shigella dysenteriae. Anch’essa è costituita da 5 subunità B che si legano ad un recettore di
membrana determinando l’ingresso della subunità A, la quale va a bloccare la sintesi
proteica. Le cellule vanno incontro a morte dando luogo a emorragie. La HUS (hemolitic-
uremic syndrome) insorge quando il batterio raggiunge gli endoteli renali. La trasmissione
avviene per ingestione, in questo caso anche di una bassissima carica infettante (sono
sufficienti circa un centinaio di cellule batteriche).
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adesine a codificazione plasmidica, le fimbrie. Si forma uno strato di colonia che ricopre la
parete intestinale e impedisce l’assorbimento dei liquidi.
Salmonella
Il genere Salmonella fa parte della famiglia degli Enterobacteriaceae ed include batteri di origine
zoologica diffusi in tutto il mondo. Questi batteri sono gram- con morfologia bastoncellare, dotati
di capsula, completamente ricoperti da flagelli (e quindi mobili), catalasi-positivi, ossidasi-
negativi e non fermenta il lattosio.
A. Salmonelle adatte all’uomo, che sfuggendo al sistema immunitario umano sono in grado di
portare danni sistemici. Le più importanti sono:
B. Salmonelle non adatte all’uomo, che infettano normalmente gli animali e. Nell’uomo causano
solamente problemi enterici (e vengon trasmesse tramite le feci degli animali). Le principali
sono:
4. Immunocompromessi
5. Viaggiatori verso aree più calde e con bassi standard igienico-sanitari (tramite ingestione di
ortaggio contaminati)
La trasmissione avviene per via oro-fecale, spesso tramite ingestione di cibo o liquidi contaminati
da feci in cui è presente il batterio.
Questo batterio è resistente agli acidi gastrici, caratteristica che gli permette di superare lo
stomaco, e resistente agli acidi biliari, caratteristica che gli permette di colonizzare tutte le parti
dell’intestino.
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salmonelle adatte da quelle non adatte all’uomo. I fagociti, che non subiscono killing da parte del
sistema immunitario, possono poi diffondere nel sangue e trasportare i batteri a livello sistemico. La
replicazione delle Salmonelle all’interno dei fagociti porta alla loro lisi e alla liberazione dei batteri:
A. Nel circolo sanguigno, sede nella quale i batteri possono essere eliminati dal sistema
immunitario. Talvolta in realtà si va incontro a setticemia causata dalla liberazione delle
endotossine (LPS).
B. Negli organi, dove sono presenti altre cellule della linea monociti-macrofagi, cioè quelle che
costituiscono il sistema reticolo-endoteliale. Queste fagocitano nuovamente il batterio, che
inizia a replicarsi al loro interno.
La malattia, in molti casi, progredisce con colliquazione dei linfonodi, in cui si ha massiccio attacco
al batterio e formazione di pus (cellule batteriche e dell’ospite morte). L’infezione diffonde poi a livello
intestinale, nel particolare portando a emorragie intestinali, perforazioni intestinali e peritonite
(anche questa fatale).
Ad oggi la regione endemica del paratifo coincide con la regione del fiume Nilo.
Diagnosi
È molto complesso isolare le Salmonelle adatte all’uomo in quanto dotate di movimento e non
presenti a livello dell’intestino (non sono presenti nelle feci). Sono riscontrabili in quantità maggiore
nel sangue, specialmente durante i picchi febbrili. Il sangue viene prelevato per poi effettuare
un’emocoltura.
Un esame sierologico per la diagnosi di salmonelle adatte all’uomo, poi, è la reazione di Widal, un
test di agglutinazione eseguito con il siero del paziente (che conterrà anticorpi per le Salmonelle).
Nel particolare, la reazione sfrutta l’antigene O (unico termostabile che permane dopo bollitura),
ponendolo a contatto con il siero del paziente e la formazione di coaguli indica che il test è positivo
alla salmonella. Si può anche dedurre la specie producendo diverse sferette in lattice ognuna
rivestita da antigeni di S. Typhi o uno dei tre sierotipi di S. Paratyphi. Talvolta per il medesimo esame
vengono impiegati gli stessi batteri vivi, che espongono l’antigene K (che in S. Typhi prende il nome
di antigene VI) e l’antigene H. L’agglutinazione, però, risulta molto meno evidente con questa
tecnica. Spesso la reazione di Widal è associata ad un altro test simile (agglutinazione), cioè la
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reazione di Wright, che permette la diagnosi di Brucella. Il test Widal-Wright permette quindi di
discriminare le due infezioni.
Terapia
L’avvento degli antibiotici ha permesso di far scomparire completamente le complicanze (cioè la
peritonite), attenuando il tifo e rendendolo simile al paratifo. Ovviamente, oltre agli antibiotici,
svolgono un ruolo fondamentale gli antipiretici per l’abbassamento della temperatura corporea.
Gli antibiotici impiegati, anche se non molto attivi contro la forma endocellulare, sono:
1. β-lattamici
2. Tetracicline
3. Chinoloni
4. Cloramfenicolo
Anche dopo settimane di terapia, però, gli antibiotici non eradicano completamente l’infezione: le
Salmonelle tendono a stanziarsi nella colecisti, sede in cui a causa del pH e della salinità non
possono giungere gli antibiotici. Si può definire come infezione latente, in cui il paziente non presenta
sintomi ma espelle il batterio con le feci. Dopo anni si ha spesso la formazione di calcoli biliari.
Esistono forme di profilassi immunologica specialmente contro il paratifo, endemico nella zona del
Nilo. Questa immunoprofilassi consiste in un vaccino somministrato per via orale che contiene
cellule di S. Paratyphi neutralizzate che stimolano il sistema immunitario a produrre IgA secretorie
(sIgA) contro di essi. Si tratta di una copertura limitata nel tempo (circa un mese).
La trasmissione avviene tramite ingestione di cibi infetti o liquidi infetti. I sintomi compaiono dopo
un periodo di incubazione di 6-48 ore e i sintomi hanno una durata di 4-7 giorni con risoluzione
senza trattamento nella maggior parte dei casi. In alcuni pazienti, però, si possono presentare forme
più severe che necessitano di terapia.
Diagnosi
Per quanto riguarda, invece, le Salmonelle non adatte all’uomo, il loro isolamento risulta più
semplice in quanto queste colonizzano principalmente l’intestino e sono presenti in gran quantità
nelle feci. Nel particolare, il campione impiegato è la componente diarroica liquida, che viene posta
in coltura in un terreno liquido arricchito di selenio per un giorno (brodo). Il selenio inibisce la
crescita di tutti gli altri batteri che colonizzano l’intestino, ad eccezione delle Salmonelle. In seguito si
trasferisce il contenuto tramite semina su terreni solidi come:
1. Agar Hektoen, che però contiene bassa concentrazione di sali biliari e permette la crescita di
tutti gli enterobatteri
2. Agar SS, con elevata concentrazione di sali biliari che lo rende selettivo per Salmonella e
Shigella
In questi terreni le colonie appaiono nere (mentre in Agar McConkey sono rosa) in quanto Salmonella
produce acido solforico (idrogeno solforato), il quale fa precipitare i sali di ferro aggiunti (Agar
Hektoen e Agar SS).
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Terapia e prevenzione
I farmaci di elezione sono i fluorochinoloni (specialmente ciproflaxacina e levoflaxacina).
Per prevenire l’infezione è bene non consumare cibi crudi o potenzialmente infetti (verdure crude,
uova crude, prodotti caseari crudi, carni di bassa qualità).
Shigella
I batteri del genere Shigella sono immobili e pertanto non presentano alcun antigene H (flagellare).
L’uomo rappresenta il serbatoio principale e i batteri vengono eliminati con le feci (diarrea)
nell’ambiente, nel quale possono sopravvivere per lungo tempo (da giorni a settimane).
La trasmissione avviene per via oro-fecale, principalmente tramite mani contaminate meno
frequentemente tramite ingestione di cibi o liquidi contaminati. È sufficiente una ridotta carica
batterica per dare inizio all’infezione (100-200 microrganismi).
La shigellosi è classificata come una malattia pediatrica, infatti nel 70% dei casi coinvolge pazienti
al di sotto dei 15 anni.
Sono state descritte 4 specie appartenenti al genere Shigella, classificate sulla base del profilo
biochimico-metabolico e dell’antigene O:
2. Shigella flexneri, la più comune causa di shigellosi nei paesi a basso reddito (sierogruppo. B)
4. Shigella sonnei, la più comune causa di shigellosi nel mondo industrializzato (sierogruppo D)
Patogenesi
Shigella è acido-resistente e pertanto resiste al passaggio nello stomaco. Raggiunge in seguito
l’intestino e, nel particolare, il colon, che viene colonizzato. Le shigelle che vengon fagocitate sono
in grado di lisare il fagosoma e, a differenza di Salmonella, proliferare nel citoplasma della cellula
ospite, per poi indurla all’apoptosi. L’apoptosi determina il rilascio dell’interleuchina IL-1β, che
attrae leucociti polimorfonucleati. Questi portano a danni del tessuto (le mucose degradate
formano il muco eliminato con le feci), permettendo al batterio di portarsi in profondità. Tramite il
citoscheletro della cellula ospite, i questi batteri sono in grado di passare da una cellula ospite a
quelle circostanti.
Shigella dysenteriae (ma anche Shigella sonnei) produce la tossina di Shiga, analoga a quella
prodotta dai ceppi EHEC, costituita da una subunità A e 5 subunità B (e con azione molto simile a
quella già vista, con blocco della sintesi proteica). Anche S. dysenteriae, quindi, è classificata come
enteroemorragico. Questa tossina causa diarrea e febbre, colpendo anche il SNC (a differenza delle
Shigelle che non possiedono questa tossina). La tossina colpisce anche gli endoteli dei vasi
sanguigni e le cellule dei glomeruli renali, portando all’insorgenza di sindrome uremico-emolitica
(HUS), caratterizzata da emorragie diffuse nell’organismo.
Manifestazioni cliniche
La shigellosi, nota anche come dissenteria bacillare, è caratterizzata da crampi addominali,
diarrea, febbre e dissenteria, cioè feci contenenti muco, sangue e pus (derivante dai danni alla
parete da parte dei polimorfonucleati, anche questi presenti nel pus).
La dissenteria causata da Shigella è grave per tutte le quattro specie, ma quella causata da Shigella
dysenteriae risulta molto più pericolosa in quanto grazie alla tossina di Shiga si possono avere
emorragie, insorgenza di sindrome uremico-emolitica e, nei casi più gravi, emorragia cerebrale.
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Terapia
Si rende necessario il ricovero ospedaliero e nutrimento tramite flebo. Ciò permette di lasciare tempo
alle staminali della mucosa intestinale (enteroblasti) di rigenerare la mucosa e guarire le ulcere. Lo
prognosi è lunga (circa 1 mese).
Altri enterobatteri
Altri generi di enterobacteriaceae di interesse medico sono:
I. Klebsiella pneumoniae
I. Proteus mirabilis
4. Enterobacter
5. Serratia
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Spirochete
Le spirochete son eubatteri gram- di morfologia bastoncellare-elicoidale,
lunghezza di 5-20 µm e diametro fino a 0,5 µm. Si tratta di organismi
estremamente labili, non resistenti all’essiccazione e con elevata sensibilità agli
agenti chimici. La trasmissione avviene necessariamente per contatto diretto
oppure tramite vettore.
a. Treponema
b. Borrelia
a. Leptospira
Treponema
Il genere Treponema è il più diffuso e clinicamente rilevante delle Spirochete. Esso include numerose
specie non patogene parte della flora batterica a livello orale e gastroenterico. Le specie patogene,
invece, sono:
Caratteristiche
I treponemi sono batteri gram- con forma spiralizzata, come le altre spirochete, e presentano dei
flagelli periplasmatici in numero da 1 a 8 (3 alle estremità in T. pallidum e carateum) che gli
conferiscono mobilità. Sono anaerobi e microaerobi.
I treponemi patogeni per l’uomo non sono coltivabili in vitro (anche se possono essere mantenuti
per ore in condizioni di anaerobiosi) in quanto non sono in grado di sintetizzare acidi tricarbossilici,
necessari per la sintesi di amminoacidi e basi azotate. Sono pertanto dipendenti dalla cellula ospite.
Data la difficolta di studio con metodi classici, sono state impiegate tecniche di sequenziamento
del genoma.
Per l’osservazione è impiegata la microscopia in campo scuro, che però necessita di campioni
contenti batteri vivi (l’osservazione va fatta subito dopo il prelievo). Un’altra metodica la microscopia
a fluorescenza, impiegata in seguito al trattamento del campione con anticorpi marcato con
fluorocromi. Questa tecnica permette di visualizzare anche i batteri non più vitali. In realtà
l’osservazione diretta non è una metodica molto impiegata.
Fattori di virulenza
Le caratteristiche che conferiscono ai treponemi capacità patogenetiche sono:
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C. Capacità di legare la fibronectina → Essi sono in grado di legarsi alla cellula ospite tramite
un legame con la fibronectina.
E. Produzione di emolisine →
La natura delle lesioni da treponema è ancora molto discussa. Secondo alcuni, le lesioni sono
causate dall’azione del sistema immunitario, ma secondo altri le lesioni sono riconducibili alle 5
emolisine prodotte da questi batteri.
Esso è l’agente eziologico della sifilide, o lue, terza malattia venerea (STD) per diffusione dopo
quelle causate da Chlamydia trachomatis e Neisseria gonorrhoeae.
La trasmissione avviene nel 90% dei casi per via venerea, cioè in seguito a rapporti sessuali e nel
particolare con il contatto con delle lesioni infette. In minore consistenza si può avere contagio
tramite trasmissione verticale (sifilide congenita, per via transplacentare o lungo il canale del parto),
tramite trasfusioni di sangue infetto (rara nei paesi sviluppati per via degli stringenti controlli) e
anche in laboratorio per contatto con materiale infetto.
Il treponema non è in realtà altamente infettante (solamente il 30% delle persone che ne vengono a
contatto contraggono l’infezione) proprio a causa della sua poca resistenza all’essiccamento e ai
comuni disinfettanti. Mentre sono diminuite negli anni le infezioni di tipo non venereo (grazie alla
diffusione della penicillina), le nuove abitudini in fatto di vita sessuale e la bassa considerazione della
malattia hanno portato ad un aumento dei casi.
1. Stadio I → Nel punto di inoculo, a circa 10-90 giorni dal contagio, si ha la formazione di una
lesione (o più) denominata sifiloma, una papula che si trasforma in un’ulcera indolore nella
quale si trovano i batteri in attiva proliferazione. Generalmente la lesione si localizza a livello del
pene nell’uomo e della cervice uterina nella donna. In associazione alla lesione si ha anche
linfadenopatia regionale (focolaio di riproduzione del batterio) e grazie al sistema linfatico o
circolatorio si ha la diffusione nell’organismo. La lesione presenta spesso cicatrizzazione, che
però è una falsa guarigione.
2. Stadio II → Questo stadio inizia 10-12 settimane dopo il contagio. Inizialmente si manifestano
sintomi simil-influenzali (febbre, cefalea, anoressia, calo ponderale). Si ha poi un’eruzione
eritematosa diffusa in tutte le parti del corpo: le lesioni prendono il nome di condilomi lati.
Anche in questo caso, pure in assenza di trattamento, si ha in 3-12 settimane una regressione
spontanea dei sintomi. La malattia a questo punto può divenire asintomatica per anni (sifilide
latente).
3. Stadio III → Dopo anni o decenni dal contagio, circa un terzo degli infetti va incontro a questa
fase, che prende il nome di sifilide tardiva (o terziaria). Le lesioni che si presentano sono
denominate gomme in quanto hanno aspetto gommoso e sono costituite da granulomi ormai
necrotizzati. Queste si possono presentare a livello di cute, ossa, e altri tessuti e questi danno
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il nome alla malattia nel complesso. I danni più distruttivi e debilitanti avvengono a carico del
SNC (neurosifilide) e di quello circolatorio (sifilide cardiovascolare).
Come accennato esiste anche una forma di sifilide congenita, trasmessa per via transplacentare.
Questa può manifestarsi come morte del feto oppure un’infezione latente. In genere, se il bambino
nasce asintomatico, dopo del tempo si formano papule diffuse e, in assenza di trattamento, si va
incontro a sordità, cecità e malformazioni ossee.
Diagnosi
Come già accennato per i treponemi in generale, sono talvolta impiegate le tecniche di microscopia:
In realtà non si tratta delle tecniche di elezione, che invece sono le tecniche sierologiche (metodi
indiretti), che vengono distinti in:
1. Test non treponemici (non specifici), che rilevano la presenza di IgG e IgM specifici per
alcune componenti del treponema che sono anche liberate dalle cellule danneggiate
(cardiolipina). Questi test, essendo non specifici, possono dare falsi positivi (a causa di
infezioni virali o lupus) e, in caso di positività, devono essere seguiti da quelli treponemici. Non
permettono di verificare l’efficacia di un trattamento farmacologico. Fra i test non treponemici
abbiamo:
II. RPR, rapid plasma reagine, che è un tipo particolare di test di agglutinazione
2. Test treponemici (specifici), che identificano nel siero del paziente anticorpi specifici per
antigeni esclusivamente espressi da T. pallidum (antigeni purificati oppure ricombinanti se
prodotti in laboratorio). Si tratta di test molto più sensibili e affidabili, ma anche più dispendiosi
(proprio per questo si utilizzano prima quelli non treponemici per, eventualmente, escludere la
diagnosi di sifilide). Fra i test treponemici abbiamo:
A differenza degli altri casi, in caso di sospetta sifilide congenita si va subito ad applicare test
treponemici.
Terapia e profilassi
Al momento non esiste alcuna immunoprofilassi vaccinale e pertanto l’unica profilassi possibile è la
prevenzione (rapporti sessuali protetti, educazione sessuale).
I farmaci di elezione per la cura della sifilide sono le penicilline (penicillina G e penicillina G-
benzatina). I farmaci di seconda scelta, impiegati in caso di allergia alla penicillina, sono le
tetracicline, cioè tetraciclina e doxiciclina (quest’ultimo con emivita più lunga). Fra i macrolidi puo
anche essere impiegata l’azitromicina.
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Nei casi di neurosifilide non è possibile evitare l’uso di penicillina e pertanto si rende necessaria una
desensibilizzazione per procedere con la terapia.
Altri treponemi
Altre specie o subspecie di treponema di particolare interesse sono:
Borrelia
I batteri del genere Borrelia sono le spirochete dal minor diametro e dalla maggior lunghezza, che
arriva fino ai 30 µm. Presentano sulla loro superficie degli endoflagelli (posti nello spazio
periplasmatico) in numero che varia nelle diverse specie (da 7 a 20).
Pur presentando somiglianze ai gram-, si tende a non includerle in nessuno dei due gruppi in quanto
con colorazione di Gram tendono a non colorarsi. Questi batteri hanno lentissima crescita e esigenze
nutrizionali molto specifiche e pertanto risulta complessa la loro coltura.
A. Malattia di Lyme
B. Febbre ricorrente
Vettori
Come detto, le Borrelie sono in grado di infettare l’uomo tramite inoculo da parte di artropodi:
1. Borrelie che causano malattia di Lyme sfruttano, come vettore, le zecche dure del genere
Ixodes, le cui principali specie sono:
I. I. scapularis in America
2. Borrelie che causano febbre ricorrente sfruttano, come vettore, le zecche molli del genere
Ornithodoros
Il ciclo vitale delle zecche ha un durata di circa 2 anni ed è costituito dall’alternanza di tre forme:
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In generale una zecca adulta deposita le uova su di un grande mammifero (spesso il cervo). Le
uova si schiudono portando alla formazione delle larve, le quali traggono il loro pasto ematico da
piccoli mammiferi come i roditori (infetti da Borrelie) e in questo modo raccolgono i batteri di
Borrelia. Con l’inverno le larve stanno a riposo e mutano in ninfe, che in seguito possono trarre
pasto ematico da un uomo (o altri mammiferi) inoculando i batteri di Borrelia. Passano poi allo
stadio adulto di solito andando a cibarsi a livello di mammiferi di dimensioni maggiori su cui
depositano le uova dando nuovo inizio al ciclo.
In italia la malattia si presenta con maggiore frequenza in Liguria, Trentino-Alto Adige Friuli-Venezia-
Giulia. Non vi sono gruppi si persone a rischio, ma l’infezione viene contratta da persone che hanno
trascorso tempo a contatto con la natura, momento in cui sono venuti a contatto con una zecca.
La trasmissione, per l’appunto, avviene tramite inoculo del microrganismo contenuto nella saliva
della zecca. Le Borrelie sono in grado di aderire ai tessuti dell’organismo ospite legandosi ai
proteoglicani.
1. Stadio I (precoce) → Il primo stadio consiste nel manifestarsi della caratteristica lesione
cutanea denominata eritema migrante (con bordo piatto), che si forma dopo 3-30 giorni
(incubazione) in corrispondenza del punto di inoculo: inizialmente ha piccole dimensioni ma è
in grado di espandersi enormemente. Questo tipo di eritema compare solamente nell’80% dei
pazienti. In associazione alla lesione si hanno linfadenopatia, sintomi aspecifici e para-
influenzali (febbre, mialgia, cefalea). L’eritema tende a ridursi e scomparire spontaneamente
(completa risoluzione della malattia), ma ci può essere l’evoluzione alla fase successiva.
2. Stadio II (tardivo) → Il secondo stadio si manifesta con il passaggio del batterio a livello
ematico. Si ha la comparsa di lesioni secondarie sparse e di dimensioni minori rispetto alla
primaria, ma comunque autorisolutive. In caso di mancato trattamento si manifestano
complicanze come l’artrite monoarticolare (spesso al ginocchio), sintomi neurologici
(meningite, encefalite e neuropatia periferica) e in misura minore sintomi cardiaci (miocardite).
Queste condizioni tendono a scomparire in qualche mese e il paziente ad evolvere dopo anni
verso il terzo stadio, quello persistente.
3. Stadio III (tardivo) → Il terzo stadio, detto anche stadio di Lyme persistente, si manifesta
principalmente con artrite a livello delle grandi e piccole articolazioni (con erosione della
cartilagine articolare), encefalomielite cronica progressiva (con sintomi simili alla SLA) ed
infine acrodermatite cronica atrofizzante, caratterizzata da gonfiore e depigmentazione della
cute. La malattia in sé non è letale ma compromette la qualità della vita.
A. Febbre ricorrente di tipo epidemico, causata da Borrelie che sfruttano come vettore il
pidocchio. Esso non inocula le Borrelie per pasto ematico, ma è l’organismo ospite che
grattandosi distrugge il pidocchio portando all’inoculo. Il pidocchio si nutre solo di sangue
umano e pertanto il serbatoio di Borrelie è costituito dall’uomo stesso: si scatenano spesso
epidemie.
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B. Febbre ricorrente di tipo endemico, causata da Borrelie che sfruttano come vettore la zecca
(Ornithodoros). La zecca, a differenza del pidocchio, inocula le Borrelie tramite la saliva o altre
secrezioni. In questo caso le zecche possono infestare altri animali oltre all’uomo e pertanto il
serbatoio è più ampio (specialmente i roditori): questo tipo di infezione è limitata all’habitat
delle zecche, a differenza dei precedenti.
In entrambe le forme sono caratterizzate dalla ripetizione della medesima sintomatologia in modo
ciclico. In seguito all’infezione si ah un periodo di incubazione che in media dura 5-8 giorni. Si
manifesta un episodio febbrile (39-40°C) che permane per tempo variabile (da 3 a 14 giorni). Alla
febbre possono accompagnarsi altri sintomi come cefalea, esantema, nausea, vomito e talvolta
epatosplenomegalia. L’episodio febbrile è la manifestazione della batteriemia. Una volta che il
sistema immunitario ha eliminato il batterio dal sangue si ha la regressione di tutti i sintomi, ma solo
per un periodo in media di 7 giorni: dopodiché si ha l’insorgenza di un altro episodio febbrile ed
eventualmente la sintomatologia associata. Con il progredire, gli attacchi febbrili tendono a diventare
più miti e più brevi e si ripetono in media per 2-5 volte. Le uniche differenze tra le due febbri ricorrenti
sono la durata e la comparsa, per quanto riguarda quella endemica, di un’escara a livello del punto
di inculo.
Diagnosi
La febbre ricorrente viene spesso sfruttata la microscopia ottica, nel particolare osservando il
sangue prelevato durante un episodio febbrile e colorandolo tramite Giemsa-Wright.
Per la malattia di Lyme, invece, le tecniche più impiegate sono le tecniche sierologiche (che sono
sconsigliate per diagnosticare febbre ricorrente a causa dei suoi continui cambiamenti di antigeni).
Nel particolare il test ELISA è il principale, che viene successivamente confermato tramite Western
Blot.
Terapia
Per quanto riguarda la febbre ricorrente si tende ad impiegare la tetraciclina (eccetto bambini e
donne in gravidanza) o penicilline.
Per la malattia di Lyme si predilige una terapia per os costituita da amoxicillina o doxiciclina (una
tetraciclina). Nei casi in cui si ha il coinvolgimento del SNC si impiega somministrazione
parenterale con penicillina G, ceftriaxone o cefuroxima.
Leptospira
Il genere Leptospira include Spirochete gram- sottili e allungate con estremità ad uncino dalle quali
si dipartono due flagelli periplasmatici (movimento traslazionale o rotazionale). Esse contengono un
lipopolisaccaride (LPS) a bassa tossicità che permette di classificare differenti sierotipi in base
all’antigene polisaccaridico O.
Le leptospire sono aerobi obbligati e presentano crescita talmente lenta da non venire coltivate.
Sono resistenti alle temperature elevate, all’ossidazione dell’ossigeno, al pH elevato.
2. Leptospira interrogans, che include i ceppi patogeni per l’uomo, agenti eziologici della
leptospirosi
I diversi ceppi sono inoltre distinti secondo un criterio sierologico (in sierotipi) e anche secondo un
criterio genetico (genospecie).
Il serbatoio è rappresentato da diversi animali domestici (come il cane) o selvatici (come i roditori). Il
batterio replica a livello dei tubuli renali e viene pertanto eliminato e diffuso nell’ambiente con le
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urine: la loro resistenza gli permette di resistere particolarmente bene nell’acqua dolce. Ogni
sierotipo presenta un serbatoio specifico.
L’infezione da leptospire consiste in una antropo-zoonosi e nel particolare è la zoonosi più diffusa al
mondo. Spesso questa infezione insorge come malattia occupazionale, specialmente in persone
che operano con animali (veterinari) e in minatori (le miniere sono ambienti favorevoli alla
replicazione delle leptospire).
Il batterio diffonde in primo luogo nel circolo ematico, portando a setticemia. Tramite il sangue, poi,
il batterio può raggiungere numerosi organi a livello dei quali si possono avere manifestazioni
cliniche. In realtà possiamo distinguere tra due tipi di manifestazioni, entrambe con andamento
bifasico:
1. Infezione subclinica anitterica, in cui si incorre nel 90% dei casi, asintomatica o con sintomi
simil-influenzali
2. Malattia sistemica itterica, il morbo di Weil, che insorge solo nel 10% dei casi, che si
manifesta con insufficienza epatica e renale, con esito fatale. Le condizioni spesso associate
sono:
Diagnosi
Come detto, la coltura di questo batterio non è impiegata in ambito diagnostico a causa della sua
lenta replicazione. Le tecniche di diagnosi impiegate sono:
1. Esame microscopico, per ricercare la presenza del patogeno (visibile sono con
immunoflluorescenza oppure tramite reazioni immunoenzimatiche).
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2. Esami sierologici sul siero del paziente, come:
I. Test di agglutinazione
II. ELISA
3. Tecniche di biologia molecolare, principalmente PCR, impiegate solamente in ambito di
ricerca
Terapia
I farmaci più impiegati sono:
La terapia risulta utile solamente negli stadi precoci della malattia, mentre nei casi avanzati la
terapia non risulta più efficace: essendo un’infezione risolutiva ci si limita a curare i sintomi.
La doxiciclina viene anche impiegata per effettuare profilassi, somministrandola a soggetti che si
sospetta siano entrati in contatto con il batterio.
Per quanto riguarda la prevenzione normalmente si procede alla derattizzazione ed al vaccino per
il bestiame.
Clostridium
Il genere Clostridium include numerose specie di batteri bastoncellari gram+, anaerobi o
aerotolleranti, catalasi-negativi e ossidasi-negativi. Questi batteri sono saprofiti e in grado di
fermentazione solo in condizioni estremamente riducenti (assenza di ossigeno). Solamente alcune
specie sono patogene per l’uomo.
Essi presentano distribuzione ubiquitaria nell’ambiente, ma come detto sono anaerobi: sono in grado
di resistere all’ambiente (che per la maggior parte è esposto all’ossigeno) assumendo forma inerte,
e di sopravvivenza (metabolicamente inattiva), cioè quella di spora. SI tratta infatti di batteri
sporigeni. La capacità di produrre spore, quindi, conferisce capacità a questi batteri di resistere
anche nelle condizioni più avverse. Le spore resistono infatti a:
A. Disinfettanti
B. Raggi ultravioletti
Le spore sono anche responsabili della trasmissione: in realtà nella maggior parte dei casi le spore
non trovano un ambiente adatto e non danno luogo a colonizzazione. Talvolta, però, nell’organismo
si vengono a trovare in ambienti di microaerofilia o anaerobiosi, condizioni che ne permettono la
proliferazione.
Sporulazione
La spora si genera in seguito alla comparsa di condizioni ambientali avverse, riconosciute dal
batterio tramite sensing. Nel particolare, il batterio attiva meccanismi di regolazione genica che
coinvolgono da 200 a 300 geni: questa diversa regolazione porta alla formazione di una cellula figlia
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differente dalla cellula madre (che va incontro a morte dopo aver generato la cellula figlia). Questa
cellula figlia presenta degli strati protettivi e accentuata disidratazione (che porta all’inattivazione
degli enzimi) e contiene il materiale genico. Nel momento in cui si ripresentano condizioni
favorevoli, nella cellula si attivano enzimi che portano alla rottura degli strati protettivi e alla
riattivazione del metabolismo. La fase di riattivazione prende il nome di germinazione.
Patogenicità
Il potere patogeni di tutti i clostridi di interesse medico risiede, oltre che nella loro estrema resistenza,
nella capacità di produzione di tossine, prodotte specialmente nella fase di germinazione. In
generale l’intossicazione avviene non direttamente per il contatto del batterio, ma per acquisizione
da parte dell’uomo della tossina precedentemente prodotta dal batterio in attiva proliferazione.
Le tossine prodotte sono tutte tossine binarie A-B (costituite da subunità A e subunità B):
2. La subunità A è la porzione che viene importata nella cellula e che svolge il vero e proprio
ruolo di tossina interagendo con bersagli intracellulari specifici
Le due specie più comunemente associare a questo tipo di tossicosi sono quelle che portano a
morte:
Clostridium perfrigens
C. perfrigens è un batterio gram+ dotato di capsula normalmente presente nella flora residente del
tratto gastroenterico e talvolta dell’ambiente vaginale (in cui possono presentarsi situazioni di
anaerobiosi).
Sostanze solubili
Fra i fattori di virulenza sono presente molte sostanze solubili, sia tossine sia enzimi (si tratta
dell’unico Clostridium che produce enzimi degradativi):
b. Ialuronidasi
c. Proteasi
d. Collagenasi
Patogenesi
Le manifestazioni cliniche che un’infezione da C. perfrigens può causare sono dovute sia alle tossine
sia alla proliferazione del batterio (a differenza di altri clostridi):
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2. Fascite (infiammazione di una fascia)
3. Gangrena gassosa (o mionecrosi tissutale indotta dei tessuti profondi), spesso associata
a ferite di grossa entità in cui si creano zone ischemiche e di anaerobiosi in cui il batterio può
proliferare (principalmente sono le ferite da guerra e quelle da schiacciamento). In questi casi il
batterio trova condizioni estremamente ottimali ed inizia un’attiva proliferazione ed un’intensa
attività metabolica: l’alto tasso di fermentazione porta alla liberazione di sostanze gassose, che
si accumulano in bolle che producono crepitii. L’unica terapia è l’amputazione.
4. Endometrite necrotizzante, che insorge quando il batterio (parte della flora vaginale)
colonizza i tessuti necrotici di un feto abortito (l’aborto potrebbe anche essere spontaneo).
Terapia
A differenza di altre specie di Clostridium, in questo caso molte manifestazioni sono determinate
direttamente dalla proliferazione del batterio e pertanto risulta utile la terapia antibiotica, che viene
normalmente eseguita tramite penicillina.
Clostridium botulinum
Clostridium botulinum è un batterio gram+ anaerobico stretto, in grado di produrre una
neurotossina molto potente.
Esso è presente nell’ambiente e nel particolare viene diffuso tramite le feci dei ruminanti (il cui
intestino è colonizzato da C. botulinum). L’uomo, generalmente, lo assumo tramite consumazione di
carne o verdure infette. Dato il suo metabolismo anaerobico, esso può proliferare anche all’interno di
contenitori di cibo confezionato (conserve o scatolette). La tossina, però, non viene prodotta durante
la proliferazione bensì dopo l’esposizione all’aria, durante la cosiddetta fase pre-sporigena,
momento nel quale il batterio inizia la sua trasformazione in spora, la forma di resistenza.
Patogenesi
Come per tutti i colistridi, la patogenicità è principalmente dovuta alla produzione di tossine. Per C.
bolutinum è fondamentale la tossina botulinica, che come già affermato è la tossina più potente
conosciuta dall’uomo (e di cui 250 mg sarebbero sufficienti a uccidere l’intera popolazione
mondiale). Essa è abbastanza termolabile ed è possibile neutralizzarla ponendola a 100°C per 10
minuti.
Sono conosciute 8 differenti isoforme di tossina botulinica (A, B, Cα, Cβ, D, E, F, G) che agiscono in
maniera differente sui meccanismi di esocitosi delle vescicole presinaptiche:
3. A E → Isoforme che tagliano la proteina SNAP-25 ed impediscono il rilascio (in questo caso
impediscono la fusione della vescicola alla membrana post-sinaptica)
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Le iniezioni intradermiche sono impiegate in ambito estetico per la correzione delle righe, ma essa
può avere effetto limitante sulla mimica facciale.
Manifestazioni cliniche
Possiamo distinguere tra tre tipi di botulismo:
2. Botulismo da ferita, che insorge in seguito a proliferazione del batterio in ferite simili a quelle
che permettono la proliferazione del tetano (zone di anaerobiosi che permettono la crescita).
Anche in questo caso la tossina raggiunge il torrente circolatorio provocando gli stessi eventi
del botulismo alimentare. Si tratta di una condizione molto rara.
3. Botulismo infantile, che insorge in seguito all’ingestione di spore del batterio che
raggiungono l’intestino del neonato e iniziano a proliferare (nei casi in cui sia alterata o non sia
stabile la flora residente intestinale). A livello di questo possono produrre la tossina, che entra
in circolo.
Terapia e prevenzione
Sono molto più funzionali delle terapie le tecniche di prevenzione, che consistono nell’evitare di
consumare conserve casalinghe oppure alimenti non cotti. Nei bambini al di sotto dell’anno di età è
fortemente sconsigliato somministrare conserve come il miele in quanto aumentano il rischio di
botulismo infantile.
Nei casi di botulismo si somministra un antisiero trivalente contente anticorpi per le tossine A, B e E
(le più potenti).
Clostridium tetani
Clostridium tetani è un batterio strettamente anaerobico bastoncellare che però mi coltura si
manifesta a bacchetta di tamburo in quanto è molto sensibile alla presenza di ossigeno e tende
sempre ad andare incontro a sporulazione.
Patogenesi
A differenza dell’infezione da C. botulinum, quella da C. tetani è estremamente diffusa. Nella maggior
parte dei casi, la trasmissione del batterio avviene tramite ferite lacero-contuse provocate da
oggetti in ferro arrugginiti. Questi traumi portano alla formazione di zone di necrosi tissutale che
costituiscono microambienti di anaerobiosi, in cui si ha proliferazione del batterio.
Quando si sospetta una contaminazione si consiglia di incidere la zona lesa e far fuoriuscire sangue
così da ossigenare il tessuto e impedire la proliferazione del C. tetani (farlo in seguito sarebbe
dannoso).
1. Tetanolisina, che lega il colesterolo delle membrane e determina la lisi cellulare. In realtà non
determina grandi danni tissutali.
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mentre la A viene importata nella cellula e svolge la funzione tossica. La subunità B trova il
suo recettore specifico a livello delle membrane presinaptiche di un motoneurone inibitorio,
che svolge la sua azione tramite GABA o glicina. La subunità A, dentro alla cellula, è una
proteasi che taglia la sinaptobrevina, impedendo la produzione delle vescicole. In questo
caso, bloccando l’azione dei motoneuroni inibitori, si ha una paralisi differente da quelle
botulinica: le fibre muscolari rimangono contratte e pertanto si ha una paralisi spastica
(spasmo tetanico del muscolo).
Manifestazioni cliniche
Il tetano si può manifestare in diversi modi:
3. Tetano cefalico → Si tratta di una forma di tetano localizzato che insorge in seguito all’entrata
delle spore tramite ferite alla testa oppure ad un otite media. La prognosi è spesso infausta.
4. Tetano neonatale → Si tratta di una forma di tetano generalizzato che si manifesta in seguito
all’infezione da parte delle spore del moncone risultante dal taglio del cordone ombelicale.
Terapia e profilassi
L’immunoprofilassi per il tetano consiste in un vaccino ampiamente impiegato e diffuso. Il vaccino
è costituito dall’anatossina tetanica (o tossoide), cioè la tossina tetanica stessa sottoposta a
trattamenti particolari. Questo permette di ottenere un purificato con le stesse caratteristiche
antigeniche della tossina, che è altamente immunogenica, ma priva della sua tossicità.
L’organismo va quindi a produrre anticorpi specifici per la tetanospasmina e in caso di infezione è in
grado di neutralizzarla. La vaccinazione è obbligatoria nei bambini e sono fortemente consigliati i
richiami ogni 10 anni. I dati mostrano come oltre i 60 anni l’incidenza della malattia cresca
enormemente: questo in quanto l’immunità non è permanente e le persone tendono a non eseguire
richiami.
In caso di soggetti non coperti da vaccinazione, in seguito alla comparsa dei primi sintomi
(generalmente tetano localizzato) è possibile eseguire immunoterapia somministrando un siero di
anticorpi preformati che vanno a legarsi alle molecole della tossina permettendo al sistema
immunitario di eliminarla. Normalmente questi preparati sono sieri iperimmuni prelevati da individui
vaccinati di recente e purificati. In realtà, essendo emoderivati, vanno impiegati con cautela.
Gli antibiotici ovviamente non hanno effetto sulla tossina tetanica, ma sono in grado di indurre la
sporulazione del batterio e pertanto sono inutili se non dannosi.
Clostridium difficile
Clostridium difficile è un gram+ parte della flora resistente di circa il 5-10% degli individui e di
escono ne esistono ceppi patogeni e ceppi non patogeni (la cui patogenicità è data dalla
produzione di tossine). In genere, nella flora residente si trovano anche ceppi patogeni, la cui
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proliferazione viene controllata o inibita dalle altre specie batteriche presenti tramite meccanismi di
competizione per i substrati. Negli ultimi tempi sta diventando sempre più un problema
nosocomiale, specialmente nei reparti cronici.
Sepsso negli anziani le terapie antibiotiche consistono in penicilline, cefalosporine per giungere poi
all’utilizzo di clindamicina. Quest’ultima è tossica per tutti i batteri del microbiota intestinale ad
eccezione del Clostridium difficile, in grado di trasformarsi nella sua forma di resistenza, la spora. In
seguito a conclusione del trattamento antibiotico, il C. difficile può riattivarsi e non avendo più
competizione a livello intestinale, proliferare enormemente.
3. Tossina binaria (anche questa una citotossina), più potente delle precedenti
È interessante notare i geni che determinano la virulenza di questo batterio sono collocati in una
sola zona del genoma, che prende il nome di isola di patogenicità. Essa include:
Le tossine determinano, a livello intestinale, la comparsa di una lesione superficiale alla quale sia
associa diarrea che però presenta caratteristiche simili alla dissenteria, cioè la presenza di muco.
Questa diarrea è cronica e molto difficile da guarire, tanto che si può avere un’evoluzione maligna
che consiste nell’infiammazione della parete intestinale, condizione chiamata colite
pseudomembranosa (una grave patologia a carico del colon).
Diagnosi e terapia
La diagnosi deve essere molto rapida per impedire la diffusione del batterio nell’ambiente (si parla
dell’ambiente nosocomiale). Proprio per questa necessità di tempestività si tende a eseguire esami
di biologia molecolare per verificare la presenza dei geni codificanti per le tossine.
Campylobacter
I batteri del genere Campylobacter sono dei piccoli bacilli ricurvi, gram-, capsulati e mobili (dotati
di flagello a ciascun polo). La maggior parte delle specie vive in condizioni di microaerobiosi e
cresce in ambiente povero di ossigeno e ricco di anidride carbonica.
Dopo salmonelle e rotavirus, i Capmpylobacter sono la terza causa al mondo per gastroenteriti. Gli
individui più a rischio sono i giovani fino ai 20.
1. Membrana esterna
2. Antigene polisaccaridico O
3. Antigene flagellare
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Campylobacter jejuni
Campylobacter jejuni è il più diffuso agente patogeno del genere Campylobacter. Il serbatoio
principale è il pollo, anche se può colonizzare anche maiali, tori, cani, gatti, uccelli e conigli (si tratta
quindi di una zoonosi).
Patogenesi
La trasmissione avviene per via oro-fecale, nel particolare viene eliminato dagli animali con le feci.
Da suolo, esso può contaminare altri animali e arrivare all’uomo tramite carni o prodotti caseari
infetti.
La prima barriera incontrata dai batteri è l’ambiente acido dello stomaco ed in casi in cui si abbia
ridotta acidità questi possono superarla con più facilità. Si portano po a livello intestinale,
colonizzando principalmente ileo e colon.
A. Adesine
B. Enzimi citotossici
C. Enterotossine
Questi batteri presentano meccanismi per indurre la propria endocitosi da parte delle cellule
intestinali. Vengono internalizzati, quindi, in vacuoli in cui possono proliferare. Essi possono essere
fagocitati dalle cellule del sistema immunitario, responsabili del trasporto del batterio a livello
sistemico per via ematica.
Manifestazioni cliniche
Le manifestazioni cliniche determinare sono:
1. Gastroenterite, che è la forma più comune caratterizzata da lievi prodromi febbrili, intensi
dolori addominali, diarrea profusa (con gravità dei sintomi molto variabile). Talvolta si
presentano lesioni della mucosa digiunale di diversa natura (ulceranti, edematose o
emorragiche),
Diagnosi
Nella diagnosi di infezione da Campylobacter jejuni la principale problematica è la distinzione di
questo da E. coli. In genere per fare ciò si esegue una coltura delle feci su terreni in grado di
differenziarli (Agar Campylobacter, un terreno selettivo cromogeno, oppure altri terreni che
evidenzino la presenza dei flagelli).
Terapia
Sono presenti ceppi che hanno sviluppato multiresistenza principalmente a macrolidi e chinoloni a
causa dell’ampio uso che ne si è fatto negli allevamenti animali. In generale la resistenza ai macrolidi
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è stata sviluppando portando modifiche alla subunità ribosomiale 50S. Data l’ampia resistenza ai
farmaci si rende necessario, per la scelta di una terapia, l’antibiogramma.
Come seconda scelta, invece, si possono impiegare fluorochinoloni (di cui però esistono ceppi
resistenti) e tetracicline (che non essendo impiegabili nei bambini vengono sostituite
dall’amoxicillina+acido clavulanico).
Nel caso di infezioni sistemiche gli antibiotici raccomandati sono gli aminoglicosidi, il
cloramfenicolo e l’imipenem.
Listeria monocytogenes
Listeria monocytogenes è un batterio gram+, pleiomorfo (puo avere morfologia coccobacillare o
bastoncellare), mobile (in quanto dotato di flagello), capsulato, catalasi-positivo e ossidasi-
negativo. Esso è aerobio e anaerobio facoltativo, con elevata resistenza al pH acido e alle basse
temperature. È un parassita intracellulare facoltativo. Presenta una elevata velocità di replicazione.
1. Anziani
2. Neonati
3. Donne incinte
Una volta ingerito, resiste all’acidità dei succhi gastrici e si porta a livello intestinale, dove è in grado
di entrare negli enterociti. A livello intestinale l’adesione è mediata dalle internaline (Int), le quali
legano i glicoproteici esposti dagli enterociti e permettono l’internalizzazione inducendo
riarrangiamenti citoscheletrici. Nella cellula ospite, la fusione del vacuolo con i llisosoma avviene, ma
l’abbassamento del pH induce il batterio a rilasciare listeriolisina O (tossina) e fosfolipasi C
(enzima) che causano il rilascio del batterio nel citosol.
Dal citosol della cellula di entrata, il batterio è in grado di infettare per diffusione le cellule circostanti
seguendo i filamenti di actina grazie alla proteina ActA.
In genere, il batterio non è sin grado di raggiungere il circolo ematico in quanto viene fagocitato dai
macrofagi (negli immunocompetenti si manifesta una semplice diarrea). Talvolta, però, queste cellule
dell’immunità sono compromesse e non sono in grado di degradare il batterio e quindi lo trasportano
nel sangue, causando condizioni sistemiche.
A. Manifestazioni diarroiche, che si presentano poche ore dopo l’ingestione del cibo infetto
d. Encefaliti
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e. Aborto spontaneo, in caso di gravidanza. Le donne in gravidanza, infatti, sono soggetti
particolarmente a rischio in quanto immunocompromesse. In questi casi l’aborto è sicuro,
ma talvolta l’infezione sistemica può coinvolgere la madre portando a setticemia spesso
complicata da meningite.
Per prevenire l’infezione è sufficiente non consumare cibi crudi ed evitare che questi si contaminino,
specialmente tramite feci animali. Gli alimenti più soggetti sono formaggi, pasta cruda, latte crudo,
pesce e germogli.
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Bordetella
Le bordetelle sono coccobacilli (disposti singolarmente o in coppie) gram-, di piccole dimensioni e
aerobi. Essi aderiscono all’epitelio ciliato delle alte vie respiratorie, senza tendenza ad invadere i
tessuti circostanti.
2. Bordetella parapertussis, che causa patologia simile alla precedente ma più lieve
Patogenesi
I fattori di virulenza sono:
1. Tossina della pertosse (PT), una proteina A-B la cui subunità A è in grado di interagire con le
proteine G determinando la traduzione del segnale (in genere sensibilizzando all’istamina e
induce maggior secrezione di unsulina)
3. Citotossina tracheale, una tossina che inibisce la sintesi del DNA delle cellule ciliate degli
epiteli respiratorio (alte vie aeree).
6. Fimbrie
7. Emoagglutinina
Manifestazioni cliniche
La trasmissione della pertosse avviene per via aerea da un soggetto malato ad un soggetto sano.
2. Fase parossistica (o tossiemico), tipico della malattia e della durata di 2-5 settimane. È
caratterizzato da tosse parossistica e dal tipico rantolo. Gli episodi violenti possono causare
vomito, cianosi e convulsioni. Come complicazioni abbiamo sovrainfezioni e ipossia cerebrale
che nei bambini provoca gravi danni.
Diagnosi
È possibile generalmente diagnosticare la pertosse già sulla base dei sintomi clinici, cioè della tosse
parossistica.
Per l’esame colturale si isola il catarro della prima fase (spesso tramite lavaggio nasale). La semina
avviene sui terreni:
Il metodo diagnostico più sensibile e specifico rimane comunque la biologia molecolare, tramite
PCR.
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Terapia e profilassi
L’immunoprofilassi viene eseguita tramite vaccini che hanno sostituito quelli impiegati nel secolo
scorso. Ad oggi sono utilizzati vaccini acellulari con antigeni purificati del batterio.
Mycoplasma
I micoplasmi sono una classe di batteri che costituiscono il gruppo di organismi dotati di vita
propria di minori dimensioni (fino a 0,3 µm) e con il genoma più piccolo. Si tratta di microrganismi
pleiomorfi, primi di morfologia costante. Essi non possiedono infatti parete cellulare (che gli
conferisce naturali resistenze agli antibiotici). Esternamente alla membrana presentano lipoproteine
che sostituiscono l’LPS dei gram-. Sono aerobi (ma alcuni anche anaerobi facoltativi) e data la
limitatezza del loro genoma hanno anche limitatezza biosintetica e necessitano di terreni ricchi.
Sono parassiti sia extracellulari sia intracellulari.
Sono diffusi ubiquitariamente e spesso si trovano a far parte delle flore residenti degli organismi
compreso l’uomo.
Gran parte delle infezioni da micoplasma nell’uomo interessano le vie respiratorie ed il tratto
urogenitale.
La principale specie patogena per l’uomo è Mycoplasmsa pneumoniae, che causa una polmonite
atipica. Altre specie sono M. hominis e M. urealyticum, che causano infezioni urogenitali.
Mycoplasma pneumoniae
Si tratta di un patogeno umano obbligato
Patogenesi
Mycoplasmas pneumoniae presenta diversi fattori di patogenicità:
1. Adesione mediata dalle adesine P1 e P2, nel particolare per l’adesione delle vie respiratorie
3. Lipoproteine (al posto di LPS), che si legano ai TLR (toll like receptor) inducendo una forte
risposta infiammatoria, nel particolare inducendo la produzione di citochine ad attività
citotossica
4. Produzione di ROS, specie reattive dell’ossigeno che danneggiano le cellule degli epiteli
respiratori
Manifestazioni cliniche
L’infezione da M. pneumoniae si manifesta in primo luogo con sintomi aspecifci come febbre,
faringite o bronchite. In 2-3 settimane il 10-30% dei casi evolve verso una polmonite atipica.
Talvolta si può avere disseminazione dell’infezione, nel particolare sono state registrate meningiti ed
encefaliti.
Diagnosi
I campioni impiegati sono quelli provenienti dall’apparato respiratorio, principalmente tamponi di
materiale organico. Dopo il prelievo è necessario procedere tempestivamente in quanto non
possedendo parete, il batterio è labile all’essiccamento.
Non si sfrutta esame microscopico in quanto l’assenza di parete rende il batterio poco colorabile.
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L’esame colturale richiede terreni specifici per ogni specie, ma data la lenta proliferazione non viene
impiegato in diagnostica.
Le tecniche di riconoscimento più utili e precise risultano basate sulla biologia molecolare,
specialmente la PCR.
Terapia
L’assenza di parete rende i micoplasmi resistenti a qualsiasi antibiotico abbia come target il
processo di sintesi di questa (primi fra tutti i β-lattamici).
Gli antibiotici impiegati, per i quali sono rare le resistenze, sono le tetracicline, i fluorochinoloni ed i
macrolidi.
Micoplasmi genitali
Le scie di Mycoplasma che provocano infezioni urogenitali all’uomo sono:
2. Mycoplasma hominis
3. Myoplasma genitalium
B. Epididimite
C. Vaginosi
Per quanto riguarda la diagnosi è la medesima impiegata per M. pneumoniae, ma con campioni
provenienti dal tratto urogenitale.
Pseudomonas
Il genere Pseudomonas include specie non fermentanti. Dal punto di vista medico sono di interesse
5 specie di Pseudomonas:
1. Pseudomonas aeruginosa
2. Pseudomonas putida
3. Pseudomonas fluorescens
4. Pseudomonas stutzeri
5. Pseudomonas otitidis
Pseudomonas aeruginosa
Pseudomonas aeruginosa è un batterio gram- di morfologia bastoncellare dotato di mobilità grazie
al singolo flagello (quindi + dotato di antigene flagellare H). Sulla membrana esterna è presente il
lipopolisaccaride (LPS), con le catene terminali esposte a costituire l’antigene O, che permette la
distinzione in sierotipi.
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1. Piocianina, un pigmento blu
Data la produzione di sostanze fluorescente si può effettuare osservazione tramite raggi UV.
Questo batterio presenta diffusione ubiquitaria nell’ambiente (secondo alcuni è il batterio più diffuso),
ma nell’uomo è solamente un patogeno opportunista.
Colpisce soggetti con compromissione immunitaria, nella maggior parte dei casi soggetti
ospedalizzati ed è un’importante infezione di tipo nosocomiale.
Patogenesi
I fattori di virulenza sono numerosi e sono sia sostanze prodotte sia costituenti strutturali. Per quanto
riguarda le componenti strutturali abbiamo:
2. Pili di tipo IV, adesine fondamentali per l’inizio dell’infezione. Legano principalmente le cellule
dell’apparato respiratorio.
1. Esotossina S, che influisce sul citoscheletro e sul traffico vescicolare delle cellule target (viene
iniettata nella cellula ospite)
Manifestazioni cliniche
Abbiamo manifestazioni a diversi livelli, tutte tendenti a croniciczzare e di difficile estirpazione:
B. Infezioni respiratorie, a cui sono maggiormente esposti pazienti con altre patologie come la
fibrosi cistica:
a. Infezioni polmonari
a. Otite esterna, più di frequente, che può evolvere in otite esterna maligna (diffonde al
sangue)
b. Otite media
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Diagnosi e terapia
La coltura può avvenire su tutti i terreni normalmente impiegati, sui quali si formano colonie larghe e
con pigmentazione blu-verde. Su agar sangue hanno attività β-emolitica. Il riconoscimento avviene
prevalentemente tramite test biochimici sul metabolismo.
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