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Bion, dinamiche di gruppo una revisione

“Dinamiche di gruppo una revisione” è l'articolo conclusivo di un insieme di scritti che vanno dal
43 al 52 e tradotto in italiano nel 61, cioè “Esperienza nei gruppi”. In tali iscritti si racchiude la
TEORIA DEI GRUPPI bioniana, messa a punto sia dopo la seconda guerra mondiale quando Bion
comincia a lavorare con i reduci militari che soffrivano di quella che oggi potremmo chiamare di
DPTS, quindi traumi legati alla guerra su quelli chi viene effettuato l'esperimento di Northfield, sia
grazie all'esperienze alla Tavistock Clinic di Londra. In realtà, la questione della guerra è un tema
centrale del lavor di Bion, che partecipò in prima persona alla prima guerra mondiale, infatti, come
viene messo in luce dalla sua autobiografia- “la lunga attesa”- che sono due gli aspetti
fondamentali della vita di Bion che hanno influenzato il suo pensiero:
- La guerra
- L'essere nato in India (da una famiglia coloniale dell'aristocrazia britannica) che ha favorito
una visione ….della realtà. Difatti Bion ha una visione … della psicanalisi, mette insieme
scienza e …. , formando anche risposte esistenziali.
Dunque “Dinamiche di gruppo- una revisione” è l'articolo conclusivo di “Esperienze nei gruppi” ed
è un lavoro l’ eredità kleiniana (infatti in quegli anni Bion concludeva la sua seconda analisi con
Melanie Klein) specialmente riguardo le posizioni che l'autrice descrive come aspetti centrali della
vita mentale del bambino, anche se Bion ritiene che tali dimensioni mentali primitive possono
essere trovate nei gruppi.
Cosa ci insegna Bion sui gruppi? Innanzitutto, l'autore introduce due concetti fondamentali:
- il concetto di vertice psicoanalitico (o vertice gruppale) ovvero un modo di guardare la realtà
che si fonda su una visione pluralistica e psicosociale della stessa; Bion parla di vertice della
conoscenza con il quale è vista la teoria e la pratica psicanalitica che diventa, come scrive
l'autore, un “pensare psicoanalitico, una posizione che consente di accostarsi ad uno stato
mentale sconosciuto”
- il concetto di visione binoculare ovvero un'osservazione che prevede uno sguardo
contemporaneo sulle relazioni individuali e sulle relazioni di gruppo. Ciò è ricordato anche
da Corrao riprendendo l'immagine metaforica che Bion propone del mito di Edipo in
rapporto con la Sfinge: Edipo è infatti metafora dell'analisi individuale e la Sfinge simbolo
dell'analisi di gruppo, figura misteriosa … sulla conoscenza.
Per quanto riguarda i gruppi, Bion parte dell’eredità frediana, sottolineando che Freud vede il
gruppo come una ripetizione di rapporti con oggetti parziali, per cui i gruppi si avvicinano a modelli
di comportamento di tipo nevrotico; mentre nella visione bioniana si avvicinano a modelli di
comportamento di tipo psicotico. Ciò significa che per Bion, nel gruppo, si riattivano dimensioni
fondamentali del funzionamento mentale del bambino, Bion le descrive nel gruppo. Infatti quando
l'individuo entra nel gruppo regredisce a dimensioni di natura psicotica, tanto che, per Bion, il
gruppo è un insieme di persone che si trova allo stesso stato di regressione.
Quindi quali sono i concetti, oltre a quello di vertice psicoanalitico e di visione binoculare, che sono
centrali nella teoria dei gruppi bioniani?
Innanzitutto, è necessario chiedersi cosa sia un gruppo. Il gruppo è un tutto, è un’unità (the group
has all) che è diverso dalla somma delle singole parti e quindi i membri di un gruppo producono dei
pensieri che vanno al di là del singolo e si creano configurazioni nuove;
Un altro concetto fondamentale è quello di valenza; per capire meglio ricordiamo che per Bion il
gruppo fa parte della mente dell'individuo, la mente è un insieme di gruppi e di relazioni. Questa
capacità viene chiamata dall'autore valenza, termine che deriva dalla chimica, e che sta proprio ad
indicare la capacità e la disposizione dell'individuo di combinarsi in maniera istintiva con l'altro.
Vediamo, quindi, che Bion fa anche un interessante lavoro sul linguaggio, ovvero “smantella” il
linguaggio psicoanalitico sostenendo la necessità di un linguaggio per il gruppo, che è una
configurazione diversa, per cui è impossibile utilizzare i termini che provengono dalla psicoanalisi
individuale;
In un gruppo si produce una mentalità di gruppo ovvero dei processi psichici nuovi con un assetto
specifico comune. Bion definisce la mentalità di gruppo come “il serbatoio comune a cui
affluiscono anonimamente i contributi di tutti e attraverso il quale si possono gratificare gli impulsi
e desideri”. La mentalità di gruppo può essere in conflitto con i desideri dei singoli, ovvero un
individuo può avere un desiderio, un impulso, ma dal momento in cui entra nel gruppo viene
assorbito dalla mentalità dello stesso. La dimensione organizzativa del gruppo è la cultura gruppale.
Il gruppo adotta in un dato momento una cultura e questo è l'aspetto legato al compito.
Il gruppo in termini di funzionamento mentale si muove sempre su due livelli il gruppo di lavoro e
il gruppo di assunto di base. Questi aspetti non sono legati all'attività, a ciò che il gruppo fa, ma
descrivono dimensioni di funzionamento mentale, sono cioè progetti psichici del gruppo. Per quanto
riguarda il gruppo di lavoro possiamo dire che:
1. ogni gruppo si riunisce sempre per fare qualcosa: si tratta quindi dell'aspetto legato al
compito (in un gruppo clinico può essere la cura);
2. è la dimensione legata alla razionalità, quindi ancorata alla realtà;
3. dimensione legata a ciò che potrebbe essere l’Io del soggetto;
4. si basa su efficienza, compito e collaborazione, che permettono al gruppo di evolvere.
Per quanto riguarda gli assunti di base:
1. essi sono delle fantasie inconsce comuni e onnipotenti che ci raccontano una scena, sono
meccanismi di difesa inconsci collettivi che si attivano all'unisono per proteggersi da quelle
dimensioni regressive che si attivano quando si entra a far parte di un gruppo; tali
meccanismi di difesa proteggono sia da angosce psicotiche (da quelle che Winnicott
definisce angosce primitive ovvero l'andare in pezzi) sia difensive anche dello stesso
compito del gruppo, che è la conoscenza, che per Bion è sempre un'esperienza dolorosa
perché è un apprendere dalle nostre esperienze emotive. Entrare in contatto profondo con le
proprie emozioni comporta sempre una certa dose di dolore mentale;
2. Sono dimensioni legate all'emotività;
3. Ostacolano il raggiungimento del compito del gruppo di lavoro;
4. Questi meccanismi rispondono a domande inconsce del tipo “qual è l'identità del gruppo?
che senso ha questo gruppo?” Il gruppo risponde inconsciamente trovando delle conclusioni
condivise ovvero gli assunti di base. Tali risposte cambiano sicché in alcuni momenti può
predominare un assunto di base, in altri momenti altri;
5. Sono espressione fisiologica del gruppo: ovvero gli assunti di base, in termini emotivi, sono
espressione biologica del gruppo.
Bion ha individuato 3 assunti di base fondamentali: dipendenza, attacco-fuga e accoppiamento.
1. Assunto di base di dipendenza. È l'assunto di base più primitivo e riguarda una fantasia
inconscia comune che è quella di dipendere da qualcuno idealizzato (il leader) o da qualcosa
(un'idea) e quindi di essere privo di iniziativa e privo di autonomia. il clima che descrive
bene questo assunto di base un clima depressivo (ricordiamo che il clima, l'atmosfera di un
gruppo sono fondamentali per comprendere cosa sta accadendo in un gruppo in termini
emotivi, quali sono le emozioni che circolano nel gruppo). In questo caso vige la dipendenza
dal leader e sfiducia nel gruppo, con sentimenti di voracità (di affetto da parte del leader)
colpa e depressione. Esempi di gruppi in assunto di base di dipendenza possono essere il
rapporto medico/paziente. In un gruppo terapeutico tale assunto può manifestarsi in uno
schema rigido in cui il gruppo immagina che solo il terapeuta deve svolgere tutto il lavoro.
2. Assunto di base attacco-fuga o lotta-fuga, esiste un pericolo reale o immaginario dal quale
bisogna difendersi. Attacco e fuga sono sempre dimensioni compresenti. Il clima vigente è
di tipo persecutorio, con sentimenti di rabbia e odio che possono esprimersi in una lotta
implicita o esplicita (per esempio non esserci, l'essere assenti, il gruppo è capeggiato dagli
assenti che in questo modo agiscono la lotta). Il leader viene individuato in una personalità
paranoide che sferri l'attacco, infatti è importante la dimensione dell'azione, nel senso che il
gruppo cerca un leader che traduce in azione l'attacco-fuga.
3. Assunto di base di accoppiamento. È presente la fantasia di partorire qualcosa all'interno del
gruppo che salvi lo stesso, una sorta di Messia, il gruppo delega ad una parte dello stesso la
creazione di un qualcosa di specifico. Quindi il clima dominante è quello di attesa, speranza
e fiducia. È tuttavia importante che queste speranze non si realizzano mai.
All'interno di un gruppo, i 3 assunti di base sono sempre compresenti, anche se in alcuni momenti
ne predomina uno piuttosto che un altro; quando c'è un assunto di base prevalente e gli altri sono
silenti, essi restano sullo sfondo, sono comunque operanti e giacciono nel sistema proto-mentale
ovvero un sistema, un'organizzazione in cui il fisico e lo psichico sono in uno stato indifferenziato.
Il sistema proto mentale è un contenitore, una matrice da cui nascono tutta una serie di fenomeni
dove non c'è distinzione tra mente e corpo, tra sé e l'altro, si tratta di un funzionamento mentale di
tipo primitivo. Infatti scrive Bion “rappresento il sistema proto mentale come un qualcosa in cui il
fisico e il mentale si trovano in uno stato indifferenziato. È da questa matrice che nascono quei
fenomeni che in un primo tempo appaiono come sentimenti correlati solo temporalmente; è da
questa matrice che hanno origine gli stati propri degli assunti di base che pervadono in alcune
occasioni e dominano la vita mentale del gruppo. Data che è un livello in cui il fisico e il mentale
sono indifferenziati, si capisce perché quando da questo prende origine un sentimento di angoscia,
esso può manifestarsi tanto in forma psichica quanto in forma somatica. I fenomeni proto-mentali
sono inoltre una funzione del gruppo e devono essere studiati in questa sede”. Questi fenomeni
descrivono quindi emozioni caotiche, sensazioni informi che vivono dentro l'individuo e arrivano a
caratteristiche trans-individuali. Questo sistema, area del pre-simbolico, descrive un modo di
funzionare della mente che consente di comprendere bene l'emotività di un gruppo che è caotica
(per esempio, non si capisce bene se parlo io o un altro, perché sono in preda all'angoscia). Il
carattere del gruppo è immerso nell’ assunto di base, ma anche il leader del gruppo di lavoro quindi
ha come compito quello di rendere pensabile l'assunto di base, il conduttore vive, sente e attraversa
l'assunto di base dopodiché lo pensa e condividere la rappresentabilità dell'assunto di base col
gruppo attraverso l'interpretazione.
Possiamo individuare gli aspetti comuni a tutti gli assunti di base:
- tutti gli assunti di base implicano una dimensione della leadership ovvero la presenza di un
capo. Il capo è colui dotato di qualità personali che si adattano al gruppo (quindi il leader
che si adatta alle esigenze del gruppo grazie alla sua capacità di valenza, e non il contrario
come per Freud)-> il gruppo rifiuta qualsiasi capo quando il suo comportamento o le sue
qualità si muovono fuori dai limiti stabiliti gli assunti di base;
- Essi si oppongono allo sviluppo che è compito del gruppo di lavoro -> tutti gli assunti di
base lottano per valutare lo status quo delle cose, infatti sono meccanismi di difesa nei
confronti della conoscenza, che comporta dolore mentale (come rappresentato dalla figura
mitologica della sfinge, ritenuta portatrice di sventure). A tal proposito scrive Bion “non
conosco nessun’altra esperienza, che più chiaramente dell'esperienza di gruppo dimostri il
timore con cui viene considerato un atteggiamento interrogativo”.
- tutti gli assunti di base si caratterizzano per un linguaggio particolare, il linguaggio non
viene usato in termini simbolici, ma in termini di azione. Infatti, scrive Bion, “il linguaggio
è degradato ovvero invece di esserci un linguaggio come modalità di pensiero, il gruppo di
assunto di base usa il linguaggio come modo di azione.” Si potrebbe, però, dire che i metodi
di comunicazione usati dal gruppo di assunto di base meritano quel … di linguistica
universale che Croce attribuì all'estetica: ogni gruppo umano, a livello degli assunti di base,
capisce istantaneamente qualsiasi altro gruppo indipendentemente dalle diversità di cultura,
di linguaggio e di tradizioni. ( mito della torre di Babele, costruzione di una torre che è
considerata della divinità come una minaccia della sua sovranità, una sorta di punizione ->
distruzione della torre e confusione delle lingue -> interpretazione: storia dello sviluppo del
linguaggio in cui predomina un assunto di base di dipendenza).
- Vi è l'assenza della dimensione temporale, che è prerogativa del gruppo di lavoro, per cui è
una dimensione vincolata dalla realtà (per esempio il gruppo si chiede quando e dove ci sarà
una prossima scissione); mentre nei gruppi di assunto di base la divisione temporale è legata
all’emotività, quindi scrive Bion, “i gruppi di assunto di base non si non si disperdono e non
si riuniscono”;
- l'attività regolata dall'assunto di base non richiede al singolo alcuna capacità di
cooperazione, una dipende dalla presenza, nell'individuo, della valenza;
- gli assunti di base non prevalenti in un dato momento giacciono in un sistema proto-
mentale.

Come abbiamo detto, in “ dinamiche di gruppo- una revisione”, Bion parte dall'eredità freudiana e
da ciò che Freud ha insegnato della vita gruppale. A tal proposito risulta di fondamentale
importanza il testo del 1921 “psicologia delle masse e analisi dell’Io” che affonda le proprie radici
in ambito sociale, come si comprende dalla frase di apertura del testo stesso, infatti, scrive Freud
“nella vita psichica del singolo l'altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come
soccorritore, come nemico e pertanto la psicologia individuale è al tempo stesso fin dall'inizio
psicologia sociale.” La psicanalisi, dunque, è una psicologia generale a pieno titolo. La questione
teorica, nonché l’eredità freudiana, , alla base del testo, riguarda l'indagine su cosa sia una massa, in
che modo la massa influenzi l'individuo, quali sono le caratteristiche psicodinamiche della massa e
come cambiano l'identità e i rapporti all'interno della stessa.
È necessario sottolineare innanzitutto, che nella sua trattazione Freud si occupa di legami libici: il
gruppo si fonda cioè sul legame libidico e in particolare sulla prima forma di legame d'amore che è
l'identificazione ovvero quel processo psichico per cui si assimila dell'altro un qualcosa e in base a
questo nuovo assimilato avviene una trasformazione. A tal proposito, scrive Freud, “i legami
emotivi costituiscono l'essenza della psiche collettiva”. Per mostrare il destino di tali investimenti
libidici, Freud analizza il rapporto del gruppo con il capo; Il capo è colui che raccoglie una
formazione specifica che l'ideale dell'io. Quindi ogni individuo cede una parte del proprio ideale
dell'io al leader, in questo modo crea una condizione per un'identificazione comune. Quindi
possiamo dire che la massa è una moltitudine di individui che hanno assunto come ideale dell'io, lo
stesso oggetto e in virtù di questa condivisione si sono identificati tra loro. Si avrà quindi un
riduzione del funzionamento dell'io, che è sottomesso ad un'istanza esterna (come accade nella
dipendenza … e nella dipendenza dell'ipotizzato).
Ma come si arriva alla vera e propria socialità? A questo proposito è importante il testo del 1951
“totem e tabù” in cui Freud ci spiega il passaggio dall'orda primitiva al gruppo sociale. Un gruppo
di fratelli si coalizza contro il padre tiranno, odiato ed invidiato , lo uccide e ci fu un pasto
cannibalesco; in questo modo si intuisce un totem, si interiorizza la norma (cioè ciò che il padre
imponeva), si istituisce il tabù dell'incesto, nasce la …. e si interiorizza la norma e il divieto. Nasce
così la socialità (ricordiamo che per Freud la sessualità si oppone alla cultura e quindi l'ingresso
nella civiltà determinerà la frustrazione dei propri istinti). Per Freud avranno una dicotomia
sessualità-cultura, per Bion narcisismo-socialismo. Con Freud si riconosce quindi che il gruppo
fonda processi psichici specifici, è … di una realtà psichica specifica in termini di relazione,
legame e realtà psichica. Nel gruppo, infatti, ci sono una serie di fenomeni che vanno al di là del
singolo, idea, questa che sarà sicuramente sviluppata da Bion e da vari filoni di pensiero.
Volendo fare un confronto tra i capisaldi delle teorie e sui gruppi di Freud e Bion possiamo
individuare diverse divergenze:
La prima differenza riguarda l'idea di gruppo:
- Freud si occupa di masse, di gruppi sociali, quindi gruppi in senso antropologico;
- Bion si occupa di gruppi clinici- terapeutici.
- Freud arriva il gruppo sociale partendo dall'individuo: la società si costruisce quando
l'individuo rinuncia al soddisfacimento delle sue pulsioni;
- Bion parte dal gruppo nel senso che nella psiche dell'individuo è presente un'organizzazione
gruppale; la realtà specifica del gruppo precede il soggetto e lo struttura;
- per Freud i gruppi si avvicinano a modelli di comportamento di tipo nevrotico;
- per Bion a modelli di comportamento di tipo psicotico.
Un'altra differenza riguarda la natura dei legami nei gruppi:
- per Freud sono legami libici, legami emotivi;
- per Bion la natura dei legami è svariata (emotivi nei gruppi di assunti di base, cooperati nei
gruppi di lavoro).
Un'altra differenza importante riguarda le concezioni sulla leadership:
- per Bion il leader da una parte è leader dell'assunto di base, dall'altra leader del gruppo di
lavoro (ricordiamo che il guardare al gruppo in termini di leadership fa parte dell'eredità
freudiana); il leader nasce dal basso, nasce dall'assunto di base e incarna in maniera
inconsapevole e senza pensiero, la dimensione emotiva del gruppo; il leader del gruppo di
lavoro deve lavorare sulla consapevolezza degli assunti di base, deve pensare agli assunti di
base; La capacità di leadership non è solo del terapeuta, ma di tutto il gruppo ( a questo
proposito Corrao afferma che il gruppo è un dispositivo democratico, il che implica che la
funzione di esperto è del gruppo; il conduttore di un gruppo garantisce questa funzione,
nonché l'evoluzione del gruppo). Il leader è al polo ricevente di ciò che la Klein definisce
identificazione proiettiva: il leader agisce una parte che va al di là della leadership a causa
del materiale il gruppo alloca nella sua mente.
- Per Freud il leader nasce per qualità individuali, come il carisma, incarna una … edipica, di
potere; Nella sua visione il gruppo non è un dispositivo democratico per cui il leader è quasi
un essere superiore, un padre potente: non è il leader che si adatta al gruppo, come per Bion,
ma viceversa.
- Per Freud, nel gruppo le emozioni dell'individuo diventano straordinariamente intense,
mentre si riduce la capacità intellettiva;
- Per Bion non vi è una tale riduzione, anzi nel gruppo è possibile un'attività intellettiva di
alto livello unitamente però, alla consapevolezza e alla negazione delle emozioni del gruppo
di assunto di base.

Gruppo di lavoro specializzati


Solo quei gruppi che hanno il compito di manipolare, gestire e neutralizzare gli assunti di base in
termini sociali, impedendo così che siano di ostacolo alla funzione il gruppo di lavoro. Per la
concezione di gruppo di lavoro specializzato, Bion riprende ciò che per Freud sono le masse
sottoposte a un capo, quindi chiesa, esercito, aggiungendo l'aristocrazia.
- La Chiesa come comunità di credenti manipola l’assunto di base di dipendenza;
- L'esercito manipola le dimensioni della violenza, della rabbia e dell'odio, quindi l'assunto di
base attacco-fuga;
- L'assunto di base di accoppiamento è gestito e manipolato dall'aristocrazia, intesa come
classe sociale che manipola l'idea di procreazione, di razza e di stirpe. C'è una classe sociale
che quindi deve in qualche modo preservare l'idea di una nascita (per esempio assolutismo
del pensiero di preservazione di una stirpe).
Che rapporto intercorre tra ciascuno membro e tali gruppi? Per Freud il tipo di legame è libidico;
per Bion invece le spiegazioni date da Freud derivano da una psicanalisi duale, dalla teoria del
transfert, per cui sarà necessario guardare i gruppi con un'altra lente: il gruppo cioè deve essere
guardato in termini di campo che è il modello di indagine che Bion propone per i gruppi e per le
istituzioni. L'istituzione va vista come un tutto, un insieme di dinamiche che vanno oltre l'individuo
e si intersecano tra loro. In tale contesto il conduttore non è l'unico destinatario del transfert, ma si
creano configurazioni più complesse: si parlerà quindi di transfert laterali.
In sintesi, possiamo dire che i gruppi di lavoro specializzati da un lato hanno il compito di sfruttare
l'attività dell'assunto di base (per esempio la chiesa che stimola la fede), ma dall'altro devono
impedire che l'assunto di base si traduce in azione e quindi impedire all'assunto di base di ostacolare
il funzionamento del gruppo di lavoro.
In “Attenzione e interpretazione” degli anni 70 non troviamo più la dicotomia tra leader e gruppo di
lavoro specializzato, ma la dicotomia tra mistico e istituzione. Il mistico è il leader che ha in sè
un'idea …; l'istituzione, invece, si fonda su meccanismi di stabilità. Il leader, allora, è colui che
incarna la creatività, che contiene una discussione dirompente, un cambiamento che va a
rivoluzionare il sistema, è quindi un … che ha bisogno di un contenitore che lo accolga -> rapporto
tra leader e istituzione come rapporto tra contenuto e contenitore.
Apprendere dall'esperienza
Questo testo insieme a “ Trasformazioni” e “elementi di psicoanalisi” offre una sistematizzazione di
una teoria della conoscenza (cos'è la conoscenza? Cos’è il pensiero e come si sviluppa? Come
opera?) I presupposti per una teoria della conoscenza, così come elaborata da Bion, sono diversi:
- la conoscenza deriva dal corpo, le prime forme di conoscenza, infatti, sono legate al corpo; il
pensiero per Bion è impregnato di emergenze somatiche (per esempio ciascuno di noi sa
quando sta covando un'influenza, quindi un sorta di conoscenza che deriva dal corpo).
Pensare e sentire non sono aspetti separati nella natura umana, ma aspetti funzionali dello
stesso insieme.
- Quando parliamo di “apprendere dall'esperienza” la nostra mente subito coglie le dimensioni
cognitive ed intellettive di questo processo, in realtà, Bion, con apprendere dall'esperienza si
riferisce all'apprendimento dall'esperienza emotiva, al contatto profondo con l'esperienza
emozionale, l'emozione è al centro della vita e dello sviluppo mentale (l’equivalente della
pulsione freudiana come motore della vita psichica).
- Bion propone un lavoro sul linguaggio in rapporto con la teoria: la psicoanalisi deve
utilizzare un linguaggio che non ha ancora usato e che Bion prova a modellizzare
(ricordiamo che i modelli sono astrattismi). La conoscenza è infatti legata anche alla
capacità di trasmettere una conoscenza.
Apprendere dall'esperienza è dedicato ad un particolare tipo di funzione, che è la funzione Alfa.
Innanzitutto, il termine funzione indica l'attività mentale proprio di una certa quantità di fattori che
operano in concordanza, mentre per fattore si intende l'attività naturale che, operando assieme ad
altre, costituisce una funzione. I fattori possono essere ricavati solo osservando la funzione di cui
fanno parte, per cui non possono essere dedotti direttamente, ma solo attraverso l'osservazione delle
funzioni.
Abbiamo detto quindi che “ Apprendere dall'esperienza” offre una teoria della funzione Alfa, dove
“funzione alfa” è volontariamente un termini privo di significato, in quanto da un lato Bion evita in
questo modo la confusione con le altre teorie provenienti dal campo psicoanalitico, dall'altro lato la
funzione Alfa può essere considerata come analoga della variante incognita X della matematica, il
cui significato va definendosi. Perché è così importante la funzione Alfa? Ricordiamo che per poter
essere utilizzate dal pensiero, le percezioni di un'esperienza emotiva devono essere elaborate dalla
funzione Alpha che trasforma le impressioni sensoriali e le emozioni grezze in elementi Alfa,
ovvero rappresentazioni, immagini, pattern olfattivi e uditivi che vengono immagazzinati e poi usati
dal pensiero e dal sogno.Se la funzione alfa è alterata, tali elementi grezzi restano inalterati,
sottoforma di elementi beta che sono sensorialità pura e che vengono comunque immagazzinati
come fatti indigeriti di cui bisogna liberarsi, per esempio attraverso l'evacuazione.
Quindi affinché si possa apprendere dall'esperienza la funzione Alfa deve operare sulla
consapevolezza di un'esperienza emotiva, dalle impressioni di tale esperienza scaturiranno gli
elementi Alfa che potranno essere usati dal pensiero del sogno e da quello inconscio della veglia,
nonchè dal ricordo. Si tratta quindi di una funzione naturale che svolge una serie di operazioni
simili a quelle svolte dalla reverie, in modo da trasformare gli elementi grezzi in elementi
utilizzabili dal pensiero.
Un esempio di elemento Alfa=un profumo che ci ricorda la persona amata. Un esempio di elemento
beta= sonno, fame e freddo a cui però il bambino non ha ancora dato questo significato.
Sul lavoro della funzione Alfa si basano i processi del pensiero e del sogno ed è proprio per questo
che vengono cominciati da Bion funzioni simili.

Teoria del pensiero


Risulta innanzitutto importante chiedersi, come si apprende dall'esperienza? Grazie al pensiero,
ovvero una funzione attraverso cui impariamo dalle nostre emozioni. Bion distingue il pensare
(inteso come processo) dal pensiero (inteso come contenuto). Il pensare, inteso come processo
deriva dall'esito di due tipi di percorsi evolutivi:
Il percorso evolutivo del pensiero (contenuto) Il percorso evolutivo dell’apparato per pensare
i pensieri (contenitore)
Il pensiero può essere indipendente dal pensare, questo apparato non è presente sin dalla nascita
infatti esistono delle forme primitive di ma si sviluppa grazie ad una serie di fattori:
pensiero come gli elementi beta; Fattori intrapsichici: tolleranza alla frustrazione
che è un tratto personale la cui mancanza è
garantita, per esempio, dalla superbia/arroganza
o da altre dimensioni di distruttività.
Fattori relazionali: reverie materna.

possono essere geneticamente antecedenti alla


capacità di pensare (per esempio, nel gruppo
esistono i pensieri randagi o selvatici che non
sono collocati in un singolo apparato per
pensare i pensieri, ma circolano nel gruppo);
il pensiero per Bion è qualcosa che viene
imposto ad un apparato che non è ancora
pronto
il pensiero permette di risolvere i problemi in
assenza dell'oggetto: infatti il pensiero per Bion
nasce dall'assenza, dal vuoto: il bambino che
tollera l'assenza grazie ad una serie di
caratteristiche, come la tolleranza alla
frustrazione, può immaginare l'oggetto assente:
nasce così il pensiero che è un pensiero
desiderante, è il rapporto con la non cosa (no-
thing) con il vuoto;

Bion classifica i pensieri in forma gerarchica:


- Pre-concezioni, che sono delle
aspettative, il bambino ha un'idea innata
di seno;
- Concezioni, nascono nel momento in
cui l'idea innata di seno incontra il seno
reale. Si tratta di una forma sensoriale
di pensiero, in cui il bambino fruisce di
un'esperienza, ma non ha un'idea del
seno;
- Concetti, pensiero vero e proprio che
nasce solo nel momento in cui il
bambino sperimenta l'assenza e tollera
questa dimensione, in quanto in questo
modo comincia a inaugurare quel seno
di cui aveva fatto esperienza in termini
percettivi: lo immagina, lo desidera:
nasce il pensiero. La concezione,
quindi, non fa nascere il pensiero
perché il bambino fruisce
dell'esperienza sensoriale: non si pensa
una presenza, la si sperimenta, solo
un'assenza può essere pensata. Quindi il
pensiero nasce dall'incontro tra la
concezione e la mancata esperienza di
realizzazione, ovvero l'esperienza di
frustrazione; in questo modo il bambino
potrà pensare quest’esperienza e dotarla
di significato. Se però il bambino non
tollera la frustrazione, dovrà evacuare
l'idea di un seno cattivo nell'altro o
riempire questo moto con
un'allucinazione.

P.S.: Per Freud (i due principi regolatori dell'apparato psichico) il pensiero nasce come esigenza di
modulare la scarica motoria, che serve sia per modificare la realtà,i sia per liberare la psiche da un
accumulo di stimoli.

Teoria del sogno (controllare nota sul pdf di Ida)


Come abbiamo detto, il pensiero diurno e notturno sono processi assolutamente simili nella
concezione bioniana, in quanto entrambi si fondano sul lavoro della funzione Alfa (tanto che Bion
aveva parlato di lavoro Alfa del sogno). Quindi il sognare è una forma di funzionamento mentale
che, come il pensiero, consente di apprendere dall’esperienza emozionale, trasformando gli
elementi grezzi di un'esperienza emotiva in elementi del sogno alfa, dando la possibilità di
immagazzinare questi dati mentali, di creare ricordi o di rimuoverli.
Una delle basi su cui poggia la teoria del sogno bioniana può essere riassunta in una credenza
popolare sull'incubo che Bion intende capovolgere; infatti, egli scrive: “si soleva un tempo dire che
uno aveva avuto gli incubi perché aveva fatto un'indigestione e per questo si svegliava in preda al
panico. La sua visione dei fatti è, viceversa, la seguente: il tal paziente che dorme è in preda al
panico perché non è capace di avere un incubo, non può svegliarsi, nè addormentarsi; da quel
momento egli ha sofferto di un’indigestione mentale”. Da questo breve stralcio è possibile
individuare alcuni punti cruciali della teoria del sogno elaborata da Bion:
- come si è detto sono simili in quanto poggiano sul lavoro della funzione Alfa. Se è
correttamente funzionante, infatti, chi dorme ha un'esperienza emotiva, la converte in
elementi alfa (mattoncini del pensiero)e diventa così capace di pensieri onirici. Egli ha così
la facoltà di rendersene cosciente (svegliarsi) e di descrivere la sua esperienza emotiva con
un racconto che chiamiamo sogno, ovvero una comunicazione in forma narrativa di pensieri
onirici, i quali, a loro volta, derivano da una combinazione di elementi alfa;
- vi è sicuramente un rimando alla metafora digestiva: l'incubo, innanzitutto, è qualcosa di
fisiologico, è anch'esso un sogno che implica che comunque c'è una mente che lavora e che
digerisce un'esperienza emotiva. L'incapacità di sognare, invece, è un'indigestione mentale,
perché non c'è la capacità di utilizzare gli elementi Alfa, in quanto la funzione Alfa è
alterata. In questi casi ci si trova in un mondo di elementi beta, in un mondo di sensorialità
pura, si tratta della condizione psicotica in cui l'esperienza emotiva non è sottoposta a
nessuna trasformazione, ma si può solo evacuare attraverso alcuni meccanismi come
l’identificazione proiettiva.
Nella condizione psicotica, quindi, non si sogna; il paziente psicotico è incapace di trasformare gli
elementi emotivi grezzi in dati disponibili al pensiero e quindi si trova in una sorta di catalessia in
cui non si è ne svegli, né addormentati. (perché non c’è di fatto un apparato mentale- contenitore-
che possa accogliere tali contenuti- il sogno- i pensieri). Ciò accade in quanto vi è un fallimento
della funzione Alfa, per cui produciamo elementi beta che sono sentiti come “cose in sé”, come
cose concrete, anche le emozioni sono sentite come cose non astratte, ma concrete (per esempio,
com'è stato il bacio? È stato umido). In questi casi, quindi, l'elemento sensoriale viene evacuato
tramite identificazione proiettiva nella psiche o nel soma o nella mente dell'altro, è come se si
utilizzassero gli organi di senso per evacuare una tensione emotiva che non può essere trasformata.
In questi pazienti la capacità di sognare viene soppiantata dalle trasformazioni in allucinosi, ovvero
dalle allucinazioni, della presenza asfissiante della sensorialità per cui il sogno non trova uno spazio
mentale che lo contiene. Per comprendere in maniera più completa la teoria del sogno bioniana, è
possibile fare un confronto tra essa e quella elaborata da Freud, partendo dal presupposto che per …
gli autori il sogno riveste una dimensione centrale, è il guardiano del sonno, ma in maniera
differente:

Freud Bion
che cos'è il sogno per Freud? Il sogno è una che cos'è il sogno per Bion? il sogno è una
soddisfazione, in forma allucinatoria, di un trasformazione da esperienze emozionali
desiderio inconscio; per cui il sogno grezze a dati disponibili al pensiero.
rappresenta un compromesso tra desiderio
rimosso e istanza rimuovete.
Il sogno è la via regina per accedere Il lavoro onirico è per Bion soltanto un piccolo
all’inconscio; infatti, il contenuto latente (il aspetto di un processo continuo che è il
vero significato di un sogno) viene celato dal sognare; questo processo è sempre presente
lavoro onirico che attraverso alcuni nella vita mentale ed è quel processo che vede
meccanismi, come la condensazione e lo in atto la funzione Alfa, ovvero quel processo
spostamento, conduce al contenuto manifesto di trasformazione di una sensorialità in
che è il modo in cui il sogno ci appare. (un immagini disponibili alla vita mentale. In
importante concetto introdotto da Freud è questo senso, quindi, il lavoro onirico è solo
quello di raffigurazione plastica: il sogno ci una piccola parte, mentre sogniamo
attraverso immagini). continuamente.
L'interpretazione del sogno consiste nello Per Bion l’interpretazione del sogno è una co-
svelamento di un significato che è iscritto costruzione di un significato comune tra
nell'incontro, attraverso le libere associazioni terapeuta e paziente, per cui l'attenzione non
del sognatore si decodifica il significato sarà un rivolta alla rimozione o alla censura,
manifesto del sogno per giungere a quello ma a come il sogno prende corpo nella seduta
latente, svolgendo, quindi, un lavoro che va in rispetto alle dimensioni razionali.
direzione opposta a quello onirico.
L’inconscio crea il sogno. Bion ribadisce la concezione del rapporto
inconscio/sogno, in quanto Freud … che con il
lavoro onirico si rendesse comprensibile il
materiale inconscio. Per Bion, invece, il
materiale inconscio deve essere sottoposto al
lavoro del sogno per renderlo idoneo
all'immagazzinamento. Infatti Bion scrive
“Freud dice che Aristotele afferma che il sogno
è il mondo in cui la nostra psiche lavora
durante il sonno; io dico che è il modo in cui
funziona quando è sveglia”.
Topograficamente il luogo del sogno è Topograficamente il sogno si colloca sulla
l'inconscio. barriera di contatto, luogo di trasformazioni.

In sintesi possiamo quindi dire che:


1. pensiero e sogno sono esperienze omologhe che si reggono sul lavoro della funzione Alfa.
2. Il sogno è il primo stadio della formazione del pensiero: le emozioni associate all’esperienza
del soggetto vengono trasformate, attraverso il lavoro del sogno alfa, sia in pensieri diurni
che in pensieri del sogno, che sono l'inizio del processo di apprendimento dall'esperienza
emotiva.
3. Il sogno permette la differenziazione conscio/inconscio grazie alla barriera di contatto che
permette di mantenere inconscia una parte della vita mentale.

La barriera di contatto
La funzione Alfa attraverso il suo funzionamento crea una barriera che Bion chiama barriera di
contatto, dove gli elementi Alfa si condensano, si legano tra loro in diversa misura (per esempio,
possono essere ordinati sequenzialmente ed avere l'aspetto di una narrazione o possono essere
ordinati logicamente, mentre gli elementi beta non hanno capacità di connessione). Bion immagina
la batteria di contatto come una membrana semipermeabile, luogo dove avvengono le
trasformazioni alfa da questa membrana e grazie alle funzioni Alfa che la rende possibile
producendo elementi Alfa, che si potranno generare meccanismi come quello della rimozione. La
barriera di contatto proteggere il funzionamento mentale perché relega gli elementi inconsci una
parte della vita mentale. (preservando il funzionamento mentale da uno stato inconscio della
sensorialità, come avviene per lo psicotico).
Quando non si crea tale barriera, come nella condizione psicotica, troveremo lo schermo beta che
descrive il fallimento della funzione Alfa ed è formato da un agglutinamento di elementi beta: in
questo caso non c'è distinzione tra conscio/inconscio, percezione/allucinazione e sonno/veglia. In
tale condizione si abolisce la capacità di dare significato alle emozioni e quindi avremo prodotti
patologici come allucinazioni, deliri e oggetti bizzarri.

La reverie materna
La possibilità nel bambino di costruire un apparato per pensare i pensieri deriva da due tipologie di
fattori:
- Fattori intrapsichici (tolleranza alla frustrazione)
- Fattori relazionali, come la reverie materna
Ma che cos'è la reverie? Il termine deriva dal francese rev, ovvero sogno, in sintesi possiamo dire
che la reverie è la capacità della madre di farsi un sogno sul bambino e sulle sue dimensioni più
tremende e angosciose, cioè farsi un sogno sugli elementi beta del bambino. In particolare, Bion
interpreta la reverie materna in termini di modello relazionale contenitore-contenuto sulla base
dell’identificazione proiettiva. (ciò significa che affinchè l’esperienza emozionale grezza, … sia
trasformata è necessario un contenitore sia intrapsichico, cioè che viene mosso dalla funzione alfa ,
sia relazionale, reverie materna).
In questa prospettiva Bion definisce la verità come uno stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli
oggetti provocatori dell'oggetto amato; la capacità di reverie comprende la capacità di replicare tutte
le identificazioni provenienti dal bambino indipendentemente dal fatto che le avverta come buone o
cattive. Scrive Bion “è la capacità della madre di sviluppare una sorta di organo recettore”,
quest'organo metabolizza l’emozione grezza, i dati sensoriali grezzi e le esperienze di terrore che il
bambino vive per restituirle al bambino sottoforma di esperienze trasformate, digerite e
detossicizzate. Il bambino interiorizza così, non solo l'elemento emotivo trasformato, ma anche un
modello cioè tale capacità trasformativa. Per esempio, possiamo pensare al bambino che ha fame:
egli percepisce una sensazione spiacevole allo stomaco per cui piange, la madre accoglie questa
dimensione, tranquillizza il bambino, pensa che non sia nulla di devastante, tale dimensione di
terrore viene trasformata in qualcosa di tollerabile. Quando la reverie materna fallisce, il bambino
non reintroietta soltanto un contenuto inconscio non modificato, ma le paure primitive del bambino
saranno reintroiettate come un terrore senza nome, cioè angosce allo stato puro, quelle angosce
primarie descritte da Winnicott come l'andare in pezzi o il cadere per sempre.
Quando invece la reverie materna non fallisce il bambino insieme all'emozione bonificata, introietta
un modello, quindi una modalità del funzionamento mentale dell'apparato per pensare i pensieri. In
questo modo la madre non solo trasforma il contenuto, ma offre al bambino un modello per operare
sulla propria emozionalità.
In definitiva, per spiegare la funzione dell'apparato per pensare i pensieri, Bion offre un modello
relazionale contenuto-contenitore sulla base dell'identificazione proiettiva, per cui:
- gli elementi non tolleranti del bambino (contenuto) vengono allocati nella mente della madre
(contenitore).
- L'apprendimento dall'esperienza deriva dalla possibilità del contenitore, quindi della mente
della madre, di restare aperto, libero da rigidità nell'apprendere nuove esperienze (ciò che
negli scritti successivi Bion chiamerà rapporto con l'ignoto, ovvero disposizioni ad
alloggiare l'emozionalità dirompente).

Come sappiamo, il concetto di identificazione proiettiva, deriva dal lavoro di Melanie Klein;
tuttavia Bion nell'adoperare questo costrutto nel suo modello ne mette in luce aspetti differenti per
cui:
Per Klein l’identificazione proiettiva è:
- un meccanismo intrapsichico;
- un meccanismo patologico
- un meccanismo presente nella posizione schizo-paranoide
- ciò che viene espulso sono partiti pericolose di sè che vengono collocate nell'oggetto, che
viene, così controllato
- una fantasia mediante la quale il bambino alloca parti di sè nella madre, nel nel seno e serve
che, in qualche modo, la madre diventa parti cattive di sé
- vi è un'identificazione proiettiva eccessiva quando nel bambino manca la capacità di
tollerare la frustrazione per cui vi sono delle continue e realistiche iniziative per far provare
all'altro emozioni che il bambino non vuole provare.

Per Bion l'identificazione proiettiva:


- non è un meccanismo di difesa intrapsichico, ma un modello di un meccanismo relazionale,
cioè l'aspetto fisiologico della comunicazione madre-bambino;
- è, quindi, un modello di comunicazione: il bambino alloca nell'oggetto, la madre, i propri
sentimenti cattivi, l'elemento beta, affinché vengano trasformati. La madre, quindi, accoglie
l'esperienza emotiva trasformandola in qualcosa da tollerabile;
- è come il sognare, un meccanismo sempre attivo;
- è un meccanismo patologico, in questo caso Bion parla di identificazione proiettiva
ipertrofica, quando diventa l'unico meccanismo disponibile, per cui si ha quando, insieme al
contenuto intollerabile, il bambino evoca nell'altro anche l'apparato per pensare i pensieri.

Risulta, inoltre, necessario distinguere due tipologie di meccanismi che, ad uno sguardo superficiale
possono sembrare simili: la proiezione e l’identificazione proiettiva.

Proiezione Identificazione proiettiva


Meccanismo di difesa che consiste nel Meccanismo fisiologico della comunicazione
proiettare su un oggetto esterno aspetti non madre-bambino in cui c'è un doppio
tollerabili (Freud … fobie). movimento: proiezione di un elemento beta
nella madre e reintroiezione dell'elemento in
forma digeribile.
L'oggetto su cui avviene la proiezione è Coinvolgimento emotivo dell'altro, la parte che
relativamente importante, per esempio “odio il si trova al polo ricevente dell'identificazione
signor Rossi”, ciò che fa il signor Rossi è proiettiva si identifica con l'oggetto allocato
relativamente importante. nella sua mente, quindi, per esempio, la madre
si modifica in base alle angosce che il bambino
alloca nella sua mente.
La proiezione lascia intatto l'oggetto. L'identificazione proiettiva, quindi, modifica
dall'interno l’oggetto che si trova al polo
ricevente, che si comporta e vive proprio come
l'altro vorrebbe che l'oggetto si sentisse.

La metafora digestiva
Secondo Bion, lo sviluppo psichico in analogia con quello fisico che richiede un’alimentazione …,
richiede un funzionamento alimentare psichico. Infatti, scrive Bion, “possiamo dire che il latte è una
sostanza concreta che viene assorbita e digerita da un canale digerente, dal punto di vista psichico è
l'amore della madre, simile al latte, perché nutre psichicamente il bambino, ciò significa che esiste
un seno psicosomatico a cui corrisponde, nel bambino, una canale alimentare psicosomatico”.
Questo seno è ciò di cui il bambino ha bisogno per procurarsi non solo il latte, ma anche gli oggetti
interni buoni. In tale situazione, il bisogno del seno è una sensazione analoga al seno cattivo. Il
bambino, quindi, non sente di aver bisogno di un seno buono, ma di mandar via il seno cattivo.
Tuttavia, questa mancanza è fondamentale per lo sviluppo di un concetto, quindi del pensiero vero e
proprio che nasce dall’assenza e dalla capacità di tollerare questa assenza, la non-cosa. Ritornando
alla metafora della digestione, la componente psichica (amore, sicurezza e angoscia) richiede, come
quella somatica, un processo analogo alla digestione. Ma come avviene questa digestione? Grazie
alla capacità di reverie materna, che è uno stato mentale aperto a ricevere tutti gli oggetti
provenienti dall'oggetto amato, quello stato cioè capace di recepire le identificazioni proiettive del
bambino. La madre le detossicizza e le restituisce al bambino in forma digeribile, quindi pensabile.
La reverie, inoltre, è un fattore della funzione Alfa della madre. Se la reverie materna fallisce ci
sono 2 opzioni:
- se vi è una buona capacità di tollerare la frustrazione, l’identificazione proiettiva con una
madre incapace di reverie può essere tollerata;
- se questo tratto manca vi sarà l’evacuazione non solo degli elementi beta, ma dell'interno
apparato per pensare i pensieri.

La psicosi
La raccolta più importante di Bion sul tema è “Second though” (secondi pensieri) in cui Bion
raccoglie tutti gli scritti sui casi clinici, sul suo lavoro con pazienti psicotici e sul fallimento del
pensiero nella condizione psicotica. La psicosi, per Bion, non è un'etichetta diagnostica o una
categoria psichiatrica, ma un modo di funzionare della mente che coesiste con altre modalità, infatti
Bion parla di parte psicotica e parte non psicotica di personalità, ciò significa che tutti, nel corso
della vita, possono attraversare degli assetti mentali di tipo psicotico (ad esempio chiamo a casa e
mi rispondono degli estranei). Per Bion, la condizione psicotica è caratterizzata da fallimento del
pensiero, innanzitutto, ricordiamo che l’autore differenzia il pensiero (contenuto) dal pensare,
inteso come processo, la capacità di pensare si sviluppa essenzialmente grazie allo sviluppo di due
fattori, uno di natura innata che è la tolleranza alla frustrazione (tratto del funzionamento mentale
del bambino) e uno di natura relazionale che è la reverie materna (intuizione immaginativa della
madre rispetto alle emozioni del bambino e alle sue necessità). In una situazione fisiologica il
bambino esperisce delle situazioni o sensazioni spiacevoli, ad esempio, la fame: se la madre è
presente può soddisfare il bisogno del bambino, favorendo così l’unione tra le preconcezione e
l'esperienza percettiva; si avrà così la nascita della concezione (qualcosa di percettivo, come un
pensiero vero e proprio). In tale situazione il bambino potrà evacuare il seno cattivo in qualcosa di
reale, il seno esistente, garantendo così un modello di identificazione proiettiva ben riuscito.
Se però la madre è assente non si avrà l'incontro tra l'idea innata di seno (la preconcezione) e
l'esperienza dello stesso, per cui si avrà un cattivo, un non seno, un qualcosa da evacuare.
Ora se il bambino è dotato di una buona tolleranza alla frustrazione, l’invidia non avrà quota elevate
e di fronte all'esperienza di mancato incontro con il seno, il bambino potrà tollerare all'assenza e
quindi comincerà a farsi un'idea di un qualcosa che in passato aveva incontrato (il seno) e quindi
nascerà il pensiero, il bambino tollera il vuoto, la non cosa e essere in grado di trasformare questo
vuoto in un pensiero. Se invece, c'è un'intolleranza alla frustrazione, l'invidia e altre dimensioni di
distruttività hanno livelli molto elevati per cui il bambino non tollera questo vuoto ed evacua questa
sensazione nell'altro, si avrà così un'identificazione proiettive ipertrofica, quindi non un modello di
identificazione proiettiva funzionale in cui la madre trasforma i dati ingeriti del bambino in
qualcosa di tollerabile, in un modello identificazione proiettiva disfunzionale, il bambino evacuerà
non solo gli elementi beta, ma tutto l'apparato per pensare i pensieri; il bambino e evacuerà quindi
tutti gli strumenti che potevano garantirgli la nascita di un pensiero. Avremo, quindi, in questo caso
un fallimento della reverie per cui il bambino non sarà compreso nei suoi bisogni primari e
reintroietterà con quella paura di morire incombente che il bambino ha dalla nascita (legato per
esempio alla fame), alleggerita e trasformata dalla madre in una paura tollerabile, ma reintroietterà
un terrore senza nome, una sensorialità allo stato puro, qualcosa che non può essere contenuto nè
dal pensiero, nè dalla parola.
La psicosi può essere letta in termini di fallimento della funzione Alfa infatti quando la funzione
Alfa è alterata o assente, gli elementi beta non possono essere elaborati e trasformati in elementi
Alfa, quindi, in quelle rappresentazioni utilizzabili per il pensiero e il sogno per cui l'individuo si
troverà a vivere in un mondo di sensorialità pura. Infine, data l'assenza di elementi Alfa, non sarà
possibile la formazione di una barriera di contatto, ma solo uno schermo beta: non vi sarà, quindi,
distinzione tra conscio/inconscio, percezione/allucinazione, mondo interno/mondo esterno e tra
sonno/veglia.
In tale condizione, si abolisce la capacità di dare significato alle emozioni e quindi si avrà la
formazione di prodotti patologici, come allucinazione, deliri e creazione di oggetti bizzarri che sono
particelle distaccate dalla mente e proiettate in un oggetto esterno, che raccoglie queste parti di sé.
Questo oggetto reale non seguirà più, per il suo funzionamento, le leggi della natura, ma segue quei
principi del funzionamento mentale. L'esempio più noto riportato da Bion è quello del grammofono
che spia (delirio persecutorio): tale oggetto esterno acquista le caratteristiche di quelle particelle
proiettate di sè che hanno caratteristiche sensoriali (in questo caso la vista perché il grammofono
spia). La struttura di questi oggetti è caratterizzata da tracce di Io e Super-Io, cosa che li distingue
dagli elementi beta.
Forma di pensiero concreto (concezione) intrisa di sensorialità (com’era il bacio? Umido).
Linking
Il link, o legami emotivi, sono emozioni che si legano agli oggetti, infatti le emozioni non possono
essere mai slegate da una relazione. Il legame quindi è una disposizione mentale di relazione con
l'oggetto e descrive una condizione in cui persone (o parti di esse) sono unite in una relazione; in
particolare il legame, il link può avvenire tra due esperienze emozionali, tra due immagini o tra un
oggetto e un'emozione (ad esempio, amo il mare).
Bion individua 3 tipi principali di legami emotivi:
- L= love- amore
- H= hate- odio
- K= knowless- conoscenza
Tali legami emotivi hanno anche il corrispettivo negativo (-L, -K, -H). In particolare, Bion
sottolinea che amore e odio non sono l'uno il negativo dell'altro, non sono da intendere in termini
opposti in quanto l'odio è comunque un legame emotivo molto forte per cui nel momento in cui il
legame L si scioglie non avremo H, ma avremo il cinismo. La conoscenza, K, è legame emotivo …
perché c'è sempre un soggetto che cerca di conoscere un oggetto, ovvero fa proprio parte
dell'individuo questa disposizione della conoscenza, alla ricerca della verità. Il negativo di K è la
menzogna, in quanto la conoscenza è l'apprendimento delle proprie esperienze emotive più
profonde e ciò, come spiega Bion, comporta sempre una certa dose di dolore mentale, con la
menzogna si cerca di evitare tale dolore per cui si attacca il pensiero e si falsifica l'esperienza
emotiva, con conseguente crollo dell'apparato per pensare i pensieri.
Gli attacchi al legame, infatti, riguardano quella dimensione che è la parte psicotica della
personalità, che attraverso un movimento distruttivo (invidia, arroganza e superbia) distrugge
l'incontro con l'oggetto e in questo modo si preclude l'accesso all'emozione, secondo un movimento
di anti-emozionalità:
Legami Anti-legami (che sono sempre connotati in termini difensivi)
Love (L) Cinismo (-L)
Knowless (K) Menzogna (-K)
Hate (H) …, bigottismo, paura del diverso (-H) -> … dalla dimensione
distruttiva con una moralità eccessiva

Oscillazione PS-> D e fatto prescelto


Secondo Bion alla formulazione dell'apparato per pensare i pensieri contribuiscono due modelli:
- Un modello contenuto-contenitore in cui la madre funge da contenitore del bambino;
- Un modello di relazione dinamica PS, ovvero movimento mentale dalle disgregazioni, dalle
frammentazioni (che può essere paragonata alla posizione schizo-paranoide descritta dalla
Klein, in cui l'individuo entra in relazione con uno stato caotico e frammentario
dell'esperienza) alla coerenza di uno stato di unità (che può essere paragonato alla posizione
depressiva definita dalla Klein, quando, cioè, il bambino entra in contatto con la madre
interna).
In questa oscillazione PS->D si ha non solo un cambiamento cognitivo, ma soprattutto affettivo, c’è
una maggiore tolleranza del dubbio e della frustrazione e si crea un legame emotivo di conoscenza.
Dal punto di vista della clinica, Bion paragona questo fenomeno a quello del fatto scelto, ovvero a
quella sorta di insight che l'analista ha nel momento in cui uno stato di frammentazione e caos
arriva ad un significato. Il fatto scelto, quindi, è l'istituzione di un fenomeno che prima appariva
disconnesso da altri aspetti dell'esperienza e ad un certo punto, grazie a qualcosa che viene colto
istintivamente, assume coerenza. Il fatto scelto, inoltre, non è un'esperienza cognitiva, ma emotiva,
che nasce da quel sentimento di coerenza e scoperta che l'analista ha nel momento in cui, per
esempio, durante una seduta si accorge che gli elementi a disposizione cominciano ad assumere un
senso. Per descrivere meglio questo fenomeno, Bion fa riferimento allo scienziato Poincaré ed in
particolare al suo modo di descrivere il processo di creazione di una formula matematica infatti,
scrive Poincaré, “per avere qualunque valore, un nuovo risultato deve unire tra loro elementi noti da
tempo, ma fino a quel momento slegati ed apparentemente estranei l'uno all'altro ed introdurre
improvvisamente l'ordine laddove regnava l'apparenza del disordine”.

Proposte agli analisti


È possibile distinguere due tipi di trasformazioni:
- Le trasformazioni in K presuppongono una dimensione intellettuale;
- Le trasformazioni in O esistenti grazie al processo psicoanalitico.
“O” è l'origine, la verità ultima, l'inconoscibile, l’inconscio. La conoscenza è un processo che
continuamente la mente vive e ci consente di modulare il dolore mentale; è un modo di stare in
contatto con le emozioni- … che è spesso doloroso senza difendersi, ma sostando in tale esperienza.
Ciò costituisce la dimensione trasformativa dell'esperienza emotiva.
La griglia è un modo di annotare e sistematizzare ciò che avviene in una seduta analitica, è una
forma di resoconto grafico e simbolico. Quindi è uno schema grafico per mettere in dialogo gli
elementi di una seduta, ovvero i … con le funzioni che questi contenuti assumono. La griglia è
composta da due assi:
- Asse orizzontale o asse delle funzioni, se compare un contenuto in seduta, questo contenuto
può avere diverse funzioni in base al contesto, opinione, difesa, ricordo ecc. (per esempio se
un paziente in seduta dice “l'analista mi odia” ciò rappresenta un opinione?, un agito? come
funziona la sua mente dopo questo enunciato?);
- Asse verticale o asse genetico, troviamo tutte le forme di pensiero dalle più rudimentali alle
più evolute.
Compare poi uno spazio bianco lasciato alla creatività dell'analista.
Cambiamento catastrofico: dimensione del cambiamento quando c'è un elemento nuovo che
stravolge il sistema. Il termine catastrofico non denota necessariamente una dimensione negativa,
ma trasformativa e dirompente, che quindi ha una certa violenza perché sovverte un ordine (per
esempio, idea creativa/sistema).
Opacità della memoria e del desiderio, che implica lo stare nel qui e ora. L'analista non deve stare
ancorato né ad un passato, né ad un progetto, ma deve sostare nella relazione, in ciò che accade nel
momento. Ciò, spiega Bion, implica il coraggio di pensare e di attraversare le parti psicotiche del
paziente, l'analista attraversa insieme al paziente quelle dimensioni emotive caotiche e primitive,
che sono ancora prive di significato. In questo … Bion parte dalla lettera scritta da Freud a … e
spiega che il clinico non deve avere il suo campo visivo e mentale l'… dato da un pregiudizio o da
un preconcetto, né la fretta di trovare delle categorie che risultano rassicuranti (per esempio
affrettarsi ad etichettare il paziente come psicotico). In altre parole, il clinico deve possedere quella
che Bion chiama la capacità negativa o capacità del negativo, ovvero la capacità di perseverare
nell'incertezza, di attraversare i misteri, senza lasciarsi andare “a una agitata ricerca di fatti e
ragioni”. (Citazione ripresa da Bion dal poeta Kitz.)

Inversione della funzione Alfa


Equivale alla dispersione della barriera di contatto: con l'inversione, le impressioni sensoriali non
vengono trasformate per essere utilizzate per i pensieri onirici e per i pensieri inconsci di veglia e al
posto della crescita della barriera di contatto si verifica una sua distruzione, infatti, gli elementi Alfa
vengono spogliati delle caratteristiche che li differenziano dagli elementi beta, riprodotti in elementi
beta e proiettati, così da formare lo schermo beta.

Appendice di Guntrip
Quali sono i fattori della funzione Alfa? Attenzione, sistema di annotazione/memoria, scissione,
identificazione proiettiva, oscillazione PS->D e formazione del simbolo. La funzione Alfa
costituisce, quindi, l'operazione cosciente di tutti questi fattori tra loro. In questo modo l'esperienza
… e immediata è trasformata in qualcosa di utilizzabile per pensare.
Quali effetti ha il processo di digestione sulle esperienze immediate? Esso deve in qualche modo
sottrarre loro il carattere dell'immediatezza per mezzo della formazione di immagini alle quali viene
conferito il senso di “essere passate”. Esse diventano “ricordi”, immagini di esperienze passate
immagazzinate per essere utilizzate nell’incorporazione di esperienze future. Ciò non accade
quando le esperienze sono gravate da paura o da dimensioni distruttive: in questo caso, esse
rimangono vive come copri estranei contro i quali si ha bisogno di protezione e l'unico metodo per
fare ciò sembra consistere nel trasformare in cose inanimate, introiettate per poi essere evacuate per
mezzo delle proiezioni. Scrive Bion, “il timore suscitato della paura, dall'odio, dall'invidia è
talmente grande che dei passi vengono compiuti al fine di cancellare ogni coscienza di avere dei
sentimenti, obiettivo ed effetto sono di dare …… la possibilità quelle che nella vita successiva
vengono chiamate comodità materiali senza che vi si accompagni il riconoscimento di un oggetto
vivente che quasi esse scaturiscono”.
La distruzione della coscienza di avere dei sentimenti depersonalizza l’Io e rende possibile la
depersonalizzazione degli oggetti. Quando sia l'Io che gli oggetti sono ridotti a “cose inanimate”
non ci può essere la funzione del comprendere. Ha così inizio la formazione di una personalità
infantile schizoide con tutte le sue incapacità di sentire e di avere e con tutta la sua abilità ad
introiettare e proiettare ciò che non può essere compreso, avvicinato se non per via della paura e
dell'odio. In queste condizioni la funzione alfa non può operare, il pensiero orientato alla realtà non
è possibile e viene posta la base per stati paranoidi e per i disturbi del pensiero schizofrenico.
Se le paure premature sono forti, determinano il tentativo di evitare l'esperienza del contatto con gli
oggetti viventi e ciò si ottiene mediante l'inversione della funzione Alfa.
La teoria bioniana degli elementi alfa e beta sembra realizzare anche un approccio originale al
problema degli oggetti interni e può gettare luce sulle differenze di opinione tra la Klein e Fairbairn
circa la natura delle prime interiorizzazioni. La Klein sostiene che un buono sviluppo dell'Io si
fonda necessariamente sull’interiorizzazione dell'oggetto buono; Fairbairn sostiene, invece, che il
lattante non ha bisogno di interiorizzare l'oggetto buono e che delle buone relazioni oggettuali sono
sufficienti a promuovere un buon sviluppo dell’Io. Ciò sembrerebbe corrispondere al punto di vista
di Bion, secondo cui, l’esperienza non disturbata viene “digerita” e trasformata in pensiero e
memoria che vanno a costruire la batteria di contatto; Bion sostiene che un danno alla barriera di
contatto deriva dall’inversione della funzione Alfa, colpisce la struttura associata alla funzione Alfa,
cioè l’Io. Egli ritiene, quindi, che la funzione Alfa normale comporta uno sviluppo naturale dell'io.
D'altra parte Fairbairn sostiene che ciò che viene interiorizzato è l'oggetto cattivo o l'oggetto
frustrante dal quale l’oggetto cattivo viene scisso. Ciò implica che la formazione di oggetti interni è
un processo patologico, cosa illustrata dalla visione bioniana degli elementi beta come risultati di
un'esperienza indigeribile in quanto disturbata dalla paura e quindi giacente nella psiche come una
cosa in sé suscettibile soltanto di essere introiettata, proiettata e agita. La visione bioniana, secondo
cui la barriera di contatto degli elementi Alfa può essere distrutta e secondo cui gli oggetti bizzarri
possono … in oggetti bizzarri, suggerisce che la creazione di oggetti cattivi interni è un processo
contrastato dallo sviluppo normale dell’Io sano.

Foulkes e la gruppoanalisi
L'eredità freudiana sulla psicodinamica dei gruppi, pur rappresentando il punto di partenza per lo
studio sui fenomeni gruppali, si … dando origine a tre filoni fondamentali:
- Psicoanalisi di gruppo (Bion. …): il gruppo è centrale. Il terapeuta è immerso nell’assunto di
base, ma è colui che mantiene il contatto con la realtà. Egli deve sempre mantenere
l'attenzione su due livelli del gruppo: quello conscio e quello inconscio, evitando di
focalizzarsi su un unico individuo, una … sul gruppo tutto.
- Psicoanalisi in gruppo (filone statunitense con Burrows, Wolf), il gruppo non è al centro
dell'interesse, ma sfondo e dispositivo del setting. Questi autori trattavano con più individui
insieme, con un approccio che è simile alla psicoanalisi individuale (terapeuta direttivo).
- Psicanalisi mediante il gruppo (by the group) (con Foulkes). Foulkes è definito l’inventore
della gruppoanalisi che, come egli spiega, “non è una psicanalisi di un individuo in un
gruppo, ma una forma di psicoterapia pratica, di tutto il gruppo nei confronti del gruppo
stesso, compreso il conduttore”.

Alla base della gruppoanalisi troviamo diversi concetti fondamentali:


- l'idea del gruppo come un tutto, il gruppo, quindi, è un'entità specifica che produce processi
specifici (così come dice Bion)
- il concetto di rete, il gruppo è presente sulla base dell'idea di rete, quindi un gruppo di
rapporto o network, in cui l'individuo è il punto nodale.
In base a questo modello:
1. l'individuo nasce in un gruppo primario che è la famiglia
2. tutti i processi consci e inconsci acquisiscono senso in una rete
3. il gruppo terapeutico è una rete di legami i vari individui rappresentano il punto nodale
di una rete
4. la psicopatologia andrà ritrovata all'interno di una rete specifica, non si guarda, quindi,
alla patologia dell'individuo, ma ad un disagio che nasce in una rete dinamica di
relazioni, che Foulkes definisce plexus.
- Il concetto di matrice. Secondo Foulkes la mente ha una struttura matriciale, ciò implica che
la psiche si struttura per processi interattivi e interpersonali. Parlare di matrice implica
trattare due dimensioni:
1. Matrice personale, matrice primordiale dell'individuo che si fonda sull'esperienza del
gruppo familiare.
2. Matrice dinamica, attualizzazione della matrice personale nel gruppo terapeutico.
Nel modello di Foulkes, la matrice implica sia il … qualcosa di condiviso, sia l’… che … le
relazioni ovvero è lo sfondo nel quale gli individui si incontrano e interagiscono. Quindi la matrice
è il substrato che permea la struttura del gruppo, come se ciò fosse l'atmosfera.
- Il concetto di transpersonale, la mente non è qualcosa di isolato, ma è l'espressione
individuale di processi più complessi che Foulkes definisce appunto transpersonali. Il
transpersonale rappresenta tutte quelle dimensioni impersonali della collettività che
attraversano la nostra identità senza una consapevolezza, quindi vi è una rete di reazioni
inconsce in cui si sedimentano tante dimensioni, a partire da una dimensione biologica,
culturale e che comprende anche quegli aspetti, spesso non pensati, che vengono trasmessi
di generazione in generazione.
Come cura il gruppo? Quali sono i fattori terapeutici del gruppo? Innanzitutto, il gruppo cura
attraverso una rete di relazioni, è lo sperimentare in un luogo protetto un nuovo modo di
relazionarsi. In particolare, Foulkes individua tre fattori terapeutici specifici:
- risonanza: nel momento in cui si entra in un gruppo ci si sintonizza istintivamente con
l’altro, quindi, la comunicazione inconscia è molto istintiva;
- polarizzazione, i vari membri del gruppo rappresentano una … unica, … come eterogeneo,
quindi, i membri si polarizzano su alcuni aspetti.
- relazioni terapeutiche speculari e mirroring, come sappiamo Winnicott aveva sottolineato
l'importanza della relazione primaria, l'importanza della funzione specchio della madre. A
questo proposito Winnicott si chiede “cosa vede il bambino nel viso della madre?” Secondo
l’autore vede proprio sé stesso, ciò implica che la costruzione del sé del bambino passa
attraverso la madre, ovvero la madre grazie alla sua funzione specchio, permette al bambino
di ricreare un'immagine di sé integrata. Se la funzione specchio della madre e deficitaria non
vi è poi quel processo di conferma identitaria.
Il gruppo promuove fenomeni di rispecchiamento: infatti, nel gruppo, l’individuo continua a
conoscere se stesso attraverso l'immagine che gli viene restituita dall'altro ;quindi attraverso l'altro,
l'individuo entra in contatto con delle dimensioni rimosse di sé e il proprio materiale rimosso viene
riconosciuto nell'altro; certamente, poi, ci si riappropria di proprio aspetti emotivi inconosci Ehi, in
questo modo si scopre la propria identità attraverso similitudini e differenze. attraverso questi
fattori terapeutici nel gruppo permette, attraverso il riattivarsi di una rete sociale, la possibilità di
mobilitare nuovi modelli di relazione.
Nell'elaborare la sua teoria Foulkes è stato influenzato dalle concezioni di reti neurali di Goldstein
e della scoperta di ciò che oggi definiamo neuroni specchio. Infatti le basi biologiche dell'inter-
soggettività (per esempio di meccanismi come l'identificazione o l'empatia) sono proprio questi
neuroni che generano una rappresentazione motoria dell'atto osservato e si attivano quando vengono
eseguite le azioni destinate ad uno scopo e quando si osservano le stesse azioni eseguite da altri.
Per quanto riguarda il ruolo del terapeuta, egli è, per Foulkes a servizio del gruppo: esso consiste
nel cogliere ciò che è da ostacolo alla comunicazione attraverso il lavoro di traduzione del
significato, mantenendo, attraverso il proprio assetto mentale, la situazione analitica (definita
situazione T). Quindi il terapeuta lavora sulla comunicazione che occupa, nel modello di Foulkes,
un ruolo fondamentale, infatti, come egli stesso ricorda “sotto la pressione del sintomo e della
sofferenza si fa forte il bisogno di comunicare”, si va da una comunicazione privata (quindi da
segno e sintomo privati dell'individuo) si passa ad una lingua comune, che genera un nuovo
significato, si attiva quel processo che Foulkes chiama discussione liberamente fluttuante, ovvero
una discussione comune-libera simile alle libere associazioni della psicologia individuale.
Anche altri autori hanno messo in evidenza fattori terapeutici del gruppo interessanti, tra cui
sicuramente Bion e …:
- Quindi come cura il gruppo per Bion? Attraverso la mobilitazione di elementi emotivi … e
nello stesso tempo, grazie alla funzione di contenimento, il gruppo crea un campo comune e
si attiva una discussione trasformativa che è la funzione gamma, così come è stata definita
da Corrao, che permette la trasformazione del materiale emotivo (quindi la funzione gamma
è analogo gruppale della funzione alfa).
- Per quanto riguarda …, uno dei fattori terapeutici più importanti da lui messi in luce è quello
della coesione che riguarda l'attrazione che i membri di un gruppo provano verso il gruppo e
i suoi membri. Il costrutto di coesione risulta quello più indagato dalla ricerca empirica
perché è un indicatore di esito e di processo terapeutico positivo. La coesione, inoltre, è il
corrispettivo gruppale dell'alleanza terapeutica, della terapia individuale.
Volendo fare un paragone tra Bion e Foulkes, possiamo dire che:
- Entrambi lavorano con i.c.d. Piccoli gruppi a funzione analitica ( 7-9 persone);
- Bion dà attenzione all'interpersonale, Foulkes al transpersonale;
- Bion rivolge particolare attenzione al sistema proto-mentale, che è simile al concetto di
livello biologico del transpersonale;
- Bion mantiene saldo un orientamento sociale del gruppo, Foulkes un orientamento
all'individuo nel gruppo;
- Per Bion la comunicazione ha a che fare con sentimenti di appartenenza al gruppo, mentre
per Foulkes la comunicazione esprime il sé;
- Per Bion la dimensione inconscia del gruppo si racchiude negli assunti di base, mentre per
Foulkes nel concetto di matrice.
CEFRAF filone francese
Al filone denominato “psicanalisi di gruppo” appartiene anche, insieme a Bion, il CEFRAF ovvero
il filone francese dello studio psicodinamico dei gruppi, fondato da Anzieu negli anni 60. Gli autori
francesi mettono in rilievo due aspetti:
- Il lavoro psicoanalitico nei gruppi, non fa riferimento al solo gruppo terapeutico, ma ad un
lavoro psicoanalitico gruppale che può avere anche altri obiettivi, come quello diagnostico o
formativo;
- Il gruppo è un oggetto psichico, è cioè un oggetto di investimento di pulsioni, di
rappresentazioni e di affetti che si organizzano in formulazioni psiche specifiche.

Anzieu
Per quanto riguarda Anzieu è possibile mettere in rilievo diversi aspetti portanti della sua
teorizzazione:
- I soggetti umani vanno a gruppi nella stessa misura in cui entrano in un sogno. Dal punto di
vista della dinamica psichica, il gruppo è un sogno, ciò implica che il gruppo come il sogno
e il sintomo, è l'associazione di un desiderio inconscio e di una difesa;
- In virtù dei desideri messi in comune dai partecipanti di un gruppo, un altro concetto
fondamentale è quello di illusione gruppale, ovvero uno stato psichico, condiviso da tutti i
membri, che si basa sull'idea di essere in un buon gruppo,” noi stiamo bene con un buon
gruppo e un buon conduttore”, che sostiene una sorta di illusione narcisistica;
- L'idea del gruppo come di un “Io-pelle”, il gruppo è visto come un involucro di pelle
psichica che assicura una funzione di contenimento, confine e di protezione;
- Il concetto di fantasia di gruppo è ciò che regola gli scenari di realizzazione del desiderio
comune. Il fantasma è, per Azieu, tutto ciò che emerge dal gruppo come una
rappresentazione che mette in scena diversi personaggi e dà volto a dinamiche funzionali e
difensive;
- Il concetto di imago che è qualcosa di più evoluto e strutturato, è realtà storica
transindividuale.

Kaes
Uno dei concetti fondamentali dell'opera di Kaes è quello di apparato psichico gruppale che:
- informa di come funziona un gruppo e anche di come funziona l'individuo, in quanto
membro di un gruppo;
- come scrive l'autore è il risultato di un processo di “costruzione comune ai membri di un
gruppo di … e contenuti psichici”;
- Svolge, inoltre, un lavoro psichico particolare in quanto consente una funzione di legare e
trasformazione; infatti, esso assicura la mediazione e lo scambio delle differenze tra la realtà
psichica nelle sue componenti intrapsichiche e intersoggettive e gruppali e la realtà gruppale
nelle sue componenti sociali e culturali;
- Kaes si interroga, inoltre, su come trasformare il concetto di inconscio secondo un modello
gruppale. Egli propone il concetto di soggetto del gruppo, come soggetto dell'inconscio, ciò
significa che il soggetto si costituisce all'interno di una pluralità di legami intersoggettivi,
grazie a modalità di trasmissione psichica fissata da patti, alleanze e contratti inconsci.
Un esempio di ciò sono:
- Il contratto narcisistico descritto da Aulagnier che rappresenta la posizione attribuita a
ciascun soggetto da parte dell'insieme: un bambino, quindi viene al mondo con una sorta di
missione, prendere, cioè, il posto che gli è stato attribuito nel discorso simbolico del gruppo;
- Il patto denegativo è un'alleanza che si produce sottoforma di un diniego comune quando
interviene un elemento che produce trasformazioni tipo cambiamento catastrofico;
Diventano centrali non solo per Kaes, ma anche per certi autori della scuola francese (ad esempio,
Frainberg, Abrham e Torok), i concetti di:
- Trasmissione intergenerazionale ovvero la vita emozionale trasmessa e comunicata
attraverso l'elaborazione e il racconto da una generazione all'altra;
- Trasmissione transgenerazionale che riguarda la trasmissione della vita emozionale senza
elaborazione (elementi beta) attraverso l'identificazione. La trasmissione transgenerazionale
si organizza dal negativo, non solo da ciò che fallisce o manca nella metabolizzazione
psichica, ma anche da ciò che non è rappresentato o non è rappresentabile. A tal proposito,
Abraham e Torok parlano del fantasma allocato in una ferita, si tratta dell'investimento,
nell'inconscio del soggetto, delle formazioni inconsce di un altro che lo assilla come il
fantasma attraverso il mandato di un antenato.
- Un altro concetto importante introdotto da Kaes è quello del lavoro psichico
dell'intersoggettività, un lavoro psicoanalitico sui gruppi opera continuamente attraverso il
processo psichico dell'altro per poter reperire aspetti che non si riesce a produrre da soli (si
tratta del fenomeno del rispecchiamento in base al quale il proprio materiale rimosso viene
alla luce all'interno del gruppo, quando un altro partecipante … questi aspetti), ciò che è
momentaneamente, indisponibile per la mente dell'individuo può essere reso possibile grazie
al lavoro psichico …

Filone Argentino (Pichon Riviere)


Il capostipite dello studio psicodinamico dei gruppi in Argentina è Riviere. Egli tiene unite la
psicanalisi con la psicologia sociale anche influenzato dal particolare momento storico
caratterizzato dalla dittatura (ad esempio il divieto di riunirsi in gruppi). Il concetto fondamentale
trattato da Riviere è quello di gruppo operativo, ovvero un insieme di persone riunite costanti
spazio-temporali che si integrano tra di loro attraverso una mutua rappresentazione interna e si
propongono, implicitamente o esplicitamente, un compito; questo compito avevo andrà a formare la
qualità del gruppo. Quindi esiste un processo e un setting del gruppo che è ciò che consente di
differenziare un semplice raggruppamento di persone e un gruppo vero e proprio (che si riunisce in
un tempo, in un luogo e con un compito). Il gruppo, quindi, si costituisce in base ad un compito che
inizialmente è manifesto, razionale, ma … che il lavoro del gruppo va avanti, viene fuori anche un
compito latente, cioè il lavoro di attraversamento di ansia e difese generate proprio del compito
istituente.
Un altro concetto importante introdotto da Riviere è quello di vincolo (simile a ciò che Bion aveva
definito link) che fa riferimento alla struttura interna che organizza una relazione ed è sempre un
vincolo anche sociale, che va, cioè, contestualizzato.
Dal filone argentino proviene l'idea che la psicopatologia non va collocata nella mente del singolo
paziente, il quale è, invece, l’emergente cioè colui che esprime ciò che appartiene ad un gruppo
(generalmente un gruppo familiare), e quindi si fa portavoce del suo gruppo di riferimento. Il
portavoce all'interno di un gruppo è anche colui che porta l'individuo nel gruppo, ovvero esprime le
dimensioni inconsce di un gruppo, denunciando ciò che accade al suo interno in termini di fantasie
formando espressione e parola.
Un altro aspetto importante introdotto dagli autori argentini è quello del lavoro con lo psicodramma,
in particolare, alcuni autori, inventarono dei veri e propri giochi psico-drammatici, come “il
passaggio dell'oggetto immaginario” in cui ci si passa un oggetto immaginario che, per ciascun
membro, rappresenterà qualcosa di diverso. Tali giochi risultano centrali perchè favoriscono il
pensiero per immagine.

Il sogno
Che cos'è il sogno? Il sogno un modo arcaico e intimo di comunicare, esso rimanda al primo
sviluppo del linguaggio infantile, alla sfera del preverbale, ad una comunicazione intima ed
essenziale, come qualcosa tra madre e bambino. Infatti, l'esperienza onirica ha radici nella vita
psichica dell'individuo a cominciare delle prime relazioni. Il sogno, inoltre, è un evento psichico che
contiene in sé un processo di significazione dell'esperienza. Freud definiva il sogno come una
soddisfazione di un desiderio rimosso in forma allucinatoria, quindi, come il sintomo, una
formazione di compromesso tra desiderio-rimosso e istanza rimovente. In questa prospettiva
l'interpretazione è uno svelamento di significato, un passaggio, da un contenuto manifesto a un
contenuto latente, ovvero si decodifica un testo per pensare ad un altro testo scritto nell’inconscio.
I modelli psicoanalitici più recenti vedono nell'interpretazione, non uno svelamento di significato,
ma una costruzione di senso, spostando in primo piano i processi comunicativi e relazionali. A
questo proposito possiamo ricordare il modello di Bion o quello di Ferro che considera l'onirico
come categoria dell'incontro analitico, prodotto nello stato di veglia dall'incontro tra la mente
relazionale dell'analista e del paziente, un accoppiarsi naturale tra le identificazioni proiettive e la
reverie che producono sviluppo emotivo.

Gruppo e sogno
Per prima cosa, di cosa trattano i sogni in un gruppo? Essi possono riguardare la storia e la vita del
gruppo, delle relazioni o possono essere un messaggio dell'individuo al gruppo, del gruppo al
gruppo o del gruppo all'individuo. All'interno di un gruppo, i sogni parlano tra loro attraverso
reticoli narrativi che … definisce costellazioni oniriche, ovvero sogni risognati dal gruppo, sogni
successivi che permettono all'analista e al gruppo di comprendere aspetti non pensati e non
simbolizzati.
Per quanto riguarda l'interpretazione, in un contesto gruppale, i vari autori sono concordi nel voler
privilegiare il sogno e il sognatore (facendo, quindi, un’analisi individuale del sogno), ma
nell'attenzione una collaborazione di tutti, un “atelier dell'ironico-interpretativo” come lo definisce
Resnik.
In un gruppo, quindi, ogni membro può riorganizzare, reinterpretare il sogno di un altro membro.
Importanti contributi sul rapporto tra sogno e gruppo provengono dalla scuola francese, in
particolare:
- Per Anzieu i soggetti umani vanno a gruppi nella stessa maniera in cui entrano in sogno. Dal
punto di vista della dimensione psichica il gruppo è un sogno. Il tema portante del discorso
di Anzieu è collegato al concetto di illusione gruppale che traduce l'idea che il gruppo viva
in funzione dei desideri messi in comune dei partecipanti: desideri associato alla difesa trova
nel gruppo e la possibilità di essere soddisfatto;
- Per Kaes il sogno è lavorato da una molteplicità di spazi e tempi, sensi e voci, è un crocevia
di più fatti, emozioni, pensieri, ovvero ha una struttura polifonica.
Importante è la funzione del “porta sogno” che ha una funzione …, porta, cioè, l’inconscio nel
gruppo, che risponde alla posizione del sognatore collocato nella topica e nell’economia del gruppo
tra spazi: lo spazio proprio, quello di un fantasma condiviso, quello del legame intersoggettivo
espresso dal transfert.
Come sottolinea …, il sogno rende conscio ciò che era inconscio nel gruppo ed è interpretazione e
costruzione di cui il gruppo benefica in una dimensione trasformativa. È dunque necessario, un
lavoro clinico con i gruppi, creare un contenitore per i sogni. Per F.., in una prospettiva
gruppoanalitica, la possibilità di poter narrare i sogni non è automatica, ma si apprende nelle prime
relazioni. Così come per sognare deve già esserci uno sviluppo psichico, che può consistere
nell’interiorizzazione della funzione contenitrice (alfa) come prerequisito, così per poter
comunicare e condividere i sogni deve esserci la sensazione di una possibile relazione che possa
contenere i sogni narrati.
Un esempio di tecnica di lavoro sui sogni in un gruppo è quella del Social dreaming di Lawrence,
che ha diverse caratteristiche:
- Nella matrice di social dreaming i partecipanti sono … a narrare e condividere i loro sogni, a
fare libere associazioni e ad individuare … attraverso sequenze, elementi comuni e ad
esplorare il loro possibile significato sociale:
- I sogni contengono molte informazioni sulle situazioni e i contesti in cui le persone stanno
vivendo;
- Non è previsto un lavoro sul transfert se non in relazione al sogno come prodotto del
gruppo, né su che funzione possano assumere i sogni nel gruppo (per esempio, funzione
difensiva o evacuativa);
- Per quanto riguarda il setting, generalmente i gruppi vanno da 6 a 70 persone in cicli di 3-6
giorni, o in interventi più lunghi.

Acting-out e Acting-in
Acting-out: azione in quanto ostacolo, blocco o sostituto di pensiero, modalità di scarica di un
individuo, di un desiderio troppo intenso, non rappresentabile;
Acting-in: azione come analizzatore di situazioni; l’agire è tentativo di comunicare in forma pre-
simbolica, l’unica di cui si dispone. In questo caso, quindi, l’acting è una strategia di
comunicazione, di interazione, alla presenza di qualcuno pronto ad accoglierla e comprenderla.

Psicodramma moreniano
Etimologicamente il termine psicodramma deriva dall'unione di due parole greche ovvero psiche e
drama, dove drama deriva dal verbo drao, ovvero “opero, agisco”, quindi, lo psicodramma è la
psiche in azione. Quindi lo psicodramma è un metodo di gruppo (anche se ne esistono versioni
individuali, sebbene meno diffuse) che utilizza la rappresentazione e la narrazione come mezzi di
espressione ed elaborazione di affetti ed emozioni.
Lo psicodramma nasce ad opera di uno psichiatra e sociologo rumeno, Moreno, che mise in luce
come il teatro e la rappresentazione avessero una dimensione terapeutica e catartica. Secondo
Moreno, nel momento in cui si rappresenta la massa in scena permette una sorta di abreazione delle
emozioni: c'è uno stato emotivo che si traduce in azione e attraverso la catarsi è possibile liberarsi
da un conflitto. Quindi, secondo Moreno, è la rappresentazione di per sè ad avere un potere
catartico e terapeutico. Infatti, la catarsi è conseguente ad un … emozionale in cui diventa possibile
rompere la resistenza del protagonista e quindi far emergere … emotivo di cui il protagonista
diventa cosciente, e può avviare un'azione di riparazione e trasformazione.
La catarsi è un costrutto fondamentale del teatro greco e in particolare della poetica di Aristotele,
secondo cui l'osservatore, guardando l'osservatore guardando la messa in scena di alcune emozioni,
si libera da “… passione” è quindi una catarsi che agisce sullo spettatore. Per Moreno, invece, la
catarsi, la vive per lo più il protagonista. Infatti, nella tecnica di Moreno, pur parlando di una catarsi
passiva o secondaria nel gruppo, esso resta sullo sfondo (ed è questa una delle differenze più
importanti tra lo psicodramma moreniano e quello psicoanalitico), ciò significa che Moreno usa il
gruppo come sfondo, in quanto la vera catarsi la vive il protagonista.
Lo psicodramma, per Moreno, è un allenamento, “un riaddestramento in ruoli” per apprendere e
creare nuovi modi di entrare in contatto con la propria spontaneità originaria, intesa come
necessario strumento per trasformare la realtà. Infatti, il ruolo è un’unità di comportamento,
un’unità di comportamento che l’individuo assume una volta che si trova in relazione con gli altri e
si apprende nel contesto sociale, si tratta, quindi, di ruoli fissi appresi a memoria, schematici e
ripetitivi, ed è proprio quando questi voli diventano fissi, rigidi che nasce la patologia, in questi si
imprigionano spontaneità e creatività.
Lo psicodramma assume, così, un'ideologia pedagogica essendo un addestramento alla spontaneità
attraverso l’assunzione di unici ruoli. assieme e sistematico.
Fanno parte dello psicodramma moreniano diversi partecipanti:
- Il protagonista che è l’attore centrale;
- Il direttore che è il regista della rappresentazione e ha un ruolo direttivo, nel senso che è
colui che inizia ad allestire la scena e la dirige;
- Vi sono una serie di IO AUSILIARI, cioè una serie di partecipanti che accompagnano il
protagonista nella messa in scena dello psicodramma;
- Infine, vi è l’UDITORIO, il gruppo che viene ingaggiato soltanto nelle fasi finali di
restituzione.
Diverse sono le regole dello psicodramma moreniano; tra le più importanti ricordiamo:
- Il rappresentare usando la tecnica del COME SE, ovvero si mette in scena una
rappresentazione il cui gesto è simbolico, si invitano i soggetti a immaginare una storia, una
scena da rappresentare con l'immaginazione;
- Improvvisazione, si scelgono ruoli, personaggi da interpretare ecc.;
- Gli IO AUSILIARI, sono coloro che sulla scena giocano la parte di un altro significativo o
del doppio cioè il doppio di se stessi. Il loro ruolo ci consente di delineare un’altra
differenza fondamentale tra lo psicodramma moreniano e quello psicoanalitico. Per capire
bene possiamo immaginare una situazione in cui viene chiesto al protagonista di
rappresentare il rapporto con il padre, che nella realtà era stato severo e maltrattante, ad un
certo punto l’Io Ausiliario agisce in termini accoglienti, ma Moreno non è interessato a tali
trasformazioni.
Invece quando lo psicodramma diventa psicoanalitico, l’attenzione è diretta proprio a queste
trasformazioni; a tal proposito lo psicoanalista … sottolinea che “l’esercizio dello
psicodramma sta proprio nello scarto tra il tema immaginato e il tema che viene
rappresentato. Questo scarto ci dà l’idea della rappresentazione inconscia”.

Lo psicodramma si articola in tre fasi:


- Scelta del tema;
- Rappresentazione;
- Elaborazione conclusiva o sharing (come definito da Moreno), in cui vi è il ritorno alla
parola, si cerca di rintracciare e condividere il senso e il significato della messa in scena,
partendo dai sentimenti e dalle emozioni provate.
Lo psicodramma si basa sempre sull'improvvisazione, a differenza del role playing o della simulata
in cui vi sono dei ruoli prestabiliti.

Psicodramma psicoanalitico
Lo psicodramma inizia a diventare interessante per la psicanalisi quando un gruppo di psicanalisti
francesi ( in primis M…) negli anni 50, si rendono conto di quanto questa tecnica possa essere
d'aiuto nel lavoro con bambini e adolescenti, soprattutto in quelle situazioni in cui è presente un
difetto nell’area della simbolizzazione, lo psicodramma, proprio perché utilizza la rappresentazione,
può essere utile in quelle situazioni in cui ci sono dei difetti della simbolizzazione.
Come diventa psicoanalitica la tecnica psicodrammatica moreniana?
Nel momento in cui vi si introducono i concetti legati alla psicoanalisi classica, primo tra tutti il
concetto di transfert, lo psicodramma può essere considerato psicoanalitico solo quando tiene conto
dell’instaurarsi del transfert e della sua elaborazione.
In Francia abbiamo due modelli principali di psicodramma psicoanalitico:
- Lo psicodramma psicoanalitico individuale, utilizzato soprattutto negli ospedali in cui vi è
un'equipe di specialisti che lavorano con un singolo paziente;
- Lo psicodramma psicoanalitico di gruppo che si rivolge ad un gruppo di pazienti e viene
condotto generalmente da una coppia di co-terapeuti (a differenza del modello moreniano, il
gruppo viene pensato).

Diversi sono i modelli elaborati dallo psicodramma psicoanalitico:


- Modello di Anzieu.
Anzieu rivolge particolare attenzione al lavoro psichico sulla simbolizzazione. I simboli sono le
unità elementari all’interno del gruppo, mediatori tra fantasmi individuali e imago universali.
Per Anzieu l’efficacia dello psicodramma è simbolica, il soggetto drammatico ………….
Attraverso una serie di personaggi che simbolizzano una situazione conflittuale originaria. Moreno
non aveva una teoria del simbolo e del significato, in assenza della quale l’azione viene interpretata
come una scarica motoria. Il contributo della psicoanalisi è fondamentale nel fornire una tale
significazione, così lo psicodramma, inserito in tale cornice, può accedere allo spazio di riparazione
simbolica.
Per Anzieu i principi cui si basa la pratica dello psicodramma sono l'essere, il provare e il
conoscere, per cui sarà importante, innanzitutto, creare una situazione che permetta al soggetto di
essere virgola in secondo luogo, in tale situazione protetta, consentirgli di vivere esperienze che lo
portano a provare emozioni, identificazioni, meccanismi di difesa ecc., infine, innescare un lavoro
psichico di simbolizzazione allo scopo di conoscere il senso di ciò che si prova. Per Anzieu, inoltre,
i rapporti intra-gruppali costituiscono l'essenza dell'esperienza psico-drammatica; infatti egli dà …
alla … fantasmatica tra i protagonisti che si … e quelli che … inconscio individuale sia al transfert
di gruppo per cui lo psicodramma è un lavoro di gruppo sul gruppo.

- Il modello di Kaes
Secondo l'autore lo psicodramma psicoanalitico si fonda su alcune dimensioni fondamentali:
1. Il lavoro dell’intersoggettività, si basa sul principio che ciò che psichicamente
indispensabile alla mente di un soggetto può essere rappresentato grazie alla mente
dell'altro, quindi se c'è un contenuto irrappresentabile per un soggetto, l'altro può
renderlo disponibile;
2. Il rapporto tra parola, gioco e gruppo, il conduttore attraverso la parola, istituisce delle
regole che rendono possibile il gioco, la drammatizzazione, la messa in scena, dopodiché
c'è nuovamente il ritorno alla parola. quindi non è importante sono l'azione, la
drammatizzazione, ma è importante l'articolazione tra linguaggio verbale e linguaggio
per immagini.
3. Lo spazio del preconscio, lo psicodramma si può collocare nello spazio del preconscio,
in quanto entrambi parlano per immagini.
Secondo Kaes il preconscio è l’area del legame e consente i processi trasformazione.

- Modello dei Lemoine


I Lemoine, analisti lacaniani, si occuparono di inquadrare lo psicodramma nella teoria che struttura
l'inconscio come linguaggio, in un terreno di integrazione tra reale, immaginario e simbolico,
seguendo la distinzione di registri di Lacan. Per … ciò che emerge dallo psicodramma permette al
terapeuta di … ciò che non è … . Attraverso lo sguardo e la rappresentazione, l'immagine restituisce
al discorso i ricordi inconsci trasformandoli in parole. Così si può accedere al simbolo e giungere,
attraverso questo, al reale. Il metodo è essenzialmente uno psicodramma individuale in gruppo, vi è
un paziente protagonista che al centro della scena rappresenta il suo problema personale con dei
personaggi ausiliari scelti. Non si lavora sui lavori psichici di gruppo e la parola rimane il mezzo
espressivo privilegiato rispetto all'azione.

- Il modello di Shutzenberg
Definito come psicoanalista triadico, in quanto si basa su tre discipline: lo psicodramma classico
moreniano, la sociometria e la dinamica di gruppo.
Da Moreno prende l'accento dato alla liberazione della spontaneità e dei sentimenti, mentre della
psicanalisi usa la chiave interpretativa. Inoltre, nel suo lavoro, non solo l'individuo, ma anche il
gruppo acquista particolare importanza, infatti il gioco del protagonista è visto come un’estensione
come del vissuto del gruppo, anche se il fulcro delle dinamiche è iniziato all'apprendimento di ruoli
e ad una più generica presa di coscienza.
Interessante in questo modello, è l'introduzione dell'osservatore che aiuta il gruppo nella presa di
coscienza delle proprie dinamiche.
N.B.: In generale è possibile affermare che con lo psicodramma psicoanalitico più che guardare alle
dimensioni di creatività e spontaneità (come nello psicodramma moreniano), intese come
dimensioni trasformative, si guarda all'istituzione di un setting, alle regole, all'elaborazione di un
pensiero sull’ azione su quanto è stato rappresentato. In sintesi, le differenze tra psicodramma
moreniano e psicodramma psicoanalitico sono:
- … Trascura la dimensione della comprensione;
- Moreno non considera difese e resistenze;
- non pensa il gruppo;
- non dà importanza alle trasformazioni.

- Gruppi di formazione
Per quanto riguarda i gruppi di formazione possiamo individuare due contenitori e dispositivi
fondamentali: il gruppo esperienziale nella formazione degli operatori e in particolare dello
psicologo (che si basano su una domanda di apprendimento) e il gruppo di supervisione nelle
istituzioni di cura. (domanda di cura).
- Gruppo esperienziale nella formazione dello psicologo
Per lo psicologo in formazione, il gruppo esperienziale … di … all'apprendimento teorico
l'esperienza vissuta, dunque un apprendere dall'esperienza. Attraversare un'esperienza
psicodinamica di gruppo nella formazione permette di osservare … i … di gruppo nel loro
manifestarsi, le dinamiche dell'istituzione entro il quale il gruppo si inscrive e le peculiarità della
domanda di formazione dell'individuo e del gruppo istituzionale.
- Supervisione e intervisione di gruppo
In ambito psicodinamico un lavoro di supervisione nasce come lavoro sui casi difficili, in generale
la supervisione analitico implica che un analista in formazione sottoponga il proprio lavoro con un
paziente a un analista esperto, lavorando su dimensioni conoscitive, trasformative e terapeutiche.
Hiushelwood sottolinea che il lavoro di supervisione ha come compito quello di illuminare “le
macchie cieche”, “gli …”, ciò che non si vede di un caso problematico. Per quanto riguarda la
supervisione in gruppo, oggi più che di supervisione (esperto/…) si parla di intervisione, in quanto
non c’è una funzione esperta che risiede solo nel conduttore, ma è il gruppo a diventare l'esperto,
assumendo una funzione di supervisione (il conduttore è comunque fondamentale in quanto garante
del setting). Il capostipite del lavoro di supervisione di gruppo è Balint che inizia a introdurre il
lavoro di gruppo in ambito medico. … “gruppi Balint” lavoravano su casi difficili nelle loro
componenti oggettivo/relazionali; in particolare Balint centrò tutto il suo lavoro sulla discussione di
casi clinici in gruppo, in modo che ogni partecipante potesse vivere la relazione medico/paziente,
descritta dal collega che riportava il caso, intervenendo, associando liberamente, producendo
fantasie.
Nelle istituzioni psichiatriche, per la delicatezza del loro mandato istituzionale e per il forte impatto
emotivo che la malattia mentale ha sugli operatori, la supervisione può introdurre l'attività di
pensiero talvolta messa in scacco da meccanismi di difesa primitivi. Quindi l'oggetto della
supervisione si sposta dal paziente o dal gruppo di pazienti, all'istituzione in termini di relazioni e
rapporti tra le parti. Non, più, una supervisione “nell'istituzione”, ma “dell'istituzione”.
La teoria della tecnica
- Il transfert
In senso ampio il transfert designa quel meccanismo che trasferisce inconsciamente nel qui e ora
della relazione clinica impulsi, relazioni oggettuali, desideri, difese ecc., appartenenti ad una storia
collocata in un altrove.
L'eredità freudiana in merito è stata sintetizzata in “dinamica della traslazione” e “5 conferenze
sulla psicoanalisi”, in cui vi è il riconoscimento del transfert come fattore terapeutico. Tuttavia,
come sottolinea Manfredi la nozione freudiana di transfert è polifonica, nel senso che contiene un
insieme di significati che non si escludono tra loro; Essi sono:
- Il transfert è una resistenza in quanto si oppone alla prosecuzione della cura e come tale
deve essere interpretato;
- Il transfert è una falsa connessione, nel senso che un impulso viene trasferito da un oggetto
singolare alla figura dell'analista, il compito è quindi quello di correggere questo
spostamento;
- Il transfert è una ripetizione del passato nel presente.
Attualmente il concetto di transfert ha assunto un'estensione più ampia, includendo non solo la
riedizione del passato nel presente, che il paziente trasferisce all'analista, ma tutta l'organizzazione
dell'esperienza relazionale secondo modelli interni.
Nell'ambito della relazione analitica si possono manifestare diverse tipologie di transfert:
- Il transfert erotico in cui gli elementi seduttivi vanno esplorati ed elaborati insieme a
sentimenti di ostilità e collera primitivi;
- Il transfert psicotico in cui l'analista può per esempio sentirsi simbioticamente fuso con il
paziente, senza sapere più chi dipende da chi o sentirsi costretto a pensare totalmente al
posto del paziente;
- Il transfert narcisistico, che Kohut esprime come transfert-oggetto sè in cui, appunto, va ad
essere traslata una parte di sè per esprimere il bisogno di riprendere lo sviluppo arrestato o
deviato.
Nel transfer, inoltre, si esprime ciò che non è stato risolto. In questo senso viene sottolineato come
esso rappresenti non una semplice ripetizione, ma una collocazione di esperienze vissute, ma non
pensate in una nuova forma che permette una sperimentazione emotiva, che, a sua volta, consente di
rielaborare creativamente il passato.

Il controtransfert
Freud definisce il controtransfert come influsso di sentimenti inconsci del paziente sul medico. Più
comunemente si è passati dall'idea di considerare il controtransfert come un ostacolo al lavoro
analitico, un punto cieco, una resistenza riattivata da conflitti arcaici dell'analista, all'idea di
controtransfert come fonte di conoscenza. A tal proposito Winnicott, invita gli analisti a non
colpevolizzarsi per le loro reazioni negative spontanee derivanti dal carico emotivo che alcuni
pazienti richiedono ma, invece, utilizzare tali sentimenti negativi nell'interesse del paziente.
Il transfert nel gruppo
Nel gruppo il fenomeno del transfert assume una configurazione più complessa; se infatti da un lato
o vi sono i transfert operati da ciascun soggetto sugli altri partecipanti (quelli che … definisce
transfert laterale o transfert fraterno), dall'altro essi avvengono sempre in presenza di un contenitore
che sarà a sua volta investito.
In un'ottica bioniana, il transfert confluisce nella dinamica degli assunti di base, configurazioni
transferali operanti in un campo comune. Dalla scuola francese, … individua quattro oggetti di
transfer in un contesto gruppale:
- Transfert centrale sul terapeuta o un conduttore, che raccoglie generalmente l'imago paterna;
- Transfert laterale sugli altri membri del gruppo;
- Transfer del gruppo sul gruppo, inteso come oggetto psichico che contiene dimensioni
particolarmente arcaiche;
- Transfert sul mondo esterno, sempre dalla scuola francese Kaes sostiene che sulla scena
gruppale, il transfert diventi diffratto, nel senso che il gruppo accoglie connessioni a più
livelli. Per comprendere meglio questo concetto, ci si può chiedere cosa trasformiamo in un
contesto gruppale: trasformiamo elementi nella sincronia (cioè tutto ciò che accende
all'interno del gruppo in un dato momento) ed elementi di diacronia (cioè tutto ciò che
appartiene al passato, come per esempio, elementi di interazione familiare). La situazione
gruppale accoglie tutti questi tipi di dinamiche ed è, in questo senso, che il transfert è
diffratto. Gli autori bioniani utilizzano invece il concetto di campo gruppale, tale costrutto
deriva dagli studi in psicologia sociale, in particolare dai lavori di Kurt Lewin che indica il
campo come un insieme di forze. Gli psicanalisti che adottano il concetto di campo, (come
l'italiano Ferro e i coniugi franco- argentini Baranget), lo intendono come qualcosa che va al
di là della relazione terapeutica, ciò significa che non si guarda più al … della relazione in
termini di dinamiche di transfert e controtransfert, ma si guarda ad un elemento terzo che
non è nè l'analista né il paziente, ma il campo emotivo- affettivo del gruppo, definito dai
Baranget “campo bipersonale”.
Il campo del gruppo comprende uno spazio evolutivo, mentale, relazionale, esperienziale,
uno spazio intrapsichico e intersoggettivo, ma anche transferale e transgenerazionale,
comprendendo, quindi, anche dimensioni culturali e istituzionali.

L’interpretazione
L'interpretazione è un'operazione di mediazione che consiste nel trasformare una forma di
espressione in un'altra più comprensibile, affinché le esperienze mentali e relazionali da ignote e
inesprimibili diventino pensabili.
Per Freud, come espresso ne “l'interpretazione dei sogni”, l'interpretazione è un processo di
svelamento che consente di realizzare l'obiettivo freudiano dell'analisi, ovvero “dove era l'Es, deve
subentrare l'io”. Più recentemente i modelli psicoanalitici vedono l'interpretazione non come uno
svelamento di significato, ma come una co-costruzione di senso. L’interpretazione, quindi, descrive
un'esperienza condivisa e ne sono prerequisiti l'ascolto, il lavoro di riflessione sulla propria
posizione, sui sentimenti che l'interpretazione mobilita nell'analista.
Bion ha mostrato come l’interpretazione sia collocabile in un modello trasformazionale. I contenuti
mentali, le esperienze emotive non elaborate devono trovare un contenitore in grado di digerirli e
metabolizzarli per trasformarli in pensieri; questa è ciò che Bion chiama funzione Alfa. Quindi il
processo psicoanalitico si fonda su una teoria delle trasformazioni: alcune trasformazioni sono
associate alla “conoscenza su qualcosa” (trasformazioni in K) che sfocia in una conoscenza
intellettiva, altre sono esperienze di profonda conoscenza esistenziale (trasformazione in O).
In generale l’interpretazione deve contenere l'idea di un messaggio non definito, che abbia come
obiettivo l'apertura dell'esplorazione di nuovi nessi e pensieri, dovrebbe essere, cioè, ciò che Bion
definisce interpretazione insatura.
A tal proposito Ferro propone la metafora di gioco dei lego: così come nel gioco dei lego, gli
elementi emotivi non servono a completare una costruzione, ma consentono l’aggancio ad altri
pezzi diversi.
In questo modo l'interpretazione diventa quella funzione del lavoro clinico e analitico tesa a creare
un sistema trasformazionale della realtà emozionale.
Per quanto riguarda l'interpretazione del gruppo, la capacità interpretativa non è funzione della sola
condizione, ma è una risorsa collettiva comune. Infatti, come sottolinea Corrao, ogni intervento nel
gruppo fatto da chiunque e da qualsiasi punto di vista, è un'interpretazione dello stesso gruppo.

Il setting
In termini generali è possibile definire il setting come una cornice sia materiale che psichica che,
grazie a condizioni stabili, contiene e allo stesso tempo fonda la relazione clinica. Infatti, attraverso
la definizione di regole, la relazione clinica prende forma nella propria specificità garantendo a
pensieri, fantasie, contenuti mentali, rappresentazioni, un contenitore con dei confini.
Il setting in psicanalisi
Gli scritti di Freud non trattano direttamente del setting, tuttavia in “Consigli sulla tecnica” vi sono
numerosi riferimenti alle condizioni da rispettare in analisi, come la regolarità spazio-temporale,
astinenza dall'analista (ovvero l’astenersi dal soddisfare desideri e richieste del paziente), la sua
neutralità (cioè l'analista assume un atteggiamento di ascolto neutrale, sospendendo il giudizio e
attivando l'attenzione fluttuante), misure che definiscono l'orario, l'uso del lettino e soprattutto la
regola delle libero associazioni che invita il paziente a sentirsi libero di esprimere ciò che viene alla
mente.
Come spiega Genovese l'assunzione di specifiche regole (setting) nel processo analitico ha per
Freud alcuni scopi fondamentali:
- Instaurare una condizione neutra che protegge dalla realtà esterna;
- Ridurre l'attività sensoriale e indurre la regressione a mantenere una sospensione dell'azione
per favorire l'emergere del materiale emotivo;
- Consentire lo sviluppo del transfert.
Una prima definizione di setting si deve a Winnicott che lo individua come dispositivo che
caratterizza la mente dell'analista e la conduzione del rapporto terapeutico; si tratta di uno spazio
fisso e disponibile che funge da holding, da ambiente di sostegno indispensabile fino a quando il
paziente riesce ad autosostenersi, da quel momento il setting diviene un elemento condiviso, un
luogo di incontro trovato e creato dalla relazione, proprio come avviene nel processo di continuo
adattamento che la madre compie nei confronti del bambino. Più recentemente, un contributo
importante sul tema deriva da Bleger (in particolare nel suo lavoro “psicanalisi del setting
psicoanalitico” del 1967) offre anche una lettura psicodinamica delle istituzioni. L'autore sottolinea
che in ogni situazione analitica è possibile distinguere due dimensioni:
- Un processo cioè un insieme di variabili che evolvono, si analizzano e si interpretano;
- Un setting cioè un insieme di variabili che restano costanti (ad esempio fattori spazio-
temporali) quindi un non processo che Bleger definisce setting muto per la sua immobilità
grazie alla quale ha la stessa funzione di che nello sviluppo ha la simbiosi madre-bambino. È
importante, quindi, dare importanza al setting, sottolinea Bleger, non solo quando esso si
rompe, ma quando rimane costante, perché è proprio sugli elementi invarianti che si
depositano le angosce psicotiche dell'identità, la parte più indifferenziata e … risolva delle
personalità, che l'autore definisce parte simbiotica di personalità, (quella che per Bion è la
parte psicotica di personalità).
Per quanto riguarda il contributo delle istituzioni, Bleger distingue due livelli di socialità:
- socialità per interazione, che è la socialità più evoluta che implica la comunicazione, la
differenziazione tra gli spazi psichici;
- Socialità sincretica meno evoluta che è la socialità indistinta che prevede un livello
sensoriale pre-verbale. È un livello primitivo di socialità che Bleger assimila alla
dimensione simbiotica tra madre e bambino.
Analizzando, poi, il rapporto setting-istituzione, Bleger individua in quest'ultimo un dispositivo
“sincretico” della personalità, in essa l'uomo soddisfa i bisogni di sicurezza, identità, appartenenza.

Il setting in psicologia clinica


Qual è la differenza tra setting psicoanalitico e setting clinico? Nell'analisi classica il setting si
offre, si manipola, si interpreta. In psicologia clinica il setting si istituisce e può essere variato oltre
che costantemente interpretato (perché il compito dello psicologo clinico è un pensiero costante sul
setting). Quindi in psicologia clinica vi è una co-costruzione del setting in relazione agli obiettivi,
per cui non esiste solo un setting, ma diversi possibili setting.
Per organizzare un setting sarà necessario tenere conto di quattro parametri:
- Dove, un luogo che delimiti ciò che è dentro e ciò che fuori dalla stanza;
- Quando, un tempo, per cui fissare degli appuntamenti, propone la puntualità, ma ciò
potrebbe da intrusioni sia da parte della realtà esterna (il paziente che arriva in ritardo), che
dalla realtà esterna (pensare le dimensioni individuali e dargli un senso);
- Quanto, un costo;
- Come, le procedure che riguardano aspetti etici e deontologici, come la riservatezza e la
chiarezza degli obiettivi e della metodologia.

Il setting gruppale
In base agli obiettivi e ai contesti è possibile distinguere diverse tipologie di gruppo:
- i gruppi terapeutici (sia in ambito pubblico come le case famiglia, la comunità, centri di
riabilitazione; sia in ambito privato), si pongono obiettivi di cura, trasformazione e
cambiamento. Il concetto di cambiamento terapeutico ha avuto delle evoluzioni negli ultimi
anni: se esso, inizialmente, … in campo psicodinamico, si poteva definire come risoluzione
del sintomo, oggi può essere inteso come acquisizione di nuovi processi, raggiungimento di
una migliore relazione con la realtà, abbandono di funzioni distoniche a favore di soluzioni
maggiormente adattive.
Per Bion, in termini terapeutici, il gruppo produce trasformazioni di pensiero attraverso ciò
che Corrao ha definito funzione gamma, ovvero l'analogo gruppale della funzione Alfa,
quindi la funzione gamma produce trasformazione nei gruppi.
In un'ottica gruppoanalitica, i principali fattori terapeutici sono la coesione (che può essere
considerata l'analogo gruppale della relazione terapeutica; nello specifico essa è l'attrazione
dei membri del gruppo per il gruppo stesso), rispecchiamento e risonanza (per cui si lavora
ad uno di definizione identitaria attraverso similitudini e differenze).
Più in generale sono stati individuati come fattori terapeutici spontanei: l'universalizzazione
dei problemi, lo scambio affettivo, la condivisione.
Un'altra caratteristica fondamentale di gruppi terapeutici è l'omogeneità che può essere
relazione a diversi fattori:
1. sintomi, i gruppi saranno, quindi …, ovvero accomunati da una stessa diagnosi clinica
(tossicodipendenza, anoressia, alcolismo ecc.) o dalla stessa diagnosi medica (malattie
genetiche e tumorali ecc.);
2. categorie professionali o ruoli, per cui i gruppi saranno monotematici; quindi, per
esempio, per quanto riguarda le categorie professionali si potranno avere gruppi di
medici, insegnanti ecc, mentre per quanto riguarda i ruoli si potranno costruire gruppi di
genitori, uomini, donne ecc.
3. per quanto riguarda la struttura e la processualità (quindi spazi e tempi) dell'individuo,
un gruppo terapeutico generalmente si svolge 1 o 2 volte a settimana per circa un'ora,
un'ora e mezza. Il gruppo terapeutico può essere chiuso quando i partecipanti sono
sempre gli stessi, per cui, si avrà un inizio e una fine uguale per tutti, o aperto quando,
cioè, i nuovi pazienti prendono il posto di quelli che se ne vanno ed è una modalità
perlopiù presente nei gruppi terapeutici a lungo termine.

I gruppi di sostegno o di counselling (in cui la domanda di aggregazione è istituzionale) che hanno
obiettivi di narrazione e crescita emotiva personale e interpersonale; supporto a situazioni specifiche
di difficoltà (per esempio legati a momenti di transizione) e sono dunque a tempo limitato. La
relazione clinica si basa essenzialmente sul sostegno e l'empatia, riservando un ruolo marginale
all'interpretazione;
I gruppi di formazione, (come gruppi esperienziali nelle istituzioni educative e formative, o la
supervisione) hanno come obiettivi la conoscenza, la trasformazione, l'acquisizione di competenze
rispetto a oggetti o processi, come, per esempio, la capacità di riflessione sullo stesso processo
formativo, sulle dinamiche interpersonali.
I gruppi, poi, si distinguono per la composizione; a tal proposito De Marè distingue gli small group
costituiti da 7-9 persone (come quelli a funzione analitica); i median group, gruppi intermedi che
possono essere costituiti da un numero di partecipanti che varia dai 20 agli 80; il large group che
possono superare anche le 80 unità.
De Marè sostiene che il problema del piccolo gruppo è quello di “arrivare ad emozionarsi”, mentre
il problema del gruppo allargato è quello di “arrivare a pensare”. Ciò perché nei gruppi allargati vi
sono fenomeni massicci di regressione, la paura della dissoluzione dell’identità, dell'individualità
del partecipante, per cui si attivano difese come il disinteresse, la passività e l'ironia. Per quanto
riguarda la configurazione spaziale, per quanto riguarda i piccoli gruppi, è generalmente una
disposizione a cerchio o a ferro di cavallo; mente con gruppi più numerosi è utile disporre le sedie a
spirale per indicare che il gruppo non ha un inizio né una fine. Per i gruppi con i bambini e
adolescenti, è utile creare gruppi con soggetti che abbiano più o meno la stessa età; generalmente i
gruppi vengono formati distinguendo le fasce di età: 0-3/3-6/6-10/10-18.
Ovviamente le tecniche utilizzate variano in relazione all'età dei partecipanti; per esempio con i
bambini più piccoli si possono usare disegni o la scatola dei giochi, (contenente animali, adesivi
plastilina) (ricordiamo che per la Klein ognuno aveva la propria scatola dei giochi, oggi invece, essa
appartiene all'intero gruppo); mentre con i preadolescenti risultano essere molto utili le tecniche
come lo psicodramma, la narrazione, il racconto e la costruzione di storie.

Osservazione e resoconto
Storicamente, l'interesse per l'osservazione psicanalitica comincia negli anni 50 con Anna Freud
nelle Homsted War Nurseries che accoglievano orfani di guerra. Winnicott rileva, poi, l'importanza
del setting e dell'atteggiamento psicanalitico dell'osservatore. I lavori di Bick si ricordano per la
possibilità di guardare all'osservazione come uno strumento formativo.
Il modello psicodinamico fornisce una lettura dei fenomeni in termini di relazioni transferali e
controtransferali; l'osservatore è coinvolto nella costruzione del campo osservato attraverso il
coinvolgimento del proprio mondo interno; la sua posizione, quindi, è contemporaneamente
centrale e partecipe.
Per quanto riguarda il resoconto, come sistematizzato dava da Carli e Paniccia, è uno dei momenti
centrali: dell'intervento in quanto consente allo psicologo clinico di pensare. In particolare, secondo
Carli, il resoconto è una trasformazione dell'esperienza emotiva del lavoro del clinico in una
rappresentazione formale, nel momento in cui il clinico trova una parola, una rappresentazione
dell'intervento, attiva una trasformazione.

Osservazione e resoconto nei gruppi


Nei gruppi psicodinamici, la presenza dell'osservatore non è sempre … . In contesti come gruppi
riabilitativi, terapeutici, in contesti come le comunità o le case famiglie il discorso è ulteriormente
complesso, in quanto sull’osservatore possono depositarsi dinamiche primitive del gruppo che,
talvolta, assumono una valenza persecutoria; tali emozioni, se non pensate, elaborate, possono avere
il sopravvento e attivare blocchi di pensiero in tutto il gruppo. nella formazione, inoltre, fare
l’osservatore sancisce un percorso. La funzione dell’osservatore è costantemente discussa, pensata,
fatta oggetto di riflessione.
L'osservatore ha fondamentalmente un compito: quello di osservare il gruppo per rinarrarlo, poiché
ogni incontro di gruppo è fondamentalmente una narrazione. Oltre a osservare il gruppo, che è a sua
volta oggetto osservante dell'osservatore in una relazione circolare, l'osservatore osserverà se stesso
e, quindi, il proprio ruolo.
La funzione dell'osservatore è, quindi, quella di fornire una rappresentazione formale delle
emozioni non pensate; è quella di fungere, come spiega Kaes, da portavoce attraverso il lavoro
psichico del preconscio, area di trasformazioni e narrazioni, connessioni, legami tra le
rappresentazioni di cose inconsce e le rappresentazioni di parole. La stesura del resoconto ha
funzioni diverse:
- Per l'osservatore stesso, come riflessione e verifica della formulazione;
- Per il conduttore, attraverso un feedback che si fonda su specifiche dinamiche relazionali e
contestuali;
- Per il gruppo, che sperimenta l'elemento trasformativo che l'osservatore esperisce.

Adolescenza
Psicodinamica dell’adolescenza
I lavori psicodinamici sull'adolescenza cominciano a fiorire intorno agli anni 60/70, grazie
all'evolversi di modelli precedenti.
Avvicinarsi all'adolescenza in un'ottica psicodinamica, significa affrontare diversi tipi di processi,
come l’ irruzione della sessualità, le trasformazioni del corpo con il corrispettivo riattivarsi di
fantasmatiche edipiche e pre-epiche, i meccanismi di difesa con le loro variazioni, la strutturazione
identitaria e il rapporto tra l'adolescente e il gruppo di pari.
Diversi autori e modelli hanno contribuito ad un'analisi sulla psicodinamica adolescenziale:
- Freud, pur non avendo trattato in modo specifico dell'adolescenza, nel terzo dei “ tre saggi
sulla teoria sessuale” (1905), la definisce come una ricapitolazione delle vicende della
sessualità infantile in cui si riorganizzano le pulsioni parziali sotto il primato della genitalità;
inoltre a causa dell’ esplosione pulsionale tipica dell'adolescenza, e necessario un
cambiamento degli investimenti oggettuali, mentre altre quote libiche tornano all’Io
destabilizzato, in un investimento narcisistico. Freud, quindi, tratta il processo
adolescenziale muovendosi su un'asse pulsionale;
- Questa dimensione è ripresa dai coniugi Laufer che sostengono che il compito evolutivo
principale dell'adolescente sia quello di organizzare definitivamente la propria sessualità
integrando, nell'immagine del sé, quella del corpo sessuato. Gli autori, inoltre, introducono il
concetto di breakdown evolutivo ( simile a un crollo psicotico) che consiste in un rifiuto
inconscio del proprio corpo sessuato e di una rottura traumatica (che può essere più o meno
grave) dell'equilibrio precedentemente raggiunto;
- Blos (psicologo dell’Io americano) considera l'adolescenza come un secondo processo di
separazione-individuazione il cui scopo è l'acquisizione di autonomia, quindi uno dei
compiti evolutivi specifici dell'adolescenza è il distacco dagli oggetti interni, prima fonte di
sicurezza, poi disinvestiti a favore degli oggetti esterni. Blos, quindi, nel suo contributo sullo
studio dell'adolescenza, non si muove su un'asse pulsionale, ma su un'asse identitario, in
quanto viene riconosciuto come compito evolutivo principale dell'adolescenza, il
consolidamento dell'identità;
- Questa dimensione viene ripresa da Anna Freud (psicologa dell’Io) che considera come
fondamentale, nella ridefinizione dell'identità adolescenziale, il riassetto delle difese; Anna
Freud mise in evidenza i principali meccanismi di difesa tipici dell'adolescenza:
1. difese contro i legami oggettuali infantili, come lo spostamento della libido, ritiro della
libido su di sè, regressione;
2. difese contro gli impulsi del corpo, primo fra tutti l'ascetismo, come per esempio, le
restrizioni anoressiche come tentativo di controllare il corpo;
3. difese contro le punizioni a livello del pensiero attraverso le intellettualizzazione, con
rimugini , discussioni interminabili ecc.
Un altro meccanismo di difesa che sicuramente domina il mondo adolescenziale e l'acting- out o
passaggio all'atto, che rappresenta un freno al pensiero. Possiamo distinguere due livelli dell’acting-
out:
1. un livello di agito all'interno di un contesto terapeutico, in questi casi molti autori parlano di
acting-in, in quanto l’agito è portato in uno spazio che ne permette un lavoro e
un'elaborazione (per esempio portare il proprio fidanzato in seduta);
2. un secondo livello di acting-out è quello che riguarda le condotte come gli attacchi al corpo
(DCA, autolesionismo) o attacchi alla realtà esterna (vandalismo).
A tal proposito, Blos distingue:
- Acting-out femminile che ha come oggetto per lo più gli attacchi al corpo ed è improntato
sulla sessualità, non esempio può essere nel realizzarsi di una serie di gravidanze ripetute
non desiderate;
- Acting-out maschile che ha come oggetto per lo più gli attacchi alla realtà esterna ed è,
quindi, maggiormente improntato sull’aggressività.
Tutte le dimensioni dell’acting-out, se correttamente elaborate, fanno comprendere che esso … è,
cioè, un linguaggio pre-simbolico e pre-verbale che l'adolescente usa per comunicare quegli stati
interni a cui non riesce a dare parola;
- Sul versante psicosociale, Erikson considera centrale il processo di acquisizione di identità,
definito in relazione al suo corrispettivo patologico, ovvero la … d'identità e la crisi
d'identità;
- Winnicott, nel 65, descrive l'adolescenza con la metafora del “dibattersi nella bonaccia”,
(dove la bonaccia è una situazione caratterizzata da assenza di vento e mare calmo, metafora
della calma apparente dell'adolescenza, della sua dimensione di attesa e sospensione) in cui
sintetizza i bisogni dell'adolescente che oscillano tra lo sfidare l'ambiente, evitare le false
soluzioni e il sentirsi reali, bisogni che l'adolescente manifesta con continue sfide ai genitori
e alla società, i quali dovrebbero rispondere in maniera “sufficientemente buona” adottando
una posizione simile alla preoccupazione materna primaria, che permette al bambino di
sperimentare i propri bisogni e di sviluppare in maniera autentica il proprio Sè;
- Meltzer vede l'adolescenza come un processo simile, ad un lutto da elaborare in quanto vi è
un disinvestimento delle figure genitoriali arcaiche, una perdita del proprio sé infantile e
della propria identità, (spesso sovrainvestiti), che comporta sentimenti depressivi, di
svalutazione e di colpa. Un altro vissuto caratterizzante l'adolescenza è la confusione a causa
della perdita dell'onnipotenza e della conoscenza magica infantile;
- dal versante cognitivo Piaget mostra come l'adolescente … accesso al pensiero astratto. La
conoscenza diventa diviene … quindi non più mera accumulazione dei fatti, ma conoscenza
come fonte di ricerca su se stessi.

I legami gruppali in adolescenza


Dal punto di vista psicodinamico, diverse sono le funzioni del gruppo di pari durante la fase
adolescenziale: in primis esso soddisfa i bisogni di stabilità, di costanza e di sperimentazione;
Inoltre il gruppo dei pari rappresenta un valido sostegno nei processi di costruzione identitaria e in
quelli di separazione dalle figure genitoriali.
A tal proposito, Kaes sottolinea come il gruppo sia uno spazio identificatorio che serve per
transitare dalla dipendenza familiare, all'appartenenza a un altro gruppo sociale, per arrivare ad
occupare il proprio posto nel transgenerazionale.
Secondo Jeannett, l'adolescente vive in un unico spazio psichico allargato, nel senso che
l'adolescente affida e cede ad alcuni oggetti privilegiati, come un fratello o l'anima gemella, la
gestione degli elementi della propria psiche.
Maltzer afferma che nella confusione che domina la condizione adolescenziale, l'adolescente vaga
attraverso varie comunità, gruppi sociali virgola che sono anche aree della mente, in cerca
dell'identità definitiva. Vi sono diversi tipi di comunità:
- La comunità degli adulti, che sono coloro che detengono la conoscenza, in particolare sulla
sessualità;
- La comunità dei bambini, in cui vi è incertezza tra mondo interno/esterno, maschile/
femminile, buono/cattivo, dominata dalla onnipotenza;
- La comunità degli adolescenti, in cui l'adolescente ritrova una dimensione di integrità in
quanto da un lato vi è il rifiuto di appartenere al gruppo del bambino, ma dall'altro la
consapevolezza di non essere pronti al mondo adulto, per cui l'adolescente sosta, in maniera
depressiva, in questo gruppo di pari, in questa dimensione del possibile; (in casi patologici
c’è l'isolamento).

Winnicott mettendo in luce come il gruppo di pari, in alcuni casi, abbia dimensioni protettive, di
sostegno, mentre in altri casi amplifichi i meccanismi di difesa primitivi, come la scissione, la
produzione e l'espulsione per cui il gruppo è utilizzato per dare sfogo, per esempio, a condotte
antisociali, diventando, come scrive Winnicott, un aggregato di isolati (cioè lo stare isolati tutti
insieme); Per cui nascono le bande, i branchi, in cui si cancellano gli oggetti, si disorganizzato le
relazioni, l'azione si sostituisce al pensiero per cui il gruppo perde quella funzione di possibile
elaborazione della sofferenza e dei processi emotivi adolescenziali. (Secondo i Laufer il gruppo di
pari può avere ………………………………………… l'adattamento sociale; possiamo pensare
all'importanza di riconoscersi nei valori, negli interessi, moda e idoli, nel linguaggio, slang, del
gruppo).
Il gruppo dei pari, inoltre, ha funzioni differenti per maschi e femmine, infatti, i gruppi maschili
sono più orientati all'esplorazione e all'avventura per verificare l'autonomia dalle figure genitoriali,
mentre i gruppi femminili sono più organizzati intorno ai simboli e alle parole per elaborare la
nascente femminilità attraverso il confronto o la differenza con la figura materna.
Vi sono, poi, alcune questioni problematiche che si possono riscontrare come disagio
dell'adolescente:
- L'adolescente che tende a rimanere in famiglia e non trova autonomia all'esterno;
- L'adolescente che tende ad entrare in maniera più veloce possibile nell'adultità;
- L'adolescente isolato;
- L’adolescente che ha problemi nel gruppo dei coetanei.

Gruppi terapeutici con adolescenti


Nel momento in cui il clinico si trova ad affrontare un primo colloquio con un adolescente, deve
tener conto di diverse aree di valutazione:
- Il rapporto dell'adolescente con se stesso, per esempio attraverso la richiesta di parlare di sè;
- Il rapporto con la realtà e il mondo esterno;
- Il rapporto con il clinico stesso, la dimensione transferale, attraverso diverse capacità:
capacità di riconoscere un bisogno, di effettuare una domanda e di accettare/contrattare la
dipendenza, (che è la dimensione più temuta dall'adolescente, appunto quella della
dipendenza, della regressione), e di auto-riflessione, riflessione sull'altro e sulla relazione.
Esistono diversi modelli di intervento di teoria della tecnica che provengono per lo più dalla scuola
britannica, dove si privilegia, soprattutto con l'adolescente, un modello terapeutico breve, proprio
per evitare un'eccessiva dipendenza e regressione. A tal proposito risulta interessante il modello di
psicoterapia breve di individuazione proposto da Senise , che ne mette in evidenza le diverse fasi:
- Richiesta di consultazione;
- Colloquio con i genitori;
- Colloquio con l'adolescente;
- Esami testologici ( eseguiti da un altro psicologo per differenziare le funzioni);
- Restituzione all'adolescente dei risultati dell'indagine, elaborazione dei progetti di
intervento;
- Colloqui di restituzione ai genitori, con o senza adolescente (sua scelta);
- Colloqui con l'adolescente per commentare il colloquio con i genitori.
Nel modello proposto da Senise risulta fondamentale il coinvolgimento dei genitori per diverse
motivazioni:
- per conoscere il modo in cui essi si pongono nei confronti del figlio;
- per conoscere le modalità di comunicazione in famiglia;
- per allentare le tensioni presenti in famiglia;
- per conoscere il gioco di identificazioni proiettive che rendono problematico il trattamento.
Una domanda necessaria da porsi nel momento in cui si lavora con adolescenti riguarda sicuramente
il setting e in particolare, se il setting psicoanalitico classico è adeguato nel lavoro con gli
adolescenti. A tal proposito, scrive la Fraiberg, che “gli scopi della pubertà e gli scopi dell'analisi
sono ostili l'uno all'altro”: ciò perché gli agiti, l'esternalizzazione dei conflitti, la regressione
rendono la rigorosità del classico setting psicoanalitico inadeguato ai bisogni dell'adolescente.
Risulta, quindi, necessario un setting più flessibile. A tal proposito, Winnicott sottolineava che in
presenza di un Io fragile, non strutturato, non ha senso fare leva su quegli strumenti dell'analisi
come l'interpretazione, ma è necessario fare leva sullo strumento del setting, affinché assuma le
funzioni di holding e sostegno di cui l'adolescente ha fortemente bisogno. Per realizzare ciò sono
utili accorgimenti della tecnica come:
- Lavorare sulla vicinanza empatica;
- … nell'interpretazione del transfert;
- attenzionare come l'adolescente usa il tempo interno, ma anche esterno, (per esempio se
l'adolescente si presenta negli ultimi minuti della seduta, il terapeuta dovrà comunque
dedicare quell'ora ad una riflessione su quell’adolescente);
- sviluppare la capacità di farsi investire dai contenuti emotivi dell'adolescente che sono
sempre particolarmente intensi e travolgenti, (quindi lavorare sulle dimensioni
controtransferali).

Per quanto riguarda il gruppo terapeutico con gli adolescenti:


- esso rappresenta un contenitore dove attivare uno spostamento sui pari di aspetti conflittuali
che riguardano gli aspetti genitoriali;
- al suo interno la regressione viene tollerata grazie alla possibilità di esperire elementi di
coesione come il rispecchiamento narcisistico;
- esso si costituisce grazie ad un conduttore adulto e si basa su una differenza generazionale;
il ruolo dell'adulto è centrale perchè pone sia il limite che gli elementi del setting. La
posizione del terapeuta, in questi casi, sarà ancora più complessa in quanto si confronterà
con stati emotivi forti, potrà essere bersaglio di differenza e rifiuto; suo compito sarà quello
di sostare in questa dimensione di vuoto, sospensione e confusione in quanto, in questo
modo, il gruppo potrà divenire uno spazio per pensare.

Winnicott, il dibattersi della bonaccia


In questo saggio del 65 Winnicott affronta il tema dell’adolescente che, da un punto di vista
dinamico, è quella fase in cui il ragazzo si confronta con i problemi della pubertà.
L'autore sottolinea come, nel suo tempo, si sia sviluppata una maggiore coscienza sociale circa il
fenomeno dell'adolescenza, tanto da denominare quel periodo storico “tempo per l'adolescenza” in
quanto si lascia che l’adulto si formi in virtù di processi naturali dell'adolescente, chi avanza sotto la
spinta di tendenze allo sviluppo. Precedentemente, invece, si cercava di camuffare questa fase (Per
esempio presso alcuni popoli l'adolescente veniva trasformato in adulto nel giro di poche settimane
attraverso riti e prove di passaggio).
la possibilità dello sviluppo del “tempo per l'adolescenza” è stata garantita da 3 grandi cambiamenti
sociali:
1 e 2= la cura delle malattie veneree e l'invenzione di metodi contraccettivi che hanno consentito
agli adolescenti di vivere e di esplorare i propri istinti sessuali;
3= l'invenzione della bomba atomica che ha eliminato la necessità di quelle rigide educazioni
militari che potessero nascondere il vivere adolescenziale.
Riconoscere che l'adolescenza esiste e la persona diventa adulta solo grazie al passare del tempo e ai
processi di maturazione, significa riconoscere che l'adolescenza non può essere curata, o meglio
l'unica cura possibile consiste nel tempo che passa e nel graduale processo di motivazione, i quali,
insieme, avranno come risultato finale l'emergere di una persona adulta.
In realtà è lo stesso adolescente ad essere più o meno cosciente in quanto uno dei suoi bisogni
fondamentali è l'inaccettabilità delle false soluzioni, il ragazzo, da un lato , cerca una cura
immediata, dall'altro rifiuta costantemente le soluzioni fornite dagli adulti (esercizio fisico, …
intellettuali) perché in esse avverte qualcosa di falso: l'adolescente sa, più o meno,
consapevolmente, che le soluzioni offertegli sarebbero dei palliativi e che l'unica cura per una tale
tempesta emotiva è il passare del tempo.
L’adolescente vive, quindi, una fase di “dibattersi della bonaccia” (apparente calma … dietro cui vi
sono diverse tensioni): la bonaccia è lo stato del mare calmo e senza vento, è il momento in cui il
ragazzo è sospeso alla ricerca della propria e autentica identità che non sia un ruolo assegnato. Il
ragazzo si sente, quindi, inconsistente per cui un altro bisogno fondamentale è quello di sentirsi
reale, in particolare l'adolescente si sente reale in quelle cose di cui la società ne risente, che ci
consente di comprendere da un lato il tipico comportamento adolescenziale di difesa, dall'altro la
sospensione del ragazzo tra il rifiuto e la dipendenza dell'ambiente esterno.
Questo atteggiamento di sfida, però, deve essere distrutto dalla tendenza antisociale patologica, non
tanto per la fenomenologia quando per l'eziologia. Infatti, alla base della tendenza antisociale vi è la
deprivazione, (madre depressa; lutto), il bambino antisociale, quindi, chiede al mondo di ripagare il
suo debito, attraverso la delinquenza chiede di essere visto, (per esempio nel testo di Winnicott “il
furto come speranza”, il furto viene interpretato come richiesta di essere finalmente visti e
riconosciuti). Anche alla base dell'adolescenza c'è la privazione, (infatti, scrive Winnicott, senza
frustrazione non emerge l'individuo), ma non di intensità ampia come nel caso delle condotte
antisociali.
Per quanto riguarda la dimensione gruppale, Winnicott definisce il gruppo spontaneo di adolescenti
come “aggregato di isolati”, in quanto ogni adolescente è isolato, incompreso e vuole essere
“sufficientemente incompreso”.
Ora abbiamo detto che l’adolescente si sente reale quando fa cose di cui la società ne risente,
proprio per questo motivo spesso gli adolescenti si aggregano in gruppi attorno ad un individuo con
tendenze antisociali; l'adolescente, quindi, si serve di questi individui, che provocano la società, per
sentirsi reali. Se … accade, cioè, se non è presente l'individuo depresso o che fuma, non vi è la
possibilità per l'adolescente di manifestare i sentimenti nascosti dietro la bonaccia e quindi il gruppo
si sgretola.
Come deve comportarsi l'adulto in questa fase? Deve rifiutare l'idea di offrire una soluzione per
uscire dalla bonaccia, ma accettare l'idea che l'adolescenza passi da sola, fornendo all'adolescente
un ambiente in cui il bisogno di dipendenza, che accompagna sempre la sfida, possa trovare
accoglimento. Ciò, per il clinico, si traduce nella capacità di saper sostare in quelle dimensioni di
sospensione, accompagnare l'adolescente standogli empaticamente accanto e soprattutto, non
patologizzare l'adolescenza.
Inoltre, Winnicott dà molta importanza all'ambiente, non solo inteso come ambiente esterno, ma
come aree della mente necessarie alla costruzione identitaria.

Blos, il secondo processo di separazione-individuazione


L’autore definisce l’adolescenza come il secondo processo di separazione-individuazione, durante
questa fase evolutiva (che oggi gli autori suddividono in prima adolescenza 12-14 anni; media
adolescenza 14-16; tarda adolescenza 16-19) avviene un processo di ristrutturazione psichica che
Blos definisce “secondo” in quanto il primo ha avuto luogo verso la fine del terzo anno di vita con
l'acquisizione della coscienza di sé e la costanza oggettuale, come individuato dalla Mahler. Tra
primo e secondo processo di separazione-individuazione è possibile individuare angosce e
differenze.
Per quanto riguarda le analogie:
- In entrambi i periodi vi è una cresciuta vulnerabilità dell'organizzazione di personalità;
- entrambi i periodi richiedono una modifica della struttura psichica in assonanza con le spinte
allo sviluppo;
- entrambi i periodi, se portati avanti male, sono seguiti da psicopatologie che rispecchiano le
rispettive carenze a livello di individuazione.

Per quanto riguarda le differenze:


- primo processo di separazione-individuazione
1. prevede la nascita della membrana simbiotica con la madre per diventare un bambino
individuato
2. Super-io arcaico molto rigido
3. Interiorizzazione degli oggetti di odio e amore (il bambino interiorizza gradualmente la
figura della madre diventando meno dipendente dalla sua presenza fisica)
4. L’Io genitoriale è, per il bambino, un'estensione del proprio l’Io al servizio del controllo
dell'ansia e della regolazione dell'autostima (Caratteristica principale della dipendenza
infantile)

- Mentre il secondo processo di separazione-individuazione:


1. prevede un distacco dalle dipendenze familiari, abbandono deli legami oggettuali
infantili;
2. Super-io edipico meno rigido;
3. Dipendenza dall’io genitoriale ripudiato, il che, insieme all'intensificarsi delle pulsioni,
determina una maggiore debolezza dell'io.

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