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I Edizione: 2016
Daniel Lagache (1903-1972), universitario di rango, è stato tra i protagonisti del movimento psi-
coanalitico francese. Sostenitore della “unità della psicologia”, ha dedicato molti lavori al problema
del transfert. Il Rapport del 1951 è il più completo di essi.
In copertina: Rashid Johnson, Promised Land (2008) spray su specchio. The Rubell
Family Collection, Miami, 2009 (modificata).
Indice
Parte I
Daniel Lagache, Il problema del transfert, 1951 ........................................ 1
Parte II
Il problema del transfert nella clinica individuale. Da Lagache a oggi....... 103
Presentazione, di Stefania Napolitano ....................................................... 105
1. A ridosso del Rapport. Il problema del transfert, anni 1950-1959
(Gilda Di Mezza e Roberto Bonetti) .................................................... 107
Bibliografia 1950-1959 ................................................................ 130
2. Melanie Klein: il mondo interno nel transfert
(Carmela Guerriera e Daniela Cantone) ............................................. 138
3. L’analisi interminabile e la nevrosi di transfert.
Il problema del transfert, anni 1960-1969
(Roberto Bonetti e Gilda Di Mezza) .................................................... 165
Bibliografia 1960-1969 ................................................................ 178
4. Il transfert nell’insegnamento di Jacques Lacan (Stefania Napolitano) .. 183
5. Il problema del transfert, anni 1970-1979.
Tra “scuole” e “efficacia” (Carlo Paone e Maria Pirozzi) ...................... 206
Bibliografia 1970-1979 ................................................................ 220
6. Il transfert per Donald W. Winnicott (Massimiliano Sommantico) ..... 227
7. “Hic et nunc” o Lacan? Il problema del transfert, anni 1980-1989
(Christian Lombardi e Alfonso Davide Di Sarno) ................................ 250
Bibliografia 1980-1989 ................................................................ 261
8. Wilfred R. Bion: il transfert come spazio transitato (Eugenio Tescione) 269
9. Il problema del transfert alle soglie del nuovo millennio. 1990-1999
(Maria Pirozzi e Christian Lombardi) ................................................ 298
Bibliografia 1990-1999 ................................................................ 321
10. In relazione con l’oggetto dell’enigma. Laplanche e il transfert
(Riccardo Galiani e Elena Garritano) .................................................. 336
11. Contaminazione e ristrutturazione:
il problema del transfert, anni 2000-2009
(Alfonso Davide Di Sarno e Carlo Paone) ............................................ 356
Bibliografia 2000-2009 ................................................................ 372
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Il problema del transfert 1895-2015
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R. Galiani - Dalla croce al problema… e ritorno. Per introdurre al problema del transfert
Autori
Roberto Bonetti, psicologo, membro del gruppo di ricerca “Il problema del
transfert” (Dipartimento di Psicologia, Seconda Università degli Studi di
Napoli, SUN).
Daniela Cantone, è ricercatrice e docente per il settore di Psicologia clinica
al Dipartimento di Psicologia della Seconda Università di Napoli (SUN).
Socio ordinario dell’Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica
dell’Infanzia, dell’Adolescenza e della Famiglia (A.I.P.P.I.). Ha incarichi di
docenza nella Scuola di Specializzazione in Psichiatria del Dipartimento di
Psichiatria della SUN.
Gilda Di Mezza, psicologa, membro del gruppo di ricerca “Il problema del
transfert” (Dipartimento di Psicologia, SUN).
Alfonso Davide Di Sarno, psicologo, membro del gruppo di ricerca “Il pro-
blema del transfert” (Dipartimento di Psicologia, SUN).
Riccardo Galiani, psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana, profes-
sore associato di Psicologia Dinamica (Dipartimento di Psicologia, SUN),
redattore di “notes per la psicoanalisi”. Tra le sue pubblicazioni recenti:
Contenimento Seduzione Anticipazione (2010), “La situazione psicoanali-
tica come rottura della comunicazione ordinaria” (in P. Fédida, Aprire la
parola. Scritti 1968-2002, 2012), “Pour une métapsychologie de la parole:
trajectoires de l’œuvre de Pierre Fédida” (in P. Fédida, Ouvrir la parole,
2014), “Autobiografia di un vivente in tre capitoli (più uno). Note per
Louis Wolfson” (in M. Balsamo, L’autobiografia psicotica, 2015). Coordi-
natore del gruppo di ricerca “Il problema del transfert” (Dipartimento di
Psicologia, SUN).
Elena Garritano, psicologa, ha conseguito il titolo europeo di Dottore di
Ricerca in “Studi di genere” nel 2011 (Università degli Studi di Napoli
“Federico II”). Frequenta la Scuola di Specializzazione in “Psicologia clini-
ca” dell’Università di Torino.
Carmela Guerriera è professore associato di Psicologia Dinamica al Diparti-
mento di Psicologia della Seconda Università degli studi di Napoli (SUN).
Socio ordinario dell’Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica
dell’Infanzia, dell’Adolescenza e della famiglia (A.I.P.P.I.), docente della
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica per bambini, ado-
lescenti e famiglie, dell’A.I.P.P.I.
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1 Lettera di Freud a Pfister, 5 giugno 1910: “…la traslazione è una vera e propria croce”: S. Freud, O. Pfister,
1909-1939, Psicoanalisi e fede. Lettere tra Freud e il pastore Pfister; tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1970 e
successive, p. 39.
2 In precedenza “Conférence des psychanalystes de langue française des pays romans”, l’incontro prese poi,
nel 1960, la denominazione di “Congrès des psychanalystes de langue française” (de Mijolla, 1991).
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3. Che il lavoro svolto ricorrendo agli insidiosi servigi del transfert consi-
sta in un’attività di scioglimento di vincoli affetto-rappresentazione patogeni
che si svolge all’interno di un circuito “rappresentazione di parola (ricercata
o presente)/ ascolto/ nuova rappresentazione di parola”, è un aspetto lasciato
piuttosto in ombra nel Rapport, pur essendovi sottolineata la specificità della
parola e del discorso analitico; nel complesso, l’atteggiamento di Lagache pas-
sa prevalentemente dalle posizioni “riduzioniste” che contraddistinguono testi
9 Il corsivo segnala l’aver voluto intenzionalmente introdurre nel termine una maggiore indeterminazione
rispetto alla formula “passato infantile” usata da Lagache, perché l’oltre mezzo secolo di ricerca psicoanalitica
trascorso testimonia della necessità di superare la confusione tra “infantile” e “infanzia”. L’infantile è il sessuale
infantile che non passa, pur sorgendo storicamente in un tempo passato che corrisponde all’infanzia; tra i nu-
merosissimi riferimenti possibili, rimando per comodità, oltre che allo scritto di Patrizia Cupelloni, all’insieme
dei lavori presentati all’ultimo Congresso degli psicoanalisti di lingua francese (Lyon, 2015).
10 . In questo stesso testo, Lagache (1954, p. 144), per presentare gli “effetti positivi del transfert”, fa ricorso alla
tesi di Bibring (1943) sulla “tendenza restitutiva”, che gli pare ben illustrare la possibilità di utilizzare evolutiva-
mente la ripetizione: “…perché la liquidazione [della libido fissata alle mete della sessualità infantile] sia possibile,
occorre ancora che il problema passato sia nuovamente posto, sul terreno e nei termini dell’analisi. Detto altri-
menti, occorre che la coazione a ripetere sia utilizzata da parte dell’Io sotto la forma di una tendenza restitutiva”,
restituendo cioè all’affetto [“emozione”] la possibilità di svolgersi in un “nuovo contesto”. Il ricorso alla tesi della
restituzione è un effetto dell’influenza su Lagache, evidente in tutti i suoi scritti sul transfert, di Balint (1951).
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11 “…la formulazione dell’esperienza analitica in termini di linguaggio o di condotta diviene in parte una que-
stione di parole e di scelte. La scelta del linguaggio risponde ad un’opzione umanista, alla preoccupazione di espri-
mere la quint’essenza dell’esperienza analitica, di sottolinearne la natura sui generis di esperienza intersoggettiva e
simbolica; ma la totalità dell’esperienza è veramente connotata dal discorso?” (Lagache, 1952-1953, p. 117).
12 “Si è esagerato nel vedere la psicoanalisi come un progresso della conoscenza di sé compiuto attraverso il
linguaggio: essa è innanzitutto un apprendimento nella e attraverso l’azione” (1949b, p. 119).
13 Questa enfasi resta un punto di convergenza tra Lagache e Lacan, di cui è a suo modo testimone anche Ida
Macalpine, autrice di un lavoro molto apprezzato –a ragion veduta- da entrambi. Per quanto concerne l’inci-
denza della declinazione husserliana nel modo in cui l’intersoggettività incontra la psicoanalisi, mi permetto di
rinviare a quanto richiamato introducendo la raccolta di scritti di P. Fédida Aprire la parola (Galiani, 2012).
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14 “Ciò che rimprovererei a Lacan… è di aver parlato in modo un po’ tendenzioso della formula one body, two
body, three body psychology… Lacan fa dei termini un uso malizioso, fingendo di capire che si tratti del corpo…
ma ciò non toglie che troviamo anche lì una testimonianza del favore che conosce l’intersoggettività. Anche io
ho provato a sottolineare l’importanza di questo punto di vista… utilizzando le strutture in prima, seconda e
terza persona, poi introducendo il concetto di ‘campo psicoanalitico’, ossia di campo delle interazioni tra psico-
analista e paziente” (Lagache, 1956, p. 275). Per i “rimproveri” di Lacan a Lagache e al suo Rapport del 1951
rimando invece a quanto scritto da S. Napolitano (2015, infra) commentando il testo di Lacan in cui essi sono
formulati in maniera sistematica, ossia “La direzione della cura” (1958).
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Nelle poche pagine che Lagache vi dedica, il posto che occupa la questione
dell’amore di transfert in quanto “ripetizione” (“l’amore di transfert è una
ripetizione”) è a sua volta emblematico; in esse vengono precisate questioni di
primo piano (è la situazione, più che la persona dell’analista, a essere implicata
nella genesi dell’amore di transfert), ma l’accento sulla natura di “caso parti-
colare”, incontestabile nei termini in cui Freud espone l’amore tutto sommato
come passione dell’innamoramento, offusca il fatto che è altrettanto vero che
proprio quando sancisce il passaggio del transfert da “ostacolo” a potenziale
“migliore alleato”, in una nota del 1923 al “Frammento di un’analisi d’iste-
ria”, Freud rimanda non allo scritto sulla dinamica del transfert, ma appun-
to a quello sull’amore di transfert, che per altro chiude gli “scritti tecnici”22.
Rimandare a questo scritto significa rimandare all’esperienza la cui potenza
affettiva meglio rende conto del legame consustanziale tra transfert e ripeti-
zione, facendo del primo, in quanto elemento attuale (presente e in atto; the
pressant, chiamava il presente Joyce), il più potente alleato della cura23. Nella
potenza affettiva, nell’attualità della passione non di rado pressante del trans
fert, risiede l’adeguatezza dell’immagine proposta – non a caso, è evidente –
da Freud al pastore Pfister: il transfert è una croce.
Un’esperienza, un tragitto “di passione” in cui gli “io” coinvolti, gli “io” non
solo dei pazienti, sono costantemente a rischio nella loro funzione sintetica; si
tratta di un aspetto che è pur sempre presente nel Rapport di Lagache, e lo si
ritrova anche dove non lo si attende, ad esempio nella sua discussione delle po-
sizioni di Nunberg (Lagache, 1951b, infra). Per quanto fare riferimento a Her-
mann Nunberg fosse, all’inizio degli anni ‘50, un argomento “di scuola”, alcuni
degli aspetti rilevati da Lagache del lavoro di questo freudiano della prima ora
conservano una certa vitalità, perché sebbene la critica –implicita- di Nunberg
alla “neutralità”, portata avanti attraverso il parallelo con l’ipnosi (cfr. infra),
riecheggi, intesa nella maniera forse più semplicistica, in alcune delle considera-
zioni a favore dell’ingaggio dell’analista come persona nella “relazione analitica”
(ingaggio che può spingersi sino a una “self-disclosure”: cfr. Pirozzi, Lombardi,
2015, infra), quando Nunberg, e Lagache con lui, torna sulla debolezza dell’io
(dell’io dei due protagonisti) nella situazione analitica, ciò su cui viene richia-
mata l’attenzione sono invece gli effetti di un dominio del processo primario di
cui solo la garanzia della dimensione di estraneità (nei termini richiamati con
insistenza per esempio da Fédida: 1982, 1995), può rendere conto.
L’analisi condotta da Lagache non è dunque del tutto al riparo da alcune
delle “incongruità” che abbiamo richiamato. Il transfert però, come ricordava
22 Freud, 1901, tr. it. p. 398; cfr. su questo anche Suchet, 2015, p. 120.
23 Sul modo di leggere l’attualità del transfert si veda anche quanto scritto da A.M. Nicolò Corigliano, 2007,
e da Dominique Scarfone, 2011; 2014. Per Joyce cfr. Finnegans Wake, 1939.
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R. Galiani - Dalla croce al problema… e ritorno. Per introdurre al problema del transfert
lo stesso Lagache, è uno dei cardini della teoria psicoanalitica non solo in
quanto protagonista assoluto e strumento essenziale dell’azione terapeutica,
ma perché costituisce “una via di passaggio dalla pratica alla teoria” (infra);
è su questa strada che un tentativo di presentazione sistematica, sotto forma
di “problema” analizzabile e dunque scomponibile, trova tutta la sua attuali-
tà, purché si trovi pure il modo di aver sempre presente la “provvisorietà” di
questa sistematizzazione. Immerso in questo momento sistematizzante, non si
può certo dire che il lavoro di Lagache rientri tra quelli che “shoccano”, come
secondo Bonnet (1991, p. 14) accade spesso quando ci si occupa di transfert;
ma l’operazione problematizzante di Lagache non è manualistica, e, al di là del
riduzionismo evidenziato, lo sforzo ricostruttivo e didattico è oggi di estrema
utilità, come testimonia del resto il fatto che moltissimi lavori, anche recenti,
tra quelli che hanno provato a ricostruire l’insieme del “problema transfert”
mostrano un debito, spesso non riconosciuto, con questo sforzo di Lagache.
Il Rapport non è solo –e non è tanto- un testo “storico” ma, come ebbe a dire
Laplanche (1987, p. 13), è un testo “di riferimento”, la cui analisi del proble-
ma, anche per i limiti che la contraddistinguono, ne fa un classico, ossia un
testo costantemente utile, come utile è la sua ricerca di “guide” per orientarsi e
orientarci tra gli effetti di posizioni potenzialmente semplificatrici24.
5. (Su cosa il lettore potrà trovare nella seconda parte di questo volume)
“Dovendo riferire sulla teoria del transfert, ci è parso comodo e necessa-
rio… mettere a disposizione… gli elementi di una storia”. Lagache apre così
il suo Rapport, dichiarando un’impostazione che aspirava a essere storica, nel
senso di basata su fonti. Lo “storico” Lagache – come si definisce, ad esempio,
quando si occupa del ruolo della psicoanalisi infantile nell’avanzamento della
teoria del transfert (infra) – cerca di lavorare su fonti molteplici, facendone al
tempo stesso un inventario ragionato; gli elementi che ricostruirà sforzandosi
di assumere la postura dello storico, cominciano ovviamente con quelli rac-
colti seguendo le piste freudiane e proseguono fino all’anno del Rapport, dise-
gnando una mappa dei territori di manifestazione del problema del transfert25.
24 Dopo aver contribuito (soprattutto, ma non esclusivamente) all’indagine del lutto patologico (Lagache,
1954), della natura intersoggettiva dell’aggressività (1960), del rapporto tra pratica psicoanalitica e struttura
della personalità (1961), della relazione tra angoscia e rappresentazione (1962, pubblicato postumo con una
lunga “osservazione clinica” – p. 320 sgg.), gli ultimi lavori di Lagache avranno per oggetto prevalentemente
l’attenzione per il fantasma, la fantasia e la sublimazione, il cui rilievo, in questi anni conclusivi, va di pari passo
con l’interesse per l’origine dei valori.
25 Per quanto concerne Freud, in questa sede ci si può limitare ad un’annotazione per ricordare, insieme a Le
Guen (2008, p. 1624), che gli scritti “definitivi” della teoria del transfert sono quelli pubblicati tra il 1914 e il
1916, ossia gli “Scritti tecnici” e le due lezioni (27° e 28°) della prima serie della Introduzione alla psicoanalisi
dedicate al transfert. Nei vent’anni successivi Freud non sentirà il bisogno di tornare sulla teoria del transfert,
facendolo solo con il Compendio di psicoanalisi (1938; cfr. Le Guen, 2008, p. 1628).
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Una mappa (“elaborazione del movimento delle idee”, dice Lagache, infra)
di difficile composizione, tanto in presenza di relativa povertà (come quella
che denuncia Lagache in apertura del Rapport, per farsi poi smentire dalla
sua stessa bibliografia), tanto in presenza di un eccesso di fonti potenziali. A
fronte di queste difficoltà, Lagache si sforza allora di individuare delle possibili
guide, che ritrova soprattutto, oltre che nell’opera di Freud, nella storia della
tecnica tracciata da Fenichel (1941), e nell’articolo di Ida Macalpine (1950).
Dall’impostazione del Rapport abbiamo tratto l’insegnamento necessario
per l’impianto complessivo di questo volume: è la direzione indicata dallo
sguardo dello storico Lagache – che come tale si riferirà ai propri lavori in
terza persona – quella verso la quale abbiamo inteso guardare nella concezione
del volume nel suo insieme e, più in particolare, della sua seconda parte.
Ci è parso cioè possibile partire dalla stessa mappa disegnata da Lagache,
provando ad ampliarla e aggiornarla, mantenendone però, come si diceva,
l’impostazione. Ampliare una mappa significa estendere i territori che si cerca
di far rappresentare al potenziale viaggiatore interessato a muoversi in essi.
Nel nostro caso l’estensione si ritrova nelle presentazioni di ciò che il transfert
implica in alcune precise tradizioni psicoanalitiche assenti per ragioni storiche
(non semplicemente cronologiche) dal lavoro di Lagache, mentre l’aggior-
namento è ovviamente l’effetto del nostro aver lavorato sul “problema” tra il
2012 e il 2015. Entrambi gli interventi, estensione e aggiornamento, sono
però restati nel solco lagachiano della clinica individuale e si sono volutamente
mantenuti distanti da un tentativo di separare gli ingredienti che si trovano
addensati nel “calderone di significati che caratterizza attualmente la nozione
di transfert” (Filippini, Ponsi, 2008, p. 156) per azzardarne una sorta di clas-
sificazione concettuale. Delimitazione e limitazione entrambe necessarie, ci
pare, per immaginare in maniera non velleitaria una ricerca di fonti e guide
nell’ambito di un periodo di oltre sessant’anni.
La selezione dei lavori che, divisi per decenni e intervallati da presentazioni
dei contributi offerti alla teoria del transfert da alcuni “maestri” (Klein, La-
can, Bion, Winnicott, Laplanche), abbiamo inteso segnalare come “fonti”,
ha seguito un criterio che si potrebbe definire “critico-informativo”, messo
all’opera da ricercatori che hanno provato ad assolvere a un medesimo man-
dato: rendere conto del maggior numero possibile di lavori sul “transfert”
all’interno di un singolo decennio.
Il lavoro di ricerca è stato poi presentato dagli autori utilizzando un pro-
prio interesse e la propria sensibilità, proponendo una lettura del movimento
di idee cui gli scritti individuati potevano aver dato vita o in cui si erano inse-
riti. Mentre l’attività dei colleghi che si sono occupati delle presentazioni dei
contributi dei “maestri” (termine impegnativo, ma come altrimenti definire
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R. Galiani - Dalla croce al problema… e ritorno. Per introdurre al problema del transfert
26 Tra quelli che abbiamo definito “maestri” avrebbe dovuto figurare anche André Green, l’assenza del cui
pensiero dalle presentazioni contenute nel volume non coincide con la nostra scelta originaria.
27 Per questo criterio ci siamo riferiti anche alle indicazioni offerte da A. Ferruta (2008, p. 5) introducendo il
volume che raccoglie i lavori dell’ultimo convegno che la Società Psicoanalitica Italiana ha dedicato circa dieci
anni fa ai transfert (“I transfert. Cambiamenti nella pratica clinica”, Siena, 28 settembre-1 ottobre 2006).
28 La ricerca è stata condotta essenzialmente sugli indici delle principali riviste di area psicoanalitica. Senza
le risorse -elettroniche, ma non solo- della biblioteca “Marisa Sbandi” del Dipartimento di Psicologia della
Seconda Università degli Studi di Napoli (SUN), il lavoro non sarebbe stato possibile; nella persona della dott.
ssa Maria Elena Sportiello, responsabile della biblioteca, ringraziamo per questo l’intera struttura.
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La parabola di Lagache è molto utile anche per questo, se l’esito del suo
sforzo problematizzante è quello di ricordare che il transfert è una condotta
unicamente nella misura in cui nulla può dirsi di essa senza inquadrarla a
partire dalla situazione psicoanalitica, ossia da un fantasma.
31 A proposito della traduzione di Übertragung: per le citazioni freudiane provenienti dalle O.S.F. (Bollati
Boringhieri), abbiamo generalmente mantenuto il termine traslazione.
32 Nella versione per l’International Journal of psychoanalysis (1953) del suo intervento del 1951 (in Oeuvres
II), Lagache parla di una psicoanalisi che “tended more and more to become a psycho-analysis of behaviour”
(Lagache, 1953a, p. 1; tr. it. in Genovese, 1988).
33 Nelle traduzioni di Janet l’espressione maggiormente utilizzata (cfr. anche L. Mecacci, Storia della psicologia
del Novecento, Laterza, Roma - Bari) è psicologia della condotta.
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così; non però per la formula cui, come visto, Lagache arriva per esprimere
la propria posizione: transfert de signification fonctionelle, dove ci è sembrato
potesse essere utile il ricorso a “significazione”, per l’aspetto di azione in esso
implicato (per quanto indipendente da una considerazione dei rapporti tra
significante e significato).
Il termine instinct, che talvolta appare nello scritto di Lagache, lo abbiamo
quasi sempre tradotto con pulsione, e ciò per tre ordini di motivi. Il primo,
apparentemente paradossale, è la presenza, nel Rapport, anche del termine
pulsion; tale coabitazione in questo testo si chiarisce con il fatto che il più delle
volte pulsion deriva da traduzioni dirette dal tedesco o da citazioni di traduzio-
ni francesi già esistenti, mentre il termine instinct deriva, nella maggior parte
dei casi, dal riferimento di Lagache alle traduzioni inglesi dei testi di Freud.
Il secondo motivo sarebbe già da solo sufficiente a giustificare la scelta di tra-
duzione, perché risiede nelle posizioni che lo stesso Lagache avrebbe espresso
in lavori successivi al nostro Rapport; è il caso di “Situation de l’agressivité”
(1960), dove Lagache manifesta chiaramente tutta la propria perplessità circa
l’uso della definizione instinct: “…in materia di antropologia psicoanalitica
nessun problema che riguardi le pulsioni [pulsions], ossia quelle tendenze fon-
damentali troppo spesso chiamate istinti [instincts], può essere posto senza ri-
collocare le pulsioni nel contesto interpsicologico in cui esse passano dalla po-
tenza all’atto” (p. 146), o di “La psychologie et les sciences humaines” (ancora
1960), dove la dizione instinct è senza mezzi termini definita “impropria” (p.
180), o, pochi anni più avanti (1963), è il caso di “De la fantaisie à l’action”,
dove in maniera esplicitamente più attenta alla lingua, Lagache ricorda come
“Freud non impieghi a caso i termini Instinkt e Trieb; un comportamento
ereditario ed innato non si confonde con una pulsione più indeterminata e
plastica quanto alla sua meta ed al suo oggetto” (p. 101). Il terzo motivo di
quello che per noi rappresenta un aggiornamento dei criteri di traduzione è
strettamente didattico: riteniamo infatti elementare, dopo gli insegnamenti di
Lacan, Laplanche e Green (per citare en passant solo i principali) - restituire
a Trieb la sua identità pulsionale, ben sapendo quanto sia stata perniciosa la
“confusione”, di matrice anglofona, tra instinct e drive34. Dove possibile, in
quasi tutti i casi di citazioni provenienti da altri testi abbiamo confrontato la
traduzione fatta da Lagache con il testo originale; quando opportuno, l’abbia-
mo adeguata ricorrendo a una traduzione italiana esistente. In tutto il volume,
le traduzioni sono a cura degli autori e/o dei curatori.
34 L’adozione del termine “pulsione” in sostituzione, nell’uso di vecchie traduzioni, del termine “istinto”, è
ormai abbastanza diffusa; in alcuni, molti casi, è però evidente che l’estensore del lavoro non trae le conseguenze
dell’adozione del termine, e la conseguenza principale sta nella centralità del sessuale infantile, da cui discen-
dono una serie di esigenze pratiche e tecniche, come l’ascolto de-significante e non interattivo, che mira a fare
posto all’estraneo che parassita ogni tentativo di rappresentazione.
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Laplanche (1987) sosteneva che fosse impossibile parlare del transfert senza
tenere conto che si tratta di un fenomeno accessibile – e “producibile” – solo
a determinate condizioni: dissimmetria della relazione, neutralità dell’anali-
sta, non intervento, primato assegnato alla parola e all’immaginario rispetto
all’azione, oltre alle altre condizioni dall’apparenza più “organizzativa”. La po-
sizione espressa da Laplanche, e che a sua volta Fédida (1973, 1978, tr. it. p.
104), in quello che è a tutti gli effetti un testo sul transfert come allucinazione
negativa, definiva “topica dell’altro assente… presente alla parola”, è prossima
alla posizione in cui non di rado penso di riconoscermi, ma questo testo è
volutamente a più voci, intendendo riflettere la diversità delle posizioni teori-
co-cliniche derivanti dal confronto con la realtà del transfert nella situazione
psicoanalitica, riflessione che dovrebbe aiutare a non cadere nella tentazione
di farsi rassicurare da un’operazione di scomposizione, di analisi del problema.
È indispensabile, specie per chi al fenomeno intende avvicinarsi dall’interno
di una singolare situazione psicoanalitica e nella posizione di produttore o di
provocatore del transfert (come avrebbe appunto detto Laplanche, 1987), guar-
dare al transfert anche attraverso una luce che aiuti a coglierne la natura di
organismo vivente, e il noto riferimento freudiano al cambium (“zona di cam-
bio”: cfr. Freud, 1917 e infra) è essenzialmente da intendersi come una ma-
niera per sottolineare che il “sistema transferale” (per dirla con Bonnet, 1991,
p. 307), non è dato preventivamente, ma sopravviene, reagisce, dal momento
in cui alcune condizioni di base sono rispettate. E le reazioni possono spesso
essere appassionate e passionali.
In una lunga intervista, alla domanda “Cos’è per lei il transfert?”, Green
(2006, p. 269) rispondeva: “[…] in fondo siamo sempre in attesa di un pos-
sibile ricettacolo su cui possiamo far funzionare l’illusione di essere compresi,
amati, difesi, e ciò creando al tempo stesso in noi questo rifiuto del riconosci-
mento della dipendenza di fronte a colui o colei in rapporto a cui nutriamo
la speranza […] ciò che è importante è che non siamo coscienti di essere in
attesa di un ricettacolo che si proporrà a noi in forme minimali”. Insomma,
è la necessità di inquadrare i fenomeni di transfert ad essere un problema, ma
se con il transfert ci si vuole lavorare davvero, in una situazione psicoanalitica
che consenta, come dice Green, di far funzionare un’illusione, il transfert, in
quanto fantasma, finisce il più delle volte per avere la forza evocativa di una
croce.
Tutti quelli che hanno preso parte alla stesura del volume sapevano che il
risultato del loro impegno -intenso, serio, prolungato- dal punto di vista dei
criteri accademici in vigore avrebbe avuto un valore pressoché nullo; siamo
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Riferimenti bibliografici
Anzieu D. (1974), Daniel Lagache et la psychologie clinique, in Psychologie française, I, 9, n.
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R. Galiani - Dalla croce al problema… e ritorno. Per introdurre al problema del transfert
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